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Editoriale
E adesso diamo i numeri

N 65 Febbraio 2013

Trifir & Partners Avvocati

Sin dai lavori preparatori, abbiamo dedicato grande attenzione alle principali novit introdotte dalla Riforma Fornero, senza nascondere perplessit su alcune scelte del Legislatore, che sono risultate essere pi il frutto di compromessi che lespressione di una volont normativa improntata a chiarezza e certezza del diritto. Abbiamo, ora, anche i primi numeri sulle ricadute che la Riforma sembrerebbe avere avuto sulle imprese. Dai dati circolati in questi giorni sui principali organi di stampa risulta che, sotto il prolo della essibilit in uscita, nel terzo trimestre 2012 i licenziamenti sono stati 225.868 con un aumento dell'8,7% sullo stesso periodo del 2011, mentre, sotto quello della essibilit in entrata, restano stabili i contratti a termine ma, per contro, si registrata una forte diminuzione dei contratti di collaborazione, con un calo del 22,5% rispetto al terzo trimestre 2011, nonch delle altre tipologie contrattuali atipiche, con un decremento del 24,3%. Complessivamente su 2.462.314 rapporti di lavoro attivati solo 430.912 sono a tempo indeterminato (il 17,5% del totale). Colpisce, poi, che lapprendistato, su cui la Riforma ha puntato molto, nel quarto trimestre addirittura calato rispetto al primo trimestre 2012. Tali dati sono interessanti perch confermano le impressioni iniziali: la Riforma del Lavoro Fornero, se, da un lato, ha allentato (nel senso di agevolare) la essibilit in uscita (anche se, a onor del vero, i dati forniti non distinguono tra aziende soggette, o meno, allart. 18 St. Lav.), dallaltro lato, ha, invece, irrigidito la essibilit in entrata. Un risultato, questultimo, che del tutto opposto ai propositi della Riforma e di cui occorrer tener conto per nuovi interventi, se si vuole fare ripartire davvero la Comunit del Lavoro. Salvatore Trir Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca DArco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera, Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trir e Giovanna Vaglio Bianco
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Diritto del Lavoro Attualit 2 Le Nostre Sentenze 4 Cassazione 10 Diritto Civile, Commerciale, Assicurativo Le Nostre Sentenze 12 Assicurazioni 13 Il Punto su 15 Eventi 17 Rassegna Stampa 18 Contatti 19

N65 Febbraio 2013

Diritto del Lavoro


A cura di Valentina Curti

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Vietati i controlli sul pc aziendale se non c preventiva informazione al dipendente


Non sufciente che il datore di lavoro informi il lavoratore che il computer portatile aziendale a lui assegnato sia concesso in uso per esclusive nalit professionali. E nemmeno sufciente che il lavoratore venga informato, attraverso policy aziendali, del fatto che lazienda effettui, periodicamente, il back-up dei dati presenti su tale pc e controlli a posteriori il buon esito di tali operazioni di salvataggio. Per poter legittimamente effettuare il controllo sul contenuto dei dati e delle informazioni presenti nel pc in dotazione al dipendente, il datore di lavoro deve (dimostrare di) aver precedentemente fornito un'idonea informativa al dipendente in ordine al possibile trattamento dei di lui dati personali da parte della societ connesso ad eventuali attivit di verica e controllo effettuate su tale tipo di strumenti di lavoro (cfr. al riguardo anche il provv. del Garante del 1 marzo 2007 "Lavoro: le linee guida del Garante per posta elettronica e internet" pubblicate in G. U. n. 58 del 10 marzo 2007, punto 3). Questo il contenuto del recente messaggio del Garante della Privacy (pubblicato nella Newsletter n. 369 del 14 febbraio 2013), che rende nota la decisione del 18 ottobre 2012, n. 307 assunta in merito al ricorso presentato al Garante da un dipendente, licenziato per giusta causa, allesito di una verica effettuata dalla datrice di lavoro su una serie di documenti, presenti in una cartella personale del pc portatile a lui assegnato. La societ aveva avuto accesso a tali documenti quando il dipendente aveva riportato il computer in sede per la periodica operazione di salvataggio dei dati aziendali. Nella specie, a giudizio del Garante, il fatto che il lavoratore fosse informato dellattivit di backup dei dati da parte dellazienda non valeva a renderlo adeguatamente informato della possibilit che tramite tale operazione la societ avrebbe anche potuto trattare i dati informatici presenti nel computer ai ni di un controllo dellattivit lavorativa. Il Garante ha ribadito che il datore di lavoro pu effettuare controlli mirati al ne di vericare l'effettivo e corretto adempimento della prestazione lavorativa e, se necessario, il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro. Tale attivit, per, pu essere svolta solo nel rispetto della libert e della dignit dei lavoratori e della normativa sulla protezione dei dati personali che prevede, tra l'altro, che alla persona interessata debba essere sempre fornita un'idonea informativa sul possibile trattamento dei suoi dati connesso all'attivit di verica e controllo. Il Garante ha quindi vietato alla societ ogni ulteriore utilizzo dei dati personali cos acquisiti. Tuttavia, il divieto di utilizzazione dei dati acquisiti in violazione della normativa sulla privacy non si traduce automaticamente nel divieto di utilizzazione dei dati stessi nel diverso giudizio civile instaurato dal lavoratore, avanti il Giudice del Lavoro, per limpugnazione del licenziamento. Come chiarito dal Garante, resta ferma, in tal caso, lautonomia del giudice nel valutare lammissibilit nel procedimento civile di tale tipo di documentazione (Conforme, Trib. Torino, 8 gennaio 2008 Il dipendente che inserisce dati personali in un luogo non proprio o utilizza abusivamente strumentazioni di propriet dell'azienda, contravvenendo a un esplicito divieto di questa, non pu invocare il diritto alla privacy per contestare eventuali attivit datoriali di controllo, contestazione e sanzione delle condotte illecite. L'inutilizzabilit dei dati personali reperiti in violazione della disciplina vigente in materia riferibile unicamente ai destinatari delle prescrizioni del Codice della privacy e non si converte in divieto probatorio per il giudice Riv. it. dir. lav. 2008, 4, II, 845).

