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Il Nostro Ciclo Universale
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Il Nostro Ciclo Universale

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In questo testo prenderemo in esame le teorie sull’origine dell’Universo e sui corpi celesti che lo compongono. Giunti al nostro pianeta, ci soffermeremo sulla sua formazione e trasformazione attraverso le varie ere geologiche, sulla comparsa ed evoluzione della vita nelle sue molteplici forme. Infine, vedremo quali eventi eclatanti porteranno alla conclusione del nostro ciclo universale.

LanguageItaliano
Release dateSep 22, 2012
ISBN9781301593613
Il Nostro Ciclo Universale

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    Il Nostro Ciclo Universale - Giancarlo Varnier

    Di fronte all’incommensurabilità dell’Universo l’uomo percepisce, in tutta la sua portata, l’inesorabile limite della sua finitezza. Se parametrata al respiro del cosmo, infatti, l’intera evoluzione dell’Uomo, dall’origine sino alla sua inevitabile estinzione, non è che un breve battito di ciglia. A questo è necessario aggiungere - non ci stancheremo mai di ripeterlo - la consapevolezza del fatto che ogni possibile comprensione dell’Universo, anche quella più rigorosamente scientifica, non è che una interpretazione del pensiero umano, con tutti i limiti e le relatività implicate dalle funzioni e dalle strutture di un tale pensiero. Ciò detto, in questo percorso testuale, che fonde insieme il contenuto rivisitato di due precedenti pubblicazioni – Il Mistero dell’Universo e Biografia della Terra - prenderemo in esame le teorie sull’origine dell’Universo e sui corpi celesti che lo compongono. Giunti al nostro pianeta, ci soffermeremo sulla sua formazione e trasformazione attraverso le varie Ere geologiche per approdare, poi, alla comparsa ed evoluzione della vita nelle sue molteplici forme, con particolare riferimento alla specie umana. Infine cercheremo di capire quali eventi potrebbero portare alla fine della Vita sulla Terra ed alla possibile conclusione del nostro Ciclo Universale.

    Capitolo 1

    L'UNIVERSO

    La vita dell’Universo cominciò circa 13,7 miliardi di anni fa durante il periodo denominato del Big Bang. Questo periodo inizialmente è caratterizzato da un’altissima densità di energia e dunque da temperature eccezionalmente elevate che superano i 1032 K. Le condizioni fisiche presenti in questo periodo non possono essere spiegate con le conoscenze fisiche che possediamo attualmente; questa difficoltà `e dovuta in particolare al fatto che, le quattro forze che governano oggi la natura - forza gravitazionale, forza elettromagnetica e forze nucleari forte e debole - non erano indipendenti ma unificate in un'unica forza fondamentale. La fisica attuale può essere utilizzata per descrivere quello che accadde a partire da 10−43 s dal Big Bang quando, essendo diminuita la densità, l’universo raggiunse una temperatura che permise alla forza gravitazionale di dissociarsi dalle altre tre interazioni. Otteniamo dunque due forze equivalenti, ed `e per questo che l’universo è detto simmetrico. Da questo momento la forza gravitazionale potrà essere descritta dalla relatività generale, mentre le altre tre forze dalla meccanica quantistica. Durante l’era di Planck la materia non esiste ancora, l’universo, apparentemente vuoto, è popolato da migliaia di particelle e antiparticelle, dette virtuali, che si creano dal nulla rubando una piccolissima quantità di energia all’universo e si disintegrano all’incirca 10−22 s dopo, restituendo all’universo la poca energia che avevano rubato; è proprio questo periodo di vita estremamente corto che le distingue dalle normali particelle di materia. Questo particolare fenomeno può essere spiegato attraverso un principio della meccanica quantistica noto come disuguaglianza di Heisemberg E t ≥ ~/2. (2.1).

    Quando l’universo compie 10−35 s la temperatura raggiunge i 10−27 K, permettendo alla forza nucleare forte (che tiene legati tra di loro protoni e neutroni all’interno dei nuclei atomici) di dissociarsi dalla forza nucleare debole (responsabile della radioattività) e dalla forza elettromagnetica, unificate nella forza elettrodebole, rompendo la situazione di simmetria in cui ci trovavamo fino ad allora; le forze non sono dunque più equivalenti. Questo passaggio da uno stadio simmetrico ad uno asimmetrico è definito come una transizione di fase che, però, non avverrà in modo immediato. L’universo passerà infatti da uno stadio intermedio chiamato falso vuoto caratterizzato da una grandissima densità di energia che, secondo leggi della relatività generale, si tradurrà con una forte forza di repulsione che causerà un’espansione particolarmente veloce e brutale (la dimensione dell’universo sarà moltiplicata per un fattore 1050). Si tratta del fenomeno dell’inflazione, che terminerà soltanto quando avverrà la transizione di fase e l’universo acquisterà finalmente una configurazione stabile. La fine dell’era inflazionaria sarà caratterizzata dalla nascita della materia. Infatti, durante la transizione di fase verrà liberata un’importante quantità di energia che sarà catturata dalle particelle virtuali permettendo loro di diventare reali. E’ in questo modo che dal vuoto si creerà la materia come la conosciamo noi oggi. Un altro importantissimo fenomeno, reso possibile dalla dissociazione della forza nucleare forte dalle forze elettrodeboli, è l’asimmetria materia-antimateria. Durante questo periodo la materia prende infatti il sopravvento, per un miliardo e un quark si contano soltanto un miliardo di antiquark. Questa differenza sarà in seguito ancora presente a livello di protoni e neutroni e determinerà lo sviluppo dell’universo come lo conosciamo oggi.

    Dopo l’inflazione l’universo continua ad espandersi in modo molto più lento e regolare; nulla di speciale si produce fino a 10−12 s. E’ a questo punto che la temperatura ha infatti raggiunto i 1015 K, temperatura che rende possibile l’ultima transizione di fase che consiste nella dissociazione delle interazioni elettromagnetiche dalle interazioni deboli. Da questo momento l’universo `e controllato da quattro forze ben distinte che possono essere osservate ancora oggi all’interno dell’universo.

    Dopo l’ultima transizione di fase l’universo continua ad espandersi causando una diminuzione della temperatura. Quando questa raggiunge 1013 K , all’incirca 10−6 s dopo il Big Bang, avrà luogo il confinamento dei quark. Quando la temperatura è superiore a 1013 K, infatti, le particelle sono troppo agitate e la forza nucleare forte non è abbastanza intensa per legare i quark. Quando si scende sotto a 1013 K l’agitazione delle particelle diminuisce permettendo alla forza nucleare forte di dominare. I quark si riuniscono dunque in gruppi di due e tre formando due tipi di adroni: i mesoni (formati da un quark e un antiquark) e i barioni (formati da tre quark), di cui sono esempi i protoni e i neutroni. Il periodo che comincia ora, e che si protrarrà fino all’età di 10−5 s, è l’era adronica. Le reazioni che caratterizzano questo periodo sono quelle che trasformano adroni in fotoni (reazione di annichilazione) e viceversa. Questo sistema di equilibrio `e possibile, perchè quando la temperatura a un valore di 1013 K, la massa della coppia adrone-antiadrone è equivalente all’energia di due fotoni. Questo significa che da due fotoni è possibile creare una coppia adrone-antiadrone. Questa reazione smetterà, però, non appena l’energia media dei fotoni diminuirà e non sarà dunque più sufficiente ad innescare la reazione inversa. Questa riduzione di energia è direttamente legata al calo di temperatura, infatti, se la temperatura si abbassa e scende sotto i 1013 K , l’energia media del fotone diminuisce e la reazione inversa è bloccata. A questo punto solo le reazioni di annichilazione, che non necessitano energia, avranno luogo portando ad una scomparsa quasi totale dei barioni. Questa scomparsa quasi totale si verifica perchè l’asimmetria riscontrata nei quark alla fine del periodo dell’inflazione si riscontra anche negli adroni; avremmo dunque per ogni miliardo di antiadroni un miliardo e un adrone. Queste particelle in eccedenza non troveranno nessun partner e non potranno dunque annichilarsi. La fine dell’era adronica causa così la definitiva scomparsa delle particelle di antimateria ma non della materia, in particolare un miliardesimo di protoni e neutroni sono sopravvissuti.

