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CAPITOLO 1

LA GEOGRAFIA DELL’AGRO FALISCO

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GEOGRAFIA DELL’AGRO FALISCO

1.1 Riferimenti storiografici.

Il territorio occupato in età storica delle popolazioni falische costituisce


un’entità solo parzialmente circoscrivibile dal punto di vista geografico.
Un’area che prende il nome da un’antica popolazione di stirpe latina
culturalmente legata agli etruschi. Il carattere unico e unitario di questo
territorio fu chiaramente percepito da George Dennis, un inglese colto e
intelligente, che visitò questi luoghi tra il 1840 e il 1843 e li descrisse poi in
una pregevole e fortunata guida turistica/archeologica. Ecco come il Dennis1
ci presenta l’Agro falisco: “La zona compresa tra i Cimini, il Soratte, il
Tevere e la Cassia è storicamente una terra incognita ad eccezione della via
Amerina che la tagliava e di cui conosciamo il tracciato. Riteniamo con
fondatezza che Fescennium sorgesse entro i limiti di questa terra sconosciuta.
Questa regione ha un aspetto completamente diverso da quello severo,
desolato e grandioso della Campagna Romana: essa è ridente, ondulata,
ricca e lussureggiante. È coperta da castagneti e querceti e questi alberi
giganti dominano da secoli la verde campagna. Campi di grano ondeggiano
al vento, nelle vallette dove la natura ha giocato con i colori più vivaci,
papaveri, anemoni, campanule e ciclamini vegetano nel massimo splendore,
creando l’illusione della campagna inglese. Di tratto in tratto compaiono tra

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G. DENNIS, Itinerari etruschi, a cura di Castagnoli M. da The Cities and Cimiteries of
Etruria. Roma, De Luca 1984.

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le vigne e gli oliveti greggi di pecore ad animare il paesaggio, delimitato


dalle scure foreste dei Cimini, dal Soratte isolato, dagli Appennini
punteggiati da innumerevoli villaggi.
Questo altopiano si innalza sulla valle del Tevere circa 150 metri e
compete in bellezza con poche altre campagne italiane. La genuina bellezza
dei luoghi contrasta, però, con la povertà degli abitati, costituiti da villaggi
antichi e diruti, arroccati su cocuzzoli da forre profonde che spesso creano un
senso di tristezza e solitudine.”
Benché il territorio abbia importanti segni romani (quali la Via Amerina
e la mitica Fescennium) ed etruschi (mura, tombe, iscrizioni), il Dennis lo
considera “incognito e sconosciuto”, sia perché pochissimo studiato, sia
perché avverte un’impronta archeologica peculiare, che non si riduce ad una
semplice commistione di elementi etruschi e romani. Incantevole è poi il
paesaggio, dominato dai Cimini e dal Soratte, suggestiva mescolanza di forre
di forre incolte, boschi, prati e campi coltivati, plasmato quasi ovunque in
superficie dalle eruzioni precalderiche del vulcano di Vico.
Sono state proprio le eruzioni Vicane che hanno dato al territorio
un’impronta unica e immediatamente riconoscibile. Il rosso/marrone dei tufi
colora la maggior parte dei costoni rocciosi, dei fertili suoli dell’altopiano e
delle costruzioni non intonacate. I poveri villaggi antichi citati dal Dennis
hanno caratteristiche fisiche simili: sono città medioevali costruite su speroni
di tufi vicani tagliati da torrenti confluenti, che serbano spesso ricordi di un
passato più antico, preistorico, falisco, etrusco e romano.
Un secolo dopo il Dennis, nel decennio seguente la fine della seconda
guerra mondiale, altri inglesi giunsero nell’Agro Falisco; gli archeologi della

