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La Repubblica

L'ex sindaco si spento per cause naturali Era agli arresti domiciliari per associazione di stampo mafioso Muore Vito Ciancimino Permise "il sacco di Palermo" ROMA - L'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino morto nella sua abitazione a Roma, in via Salita Sebastianello 9. Ciancimino, che aveva 78 anni, deceduto per cause naturali. L'ex primo cittadino del capoluogo siciliano era agli arresti domiciliari dopo essere stato condannato il 28 novembre 2001 a 13 anni di reclusione, con sentenza passata in giudicato, per associazione a delinquere di stampo mafioso. A dare l'allarme stata una inserviente che nelle prime ore della mattinata andata nell'abitazione, nel centro di Roma a pochi passi da Trinit dei monti.Nato a Corleone nel 1924 Ciancimino, un diploma di geometra, ricopr dal 1959 al 1964 la carica di assessore comunale ai lavori pubblici. Il sindaco, allora, era quel Salvo Lima che venne ucciso in un agguato di mafia nel 1992. Nel 1970 Ciancimino venne eletto sindaco. Sono anni tristemente noti, quelli del cosiddetto "sacco di Palermo", una speculazione edilizia che vide le ville liberty della citt far posto ad enormi palazzi. Nel frattempo Ciancimino intanto entra nel mirino della commissione antimafia. Nell'84 il pentito Tommaso Buscetta lo definisce "organico" alla cosca dei corleonesi e per questo viene arrestato. Nello stesso anno viene estromesso dal suo partito, la Dc, che non gli rinnova la tessera dopo il congresso di Agrigento.Passa qualche anno e il nome di Ciancimino ricompare nelle cronache di mafia negli anni '90. L'ex sindaco di Palermo incontra i carabinieri del Ros e parla del cosiddetto "patto del tavolino", il sistema di spartizione degli appalti in Sicilia. Poi la condanna e gli arresti domiciliari. Mentre All'inizio del 2002 il Comune di Palermo gli aveva presentato una richiesta di risarcimento che ammontava ad oltre 150 milioni di euro, pari a 300 miliardi di vecchie lire per "danni arrecati all'amministrazione comunale" durante il periodo in cui reggeva palazzo delle Aquile. Negli anni passati a Ciancimino vennero confiscati beni per oltre 7 miliardi delle vecchie lire.(19 novembre 2002 Il sacco di Palermoe le colpe di una citt

Salvatore Butera
Questa pagina stata condivisa 3 volte. Visualizza questi Tweet. Il 1960 si apre male per Palermo. Nel primo numero dellanno, LEspresso pubblica un lungo e magistrale articolo di Bruno Zevi che rilancia in campo nazionale, denunziandola, la vicenda di Villa Deliella, la cui demolizione notturna e proditoria era avvenuta, poco pi di un mese prima, in una notte di fine novembre del 1959. Zevi ricostruisce magistralmente lintera vicenda dalle origini, concludendo con amara ironia verso il sindaco Lima che prometteva di percorrere lItalia per trovare architetti illustri disposti a sostituire quelli dimissionari della Commissione Urbanistica: Signor sindaco si risparmi il viaggio. Fatto si che il progetto immobiliare non ebbe seguito e che oggi in quellarea ha sede un affollato parcheggio lavamacchine che utopistico pensare possa cedere la sua remunerativa posizione al sognato Museo della Citt, un vecchio ma valido progetto di Salvare Palermo. Ma lepisodio di Villa Deliella (sul quale proprio Salvare Palermo ha tenuto un affollatissimo convegno cittadino nella ricorrenza dei cinquanta anni dallevento) rimane di una gravit senza precedenti: da un lato perch signific nei fatti che lavvento dei nuovi barbari (di cui parler pi avanti) rendeva tutto possibile: cera limpunit per tutti e il sacco di Palermo poteva avere inizio. E tuttavia ad esso va guardato nella ormai lunga prospettiva del tempo senza schematismi e senza pregiudizi. Il sacco fu perpetrato dai nuovi barbari che da esso lucrarono somme enormi, ma il resto della citt non fu certo esente da colpe. A cominciare dal Principe Lanza di Scalea che loperazione aveva contrattato e concordato senza il minimo riguardo al valore architettonico dellopera di Basile della quale anzi aveva sollecitato la rimozione del vincolo e di conseguenza la demolizione. Ma Lanza di Scalea non era certo solo. Tutta laristocrazia e lalta borghesia cittadina che si era trovata a possedere spazi, immobili e aree in Via Libert e successivamente nella direttrice Nord Ovest della citt fece la stessa operazione. Baratt cio ville e villini art nouveau con enormi palazzoni in cemento che raggiungevano dieci, dodici, tredici piani. Stava succedendo in pratica su scala cittadina ci che era successo circa un secolo prima fra i Salina e i Sedara: scambio ineguale fra feudi ad alto reddito agricolo e debiti impagati e impagabili, il tutto spesso sanzionato dai matrimoni fra Angeliche e Tancredi di tutti i tipi. Quello che voglio dire, e spiegher meglio avanti, che questa mutazione genetica della citt avvenne certo ad opera della mafia e dellintreccio col malaffare della politica ma che contro di essa non vi si erse un popolo di vittime innocenti. Dai professionisti, notai, avvocati, ingegneri, architetti, geometri, alla gente comune, a coloro che della casa avevano bisogno. E qui occorre fare un passo indietro fino ai bombardamenti e alla guerra che com noto furono da noi disastrosi perch la Sicilia costitu il fronte dattacco delle truppe alleate che erano attestate dallaltra parte del Mediterraneo, sulle sponde maghrebine delle colonie francesi di Algeria e Tunisia, dopo la vittoria della battaglia dAfrica di Montgomery contro Rommel e la disfatta di El Alamein. In Sicilia i vani distrutti risultarono 131.000 e di questi ben 70.000 nella sola Palermo, il cui centro storico, che allora coincideva in pratica con la citt, venne distrutto. Pensate che a Napoli, assai pi grande di Palermo, i vani distrutti furono 30.000. Si calcola che fra il 1947 e il 1955 ben 35.000 contadini bussarono alle porte di Palermo mentre furono ben 40.000 i palermitani che avevano avuto la casa distrutta e che richiedevano nuove abitazioni. Basti pensare poi che la citt contava nel 1936 circa 400.000 abitanti e che oggi ne conta il doppio, mentre nel decennio intercensuario 51-61 la popolazione aument di centomila persone. Secondo recenti dati, nella Conca doro sono stati versati 300 milioni di metri cubi di cemento equivalenti grosso modo a un milione di appartamenti, con un accrescimento del 125% della superficie urbanizzata (Gaetano Gucciardo in Segno, numero 315- 316).