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A cura di Damiana Lesce

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Agevolazioni contributive e utilizzo di lavoratori flessibili: linterpello del Ministero del Lavoro
Lutilizzo del lavoratore iscritto nelle liste di mobilit, prima attraverso lo strumento della somministrazione e, successivamente, mediante la stipulazione di un contratto a termine, non aumenta il limite di godimento delle agevolazioni contributive. Cos ha risposto la Direzione Generale per lAttivit Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con interpello n. 40 del 21 dicembre 2012, in relazione ad un quesito del Consiglio Nazionale dellOrdine dei Consulenti del Lavoro, in merito alla fruizione delle agevolazioni contributive ex art. 8, comma 2 della L. n. 223/1991. Il quesito era il seguente: se sia possibile godere dello sgravio contributivo lazienda utilizzi un lavoratore iscritto nelle liste di mobilit attraverso lo strumento della somministrazione di lavoro (ai sensi dellart. 20, comma 5 bis, del D.Lgs. n. 276/2003) e successivamente proceda allassunzione del medesimo lavoratore, ancora iscritto nelle liste di mobilit, con contratto a termine di 12 mesi ai sensi dellart. 8, comma 2, della L. n. 223/1991. La Direzione Generale ha spiegato che la singola impresa che abbia fruito di agevolazioni attraverso lutilizzo di lavoratori somministrati e attraverso contratti di lavoro stipulati direttamente con i medesimi lavoratori dovr sommare i relativi periodi ai ni della determinazione della durata massima della riduzione contributiva. Viene, quindi, ritenuto possibile un cumulo della agevolazione contributiva ma nei limiti della durata massima complessiva di 12 mesi, prorogabili per ulteriori 12 mesi in caso di trasformazione del rapporto a tempo indeterminato.

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LE NOSTRE SENTENZE
LE SENTENZE DEL MESE
SI FINGE MALATO E VA A GIOCARE A CALCIO: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO (Tribunale di Foggia, 18 gennaio 2013)

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Un dipendente si era assentato dal lavoro per due giorni consecutivi, sostenendo di essere malato e facendo pervenire alla Societ, seppur con colpevole ritardo, un certicato medico a pretesa dimostrazione della sussistenza della lamentata patologia (disturbi addominali). La Societ - dopo aver scoperto che, nella seconda delle predette giornate, il lavoratore aveva partecipato ad una partita di calcio nellambito di un torneo interaziendale - gli aveva, dapprima, contestato tale circostanza e, poi, irrogato la sanzione disciplinare della multa pari a tre ore di retribuzione, tenuto conto che il dipendente aveva ammesso i fatti contestati. Successivamente, la Societ venuta casualmente a conoscenza, leggendo un giornale locale di altra regione, che - in occasione della prima giornata di assenza - il lavoratore, lungi dallessere malato, aveva effettuato un lungo viaggio per recarsi a disputare una gara nellambito di un torneo ufciale di pallone. Anche in questo caso, il datore di lavoro gli ha contestato laddebito e, a fronte delle ammissioni del dipendente, lha licenziato per giusta causa. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento irrogatogli, ma il Tribunale di Foggia - dopo aver respinto tutte le censure formali mosse dal medesimo - ha ritenuto detto licenziamento legittimo anche nel merito. Al riguardo, il Tribunale ha affermato che il comportamento tenuto dal dipendente - consistente nellessersi ingiusticatamente assentato dal lavoro per due giorni consecutivi per andare a giocare a calcio, ngendo di essere malato e producendo in maniera dolosa e fraudolenta, e per di pi tardivamente, un certicato medico falso a preteso sostegno della propria asserita e, in realt, inesistente patologia - costituiva giusta causa di recesso, in quanto gravemente lesivo del vincolo duciario posto alla base del rapporto di lavoro. Il Tribunale ha tenuto anche conto, da un lato, che il dipendente aveva gi posto in essere comportamenti simili in passato, per cui era stato sanzionato e, dallaltro, che le stesse organizzazioni sindacali avevano espressamente richiamato lattenzione dei lavoratori dello stabilimento sul grave problema dellassenteismo per malattia, invitandoli a tenere un atteggiamento pi professionale. DURANTE LASSENZA DAL LAVORO PER INFORTUNIO, INSTALLA TENDE DA SOLE: LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO (Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 7 febbraio 2013) Un dipendente, durante lassenza dal lavoro per infortunio (contusione allemitorace), ha svolto attivit lavorativa a favore di terzi, occupandosi dellacquisto di tende da sole e del loro montaggio. La Societ informata di ci dallagenzia investigativa che aveva ingaggiato per pedinarlo - gli ha, dapprima, contestato tale circostanza e, poi, intimato il licenziamento per giusta causa, tenuto conto che il dipendente aveva ammesso i fatti contestati. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento irrogatogli, in quanto - a suo dire - illegittimo, poich: a) egli, durante lassenza per infortunio, aveva espletato attivit lavorativa soltanto in via saltuaria e non continuativa; b) la condotta da lui posta in essere non rientrava tra quelle per cui il CCNL prevedeva il recesso per giusta causa; c) il licenziamento avrebbe avuto, in ogni caso, carattere ritorsivo.
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Peraltro, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ritenuto detto licenziamento legittimo, evidenziando che leventuale svolgimento di attivit lavorativa - da parte di un dipendente - in costanza di malattia o infortunio non , di per s, vietato, a meno che da ci si possa desumere la fraudolenta simulazione di una patologia in realt inesistente, oppure si possa ritenere, in base ad una valutazione ex ante circa la compatibilit tra il tipo di patologia contratta e lattivit espletata, che questultima fosse idonea a pregiudicare o, quantomeno, ritardare la guarigione e, di conseguenza, la ripresa dellattivit lavorativa. Nel caso di specie, il Tribunale ha rilevato che - pur dovendosi escludere la simulazione dellinfortunio, alla luce della documentazione medica prodotta in causa, proveniente da strutture pubbliche e dallINAIL - lattivit di montaggio di tende da sole, in quanto implicante un notevole sforzo sico, era stata senzaltro idonea a compromettere la guarigione del dipendente e, quindi, anche il suo tempestivo rientro in azienda. Su tale presupposto, la sentenza ha affermato che il licenziamento era legittimo, perch il lavoratore, nel dedicarsi a tale attivit, aveva gravemente violato i doveri di correttezza e buona fede, nonch gli obblighi di diligenza e fedelt e, pertanto, aveva leso il vincolo duciario posto alla base del rapporto di lavoro, precisando che a nulla rilevava in senso contrario la circostanza che egli si era occupato del montaggio delle tende da sole soltanto in via saltuaria e non continuativa, essendo sufciente a concretare la predetta violazione anche un unico giorno di lavoro. Il Tribunale ha, altres, sottolineato lirrilevanza del fatto che la condotta posta in essere dal dipendente non rientrava tra quelle per cui il CCNL prevedeva il recesso in tronco, poich lelencazione delle ipotesi di licenziamento per giusta causa contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplicativa e non tassativa. Inne, stato osservato che la sussistenza - nel caso in esame - di addebiti tali da integrare una giusta causa di recesso rendeva superuo laccertamento del lamentato intento ritorsivo, perch questultimo sarebbe stato, in ogni caso, privo del necessario carattere determinante ed esclusivo. Cause seguite da Luca Peron e Tiziano Feriani