    Questo periodo, denominato era leptonica, è caratterizzato dalle reazioni di produzione e di annichilazione di paia di leptoni (3 diversi tipi di neutrini, elettroni, muoni e particelle tau). Queste particelle hanno una massa minore rispetto agli adroni, l’energia necessaria a due fotoni per creare un leptone è dunque minore (per esempio l’elettrone ha una massa 2000 volte più piccola di un protone, un fotone necessita dunque di una quantità 2000 volte inferiore per creare un elettrone).

    L’era leptonica è caratterizzata da due avvenimenti fondamentali:

    Il primo `e il disaccoppiamento dei neutrini. Quando la temperatura è superiore ai 104 K, i neutrini reagiscono con il resto della materia e, grazie alle forze di interazione deboli, si trovano in una situazione di equilibrio con il resto della materia. La forza di interazione debole possiede però un raggio d’azione relativamente ristretto e dunque non appena la distanza tra particelle aumenta, a causa dell’espansione dell’universo, questa forza non permette più nessuna reazione tra neutrini e il resto della materia. Durante la formazione dell’universo la distanza tra particelle che non permette più nessuna interazione è raggiunta quando il valore della temperatura corrisponde a 104 K, a questo punto i neutrini si comporteranno dunque come se tutte le altre particelle non esistessero; si dice che queste particelle si disaccoppiano dalla materia. Visto che non interagiscono più con nessun tipo di materia queste particelle sono ancora presenti nell’universo.

    Il secondo avvenimento importante è l’annichilazione degli elettroni. Quando la temperatura scende al di sotto della soglia che rende possibile le reazioni che permettono la nascita di un elettrone e di un antielettrone da due fotoni, nello stesso modo in cui questo avviene nell’era adronica, avrà luogo la progressiva distruzione delle coppie elettrone antielettrone. Ma dall’asimmetria materia-antimateria instauratasi alla fine dell’era di Planck, una piccolissima parte di elettroni non troverà la particella complementare e, perciò non si disintegreranno. A partire da questo momento l’antimateria è completamente scomparsa dall’universo e l’universo contiene soltanto materia composta da protoni, neutroni ed elettroni. Questa scomparsa quasi totale degli elettroni ha una conseguenza molto importante sull’equilibrio tra protoni e neutroni presente sino a questo momento. Il protone può essere considerato una particella stabile, il suo tempo di dimezzamento corrisponde all’incirca a 1030 anni. Il neutrone è invece una particella instabile; quando è isolato si dimezza in circa quindici minuti producendo un protone, un elettrone e un antineutrino. In questo modo partendo da una situazione in cui protoni e neutroni sono in proporzioni uguali, la tendenza sarà un aumento del numero di protoni contemporaneamente alla diminuzione del numero di neutroni. Prima dell’annichilazione degli elettroni, quando questi erano ancora molto abbondanti, il numero di barioni era regolato da una reazione che, grazie alle forze di interazioni deboli, permetteva di creare neutroni a partire dalla collisione di un elettrone e di un protone. In questo modo i due tipi di barioni mantengono delle proporzioni simili. Con la scomparsa della maggior parte degli elettroni questo equilibrio è rotto, e poco a poco i neutroni si trasformeranno in elettroni e la proporzione tra i due tipi di particelle cambia in modo progressivo. Da questo momento, la materia sarà dominata dai protoni.

    Nel momento in cui la temperatura raggiunge il 1010 K, e l’universo esiste ormai da un centinaio di secondi avviene la nucleosintesi primordiale, cominciano cioè a crearsi i primi nuclei atomici a partire da protoni e neutroni che fino a quel momento erano indipendenti gli uni dagli altri. Bisognerà però aspettare che la temperatura diminuisca ancora per avere finalmente dei nuclei atomici stabili. Infatti fintanto che l’universo possiede una temperatura uguale o leggermente superiore a 1010 K i fotoni possiedono un energia sufficiente per rompere i legami presenti tra protoni e neutroni disintegrando cos`ı il nucleo atomico. Non appena scendiamo al di sotto di questa soglia critica i fotoni non sono più abbastanza energetici da rompere i legami e le strutture che si formano sono stabili; si possono così creare strutture sempre più complesse: Deuterio, composto da un protone e un neutrone, elio-3, composto da due protoni e un neutrone e elio-4 (l’elemento presente in quantità maggiore, composto da due protoni e due neutroni). La nucleosintesi non produrrà, però, elementi più complessi di quelli sopra elencati. In effetti anche se la collisione fra due nuclei può crearne altri più pesanti, contenenti dai 5 agli 8 costituenti, questi ultimi sono molto instabili e si disintegrano molto rapidamente. L’instabilità di questi nuclei di elementi porrà dunque un freno alla creazione di atomi sempre più complessi impedendo la nascita di nuclei più pesanti quali l’ossigeno e il carbonio; bisognerà infatti aspettare la nascita delle stelle per vedere apparire atomi più complessi nell’universo. Inoltre, essendo l’universo in espansione, le condizione favorevoli all’unione tra protoni e neutroni saranno presenti durante un periodo assai breve. I due principali elementi presenti nell’universo alla fine della nucleosintesi sono dunque idrogeno -i protoni- e elio-4 in un rapporto, di circa, 4:1. Quando la temperatura scende sotto i 3000 K, cessano le interazioni tra materia e radiazione; gli elettroni si legano ai nuclei e l’universo diventa trasparente. I primi atomi sono nati. La sintesi di atomi più pesanti quali ossigeno (O2) e carbonio (C) continuerà poi in seguito quando si creeranno galassie e stelle in quella che viene chiamata nucleosintesi stellare. Esistono due tipi materia che determinano la massa dell’Universo: la materia visibile e la materia oscura. La materia visibile è conosciuta e osservata dagli astronomi ed è costituita da galassie, stelle, pianeti e tutti gli oggetti celesti che è possibile osservare mediante i telescopi e gli strumenti di misurazione a nostra disposizione. Questi oggetti visibili costituiti da materia barionica, ossia da He4 da H e da De (7% He4; 92% H; 1% De), costituiscono soltanto il 10% della materia che compone il nostro universo. Inoltre riferendoci ai modelli cosmologici, che ipotizzano un universo piatto come modello più probabile per il nostro universo, e tenendo conto del risultato delle equazioni di Einstein che ipotizzano un parametro per la materia pari a m = 0. 3, possiamo ricavare il parametro visibile ≤ 0. 01 m che corrisponde alla densità di materia visibile; questo significa che ci manca una quantità di materia oscura = 0. 29. Dobbiamo quindi ipotizzare la presenza di materia che non ci è possibile osservare con le tecnologie attualmente disponibili per le osservazioni, e che viene chiamata materia oscura.

    La densità di massa delle galassie o più precisamente della materia visibile si può stimare calcolando il valore medio hM. L dove M `e la massa e L la luminosità delle galassie più vicine. Moltiplicando la luminosità di una galassia per hM L otteniamo la sua massa. La luminosità vera di una galassia si deduce dalla luminosità apparente FL = 4πFd2 dove F `e misurato sperimentalmente ma d2 `e dedotto da una misura di spostamento verso il rosso e dipende da H0, nota come costante di Hubble.

