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Epicurea Author(s): Adelmo Barigazzi Reviewed work(s): Source: Hermes, 81. Bd., H. 2 (1953), pp.

145-162 Published by: Franz Steiner Verlag Stable URL: http://www.jstor.org/stable/4474809 . Accessed: 25/07/2012 09:08
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ADELMO BARIGAZZI:Epicurea

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Das weitere Eingreifen des Chors in die Trag6die beschrankt sich darauf, mit Teilnahme den Wehklagen seines geliebten, unglicklichen Herrschers zu lauschen und lyrisch die gleichen Empfindungen hervorzurufen, stets in inniger seelischer Verbundenheit mit dem groBen Konig, der ihm einst die Rettung und jetzt das Unheil brachte. Neben diesem asthetischen Ergebnis, namlich der Bestatigung der aristotelischen Auffassung, daB bei Sophokles der Chor eine wirkliche Person des
Dramas darstellt, anders als bei Euripides', ergibt sich aus dieser Auslegung

des Stasimon noch eine ethisch-philosophische Folgerung. Dann spricht namlich der Chor kein einziges Wort des Tadels gegen Oedipus, weder wegen Handlungen, die er auf der Btihne begangen hat, noch wegen frtiherer Taten und noch weniger wegen seines Sturzes und Ungliicks. Natuirlich begeht Oedipus Fehler, und als tragischer Held muJ3er sie begehen, um die dramatische Handlung zu f6rdern. Der Gegensatz zwischen seinem beschrankten Wissen und dem umfassenden Wissen der Gottheit und der Orakel ermoglicht den Konflikt, wie gewohnlich in der Struktur des sophokleischen Dramas2. Aber Oedipus' Unglick ist etwas ganz anderes; es hat sich bereits erfillt und wird jetzt lediglich enthuillt. Es erregt in allen das Gefuihldes Mitleids, der Sorge, ja der Furcht um das eigene Schicksal, aber niemals Tadel, Verachtulng oder HaB. Und das lIdt uns ein zu ilberlegen, ob und inwiefern Oedipus Rex eine Schicksalstragodie ist. Aber dies ist nicht der Ort, eine so interessante Frage zu erortern.
Loyola, Spanien
IGNACIO ERRANDONEA I. S.

EPICUREA
Ep. ad Men. I23 sg. aoelg be' ovX o Tov tCiv no)l.cov Oeov'g avate&v, Tv no,C)iovMd$a;jolg neoaaztrwv. oV yae neo4yetg dotV alU' a 6A' oTasg ai v70o2LIppeug p8vb58i at Tcov 7xo2AJvV''e tOe3v a&7oqcaietg. 0vtkev [eytorat xat d9 e6tat. Tat5 yae l6latg t atTtat TOg xawolg ex ?)ov flAaflat ca'yovTat oixltoVitEvot btad xavrog o naV TOj) TOtOV4oovg &no6eXovTat, ae8ralgTOVA TOV05 &aaoTetov vO/dOVTEg.
1

Elvat Toj Gov,

Ars Poet., cap. XVIII: Tov Xoeov &va6eF vko{a#&eTv VnoXQtTCOv,gat ,o'Qtov 6d &Ov xat' avvaywvEC8or0at, y?) cooSrse E3Qetd6,n, aAA' ci)oreq oxAdZ
Gottliches und menschliches Wissen bei Sophokles, Kieler Univers.
-

2 HANS DILLER, Reden H. i, 1950.

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I1 luogo e evidentemente corrotto, ma non tanto quanto si crede comunemente. Ho dato il testo del VON DER MUHLL, per non lasciarci impressio-

nare in anticipo dalle opinioni altrui. l26flat roig xaxolg suggerisce facilmente per antitesi dqi)etat (<rolgdyaaoIg>. Lo sospetto AMBROSIUS TRAVERaccett6 la cosa come SARIUS e il GASSENDIlo introdusse nel testo. L'USENER evidente e corresse a1'rtatin rE, ponendo punto (praef. p. XX-XXI) davanti a evthev,invece della semplice virgola del testo tradizionale, e confrontando per il senso Lucr. 6, 68 sgg. Tale riferimento e giusto: anche gli Epicurei ammettono che dagli dei derivino dei danni e dei vantaggi, non nel senso degli le avversari, specialmente Stoici, ma in rapporto alla vOaltg TJov VeCov: false opinioni che gli uomini hanno degli dei, quali signori dei fenomeni celesti e dispensatori di beni e di mali secondo i meriti di ciascuno in vita e dopo morte, turbano gli animi con paure e speranze, impedendo cosi di accogliere con tranquillit,i e serenita quei simulacra divini, che sono fonte di grandissimi beni. Infatti, come dalla contemplazione d'ogni piacere il saggio epicureo riceve grande gioia, cosi, in modo particolare, dalla contemplazione della beatitudine degli dei riceve una gioia grandissima, quasi divina, perche in essa egli vede il modello della felicita che cerca di attuare nella sua vital. Come si vede, dal passo di Lucrezio risulta che l'antitesi consiste tra i saggi epicurei e i non saggi epicurei, non fra buoni e cattivi nel senso comune, qualsiasi opinione abbiano essi degli dei. Altrimenti si dovrebbe accettare questa equazione: come non possono essere improbi coloro che hanno una retta opinione degli (praef. dei, cosi i buoni nel senso comune, i bene morati come dice 1'USENER XXI), non possono avere che una retta opinione degli dei. Ma i bene morati possono ugualmente pensare di dio cose disformi alla sua natura beata (v. DIANO, Epicuri ethica, p. I05). E appunto gli Stoici e gli altri filosofi, che praticavano e predicavano la virtiu in vista dei danni o dei premi della divinitA, saranno apparsi dei bene morati agli occhi di Epicuro, ma erano anch'essi combattuti per la loro falsa rappresentazione di dio2. Tutti coloro, afferma Epicuro, i quali credono nell'intervento di dio nelle cose del mondo, ricevono danni, quali piu quali meno, ma sempre gravi. Dunque il contrasto fra xaxol e ayaot( e da scartare. Eppure su questo equivoco si fondano la lezione e la spiegazione della maggior parte degl'interpreti, che hanno citato a riscontro non pochi passi epicurei atti piiu a confondere che a chiarire le idee. Ma proprio dalle loro risposte alle critiche mosse da altri e apparsa la debolezza del fondamento.
1 Per la dottrina vedi ancora Philod., de piet. p. 86, I3 GOMPERZ, ib. 148, 1; Cic., de nat. deor. I, I9, 49; Atticus ap. Euseb., praep. evang. XV, 5, 8oo A (= fr. 385 Us.). Questi luoghi sono raccolti dal DIANo nella sua edizione Epicuri Ethica, p. I05 sgg., compreso il

passo di Lucrezio, al quale fa riscontro quasi perfetto Porph., ad Marc. i8 oV XoACo#e'VTeg (v. SCHMID, Rhein. Mus. 94, 1951, 97 sg.). fla 'AAOVA'v, a oeoi dyvo#'vTeg 2 Una polemica contro i filosofi e i poeti e tutto il De pietate di Filodemo (v. DIANO, St. It. Fil. Cl., n. S. T2, T935, 70, n. I).

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Cosi al BIGNONE, nell'EPicuro aveva sviluppato la spiegazione dell'UsENER che accettandone il testo e facendo soggetto dell'ultimo periodo gli ayato4, e aveva tradotto rolm xaolg <(aglistolti e malvagi# e roig aya?olg (ai buoni e saggi ), il BAILEY (nel suo Epicuro del I926) e il RYBA (Philol. Woch. 1930, stolti# sono un'introduzione arbitraria 86I, 862) obiettarono che (d saggi)) e <<gli ne si pub dare a maxote &yafkilun tal significato. E il BIGNONE, rispondendo alle critiche (St. It. Fil. Cl. I932, 89 sgg.), osservo che xaxog significa anche ((dappoco)) e dyabOg <(prestante)). Ma il DIANO (ib. 1935, 70) ribadiva che, in ultima analisi, in quell'interpretazione, i saggi diventano gli epicurei, gli stolti i non epicurei. Ma questa identificazione non e accettabile (v. p. I46) e la contrapposizione %axot-dayaN1i6 da respingere. L'unico modo di mantenerla con6
siste nel riferire tutto il pensiero
vtvOev-Jq(peUtat alle &wop96.cetg dei no,2ol,