ALTRE SENTENZE
CONVERSIONE DEL LAVORO TEMPORANEO IN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO: SI APPLICA LINDENNIZZO FORFETTIZZATO DEL COLLEGATO LAVORO 2010 (Cass. civ. sez. lav., 17 gennaio 2013, n. 1148) La Suprema Corte, con la sentenza n. 1148 del 17 gennaio 2013, ha affermato il seguente principio di diritto: Lindennit prevista dallart. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dellillegittimit di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del primo comma, dellart. 3 della legge 24 giugno 1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione. La sentenza, seppur riferita alla precedente ed ormai abrogata disciplina in tema di lavoro interinale, quanto mai rilevante anche nel sistema introdotto dal D. Leg. 276/2003, concernente la somministrazione di lavoro, stante anche la medesima ratio di queste leggi. In particolare la Corte ha evidenziato la particolarit del rapporto trilaterale che caratterizza la fornitura di lavoro, sottolineando che, nel caso di illegittimo contratto di fornitura, opera una conversione soggettiva del rapporto, portato in capo al beneciario della prestazione lavorativa, a cui si aggiunge, la conversione del contratto a tempo indeterminato, in carenza dei presupposti per lapposizione del termine.
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Vi sono, quindi, due passaggi giuridici: ed il secondo rientra necessariamente nella fattispecie regolata dallart. 32, 5 co. L. n. 183/2010, che opera proprio Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato. La sentenza ha, inoltre, sottolineato che i suddetti principi ben possono operare anche in relazione alle previsioni della disciplina oggi vigente, di cui allart. 27 del D. Leg. 276/2003, nel caso di somministrazione irregolare. Ed invero, anche in questa fattispecie, si ha una conversione soggettiva del contratto in capo al beneciario. Inoltre, nel caso di contratto di somministrazione a termine, stante un espresso rinvio alla disciplina del D. Leg. 368/2001 per quanto compatibile e non derogato (V. art. 22, 2 co. D. Leg. 276/2003), a maggiore ragione, in carenza dei presupposti per lapposizione del termine, opera lulteriore conversione del rapporto in a tempo indeterminato. Di qui lapplicazione delle previsioni di cui ai commi 5 e 7 dellart. 32 della L. n. 183/2010. Questa sentenza mette, pertanto, un punto fermo, in relazione ad una recente disciplina, more solito oggetto di diverse e contrastanti interpretazioni, ma volta indubbiamente ad introdurre una maggior certezza delle situazioni giuridiche e dei tempi e costi di giudizio. Causa seguita da Anna Maria Corna ESCLUSIONE E LICENZIAMENTO DEL SOCIO DI COOPERATIVA: IL LAVORATORE DEVE PROMUOVERE LA CAUSA (ANCHE) DAVANTI AL GIUDICE CIVILE (Tribunale di Milano, 29 gennaio 2013, n. 172) Il Consiglio di Amministrazione di una cooperativa ha deliberato lesclusione per giusta causa di un socio lavoratore, il che - per previsione legale (art. 2533 cod. civ.) e statutaria - ha comportato lautomatica risoluzione di diritto anche del rapporto di lavoro sottostante a quello associativo. Il lavoratore ha qualicato il recesso aziendale come un licenziamento, impugnandolo innanzi al Giudice del Lavoro; non ha, invece, impugnato, entro il termine di decadenza legale di 60 giorni (art. 2533 cod. civ.) la delibera del Consiglio di Amministrazione. Il Tribunale di Milano, con la sentenza in commento, ha respinto integralmente il ricorso, sulla base delle argomentazioni che seguono. Anzitutto, il Tribunale ha aderito allorientamento della Cassazione (ordinanza n. 24692/2010, sent. n. 25945/2011 e sent. n. 14741/2011) secondo cui, in ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro conseguente allesclusione del socio, questultimo deve impugnare la delibera dellorgano statutario innanzi al giudice civile; e laccertamento della pretesa illegittimit della delibera pregiudiziale, rispetto a quello della pretesa illegittimit della risoluzione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, la mancata impugnazione della delibera, nel termine legale di decadenza ex art. 2533 cod. civ., rende denitiva la risoluzione del rapporto associativo, con conseguente inammissibilit di qualsiasi successiva azione, promossa dal socio lavoratore innanzi al giudice del lavoro, per contestare la legittimit del proprio licenziamento. In secondo luogo, il Tribunale ha evidenziato che il rapporto del socio lavoratore, nella sua fase estintiva, non regolato dalla disciplina formale e sostanziale di diritto del lavoro (in particolare, dallart. 7 dello Statuto dei Lavoratori), bens dalla normativa legale e statutaria che disciplina le ragioni e le modalit di risoluzione del rapporto associativo (conf. Trib. Ravenna 29 aprile 2009). Di riesso, la pretesa violazione delle norme procedurali ex art. 7 dello Statuto dei Lavoratori irrilevante, se il socio lavoratore non ha impugnato la delibera di esclusione in sede civilistica, contestandone la legittimit sotto il prolo formale (pretesa violazione delle garanzie di difesa del socio) e sostanziale (fondatezza delle ragioni dellesclusione). Inoltre, il Tribunale ha segnalato che il lavoratore, se intende qualicare come un licenziamento il recesso della cooperativa dal rapporto di lavoro, deve impugnarlo entro il termine di 60 giorni previsto dallart. 6 della l. n. 604/1966 e dallart. 32 della l. 183/2010 (cd.
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Collegato Lavoro 2012). Tale impugnazione deve avvenire dopo che il rapporto di lavoro si risolto, come conseguenza della delibera di esclusione. Nel caso di specie, il lavoratore ha inviato alla cooperativa una lettera di impugnazione quando liter di perfezionamento della delibera di risoluzione del rapporto associativo era in corso e, quindi, per definizione, anche il rapporto di lavoro era ancora in essere (tanto vero che la cooperativa aveva inviato al lavoratore una lettera con cui gli comunicava la sospensione cautelare dal servizio). Il Tribunale ha escluso che un licenziamento possa essere validamente impugnato prima ancora della sua intimazione, mentre la volont del datore di lavoro si sta formando. Di qui una ulteriore ragione di inammissibilit del ricorso del socio lavoratore. Causa seguita da Tommaso Targa OPPOSIZIONE A CARTELLA ESATTORIALE - ONERE PROBATORIO IN CAPO A CREDITORE/ ATTORE SOSTANZIALE - SUSSISTENZA (Corte dAppello di Milano, 9 gennaio 2013, n. 2165) La Corte d'Appello di Milano, con sentenza 9 gennaio 2013, n. 2165, in riforma della pronuncia del primo Giudice, ha accolto il ricorso - promosso da una Societ, in opposizione ad una cartella esattoriale, emessa dall'INPS, per asseriti crediti contributivi - in relazione ad alcuni lavoratori ritenuti, dall'Ente Previdenziale, subordinati anzich autonomi. Il Collegio milanese, richiamando a conforto della propria tesi una pronuncia (n. 19762/2008) della Suprema Corte (che, in materia, aveva mutato il precedente orientamento) ha ritenuto che fosse onere - non assolto, nella specie - dell'INPS, formalmente convenuto in giudizio ma attore sostanziale, fornire la prova della subordinazione (ovvero del presupposto del proprio credito). Infatti - come spiega la Corte d'Appello - l'applicazione delle regole generali sull'onere probatorio opera in modo invariato, quale che sia la parte che abbia assunto l'iniziativa processuale e, pertanto, quand'anche sia stato il presunto debitore ad esercitare azione di accertamento negativo del credito (proprio come avvenuto nell'ipotesi in esame, in cui la Societ asserita debitrice aveva promosso ricorso in opposizione alla cartella esattoriale dell'Inps). Causa seguita da Vittorio Provera e Andrea Beretta RIFORMA FORNERO: INDIVIDUAZIONE E (NON) MUTABILIT DEL RITO (Tribunale di Siracusa ordinanza ex art 1, comma 49, l. n. 92/2012 del 24 dicembre 2012) Un lavoratore con mansioni di portiere ha impugnato il licenziamento per giusticato motivo intimatogli e chiesto la reintegrazione ex art. 18 Statuto dei Lavoratori, presupponendo che la Societ, sua datrice di lavoro, impiegasse pi di 15 dipendenti; nel medesimo giudizio introduceva una pretesa restitutoria. Il Giudice adito, stante il requisito dimensionale dichiarato da parte ricorrente e lavvenuto deposito del ricorso dopo lentrata in vigore della c.d. Riforma Fornero, ha ritenuto di applicare ratione temporis lart. 1 commi 47 e seguenti legge 92/2012. In sede di costituzione, la Societ ha eccepito la carenza del requisito dimensionale e, per lipotesi in cui il rito fosse confermato, linammissibilit della pretesa restitutoria. In prima udienza, la difesa del ricorrente ha aderito alleccezione e il Giudice, a scioglimento della riserva assunta in quella sede, in ordine alla questione procedurale, ha precisato che lindividuazione del rito deve essere operata dal giudice al momento della domanda ed in base alla prospettazione della stessa e non pu essere modicata in base alle difese della parte convenuta. Per leffetto, ha giudicato nel merito (e respinto) la domanda, secondo il rito Fornero, pur in assenza dei presupposti per la sua applicazione (ha cio adottato una istruttoria sommaria); la domanda restitutoria,
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attesa lestraneit al rito applicato, stata a sua volta dichiarata inammissibile. Causa seguita da Barbara Fumai