    I primi indizi dell’esistenza di materia oscura risalgono al 1930 quando, l’astronomo svizzero Fritz Zwicky stava studiando il moto di ammassi di galassie lontani e di grande massa. Zwicky stimò la massa di ogni galassia basandosi sulla sua luminosità e sommò tutte le masse galattiche per ottenere la massa totale dell’ammasso. Decise poi di effettuare una seconda stima basandosi questa volta sulla dispersione di velocità delle galassie, che è direttamente legata alla massa dell’ammasso, e ottenne, come risultato, che la massa dinamica era 400 volte maggiore rispetto alla massa luminosa. Nonostante l’evidenza sperimentale già presente al tempo di Zwicky, bisognerà aspettare il 1970 affinché gli studiosi prendano sul serio il problema della materia oscura. Negli anni ′70 per verificare che le osservazioni effettuate da Zwicky fossero corrette si analizzarono gli spettri delle galassie a spirale dai quali `e possibile ricavare la curva di rotazione, che descrive la velocità della rotazione della galassia in funzione della distanza dal suo centro. Solitamente, secondo le leggi della gravitazione universale, la velocità massima si trova a qualche kiloparsec dal centro e diminuisce mano a mano che la distanza dal centro aumenta. Si tratterebbe, scusando il bisticcio di parole, di una curva di rotazione curva Quello che invece si osserva per quanto riguarda le galassie `e una curva di rotazione orizzontale, questo significa che la velocità rimane costante e non diminuisce. Un modo per spiegare questo fenomeno `e di ipotizzare l’esistenza di un alone di materia poco luminosa, e dunque non osservabile, che racchiuda la galassia in una morsa gravitazionale e che potrebbe rappresentare fino al 90% della massa della galassia stessa. Inoltre il movimento delle galassie all’interno degli ammassi ha rivelato lo stesso problema riscontrato con il movimento delle stelle all’interno delle galassie e un recente studio stima la densità di materia oscura a un terzo della densità critica, il resto essendo composto da energia oscura (vuoto). Esistono diverse ipotesi per spiegare la natura della materia oscura. Si ipotizza che la materia oscura galattica, ossia quella che compone l’alone che attornia le galassie, sia composta da materia barionica sotto forma di nane brune, nane bianche, buchi neri super massicci e stelle di neutrini, oggetti che gli astronomi riassumono con la sigla MACHO (Massive Compact Halo Object) ossia oggetti di alone compatti dotati di massa. Attraverso la teoria del Big Bang si è però calcolato che la materia barionica può rappresentare al massimo il 4% della materia presente all’interno del nostro universo, il restante 26% deve dunque essere di natura non barionica. Questo significa che la materia oscura cosmologica non può essere barionica. Sulla natura di questa materia non barionica si sono sviluppate due teorie: la prima ipotizza una materia oscura composta da una particella quasi priva di massa, che viaggia ad una velocità prossima a quella della luce, da cui il nome di materia oscura calda, e debolmente interagente con il resto della materia: il neutrino; la seconda invece ipotizza una materia oscura composta da particelle dotate di massa, con una velocità molto inferiore a quella della luce, da cui il nome di materia oscura fredda, e debolmente interagenti, chiamate WIMP’s (Weakly Interactive Massive Particles); oggi si pensa che la particella che componga le WIMP’s sia una particella supersimmetrica2 chiamata neutralino (non ne siamo ancora sicuri perché la loro debole interazione con il resto della materia le rende delle particelle estremamente difficili da rivelare, infatti, non sono ancora state osservate). Attualmente è la teoria della materia oscura fredda che sembra essere la più probabile. Infatti se è la materia oscura fredda a dominare, lo scenario di formazione dell’universo sarebbe quello chiamato dal basso verso l’alto. La teoria di supersimmetria suppone che ogni particella che osserviamo ha una particella ombra (in inglese, shadow), massiva. Per esempio, per ogni quark ci dovrebbe essere un corrispondente quark (shadow-quark) che lo segue dappertutto. Se, invece, fosse quella calda a dominare lo scenario sarebbe quello chiamato dall’alto verso il basso, vale a dire che si sarebbero formate prima le strutture più massicce quali gli ammassi che si sarebbero, in un secondo tempo, frantumati creando le galassie. Ora dalle osservazioni risulta che le galassie siano tutte in equilibrio dinamico al contrario degli ammassi e perciò devono, probabilmente, essersi formate prima, da cui la preferenza per il modello di materia oscura fredda. Occorre notare che è però necessario che una piccolissima parte di materia oscura calda sia comunque presente altrimenti non sarebbe stata possibile la nascita degli ammassi di galassie in così breve tempo. Questo modello che ipotizza una materia oscura costituita in prevalenza da materia oscura fredda, da una piccola parte di materia oscura calda e da materia barionica viene detto modello della materia oscura mista.

    La radiazione presente nell’universo, composta da fotoni, neutrini, onde gravitazionali e scoperta nel 1964 da A. Penzias e R. Wilson, comporta le stesse caratteristiche della radiazione di un corpo nero. Durante le prime osservazioni ci si rese conto che il grafico della densità spettrale di energia u(ν,T) in funzione di ν per ogni valore T della temperatura era molto simile a quello di un corpo nero. Questa radiazione è stata originata circa 300000 anni dopo il Big Bang quando l’universo aveva una temperatura di circa 3000 K. Come sappiamo è precisamente in questo momento che ebbe luogo la separazione tra materia e radiazione. Fino a questo momento infatti la materia era interamente ionizzata (gli elettroni erano dunque liberi) e i fotoni interagivano continuamente con le particelle di materia garantendo un equilibrio. Vi era, cioè un interazione tra i fotoni e gli elettroni liberi che componevano questo gas ionizzato, e quindi i fotoni non potevano propagarsi liberamente. Questo significa che il gas non permetteva alle radiazioni di passare ed era dunque opaco e non trasparente. Dal momento in cui l’universo raggiunse questa fatidica temperatura, materia e radiazione si separarono: gli elettroni si legarono ai protoni creando gli atomi, il gas cosmico, neutro, diventò quindi trasparente e la radiazione potette propagarsi all’interno dell’universo senza più incontrare ostacoli arrivando fino a noi. Questo particolare tipo di radiazione prende il nome di radiazione cosmica di fondo (CMB, sigla di Cosmic Microwave Backround) oppure radiazione cosmica a 3 K, nome che deriva dalla sua temperatura che, grazie alle osservazioni compiute negli ultimi decenni `e stata stimata a 2. 725 ± 0. 0001 K. Il CMB possiede diverse caratteristiche che la contraddistinguono:

    - appartenenza alle microonde radio; possiede dunque una

    lunghezza d’onda λ di qualche millimetro soltanto;

    - irraggiamento diffuso estremamente omogeneo;

    - il suo carattere termico;

    - la sua estrema isotropia;

    Per definire al meglio la storia dell'universo, è innanzitutto indispensabile conoscere quale tipo, quale modello occorre prendere in esame affinché ci si possa avvicinare il più possibile alla realtà, alla veridicità degli eventi che sono stati la base del passato, formano il presente e domani rappresenteranno il futuro. In questi anni molte teorie si sono avvicendate ed ognuna di esse ha rappresentato la base di quelle che poi si sono susseguite. Oggi è vero che la più accreditata è quella del Big Bang ma è anche vero che presa così da sola non riesce a dare tutte le risposte che necessitano.

    La storia dell'universo è composta dalle origini e dall'evoluzione che è parte integrante della cosmologia. Prima di svilupparsi in una scienza, la cosmologia era considerata una sotto branca della filosofia. Anche le religioni, con le loro cosmogonie cercarono di dare una risposta alla grande questione dell'origine del cosmo, elaborando grandi costruzioni fantastiche di tipo mitologico. Nel XX secolo vennero formulati tre tipi di modello:

    Tre tipi di universo: chiuso, aperto e piatto

    - Quello dell'universo chiuso che si evolve verso un destino di collasso della materia che finirà con un gigantesco evento, il Big Crunch.