secondo il senso tradizionale a cui e tornato il BAILEY, il quale soggetto per dell'ultimo periodo sono ancora oi'oA2ol o gli uomini in generale. Ma cosi Epicuro concluderebbe la breve trattazione sugli dei senza indicare la sua teoria circa i vantaggi e i danni che provengono realmente da quelli, asserendo semplicemente che quella dei danni e dei vantaggi 6 una credenza dei o,22oi, basata sul fatto che ognuno pensa secondo le proprie abitudini e costumi. Ora e chiaro quanto sia opportuno, per non dir necessario, che quell'insegnamento compaia e chiuda, in opposizione al pensiero degli avversari, la breve sezione teologica. E'quindi da credere, anche per questo, che l'ultimo periodo contenga un pensiero proprio della dottrina epicurea. Come debba essere inteso, si vedrh in seguito; intanto voglio notare che i critici, per evitare l'uno o l'altro dei due scogli, hanno accolto in parte e modificato or l'una or l'altra spiegazione. Cosi il RYBA (art. cit.) comunicando la sua proposta #26f,at <Kxai> ataxta (((danni fisici>)) respingeva l'antitesi -roi eaxolg (da correggere in roig dv#Q0otg col LEOPOLD,Mnemosyne 43, I915, 282, o meglio in -roig nobZoi) - <roig dyaao!g>, riferiva v'ev, anziche ad (= anodac;tg, alle voAry4yet; vEev6eTg .(per il fatto che nei noRoi' Si tratta di presunzioni fallaci>), ma, insieme al BAILEY, faceva otl go2to soggetto di otXetovyevot dgod i%ovrat.Viceversa il PHILIPPSON (Philol. Woch. I93I, 6I-63), respingendo la proposta atxtat del RYBA, difendeva con 1'USENERe il la BIGNONEil contrasto -roig xaxoig - <Tolg dyaWolg>giustificando caduta dell'ultimo per aplografia rispetto al raig che segue, ma considerava soggetto dell'ultimo periodo gli dei. E il JENSEN nel I933 (Ein neuer Brief Epikurs, p. 79) del da una parte accettava l'atxtdat RYBA, ma manteneva -roigxaxolg e riferiva Evtkevad a;roqcda8t;,dall'altra accettava dal PHILIPPSONgli dei come soggetto di d7ro3Exovrat:<(denndie Gotter sind immer nur mit ihren eigenen Vorziigen (daesrag) vertraut (oix?toV4evot) und nehmen deshalb auch nur die Menschen an, die ihnen ahnlich sind, wahrend sie alles, was nicht so ist, als etwas Fremdes ansehen> (cfr. Philod., de dis III, col. I, 7 DIELS, col. I4, 4). L'ultimo periodo non spiegherebbe 'vi2ev - cObq2etat, ma Elxav V'oiotA
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V608eg. Per questo 6 possibile al critico rifiutare l'aggiunta Toi4 ayafolg e conservare Tosg xaxolg, riferendo a questi non solo le flAdflat, ma anche, con come opinione dei ;ro2Uoi. efficace ironia, le ()OTCUetat, La cosa piiuseria che e stata obiettata all'interpretazione del JENSEN e che si riferisce anche a quella, anteriore, del PHILIPPSON, riguarda l'ultimo periodo, che conterrebbe l'ammissione, contro il principio deos securum agere aevum, dell'intervento diretto di dio nelle cose umane (v. BIGNONE, art. cit. 94 sgg.; DIANO, art. cit. 78 sgg.); e, per quel che io so, nessuno in seguito ha ripresentato gli dei come soggetto di quel periodo. Solo molto recentemente W. SCHMID,ill un ampio studio sulla dottrina epicurea dell'o6uoicnrtg OE4 (Gdtterund Menschen in der Theologie Epikurs, Rhein. Mus. 94, I95I, 97-I56), ha ripreso quell' opinione, cercando di confermarla con vari argomenti. Vedremo in seguito quel che, secondo noi, si pu6 accettare o rifiutare di tale interpretazione; per ora notiamo che lo SCHMIDha corretto vo4ttCovreg in t64oei4ovreg e, per cio

che precede, si 6 staccato dal


diversa la frase corrotta

JENSEN

non tanto perche corregge in maniera


'roTg xaxo

at'-rtat zol;

xaxolg in (Ad flat) <avv>ahtat

<xaxK6v>, quanto perche non riferisce xat 6wpt'2tat a To!g xazogo, e quindi non all'opinione volgare, sebbene vOtev sia riferito alle v'no2ipyet; pe8v&lg (p. II8 ist der Grund, weshalb ...>), <das Vorliegen von Vkiio2e allo tvelg scopo di avere una stretta connessione con l'ultimo periodo. Ma per impedire quel riferimento, non basta inserire xax6ov dopo xaxoig (p. 121) o segnare la distinzione con una lineetta nella traduzione davanti a xa' dq2etatll: sarebbe necessaria una maggiore chiarezza d'espressione. Accettano la spiegazione del BAILEY, nella sostanza, il GIGON (Epikur, Zurich I949, XLV) e il MEWALDT (Epikur, Philosophie der Freude, Stuttgart 1950, 38). I1 FESTUGIEREinvece (Epicure et ses dieux, Paris I946, 85 sgg.) 6 tornato all'antitesi xaxot'- ayaotoi, facendo questi ultimi soggetto di aibob8'xovrat2 .

Una via nuova ha seguito il DIANO, giungendo a conclusioni assai gravi per il testo. Dapprima in una non breve trattazione del I935 (St. It. Fil. Cl., pp. 63-80) cerco di chiarire i numerosi passi di Filodemo citati, non raramente in modo arbitrario, a sostegno di questa o quella opinione, sollevando nuove difficolta circa la costituzione del testo. Dieci anni dopo, nell'edizione degli scritti etici di Epicuro, ha respinto decisamente l'aggiunta Tolg dya&oTg per i motivi per i quali noi stessi crediamo che essa debba essere rifiutata (v. p. I; anche PARATORE, Ann. Sc. Norm. Pisa i6, 1947, I47, n. 2), ha ribadito la con1 P. I20 ?(unde fit, ut maxima detrimenta malis mala afferentia a dis adveniant -et beneficia item: nam di propriis virtutibus continuo dediti similes sui in societatem divinam admittunt, omne quod huiusmodi non est tamquam alienum excludentes #. 2 I1 FESTUGIERE dipende direttamente dall'ERNouT (traduzione della lettera a Meneceo nell'introduzione al commento a Lucrezio), come mostra chiaramente -raig deerai inteso come dativo strumentale nell'uno e nell'altro, in ci6 seguiti da nessuno.

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vinzione che &0vtv 6 da riferire solo a v?SoA?;7ptg y,ev80e, ha sottratto ro; xaxol; alla dipendenza di etayovtat facendo una proposizione incidentale o <civ wxelvat(sc. vzoAoipe8t) yivov dotav>a rotatl; axol, e infine, cosa di maggiore importanza, ha posto l'atetesi, come glossa marginale contenente un pensiero stoico, all'ultimo periodo, del quale non possono essere soggetto ne gli dei ne Ot noAAoi.Dell'atetesi diremo poi; riguardo al periodo introdotto con gv~0v rileviamo che 6 dato come contenuto delle o,roAr{1iEt;: d(0q9,Ztat le non sono quelle che ritrae il saggio epicureo dalla contemplazione degli dei, ma quelle che possono ricavare i buoni, i quali, sebbene abbiano false opinioni sugli dei e percio non possano evitare tutti i mali che da esse nascono, tuttavia, persuasi di averli benevoli per la loro buona condotta, non hanno paure, anzi ricevono da cio un grande godimento spirituale, incitamento ed aiuto a confermare i loro buoni costumi (DIANO, Epicuri ethica, I95, 29 Sgg.). I1 DIANO fonda la sua spiegazione su un passo di Filodemo (de Piet. ioo, 9 sgg. GO. = PHILIPPSON, Hermes 56, I92I, P. 369), che egli ricostruisce con nuove lezioni, cosi da avere questo senso: nei prudenti e giusti i vantaggi e i danni ex 2ec6v si uguagliano, nei cattivi invece i vantaggi sono inferiori e maggiori i danni (ib. io6, n. i). Lo SCHMID C. I03 sg.) nega recisamente che tale sia il senso (1. del luogo di Filodemo e integrando nel r. I5 rA8t]ovcarat, invece di 6,!tot]otj at, e tornando nel resto alla lezione del PHILIPPSON (salvo auvvaueoaat), sostiene che cola e parola d'un solo grado di felicita e conoscenza (yvciXu;), mentre ci sono diversi gradi di errore e ignoranza (alyvota),conforme al pensiero generale epicureo che dalla vera yvdoorzg-rCJv 05Yov nascono esclusivamente dPe2etat, dall'a'yvota derivano flAafla. Alla base della diversa interpretazione del luogo sta il problema chi s'intenda per peovt,Uot e btiatot: i ((saggi)> lo SCHMID1, per i #prudenti e giusti)) secondo il pensiero stoico e comune per il DIANO. Indipendentemente dal passo lacunoso di Filodemo in questione, che Epicuro chiamasse talvolta se e i suoi seguaci dyaloi e gli altri zaxoi puo darsi, ma che nel brano controverso della lettera a Meneceo, dove si parla delle false nozioni che della divinit'a hanno oti no2ot'- e fra questi ci sono anche i filosofi avversariusasse questa terminologia senz'altra determinazione, con grave equivoco rispetto all'uso comune di quelle parole, seguito dagli stessi Epicurei parlando delle virtiue dei vizi seppure in altro senso, non mi so decidere a credere senza ammettere che Epicuro stesso abbia voluto rendere oscuro il suo dire: tanto piii che ro7g acyaOol;non compare nel testo. Cio che ci fa rifiutare la spiegazione del DIANo non 6 il pensiero ch'egli ha cavato da Filodemo2, ma il grado d'im1 Questi loda il FESTUGIARE perch6 ha dichiarato apertamente che nel luogo della

lettera <'bons' et 'mdchants' s'opposent comme 'sages' et 'insens6s's): proprio come sosteneva il BIGNONE. 2 Prescindendo dal brano di Filodemo, sul quale, appunto perch6 lacunoso, non e opportuno fondare ulteriori costruzioni, una concessione, quale quella del DIANO, ai loro avversari e possibile che la facessero gli Epicurei: i danni potevano variare in grandezza e

