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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

CAPITOLO 4
LE SEDI UMANE ABBANDONATE

4.1 La situazione economico – demografica fino al XIV secolo.

Nel XIII secolo termina nel Lazio l’aumento del numero degli abitanti,
e cominciano gli abbandoni, con concentrazione umana nei pochi centri
maggiori. Per delineare un quadro completo degli insediamenti esistenti,
purtroppo le liste delle tassazioni del sale e quelle del focatico, non forniscono
che un quadro di massima, incompleto per via dei centri esentati dal
pagamento, o perché risalendo alla metà del XIV secolo, colgono il fenomeno
degli abbandoni già ad uno stadio avanzato.
Per scoprire il tipo di insediamento nei secoli precedenti occorre basarsi
sulle liste dei feudi delle città maggiori, e sui documenti del Liber Censuum,
che riporta le somme pagate all’erario da ogni centro, anche dai più piccoli.
Per il 1319 rimane poi una lista di centri soggetti all’autorità pontificia
nel Patrimonio, contenuta in una relazione inviata dal Rettore del Patrimonio
al Pontefice in Avignone. Ma in essa sono elencati una quarantina di piccoli
centri, con i censi pagati, i quali attestano così le loro condizioni di vita. Dalla
lista si evince che ne fanno parte centri dell’agro falisco.1

1
M. ANTONELLI, Una relazione del Vicario del Patrimonio a Giovanni XXII in
Avignone, “Arch. Soc. Rom. Storia Patria”, XVIII, 1895, pp. 447-467. Tra le città e i castra
elencati figurano: Sutri, Nepi, Civita Castellana, Orte, Gallese e Bassano in Teverina.

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L’abbandono delle sedi non è distribuito uniformemente nel cosiddetto


Patrimonio di San Pietro o Tuscia Suburbicaria, ma possono individuarsi
almeno sei aree nelle quali il fenomeno si è sviluppato in maniera diversa.
Ripetto alle aree della Vulsinia e della Maremma Laziale, quelle dei
Monti Cimini, del Vulcano Sabatino, della Val Tiberina a nord di Roma e
della Campagna Romana presentano un numero maggiore sia per la quantità
di sedi umane e degli abitanti preesistenti, sia per gli abbandoni.
Poiché il soggetto della discussione è l’insediamento nel Medio Evo, è
forse più opportuno fare riferimento alle denominazioni territoriali allora in
uso, per le sette province in cui era diviso il Lazio e cioè: Tuscia, Collina,
Romagna ed Abbazia di Farfa, Sabina, Tivoli e Carsoli, Campagna e
Marittima.
La Tuscia, comprendeva la fascia costiera, dal confine con la Toscana
fino a Roma, e si addentrava nell’interno per 20-30 km. fino alle ultime
propaggini costiere dei sistemi orografici Vulsinio e Cimino. In essa le città
principali erano Castro, Montalto di Castro, Tuscania, Tarquinia, Vetralla fino
ai centri estremi dell’Agro Falisco come Capranica, Sutri, e alla linea dei
crateri del vulcano Sabatino con i centri di Bracciano, Trevignano, Anguillara
e Monterosi.
La Collina, della quale quasi tutto L’Agro Falisco ne faceva parte, era
composta dalla rimanente porzione del vulcano Cimino, con i grandi centri di
Viterbo, Caprarola, Ronciglione e Vico; la Val Tiberina con Orte, Gallese,
Bomarzo con Bassanello, e la parte della Campagna Romana a nord di Roma,
con i centri di Campagnano, Sacrofano, Morlupo, Sorbo, Formello, Riano,
Filacciano, Ponzano Romano, Rignano Flaminio ed altri.

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Romagna ed Abbazia di Farfa e la provincia della Sabina


comprendevano una parte dell’odierna provincia di Terni e di quella di Rieti,
mentre la provincia di Tivoli e Carsoli, Campagna e Marittima includevano il
resto del territorio a sud ed ovest di Roma.
È molto difficile cercare di valutare la consistenza della popolazione
nel corso di tutto il medioevo in quanto non ci sono documenti attendibili.
Le fonti più valide sarebbero i registri del focatico, una delle tasse più
importanti riscosse in ogni tipo di centro, piccolo o grande che sia, dello Stato
Pontificio. Purtroppo i registri sono andati quasi tutti dispersi tranne quello
del 1298 e del 1324, tra i quali non vi è una grossa differenza: solo alcuni
castelli sono soggetti ad un pagamento maggiore. Per i classici centri la
somma dovuta è praticamente la stessa.

1298 1324
Civitas Castrensis 64 libr. Papar. 63 libr.
Civitas Nepesina 25 >> >> 25 >>
Civitas Sutrina 60 >> >> 60 >>
Civitas Ortana 120 >> >> 120 >>
Castrum Gallesii 28 >> >> 28 >>
Castrum Corclani 4 >> >> 4 >>

Secondo Tomassetti e altri studiosi per ogni fuoco si pagavano in media


4 soldi e dunque, l’intera popolazione dei centri del Patrimonio di S. Pietro in
Tuscia, esaminata nella due liste, si aggirerebbe intorno alle 30.000 unità.
Tale cifra però non rappresenta l’intera popolazione del Patrimonio, in
quanto mancano nella lista città e castelli quali Viterbo, Civita Castellana.