    - Quello stazionario che comporta un universo statico, che non cambia.

    - Quello aperto che prevede un universo che tende ad espandersi all'infinito.

    Einstein nel 1917 propose un modello basato sulla teoria della relatività generale; un modello statico dove la gravità creava una curvatura nello spazio-tempo; e per avvalorare meglio questo suo concetto introdusse la Costante cosmologica, una forza che bilanciava la forza d'attrazione gravitazionale. Aleksandr Aleksandrovič Fridman disse che l'universo si espande, e le modalità di questa espansione dipendono dalla densità media della materia in esso contenuta: se essa fosse troppo piccola la reciproca attrazione delle galassie causerebbe un rallentamento dell'espansione stessa ma non tale da fermarla, quindi si parla di un universo aperto. Al contrario se la densità della materia fosse maggiore del valore critico (5 x 10-3 g/cm3), l'espansione sarebbe destinata a fermarsi e si avrebbe una contrazione fino ad arrivare al collasso (Big Crunch), si parla quindi di universo chiuso; inoltre la teoria sostiene che potrebbe di nuovo esplodere per riespandersi, per poi di nuovo collassare in un ciclo infinito, si parla di Universo pulsante.

    - Universo in espansione

    George Gamow forte della teoria di Fridman e quella di Georges Lemaître riguardante l'atomo primordiale, ipotizzò l'idea di una grande esplosione (Big Bang), dove la materia trovandosi in condizioni di temperatura e densità estreme, causò il Grande botto che portò all'espansione ed alla creazione dell'odierno universo.

    Interessante è anche la teoria di Andrej Linde che vuole dopo il fatidico Big Bang, la formazione di molti universi ognuno racchiuso in sé stesso dentro una specie di bolla, ognuna delle quali al proprio interno ha leggi fisiche diverse; questa teoria è chiamata dei Multiversi.

    Oggi i cosmologi sono portati a considerare la teoria dell'Inflazione, espressa da Alan Guth come quella che si addice maggiormente alla realtà, considerandola alla luce delle odierne scoperte e conoscenze; partendo dalla teoria di Gamow che inserisce concetti della Fisica delle particelle elementari, si arriva ad una ipotesi, mai fatta prima, su ciò che sarebbe successo durante il primo secondo di vita dell'universo, perché poco si sapeva della proprietà della materia a tali estreme condizioni, ma Guth, partendo dalle ricerche fatte da Stephen Hawking, ideizzò un processo di espansione oltremodo veloce; utilizzando la teoria dei campi gravitazionali pensò che una regione di quello stato caotico cominciasse a gonfiarsi (to inflate, gonfiarsi, quindi il termine inflazione), così velocemente da dare origine al nostro universo.

    In definitiva al momento la teoria accettata è quella inflazionistica, che vede alle origini una singolarità, che causa un'esplosione in un preuniverso caotico, che con grande rapidità nel primo secondo si espande, per poi continuare sempre più, non rallentata abbastanza dalla forza gravitazionale delle galassie e dalla presenza massiccia della materia oscura.

    Saul Perlmutter annunciò che i dati in suo possesso, basati su osservazioni di supernove di tipo Ia in galassie lontane, vedevano un universo in espansione con moto accelerato, come se esistesse una forza antigravitazionale a fare da motore; questa forza è stata chiamata Energia oscura e porterà in futuro ad un aumento dei valori del volume dell'universo ed a una disgregazione delle galassie nel cosiddetto Big Rip.

    - Era di Plank.

    Come già detto, nessuna delle attuali teorie fisiche può descrivere correttamente cosa sia accaduto nell'era di Planck, che prende il nome dal fisico tedesco Max Planck. In questa era le quattro forze fondamentali – elettromagnetica, nucleare debole, nucleare forte e gravità – hanno la stessa intensità, e sono forse unificate in una sola forza fondamentale.

    - Era di grande unificazione.

    Tempo dopo il Big Bang: 1 decimiliardesimo di miliardesimo di yoctosecondo (10-43 secondi) Chiamata anche Era di Gut. Le forze fondamentali, eccetto la gravità, erano unite in una sola superforza costituita dalla forza elettromagnetica e dalle forze nucleari debole e forte. Secondo le conoscenze attuali è precisamente a questo momento che si può far risalire la nascita dello spazio-tempo così come lo conosciamo.

    - Era dell'inflazione.

    Tempo dopo il Big Bang: 1 centimiliardesimo di yoctosecondo (10-35 secondi) Nell'era dell'inflazione, le oscillazioni dell'inflatone diedero origine ad una rapida ma drastica espansione dell'Universo. L'energia sotto forma di radiazione liberata da questo particolare campo di Higgs diede origine a coppie particella-antiparticella.

    - Era elettrodebole.

    Tempo dopo il Big Bang: da un centimilionesimo di yoctosecondo (10-32 secondi) a 1 nanosecondo, ossia 10-9 secondi (un miliardesimo di secondo).

    In quest'era, il campo di Higgs forte aveva già separato l'interazione forte da quella elettrodebole, determinando la formazione di gluoni e di coppie quark-antiquark dalla radiazione liberatasi in seguito all'inflazione. Si ipotizza che i bosoni X e Y (se mai sono esistiti) siano comparsi in questa era. L'era elettrodebole durò circa 10-27 secondi. La sua fine fu caratterizzata dalla separazione della forza elettrodebole in interazione debole ed elettromagnetica, fenomeno determinato dalle oscillazioni del campo di Higgs elettrodebole.

    - Era degli adroni.

    Tempo dopo il Big Bang: 1 microsecondo (10-6 secondi, un milionesimo di secondo)

    Durante l'era degli adroni, l'energia termica divenne sufficientemente bassa da consentire l'interazione fra quark mediante la forza forte. I quark e gli antiquark si legarono così a formare i primi adroni.

    - Era dei leptoni. Tempo dopo il Big Bang: 10-4 secondi.

    Arrivati a questo punto della storia dell'universo la temperatura è di circa 1 trilione di gradi. 1 secondo dopo il Big-Bang: la temperatura è di 10 miliardi di gradi Celsius. 100 secondi dopo il Big-Bang: la temperatura è di 1 miliardo di gradi.

    - Era della nucleosintesi.

    Diametro dell'Universo: più di 1000 miliardi di chilometri Temperatura: 1010 K.

    Tempo dopo il Big Bang: 100 secondi. In quest'era, la maggior parte dei neutroni decaddero in protoni. L'energia si abbassò tanto da permettere ai nucleoni di legarsi attraverso pioni formando così i primi nuclei di elio-4 e di deuterio.

    - Era dell'opacità.

    Diametro dell'Universo: fra 10 e 10.000 anni luce Temperatura: 108 K.

    Tempo dopo il Big Bang: 200 secondi.

    In quest'era, l'energia calò abbastanza da permettere la manifestazione dell'interazione elettromagnetica. Le particelle cariche interagivano fra loro e con i fotoni rimasti dall'inflazione e dall'annichilazione delle coppie particella-antiparticella. In quest'era si ebbe la formazione dei primi atomi, soprattutto di idrogeno, elio, litio ed isotopi dell'idrogeno. Alla fine dell'era dell'opacità, la temperatura calò abbastanza da ridurre la produzione di coppie quark-antiquark o leptone-antileptone di generazioni massicce (vedi Modello Standard).

    Dopo il big Bang.

    - Era della materia (Universo attuale) Diametro dell'Universo: 100 milioni di anni luce Temperatura: 3000 kelvin

    Tempo dopo il Big Bang: 300 000 anni.