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portanza che puo avere quel pensiero nella dottrina teologica epicurea. Ora e evidente che esso e un aspetto particolare della dottrina, un corollario del principio generale che dagli dei si traggono danni e vantaggi in base alla nozione che di essi abbiamo. E nella lettera a Meneceo, in cui sono esposti i principi fondamentali, ci si aspetta l'enunciazione del pensiero generale, non del suo corollario. Percio le Wqe'O non saranno quelle che possono derivare, in certi tat casi, dalle V5no2SEp&sugli dei, ma quelle che provengono, sempre, dalle neoAvEtg. Quindi gvEv non potra riferirsi solo ad Vi?oa pVstg (art. cit. 76 ?(soltanto ad v5noYpVEtp>>). In secondo luogo, con tale interpretazione, resta senza collegamento l'ultimo periodo, e il critico e obbligato a toglierlo, supponendolo una glossa entrata dal margine (ediz. p. I07, 25 sgg.). Anche il DIANO dunque e rimasto impigliato nei testi che egli voleva chiarire: il luogo di Filodemo non ha una relazione opportuna con la lettera, se non per quel che riguarda, in linea generale, le fl,adflat le cd)F8A6etat.Tanto piiu e che tale raffronto spinge l'interprete a rifiutare la parte piu importante, la chiusa, per salvare la quale l'USENER aveva rinunziato, perche sarebbe venuto a mancare il collegamento, a consideraregviAv- dya5olg un'annotazione marginale, da un altro scritto di Epicuro, relegando il sospetto nell'apparato critico. Credo che i numerosi testi addotti a confronto (vedili quasi tutti raccolti in DIANO, ediz. I05-IO7) abbiano danneggiato piu che giovato. Sono utili solo quelli (come Lucr. 6, 68 sgg., Philod., de piet. 86, I3 Go., ecc.), che illustrano il principio generale, che cioe anche secondo gli Epicurei gli uomini traggono dalla divinita vantaggi o danni. Con questa sola conoscenza si pu6 affrontare il testo e darne una interpretazione, ci pare, soddisfacente. Sotto le parole di Epicuro cova la polemica, e nei noAlot non c'e solo il volgo, ma ci sono anche i filosofi e le persone colte che degli dei hanno un concetto errato. A tutti costoro Epicuro dice: ecco donde nascono i mali e i beni che voi fate venire direttamente dagli dei interessandoli delle cose del mondo: dal vero o falso concetto che di essi si ha. I danni ci sono, e grandissimi; ma hanno tutt'altra origine: nascono dalle vostre false presunzioni sugli dei per cui li concepite come .ElvoVg rvecVvovg (Lucr. 6, 69; Philod., de piet. 148, I). E ci sono anche i vantaggi. Ma, obiettano gli avversari, come potete parlare voi Epicurei di vantaggi da parte degli dei, quando negate la provvidenza divina, cioe gli dei stessi? Ed ecco la risposta di Epicuro con parole di Filodemo (de ? cauq alw .ttv, o v z7QTov piet., p. I48, i Go.): ot 3i ntaldvreg og XQaZ
quantita da individuo a individuo, fino a lasciare il posto, in parte, anche a certi vantaggi nel caso dei Tpo'vqowt e 6t$Satot, i quali si raffigurano gli dei come benevoli. Ma a noi interessa notare che questo fa parte della casistica pratica, e cioe un pensiero secondario rispetto all'affermazione generale che solo la nozione degli dei secondo la dottrina epicurea toglie completamente tutti i danni e lascia solo tutti i benefici e questi nel sommo grado. Per il senso che si vorrebbe dare ad dyafoi, si noti come in Philod., de dis II, I, 7 D. (citato in seguito) compaia il termine aogvot', non aya#oi.

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II

~~vJg t~~v?po~ ~~ut~iei~~aaat exelVCl)v ,Ev Wq Ovq-rt'z,,ut-e!orata ~~v ~eivwv Tq'v


arra

' Et%a,ovv MatyoVv

6%r. ioCv .A tT 2Vaovortv, .u

'It-

TtMtorovT-atg5atv avrovg rraeeXev A2v7rovg,6'aov 8qq'avro!;, e'tra

6'ov'w FEya2ogezezg. E' facile comprendere che l'obiezione degli avversari ha non piccolo peso, o almeno 6 tale da richiedere una risposta dilucidatival, mentre non ha bisogno di chiarimenti la prima affermazione, molto comprensibile per vari motivi ed ammessa dagli stessi avversari, che provengono dei danni agli uomini dalle loro false opinioni sulla divinit'a. Cosi Attico ap. Euseb., praep. evang. XV, 5, p. 8ooA ricorda solo i vantaggi spiegandone l'origine, proprio a proposito della gQovota divina distrutta da Epicuro: '6,q 3e rav'i, a ye %ac cart' 'E7rxovQov oviotg ro a) av ve yovv

fekrle,ovag a7oeotag

av?3z65v qgart -tot; iuraacovrot Iteya)wv dyatCov ,7aeatnJa;

(= ytveoaLOa fr. 385 US.). Infatti, tolta la provvidenza divina, non si capisce, a prima vista, come possano gli dei essere ancora di giovamento agli uomini, perche togliere quella significa togliere gli dei stessi (cfr. Cic., de div. II, I7, 40 Epicurus circumitione quadam deos tollens; de nat. deor. I, 44, I23 Epicutrus re tollit, oratione relinquit deos), e come possa sussistere F'aE'aflEta(cfr. Cic., de. nat. deor. I, 4I, II5). Ma questa, osservano gli Epicurei, consiste in una contemplazione, proficua alla felicit'a, di elementi simili, respingendo tutto quello che sia discorde: Philod. de dis III, col. I, 7 DIELSxat tiavya6et TT'v q%ctv xat mrv 5tciEohtv 'zertedrato xat avyyevtUetvavrfi xa xaOdane yAterat el ltyeiv xat ovvwtvac, xa2elT(o xat rov? ooo%v; &eov it2lov xat rovg ?OEov rdv ed aoroTiv.Cosi il saggio epicureo nella vita pratica ricerca gli o6Po'qv2a 6 ave itl,uxzos rispetto agli esseri che non sono tali (R. S. 39), con chIi gli 6 simile medita giorno e notte i principi della dottrina (adsg -ov O'1iotovaeav-r4i: ep. ad Men. I35). E questi sono i suoi amici2. Di O'uotot si parla nell'ultimo periodo del luogo in discussione della lettera: in modo particolare sono da considerare affini, O'Potot, gli dei, che sono appunto con la loro [taxaQto'rq il modello del saggio. Per quel che si e detto sull'opportunit'a che la breve esposizione teologica della lettera si concluda con un pensiero della scuola sui vantaggi positivi derivanti al saggio dalla contemplazione dei simulacra divini e non con le o7q06a Et; dei oRo2oi (piiu di 5 righe su I5: V. P. 2)3, e escluso che soggetto
t Per questo %at'G')dqq at e staccato da ai ,drytrat fl)acflat, collocato alla fine del periodo vicino alla sua spiegazione. 2 Naturalmente rispetto agli dei tale amicizia non e da intendere come se ci fosse una comunicazione diretta degli dei con i saggi dell'Hortus. Vedi quel che segue nel luogo citato di Filodemo: a'A' o]v3x Eoi$a,u1s[v lov] Ta TotaiTa T1)v cpt)dav Qeeav, $axr flekr[tov] avTa Ta 7TQay[tara axoneTv,Td &d<>ei[iuyaTa Yea a ltdUsat. adX]?7elTOg 3 La ragione addotta e ben piii grave di quella dello SCHMID, il quale pure rifiuta oi 7OXAO1 adno6Xesa#at, che fa pensare ad un rapporto amichevole, non (PP. 107-108): sarebbe giustificabile. L'obiezione che mancherebbe la chiarezza nella connessione con ci6 che precede, non e esatta.