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Ronciglione, Vico e altre terre, che , come risulta dai registri del sale erano
invece abitate nei secoli XIV e XV.
Altri documenti utili per individuare la quantità della popolazione delle
due province di Tuscia e Collina, sono i registri del sale.
Due autori come il Tomassetti e il Pardi si sono interessati a questo
problema, giungendo però a conclusioni differenti.
Il Tomassetti, prende come unità di misura il rubbio romano usato nel
Medio Evo per calcolare la quantità di sale, pari a 294,46 kg.
Ed in base a tale dato, egli era giunto a stimare la popolazione del Lazio
in 500.000 unità, cifra troppo alta per il periodo medievale, tenendo conto di
tutti i fattori demografici negativi del tempo.2
Il Pardi invece affermò che il rubbio romano usato nel medioevo non
poteva essere pari a 294,46 kg, ma, similmente a misure usate nella stessa
epoca nelle altre regioni d’Italia, doveva equivalere a circa 113 kg. Sapendo
che per ogni abitante erano attribuiti in media 7 kg in un anno, si potrebbe
calcolare la popolazione del Patrimonio intorno alle 63.000 unità.
Aggiungendo tutti quelli che per legge erano esentati, e che possono essere
calcolati ad un terzo del totale, si arriverebbe a una popolazione globale di
oltre 84.000 unità.3 La tabella seguente riporta i castra o le civitas e le
rispettive tassazioni quali appaiono dal Liber secunde imposite salis et
Focatici anni MCCCCXLVI (ASR-Camera Urbis, vol. 290).4

2
G. TOMASSETTI, Del sale e del focatico del comune di Roma nel medio evo, Arch. Soc.
Rom. Storia Patria, XX, 1897.
3
G. PARDI, La popolazione del Distretto di Roma sui primordi del Quattrocento. Arch.
Soc. Rom. Storia Patria, XLIX, 1926.
4
S. CONTI, Le sedi umane abbandonate nel patrimonio di S. Pietro. Olschki, Firenze
1980.

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Nome dei castra Rubbi di sale


Sutri 60
Nepi 20
Civita Castellana 60
Fabrica di Roma 10
Gallese 40
Corchiano 10
Orte 100
Ronciglione 20
Faleria 5
Capranica 25

Basarsi sulle liste del sale per calcolare la popolazione dello Stato
Romano nel Medioevo, può essere azzardato, anche perché i registri del sale
riportano, almeno fino a quello del 1451, le medesime quantità anche quando
le sedi umane appaiono fra le terre destructe et inhabitate.
In alcuni registri (posteriori a quello del 1416, e ancora inediti) oltre ai
rubbi di sale sono riportati anche i focularia, ma solo per un ristretto numero
di castra.
Occorre dire che comunque non c’era nessuna relazione fra i due tipi
di misure: ad ogni quantità di sale corrispondeva di volta in volta un numero
diverso di fuochi. Da ciò si evidenzia come le cifre, ottenute mediante il
calcolo sui rubbi, siano molto ipotetiche, e che con molta probabilità le
quantità di sale, per le quali ogni paese veniva tassato, non dipendevano solo
dal numero degli abitanti, ma da ciò che ogni insediamento poteva rendere
economicamente prescindendo dall’entità della popolazione.

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Solo dal 1656, quindi, ci si può basare su calcoli del censimento


ufficiale dello Stato, effettuano per diocesi, tramite parroco.
Di questo censimento sono completi i dati riguardanti il Patrimonio, di
cui faceva parte amche la diocesi di Orvieto. Le cifre della popolazione per
quanto riguarda la provincia del Patrimonio sono di 94.692 abitanti. Nel
censimento del 1701 la popolazione ammontava a 119.439 abitanti.
Nella tabella seguente saranno proposti i dati di alcuni centri dell’agro
falisco nelle tre date esaminate: la lista del sale secondo i calcoli del Pardi e le
successive quantità rilevate nei censimenti del 1656 e del 1701 da F.
Corridore.5

Città e Castra Popolaz. al 1416 1656 1701


Sutri 1200 1264 1773
Civita Castellana 1200 1955 2035
Nepi 400 959 1534
Corchiano 200 503 1210
Gallese 800 1139 1268
Faleria 100 321 635
Orte 2000 1996 2522
Fabrica di Roma 200 829 1641
Carbognano 200 1051 1100
5
F. CORRIDORE, La popolazione dello Stato Romano (1656 – 1901), Roma, Loscher
1906.

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È difficile anche conoscere gli elementi amministrativi e fiscali utili


per ricostruire l’economia laziale del medioevo. La maggioranza delle entrate
statali erano rappresentate dai cespiti forniti dalle tasse imposte dal governo
centrale e riscosse tramite il rettore ed i suoi ufficiali.
Le tasse principali erano, come si è visto, il focatico e la tassa sul sale;
ad esse occorre aggiungere altre due imposte dirette quali la Tallia militum e
la Procuratio. La Tallia militum era pagata da ogni centro, sia grande che
piccolo, per mantenere servizi di guardiani sulle vie pubbliche e la Procuratio
era destinata a reperire fondi per onorare il rettore delle province.
Ben altra importanza avevano altre rendite derivate dall’uso del
demanio pubblico: il terratico e l’erbatico. Quest’ultimo diventò col tempo
una delle tasse più importanti: si trattava del prezzo dell’affitto che i padroni
delle greggi pagavano per l’uso delle terre a pascolo, in un determinato
periodo di tempo, che variava a seconda delle città. La tassa era fissata a tre
fiorini e mezzo per ogni cento pecore nel 1354, e a sei soldi e otto denari per
ogni capobovino. L’importanza data all’erbatico fa capire come ormai nel
XIV secolo fosse già avviato quel processo di trasformazione del territorio
laziale in un grande latifondo tenuto a pascolo.
Da altre imposte si ricavavano buoni introiti. La più importante era
quella del Passagium, il pedaggio cioè che i viaggiatori, specialmente
mercanti e pellegrini, dovevano pagare per attraversare il territorio di
determinate località. I luoghi del Patrimonio ove era richiesto il pedaggio
erano molti e fra queste troviamo Gallese e Sutri nel territorio falisco.

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Dunque in tutto il Lazio, come abbiamo già visto nel capitolo


prercedente, fino al XIV secolo l’attività economica predominante fu senza
dubbio quella agricola. In tutti i documenti si parla sempre di colture di grano,
orzo, lino e canapa; mentre addirittura nei territori di alcuni piccoli centri non
era possibile esercitare la pastorizia; quest’ultima si espanderà solo nel XIV
secolo e con essa i pascoli latifondistici.