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NELLA PROCEDURA EX ART. 28 STAT. LAV., LATTUALIT DEGLI EFFETTI DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE VA CONCRETAMENTE DIMOSTRATA (Tribunale di Pisa, 26 novembre 2012, ordinanza) Unorganizzazione sindacale ha promosso un procedimento ex art. 28 Stat. Lav., lamentando la pretesa antisindacalit del comportamento tenuto da una societ, che aveva utilizzato - a dire del sindacato in difformit dalla legge e dal contratto - durante una giornata di sciopero e al ne di limitarne i danni, stagisti, lavoratori part-time assunti a termine in orari diversi da quelli contrattualmente previsti, dipendenti di livello superiore in mansioni inferiori. LO.S. ha poi sostenuto lattualit degli effetti della condotta contestata, perch intimidatoria e suscettibile di reiterazione. Il Tribunale, accogliendo leccezione preliminare sollevata dalla societ, ha rigettato il ricorso proposto dal sindacato per mancanza di attualit del comportamento denunciato, osservando che lo stesso tenuto in una sola giornata di sciopero - era pacicamente cessato e che, comunque, il sindacato non aveva dimostrato in maniera chiara e specica - come sarebbe stato suo onere - la permanenza degli effetti dello stesso. Al riguardo, il Tribunale ha affermato che, se vero che lesaurirsi della singola condotta non possa precludere lordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo, ove questo risulti idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo per il suo carattere intimidatorio e per la situazione di incertezza che ne consegue, occorre, tuttavia, che siano dimostrate in concreto le circostanze di fatto idonee a supportare tali assunti. In fattispecie, il sindacato aveva affermato la sussistenza del requisito dellattualit, adducendo di aver indetto un ulteriore sciopero da l a pochi giorni, durante il quale - a suo dire - la societ avrebbe indubbiamente reiterato la condotta, di cui aveva allegato, altres, il carattere intimidatorio, ma senza dedurre a supporto elementi di prova. Il Tribunale ha disatteso tale tesi difensiva, escludendo, da un lato, che la mera possibilit della reiterazione del comportamento (che un evento futuro) concretizzi il requisito dellattualit e, dallaltro lato, che potessero ravvisarsi effetti intimidatori nel dedotto comportamento, considerato che i suoi effetti si erano esauriti nellambito della singola astensione collettiva e che non potevano considerarsi permanenti, in assenza di speciche allegazioni. In denitiva - ha concluso il Tribunale - deve escludersi che lattualit degli effetti della condotta antisindacale possa essere affermata semplicemente invocando il carattere intimidatorio della medesima o lastratta possibilit che venga reiterata in futuro. Causa seguita da Marina Olgiati e Tiziano Feriani IL TEMPO TUTA NON RIENTRA NELLORARIO DI LAVORO EFFETTIVO IN PRESENZA DI UNA SITUAZIONE GESTITA DIRETTAMENTE DAL LAVORATORE (Tribunale di Milano, 30 novembre 2012, n. 4249 e 4250) Con le sentenze in commento, il Tribunale di Milano, richiamandosi a due recenti precedenti della Suprema Corte (cfr. Cass. 10 settembre 2010 n. 19358 e Cass. 8 aprile 2011 n. 8063), ha rigettato le domande di alcuni lavoratori volte al riconoscimento del tempo impiegato a indossare la divisa come orario effettivo di lavoro.