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di ab.o6Uxovnatsiano ot noARo4,come vogliono il BAILEY, il RYBA1 e altri. BIGNONE, FESTUGIERE, per l'arbitraria ecc.) Esclusi anche gli Jyaaoi (USENER, e introduzione nel testo della parola e per la forzata equazione di waxot ayatoi a stolti e saggi, non epicurei e epicurei, qui non ammissibile, resta che siano gli dei o i saggi epicurei. Gli dei come soggetto, secondo la spiegazione del PHILIPPSON2,del JENSEN specialmente dello SCHMID, e non obbliga di per se a postulare una comunicazione diretta tra uomini e dei, come hanno obiettato decisamente BIGNONE cit. 94-99) e il DIANO(art. cit. 78-79). I1 cultO il (art. degli dei nell'epicureismo e il culto della felicit'a,in quanto gli dei sono il modello di essa e il saggio li imita per accrescere la gioia nel suo stato di felicita. Quindi l' olilwtgepicurea tra dei e saggi si fonda sul principio dell' e3atuovia, come quella degli Stoici e di Platone e fondata sull'ieerq4, intesa non come mezzo all'evbat,uovta, ma come qualcosa xaY'avro'. I1 passo di Plat., Theaet. I76E OVx 6arTtv avrZ (sc. rTC OC&O) oart OV6EVi 6; 'av 2juJv avJy&vTat O6OtO6T6QOV tarsi cosi secondo il pensiero epicureo: ov3xi!orTtvaVTdO
6;
av Iu6cv

ltxato'raTog, dove compare la virtiu per eccellenza, la 6txatorv'v?13, pu6 adati, O'tOOT6QOV OV81v
ai
y,vrrat

6't

,iaaea-co;.

Ogni essere

animato

consegue

la

sua felicita secondo la sua awyxuartg atomica. La beatitudine degli dei e perfetta perche, mentre la nostra natura capit laborem(Lucr. 5, ii8o), essi hanno un flusso continuo di materia uguale, non c'e quindi labor,ma beatitudoaeterna. E secondo la legge delle affinita, essi hanno un'otixeborg;verso cio che e loro simile, cioe verso il Maxdetov, come pure un'd2oRTQto'rj; verso il dissimile, cioe il non ,uaxadlov. In questo senso, come si puo dire di tutte le cose Ta &uev oitxea b5e%eoa}a b'dJR2oWvaa t(Philod., de dis fr. 4I, 20 = P. 56 b6tw)#Etcaa Ta' DIELS), sara da intendere quel che diceva Epicuro nel XIII libro del aeQT (Philod., fVeco;, intorno all'oixeto'0T;o J22oQt4dr; degli dei verso gli uomnini de piet. p. 124, 6 = Hermes I92I, P. 383); ma solo verso certuni, cioe verso i saggi, che sanno attuare Ia vera felicit'a. E infatti coliae detto nreG c; olx. to'1 Non direi pero che tale riferimento sia sinnlos, come dichiara il PHILIPPSON crede il e BIGNONE, perch6 #ostano le deeTab) (art. cit. gi). Infatti il BAILEY intende adeeratmores: the majority of men judge others according to their own accepted standard of ethics: they are in the habit of welcoming those they see to be like themselves and rejecting those whom they find alien. Cfr., per es., Cic., Tusc. I, I3, 30 multi de dis prava sentiunt; id enim vitioso more effici solet. L'interpretazione del BAILEY e coerente, facendo dipendere &vtev da dinoq5a'iLg. 2 Cosi pure nella sua traduzione di Diogene Laerzio R. D. HIcKs, London, Loeb Class. Library 1925, II, 651. 3 II passo di Platone e riportato dallo SCHMID insieme ad un altro di Leg. 7I6 D, dove dal concetto di jolsoiwotg, fondato sulla acoqQoaV6v1, tratto per illazione quello della q6tAa, e e ad un passo stoico SVF III 66I rCV te6ov otxEtov1ze'vwv tsev Tfi dgeETx? a2RorTQovu8V)V . .d., r.6 xtwa. Ma il critico, tutto preoccupato a dimostrare che gli dei sono il soggetto T dell'ultimo periodo in Epicuro, non ha rilevato a sufficienza, mi pare, la grande differenza che c'e rispetto al pensiero epicureo, Ia quale appare anche formalmente: ,rf acesrfi da una parte, ralg dQEraig dall'altra.

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cfr. ancora Philod., de dis III, col. I, 7 TnT0o i7[v 7eoiJ] rtva; O O6O; E"Xet: DIELS6t2e8Q oV'[;z]J[vTw)v] tvp7 [yn4oo]qTkvqtl2ovgaiv rt; drzo [ o]v{[ -r6iv degli uomini eov';] da[29]C5[;. In questo senso si puo parlare anche di ptAita verso gli dei e viceversa, pur forzando un poco il significato della parola, come qq2la verso la felicit'a. E di ct2tdaparla Pilod., de dis III, col. I, 7 sgg. DIELS, il quale pero aggiunge subito che cosi parlando si fa violenza alle parole (7raeafiltdseaOat:v. BIGNONE,art. cit. 96). Comunque, il rapporto che cosi nasce tra dei e uomini non 'eun rapporto diretto nel senso comune che gli dei danno dei beni ai saggi, ma un rapporto, direi, fisico. Ma l'&EVaE'flEta epicurea, in un sistema dottrinario fondato sull'utilita, non puo essere disinteressata: essa ridonda in gioia al saggio epicureo', e cio presuppone-cosa indispensabile-una coscienza da parte del saggio che contempla la beatitudine divina, fino al punto anche di sentire, se si vuole, la q9t2ita parte degli dei, che solo da questo da contatto noetico (cfr. Philod., de dis III, I, 7D. xaOcbree Et y2 Xrrat O2tydv) il saggio deriva dei benefici reali per la sua felicit"a;senza di esso l'effettivo operare degli dei vien meno. Di qui appare-ed e questo a cui voglio arrivareche tale rapporto ha un valore pratico dal punto di vista dell'uomo, non degli dei, incuranti delle cose umane e beati della loro beatitudine, e in tal modo dev'essere esposto e considerato. Dire che gli dei accolgono -rov; oguoiov ha un significato pratico, se si riflette ulteriormente che il saggio ha coscienza di cio, cosi da riceverne vantaggi, se cioe si presuppone la coscienza che da quell'd5o%io derivano dqj8utat al saggio. Ma e piiusemplice e piiuefficace dire che i saggi J7o&wZovrat -rovi opotov;, cioe gli dei, cioe la felicita stessa, che cosi si indica il fondamento dell'evpalcta, la quale si pensa prima di tutto come una disposizione degli uomini verso gli dei e non viceversa, specialmente per gli Epicurei che escludono la premiazione della pielas con beni diretti per opera della Provvidenza2. E qui appunto si parla del vero evEfl e del vero daefdirg: aJEj1; 3e ovx 6 rov'; -(v 7o226Pv Oeov'; avateCJvdLA'6'ra; rCov no2A26v e60'a; 0,ol; aToadxr-cov.A queste parole si riferiscono direttamente le
1 E'vero che in Cic., de nat. deor. I, 41, II5 e detto at est eorum eximniaquaedam praestansque natura, ut ea debeat ipsa per se ad se colendam allicere sapientem; ma questo 6 detto in relazione all'obiezione che precede e che era comune: quid est cur deos ab hominibus colendos dicas, cum dei homines non colant ... .? cfr. poco dopo: quae porro pietas ei debetur, a quo nihil acceperis? aut quid omnino, cuius nullurn meritum sit, ei deberi potest? E'detto cioaein rapporto con la volgare opinione che gli dei possono intervenire con benefici diretti nelle cose umane. 2 La giustapposizione in Philod., de dis III, I, 7 D. di xat rovxg o oroqo -rJv 96covp )Aovg %at ovsg aSOVg TCOv craocovdal punto di vista teorico ha lo stesso valore; ma in pratica, perch6 dalla t2Ata nasca l'O'c).ewsa,anche la t)Atadegli dei verso gli uomini deve divenire oggetto di coscienza da parte degli uomini. In altre parole il pensiero dev'essere espresso dal punto di vista dell'interpretazione psicologica, necessaria, delle w0e'98.etat, e Epicuro, se avesse inteso gli dei come soggetto di a6neobavOTat, si sarebbe espresso in maniera diversa.