4.2 Il popolamento e gli abbandoni delle sedi umane.

Il 1305, anno del trasferimento della sede papale in Avignone, fu, per la
storia del Patrimonio di S. Pietro, una data particolarmente importante, in
quanto nello Stato Pontificio si passò da un governo diretto ad una
amministrazione affidata ai vari Rettori del Patrimonio, che favorirono al
massimo gli interessi particolari, facendo nascere continue rivalità, non solo
tra i feudatari, ma anche fra città e città e comune e comune.
È della prima metà del XII secolo il periodo della formazione dei
Comuni nel Patrimonio, il quale portò oltre a lotte per il predominio nel
territorio e scontri per motivi religiosi e politici, anche novità per quanto
concerne le sedi.
In questi secoli era poi continuato il fenomeno dell’incastellamento, e i
pochi abbandoni accertati, avvenuti nel XII secolo, furono dovuti a fatti
bellici, connessi con lo strapotere esercitato da Viterbo sui centri e comuni
limitrofi. L’altro grande comune del Patrimonio, oltre a Viterbo e Roma, fu
Tuscania, abbastanza presto inclusa però nell’ambito territoriale del Comune

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di Roma. Probabilmente è da ascrivere a questo periodo la scomparsa di


piccoli e numerosi borghi e castelli che si trovavano intorno alla città di
Tuscania, e dei quali si ignora l’epoca e la causa della scomparsa.
Nel XII secolo si riaccesero più violente le lotte tra le varie famiglie
feudali, degli Orsini, Colonna, Caetani e Vico. Alla fine del XIII secolo, con
l’ascesa al soglio pontificio di Benedetto Caetani, col nome di Bonifacio VIII,
la lotta fra le famiglie dei Colonna e dei Caetani interessò anche una parte
della provincia Collina (dove i feudi dei Colonna erano meno numerosi e più
piccoli): fu distrutto infatti sia il castello della Colonna, piccolo feudo situato
a nord del torrente Vezza (a nord di Viterbo), sia il centro di Ponte Nepesino,
posto a guardia del guado sul fosso Cerreto, a metà strada fra i centri di Nepi
e di Monterosi.
Gli abbandoni che si contano nel XIII secolo sono solo un 15% del
totale di quelli avvenuti nel Patrimonio della Chiesa. Dal 1305, come si è
detto, le vicende politiche degli stati pontifici divengono sempre più caotiche,
con le forze della feudalità e dei comuni, in guerra alternativamente fra di loro
e contro l’autorità papale, avendo quale campo di battaglia il territorio del
Patrimonio. I primi a decadere furono i centri più piccoli, soprattutto perché
legati sia economicamente che politicamenti ad un centro maggiore.
Fra circa quaranta centri che andarono distrutti nel corso del XIV
secolo, la metà vennero distrutti per motivi bellici, ma sempre nello stesso
secolo altri due avvenimenti contribuirono al depauperamento della
popolazione: la peste nera del 1348-1349 e un fortissimo terremoto che colpì
l’area di Tuscania e Viterbo nel 1349, che interessò anche i centri al di sotto
dei monti Cimini. Santa Maria di Falleri decadde come abbazia proprio in

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seguito al terremoto, anche se le più tarde notizie documentate risalgono alle


decime del 1298, mentre nel 1392 è già indicata come ridotta a tenuta.
Dei centri scomparsi nell’Agro Falisco, gran parte avvennero nel corso
del XIV secolo, anche a causa del diffondersi della malaria, che colpì si la
maremma laziale e la provincia della Tuscia, ma non è detto che la sua
recrudescenza influì sui centri più deboli e meno arroccati.
Al XIV-XV secolo risultano duque gli abbandoni di Isola Conversina,
Martignano, Nuncilianum, Stracciacappe, Aliano, Casamala, Castiglione e
Cinciano, Filissano e Torricella di Gallese. A questo spopolamento contribuì
senza dubbio la mutata utilizzazione del territorio.
Alla metà del XIV secolo era stata fondata la Dogana pecudum dello
Stato Pontificio, simile a quella che Federico II aveva organizzato nel
Tavoliere delle Puglie. Essa consentiva il libero pascolo, dietro pagamento
della fida, riservando all’agricoltura solo un terzo del territorio stesso.
Oltre alla fida i Doganieri del Patrimonio esigevano dai pastori, che
conducevano il bastiame transumante nei territori dello Stato della Chiesa,
anche il pagamento della tratta, una tassa per i capi di bestiame, al momento
del ritorno alle regioni di provenienza, o anche per passare da una provincia
all’altra. Queste imposizioni attestano come sia lo Stato, sia i proprietari dei
territori a pascolo, tenessero a questa forma di economia, a tutto danno
dell’agricoltura, ridotta sui terreni a latifondo, ad essere praticata solo per
alcuni mesi dell’anno.6
6
Fida o Alfida, Imposta che i proprietari delle greggi transumanti dovevano pagare al
Doganiere dei Pascoli per il libero pascolo in tutte le tenute demaniali. La Fida veniva
pagata ogni 100 capi di bestiame e dava agli affidati una posizione particolarmente
privilegiata in quanto non solo permetteva la libera circolazione delle greggi, ma forniva
anche agli affidati un indennizzo per qualsiasi danno venisse arrecato o al bestiame o alle

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In queste grandi estensioni a pascolo l’unità d’insediamento diviene il


Casale. A differenza del Casale alto-medievale, che era un tipo elementare di
villaggio, il casale dei secoli XV-XVI diviene un semplice edificio, molto
spesso fortificato, ed in cui i pastori transumanti si radunavano con le greggi,
e dove venivano prodotti i derivati del latte. Molte volte il casale moderno
poteva servire anche come magazzino per gli scarsi raccolti, o rimanere il
centro amministrativo del latifondo stesso; ma ormai nei casali non c’è più
traccia di insediamento permanente.
Nel 1476 Sisto IV emanò una costituzione con la quale si cercava di
incrementare l’agricoltura. Infatti stabilì e ordinò che fosse lecito a tutti
rompere, arare e coltivare le campagne del territorio del Patrimonio di S.
Pietro in Tuscia secondo i tempi debiti e le consuetudini.
Questo provvedimento non ebbe però i risultati sperati; infatti i centri
che erano stati abbandonati, non solo non rinacquero, ma agli abbandoni
registrati dalle tassazioni del sale spesso se ne vennero aggiungendo anche
degli altri.