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British School of Rome diretti da John Ward Perkins volevano documentare e


salvare un patrimonio archeologico la cui consistenza e unicità erano state
messe in risalto da esplorazioni avvenute a cavallo tra XIX e XX secolo ma
che rimaneva, e rimane, in gran parte sconosciuto.
Ecco come gli archeologi inglesi si affacciano sull’Agro Falisco dal
punto dove l’Amerina raggiunge la cresta nord-est del cratere del Baccano:
“…un paesaggio completamente nuovo si stende davanti a noi; (…) il settore
nord-ovest dell’orizzonte è occupato, a 10-15 km di distanza, dall’imponente
massa del Monte Cimino (1053 m.), con il suo caratteristico profilo vulcanico
a doppia cima; a nord e nord-est, le foreste e i campi dolcemente degradanti
dell’altopiano falisco, apparentemente senza asperità, si allungano verso il
Tevere lontano. Il Tevere non si vede, ma si scorgono, al di là del fiume oltre
Orte, le colline ombrose del sud dell’Umbria. (…) A nord-est vi è
l’importante massiccio del Terminillo (2213 m.) e ad est un’isola di roccia si
innalza isolata dalla pianura, il Monte Soratte (691 m.) dal profilo tagliente.
Vale la pena fermarsi a contemplare questo paesaggio spazioso perché
include quasi interamente il territorio degli antichi Falisci. Si può capire con
un solo sguardo la ragione della sua esistenza come unità indipendente
all’interno della debole associazione della comunità etrusche.
I suoi confini sono stabiliti con precisione dalla natura. A est e nord-
est il Tevere, un confine politico conveniente e ben definito e, per molti versi,
un mezzo di collegamento per i popoli delle sue sponde. A nord-ovest, il
Cimino porta il nome della Foresta Cimina, considerata al tempo degli
Etruschi una barriera impenetrabile; a ovest e sud i Monti Sabatini,
facilmente transitabili in più punti, ma cospicua naturale barriera nella

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direzione di Veio e del territorio di Caere (Cerveteri). …Questo territorio,


così ben delimitato, si unisce (…) a nord al distretto compreso tra le scoscesi
pendici del Monte Cimino e il fiume, distretto lontano dalle strade principali
ma che fu densamente popolato nell’antichità.” 2

Carta fisico-politica dell’agro falisco e dei territori limitrofi.

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FREDERIKSEN M.W., WARD PERKINS J.B., The ancient road system of central and
northern Ager Faliscus, in “Papers of the British School at Rome”, XXVI, 1957.

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1.2 Orografia del territorio.

Come già accennato dal Dennis e dal Frederiksen i confini dell’Agro


Falisco sono bel delimitati dal Vulcano Cimino o di Vico a nord, dal Vulcano
Sabatino o di Bracciano a ovest e sud e dal Monte Soratte, insieme al fiume
Tevere ad est.
L’apparato vulcanico Cimino avrebbe iniziato la sua attività nel
Calabriano e si scinde in due sistemi ben distinti: il Monte Cimino in senso
stretto, che è la cima più elevata (1053 m.) con i monti che lo circondano e
l’apparato di Vico che forma un anello continuo intorno al lago omonimo,
culminando nella dorsale ben indivuata che da Poggio Nibbio a nord (896 m.)
si incurva fino al Monte Fogliano ad ovest (963 m.). La sezione meridionale e
orientale sono meno elevate; anzi, all’angolo a sud-est si deprimono in una
slabbratura tagliata dall’emissario Rio Vicano.
Il Vulcano Cimino, costituito in massima parte da tufi e lave,
rappresenta il più antico apparato eruttivo, oggi intensamente demolito talché
non vi si possono riconoscere con sicurezza cinte crateriche. Su di esso si
sarebbe sovrapposto, in parte, il più recente vulcano di Vico, la cui cinta
craterica è perfettamente conservata. All’interno di questi si trova un cono
ancor più recente, il Monte Venere, a tre cime (838 m.).

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Monte Fogliano (963 m.)

Il lago riempiva fino ad epoca recente tutto il cratere vulcano di Vico,


girando attorno al monte Venere che emergeva come un’isola; quando venne
aperto l’emissario artificiale, il livello delle acque si abbassò e la sezione
settentrionale rimase quasi tutta all’asciutto.
I Cimini erano un tempo coperti da boschi folti, la ‘Silva Cimina’ degli
antichi, descritta talora con espressioni paurose: ne restano bei lembi sul
Cimino e rilievi vicini, sul Poggio Nibbio, sul monte Fogliano nei quali
prevalgono i castagneti.