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ultime nav -ro pq) rotoivrov Jg aWdrQtovvoy1iovrTe:considerando come alieno tutto cio che non s'addice alla felicit'a, cioe respingendo le opinioni di tutti quelli che intorno agli dei non qvAa'rrovorTi)v /Eirada&pLaQta`a Itaxaeto'rnTa. Come si vede, ci sono anche delle difficolth linguistiche contro l'interpretazione che fa soggetto dell'ultimo periodo gli dei: il termine voytCovr6g,dato sente il bisogno di da tutti i codici, non conviene agli dei. E infatti lo SCHMID correggerlo in 1$oetiov-re, facendosi forte dell'osservazione, puramente linguistica, credo, a proposito di d);g, dell'USENER: (vix excusatur exemplo Plat. leg. IX p. 879c r6v be neoeXovra exoctv 7i2tXtag E'Teotv ... voytuiov J)g ra-rea

exspectes verbum spernendil. ) Ma se il soggetto del 7 ,yl)Treea 6tEv2aflet'aVo). participio sono gli uomini, il verbo ^ a posto: non e necessario un forte contrasto rispetto ad dro6'Zovrat per mezzo d'un verbo che indichi repulsione. E'usato un verbo comune, di largo impiego, che compare anche in principio a questa sezione teologica: neCoov jdv -r6vOe8v?bov a'PaQrov xaG' yaxaxtov Poco plu glu s'incontra o7ovq voyti~ovatv2;nella stessa frase jiqv voyuiZYov. avotxetov avtco nreoSrmE -rv; aq99#aectxa; aoretoor preT8 Tgri yaxaQt6urprog an-e, quest'ultimo verbo potrebbe essere sostituito da (hV at!'ui) vo6ytE. Infatti ird jIu)rotoiV-rovequivale a -o avodotov, To arotXEtov. Per Jo SCHMID equivale a -rd%axo`v, aorefleg;ma qui si va proprio cercando in che cosa -ro consista a'wfie'g e lo si indica nell'attribuire agli dei cio che 'e droixetov alla loro natura. Ognun vede che rdv -rd aItq-rotov-rov ; a o2rotov voytjovrTE richiama quel che e stato detto in principio (eQJTov 1dv bo-$aCE) e che la frase corrisponde ad un'esortazione, quanto mai opportuna nella chiusa del cioe brano: :ardv 4uo) vocut:e, 1nbFivroj V,eoiO aivoixetov ir6 Totovirov og aAAoTQtov
p

volt83

E c'e ancora un'altra difficolth: il plurale ral; tai; agee-racg. Che gli Epicurei attribuissero agli dei la virtus pare attestato (cfr. Cic., de nat. deor.I, 40, IIO. Sext. Emp., adv. phys. I, I52 Sgg.: V. SCHMID I4I sg.), ma come la
1 Donde 1' dro6oxjtd'CovTe; del KOCHALSKY, troppo lontano dal testo. Spesso J; e tralasciato, ma cfr. ancora Hdt. 2, I "kovag xa' Aio.{ag c;g 6ovAov; 'arTox(ovg ovra; da questo esempio si vede come si sottintenda o'vin Epicuro e o'vTain Platone. evO'jl4ov: 2 L'USENER aveva mutato in vooVctv, ma il DIANO (art. cit. 6i sgg.) ha dimostrato 1'esattezza della lezione, la quale e da seguire, anche se lo SCHMID 123) vuole tornare alla (P. correzione dell'UsENER. 3 E come potrebbe spiegarsi il cambiamento del supposto originario 64OQeIOVTE; in VojttOVTe5, se non perch6 il pensiero sarebbe stato interpretato dai lettori come detto degli uomini, non degli dei, e che quindi quelli, non questi sarebbero stati sentiti come soggetto di ano6elZovrat ? Se fossimo sicuri per altra via che il soggetto sono gli dei, accetteremmo la correzione EtOQeovTeBo una simile; ma poiche stiamo cercando il soggetto, dovremo servirci della lezione tramandata per determinarlo: e vout'RovTeg ci porta a considerare soggetto gli uomini, non gli dei. Quanto al ritmo, in base al quale lo SCHMID (P. II4) esso non varii: cfr. prima sostiene la sua correzione, mi pare che, restando voyt4ovw;, (oi)ov; voyt/Covatv, ecc. sallv v yvoilg,

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intendessero non e chiaro; per lo SCHMID consiste nel pellere aliena salutis. essa In ogni caso si capisce bene il singolare, come a proposito di ogni essere che ha l'a'e,6 di consistere, mentre riguardo agli uomini la virtiu morale si suddivide in vari tipi a seconda dell'oggetto cui si riferisce. E nel luogo di Epicuro, dove la polemica e evidente, il plurale si oppone precisamente al concetto che della virtiuavevano gli avversari. E il singolare qui converrebbe, non il plurale, se si trattasse veramente, come pensano il DIANO il PARATORE, (una glossa e d' di colorito stoico scivolata nel testo>, relativa all'oxsoltq 7reog v adQErv. ? rqo Ma o1%Etov'Evotnon ha senso diverso dal -rolg 6x8etweuvoig qvaco2oyta di ep. ad Herod. 37 o di olxelog e di altre voci della stessa radice nell'uso della lingua epicurea, in opposizione ad aAlo'retog, come avviene in questo stesso periodo, e voci derivate (ad Men. I29, R. S. 7, ecc., Philod., de dis III, fr. i8, 4, ecc.). II piacere nell'etica epicurea 'e rQCo-tov oixelov (Alex. Aphr. de anima II, I9 Us. p. 275, 29), come il dolore 'enerov atAAo6rtov: Diog. L. X, 34 :rt9A cfr. 69 A2yovatv Edvat bvo, 'bovryvxat &ayrq66va, ctarteva 7teet mv Ccoov, xa' TtV y2v OXiOV, m4v 6s aA2o'rQtov 6t'div xeiveoriat rag aitre6tg xat qvyag. La morale dunque consiste in un calcolo di otx%dae a&Ao'reta, in questo e calcolo entrano a far parte le eEraal come mezzo indispensabile per conseguire l'oixalov nrCiirov.II pensiero e rivolto contro gli Stoici che sostenevano la provvidenza e il governo divino del mondo: 1'olxcivatg -raEg dQeraig consiste nel retto intendimento ed uso delle virtiu, poste a servizio della voluptas. Appunto quelli che intendono cosi la virtiupossono accogliere gli dei come O'Ilotot, quali modelli di jtaxaet6r?7g:come non pensano nulla che non sia olXElov della virtiu, cosi a proposito degli dei non pensano nulla di diLoretov. Servendosi d'un termine caratteristico d'una particolare dottrina stoica, ma proprio anche della sua, Epicuro richiama l'attenzione sull'obteto'm7g relativa alle aQerat e agli Aeot' i secondi pensati come realta effettiva della piaxaeto'rmg, le prime come mezzo per giungere ad essa. A tale senso contribuisce anche l'aggettivo I tatg, che non conviene in un ordine di pensieri in cui le virtiu esistono di per se e diventano percib la virti', ma conviene alla dottrina epicurea secondo la quale le virtiu, riferendosi al concetto utilitario della voluptas, possono variare da individuo a individuo e si puo parlare veramente di deerat e di tM8at Jecat'. In ultima analisi, la frase raig h(atg; daetrag equivale a -raig avyy8vw tv 'jo0come a suo ObtelOV, alla vaig: il saggio dedito in ogni momento (ta' xav-rog), felicita, accoglie zov'g O6otovg, cioe gli dei, l'incarnazione, per cosi dire, della felicit? perfettal. II pensiero, con cui si conclude la sezione, e parallelo al precedente sulla natura della divinita: nella nozione di dio dev'essere escluso tutto quello che 'ea'AAo'rgtov sua beatitudine; cosi nell'atarassia del saggio alla epicureo non entra nulla di a&AAo'-retov.stesso rapporto che c'6 fra dio e la Lo beatitudine, sussiste anche fra il saggio e la feliciti. Per nuesto il saqaio si
1 In tal modo rot; 6uo(ovg a7o6e'XovTat equivale a Lucr. 6, 72 simulacra (deorum) suscipere.