    Nell'era della materia, i fotoni rimasti dall'era dell'inflazione si diffusero in tutto l'Universo, formando la radiazione cosmica di fondo presente anche nell'Universo attuale. L'intera materia era per lo più costituita da atomi e da leptoni di prima generazione. Tutte le particelle massive che, con le alte temperature, continuamente si formavano a coppie particella-antiparticella dalla radiazione erano già decadute in particelle leggere di prima generazione, quali elettroni e neutrini e, fra gli adroni, neutroni e protoni. L'era della materia perdura ancora da circa 13,7 miliardi di anni. 1 milione di anni dopo il Big-Bang: la temperatura è di 300 000-400 000 °C. Si forma il primo atomo, l'atomo di idrogeno costituito da 1 protone e 1 elettrone.

    - La formazione delle prime stelle.

    Le irregolarità nella distribuzione della materia da parte dell'inflatone furono causate da fluttuazioni quantistiche in questo particolare campo di Higgs. Verso l'inizio dell'era della materia, le irregolarità si manifestavano soprattutto in zone di materia più condensate rispetto ad altre. La forza gravitazionale agì su queste irregolarità formando agglomerati di materia sempre maggiori: ciò portò alla formazione delle prime stelle, 200 milioni di anni dopo il Big Bang, e delle prime galassie attive (per lo più quasar). Gli astrofisici ipotizzano che le prime stelle formatesi nell'Universo fossero ben più massicce di quelle attuali. I processi di fusione nucleare innescatesi nel nucleo di queste stelle portò alla formazione di elementi pesanti come l'ossigeno, il carbonio, il neon, il ferro e l'azoto, che si diffusero nello spazio interstellare in seguito alle esplosioni delle stelle in supernovae, con la conseguente formazione di buchi neri.

    - 13,2 miliardi di anni fa (500 milioni di anni dopo il Big-Bang) nasce HE 1523-0901, la stella più vecchia a noi nota. Con la loro esplosione, le stelle massicce formatesi 13,5 miliardi di anni fa, dette megastelle diedero origine ad una radiazione elettromagnetica particolarmente intensa, responsabile, probabilmente, della ionizzazione degli atomi di idrogeno che si riscontra fra gli ammassi di galassie nell'Universo attuale.

    - 12,7 miliardi di anni fa, si producono le condensazioni delle galassie (protogalassie) e inizia la formazione delle stelle.

    Albert Einstein dedicò gli ultimi trent’anni della sua vita alla ricerca della cosiddetta teoria unificata del campo ossia di quella teoria che avrebbe dovuto unificare le leggi della gravità e dell’elettromagnetismo in modo da consentire una descrizione unitaria dei fenomeni naturali. Il suo progetto fallì, ma in nessun caso avrebbe potuto andare a buon fine perché a quel tempo molte erano le lacune relative alla conoscenza del mondo fisico. Quando Einstein intraprese il suo tentativo di unificazione si conoscevano ad esempio solo tre particelle elementari (l’elettrone, il protone e il fotone) ed erano note due sole interazioni fondamentali (l’elettromagnetismo e la gravitazione). Attualmente le particelle elementari sono oltre cento: un numero perfino eccessivo rispetto a quello necessario a spiegare l’ordine cosmico tanto che quando venne individuato il muone, una particella simile all’elettrone ma 200 volte più pesante di esso, il premio Nobel Isaac Rabi accolse la nuova scoperta con un infastidito: Chi l’ha ordinato questo? Le forze fondamentali frattanto sono diventate quattro e la loro unificazione è divenuto l’obiettivo centrale della ricerca di fine secolo. I metodi di indagine che si adottano attualmente sono originali e sembra esserci un netto progresso in questo campo della ricerca anche se in realtà l’unificazione della gravitazione con le altre tre forze non è stata ancora realizzata. I fisici ritengono tuttavia di avere imboccato la strada giusta che porta alla formulazione di quell’unica teoria in grado di spiegare tutto quanto esiste nell’Universo. La nuova teoria sulla quale si sta lavorando si chiama delle superstringhe.

    Come è noto, due sono i pilastri su cui si fonda la fisica moderna: la relatività generale fondata da Albert Einstein e la meccanica quantistica fondata da Max Planck. La prima svolge a meraviglia il compito di spiegare il comportamento degli oggetti di grandi dimensioni (stelle, galassie, ammassi di galassie, ecc.) presenti nell’Universo; la seconda ci permette di comprendere il mondo atomico e subatomico (molecole, atomi, elettroni, quark, ecc.). Queste due teorie, che hanno consentito un progresso straordinario della fisica dell’ultimo secolo, presentano tuttavia un difetto insuperabile: non sono fra loro compatibili. Di questa incompatibilità i fisici non hanno mai tenuto conto perché il campo di indagine delle due teorie è molto diverso e quando vi era la necessità di studiare gli oggetti piccoli e leggeri si faceva ricorso alla meccanica quantistica senza preoccuparsi di quello che afferma la relatività mentre, quando vi era la necessità di studiare oggetti grandi e pesanti, si utilizzavano le leggi della relatività generale senza interessarsi degli enunciati dell’altra teoria: non succedeva mai in passato che fosse indispensabile far ricorso ad entrambe le teorie simultaneamente. Ultimamente però le cose sono cambiate: i buchi neri ad esempio sono oggetti pesanti ma contemporaneamente molto piccoli e lo stesso Universo sarebbe emerso da una particella infinitamente piccola e insieme estremamente pesante e calda. Su questi oggetti servirebbe quindi l’applicazione contemporanea delle due teorie. Oggi, come abbiamo accennato, esiste una teoria detta delle superstringhe in grado di mettere d’accordo la meccanica quantistica e la relatività generale. Essa spiegherebbe il comportamento della materia, delle forze che tengono insieme gli oggetti materiali, e forse anche dello spazio e del tempo. Secondo questa teoria tutto ciò che esiste nell’Universo non sarebbe altro che la manifestazione di energia vibratoria. Cerchiamo di spiegare di cosa si tratta. La nuova teoria prese l’avvio nel 1968 da un’osservazione del fisico italiano Gabriele Veneziano, a quel tempo ricercatore presso il Cern di Ginevra. Egli stava analizzando una serie di dati sperimentali riguardanti la forza nucleare forte quando notò che una formula utilizzata per descrivere una classe di curve geometriche, la cosiddetta funzione beta, inventata 200 anni prima dal matematico svizzero Leonhard Euler (meglio noto con il nome latinizzato di Eulero), forniva un’utile sistemazione matematica dell’argomento che stava studiando. L’intuizione di Veneziano venne in seguito ampliata e si scoprì che se le particelle elementari venivano assimilate a fili vibranti (detti stringhe o corde, in inglese string) invece che ad enti puntiformi privi di struttura interna come suggeriva il cosiddetto Modello Standard (lo strumento concettuale che è stato utilizzato, nel corso del Novecento, per spiegare il comportamento delle particelle elementari) la funzione beta avrebbe descritto con altrettanta coerenza le interazioni fra particelle. Le stringhe (non ci si lasci ingannare dal nome) sono fili infinitamente corti e sottili tanto che risulterebbero invisibili anche se venissero esaminati da strumenti miliardi di volte più potenti di quelli attualmente disponibili: sono lunghi un milionesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di centimetro (miliardi di miliardi di volte più piccoli di un nucleo atomico) e di spessore nullo. Si tratta di strutture le cui dimensioni sono vicine alla cosiddetta lunghezza di Planck (10-33 cm) la più piccola concepibile in fisica, ma che vengono tese con una forza incredibilmente grande: fino a 1039 tonnellate. Sarebbe proprio questa enorme tensione a determinare la frequenza di vibrazione: più essa è grande, maggiore è la massa della particella associata e di conseguenza maggiore è la forza di gravità che questa particella esercita sulle altre. Questo sarebbe l’indizio per il quale la teoria delle superstringhe collegherebbe la gravità descritta dalla relatività generale con la struttura delle particelle elementari descritta dalla meccanica quantistica. Vi è una sostanziale differenza fra le teorie della gravità di Newton e di Einstein e quella che scaturisce dalla teoria delle superstringhe. Con le loro teorie Newton ed Einstein spiegano semplicemente un fenomeno di cui già si aveva esperienza diretta; nel caso della teoria delle stringhe la gravità si trova invece direttamente incorporata nel suo nucleo teorico tanto che, anche qualora non ci fosse stata alcuna esperienza precedente di questa forza, essa sarebbe emersa come conseguenza della teoria stessa. In altri termini la teoria delle superstringhe prevede l’esistenza della gravità perché da essa emergono spontaneamente tutte e quattro le particelle mediatrici (o messaggere) delle interazioni fondamentali e la loro unificazione avviene in modo naturale. I modi di vibrazione di questi fili sottilissimi e cortissimi spesso chiusi ad anello generano tutte le particelle elementari che costituiscono il nostro Universo un po’ come una corda di violino più o meno tesa (ma mai applicando ad essa forze come quelle previste dalla teoria delle superstringhe) genera un numero praticamente infinito di toni musicali. Il prefisso super fu aggiunto alla teoria delle stringhe quando si scoprì che la teoria stessa possedeva una supersimmetria, cioè quando ci si rese conto che ad ogni particella di materia corrispondeva una particella di forza e viceversa. Per capire di cosa si tratta si deve sapere che le particelle elementari si dividono in due grandi famiglie: fermioni (dal nome del fisico italiano Enrico Fermi) e bosoni (dal nome del fisico indiano Satyendra Bose). Della prima famiglia fanno parte le particelle di materia come elettroni e quark; della seconda le particelle mediatrici delle forze come fotoni e gravitoni. Ebbene, la supersimmetria afferma che ad ogni particella conosciuta ne corrisponde un’altra di aspetto sconosciuto ma di comportamento simile; a queste particelle, nonostante nessuno le abbia mai viste, è stato peraltro assegnato un nome: per esempio, simmetrica al fotone (la particella mediatrice della forza elettromagnetica) corrisponde il fotino (particella materiale); il partner simmetrico del quark (un fermione) è il bosone s-quark, e così via.