4.3 I centri abitati abbandonati7

persone fisiche. Inoltre gli affidati potevano comprare nell’ambito dello Stato ogni tipo di
viveri, anche quelli necessari al bestiame. La somma da pagare da parte degli affidati era di
25 ducati d’oro per 100 bestie grosse e di 5 ducati e mezzo per 100 bestie minute.
Tratta, Tassa pagata per i capi di bestiame quando le greggi lasciavano il territorio del
Patrimonio per far ritorno alle regioni di provenienza o per passare da una provincia
all’altra.
7
S. CONTI, Le sedi umane abbandonate…, op. cit.

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1) Secolo XI
FALERI NOVI E SANTA MARIA DI FALLERI
Alla distruzione di Falerii Veteres, avvenuta nel 241 a.C., gli abitanti
superstiti stipularono con i Romani un foedus per il quale poterono edificare
una nuova città, che sorse a circa 6 km di distanza: Falerii Novi. La nuova
città, al contrario sorse su un piano; fu cinta da mura, di cui resta intatta
l’intera cerchia, che misura 2108 m, con 9 porte, delle quali le principali sono
quelle a nord (o porta di Giove) e quella di sud-est (o porta del Bove).
La scelta del sito fu probabilmente dovuta sia alla natura del terreno, sia
alla fitta rete di strade che la servivano: la via Amerina che attraversava la
nuova città da Sud a Nord, la via Flaminia che passava a sud e che era
collegata con l’Amerina dalla Falerina, la via Sacra che univa l’abitato
all’antico tempio di Giunone in Falerii Veteres, una via verso i Cimini, una
verso Sutri ed infine una diretta al porto sul Tevere, all’altezza di Borgo
S.Leonardo (oggi Borghetto).

Pianta di Falerii Novi, S. Maria di Falleri (Fonte: SEBASTI R., Storia degli insediamenti
nella zona del Parco suburbano del Treja. Regione Lazio, Comuni di Mazzano R. e Calcata 1999).

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Con la caduta dell’Impero Romano e la conseguente scarsa sicurezza


delle strade e dei centri di pianur, l’importanza di Falerii Novi, che nel 465
era divenuta sede di vescovato, diminuì, e con essa subirono un processo di
involuzione il territorio e le strade di collegamento.
L’importanza sempre maggiore di Civita Castellana, che stava sorgendo
sulle rovine di Falerii Veteres, portò al trasferimento in essa della sede
vescovile da Falerii Novi. Questi avvenimenti, intorno all’anno 1000,
coincisero anche con il totale abbandono, da parte della cittadinanza,
dell’insediamento romano. Verso la fine dell’XI secolo vi fu eretta una chiesa

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dedicata alla Vergine Maria, e vi sorse accanto un monastero cistercense, al


quale furono conferiti privilegi dal 1145 al 1188; il 12 gennaio 1155 Adriano
IV lo esentò dal pagamento di ogni tassa. Nel 1255 il monastero è menzionato
tra i possedimenti dell’Abbazia delle Tre Fontane e di San Giusto di Tuscania,
come “1/2 Castel Falare con la Chiesa di S.Maria”. è l’unica volta che la
chiesa e il monastero di S.Maria di Falleri vengono indicati come castello, il
che può far pensare ad una fortificazione del vecchio centro.
Nel 1392 fu ridotta a tenuta e passò in proprietà all’Ospedale romano di
S.Spirito in Sassia. Fu poi venduta al Ducato di Castro e ne seguì la sorte,
venendo incamerata nel 1649 dalla Camera Apostolica.

Falerii Novi: Porta di Giove

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2) Secolo XII
CAPRACORUM
Fu una delle quattro Domuscultae istituite nell’Alto Medioevo da Papa
Adriano I. sorse tra il 772 e il 795, nel territorio tra l’antica città di Veio (la
medievale Insula Pons Veneni, l’odierna Isola Farnese) a sud e l’Ager
Faliscus a nord.
Nel Liber Pontificalis è citato l’atto di fondazione, con cui la nuova
Domusculta veniva dotata di fondi, masse, casali, vigneti, oliveti, mulini, per
garantirle una vita autonoma, ed anche una chiesa con il nome di S.Cornelio
(attuale chiesa di S.Cornelia). Questa, come le altre domuscultae, non
avevano un territorio fortificato, né un unico nucleo urbano, ma più nuclei
isolati, che daranno vita a centri autonomi, differenziati tra loro.
Dalla fine del IX secolo lo smembramento e la dissoluzione della
domusculta di Capracorum furono agevolati dalle scorrerie, nella Campagna
Romana, dei saraceni, con il conseguente ritiro della popolazione in luoghi
sicuramente meglio difendibili e lo spopolamento di parte della pianura; vi
contribuì inoltre l’incastellamento intorno all’anno 1000, che portò alla
fondazione di moltri castra derivati da Capracorum: Mazzano Romano,
Calcata, Faleria o Stabia, Formello e Campagnano.
Nei documenti successivi al Liber Pontificalis, poche citazioni
riguardano Capracorum, non più come domusculta, ma come castrum, come
appare evidente in documenti della basilica di S.Pietro, proprietaria di buona
parte del territorio. La trasformazione della domusculta si completò allorché il
monastero di S.Cornelio divenne un’entità a sé stante, staccato dal suo

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territorio amministrativo, di cui il monastero stesso era stato il nucleo


centrale.

3) Secolo XIII
FRATTA
Tra il Rio Fratta ed i Fossi di Fustignano e delle Rote si trova un
territorio detto Piazza Castello, fra i 137 ed i 173 m, in cui si trovavano due
casali che portano il nome di Fratta. Quasi sicuramente qui sorgevano
l’abitato ed il castello di Fratta (F. 137 II SE).
Le prime notizie sul castello di Fratta sono del XIII secolo; passò
attraverso il possesso di vari feudatari e poi fu incamerato nei possedimenti di
Viterbo. Dopo il 1307 non si ha di Fratta più alcuna notizia e si ignorano i
motivi del suo abbandono. Probabilmente decadde per il prevalere dei centri
maggiori quali Orte e Gallese.