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Il Tribunale di Milano ha ritenuto, in particolare, che i ricorrenti non avessero fornito la prova della sussistenza di un obbligo per gli stessi di indossare e levare la divisa nello spogliatoio aziendale e di un divieto aziendale di andare al lavoro o tornare alla propria abitazione in abiti da lavoro, ci che, secondo le citate sentenze, costituisce il discrimen per la retribuibilit del c.d. tempo tuta. Infatti, ove sia data facolt al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa, anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro, la relativa attivit fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell'attivit lavorativa e, come tale, non deve essere retribuita, mentre se tale operazione diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo a essa necessario deve essere retribuito. Il Tribunale di Milano ha rilevato, inoltre, che gli indumenti di lavoro in questione erano del tutto neutri dal punto di vista formale e, pertanto, non vi era alcun disagio nellindossarli altrove e nei tragitti necessari per il lavoro, n si trattava di divise dotate di particolari protezioni tecniche o per le quali vi era un obbligo di legge di indossarle solo sul luogo di lavoro, come nel caso delle divise del personale addetto al trattamento di prodotti alimentari. Il Tribunale di Milano ha, pertanto, concluso che, nei casi sottoposti al suo vaglio, il tempo necessario per indossare la divisa consiste in unattivit meramente preparatoria rispetto allattivit lavorativa vera e propria e non anche indispensabile e che si , quindi, in presenza di una situazione gestita direttamente dal lavoratore, che non pu essere considerata come tempo lavoro. Causa seguita da Giacinto Favalli e Jacopo Moretti

DA SEGNALARE ANCHE
LE VICENDE EXTRALAVORATIVE HANNO SEMPRE RILEVANZA SUL RAPPORTO FIDUCIARIO? A cura di Antonio Cazzella I comportamenti tenuti dal dipendente nella sua vita privata ed estranei allesecuzione della prestazione in base ai principi affermati dalla Suprema Corte - sono irrilevanti, a meno che essi non siano di natura tale da far ritenere inidoneo il lavoratore alla prosecuzione del rapporto, circostanza che si verica quando la prestazione richieda un ampio margine di ducia ovvero quando i comportamenti del lavoratore possano incidere negativamente sullimmagine del datore di lavoro; occorre, quindi, valutare attentamente le circostanze del caso concreto. Infatti, la Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 2168 del 30 gennaio 2013, ha ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di unazienda titolare di un servizio pubblico condannato a due anni di reclusione, in quanto il lavoratore, abusando della sua qualit di responsabile di una comunit religiosa, costringeva con la violenza le giovani a subire atti sessuali. La Suprema Corte ha ritenuto che tale condotta connotata da un forte disvalore sociale ed , quindi, idonea ad incidere sullimmagine dellazienda, titolare di un servizio pubblico capillarmente diffuso, considerato altres il notevole rilievo attribuito a tale vicenda dagli organi di stampa anche a livello nazionale e la qualit di capo-gruppo ricoperta dal dipendente allinterno dellazienda. In senso differente stata la valutazione della Corte di Cassazione, la quale - con sentenza n. 21940 del 6 dicembre 2012 - ha affermato lillegittimit del licenziamento intimato al dipendente di un grande gruppo imprenditoriale, che aveva patteggiato la pena per coltivazione domestica di marijuana. Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto sproporzionata la sanzione del licenziamento, posto che la coltivazione di marijuana era dedicata alluso personale e, quindi, nessun rilievo poteva assumere lo svolgimento di un servizio pubblico da parte del datore di lavoro, nonostante la diffusione dellaccaduto da parte della stampa locale.
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A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE BANCARIO

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OSSERVATORIO SULLA CASSAZIONE