Che cosa era successo? Palermo era divenuta in virt del nuovo Statuto dellautonomia speciale definitivamente e senza appello la capitale dellIsola ove si andavano formando i primi governi autonomisti privi di quadri burocratici e di addetti. In tre anni, dal 1950 al 1953, i dipendenti regionali passano da circa 800 ad oltre 1350 e la crescita ovviamente continu tumultuosa. Ogni assessore regionale aveva diritto ad un certo numero di gabinettisti, orribile neologismo con cui si designavano i seguaci dellonorevole, quasi sempre non palermitani, tutti appartenenti e originari della stessa zona dellassessore quando non dello stesso paese. Gradatamente costoro venivano assunti in pianta stabile e si trasferivano quindi con le famiglie a Palermo, mantenendo per forti legami con i paesi dorigine, mai integrandosi veramente nella citt. Occorre anche aggiungere che lo sviluppo urbano di Palermo fu il frutto di un forte mutamento sociale maturato dopo la guerra. Tutti sognavano appartamenti nuovi, forniti di servizi moderni dei quali si aveva sentore da altre parti pi evolute del Paese oltre che dallestero anche tramite i numerosi film americani che fu possibile vedere in quegli anni dopo i divieti del fascismo. Case nuove e linde con termosifone, citofono, ascensore, acqua calda e fredda, doccia. Oggi sembra ridicolo ma allora era anche questo il sogno piccolo borghese di tanta gente, a maggior ragione di quelli che Cancila chiama regnicoli, quelli cio arrivati in citt dai paesi. Ma c di pi. A fronte di questa imponente domanda di nuove case, peraltro del tutto legittima, non fu fornita una risposta di mercato, vale a dire una offerta concorrenziale di case nuove a prezzi competitivi. Lofferta venne invece largamente inquinata dal nodo mafia-politica-affari che cominci a dominare Palermo escludendo fin da allora dalla cultura cittadina i valori e i termini stessi del mercato libero, aperto e concorrenziale. Una conseguenza nel tempo perpetuatasi fino a noi in una citt che conosce solo clientelismo e favoritismo. I nuovi barbari o li turchi alla marina come li ha chiamati Piero Violante (Segno, numero 313) sono quel gruppo di picciotti senza nome n storia cui la nuova politica ha consentito di impadronirsi del governo della citt, senza alcun collegamento con il passato e senza chiedere alla vecchia classe dirigente neppure unombra di legittimazione. Palermo appare a Guido Piovene (Viaggio in Italia) una citt prossima alla fine, forse moribonda. Ed era vero. La vecchia citt moriva e la nuova andava occupando nuovi spazi estranei che ne stravolgevano lidentit. Ma occorre anche ricordare che nel 1960 (lanno che ci occupa) eravamo in pieno miracolo economico. Fu lanno dellOscar conferito dal Financial Times alla lira come alla moneta pi forte e stabile del continente, lanno della staffetta al vertice della Banca dItalia fra Menichella e Carli, un momento di passaggio assai importante. Il paese cresceva a tassi reali prossimi al 6% lanno, lo stesso Mezzogiorno cresceva del 5% lanno. Il tasso di disoccupazione nelle due aree era ovviamente diverso ma solo di pochi punti. LItalia si avviava verso la piena occupazione, il Mezzogiorno era la nuova frontiera dello sviluppo industriale dopo le leggi del 1950 e del 1957. In Sicilia il sogno industrialista era ancora in piedi rafforzato dallavvio dellattivit della SOFIS. Gli stabilimenti chimici sulla costa siracusana erano stati appena fatti, ed del 1960 la decisione di Enrico Mattei di dislocare a Gela il centro petrolchimico. Due anni dopo lo stesso Mattei partir proprio da Catania per il suo ultimo tragico volo. La Sicilia ancora una volta veniva usata come base, come piattaforma di partenza. Il milazzismo era gi esaurito e a Milazzo era subentrato un governo monarchico- democristiano, guidato da Majorana della Nicchiara, che dur fino allestate del 1961, quando si posero le premesse del centro-sinistra, una formula politica ancora una volta anticipata nellIsola. Eppure quel governo transitorio diede le prime concessioni esattoriali ai cugini Salvo, come bene ha documentato Orazio Cancila (Palermo, Laterza ed. 1999). Era linizio della fine, ma allora non lo potevamo sapere. Lautonomia siciliana era gi finita. Proseguiva intanto va ricordato lemigrazione a ritmi molto elevati. Due-trecentomila espatri lanno con una media del periodo di 170.000, a confermare le pessimistiche ipotesi liberiste di Vera Lutz, riprese proprio in quellestate da un articolo di Luigi Einaudi sul Corriere della Sera divenuto famoso e finito nelle antologie. Linflazione era bassa e oscillava con variazioni annuali fra luno e il tre percento, confermando il vecchio adagio secondo cui linflazione si mangia i debiti. E in certa misura era vero, tenuto conto che i mutui fondiari erano al tasso del 5% circa, lo stesso tasso a cui erano remunerate le obbligazioni Fonbanco del Banco di Sicilia garantite dalla massa ipotecaria degli immobili finanziati, la forma di raccolta pi diffusa e gradita in quegli anni dai risparmiatori, con rimborso alla pari dato che il Banco stesso ne difendeva la quotazione. I mutui venivano concessi ai costruttori e successivamente con il frazionamento e laccollo passavano a carico degli acquirenti degli appartamenti. Era un meccanismo oleato che funzionava perfettamente senza che a nessuno venisse in mente che nel frattempo Palermo stava letteralmente perdendo la sua stessa identit, quella cio ancorch faticosamente conquistata di una piccola metropoli mediterranea aristocratica e gentile ancora riconoscibile negli anni 50. Una mostra curata da Adriana Chirco e da altri per Salvare Palermo ha documentato la progressiva distruzione della zona di Via Libert e delle aree adiacenti, una distruzione che per ampiezza e per conseguenze pu essere paragonata a quella dei bombardamenti. Solo che dopo i bombardamenti si ricostru, mentre dopo il sacco Palermo rimasta com, una megalopoli meridionale di massa invivibile e ingestibile che neanche il sogno orlandiano riusc a riscattare. E l ha ragione Laura Azzolina (Governare Palermo, Donzelli editore) quando osserva che Orlando non seppe o non volle approfittare del vastissimo consenso di cui godeva per far compiere a Palermo quella rivoluzione di mercato che la citt attende ancora e che non sembra alle viste. Eppure la riscoperta e il rilancio del centro storico rimane uno dei risultati meno effimeri della lunga sindacatura di Orlando. Molti i restauri e vasta la rivalutazione di intere zone del vecchio centro allinterno del quale per questi passi in avanti continuano a convivere con aree degradate e fatiscenti a conferma che non di un piano si trattato quanto di singoli episodi, taluni dei quali pregevoli. Tratto da StrumentiRes Rivista online della Fondazione Res