PONTE NEPESINO
Il centro di Ponte Nepesino fu uno dei feudi della città di Nepi. Sorse
tra la città stessa e la località di Settevene, posta più a sud, presso Monterosi.
L’individuazione del centro è stata notevolmente difficile in quanto
nelle carte topografiche di questo secolo il toponimo non figura. Solo nella
prima levata della Carta Topografica del 1887, al quadrante I del foglio 143,
si legge “Ponte Nepesino”, subito a nord del Casale dell’Umiltà.

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Numerosi resti se ne vedono presso il Ponte che supera il fosso Cerreto,


lungo la strada che da Nepi conduce alla via Cassia, prima dell’abitato di
Monterosi (F.143 I SE).
Le prime notizie di Ponte Nepesino non sono molte, anche se dovette
essere un centro strategico abbastanza importante, grazie alla posizione presso
il guado sul Cerreto, ed un nodo stradale fra le città di Nepi e Monterosi.
Nel 1297, essendo feudo dei Colonna, fu al centro delle lotte di
Bonifacio VIII contro la potente famiglia romana; venne confiscato e, per
sminuirne l’importanza ne vennero distrutti la torre del ponte e la porta. È da
allora che comincia la sua decadenza, la quale dovette essere piuttosto rapida,
dal momento che non se ne hanno più notizie nelle tassazioni successive. Solo
nel 1455 è citato come tenuta dove gli abitanti di Nepi potevano far pascolare
le proprie greggi.

4) Secolo XIV
ISOLA CONVERSINA
Il sito di Isola o Insula Conversina si trova presso Nepi, nella parte
della valle ove scorre un fosso, ancora oggi chiamato il Fosso dell’Isola e che
sfocia nel Treia presso Civita Castellana (F.143 I NE). L’odierna “Tenuta
dell’Isola” ha, nella parte più inaccessibile, quella di “La Torre”, alla
confluenza tra il fosso dell’Isola e il Fossitello, i resti delle costruzioni più
antiche. Sembra che il nome, abbastanza insolito, gli derivi dall’essere quasi
totalmente circondata dalle acque che scorrono nei profondi valloni, dai quali
è delimitata.

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Dell’Insula Conversina si hanno notizie fin dall’989, quando il


monastero dei SS. Cosma e Damiano ricevette il castrum in locazione con il
mulino annesso, che sembra sia stata la fonte principale degli introiti.
È annoverato come feudo nepesino con il nome di Castrum Insula
Conversina. Agli inizi del XIV secolo è tassato per un focatico di 1 fiorino:
segno che la sua popolazione doveva essere molto scarsa. Risulta elencato nel
registro Romano-Senese, per 10 rubbi di sale; mentre nella tassazione del
1416 non è nominato.
In un atto del 1427 si legge castrum inhabitatum…Insulae Conversine,
e vi si dice che il castrum vantava diritti e pertinenze verso Corchiano e verso
la Montagnola, ossia verso il ricchissimo feudo dei Vico, “Praefecti Urbis”.

MARTIGNANO
Immediatamente a nord-est del lago craterico di Martignano (207 m),
sorse nel Medio Evo il centro omonimo (F. 143 II NO).
Dapprima Fundus Martinianus facente parte della massa Cesana, fu
assegnato al vescovo di Silva Candida nel 910 dal papa Sergio II e
riconfermato da Giovanni XIX nel 1026 e da Benedetto IX nel 1033. Dopo lo
smembramento della massa Cesana, avvenuto nel XII secolo, nella località di
Martignano sorsero un castello e un borgo, che divemmero proprietà della
famiglia Curtabraca, mentre il lago apparteneva alla libera “Università” di
Campagnano.

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Nella prima tassazione del sale Martignano paga 10 rubbi, mentre nel
1416 figura tra le terre ad presens destructe et inhabitate.
All’abbandono contribuirono senza dubbio sia le due epidemie di peste
che colpirono il Lazio nel 1381 e nel 1390, sia le lotte feudali fra il XIV e il
XV secolo, combattute dalle varie casate romane e fra loro e contro i Rettori
del Patrimonio, sia la recrudescenza della malaria, per l’impaludamento delle
vicine conche di Baccano, Stracciacappe e Lagosello. Sul luogo dell’antico
castello, mediente l’utilizzazione parziale delle fondamenta, fu costruito un
casale che figura in molte carte del Lazio, come ad esempio, quella del 1640
del Ducato di Bracciano di Jacomo Oddi.

NUNCILIANUM O RONCIGLIANO
In un’area fittamente coperta da vegetazione boschiva, fra i centri di
Campagnano Romano, Nepi, Mazzano Romano, sorgono i ruderi dell’abitato
medievale di Nuncigliano, detto anche Roncigliano, come risulta da alcuni
documenti. Il territorio è oggi nei due quarti di Roncigliano e Ronciglianello.
Le prime notizie su Roncigliano risalgono ad un atto del Codex
Diplomaticus S.Sedis del 1295. la località appare nella prima tassazione del
sale per 10 rubbi; la sua distruzione e il suo abbandono, di cui si ignorano i
motivi, dovettero avvenire tra la fine del XIV e l’inizio dei XV secolo, in
quanto già nella seconda tassazione, quella del 1416, è fra le terre “destructe
et inhabitate”.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

Si trova ancora menzionato nel 1445 in un atto del monastero di San


Paolo; in seguito non se ne ha alcun centro; solo nelle carte del Lazio del
XVII secolo si rinviene la scritta di Nuncigliano diruto.