Con sentenza n. 22798 del 12 dicembre 2012 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento del dipendente di una banca, che aveva fatto sottoscrivere ai clienti contratti di investimento a condizioni differenti da quelle ordinarie, senza aver preventivamente informato i clienti. Nel caso di specie, stato accertato che il funzionario aveva arbitrariamente apposto una clausola ai contratti di investimento ben sapendo che la legge disponeva diversamente per lacquisto delle obbligazioni oggetto del contratto medesimo. La condotta del funzionario era stata denunciata dalla lettera di un cliente, che aveva evidenziato la mancanza di informazioni al momento della sottoscrizione del contratto. DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA Con sentenza n. 822 del 15 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha escluso la sussistenza di una giusta causa di dimissioni di una lavoratrice che aveva addotto di aver subito avances dal suo superiore e di essere stata, quindi, costretta a dimettersi dal posto di lavoro a causa di attacchi dansia che le impedivano di continuare a svolgere serenamente lattivit lavorativa. Nel caso di specie, la Corte ha evidenziato che, pur essendo stata riconosciuta lesistenza di un contatto sico sfuggevole ed accidentale da parte del datore di lavoro, non era stata invece dimostrata lintenzionalit di una condotta volta ad unaggressione sica della lavoratrice, la quale, peraltro, non aveva neppure documentato adeguatamente la sussistenza delle crisi dansia lamentate. L I C E N Z I A M E N T O P E R I N O S S E R VA N Z A D E L L O R A R I O D I L AV O R O E DEMANSIONAMENTO Con sentenza n. 1693 del 24 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento di un dipendente colpevole di non aver rispettato lorario di lavoro. Nel caso di specie, la Corte ha vericato, da un lato, che il datore di lavoro aveva consentito infrazioni continuative allorario per circa due mesi prima di procedere alla contestazione e, dallaltro,che il dipendente era stato costretto da tempo ad una forzosa inattivit, essendo stato spogliato di ogni competenza. La Corte, dopo aver ribadito che nel contratto a prestazioni corrispettive occorre mettere a confronto il livello di adempimento delle parti in caso di riuto del lavoratore allo svolgimento delle mansioni assegnate, ha evidenziato che, nel contesto esaminato, lo stato di forzosa inattivit imputabile al datore poteva aver contribuito a determinare linadempimento del dipendente, con la conseguenza che la sanzione del licenziamento appariva sproporzionata.

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Civile, Commerciale, Assicurativo


Dal 2013 imprese pi puntuali nei pagamenti?
A cura di Giovanna Vaglio Bianco
Con il Decreto legislativo n. 192 del 9 novembre 2012 lItalia ha recepito la Direttiva 2011/7/UE emanata il 16 febbraio 2011, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Il D.lgs. in esame si applica ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo nelle transazioni commerciali tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni e prevede termini perentori per la decorrenza degli interessi moratori, apportando signicative modiche al D.lgs. n. 231/2002 emanato in attuazione della precedente Direttiva 2000/35/CE contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. In linea di principio, il D.lgs. n. 192/12 prevede il pagamento del corrispettivo della transazione commerciale entro 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura o dalla data di ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi. Decorso tale termine matureranno gli interessi di mora. Pi precisamente, lart. 1, comma 2 del D.lgs. n. 192/2012 dispone che gli interessi moratori decorrano automaticamente senza, quindi, la necessaria costituzione in mora del debitore, dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, individuando tale termine in:
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giorni dalla data di ricevimento da parte del debitore della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente. Non hanno effetto sulla decorrenza del termine le richieste di integrazione o modica formali della fattura o di altra richiesta equivalente di pagamento; giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando non certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento; giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di prestazione dei servizi, quando la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione di servizi; giorni dalla data dellaccettazione o della verica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai ni dellaccertamento della conformit della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali, qualora il debitore riceva la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.

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Tuttavia, il successivo comma 3, art. 1, D.lgs. n. 192/12, prevede la possibilit per le parti di pattuire un termine di pagamento superiore ai 30 giorni. I termini di pagamento superiori a 60 giorni dovranno essere pattuiti espressamente e non essere gravemente iniqui per il creditore.

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La disciplina sopra illustrata trova applicazione anche ai rapporti tra imprese e pubbliche amministrazioni. In tale ultima ipotesi, leventuale termine di pagamento superiore ai 30 giorni, dovr essere pattuito in maniera espressa ed essere giusticato dalla natura o dalloggetto del contratto o dalle circostanze esistenti al momento della sua conclusione. In ogni caso, i termini di cui allart. 1, comma 2 D.lgs. n. 192/2012 non potranno essere superiori a 60 giorni e la clausola relativa al termine dovr essere provata per iscritto. Per le imprese pubbliche che sono tenute al rispetto dei requisiti di trasparenza di cui al D.lgs. n. 333/2003 e per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria i termini di cui allart. 1, comma 2 D.lgs. n. 192/2012 sono raddoppiati. Resta comunque ferma la facolt delle parti di concordare termini di pagamento a rate. Le norme previste dal D.lgs. n. 192/2012 si applicano alle transazioni commerciali concluse a decorrere dal 1 gennaio 2013.

TRA LE NOSTRE SENTENZE


CAUSE DI SCIOGLIMENTO DI UN CONSORZIO: APPLICABILE, PER ANALOGIA, LA DISCIPLINA EX ART. 2275 COD. CIV. PER LO SCIOGLIMENTO DELLE SOCIET DI PERSONE (Decreto del Presidente del Tribunale di Busto Arsizio, 17 gennaio 2013) Una societ ha chiesto al Presidente del Tribunale di Busto Arsizio di nominare il liquidatore di un Consorzio, di cui detta societ era consorziata, previo accertamento della sussistenza delle cause di scioglimento previste dallart. 2611 c.c. (impossibilit di conseguimento delloggetto) e dellart. 24 dellatto costitutivo (sopravvenuta impossibilit a deliberare del Consiglio Direttivo del Consorzio). Laltra societ consorziata si costituita in giudizio opponendosi alla nomina del liquidatore. Il Presidente del Tribunale, nel rigettare il ricorso non ritenendo provate le cause di scioglimento del Consorzio, ha preso posizione su due questioni giuridiche rilevanti. In primo luogo, ha statuito che ai Consorzi con attivit esterna (come quello di specie) sono applicabili, in difetto di disposizioni ad hoc, le norme sulle societ di persone e, tra queste, lart. 2275 c.c., che consente a ciascun socio di rivolgersi al Presidente del Tribunale per la nomina del liquidatore qualora non ci sia sul punto laccordo dei soci. In secondo luogo, ha statuito che il procedimento di nomina del liquidatore previsto dallart. 2275 c.c. - che ha natura non contenziosa, essendo trattato in sede di volontaria giurisdizione - pu essere seguito anche laddove le parti controvertano sullesistenza stessa delle cause di scioglimento. Ci in quanto consentito al Presidente del Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, di valutare in modo sommario ed incidenter tantum se dette cause di scioglimento ricorrano, ferma restando la facolt di ciascun interessato di instaurare un successivo giudizio ordinario per laccertamento, in via definitiva, della sussistenza della causa di scioglimento, con conseguente rimozione del decreto camerale. Causa seguita da Francesco Autelitano e Francesco Cristiano