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attribuisce il diritto di uguagliarsi agli dei e chiamarsi un dio sulla terra: ci6 che costituisce un'immensa Cd002i8ta derivante dalla retta nozione della diviniti. Per me dunque non c'6 alcun dubbio che soggetto di dnobe6Zovrat siano non gli dei, ma gli uomini e precisamente i saggi epicurei. Un generico d'v?Qw7rot, possibile a sottindersi indipendentemente dalla correzione dvLq?rotg per %axo del LEOPOLD,inutile come si vedrh, e vietato dal fatto che ad essi, genericamente intesi, comprendendo saggi e non saggi, non conviene l'espressione raTg z5iatg ta& 7avrog aetra?g, cio che si pub dire solo dei saggi. Ma donde si puo trarre questo soggetto, non essendo i saggi nominati prima, ma presenti solo logicamente? Tutto va a posto se si legge <ot> o1XEltoVz1evot: semplicissimo un caso di aplografia. La piena corrispondenza poi di concetti, accennata prima, fra la chiusa e il resto della trattazione, si ottiene senza fatica riferendo 1'vtJev non alle aJnoq&amt Tro2ciov orv (BAILEY, JENSEN) o solo alle v'noA4p8tg(RYBA, DIANO), ma a tutto il precedente: di qui, dall'opinione vera di chi sa conservare alla divinita i suoi attributi e dalle opinioni false, derivano quei famosi danni e vantaggi di cui si parla tanto (at a. #2dflat: c'e l'articolo!); cio6: in rapporto al vero o falso concetto che gli uomini hanno degli dei sono da spiegare quei grandi mali o beni che si fanno derivare dagli dei. Si, anche i vantaggi, perche il saggio accoglie cio che gli & simile, e specialmente gli dei, dalla contemplazione dei simulacra dei quali percepisce massima gioia. In realti, se ben si guarda, il periodo che precede gv6ev, ov3yacQ ;voA 'ipetg da'v, RI'voAl vpbV8el at -rov coAAov #Jov a&Toqaiaetg, 6 da considerare V3nEQ come un periodoparentetico, che spiega, per mezzo dei termini tecnici nqdAqy)tg v62pVtg, il cone cetto espresso prima, strettamente collegato per mezzo di yae, in daeflg be o?X o rov;g r6Cv no22lv &ovg; aivatecov,aA6 ra'; TCovro2AA26v botag Oeol; E sono, queste, parole forti, che sanno grandemente di polemica, 7roeadnrw)v. con le quali 6 fissato efficacemente il contrasto fra le due categorie di opinioni, la vera e la falsa, a proposito degli dei, di cui si parla in tutta la sezionel. La maggior parte dei critici invece si e fermata al periodo che abbiam detto parentetico, riferendo tutto quel che segue alle erronee opinioni dei nol2oi, e su questa strada si e giunti all'atetesi dell'ultimo periodo. E invece, come si 6 visto, quel che vi si dice conviene ottimamente ad Epicuro. Segno che il riferimento di 9vVsv'eerrato. Aveva visto giusto in proposito 1'USENER,staccandosi dall'interpretazione comune, seguito dal BIGNONE(art. cit. 88) e dal PHILIPPSON (Philol. Woch. I93I, 63): igitur ex diversis hominum opinionibus (praef. XX). Nelle parole at-ctat rTol xaxolg si potrebbe vedere il resto d'una spiegazione relativa alle 4s'yta-oat )Mflat (ex. gr. <q96flovyae at' bo'$at Xe8lvat> akTtat), at; ma credo che parallela a quella di razg y t'lat;... relativa alle dCg2t)
1

Per questo e meglio collocare punto in alto dopo apadnTcrv.

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si tratti d'una glossa marginale, entrata incompleta nel testo, glossa che era nata appunto dal fatto che nel testo non compariva la spiegazione del pensiero
sulle #Adfl2at, mentre compariva quella sulle dqi'eAtat'. I1 suggerimento del V. DER MtHLL, in accordo con Tro; adv ootg del LEOPOLD (da roT adoztg), at ImEytrat vel 4teytrrwv fl2aflJov alriat roT; av0Q0jnOig Ex Of&v `z. %at &EAetCJv, il quale potrebbe convenire al pensiero generale sopra esposto purche si legga <ot> olxetoviaevot e non si faccia alvOeonxot

soggetto di abo6e1xovrat (v. p. I56), altera troppo il testo. E neppure soddisfano gli altri tentativi di correzione per conservare le parole acrtat rol; xaxo7;: re per a'trtat dell'USENER,accolto dal BIGNONE, BAILEY, PHILIPPSON, Si spiega con molta difficolta, pur pensando ad una diplografia del precedente at e ad un errato rat per re con l'aggiunta poi del t da parte dello scriba (PHILIPPSON, Phil. Woch. I93I, 62): Si capisce come il V. DER MUHLLabbia preferito conservare atrtat segnato dalla crux. Non e accettabile roT; at-rtot; [,rol xawoT;] del BAILEY,nell'apparato critico, perche si suppone una glossa ad

una parola che si corregge. Anche <xaz> atxt'at del RYBA,accolto dal JENSEN, non e molto probabile sotto l'aspetto paleografico, non per l'alterazione atxtat in at-rtat, ma per la contemporanea aggiunta di xai. La proposta del BIGNONE (art. cit. 9I: nell'Epicuro aveva accettato il -e dell'USENER) <,r't tbtat Tcdv exar8Qeov o$C5v>airttat nasce dal desiderio di profittare della lacuna per fissare il controverso riferimento di 6'V%v; quella del DIANO<KVexelvat (sc.
V3o,ZiAet;)

uo'vov eldov> alTtat ToT; xaxoTg

e un'inutile ripetizione del con-

cetto precedente (8v"Oev, rCov sc. per Vno42?ecoCv lui, fl26flatl 7rdyovrat: SCHMID, II7) e nasce dalla convinzione di dovere spezzare il parallelo rot; xiaxot; oTo;aya%oT; (art. cit. 77). Egli stesso pero avanza l'ipotesi, senza perseguirla, il d'una reliquia di scolio, come gia il PHILIPPSON, quale tuttavia preferi il TE dell'USENER l'accettata antitesi tra xaxot e ayaVot'. L'ingegnosa proposta per del BICKEL (Glotta 23, I935, 2I3-2I8) di considerare atrTat come termine speciale della tarda grecita equivalente a vo'aot e percio una glossa di fl2dflat
(uso linguistico documentato con ulteriori esempi dal BJ6RCK, Glotta 24, I936,

25I-254, che per6 non condivide l'ipotesi della glossa), potrebbe soddisfare chi accetta l'interpretazione del JENSEN,in vista della quale del resto e stata formulata, ma nel nostro caso potrebbe servire solo per la ricostruzione della glossa marginale, che per noi comprende anche roT; xaxol;. Neppure l'ultimo tentativo dello SCHMID (art. cit. II9), con la proposta flacfat <ovv>a[rtat
1 L'incompiutezza della glossa si potrebbe spiegare per mezzo della somiglianza di parole con quelle del testo: ex. gr. ,ieytaxTwv fl)La/Civ atTtat rolg xaxoig. II fatto che Epicuro parli solo di flAdflat a proposito delle false opinioni sugli dei, tacendo dei vantaggi che i buoni o i bene morati possono trarre secondo la concessione di cui si e detto (p. 149, n. 2), si spiega facilmente ricordando che Epicuro vuol combattere tutte le superstizioni, fonte di lutti per l'umanita anche per opera degli ayatotG o bene morati, precisamente come fa Lucrezio con l'efficace quadro del sacrificio di Ifigenia e il relativo elogio del Maestro, liberatore degli uomini dalle religiones (I, 50 sgg.).

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reca una soluzione soddisfacente. A parte la duplice rolg xaxolg <KaxO-v>, correzione, a breve distanza, nella frase l2jatULavvactat axcJv sembrerebbe a che le fl2dflat non fossero xaxa. La citazione del fr. 385 Us. (((die flaovesg
anoeeotat
-

also die doqetat

als peydAav aya?2ov naeatirtat bezeichnet)

p. iig) prova il contrario: le fls2rioveq a&o'eeotatsono fonte di peya'AaayaWa, cio6 di cbq98Aetat, e l'espressione 6 possibile perche c'e a' o' ota, non lo sarebbe, se ci fosse al posto di questa parola 699EFUetat. Come si vede, le numerose proposte per salvare le parole alTztat rolg ,axolg, non soddisfano punto: l'ipotesi piiu plausibile 6 quella che le considera una glossa marginale, entrata, frammentaria, nel testo. Concludendo, il passo, secondo la nostra interpretazione e ricostruzione, suona cosi: da,eflqg68 ov'X6 lrov'grCv nzoAAOvEov%g a'XA' a5vateCov, 6 Tag r5v oqlVEtg Etdciv ad2A' VrTO)pet ntoAAcLZv l 6o0'ag Veoig eoacrrov, OV a ai Tcov noAA2iv V?Q feCov abxoqdaetg. 'VOEv at dytoarat flAdflat bx ?VpEvg xai Jq99eAetat. -raig yae h61atg <Ol> OtXeOvpEVOt 5ta' :ZaVTog hcov 8znacyovTat , r Jg aor,lov vodCovTeg: aQera!gTrog 6putovg anoweXovata, rrav irtoio non 6 chi toglie gli dei del volgo, ma chi agli dei annette le opinioni del (#empio volgo, che non sono prenozioni, ma false supposizioni i giudizi del volgo sugli dei. In conseguenza di cio dagli dei si ritraggono i maggiori danni e vantaggi. Infatti coloro che sono dediti intimamente alle proprie virtiu accolgono i propri simili, considerando cosa aliena cib che 6 discorde)>.
1 c , , c % % c ,,