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In basso sono aree ben coltivate a vigneti, uliveti, frutteti, campi di


cereali.
L’apparato vulcanico Sabatino o di Bracciano è costituito
prevalentemente da tufi vari. Si ritiene formato, come quello di Bolsena, da
un gruppo di recinti craterici contigui, fusi insieme per distruzione dei sette
divisori, tesi avvalorata dalla persistenza di un cratere secondario,
Trevignano.
Altre cinte crateriche conservate sono quelle di Martignano, di Baccano
e Stracciacappe che albergavano stagni e paludi, prosciugati di recente per
opera dell’uomo.
A differenza degli apparati sabatino e vulsinio, il distretto vicano ebbe
un unico centro eruttivo che mise in posa enormi quantità di prodotti
piroclastici in un raggio di oltre venti km, i quali hanno dato vita a dei alti
pianori tufacei ove da sempre le popolazioni hanno stabilito le loro sedi
naturali, incominciando dallo stesso popolo dei Falisci. In particolare furono
emesse decine di chilometri cubi di Tufo rosso a Scorie Nere, o Ignimbrite III,
una roccia spugnosa, facilmente lavorabile e relativamente poco erodibile, che
spesso affiora o si trova a qualche metro di profondità.3
La morfologia del territorio falisco è stata plasmata dal Tufo Rosso a
Scorie Nere, sia con potenti depositi litoidi, rimasti praticamente intatti dalla
loro messa in posa, sia con strati sottili che, a tratti, non hanno protetto i più
erodibili materiali sottostanti (sia piroclastici sia sedimentari) favorendo così
la formazione o l’approfondimento delle valli.

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AA. VV., Corchiano e il Rio Fratta: civiltà e natura in un paesaggio Vicano”. Comune di
Corchiano 2002.

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Oltre che dalla potenza dei depositi di tufi litoidi, l’assetto ideologico
del territorio è dipeso dalla grande capacità di assorbimento di acqua del tufo
e dalla sua fessurazione; ciò ha portato alla formazione di numerose falde
poco profonde e di una falda principale, all’interfaccia tra depositi
sedimentari pliocenici e ignimbriti.
Il terreno vegetale generato dal tufo rosso è ricco di potassio e, a differenza
dei siccitosi altopiani vulsini, ha una eccellente ritenzione idrica. Per questo,
pastorizia ed agricoltura furono qui praticate con successo fin dalla preistoria.
Il tufo rosso ha fornito anche la materia prima per la costruzione di torri,
castelli, borghi fortificati e ponti nel medioevo.
Caratteristica del tavolato tufaceo è la profonda incisione da parte dei
fossi maggiori e minori, che spesso hanno circoscritto penisole o alture isolate
tabulari, mettendo allo scoperto i sottostanti terreni pliocenici.
Sulle ripide pareti tufacee che accompagnano le valli e le vallecole
sono state scavate in passato necropoli e poi anche dimore trogloditiche in
numero tale da costituire veramente una caratteristica del paesaggio dell’Agro
Falisco: per tale motivo questa roccia ebbe il nome di necrolite.
Le aree corrispondenti a colate di lava sono spesso coperte da magri
pascoli; sui tufi invece si hanno buone aree coltivate, con prevalenza del
grano e della vite.
I centri abitati dell’Agro Falisco sono spesso costruiti su platee alla
confluenza di due fossi incassati, così da essere accessibili solo da un lato:
questa situazione, tipica di molte vecchie città etrusche o appunto falische fu
detta ‘posizione etrusca’ ma si ritrova anche in centri di origine medievale.

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L’ultimo elemento orografico che segna il confine orientale dell’agro è


il Monte Soratte con la sua cima tricuspide. Esso emerge bruscamente come
un membro estraneo dal ripiano declinante dei Cimini verso il Tevere e dalle
alture plioceniche.
Si vede bene anche da più punti di Roma con un’imponenza che
l’isolamento rende più saliente. Tale lo vedeva Orazio insolitamente bianco di
neve in un inverno rigidissimo: “Vides ut alta stat nive candidum, Soracte.”
(Carm. I,9).

