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Clerici C.A., Mesturini F., Steffano G.. Medici in prima linea. La Sanità Militare
Italiana nelle due guerre mondiali. Uniformi e armi, ottobre 2001. Pag. 36 - 42.
Sulla scorta dell'esperienza bellica la sanità militare subì nei primi anni
Trenta una ristrutturazione del suo apparato. Nel 1932 veniva approvato il
Regolamento sul Servizio Sanitario Territoriale Militare (Regio Decreto 17
novembre 1932) che abrogava il precedente del 24 dicembre 1903. Il
personale addetto al servizio sanitario era costituito da: ufficiali medici in
servizio permanente effettivo e di complemento, ufficiali chimici farmacisti
in s.p.e. e di complemento, ufficiali d'amministrazione presso gli stabilimenti
militari, cappellani militari, impiegati d'ordine (ufficiali d'ordine, applicati,
archivisti) e sottufficiali nella posizione di servizio sedentario, massaggiatori,
militari di sanità (sottufficiali per la disciplina e la contabilità, sottufficiali
infermieri od adibiti ad altre cariche di carattere professionale, militari di
truppa scritturali, aiutanti di sanità, infermieri, portaferiti, disinfettatori e
specialisti, e infine religiose assunte in servizio con apposite convenzioni.
La carenza di medici militari venne sanata con l'intensificarsi dei corsi per
ufficiali medici di complemento alla scuola d'Applicazione di Firenze (con
uno scadimento della qualità dei corsi) e poi con leggi (n. 1633 del 14 ottobre
1940 e 1491 dell'11 dicembre 1941) che prevedevano la nomina diretta a
sottotenente di complemento e poi il passagggio in spe senza corsi specifici.
Ciò era in netto contrasto con i grandi sforzi di crescita e formazione
culturale compiuti nella prima guerra mondiale, quando venne costituita
anche l'università castrense di San Giorgio di Nogaro. La scuola di Firenze
svolse corsi fino al 1944 sciogliendosi poi sotto il controllo tedesco.
Come è noto l'impegno bellico sui vari fronti fu elevatissimo, con perdite
molto ingenti. Fra i successi conseguiti dalla sanità militare, nonostante le
carenze, il principale fu il contenimento delle epidemie grazie ad efficaci
misure preventive. Le perdite dovute alle malattie ed ai congelamenti furono
però drammatiche (soprattutto sui fronti Greco - Albanese e Russo) e
superarono il numero dei morti in combattimento.
Il sacrificio dei medici militari che con mezzi antiquati e senza antibiotici
lottarono contro le malattie fu eroico, anche se ricostruire una storia
complessiva del corpo sanitario è difficile, considerato che la storia delle
varie unità segui' quella dei reparti a cui erano aggregati.
Durante il conflitto furono comunque sperimentate nuove tecniche
chirurgiche e nuove terapie mediche, destinate poi ad avere un'utile ricaduta
sull'attività clinica in tempo di pace.
A questo proposito vale la pena di citare le esperienze nel campo della
neurochirurgia, rese possibili dalla necessità di effettuare interventi su un
grande numero di militari con ferite che interessavano il cervello o il midollo
spinale. La sanità militare italiana impiegò, caso unico negli eserciti
dell'Asse, neurochirurghi in prima linea. Sul fronte greco - albanese infatti
operò a Tirana e poi a Berat una sezione neurochirurgica sotto la direzione di
Felice Visalli; altri casi furono trattati da N. Dalla Mano a Sinanaj. Sul fronte
russo un'equipe neurochirurgica (con i chirurghi G. M. Fasiani, L. Ugelli e
M. Quarti - Trevano) operò a Voroscilovgrad, Stalino e Dnepropetrovsk in un
primo tempo e in seguito in ospedali da campo nell'ansa del Don.
Nella Francia occupata fu organizzata a Tolone una sezione neurochirurgica
nel 1943 sotto la guida di P. Frugoni.
Alcuni casi furono operati in Nord Africa da N. Dalla Mano.
Dai vari fronti giungevano poi casi al centro neurolesi dell'Ospedale Militare
del Celio. (Da G.M.F. De Caro et al, neurochirurgia a Roma: 1880 - 1970. In
"Annali Italiani di chirurgia", maggio - giugno 1998.).
Durante il secondo conflitto mondiale si diffuse l'impiego delle trasfusioni di
sangue, anche se giocavano pesantemente le difficoltà logistiche per rifornire
di sangue gli ospedali al fronte (Africa Settentrionale, Balcani, Russia). Il
sisema più in uso fu quindi quello delle "donazioni sui due piedi", utilizzando
in caso di bisogno, donatori occasionalmente reclutati in loco (P.G. Sironi,
Donatori di sangue a Milano, Associazione Donatori Sangue Fatebenefratelli,
Milano 2000).
IL DOPOGUERRA
Dopo le vicende belliche, nel 1946 la Sanità Militare fu ristrutturata, assieme
al resto delle forze armate.
Nel 1960 fu istituito a Roma il Centro Studi e Ricerche della Sanità
dell'Esercito. Nel 1968 a Firenze nasceva l'Accademia di Sanità Interforze, su
tre nuclei di forza armata e un nucleo veterinario a Torino.
Anche negli anni del dopoguerra la Sanità Militare intervenne a favore della
popolazione italiana in numerose calamità naturali come l'alluvione del
Polesine del 1951, il disastro del Vajont del 1963, l'alluvione di Firenze del
1966, l'alluvione del Belice del 1968, le epidemie di colera del 1973 e in
molti eventi calamitosi successivi.
La Sanità Militare è stata impiegata anche in varie missioni internazionali, fra
le quali Libano (1981 - 82), Kurdistan (1991), Albania (1991 - 94), Somalia
(1992 - 4), Mozambico (1993 - 1994) e negli ultimi anni Bosnia e Kosovo ...
Ringraziamenti
Gli autori sono grati per la collaborazione prestata alle ricerche allo psichiatra
ten. col. Med. Marco Frongillo e al neurochirurgo Giovanni De Caro.
ALTRE LETTURE
• De Santis C., Il Corpo di Sanità dell'Esercito. Rivista Militare, n.3, 1982,
pgg. 25 - 39.
• Boschi G., La guerra e le arti sanitarie, Ed. Mondadori, Milano 1931.