    La teoria delle superstringhe comprende ben cinque varianti denominate tipo I, tipo IIA, tipo IIB, eterotica O ed eterotica E, tutte teorie molto simili fra loro ma non identiche. Di simile hanno ad esempio il fatto che tutte quante necessitano di nove dimensioni dello spazio (oltre a quella temporale) entro cui poter agire e non solo delle tre di cui abbiamo percezione diretta. Di queste complessive dieci dimensioni sei sono invisibili, risultando strettamente accartocciate su sé stesse (con termine tecnico si dicono compattificate, un obbrobrio lessicale) perché strangolate dalle stringhe che si avvolgono intorno ad esse (come fossero elastici che stringono la camera d’aria di una bicicletta) impedendo loro di espandersi. L’aggiunta di dimensioni nascoste a quelle osservabili può apparire una cosa bizzarra e indimostrabile, ma in realtà si tratta di una buona ipotesi: non servono infatti osservazioni sperimentali a confermare un’ipotesi se questa può essere utile per fornire una chiara descrizione del mondo fisico. Qualcosa di simile era già successo in passato quando uno sconosciuto matematico polacco di nome Theodor Kaluza inviò ad Einstein un articolo in cui avanzava il convincimento che l’Universo avrebbe potuto avere una quarta dimensione spaziale oltre a quella temporale già inserita nella sua teoria della relatività. Kaluza notò che la presenza di una dimensione extra dava luogo ad una serie di equazioni aggiuntive a quelle indicate da Einstein che non erano altro che le equazioni formulate da Maxwell per descrivere la teoria elettromagnetica. In altre parole in uno spazio a cinque dimensioni si unificavano gravitazione ed elettricità. I cinque sottotipi della teoria delle superstringhe mostrano però anche alcune differenze sostanziali. Differiscono fra l’altro per il modo in cui incorporano la supersimmetria o per la forma delle stringhe: la teoria di tipo I ad esempio, a differenza delle altre, prevede la presenza anche di stringhe aperte, cioè con gli estremi liberi, oltre che di stringhe chiuse ad anello. Nel 1995 il fisico teorico Edward Witten scoprì che le cinque teorie di superstringa erano intimamente connesse l’una all’altra tanto da poter essere raggruppate in un unico schema concettuale a cui fu assegnato il nome di M-teoria, dove M starebbe per madre: quindi si tratterebbe della madre di tutte le teorie. Questa nuova scoperta potrebbe portare alla tanto agognata Teoria del Tutto (Toe, come la chiamano gli anglosassoni, Theory of everything) ma molte delle sue proprietà non sono state ancora comprese a fondo. La M-teoria esibisce alcune caratteristiche aggiuntive rispetto a quelle presenti nelle superstringhe. Innanzitutto essa postula che le dimensioni passino da dieci ad undici: alle nove dimensioni spaziali e a quella temporale presenti nelle teorie delle superstringhe se ne aggiunge quindi un’altra la cui presenza consente di portare a termine calcoli esatti e non solo approssimati come erano quelli che si ottenevano in precedenza. Una seconda caratteristica della M-teoria è quella di contenere, oltre a strutture unidimensionali di cui si è detto, anche altri elementi che si possono estendere in più dimensioni: nell’insieme questi oggetti vengono definiti brane (termine ricavato da mem-brane). Usando questa nuova e originale terminologia le stringhe sono chiamate 1-brane, le 2-brane sono membrane ovvero superfici bidimensionali, ma esistono anche masserelle tridimensionali (tribrane) e altri oggetti a più dimensioni tutti in frenetica e incessante vibrazione. A causa della presenza di oggetti più estesi delle stringhe, l’M-teoria viene anche detta teoria delle membrane, ma a questo punto i più maliziosi assegnano alla lettera M della teoria il significato di mistero. Uno dei problemi che da sempre assilla la mente dell’uomo è quello relativo all’origine dell’Universo. La teoria scientifica attualmente più accreditata, quella del big bang, afferma che l’Universo, nei primi istanti della sua esistenza era di dimensioni incredibilmente esigue ma contemporaneamente estremamente denso e caldo. Per analizzare in termini scientifici condizioni così estreme sarebbe necessario disporre di una teoria quantistica delle gravità; ma, come abbiamo visto, una tale teoria non esiste. Per questo motivo il cosiddetto Modello cosmologico standard è costretto a descrivere l’evoluzione dell’Universo a partire da una particella elementare di dimensioni minime presente al tempo t=10-43 secondi dall’inizio (detto tempo di Planck). In realtà, estrapolando all’indietro le equazioni della relatività generale si osserva che l’Universo diventa sempre più piccolo e contemporaneamente sempre più caldo e più denso fino a scomparire del tutto quando si raggiunge il tempo zero, mentre temperatura e densità in quello stesso istante assumono valori infiniti. Ovviamente queste conclusioni lasciano gli astrofisici fondamentalmente insoddisfatti e perplessi. Ora, la teoria delle superstringhe sembra poter risolvere queste contraddizioni e dare una risposta più precisa e convincente al problema relativo all’origine dell’Universo anche se per la verità la strada da percorrere non solo è lunga, ma anche accidentata. La modifica più sostanziale che la nuova teoria apporta al Modello cosmologico standard è quella riguardante le dimensioni che avrebbe assunto l’Universo all’inizio dei tempi: esse non avrebbero potuto ridursi al di sotto di un valore minimo. La teoria delle superstringhe in altre parole non prevede la cosiddetta Singolarità cioè il fatto che l’Universo possa ridursi fino ad assumere dimensioni nulle. L’altro aspetto fondamentale della teoria è quello relativo alle dimensioni che non sono più quattro (come previsto dal Modello standard) ma ben undici e ciò comporta la necessità di seguire l’evoluzione nel tempo di tutte quante queste dimensioni. Proprio qualora si segua l’evoluzione delle molteplici dimensioni dell’Universo utilizzando le equazioni contenute nella teoria delle superstringhe si osserva che quando queste scendono al di sotto della lunghezza di Planck, anziché diminuire ulteriormente, riprendono a crescere e la temperatura segue di pari passo la variazione delle dimensioni dell’Universo: ovvero, raggiunto un valore massimo, essa inizia a diminuire. Sulla base dei risultati cui conduce la teoria delle stringhe sono stati elaborati alcuni nuovi modelli cosmologici uno dei quali prevede l’esistenza di un Universo ciclico senza un inizio nel tempo e senza una fine, in un alternarsi ininterrotto di contrazioni e di espansioni. Esso sarebbe confinato entro due membrane tridimensionali (possiamo immaginare due spessi cartoncini identici piatti e paralleli) che evolvono nel tempo (cioè nella quarta dimensione) e fluttuano in una quinta dimensione entro la quale si fa sentire la forza di gravità mentre le altre sei, al solito, sarebbero piccole e arrotolate entro la trama spaziale. Le particelle che stanno all’interno delle due membrane evolverebbero in modo indipendente ma potrebbero anche interagire attraverso la particella mediatrice della forza di gravità, il gravitone, il quale oltre che agire all’interno della membrana potrebbe passare da un Universo all’altro movendosi a spirale intorno ad una delle tante dimensioni extra. Le particelle di una delle due membrane si comporterebbero come materia oscura per l’altra; inoltre, l’energia oscura (una forma supplementare di materia ignota) che nel modello standard non trovava giustificazione teorica, nel nuovo modello presenta un ruolo fondamentale nel guidare l’espansione accelerata a cui l’Universo sembra essere soggetto. Le due membrane possono anche collidere l’una con l’altra alla conclusione della lunga fase di avvicinamento ma subito dopo rimbalzerebbero e si allontanerebbero per ritornare successivamente ad avvicinarsi in un processo senza fine.