Soratte, che ti ergi solitario


e non dispieghi più il mantello della neve sulle pendici,…
ti innalzi dal piano come onda percossa
che prima d’infrangersi s’increspa e sta sospesa per un attimo…
(Lord George Byron, Childe Arold, 1818)

Il Monte Soratte visto da Civita Castellana.

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In realtà Soratte è una massa calcarea, prevalentemente lissica che si


avvicina per costituzione, struttura e aspetto si avvicina ai massicci calcarei
dell’Appennino. Strutturalmente è una piega-faglia molto inclinata,
parzialmente occultata da sedimenti pliocenici e quaternari.
La cima più alta della dorsale tricuspide, sulla quale vi è la chiesetta di
S.Silvestro, tocca i 691 m.
L’originaria coperta di bosco e macchia è ridotta a magri lembi presso
il monastero di Santa Maria; del resto le pendici sono nude o coperte di
pascoli stentati. Questa nudità e la mancanza di acque in superficie è carattere
comune con i massicci dell’Appennino. Riavvicina il Soratte a quei massicci
anche la presenza di fenomeni carsici: alcune grotte di modesta espansione
poco sotto la cima e tre pozzi carsici detti localmente ‘meri’, inaccessibili, di
notevole profondità.

1.3 Idrografia
La valle del Tevere ha costituito fin dal Neolitico uno degli assi di
comunicazione più importanti, sia in senso trasversale che longitudinale, per
le popolazioni che gravitavano sul corso del fiume.
Attraverso una fitta rete di guadi, scali e porti, ben attestati per il
periodo medioevale, ed in parte riconoscibili per l’età più antica, la via
fluviale del Tevere era collegata con l’entroterra del territorio, grazie anche
alle vallate trasversali che segnavano il corso dei suoi numerosi affluenti, in
gran parte anch’essi navigabili, come ricordano gli storici antichi.

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Nelle formazioni vulcaniche le sorgenti in genere non abbondano; si


localizzano di solito al contatto con formazioni sottostanti impermeabili, sono
spesso mineralizzate, più raramente termali (Viterbo).
Il reticolo idrografico dell’Agro Falisco è fitto e corsi d’acqua anche
modesti hanno esercitato una intensa azione erosiva.
Quando George Dennis visitò il territorio falisco nella prima metà del
XIX secolo, restò colpito dalla abbondanza e qualità delle acque: decantò
spesso i torrenti cristallini che muovevano pale di mulini e paragonò l’acqua
dei fiumi ai vini più gustosi.
Il più importante affluente del Tevere è ancora oggi il Treja, che
attraversava il cuore del territorio falisco e sulle cui sponde vissero e si
svilupparono i due centri principali del territorio: Narce e Falerii Veteres.
Insieme al bacino idrografico del Treja, i corsi d’acqua che percorrono
l’Agro Falisco, e sulle quali sponde sorgono la maggior parte dei centri, sono
il Rio Maggiore, il Rio Vicano, il Rio Fratta, il Rio delle Sorcelle ed altri
ancora, anch’essi tributari del Tevere.
Tra i laghi vulcanici della regione, molto singolare è il Lago di Vico –
507 m.s.l.m.- che occupa la parte centrale dell’apparato vulcanico Cimino.
Come già accennato prima, tra la cinta craterica e il cono di Monte Venere è
rimasto un atrio circolare, che, cessata l’attività eruttiva, fu per intero
occupato da un lago a forma di anello perfettamente chiuso. Il bacino lacustre
così formato era alimentato quasi esclusivamente da piogge.

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Bacino lacustre di Vico visto dai Monti Cimini.