Il sacco di Palermo

Sotto il nome di "sacco di Palermo" va la selvaggia speculazione edilizia a cui fu sottoposta la citt negli anni '50, '60 e '70.In quattro anni vennero concesse 4205 licenze edilizie, di cui 3011 intestate a 5 prestanome.La speculazione cominci nei primi anni '50 contestualmente al traffico della droga. allora che la mafia del latifondo si trasform in mafia urbana. C'erano fino alla met del XX secolo tre tipi di mafia: quella del latifondo, quella delle solfare e quella dei giardini. Quest'ultima aveva il controllo dei territori delle borgate di Palermo e gestiva i traffici illeciti. In contatto con i centri di potere della citt, mediava fra questi e la mafia dei latifondi.Con la disgregazione dei grandi patrimoni terrieri e la lotta dei

contadini per la terra, la mafia urbana divenne sempre pi potente e si trasform in associazione criminale organizzata dedita, fra l'altro, al commercio della droga.L'enorme quantit di denaro sporco realizzato con questi commerci, un surplus impensabile, doveva essere investito in qualche modo anche perch era necessario "ripulirlo". allora che Palermo divenne "terra di conquista". allora che si intensificarono i legami "storici" esistenti fra mafia e politica.Uno di questi mafiosi, Vito Ciancimino, pens bene di diventare lui stesso un politico. La fitta rete di controllo sul territorio della mafia dei "giardini", gli permise di diventare assessore ai lavori pubblici, dal 1959 al '64, e poi sindaco per ben due volte. Il piano regolatore approvato sotto la sua amministrazione prevedeva costruzioni intensive al posto dei quartieri medievali e degli splendidi edifici e ville stile liberty. Un affare colossale per la mafia. Un piano criminale andato a termine, per fortuna, solo per met. http://www.politicadomani.it

l nuovo saggio di Barbera ripercorre la storia culturale e vegetale di un luogo unico. L'opera ci mostra come questi tesori siano stati distrutti dalla speculazione. Come potuto accadere? Come potuto accadere che la Conca d'oro in cui adagiata Palermo, la conchiglia pi bella di quella nella quale Venere fu portata attraverso il placido mare (cos cantava un poeta nel Quattrocento), il paesaggio di giardini e di frutteti, di fatiche umane e di strabilianti innovazioni tecniche, di biodiversit e di dolcissimi mandarini, il luogo che fece dire a Goethe che chi ha visto tutto questo non lo dimentica pi, com' potuto accadere che la Conca d'oro, fitta d'alberi gi nel V secolo avanti Cristo (racconta Diodoro Siculo), fra il 1955 e il 1975 sia stata sepolta da trecento milioni di metri cubi? Come potuto accadere, se lo domanda Giuseppe Barbera, agronomo palermitano, professore di Colture arboree, e il suo angoscioso quesito rimbalza in ognuna delle centoquaranta pagine di Conca d'oro, un libro scritto per Sellerio che non solo la storia di un luogo. anche una storia letteraria, una mitografia, un repertorio fra quelli che meglio documentano quanto la natura correttamente manipolata dalluomo possa dare materiali alla facolt dell'immaginazione. Ed la storia di un simbolo mediterraneo, di una comunit vegetale la cui unit fornita dal rapporto di diverse colture, perch solo la diversit, la complessit del disegno e delle produzioni assicurano benessere, prosperit, bellezza e armonia. E sono esattamente queste le qualit che il sacco di Palermo, un misto di mafia, affari, politica e pessima amministrazione, cancella nel volgere di pochi anni con crudelt sistematica, nel silenzio della cultura accademica e delle professioni rotto soltanto dalle denunce del giornale LOra. Al Piano regolatore sostituito un pi efficace Piano di ricostruzione. Si sfrutta lemergenza abitativa (120 mila vani distrutti dalle bombe) per dislocare quartieri inospitali sulle aree a maggiore seduzione speculativa. Nobili e grandi borghesi lottizzano ville e giardini e le disseminano di fungaie in cemento. Scaltri proprietari regalano al Comune piccole porzioni che, opportunamente solcate da strade, illuminazione e fogne, valorizzano il resto del possedimento. Le ville liberty di Ernesto Basile vengono demolite in una notte, l'ultima prima che si possano applicare leggi di salvaguardia. Sono gli anni di Salvo Lima e Vito Ciancimino. E in cui architetti laureati sostengono che la monotonia del verde vada vivificata dagli edifici. Il paradiso della Conca d'oro diventa un inferno. Bestioni di cemento travolgono un paesaggio raccontato nei secoli con dispendio di aggettivi, un paesaggio, ha scritto Rosario Assunto, studioso di estetica, del quale nessuno che lo abbia conosciuto pu non sentirne il rimpianto, come di una luce che si sia spenta sul mondo. La qualit della Conca d'oro sta nell'incrocio di produttivit e di bellezza. Trecento generazioni di agricoltori, racconta Barbera, hanno adattato i frutteti a giardini, grandi frutteti e grandi giardini protetti da una barriera di montagne che preservano il clima e che inducono Fernand Braudel a usare l'aggettivo "paradisiaco". Il paesaggio palermitano un paesaggio culturale, un sistema equilibrato che modula le risorse disponibili dando alla natura una forma, una porzione del mondo visibile incorniciata entro limiti che ben distinguono la pianura costiera, che sar prevalentemente terra di frutteti, orti e giardini, dalle regioni collinari della Sicilia terre di pascoli e di cereali . L'ulivo cresce in mezzo ai pascoli, la vite splende nei frutteti promiscui. Da terre straniere arrivano le palme nane, i datteri, i melograni e chi c' gi accoglie i nuovi venuti, realizzando una civitas fatta di alberi e piantagioni. La complessit dell'ordito assicura stabilit contro le malattie e i disastri climatici, sicurezza ambientale . I romani, poi i bizantini, quindi i musulmani e poi i normanni trovano un paesaggio che assimila diverse tradizioni e lo arricchiscono con innesti colturali. Il punto d'equilibrio cambia costantemente, gli aggiornamenti sono continui, ma chiunque innovi rispetta lo statuto dei luoghi. Anche quando alle coltivazioni si accompagnano le lavorazioni artigianali e industriali. La Conca doro, scrive Barbera, conferma un fondamentale "dogma ecologico e culturale": solo il confronto fra diversi, uno scambio che avviene attraverso margini permeabili e non barriere insormontabili (muri, fili spinati, recinti e respingimenti), genera nuova vita, saperi e paesaggi che rispondano ai bisogni, sempre in evoluzione, del mondo. L'equilibrio della Conca d'oro attraversa i secoli. Sorgono le ville, che danno un'altra sistemazione al paesaggio, proponendo una specie di modulo urbanistico attraverso il quale anche la citt sarebbe dovuta crescere. Arrivano gli agrumi, che segneranno una evoluzione produttiva, alimentando il mito di una terra dall'eterna primavera. In quest'armonia secolare, che non possiede nulla di immobile, anzi contiene le regole per rinnovarsi, regole che basta solo saper leggere, interpretare e applicare, irrompe la potenza distruttrice della rendita fondiaria, quella per cui un terreno agriinterna, colo vale molto, ma molto di pi vale un terreno edificabile. Palermo diventa esemplare nella letteratura sulla speculazione. L'amministrazione pubblica, la mafia, gli stessi proprietari di quei magnifici giardini consolidano alleanze. La citt avanza senza trascinare alcuna qualit urbana e tutto distrugge. Anche Barbera assiste - lo racconta nelle prime pagine - alla distruzione del giardino di famiglia, a Resuttana. Il padre, un imprenditore di successo, non costretto a vendere, ma si trova impigliato in un meccanismo affaristico i cui effetti per lui sarebbero stati poi scarsissimi. Un altro ricordo condisce la sua narrazione. I primi studi sui mandarini tardivi di Ciaculli, giovane

ricercatore, li compie in una grande tenuta. Quella tenuta appartiene a un insospettabile Michele Greco, quello che le indagini e le condanne definiranno il "papa" della mafia. Terribile criminale, autore di stragi efferate, amava il suo giardino di agrumi di un amore profondo. Scheda del libro: Conca d'oro, di Giuseppe Barbera