STRACCIACAPPE
Pochi chilometri a nord del lago di Martignano, si trova l’alveo
prosciugato del Lago di Stracciacappe, piccolo bacino craterico, facente parte
del sistema sabatino, presso le cui conche lacustri di Bracciano, Martignano,
Baccano, Monterosi e Lagosello, sorsero in epoca classica e medievale
numerosi centri abitati, che in parte sopravvivono ancora oggi.
Ricordato come fundus nella Bolla del 1053, accanto a quello di
Baccano appartenente al monastero di S.Pietro in Vaticano, vi fu costruito nel
corso del XII e XIII secolo il castello e successivamente l’abitato. Il suo
territorio era piuttosto ampio, in quanto in un atto del Tabularium
dell’Archiospedale di S.Spirito in Sassia si nominano i suoi confinanti, che
erano: Campagnano, Martignano, Anguillara, Trevignano e Monterosi.
Di Stracciacappe si hanno parecchie notizie per tutto il XIII secolo, e
nel Registro Romano-Senese appare tassato per 10 rubbi. Altrettanto paga nel
1416, ma appare tra le terre destructe et inhaabitate. Nel XVI secolo infine è
venduto come tenuta.
Nella carta dell’Oddi del 1636 sono segnate la torre ed il borgo di
Stracciacappe, mentre nel catasto Alessandrino del 1660 vi è ormai la sola
tenuta. L’area di Stracciacappe, come quella di Baccano, divenne ben presto
malarica, a causa dell’impaludamento e del ristagno delle acque.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

5) Secolo XV
ALIANO
I toponimi di Aliano e di contrada Aliano attualmente si riferiscono ad
un vasto territorio, fra la città di Vignanello ad ovest e quella di Gallese ad est
(F. 137 II SE e II SO). Esso è delimitato a nord dai Fossi di Pian di Castagno
e di Aliano e a sud dai Fossi di Piedilupo, del Carroccio e di S.Bruna.
È un’area piana, fra i 200 ed i 300 m, ricca di acque e sorgenti, da
tempo con destinazione boschiva e agricola, come attestano vari toponimi
(Castagno, Carpineto, Selva, Campo Olivo, Vignali) oggi coltivata a vigneti,
con un insediamento sparso, che ha dato vita ad un fitto reticolo stradale. La
Torre di Aliano è posta in uno dei punti più elevati, a 309 m.
Alianum appare per la prima volta nel 1175 in un diploma della città di
Viterbo, come a lei soggetto, mentre nella Cronaca di Gallese risulta infeudato
alla stessa città di Gallese. Nel XIII secolo passò in mano agli Orsini; figura
nella decima sessennale della Diocesi di Orte del 1274-1280; distrutto una
prima volta nel 1283 dovette essere riedificato, in quanto in una relazione del
1320 è nominato come Castrum Aliani, pagante il tributo camerale. Nel
Registro Romano-Senese Alianum è tassato per 10 rubbi annuali di sale.
Alcune cronache locali pongono la sua distruzione definitiva fra il 1400
e il 1434, per mano di compagnie di ventura. È logico porre la sua distruzione
intorno agli inizi del XV secolo, in quanto nella tassazione del 1416, pur
continuando ad essere tassato per analoga quantità di sale, figura fra le terre

114
CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

ad presens destructe et inhabitate. Anche tutte le altre tassazioni dal 1422 al


1459 riportano Alianum fra le terre destructe.
Altri autori pongono l’abbandono definitivo del centro, detto anche
Roccabruna, nella seconda metà del XVII secolo, e ne indicano la causa nel
brigantaggio, che toglieva sicurezza ai piccoli abitati.
Per Aliano non si può parlare di una causa esclusiva dell’abbandono,
ma un insieme di concause, fra le quali il prevalere di centri vicini come
Gallese e Orte.

Ruderi della Rocca di S.Bruna in località Aliano.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

CASAMALA
Il Silvestrelli8 parla di due distinti centri dai nomi di Casale e
Casamala, che dovevano essere fra loro molto ravvicinati, sulla falda orientale
del Monte Cimino. In nessun documento si trovata traccia di Casale, mentre
fin dal X secolo vi è menzione di Casamala. Probabilmente il Casale del
Silvestrelli (odierna tenuta di Casale) era solo una parte dell’abitato più
grande di Casamala. L’identificazione di Casale sulla carta topografica è
facile, nelle vicinanze di Ronciglione, Caprarola e Fabrica di Roma, tra il
Fosso Maggiore a sud ed il Fosso di Valle Cupa a nord. (F. 143 I NO), mentre
di Casamala non c’è traccia.
Il primo documento relativo a Casamala è del 992, nel Tabularium di
Santa Maria in Via Lata; essa vi è qualificata come locus, mentre in un atto
del 1025 dello stesso Tabularium è indicata come castellum. La si ritrova
citata nel 1085 nelle carte del monastero dei SS. Cosma e Damiano. Il castello
di Casamala ricorre in tutte le tassazioni del sale (20 rubbi annuali, come gli
altri centri vicini e ancora oggi esistenti di Caprarola e Carbognano).

8
G. SILVESTRELLI, Città, castelli e terre della regione romana. Ricerche di storia
medioevale e moderna sino all’anno 1800. Roma, Multigrafica Editrice 1970.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

- Tassazione del sale desunta dal registro romano-senese (metà XIV secolo)
pubblicato da G.Tomassetti, e Tassazione del 1416, pubblicata da G.Pardi (Liber
secude imposite salis et focatici anni MCCCCXVI), per i centri abbandonati
nell’Agro Falisco.

Nomi delle città o castra Nome attuale Registro R-S Registro del 1416
5 (Rubra salis al
Martignano Martignano semestre) 5 (Rubra salis)
Strippacappe Stracciacappe 5 5
Casamale Casamala 10 10
Filazano Filissano 5 5
Insule Conversine Isola Conversina 5 -
Terre ad presens destructe et inhabitate
Nutiglianum Roncigliano 5 5
Alianum Aliano 5 5
Vici Vico 15 15

Subì una prima distruzione nel 1383 e il Silvestrelli la dice distrutta nel
1431 nella lotta fra i Vico e il Papato.9 In realtà, poiché Casamala figura nelle
tassazioni del sale fino al 1459, bisogna pensare che l’esodo degli abitanti,
verso Ronciglione e Caprarola, sia avvenuto in un lungo periodo di tempo.
Casamala era nel XV secolo “tenuta da ghianda” nella Dogana del
Patrimonio, per un numero di 66.251 porci (rendita di 818 ducati).