Nel XVI secolo fu scavato un emissario artificiale, consistente in un


cunicolo che si riversa nel fosso Vicano, affluente del Treja e perciò del
Tevere. Ne derivò un abbassamento del livello delle acque di circa 20 m.e per
conseguenza il prosciugamento della parte settentrionale del lago, dove non
rimase che un’area acquitrinosa, le pantanacce; lo specchio lacustre assunse
quasi la forma di un ferro di cavallo, del perimetro di 18 km. L’area è di poco
superiore a 12 kmq, la massima profondità di 49,5 m. ed un bacino imbrifero
di 30 kmq.
I bacini lacustri dell’apparato vulcanico Sabatino erano in origine
cinque: Bracciano, il più esteso, Martignano, i laghi di Baccano e

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Stracciacappe, ora prosciugati, e , un po’ più lontano a nordest, il piccolo


laghetto di Monterosi.
L’origine del lago fu attribuita alla fusione di cavità crateriche contigue.
Una parte notevole del contorno del lago sembra formata da crateri minori
sventrati in direzione del lago stesso. Uno, quanto mai caratteristico, è a nord
quello di Trevignano, che invaso dalle acque forma una singolare appendice
del lago.
Il lago ha una forma quasi circolare e per sé un modesto bacino
imbrifero (93 kmq): è alimentato da piccole sorgenti e da numerosi fossi.
In origine era un lago chiuso: fu captato dall’Arrone quando la più
profonda slabbratura dell’orlo craterico, ad est di Anguillara, fu
progressivamente abbassata per erosione. Ma quando fu costruito
l’acquedotto Paolo, che porta a Roma le acque delle sorgenti Traiane, furono
in esso immesse, per accrescerne la portata, le acque del lago, cosicché per
questo intervento dell’uomo si verificò la singolarità che il lago è in parte
tributario del Tevere per le acque immesse nell’acquedotto, in parte del
Tirreno cui va l’Arrone. Alla fine del XVIII secolo l’incile dell’Arrone fu
sbarrato da una diga e ad essa fu aggiunto nel 1877 uno sfioratore. Oggi come
smaltitore permanente del lago funziona l’acquedotto Paolo; quindi il livello
delle acque si eleva a più di 70 cm. Sopra la soglia di presa dell’acquedotto, il
soverchio è immesso nell’Arrone. Il lago ha oscillazioni interne, simili alle
sesse.

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1.4 Aspetti del clima e della vegetazione


Il clima di un territorio è determinato da parametri atmosferici quali la
temperatura dell’aria, le precipitazioni, l’umidità, l’intensita della radiazione
solare, associati alle caratteristiche delle superfici quali pendenza, copertura
vegetale, tipo di suolo. Dal punto di vista climatico, il territorio presenta
maggiori affinità con i territori limitrofi della Toscana meridionale dove, in
genere le scarse precipitazioni vengono compensate dall’elevata ritenzione
idrica dei suoli.
Emerge pertanto una netta autonomia di questo territorio rispetto alla
porzione più meridionale del Lazio.
Tutta la Tuscia è aperta all’influenza delle correnti umide del Mar
Tirreno da cui deriva una generale caratterizzazione del clima in senso
oceanico, fattore del clima in senso oceanico, fattore di grande importanza per
la determinazione delle caratteristiche della flora e della vegetazione
spontanea dell’agro.
L’area presa in esame si inserisce in un contesto climatico di
transizione tra la regione a clima temperato, caratteristica della fascia
preappenninica e appenninica, e la regione mediterranea che si estende lungo
il versante tirrenico del Lazio. La zona di passaggio dall’una all’altra regione
può essere considerata la valle del Tevere. Nell’agro Falisco è presente
dunque un clima temperato ad inverno marcato a ridosso del corso del Tevere
e dei Monti Cimini.
L’isoterma annua è di circa 16°C: gennaio il mese più freddo (7°- 9°C),
luglio il mese più caldo (25°-26°C). L’escursione media diurna è di ca. 9°C

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per il mese di gennaio e di oltre 12°C in luglio. Le precipitazioni presentano


una media tra 850 – 1000 mm di pioggia.
Il Lazio vulcanico è di origine geologicamente recente e perciò non vi
si possono ricercare piante endemiche in gran numero.
Predomina nell’Agro Falisco la macchia mediterranea vera e propria,
la prateria e la steppa, il bosco di alto fusto.
La macchia è stata la più colpita da distruzioni che sono arrivate fino
all’estirpazione radicale. Da non dimenticare i rilievi dei Cimini coperti di bei
boschi con faggi e castagni.

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