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    Capitolo 2

    LE GALASSIE

    Le galassie sono enormi ammassi di stelle tenute insieme per attrazione reciproca, così da costituire un sistema autogravitante, Il nome deriva dal greco γαλαξίας (galaxìas), che significa latteo. Sono corpi dalle vastissime dimensioni, che variano dalle più piccole galassie nane, contenenti poche decine di milioni di stelle, sino alle più imponenti galassie giganti, che arrivano a contare al loro interno anche mille miliardi di stelle, tutte orbitanti attorno ad un comune centro di massa che generalmente si evolve separatamente dalle altre galassie, anche se spesso, a loro volta, due o più galassie vicine interagiscono tra loro, avvicinandosi e deformandosi a causa della reciproca attrazione gravitazionale, o si scontrano dando luogo a fenomeni davvero eclatanti. E' solo da pochi decenni che si è compreso che cosa sono effettivamente le galassie. Quando gli strumenti di osservazione non erano così potenti come quelli di oggi, infatti, esse apparivano come piccole regioni luminose dall'aspetto nebuloso, non risolto, presenti in tutte le direzioni sulla volta celeste. Fino all'inizio degli anni '20 si pensava che queste cosiddette nebulose spirali fossero oggetti appartenenti alla nostra galassia, della quale ancora non si conoscevano esattamente le dimensioni. Nel 1920 si scoprì che le stelle di tipo esplosivo chiamate novae appartenevano in realtà a due categorie: le novae vere e proprie e le supernovae, molto più luminose. Questa scoperta fu molto importante, perché si capì che una nova osservata nella nebulosa di Andromeda nel 1885 era invece una supernova. Il fatto che fosse apparsa luminosa come le novae della nostra galassia indicava che era molto più distante: la nebulosa di Andromeda era quindi esterna alla Via Lattea. Fu solo nel 1924 che l'astronomo Edwin Hubble, con il telescopio del Monte Wilson, riuscì a studiare alcune regioni della nebulosa di Andromeda, confermando che si tratta di una galassia vera e propria, esterna alla nostra. Andromeda è una delle galassie più vicine alla Via Lattea: dista da noi soltanto due milioni di anni luce. Le galassie hanno forme, dimensioni e masse molto diverse tra loro. Ci sono galassie giganti, che contengono 10.000 miliardi di stelle, e galassie nane che ne contengono poche centinaia di migliaia. Le galassie spirali hanno diametri medi intorno ai 70 mila anni luce, ma una delle più grandi galassie di questo tipo, NGC 1961, ha un diametro di 300 mila anni luce e una massa pari a circa 2000 miliardi di volte quella del Sole. Tra le galassie ellittiche è facile trovarne di ancora più grandi, con dimensioni di oltre 300 mila anni luce e masse fino a 10mila miliardi di volte la massa del Sole; sempre di questo tipo morfologico fanno parte le galassie nane, che hanno dimensioni di appena 5000 anni luce e masse di solo pochi milioni di volte quella del Sole. Mentre le stelle che stanno nascendo si possono vedere, perché questo processo si ripete continuamente, è difficilissimo vedere direttamente lo sviluppo iniziale delle galassie, perché ciò è avvenuto tantissimo tempo fa, quindi, in virtù dell'espansione dell'Universo, a una distanza enorme: spiegare la nascita delle galassie è pertanto un compito molto arduo. Attualmente si dà maggiore credito alla teoria secondo la quale le galassie si sarebbero formate dall'accumulazione di singoli pezzi, piuttosto che a quella che le fa derivare dal collasso di una nube di gas gigantesca. Tutte le teorie ipotizzano che, affinché le galassie esistano, ci devono essere state delle piccole disomogeneità nella materia uniforme dell'Universo primordiale, cioè delle piccole irregolarità locali che sarebbero poi evolute per dar luogo a strutture più grandi. Tali disomogeneità sono state osservate per la prima volta nel 1992 dal satellite Cobe sotto forma di piccole fluttuazioni di temperatura nella radiazione cosmica residuo del Big Bang che permea omogeneamente l'Universo: la loro misurazione precisa è importante perché permette di limitare il periodo di tempo in cui sono nate le galassie. Le osservazioni effettuate sulle galassie, sia nel campo ottico sia in quello radio (che permette uno studio più esteso) rivelano che la maggior parte di esse sono piatte nelle regioni centrali del disco e incurvate in quelle esterne. Le regioni esterne sono le meno luminose, quindi le più difficili da osservare in dettaglio; il fenomeno della curvatura si utilizza pertanto anche per determinare le loro proprietà fisiche, e anche quelle di altre parti della galassia che non si possono ben osservare. Le informazioni ottenute in questo modo dipendono però dal modello teorico assunto per spiegare la curvatura. Tra le teorie che spiegano la curvatura c'è quella che considera come causa la forza di gravità: le regioni esterne della galassia sono incurvate perché meno legate alle forze gravitazionali che confinano il disco in un piano; inoltre, esse risentono maggiormente dell'influenza delle galassie vicine. Secondo un'altra teoria, la curvatura deriverebbe dal fatto che il campo magnetico presente nella galassia cambia di intensità nel passaggio dalle regioni interne a quelle esterne del disco. Un altro modello spiega il fenomeno con la perturbazione introdotta da un accrescimento continuo di materia. L'idea che le galassie siano concentrazioni di stelle e gas interstellare ben localizzate nell'Universo e non interagenti tra loro è rimasta valida fino a circa la metà degli anni Cinquanta del XX secolo. Le osservazioni fatte lungo tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi X, hanno cambiato significativamente questa visione: è diventato evidente che le collisioni tra galassie sono fenomeni tutt'altro che rari nell'Universo. Nel 1956 fu ipotizzata la collisione di due galassie per spiegare come effetto di marea le strutture filamentose e spiraleggianti che si osservano qualche volta nei loro pressi. L'intensa emissione infrarossa osservata durante una collisione tra galassie è dovuta al gran numero di stelle che nascono in questa situazione, nella quale si verifica una forte condensazione di materia interstellare: la luce emessa dalle calde stelle appena nate viene assorbita dalla gran quantità di polvere che le circonda e riemessa poi a lunghezze d'onda maggiori, in infrarosso. Negli anni Ottanta il satellite IRAS ha scrutato l'intero cielo in infrarosso, individuando un centinaio di galassie, una delle quali con una luminosità enormemente più grande di quella solare. Durante una collisione tra galassie le stelle in esse presenti raramente si scontrano tra loro, perché le loro dimensioni sono molto piccole se confrontate con le tipiche distanze che le separano. Lo scontro è invece inevitabile per il materiale che si trova tra le stelle, costituito da nubi di gas e particelle di polvere fortemente a contatto. L'aumento di pressione causato dalla collisione fa aumentare ancora di più la densità del materiale interstellare e crea le condizioni necessarie per la nascita di nuove stelle attraverso il collasso gravitazionale.