V Venne chiamatoIl sacco di Palermo C' sempre un'ultima volta ancora in cui personaggi che avevano intensamente per anni "fatto titolo" sui giornali e poi erano a lungo scomparsi dalla ribalta titolo lo fanno di nuovo; ed quando lasciano anche la vita. E' successo una settimana fa per Vito Ciancimino, e anche in questo caso il titolo cominciava E' morto...: semplicemente una notizia. E poi il dove e in quali condizioni. Nella sua casa che affacciava sulla scalinata di Trinit dei Monti, Piazza di Spagna, uno dei luoghi pi suggestivi e prestigiosi di Roma. Et e condizioni di salute gli avevano concesso di vivere l i suoi ultimi anni (arresti domiciliari) invece che nel carcere di Rebibbia, nel quale aveva iniziato a scontare la lunga pena detentiva con la quale pagava il debito contratto con Palermo, la citt in cui era stato potente esponente dc, prima assessore ai Lavori Pubblici e poi Sindaco, costantemente ambiguo mediatore di lucri, e nella quale il suo nome era stato di continuo connesso alla parola mafia.Perch torna oggi detto personaggio anche in una rubrica come questa? Ma perch egli aveva dato, per lungo tempo addietro, gran daffare a giornali e giornalisti e perch giovani che quell'epoca non hanno vissuto possano operare confronti con le titolazioni su analoghe materie che compaiono sulla stampa adesso. Tangenti, corruzioni, concussioni, interessi privati in atti pubblici sono tornati ad essere correnti, da Mani pulite in poi, come quando in precedenza lo erano stati per altri scandali politico-finanziari nostrani (banane, tabacchi, Federconsorzi, Italcasse, costruzione dell'aeroporto di Fiumicino e chi pi ne ha pi ne metta). Quando Ciancimino negli anni Ottanta fu arrestato per la prima volta, gli furono sequestrate un paio di cassette di sicurezza che contenevano, contanti, pi di sette miliardi a valore di allora, parte in lire e parte in valute diverse. Un paio d'anni dopo, nelle more del suo processo, sussurr a un giornalista che non lo scrisse subito ma dopo la sua condanna: Solo un pelo sono riusciti a prendermi!. Tutte somme di provenienza ingiustificata, e in quell'occasione egli fu anche storico precursore, con un'altra sua dello stesso tenore, di analoga verbalizzata dichiarazione fatta di recente dall'on. Cesare Previti nel processo in corso in cui gli coimputato Silvio Berlusconi: Potete accusarmi solo di evasione fiscale; per tutto il resto non avete prove (fulgido esempio di teoria della societ postmoderna da parte di un parlamentare ed ex ministro di questa repubblica che, dopo ci, non si capisce coma possa ancora sedere a Montecitorio; o si pu solo spiegare col fatto di un intero paese al momento sotto anestesia). Per Ciancimino comunque dell'altro venne sanzionatamente fuori. Come il fatto che sotto la sua gestione grandissima parte delle licenze edilizie rilasciate a Palermo fossero intestate a quattro soli prestanome. Dei quali, cadendo dalle nuvole, affermava neanche sapere che esistessero.Di Ciancimino qui riferir solo tre cose, tutte estratte dalla mia memoria personale, poich un suo generale retrospettivo excursus biografico gi comparso un po' su tutti i quotidiani nei giorni scorsi. Sono pi che altro dei quadretti, che penso peraltro significativi di tre momenti fra loro lontani della sua, chiamiamola cos, carriera.Primo quadretto / Ruspe contro il liberty C' un bellissimo librone illustrato, di Adriana Chirco e Mario Di Liberto, che si chiama Via Libert com'era e com' e documenta con testi, date, fotografie, disegni, mappe, come in una drammatica autopsia, la distruzione con avallo pubblico di uno dei pi bei viali urbani d'Europa, negli anni Cinquanta, e la terrificante sostituzione di una sequenza di invidiati palazzi e villini liberty, sui due lati alberati della strada, con altrettanti maxicondominii anche decapiano di vari colori. La legge urbanistica dell'epoca prescriveva che la salvaguardia degli edifici tutelati scadesse dopo cinquant'anni dalla rispettiva costruzione. Per Villa Deliella a Piazza delle Croci, che interrompe Via Libert dopo il primo chilometro, splendida dimora edificata all'alba del secolo dalla famiglia di Delia Withaker su progetto di Enrico Basile, l'architetto autore del Teatro Massimo, del castelletto Florio, di Villa Igiea, questa scadenza piombava sulla mezzanotte fra un sabato e una domenica. E dopo un minuto un movimentatissimo esercito di picconi popol il suo piano alto, a scendere, illuminato da una piccola batteria di fotoelettriche, verso le