Ep. ad Men. I3I T-c aVVet40E tV o'iv lvak a)Aaas xat ov3 noAvTEA'at btatratg %at ... xat ... xat otolg7OAVTEA2EOtV 6ta2,et1i,tacTcOV7rdoEQXOp8VOt9 XQ8tTTOV E% e c,t&g 6taTh2rjt. Cosi il V. D. MUHLL il DIANOcon BPCoF, mentre l'USENER ha nQoaQXoyEvovgcon Z (?) f. A sostegno del dativo vien citato il v. 83 di Hor., Sat. II, 2, 8osgg. alter (il sobrio), ubi dicto citius curata sopori Imembra dedit, vegetus praescripta ad munia surgit. I Hic tamen ad melius poteyittranscurrere quondam,j sive diem festum rediens advexeyitannus (v. 83), | seu ... Si potrebbe piuttosto confrontare v. 82 transcurrerequondam a favore di Ex 5ta2etltaurTwv n9oaeQt,yo/vovg. Ma credo che Orazio ripeta il pensiero, che trovava espresso in moltissimi luoghi, non che abbia avuto davanti il brano di Epicuro. Perci6 non ha neppure importanza per me che munia del v. 8i trovi una corrispondenza con Xe'aretg.Ammesso questo, non mi sembra infondato il sospetto che si debba leggere (TOig no2vrt8ieatv) nQOaXQox,w[dvovg, verbo molto appropriato, in cui la preposizione indica bene l'aggiunta, non necessaria, delle cose sontuose. Cfr., in principio alla sezione relativa all'autarcia -rolg d)yotg xQejefia due
volte, la seconda corretto in adxcb'seta dal COBET (USENER, V. D. MUHLL, DIANO). II verbo s'incontra, in quel senso, in Aristot., Rhet. I358b i91.
1 Qualche riga prima e da respingere la lezione del V. D. MUHLL 'IC TE )1TOI XVIO1, perche essa mette Te in relazione con gli JrTt che precedono e lascia poi senza o-Tt il mat davanti a ,udCa (rezewldvol mati . .). Quindi ol yvartcog O'T . . mat' OTl ... O'T T...

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v R. S. XIV r4g aoaAeag Tr)s9$ dav'OeNk3yevoydvrjq'UeXet rtvog 5vvdyet m !SQeetcTTtxj 'noet'q caE xa yiverat 77' -rtg'orvXiag Tri7 8Qtxetveorrd-aThr La ;ro22iovdaoqmdeta. sentenza ha fatto disperare i critici ed 6 stata vecog -rJCv torturata in ogni modo; eppure non ha bisogno di cambiamenti di lezione n6 di sottigliezze d'interpretazione. Almeno cosi sembra a chi vi arriva direttamente dopo la lettura continuata delle sentenze VI-XIII, senza conoscere le questioni relative sollevate dai dotti. Le spiegazioni piiucomuni possono classificarsi in due categorie: quelle che fanno capo all'interpretazione dell'UsENER, sia accettandone la lezione, sia variandola, e quelle che introducono un comparativo. Le prime, nella sostanza, intendono cosi: la sicurezza che proviene dalla vita tranquilla e ritirata d fonte della sicurezza esterna (s'$av Qncowv). In altre parole, questi interpreti fanno dipendere il genitivo rqa) daggaAtag1 amfQO'jeovy8vooysvn da E8wrtl) (o 81voetia (BAILEY) o da un E6's$EyaEVeQetatg ) xai &ivnoeta (USENER)o da xatc
artxwOrdt supposto caduto per aplografia con e1i2txQetvesaTd 1. (BIGNONE) Si

pub osservare col DIANO(St. It. Fil. Cl. I935, 2405g.), specialmente al BAILEY, che 1' rpdeta derivante dalla tranquillit'ae vita appartata presuppone l'a'acaleta esterna, o almeno essa e concomitante per reciproca connessione. II CRONERTil v. DERMUHLL e hanno fatto dipendere l'inquietante genitivo
da un comparativo: E'trvtatlfi
xat ev'no(Qta 8t'xtQvEaTq<EflpatoTEQa>

CRONERT, q-Q8wrtl xa& EVkoQ II la8t2QelvesT`Qa V.DER MUHLL. seiiso che ne deriva &vicino a quello che per noi 6 il vero, se s'intende cosi :la sicurezza che proviene dalla vita tranquilla e appartata e piiupura di quella che si e ottenuta da parte degli uomini bvvde,it zrE. xa' evkoeta. II DIANOinvece (p. 24I), poiche intende i due dativi come complementi di ytverat, anziche di yevoyusv't, respinge la lezione del v. DERMUHLL, quale e da respingere non tanto perche il la confronto introdotto non e molto opportuno, quanto perche altera il testo senza bisogno. Qui e questione solo d'intendere. Ai due gruppi considerati il DIANOoppone una sua spiegazione, la quale sembra invertire il rapporto fra le due dcrqad2Etat. Egli accetta in tutto la lezione dei codici, anche per ettxQtvearidr, e fa dipendere il genitivo 7r7; acbr. -rg 1e dv0. yev. dai dativi 6vvadlwtet Ts . xat' d.: #la stabilitA e l'agiatezza che fino a un certo punto conseguono dall'essersi messi in condizione
coi codici, preceduto da un'interpunzione piii forte della virgola posta dal DIANo, quasi che si sottintendesse 06Tt. Viene per6 a mancare la congiunzione introduttiva: oGYaQUSENER (ya'Q abbreviato e interpretato poi per vi), o0 Te )ATol XvAo' <yde> ianv ... DIELS, che vuol togliere anche il iato tramandato. Le due parole )lTOl XvAoiformano un concetto solo, I jsdla vI V il che pub giustificarequella collocazionedi yae ( Te aviTa'sta yad...
1 Anche la spiegazione del BIGNONE dipende, come quella del BAILEY, dall' USENER: regge T4q d.qast'ag a$8eeyaaT1CxOaT'V7 ficI$a4vtJQea$rov(((produttrice e perfezionatrice della sicurezza esternaw ): il senso e migliorato, ma la costruzione sintattica e, nella sostanza, la stessa.

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di nulla avere a temere dagli uomini, purissima rendono la sicurezza che deriva da vita tranquilla e appartata dalla follaa. A ragione il DIANO difende l'intera lezione tramandata, ma, a parte la costruzione sintattica, il senso, se non errato, perche contiene una parte di verit'a, come del resto le altre interpretazioni, e inesatto o almeno ambiguo. Egli viene a dire, in sostanza, che la vita ritirata acquista una tranquillitt purissima per mezzo della stabilita ed agiatezza esterna. Sembra che qui non si presupponga la necessit'adella cvaptoloyia e che la vita appartata sia fonte di purissima gioia unicamente per effetto della sicurezza esterna. Ma e evidente che, pur mancando i timori provenienti dagli uomini, possono esserci e restare i timori provenienti da altre cause. Lo dice chiaramente ov?s rIv d4t6loyov bwcoyevva la S. V. 8i oV'Avet mr'v vr7-gpv,g raQaXqiv xaeav rtu' xat'enQf42ept;g. oov'' Iraearo lo,ZoAAol; [,taTr ovirE AoiPorogvo5;aieXovo6 La conoscenza della natura e dei nostri limiti # indispensabile. E appunto Lucr. a 3, 40 parla di gioia liquida puraque (l'equivalente di EW'xQtveaTadT)proposito dell'assenza dei timori dell'Acheronte. Plut., philos. esse cum princ. 778 C (= 544 Us.) paragona la tranquillit6 in cui Epicuro pone l'dyawo'vad un porto tranquillo: Tayao%v-v Tz flahaTvrcitTPg 'oavXta; oaAee Fv a'xv'Crr Alteuvt senza la xwqxC5 %at rtVyevo;: I'assenza dei venti 6 un effetto della qpvatoaoyta, quale non c'6 porto alcuno in cui ci si possa rifugiare. In fondo, anche la sicuper rezza esterna dipende dallo studio della qvz$'tg, il quale ci persuadiamo che, la invece della q9t,oZ laat'a,ci conviene l'avrda'eta, invece della pAoTltprqa compagnia degli amicd. La sent. XIV &,in certo qual modo, la conclusione di tutto cio che e detto dalla VI in poi:le cariche, gli onori, tutto quello che pu6 servire alla sicurezza ,?2 d0etbncov non sono un male xai'&avra, ma procurano piiubrighe che gioie. La sicurezza esterna, che pure 6 necessaria alla vita felice, dev'essere cercata fino ad un certo punto (asdXt -rtvog);bisogna dedicarsi principalmente allo stuxat dio della natura, per togliere le v'coytat To v mwteGceov ret tavacrov xa Ev W6dy; xa%r6C-v trC ab';eco. E proprio nella massima che precede -COV immediatamente, nella XIII, si dice, con esplicita chiarezza, che non giova se procurarsila sicurezza ? advtQec4t)v, persistono le paure derivanti dall'ignoranza dei fenomeni naturali. La sent. XIV contiene l'elogio della sicurezza interna, che permette all'uomo di vivere appartato e godersi la sua felicit'a. Si parte dalla condizione piiu invidiata dalla moltitudine, quella del flcat2ev';, nella sent. VI, e si arriva a fare l'elogio della vita nascosta, lontana dagli onori nellaXIV. Chequi si faccia l'elogio della sicurezzainterna che abbaglianoiwoAAo(, appare anche dalle massime che seguono, nelle quali si osserva quanto poco sia necessario per la sicurezza esterna, per chi non si lascia ingannare dalle vane opinioni (sent. XV), e come solo su questo poco abbia potere la Fortuna (sent. XVI). Una spiegazione chiara 6 data dalla sent. XXI, dove si dice che la conoscenza dei limiti naturali, fra cui c'&il principio che 6 &rio'tatrov il piacere catastematico, rende perfetta tutta la vita (Tdv G2ovjl3ov navre2i xwaOt?GTCtlV),