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Assicurazioni
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano
AGENZIA

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Qualora il preponente abbia violato il patto di esclusivit previsto dal contratto di agenzia, spettano all'agente a titolo di risarcimento del danno soltanto gli importi per le provvigioni non percepite, restando esclusi sia il diritto al risarcimento per perdita di chance sia la possibilit di incidenza delle mancate provvigioni nel calcolo delle spettanze di ne rapporto. (Cassazione, 10 gennaio 2013, n. 533) Il contratto di espianto di un rene, nel suo momento genetico e funzionale, in riferimento al rapporto tra 'donatore' e struttura sanitaria specialistica, un contratto assimilabile a quello di prestazione d'opera, in cui la responsabilit del debitore sorge per linesatto adempimento della stessa. Si in presenza di un contratto, per, che offre una sua peculiarit nel senso che concreta una deroga alla norma imperativa, di ordine pubblico interno, qual lart. 5 c.c., anche secondo una interpretazione costituzionalmente orientata (v. LL.PP. e dibattito di cui alla seduta della Camera dei Deputati del 15 giugno 1967), peraltro condiviso da attenta dottrina. Questo contratto in tanto si perfeziona in quanto si siano osservati scrupolosamente gli artt. 2, 3, 4 e 5 della legge n. 458/67 e come tutti i contratti di cui sopra presenta una obbligazione di mezzi e non di risultati, ma, diversamente da altri similari, richiede per essere valido ed efcace una protezione del donatore per i rischi e un'assoluta gratuit (v. art. 6 e 7 legge n. 458/67). Infatti, lart. 5 della legge si giustica in forza della tutela primaria della persona, che in virt degli artt. 2, 3, 32 Cost., si concreta come carattere fondamentale qualicante l'intera architettura dello Stato. Quindi, in questo caso, lespianto, dopo laccertamento di tutti gli elementi prodromici alla autorizzazione della sua effettuazione, deve anche presentare una soglia di copertura, a garanzia dell'indubbio favor donantis, presente nella legge. Ne consegue che tra gli elementi essenziali del contratto tra il 'donatore' e la struttura sanitaria rientra indiscutibilmente la sussistenza di una garanzia assicurativa, la cui indispensabilit, richiesta dall'art. 5 della citata, legge, trova conforto proprio nella peculiarit del contratto, che, riguardando lintegrit della persona, non pu non essere soggetta all'inuenza dei valori costituzionali racchiusi nelle norme costituzionali sopra indicate. (Cassazione, 28 gennaio 2013, n. 1874)

ESPIANTO DI RENE OBBLIGATORIET DELLA COPERTURA ASSICURATIVA

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TRA LE NOSTRE SENTENZE

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Con ricorso del 25.11.2012 la Societ Alfa chiedeva alla Corte dAppello di Milano lemissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti della Societ Beta. La ricorrente allegava che la Corte di Cassazione aveva cassato con rinvio la sentenza della Corte dAppello di Milano in forza della quale essa Societ Alfa aveva rilasciato una fidejussione a prima richiesta; che ad essa era stato addebitato dal fideiussore limporto pagato a Beta e che questultima aveva escusso la fidejussione. Sennonch, a seguito della cassazione con rinvio della sentenza della Corte dAppello di Milano, Alfa riteneva di potersi avvalere del procedimento monitorio, in relazione al disposto dellart. 389 c.p.c., per ottenere la restituzione dellimporto pagato. A tal fine evidenziava che la Suprema Corte di Cassazione (ved. sent. n. 21901/2008) ritiene compatibile il procedimento monitorio con la competenza della Corte dAppello quale giudice di rinvio, e prioritaria lesigenza di garantire al ricorrente, a seguito della cassazione di una pronuncia, la restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza dappello annullata con rinvio. In applicazione di detti principi, la Corte dAppello di Milano, ha emesso decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (essendo il credito fondato su prova scritta, rappresentata dalla sentenza) nei confronti di BETA. Corte dAppello di Milano, d.i. n. 1/2013; procedimento seguito da Bonaventura Minutolo

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IL PUNTO SU
A cura di Vittorio Provera