ruspe in attesa del loro turno allineate nel giardino lungo i muri del pianoterra. All'alba del luned tutto era finito. Tale superveloce operazione, scaltramente compiuta a turni di lavoro fra due notti e un giorno festivo, aveva impedito alla Sovrintendenza qualsiasi possibile intervento che interponesse un anche provvisorio nuovo vincolo. Cosa fatta capo ha! Il progetto prevedeva l'erezione al suo posto di otto/nove piani di cemento armato vendibili, data l'ubicazione, a peso d'oro.La licenza di demolizione era stata firmata da Ciancimino sul tamburo e al capo allora della famiglia Lanza (uno dei ceppi nobiliari pi antichi della Sicilia, di vastissima ripartizione territoriale per feudi, articolati come si sa fra i di Traba, i di Scorda, i di Scala, per citare solo i pi famosi) era costata venti milioni dell'epoca. Quel distintissimo principe rest dall'alto del suo sangue blu assai infastidito, disse poi a un suo autorevole conoscente che una volta me lo raccont con divertito sogghigno, dal fatto che lo svelto assessore non si port via solo le banconote ma molto ineducatamente anche la valigetta di coccodrillo che era servita per prelevarle dalla banca, e cui egli teneva moltissimo.L'indomani scrissi su L'Ora, su questo scempio, il mio primo, credo, paginone intero di giovane cronista di bianca. Fu uno scandalo enorme. Ma ormai un altro pregevole pezzo della bella Palermo colta e cosmopolita a cavallo dei due secoli era perduto per sempre, lasciando una montagna di pietre sbriciolate lungo un lato della piazza, che camion asportavano per scaricarle a mare ad Acqua dei Corsari, e anche una melanconica serie di fotografie che esaltano ancora la sua nitida eleganza che fu. Su quell'area comunque, per la campagna alimentata dal giornale, non fu pi permesso di edificare alcunch, e quindi il tutto risult alla fine mero vandalismo infruttifero. Ancora oggi essa un vasto piano asfaltato adibito a parcheggio di autovetture, un memorando facsimile, se un tale sproporzionato paragone permesso, di minimalissimo Ground Zero.Secondo quadretto / Una formula che fa differenza - Circa quindici anni anni dopo questo episodio, Ciancimino in Tribunale come offesissima parte lesa e l'imputato sono io, con altri colleghi. Il processo si svolge a Genova, in altro distretto giudiziario, perch vi erano coinvolti come attori anche gli eredi di un magistrato palermitano. Il giornale aveva pubblicato un disegno del pittore Bruno Caruso che, mischiando intenzionalmente immagini mafiose e politiche, accostava il volto di Ciancimino a quello di Luciano Liggio; di Corleone entrambi, quel boss allora per la seconda volta latitante, quel dc allora in fumus d'essere nella capitale isolana una longa manus delle "famiglie" corleonesi appunto (o di essere da queste "tenuto in pugno", il che non cambia molto). In quell'occasione a difesa del giornale era venuto a testimoniare anche l'allora colonnello Carlo Alberto dalla Chiesa, che in seguito la mafia avrebbe trucidato assieme alla giovane moglie. Sentenza: assoluzione! E - senza precedenti - questa assoluzione era stata condivisa perfino dal pubblico ministero, che pur rappresentava l'accusa. Qual era la clamorosa differenza contenuta nel dispositivo della sentenza? Che, mentre per Fidora ed altri essa era motivata con l'insussistenza del fatto in riferimento agli altri querelanti, era invece per Ciancimino motivata cos: il fatto non costituisce reato. Come a dire, in soldoni, che mentre verso gli altri non c'era dolo alcuno, accostare Ciancimino alla mafia buga proprio non era, anzi. Che colpo di spada! L'inizio della sua fine.In appello questa sentenza fu per quanto riguarda Ciancimino due anni dopo confermata e la Cassazione mise poi a suo tempo il proprio definitivo sigillo al tutto.Ora, pu essere imbarazzante citare un testo in cui si parla proprio del citante, ma mi sento di farlo proprio e solo perch certe cose meglio leggerle da una penna diversa da quella dell'interessato. Nel suo libro Accadeva in Sicilia / Gli anni ruggenti de L'Ora di Palermo scrive Vittorio Nistic, che prima di me fu direttore di questo quotidiano per vent'anni e dal quale ho imparato tutto quel che professionalmente so: Con le sentenze di Genova si chiudeva per "L'Ora" l'ultimo atto di quella sorta di selvaggio western giudiziario in cui mafiosi e potentati politici ci avevano trascinati per anni a forza di querele usate come fucili e uomini di legge e di toga usati con ruolo di fucilieri. Era stato Etrio Fidora ad assumersi fino all'ultimo l'onere della resistenza sul campo, difendendo da un tribunale all'altro con la forza della sua intelligenza e la sua proverbiale cocciutaggine, il ruolo del giornale e il diritto di libera critica politica dei suoi giornalisti. Provato e vincente, il carsico Etrio se ne tornava ora dall'ultima prova. Pi o meno negli stessi giorni in cui il giornale pubblicava un disegno di Caruso "Caduta di un pilastro" raffigurante la fine politica di Ciancimino: prima delle sentenze giudiziarie lo aveva travolto, con le elezioni di giugno, la campagna delle sinistre - "L'Ora" e Sciascia in testa - contro il malgoverno.Terzo quadretto / Sui gradini della caserma - Un'altra quindicina d'anni trascorsa e Ciancimino passato di processo in processo, parecchio carcere se l' gi fatto e in quel momento al confino di polizia, divieto di rientrare in Sicilia, in attesa del prossimo, quello pi grosso e definitivo. La sua sede obbligata un borgo contadino di qualche migliaio di abitanti, nel Molise, si chiama Rotello, provincia di Campobasso. Proprio a due passi da quel San Giuliano in cui il recente terremoto ha fatto strage di bambini, sepolti fra le macerie della propria scuola. Decido di andarlo a trovare, vorrei pubblicare, dopo tanti anni duellati, un'intervista con lui. All'aereoporto di Napoli affitto un'auto e punto verso Benevento per arrivare all'altro versante dell'Appennino, dov' Campobasso, lungo un percorso di minore altura, ore e ore comunque. In quel capoluogo mi informo e poi cammino tortuoso per saliscendi di boschi d'alberi spogli: inverno e fa un freddo cane, chiazze nevose qua e l. Natura grigia e triste, neppure incrocio altre macchine. Rotello mi si para davanti dopo una curva, quand'era ancora inaspettato. Casette, spiazzi sterrati, fabbricati disadorni, la piazza, la chiesa, un baretto. Metto poco a sapere dove sta: in paese sanno tutti del "siciliano". Mi accompagnano all'imbocco di una corta strada dritta al fondo della quale ce n' un'altra che la sbarra a T . Su questa, in linea davanti a me, un portone scuro, di ferro. Ed la piccola casa a due piani che s' affittato e dove vive da solo. Ogni tanto viene per un po' sua moglie, o uno dei figli, ma al momento non c' nessuno. E' sera gi molto scura e le finestre sono buie e sprangate. Ma lui in casa, mi dicono, perch quella l accanto al portone la sua auto, una grossa Mercedes nera. Vado all'unico albergo, che un po' fuori, e ci mangio. Cosa gli dir? E cosa gli chieder?Prima di trovare quella casa aveva alloggiato l anche lui e cos so qualcosa in pi. Fa vita molto ritirata, tanto dai limiti del territorio comunale non gli consentito uscire. Ogni tanto va a giocare a carte in casa di un vicino (eh, s, quello poi andr a trovarlo) ma di s e della Sicilia non parla mai. C' un uomo con lui, un altro siciliano. Rigoverna la casa, fa la spesa, cucina, gli fa da autista per brevi giri. Uno cos un guardaspalle ce l'ha sempre. Mi dicono che inutile bussare da lui: non riceve nessuno, nessuno che non sia l'idraulico per riparare un lavandino mai entrato l. Figuriamoci io. Ho un solo modo per incontrarlo: ogni sera alle dieci deve presentarsi alla stazione dei carabinieri e mettere la firma su un registro. E allora che faccio? Passeggio tutto il giorno fra quei quattro gatti cercando di capire la sua vita e cos la sera lui certamente sa da prima di vedermi che c' qualcuno "nuovo" in giro che chiede cose su di lui? Macch: mi metto in auto e vado a vedere mondo. Filo lungo tutto il corso del Biferno per arrivare all'Adriatico, manger pesce a Termoli e torner solo in serata.Alle dieci meno venti, non si sa mai, sono di nuovo a