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cosi da non aver bisogno di tutto ci6 che importa contese e pericoli, cio6 limitarsi al puramente indispensabile nel procurarsila sicurezza esterna. eta Nelle sent. XXXIX e XL si torna a parlare dell'a'acnap esterna, che il sapiente si procura creando intorno a se un xinzog, nel quale convive con i suoi simili, i sapienti, ne viene turbato da alcuna cosa, neppure dalla morte, quando questa venga a visitare qualcuno degli abitatori. In questa vita dell'Hortus, prospettata nelle ultime due massime, si presuppongono pero la conoscenza della 9Vq'a e la conseguente assenza di ogni timore: in caso contrario non si potrebbe parlare di sapientes ne di /oedus sapientium ne di Hortusl. In XIV indella vece l'daqa'e ta s'$dvtc[nrcove considerata in relazione con la cpvatoAoytia, cui necessit'asi parla nelle massime precedenti. Naturalmente in quest'ordine di idee, la vita quieta e appartata e intesa principalmente come un effetto della conoscenza della natura, che mostra il danno delle contese e delle ambizioni, e diventa essa stessa un'daqaxeta. Infatti la ricerca della ricchezza e degli onori e suscitata ed alimentata dalla paura della inorte, secondo una profonda osservazione psicologica epicurea . Quindi il ritiro alla vita privata presuppone la pvctoAoyt'a,la quale ci libera dalla paura della morte e da ogni altra paura. E appunto Lucr. 3, 59-93, dopo aver esposto quell'osservazione, conclude con l'invito a dissipare le tenebre dell'ignoranza con la naturae species ratioque. Ma nella sent. XIV non si afferma che la sicurezza interna produce quella esterna, come intendono quelli che accettano la lezione dell'UsENERo ne propongono di simili, e neppure viceversa, che la sicurezza esterna produce quella interna, come sembra intendere il DIANO.Le due sicurezze sono giustapposte l'una accanto all'altra, come necessarie tutte e due, in quanto si procuranocon mezzi pratici non del tutto uguali, sebbene tutto Si si poggi sul fondamento della vcvato{oyia. dice :la vita tranquilla e appartata che (effetto della vovatoloyta), 6 gia fonte di pura gioia, diventa fonte di gioia purissima, se c'e, per quel tanto che 6 necessaria, anche la sicurezza esterna. Quando avvenga questo, si avvera cio che 6 detto nella sent. XL, la quale, come
si 6 accennato, presuppone l'ac'aiqaeta interna: 6aot -elf?v 6iSva,iv 'axov rovi -o oirot mat 9f(twav Oaeesev s,aAtaca e'x -XcoV o6zoeov'vrcv naeaax8vdaoaorat, rtarcoia Bxov-re3. Uta6rovrTV <KfliOv>fleflat6'rarov 'd'A'&7'Acov
1 Che qui si parli dei sapientes appare dalle frasi o. ..detar-a avcrqadacevog (XXXIX),

sono i saggi che convivono ua'Atara... naeaaxevdaacr0at (XL). Anche gli yoaQo6vre5 2 Vedi il fondamento del pensiero in DIANO, Giorn. c; it. filos. I942, I39 sgg. insieme. 3 Preferisco la lezione di KOCH e LEOPOLD all '"tra ro'dell'UsENER, generalmente accolto, perch6 si ottengono due vantaggi: una maggiore aderenza ai mss. (?76tarovTdv B, Mia6rov, per aplografia, gli altri) e la scomparsa dell'articolo davanti a fleflato'Tarov tarcolza: cfr. S. V. 7 e fr. 532 n7acrtv Aa/3eivneet Iroi Aastiv. E proprio conforme a questi luoghi e da intendere la sono semplici variazioni formali): i saggi che convivono nell'Hortus hanno frase (e`etv e AafleBv la certezza che l'acsa a'Aetareciproca non verra mai meno nel futuro. Non e sufficiente possedere un bene necessario: bisogna avere anche la persuasione che tale bene restera nel futuro. Le traduzioni del BIGNONE e del BAILEY, se non errate, sono per lo meno inesatte. ... 'OaOL
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ADELMO BARIGAZZI: Epicurea

La giusta proporzione fra le due daadAEtatsi mantiene in un modo molto semplice: considerando bvcae' rm 8gtarwxi xa' eV:oeti non come complementi di yiverat, ma di yevojdv'g, col quale va congiunto anche jdext ztvOg, cioe non facendo dipendere il genitivo -r4; a'aa2dta; -r arv2. yEv. da o o (DIANO) da eva3roeta TE Ev?oetQC xca (USENER, BAILEY) dal supposto 6VVdcyEt 636efyaartxcowar?ddel BIGNONE, ma considerandolo un genitivo assoluto. Cosi si capisce bene anche il valore di tempo passato di yevo,uevns, che nelle altre interpretazioni potrebbe essere sostituito piuttosto da un presente il E ytvoMe`V?, come appunto vorrebbero il GASSENDI, COBET, LEOPOLD. non il occorre cambiar nulla nella lezione. E'evidente che rE richiede un correlativo; quindi 5vvadAEpt x evoeta, e ee puo essere che dativo, lezione txnon rec giustamente difesa dal v. D. MtHLLe dal DIANO il confronto con E'EeElaao per della sent. XXXIX (le due lezioni si sostengono a vicenda), confermata da Hermarch. ap. Porph., de abst. I, IO, citato dal v. D. MUHLL(lo scambio fra et e frequentissimo in codici e papiri). Per 6vvaytg intenderei l'auctoritas che il saggio puo avere nella societ'a,e, piu genericamente, la capacit'adi procurarsi ro iaeee' I$ dvVewcaw, come in sent. XL, quindi, insieme a s4 tctrtxt, <(stabilit>) (lundamento stabili Lucr. 5, I121: DIANO).Per Ev3noeta, piiu che <<agiatezza)) (DIANO) o ((dovizia di beni)>(BIGNONE, un ordine diverso di idee), in intendo, in maniera piiuvicina al significato di EVciO3Q che viene usato spesso toTo; aproposito del piacerecatastematico (ep.adMen. I30, I33; R. S. XV, XXI; fr. 469, ecc.), (facilita di sostentamento), come in Plat., Prot. 32I E, Thuc. 3, 82, Lys. 24, S, ecc. L'assenza dell'articolo davanti ai due dativi d'a un senso d'indeterminatezza e di limitazione, come se ci fosse il -zrtvt' volle introdurrel'USENER, che
ma che non e' necessario, perche c'e gii jFxet rtvo;.

Dunque: x4; daq2aAsla) r; s`4dav wQc0v.ycvo,dvrysg rE eXe xtvog 6vva6tEt 8Weetrxtxfi xacev?oeq'a, scAtxtvearaxr? yi'vexat 2 cx r4; evvxZa; xal'IxXwQaEcog rcov noAtaovd'agalaeta:#una volta conseguita la sicurezza esterna fino ad un certo punto per mezzo d'un saldo fondamento e d'un facile sostentamento, purissima diventa la sicurezza che nasce dalla vita quieta e appartata dalla
folla)).

Pavia

ADELMO BARIGAZZI

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