CASTIGLIONE E CINCIANO

9
G. SILVESTRELLI, Città, castelli e…, op. cit.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

A nord di Fabrica di Roma e di Corchiano, fra la strada statale ad ovest


ed il fosso delle Pastine ad est, si trovano i toponimi di Castiglione e di
Cinciano (F. 137 II SE – II SO).
Le notizie riguardanti Castiglione sono le più antiche: un Casale di
Castiglione è nominato come fondo appartenente all’Abbazia di S.Elia sub
Pentoma. Le altre notizie documentarie di Castiglione e di Cinciano risalgono
al XV secolo. Si può supporre che Cinciano sia stato una parte della più
grande tenuta di Castiglione.

FILISSANO
Nella vallata del Treja, alla confluenza tra i Fossi Cerreto, Filissano e
Capo Rio, si trova l’odierna tenuta di Filissano con il casale, che ha preso il
nome del medievale Castrum Filaçani.
Quest’area fu ricca di sedi umane, alcune ancora oggi esistenti, altre
oggi scomparse, come Filissano, Isola Conversina, Castel Paterno, Ponte
Nepesino, Sant’Agnese, Castel Fogliano, Castrum Arnarium, Porciano. Di
molte di queste si ritrovano i nomi fra le località appartenenti alla domusculta
di Capracorum.
Filissano è citato in una bolla del 1176 come casalis infeudato
all’Abbazia di S.Elia sub Pentoma, mentre in un atto di vendita del 1427 ne
sono precisati i confini, che passavano per “Nepi, Mazzano, Calcata,
Fogliano, l’Agnese”. Nella prima tassazione del sale Filissano figura per 10
rubbi (5 al semestre), e anche in quelle del 1416 e del 1422 appare fra le terre
abitate. Non se ne hanno più notizie dopo il 1431, anno in cui venne
incamerato dalla Camera Apostolica.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

Il Tomassetti dice di aver venduto presso il Capo Rio nella tenuta di


Filissano i resti del diruto castello di San Valentino, ma non di esserne riuscito
a trovare attestati documentari.10 Si può supporre che fossero i resti del centro
fortificato medievale di Filissano. Ciò appare tanto più probabile in quanto i
resti del castello di S.Valentino sono situati su di un piccolo sprone del Fosso
di capo Rio, circondati da due valloni, mentre l’attuale casale di Filissano
sorge al centro di un lembo piano a 249 m; luogo che difficilmente nel
Medioevo sarebbe stato scelto per fondarvi un centro fortificato. D’altronde
un sentiero unisce quello che è oggi il centro della tenuta con i ruderi di San
Valentino.

TORRICELLA DI GALLESE
Non è facile identificare il sito di Torricella di Gallese, che i documenti
dicono trovarsi vicina a Gallese; forse è da collegare con il fosso della
Torricella che si trova al F. 137 II SE, vicino ad altre due sedi abbandonate
della Teverina: Rustica e Fratta.
Dalle cronache Viterbesi si ha la notizia di una battaglia combattura
presso Torricella da Romani e Viterbesi nel 1241. appare nelle decime degli
anni 1274-1280. Nel 1289 Torricella è segnata nel Codex Diplomaticus
S.Sedis tra le località che pagavano il focatico.
Nel registro del cardinale Albornoz è detta sotto il dominio diretto della
Santa Sede. Torricella venne distrutta dalle milizie di Fortebraccio durante
l’assedio di Gallese nel 1434.
10
G. TOMASSETTI, La Campagna Romana…, op, cit.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

6) Secolo XVII
VICO
Di Vico, la capitale dello Stato dei “Praefecti Urbis”, non resta
neppure il toponimo sulle carte, ma il confronto con le carte antiche porta al
ritrovamento di alcune località: il “Procoio” e l’ ”Emissario”, che permettono
di delimitare i confini entro cui vanno ricercati i ruderi della città (F. 143 I
NE – I NO).
Le prime notizie documentarie risalgono al 1229. la sua storia è
strettamente connessa con le vicende belliche che videro i suoi feudatari
sempre tra le forze più attive contro il Rettore del Patrimonio. Nel 1319
pagava un focatico di X florenos; entrò in possesso della Santa Sede nel 1361.
Nella prima tassazione del sale Vico pagava 15 rubbi semestrali.
Le fonti ci dicono che Vico venne distrutta nel 1431 nell’ultima lotta
feudale sostenuta da Vico contro le milizie del governo centrale; e quella
dovette essere la più grave distruzione della città. Infatti già nella tassazione
del 1416 Vico, pur pagando per la stessa quantità, è annoverato tra le terre ad
presens destructe et inhabitate.
Il motivo dell’abbandono, oltre che nelle vicende belliche, è da
ricercarsi nella vicinanza del lago, che dava luogo a pericolose inondazioni,
essendo ad un livello maggiore dell’attuale, in quanto non era ancora stato
aperto l’emissario.
Fra Leandro Alberti nomina Vico come contrada e non più come città.
La popolazione però non abbandonò del tutto l’antico centro, come appare
ancora dai primi censimenti dello Stato Pontificio dei secc. XVII e XVIII.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

Data la sua importanza, Vico si ritrova anche nelle più antiche carte del Lazio:
in quella di Ugo Commineau e Pietro del Massaio del 1471, e nelle carte di
Enrico Martello del 1480-1482 e di Bernardo Silvano da Eboli del 1511.
Manca invece in quella di Girolamo Bellarmato del 1536, mentre in quelle
posteriori viene ormai citato come diruto.11

4.4 Sedi umane abbandonate in epoca incerta.

FOGLIANO
I ruderi di Castel Fogliano sorgono a pochi chilometri a sud di Civita
Castellana, nel territorio compreso fra il fosso della Bonatella e quello della
Mola (F. 143 I NE). Della sua storia non si sa quasi nulla e si dispone di
pochissimi documenti che lo riguardano. È citato in un documento del 1333;
nel 1508 è nominato in una causa per il pascolo, come “Castrum seu casalis
Foliani”. Nel 1512 è definito “Casale sive tenimentum castri diruti
Fogliani”.12
Si trattò probabilmente di uno dei tanti piccoli castra sorti nell’alto
Medioevo, dopo l’abbandono di Falerii Novi, per il controllo della strada che,
partendo da Civita Castellana e passando per Paterno, si dirigeva a sud.