Rotello, nello slargo dov' la stazione dei carabinieri, una specie di casermetta con dei gradini davanti e una ringhiera. Due lampioni fiochissimi, freddo, nessuna presenza umana. Dalla citt, dopo un po' di ricerche, m'ero portato un fotografo, un ragazzotto con Nikon e flash. Dieci in punto, la Mercedes scura gira silenziosamente l'angolo, ferma alla ringhiera, lui scende, suona, entra. Anche senza buona luce, quale differenza fra il guascone sbracato dei nostri primi scontri, viso magro e baffetti, sorriso strafottente, serate in smoking malportato, e quell'infagottato curvo con la barba bianca e un cappelluccio a tesa corta calcato sulle orecchie.Quando esce, dopo pochissimi minuti, trova me davanti alla porta, che si chiude alle spalle, e mi riconosce subito. Fa un cenno e una smorfia all'autista che aveva di colpo aperto la portiera e si appoggia alla ringhiera. Non contento. Il dialogo, brevissimo, stato il seguente.Buonasera. Buonasera. Sono venuto a parlare con lei. S' fatto un bel viaggetto. La cosa la meritava. Cosa vuole da me?. Solo chiacchierare, sentire sue opinioni sul mondo. Decider lei cosa dirmi, se vuole. Vuol sapere come mi trovo qui?. Non mi sogno neanche, non sarebbe cortese. Lei non mi ha mai trattato bene. Neanche lei, per questo: i suoi avvocati avevano a lungo chiesto il carcere per me, per quel scrivevo. Non ho voglia di parlare con lei. Ci devo pensare. Quanto?. (Spallucce. Io intanto mi sono seduto sui gradini ma lui non mostra di volermi scostare). Andiamo in un luogo chiuso, qui si gela. Non se ne fa niente. Un'altra volta. Forse. Vuole che ritorni? Le d il mio numero di telefono?. Me lo dia. (Lo intasca). Sa, una cosa che potrebbe dirmi con quali argomenti prima Gioia e poi Lima l'hanno scaricata offrendo lei alla giustizia come capro espiatorio. Se volessi parlare con un giornalista, con lei che sarebbe pi logico. Ma io non voglio parlare con nessun giornalista. Ha il mio numero. Aspetter. Mi alzo e gli lascio lo spazio per passare. E intanto faccio segno al fotografo che s'era defilato dietro l'angolo e quello fa tre passi avanti e spara tre flash su noi due faccia a faccia. Ciancimino allarga le braccia, scuote la testa, mi volta le spalle e sale sulla Mercedes che sgomma via mentre inutilmente gli grido Mi fermo qui ancora domani.Bene, questa dunque la storia di un'intervista fallita. E a questo punto mi sono anche sentito molto Maramaldo, perch avevo fatto mille chilometri solo per appostare e tormentare uno sconfitto. Ma cosa mai avevo creduto mi potesse dire senza morftificazione? L'indomani ho parlato col suo compagno di scopone, col sindaco e col parroco, col fruttivendolo e il macellaio, e sono andato a Larino a sentire il capitano dei carabinieri. Al ritorno ho costruito il servizio con quegli appunti e non vi ho incluso che un paio di queste nostre battute di dialogo, vergognandomene anche un poco.Questo ex padrone di Palermo ha scritto un memoriale autodifensivo, poi, e ha anche fornito qualche consulenza all'Antimafia. Piccola e discreta, perch di certe cose chi parla, o lascia intuire di poter parlare muore. Un suo successore a sindaco di Palermo, si chiamava Insalaco, apr per esempio parlantina su alcune connessioni in cui determinati personaggi fra i quali anche Ciancimino entravano, e gli spararono in testa. Chiuso. ________________ Per e-mail: fidora@unipa.it

PER IL TAR HANNO RAGIONE I PROPRIETARI DELLE VILLE Viva Palermo, Santa Rosalia e pure Pizzo Sella CRONACA 05 gennaio 2011 di Giulio Ambrosetti C una Sicilia che vuole cambiare, e c una Sicilia che non cambier mai. A questa seconda categoria appartiene il meraviglioso mondo di Pizzo Sella, la ridente collina che sovrasta Mondello. Dove, alla fine degli anni Settanta del secolo passato, la mafia realizza unaltrettanto meravigliosa lottizzazione abusiva. Ville, villette & villazze completate, allinsegna della legalit, negli anni della Primavera di Palermo. Ma, come capita spesso, non tutto quello che comincia male finisce bene. Cos, nel 1995, in attesa che la Giustizia si pronunci, il consiglio comunale di Palermo, in un momento di estasi, vota una risoluzione che prevede labbattimento di ville, villette & villazze di Pizzo Sella. Apriti cielo! Il capoluogo dellIsola trema. Nella citt dove Lima, Ciancimino & company si sono dilettati, per lungi decenni, nella produzione cementizia del sacco di Palermo, costruendo tutto e il contrario di tutto in barba alle leggi, si profila il rischio che, in materia urbanistica, venga per una volta rispettata la legalit. Inaudito!

Uningiustizia, gridano i proprietari di ville, villette & villazze. Noi quando abbiamo acquistato queste abitazioni dicono non sapevamo certo che a costruirle erano stati i mafiosi. E avevano ragione: in fondo, quando esplode il caso Pizzo Sella arrestano appena lex sindaco di Palermo, un nugolo di alti funzionari del Comune e qualche mafioso. E il fatto che tutti finiscono sulle prime pagine dei giornali non significa nulla, perch nessuno potr mai provare chi acquister negli anni successivi ville, villette & villazze quel giorno aveva letto i quotidiani. Tra laltro, il mafioso coinvolto nella Palermo dei primi anni 80 nella vicenda di Pizzo Sella Michele Greco detto il papa di Ciaculli, che in citt un illustre sconosciuto (o quasi). Nemmeno i notai che hanno curato gli atti di compravendita, ovviamente, conoscono i retroscena di questa storia. Anche i notai, insomma, non vedono, non sentono e non parlano. E, soprattutto, si adeguano. Nonostante queste giuste ragioni, lordinanza di demolizione per ville, villette & villazze di Pizzo Sella arriva lo stesso. Una spada di Adamocle (il copyright linguistico di un parlamentare regionale degli anni 80 che manda in soffitta un Damocle un po troppo inflazionato) che non fa dormire sonni tranquilli agli innocenti proprietari delle abitazioni. Per fortuna che a salvare tutto pensano i Carnelutti del Tar di Sicilia, acronimo che sta per Tribunale amministrativo regionale. I quali sentenziano: hanno ragione gli innocenti che hanno acquistato ville, villette & villazze: loro non potevano sapere che dietro la lottizzazione abusiva cera la mafia! Gli avvocati che difendono i mischini che hanno acquistato ville, villette & villazze oggi da loro abitate citano persino una sentenza dei Soloni della Corte Europea. Ragazzi, che giuristi! E noi? Noi siamo daccordo con tutti: con i belli e con i brutti, con gli avvocati e con i giudici (del Tar), con le vittime e con i carnefici, con lantimafia che applica la legge e con lantimafia che la interpreta, con il diritto e con il rovescio. E poi, via: le ville, le villette e le villazze di Pizzo Sella sono uno splendido, irripetibile e inimitabile museo a cielo aperto della mafia. In un mondo che spende un sacco di soldi (naturalmente pubblici) per realizzare i musei dellantimafia vogliamo veramente demolire lunico museo naturale della mafia realizzato a gratis ? Viva Pizzo Sella, dunque. E lunga vita e ville, villette e villazze che saranno s abusive, che saranno pure state costruite dalla mafia, ma che oggi rappresentano un esempio di illegalit trasformata in legalit, quasi una vittoria dello spirito sulla carne (alla brace con salmoriglio).