    Le galassie possono raggrupparsi in numero elevato (fino a migliaia di componenti) per costituire grandi strutture. Questi enormi raggruppamenti di galassie si estendono su un raggio tipico di 2-5 megaparsec e si presentano in forma regolare, con una forte concentrazione centrale, oppure irregolare (un esempio di quest'ultimo tipo è l'Ammasso della Vergine, il più vicino alla Terra). Nonostante queste enormi concentrazioni di materia, l'Universo è sufficientemente grande da essere considerato su vasta scala omogeneo: infatti, fra gli ammassi esistono regioni molto più ampie che contengono pochissime galassie. La scoperta degli ammassi di galassie è molto importante dal punto di vista cosmologico, perché contribuisce a conoscere meglio il valore della densità di materia del Cosmo. Da tale valore si può stabilire la curvatura dell'Universo e il suo destino, se cioè continuerà a espandersi per sempre, oppure se fermerà la sua espansione, contraendosi su sé stesso; affinché quest'ultima eventualità sia possibile, la densità di materia deve superare un valore critico, oltre il quale l'attrazione gravitazionale tra la materia dell'Universo è in grado prima o poi di contrastare le forze responsabili dell'espansione. Le galassie si sono formate poco tempo dopo la nascita dell'universo, cioè all'incirca da quindici miliardi di anni. All'inizio erano soltanto delle enormi nubi di gas, principalmente idrogeno, con una certa percentuale di elio. Queste nubi hanno subito un'instabilità gravitazionale che le ha portate a frammentarsi e a collassare su se stesse, formando stelle. Nel caso delle galassie ellittiche, si sono formate subito molte stelle quasi contemporaneamente, ed è rimasto pochissimo gas disponibile per la formazione di altre stelle. Queste galassie sono perciò rimaste congelate nella forma che avevano all'inizio della propria evoluzione. Nelle galassie spirali, invece, le stelle si sono formate più lentamente, lasciando ancora molto gas disponibile. Il gas e le stelle hanno cominciato a ruotare sempre più velocemente, assumendo la forma schiacciata di un disco, mentre la formazione di stelle è continuata in modo graduale. Le componenti principali delle galassie sono le stelle. In una stessa galassia possono coesistere stelle giovani e vecchie, formate cioè in tempi diversi, con frequenza e modalità che variano da un tipo di galassia all'altro. Le stelle possono essere isolate, oppure raggruppate in insiemi detti ammassi. Gli ammassi contengono stelle più o meno della stessa età, che si sono formate da una stessa nube di gas. Essi si dividono in due categorie, gli ammassi aperti e quelli globulari. Gli ammassi aperti sono insiemi di qualche centinaio o migliaio di stelle, hanno forma irregolare e contengono stelle giovani e massicce. Quando esse si evolvono, dopo qualche decina o centinaio di milioni di anni, l'ammasso si disgrega, perché l'attrazione gravitazionale delle stelle che lo compongono non è sufficiente a tenerle unite. Gli ammassi globulari sono insiemi di stelle di forma sferica, che possono contenere fino a 300mila stelle, concentrate in regioni di poche centinaia di anni luce. Dato il gran numero di stelle che racchiudono, si tratta di formazioni stabili, gravitazionalmente legate, a differenza deli ammassi aperti. Sembra che gli ammassi globulari si formino nella fase iniziale di vita di una galassia. Essi si trovano sia nelle galassie ellittiche, dispersi nella galassia, che in quelle spirali, per lo più raggruppati in aloni sferici attorno ad esse. Dopo le stelle, la componente più importante di una galassia di tipo spirale o irregolare è il gas; principalmente si tratta di idrogeno, con una percentuale minore di elio, e tracce di gas come l'ossido di carbonio (CO), il metano (CH4), l'ammoniaca (NH3) e il vapore acqueo (H2O). Il gas si trova aggregato in nubi spesso molto grandi, e può trovarsi in diversi stati: ci sono nubi di idrogeno neutro allo stato molecolare (H2), molto fredde e dense; nubi di idrogeno neutro allo stato atomico, un po' più rarefatte, che prendono il nome di regioni HI; nubi di idrogeno ionizzato, caldo e rarefatto, che circondano le stelle giovani e massicce e che vengono dette regioni HII. Le nubi molecolari hanno densità di 103-104 grammi per cm3 e temperature dell'ordine dei 10 gradi sopra lo zero assoluto, cioè -263 °C. In queste nubi si formano le nuove stelle, infatti in esse il gas è abbastanza denso da poter collassare in risposta ad una perturbazione gravitazionale. Questo gas contiene anche alcune molecole oltre all'idrogeno H2: l'ossido di carbonio(CO), il radicale cianogeno (CN), il radicale metilidina (CH) , il radicale ossidrile (OH), l'acqua (H2O), la formaldeide (H2CO), l'ammoniaca (NH3), ecc. Nelle regioni HI, l'idrogeno ha temperature dell'ordine di 100-300 gradi Kelvin, cioè inferiori a 30 °C, e densità di circa 100 particelle per cm3. L'idrogeno neutro è una componente molto importante delle galassie spirali e irregolari, perché è presente un po' dappertutto e può essere rivelato fino a grandi distanze. A quelle densità e temperature, infatti, l'idrogeno emette una riga spettrale con lunghezza d'onda di 21 cm, cioè nella banda delle onde radio. La radiazione di quelle lunghezze d'onda non subisce alcun disturbo da parte dell'atmosfera terrestre o di nubi di gas interstellare, quindi la riga a 21 cm permette di rivelare la presenza di HI anche a grandi distanze, e attraverso il suo redshift se ne può studiare anche il moto. In questo modo sono stati ricostruiti i moti di rotazione di molte galassie spirali. Le regioni HII sono zone di gas ionizzato che circondano le stelle giovani e massicce. Queste stelle si formano inizialmente in nubi di gas neutro, ma quando le reazioni nucleari si accendono al loro interno, la loro temperatura sale e la radiazione che emettono diventa così energetica da strappare gli elettroni agli atomi del gas, e di riscaldarlo fino a circa 10mila gradi. Quando la stella, evolvendosi, si raffredda, anche il gas si raffredda e gli elettroni si ricombinano agli ioni. Questo gas è riconoscibile anche a grandi distanze, grazie al fatto che alcuni elementi presenti in piccole quantità assieme all'idrogeno (ossigeno, azoto, zolfo, ecc.) emettono righe spettrali molto intense e caratteristiche, visibili anche in altre galassie. Mescolati al gas interstellare si trovano anche dei grani di polvere, composti per lo più da silicati, grafite e altri materiali carbonacei. I grani si sono formati per condensazione degli elementi chimici più pesanti dell'elio; questi vengono sintetizzati all'interno delle stelle nel

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