11
P.A. FRUTAZ, Le carte del Lazio, Roma, Istituto di Studi Romani 1972.
12
G. TOMASSETTI, La Campagna Romana…op. cit.

121
CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

PATERNO
Il Castrum Paterni si trovava nell’Ager Faliscus a sud di Civita
Castellana. I suoi ruderi si possono scorgere alla confluenza del Treja con i
fossi della Mola e della Stabia, su di un colle alto 157 m. Si tratta di una rupe
di tufo vulcanico e dello stesso materiale sono i blocchetti con i quali venne
costruito Castel Paterno.
Esso sorse in seguito alla decadenza di Falerii Novi, quando Civita
Castellana divenne la città principale dei dintorni, ed ebbe bisogno di centri
fortificati che ne proteggessero le vie d’accesso nelle varie direzioni. Verso
sud sorsero Castel Paterno e Castel Fogliano, ad est la Torre dei Pastori e la
Torre dei Giacanti.
Le notizie storiche risalgono al 955, anno in cui Paterno viene
confermato, in un diploma di Agapito II, alla Chiesa di San Silvestro de
Capite in Roma.

La cronaca di Leone Ostiense riferisce che vi si ritirò e vi morì


l’imperatore Ottone III nel 1002: “apud oppidum quod nuncupatur Paternum,
non longe a civitate quae dicitur Castellana”.13

13
G. TOMASSETTI, La Campagna Romana…op.cit.

122
CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

La morte di Ottone III a Castel Paterno.


Ottone III di Sassonia, incoronato re del sacro Romano impero nel 996, sognava una
“Renovatio Imperii Romanorum”, un progetto di Impero universale Romano- Cristiano con
al centro la città eterna. Influenzato dai maggiori esponenti della gerarchia ecclesiastica, in
particolare dal suo maestro Geberto d’Aurillac, divenuto poi papa col nome di Silvestro II,
Ottone III tenta più volte di scendere a Roma ma incontra più volte la ribellione dei
Romani, repressa anche con atti crudeli.
Alla fine dell’anno 1000 unaattuali
Resti rivoltadi
diCastel
Tivoli,Paterno
repressa presso
questa Faleria.
volta con clemenza, suscita il
20 gennaio 1001 la ribellione dei Romani capeggiati dal Prefectus Navalis Gregorio di
Tuscolo. Assediati lui e il papa presso il proprio palazzo sul Palatino, riescono ad
abbandonare la città senza abbandonare l’idea della riconquista di Roma. Nei mesi
successivi resta in Italia presso Comacchio, Ravenna e Todi finché non torna nel Lazio a
Castel Paterno, sulla strada falisca che collegava Civita Castellana a Faleria. Qui stanno per
giungere i primi contingenti delle armate tedesche, quando stremato dalla malattia (Morbus
Italicus o vaiolo) forse contratta nelle paludi di Ravenna, a soli 22 anni Ottone III si spegne
il 23 gennaio 1002, confortato dalla sua fervente coscienza religiosa.
Forse non sapremo mai cosa è successo quel giorno nel castello di Paterno e per quali
motivi Ottone sia andato a rifugiarsi e a morire lì. Poche e scarne sono le fonti e rimangono
dubbi sulla natura della malattia, su chi dei tanti fedeli, amici e compagni era presente alla
morte e sul perché il pontefice Silvestro II, sua guida, non fosse a Paterno.
Forse il castello deve essere stato scelto da Ottone come base militare per la riconquista di
Roma a causa della prossimità della via Flaminia ed al percorso naturale costituito dalle
valle del Treja, ma forse per il collegamento con la Civitas Castellana governata dai conti
Sassoni, una famiglia verosimilmente legata alla dinastia imperiale.

123

Una delle porte ad arco del castello.


CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

Ancora citato come castello nel 1244, in un elenco di beni appartenenti


al monastero di S. Lorenzo fuori le Mura, non compare in nessuna tassazione:
segno indubbio di una decadenza avvenuta rapidamente, una volta esauriti i
compiti per i quali era stato fondato. Lo si trova citato nel 1499 come casalis;
nel 1543 è nominato come “tenimentum castri diruti Paterni”.

124
CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

Appare in alcune carte del Lazio, come in quella dell’Ameti con la


dicitura di Paterno diruto.
Il fatto più appariscente degli insediamenti medievali nella zona è
rappresentato dalla continuità delle caratteristiche degli insediamenti, che
passano senza soluzioni di continuità dalle ville romane ai piccoli villaggi
medievali. Castel Paterno fornisce un esempio. In epoca romana esistevano
dei fundus (fattorie). In epoca tarda gli stessi abitanti delle ville decisero di
spostare le loro abitazioni in posto più sicuro come l’altura di Paterno.
In tutto l’Agro Falisco le ricerche suggeriscono una semplice
migrazione dalle ville sede di fattorie a luoghi più sicuri nelle alture.

RUSTICA
Il Castello di Rustica si trova quasi a livello dell’ansa del Tevere nei
pressi di Gallese, fra il Fosso di Rustica a nord ed il rio Miccino a sud. L’area
intermedia è ancora oggi chiamata Piani di Rustica e vi sorge il casale che ne
porta il nome (F. 137 II SE).
Non si hanno notizie sulla sua storia, ma appare nella lista dei castelli
soggetti a Gallese nel XIII secolo. Nella carta dell’Oddi del 1636 vi appare
come Rustica diruta, mentre in quella dell’Ameti del 1696 si notano la Mola
ed il Ponte di Rustica; quest’ultimo è da identificare con quello che
attualmente porta il nome di Ponte Etrusco, tuttora sul rio Miccino nei pressi
della ferrovia.

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CAPITOLO 4

LE SEDI UMANE ABBANDONATE

SANT’AGNESE
Il castello di Sant’Agnese è da identificare con Castello d’Ischia, le cui
rovine sorgono su di uno sprone tufaceo, a 197 m, sul fosso Cerreto, presso la
contrada ancora oggi detta dell’Agnese, che va dai 188 ai 230 m d’altitudine.
Il territorio di Sant’Agnese si trova fra quelli di castel S.Elia e Castel
Fogliano a nord e quello di Calcata a sud. Appare in un elenco di fondi della
città di Nepi, ma della sua storia non si hanno più notizie.

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