Pizzo Sella, lo scempio che nessuno abbattePalermo, restano in pi edi 140 villette abusive. L'assessore: Noi dobbiamo tutelare i p roprietari C' un'ordinanza definitiva della Cassazione: vanno s mantellate. Furono costruite dalla sorella del boss palermitano M ichele Grecon di Alessio Gervasi C' un'ordinanza di abbattimento, ormai definitiva, una sentenza della Corte di Cassazione, ma le ville abusive di Pizzo Sella, meglio conosciuta come la collina del disonore, sono ancora l. Dentro ci vivono ancora le famiglie, malgrado ormai i manufatti siano passati al patrimonio del Comune. Anche questo vuol dire Sicilia. Furono tirate su con le concessioni ottenute a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta da Rosa Greco, sorella di Michele Greco, il boss dei boss soprannominato Il Papa. Dopo quarant'anni la politica non sa ancora che pesci prendere, malgrado la perentoriet dell'ultima sentenza della Cassazione: quelle ville debbono andare gi e basta. Ma siamo a Palermo, che oggi affoga nel cemento e nel degrado. Pizzo Sella un esempio, un segmento di sei milioni di metri cubi di cemento. Cinquemila

costruzioni, 80mila persone: tutto abusivo, tutto consentito. Pizzo Sella ormai una citt (abusiva) nella citt che ha preso il posto dell'area verde prevista nel vecchio Piano regolatore, che comprendeva anche il parco di Ciaculli, la zona sud di Palermo dove la legge non mai arrivata. Quello era il regno incontrastato del Papa. Quest'estate dal Comune arrivato l'ennesimo colpo di spugna col via libera del Consiglio Comunale all'aggiornamento del Piano regolatore, che prevede trenta nuovi piani particolareggiati per altrettante zone della citt. Di fatto hanno riperimetrato le aree per come realmente sono e chi si visto si visto. L'opposizione ha lanciato il grido d'allarme, accusando il Consiglio di riportare Palermo ai tempi bui del 'sacco edilizio' degli anni Sessanta, quelli di Lima e Ciancimino, che hanno cambiato volto alla citt, coi palazzoni al posto delle ville liberty. Oltre a sanare Ciaculli e quelle che erano le aree verdi, l'ultima mossa della maggioranza di centro destra che governa Palermo potrebbe permettere nuove costruzioni anche a Mondello - il borgo marinaro che di fatto l'unica spiaggia fruibile dai palermitani - sotto la spinta dei grandi gruppi finanziari pronti ad aprire centri commerciali. Nel frattempo alla Regione e alla Provincia gli assessori al Territorio e Ambiente - Mario Parlavecchio e Alberto Acierno, entrambi di Nuova Sicilia (centrodestra)- sono al lavoro per cercare di aggiustare in qualche modo la vicenda di Pizzo Sella. Malgrado lo stesso Tar di Palermo il 1 luglio abbia respinto il ricorso dei proprietari confermando di fatto che la propriet stata confiscata e dunque le 140 ville abusive di cui la Cassazione ha disposto in via definitiva la demolizione sono ormai di propriet del Comune. L'amministrazione comunale in questi giorni dovrebbe mandare agli ormai ex proprietari delle ville le lettere con l'invito a sgombrare entro 90 giorni. Resta da capire se lo far, alla luce dei nuovi annunci di condono edilizio. Per capire quanto siano forti le spinte che arrivano dagli abusivi basta soffermarsi sulla vicenda del piano regolatore aggiornato dal Consiglio comunale e l'impegno con cui si stanno muovendo i due assessori di Nuova Sicilia - con l'irriducibile Acierno deciso a bloccare le demolizioni sancite dalla Cassazione. Qualche passo indietro: a tenere le fila di Nuova Sicilia Bartolo Pellegrino, ex assessore regionale al Territorio e Ambiente della giunta Cuffaro, che ha sempre portato avanti il progetto della sanatoria edilizia, il famoso riordino delle coste, inserita dallo stesso Cuffaro nel suo programma elettorale due anni addietro. Pellegrino, che nel suo curriculum vanta alcune settimane di carcere, una condanna per assegni a vuoto e alcuni precedenti per detenzione di esplosivi, fu costretto ad autosospendersi e infine a dimettersi da assessore alcuni mesi addietro perch intercettato mentre s'intratteneva (nell'ottobre 2000) con tre persone ritenute legate a un latitante capomafia di Monreale, il boss Giuseppe Balsano, in una conversazione dai toni inquietanti. Le microspie svelarono come Pellegrino dispensasse consigli ai tre su come comporre una cooperativa per ritornare in possesso di un capannone confiscato proprio al boss Balsano: Se viene fuori che il gestore lui non succede niente, ma siccome uno ha fatto l'infame con gli sbirri.... Costretto ad abbandonare la scena politica ha comunque suggerito il suo successore, per dare continuit alla linea. Cos alla guida dell'assessorato Territorio e Ambiente giunto Mario Parlavecchio, che guarda caso era il capo di gabinetto di Pellegrino. Cambiare tutto affinch nulla cambi diceva il principe Salina. Mario Parlavecchio, infatti, abbastanza coerente con il passato. Anzi, a dirla tutta, qui sono in molti a ritenerlo soltanto l'esecutore del Pellegrino pensiero. Alle ultime amministrative in Sicilia scoppiato il finimondo perch i due andavano ai comizi assieme e Parlavecchio 'ospitava' Pellegrino sull'auto blu della Regione. Ma le polemcihe passano in fretta, mentre le aspettative di chi si costruito la villa abusive no. Quelle vanno tenute in considerazione e la campagna elettorale del centro destra non le ha mai dimenticate. In Sicilia abusiva una casa su quattro. Sar anche per questo che Nuova Sicilia cresciuta e ha piazzato un altro suo uomo alla Provincia, sempre all'assessorato Territorio e Ambiente, snodo cruciale delle decisioni piimportanti. Si tratta di Alberto Acierno, un ex forzitaliota. Quest'ultimo fra l'altro, prima di diventare assessore provinciale, da deputato regionale nell'ultima finanziaria aveva proposto con un ordine del giorno - poi bocciato dall'aula - di bloccare le demolizioni di Pizzo Sella. E il quadro si chiude. I due nuovi assessori al Territorio della Regione e della Provincia, in perfetta simbiosi e approfittando della decisione del Comune che salverebbe gli abusivi del verde agricolo della citt - che sono circa 80mila, col 79 per cento del verde agricolo ormai urbanizzato - spingono sull'acceleratore e in particolare Acierno tuona contro la sentenza della Cassazione che vorrebbe demolire le 140 ville di Pizzo Sella. Acierno ha dichiarato : A noi non interessa l'inchiesta per mafia, il ruolo degli imprenditori, n la responsabilit di chi ha rilasciato le licenze. Riteniamo che chi ha comprato quelle case a norma di legge debba essere salvaguardato. E dunque, siccome le zone collinari E2 (fra cui anche Pizzo Sella e Ciaculli) sono quasi tutte interessate dal fenomeno della lottizzazione abusiva e il Comune sta dando un colpo di spugna su quello che doveva essere il verde di Palermo - ormai una colata di cemento - la tentazione quella di lasciare tutto com'. La parola d'ordine, qui, sembra essere una soltanto: non si deve demolire alcunch. Con buona pace della Cassazione. E:GERALE@@ 21 settembre 2003 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 11) nella sezione "Interni"

Ilbusinessdellabusivismoediliziotrapoliticiesacerdoti di Arnaldo Capezzuto | 31 ottobre 2012 Commenti (85) Non c mai fine al peggio. Mi cadono le braccia. Comincia a girarmi lo stomaco e davvero vorrei vomitare tutta la rabbia che mi sale da dentro. Come ci si pu presentare al Senato della Repubblica e dire: Qualcuno mi ha paragonato al personaggio Cetto La Qualunque che prometteva un pilastro per ogni bambino nato. I veri delinquenti sono state le Istituzioni della Campania che hanno

consentito abusi per oltre 20 anni. La nostra proposta la riapertura del condono edilizio del 2003 contenuta in un nostro disegno di legge. A parlare il senatore Francesco Nitto Palma, ex ministro della Giustizia nellultimo governo Berlusconi e attuale commissario regionale del Pdl in Campania. Non ce la faccio. E da tempo che il Pdl ci prova. Si, perch ci hanno provato in tutti i modi a far passare una leggina vergogna, lennesima, per sanare migliaia di costruzione abusive distribuite su tutto il territorio campano, isole comprese. Una cocciutaggine politica, figlia di un calcoletto opportunistico pre-elettorale che ancora di pi in questi giorni diventata un salva vita per un establishment allo sbando. Dalle parti mie la politica, lamministrazione della cosa pubblica ha fatto sempre e solo il tifo per i clan della camorra e per le ditte ad essa legate. Cosa sono i boss e i clan senza il politico corrotto, i funzionari infedeli, le connivenze istituzionali, il consenso e la convenienza sociale? Niente. La forza il mischiarsi. E il cocktail shakerato del potere che cerca il potere. E la cultura dellappartenenza che travalica tutto e tutti. Non ci sono piani regolatori che tengono, non ci sono regole e norme urbanistiche da rispettare, non ci sono vincoli paesaggistici da osservare, non ci sono pareri e pronunciamenti invalicabili, non ci sono controlli e tutori dellordine che vedono e intervengono. E una giungla, dove ognuno copre laltro. Un sistema mostruoso ripiegato a tutela di se stesso. Uomini e donne appartenenti alle pi disparate formazioni politiche e liste civiche fatta leccezione per qualche piccola storia personale in discontinuit, messa subito ai margini concentrati nel disegnare e inventare provvedimenti creativi: varianti ai piani urbanistici, varianti al piano regolatore, concessioni con il pezzotto, varianti in corso dopera, espropri mascherati e costruiti a tavolino. Laddove le mani sulla torta sono troppe, ecco che compare il commissariamento retto da funzionari pubblici nominati dal politico nazionale di riferimento di quel territorio e come automi, i sottomessi soddisfano le voglie incastrando i tasselli: speculazioni, progetti spartitori, appalti e sub-appalti. Questa la trama. Questa la solita trama. Il succo lillegalit diffusa, la connivenza, la convivenza, gli affari e ancora affari. Una catena di SantAntonio con maglie spesse dove tutto si tiene: ricattatori e ricattati, corruttori e corrotti, politici e capibastone, boss e colletti bianchi. Appunto, un sistema di potere dove ogni attore, dal protagonista al figurante, partecipano alla stessa falsa rappresentazione. Allora, scusatemi: la lobby in Parlamento che tenta di vestire mostruose illegalit con un abito di legalit a chi risponde davvero? Uno scandalo. Una vergogna. Uno schifo. Le nostre citt sono diventate dei cessi. Palazzi mostruosi accatastati luno sullaltro senza un criterio. Spazi mangiati da cemento e ancora cemento. Rioni e quartieri dormitorio, senza servizi e con il vuoto attorno dove la socialit un optional. Brutture che fanno accapponare la pelle. Sorrento, Costiera Amalfitana, Ischia, Capri e Procida sono state sfigurate, violentate, umiliate. Se poi c una sentenza di abbattimento esecutiva il caso di Ischia centinaia di persone si scagliano contro le forze dellordine e sugli operai cacciandoli a colpi di bombe carta. E possibile tollerare tutto questo? A Casal di Principe, paese noto alle cronache, svettano ville hollywoodiane (modello Scarface), costruite da padrini codardi e non solo, sono diventate la normalit. Camorra chiama camorra. Le costruzioni abusive senza licenza e autorizzazione edilizia sono uno dei capitoli economico e finanziari pi remunerativi delle mafie, non solo della camorra. Dalla famigliola che investe i risparmi, allazienda che deve ampliare i capannoni, allimprenditore che lancia una lottizzazione, al grande progetto sponsorizzato dagli amici degli amici. Sono i tentacoli della stessa piovra: liter burocratico, liter delle autorizzazioni, il lascia passare allintrapresa senza permessi e pi concretamente il movimento terra, il calcestruzzo, la fornitura di inerti, la realizzazione dellopera grezza, le rifiniture, la gestione. Tutto per mano della Camorra Spa che abbraccia mortalmente il sistema delle complicit. Brividi corrono sulla schiena. Il voltastomaco aumenta. Dicevamo: non c mai fine al peggio. Eccolo il peggio: ad inizio ottobre, insomma pochi giorni fa, proprio a Casal di Principe tutte le parrocchie con il vescovo di Aversa in testa organizzano una grande fiaccolata contro gli abbattimenti delle case abusive. Una mobilitazione con lo scopo di aprire un dialogo con la Procura generale di Napoli per fermare le esecuzioni delle demolizioni. E gli abusivi presentano anche un manifesto dove scrivono: Abbiamo sbagliato per il passato, ma vogliamo riparare. Dateci la possibilit di farlo. E i parroci li aiutano sostenendo: Non vogliamo giustificare e tollerare l abusivismo, al contrario, i cittadini acquistano sempre pi consapevolezza dei limiti dellillegalit, ma invochiamo un aiuto dalla magistratura affinch ci indichi la strada per uscire da situazioni di abusivismo. Che significa? Non capisco. Forse chiudere un occhio e anche laltro? Annullare le sentenze di colpevolezza e far finire anni di saccheggio e devastazione a tarallucci e vino? E chi, con onest e vivendo una vita dignitosa e da vero cristiano, non ha costruito case abusive cosa deve pensare? Un ultimo pensiero a Don Peppino Diana, un parroco-parroco che disse no al potere dellillegalit, che aiut a far crescere attorno a s una coscienza civile collettiva e fin martire, massacrato dai killer della camorra cosa penserebbe oggi dei suoi colleghi?

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