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FALSE CAUSE PER FALSI CREDITI, LABUSO DEGLI STRUMENTI GIUDIZIARI


Come noto, uno degli argomenti sui quali si incentrato, anche di recente, il dibattito ed il confronto tra operatori economici e operatori del diritto costituito dal contenzioso estremamente elevato, soprattutto in materia commerciale, con conseguente intollerabile lunghezza ed incertezza dei processi, cosicch spesso lesito dei medesimi non garantisce la tutela del diritto che si invocato. Questa situazione non dipende da ununica ragione, ma da un complesso di situazioni oggettive, strutturali, finanziarie e comportamentali, che determinano un notevole svilimento della funzione del processo quale strumento di giustizia per porre rimedio a situazioni patologiche, ristabilendo il rispetto della legge. Recentemente, nellambito dellindividuazione e, per quanto possibile, sanzione di alcune condotte abusive, caratterizzate dalluso strumentale dei mezzi di tutela legale, lAutorit Garante della Concorrenza e del Mercato si occupata di una pratica emblematica, sotto diversi aspetti, in cui - attraverso il coinvolgimento di una pluralit di soggetti - si sono realizzate una serie di condotte illegittime. Il caso riguarda unazienda di servizi che svolgeva, come attivit, lacquisto di crediti (o presunti tali) alla medesima ceduti da altre aziende ed il successivo realizzo. Detta Societ, quindi, aveva impostato la propria condotta per il recupero dei medesimi (vantati per lo pi verso consumatori che avevano acquistato servizi di telecomunicazione) attraverso limmediata e seriale notifica di atti di citazione. Orbene, si accertato che queste azioni giudiziarie, condotte con lintervento di professionisti, erano poste in essere attraverso la notifica di atti di citazione avanti a Giudici ubicati in luoghi sistematicamente diversi da quelli che sarebbero stati competenti per territorio in base alle disposizioni di legge vigenti, quanto sopra facendo valere - frequentemente - anche crediti prescritti o inesistenti. Quindi, una volta completata la notifica della citazione avanti al Giudice incompetente, le cause non venivano iscritte a ruolo. In tal modo lintera operazione proseguiva, poi, attraverso unopera di dissuasione, in cui si cercava di indurre il debitore (o presunto tale) a trovare comunque intesa stragiudiziale. Si acclarato inoltre che, spesso, i crediti per i quali si era attivata lazione giudiziaria, si riferivano a fatture saldate; oppure non pagate in quanto non era stato attivato il servizio telefonico; o contestate o addirittura prescritte. In tal modo si attuata una pratica commerciale, anche piuttosto complessa, in cui la Societ - attraverso la mera notifica della citazione (peraltro avanti ad un Giudice non coincidente con quello del luogo in cui operava / risiedeva il debitore e, quindi, con difficolt di individuazione della causa, reperimento dati ed altri problemi e disagi) - ha realizzato uno strumento di indebito condizionamento, determinato dalla presunzione che si era dato corso allavvio dellazione giudiziaria. Tale intimidazione ha portato diversi interessati ad una valutazione della situazione non incentrata sullesistenza o meno del debito, ma sulla convenienza di dar corso al procedimento : (i) o facendo valere le proprie ragioni (in ogni caso con necessit anche di nominare difensori e anticipare delle spese); (ii) oppure assumendo una posizione comunque di arrendevolezza conciliativa, provvedendo rapidamente al pagamento dellimporto richiesto (o di somma in parte inferiore, anche se non dovuta), senza esporsi ai rischi ed oneri del paventato contenzioso giudiziario (soluzione questa che costituiva il vero scopo del creditore).
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Il tutto rimanendo ignari del fatto che, in realt, la Societ che aveva noticato le citazioni non aveva in alcun modo radicato i giudizi, essendosi ben guardata dalliscrivere le cause a ruolo. Il comportamento sistematico sopra descritto, notiche di atti di citazione avanti al Giudice incompetente, mancata iscrizione a ruolo (anche al ne di evitare che la controparte potesse eventualmente far valere le proprie ragioni), stato valutato come idoneo a costituire un illecito, integrando una pratica commerciale aggressiva, ai sensi degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo, in quanto il debitore stato convinto ad assumere una certa determinazione che non avrebbe altrimenti preso, proprio a fronte delle infondate e strumentali iniziative giudiziarie di cui sopra. Al riguardo, bene ricordare, fra gli altri, che lart. 25 del Codice del Consumo considera vietato - quale pratica commerciale aggressiva e coercitiva - quel comportamento che integra una minaccia di promuovere unazione legale e tale azione sia manifestamente temeraria o infondata. Le sistematiche azioni avviate dalla Societ sono state ritenute illegittime anche sotto il prolo della non conformit al livello di diligenza professionale ragionevolmente esigibile, poich la Societ di servizi ha manifestato la palese inosservanza del normale grado di specica competenza e attenzione che si richiede da un operatore professionale nellespletamento della propria attivit. Ci integra lulteriore violazione dellarticolo 20 comma 2 del Codice del Consumo, poich si tratta di comportamenti idonei a condizionare (o meglio falsare) in misura apprezzabile la condotta dei consumatori. Ad esito del procedimento, lAutorit Garante della Concorrenza e del Mercato - con decisione del 12 dicembre 2012 n. 24117 - ha applicato una sanzione amministrativa pecuniaria alla Societ di cui sopra. Sarebbe interessante vericare se, anche alla luce di tale decisione, siano stati adottati provvedimenti nei confronti dei professionisti che, evidentemente, hanno contribuito a porre in essere queste pratiche illegittime, con condotte le quali non costituiscono un buon esempio di probit, n di contributo allattuazione dellordinamento per ni della giustizia.

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Eventi e Pubblicazioni

Legnano, 1 Marzo 2013, ore 9.15 Conndustria Alto Milanese- Studio Trir & Partners Avvocati Incontro: Collaborazioni e altre forme di lavoro autonomo in azienda Relatori: Avv. Giacinto Favalli, Avv. Damiana Lesce Milano, 7 Marzo 2013 Camera di Commercio,Palazzo Giureconsulti Convegno: Le forme essibili di assunzione del personale Limpatto sulla essibilit in entrata dellAccordo sulla produttivit, dellAccordo interconfederale e dellart. 8 del D. L. n. 138/2011 Relatore: Avv. Giacinto Favalli PROGRAMMA Bergamo, 8 Marzo 2013, ore 15 Auditorium Collegio Vescovile S. Alessandro La riforma dellart.18. Primi approdi giurisprudenziali. Relatore: Avv. Giacinto Favalli PROGRAMMA

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Rassegna Stampa
Diritto24 Il Sole 24 Ore:26/02/2013 Il tempo tuta non rientra nellorario di lavoro effettivo in presenza di una situazione gestita dal lavoratore di Giacinto Favalli e Jacopo Moretti Diritto24 Il Sole 24 Ore:21/02/2013 Newsletter 7:24 - Il Sole 24 Ore: 22/02/2013 La violazione degli obblighi di correttezza e buona fede da parte del lavoratore nellambito del procedimento disciplinare di Antonio Cazzella Diritto24 Il Sole 24 Ore:12/02/2013 Si nge malato e va a giocare a calcio: legittimo il licenziamento di Luca Peron e Tiziano Feriani Diritto24 Il Sole 24 Ore:07/02/2013 Al lavoro temporaneo si applica lindennizzo forfettizzato previsto in caso di conversione del contratto a termine in a tempo indeterminato di Anna Maria Corna e Salvatore Trir Diritto24 Il Sole 24 Ore:06/02/2013 False cause per falsi crediti: labuso degli strumenti giudiziari di Vittorio Provera Diritto24 Il Sole 24 Ore:04/02/2013 Esclusione e licenziamento del socio di cooperativa di Tommaso Targa HR On Line AIDP: N 3 Febbraio 2013 Licenziamento in prova: va impugnato entro i termini di decadenza previsti da Collegato Lavoro e Riforma Fornero di Giampaolo Tagliagambe Diritto24 Il Sole 24 Ore:01/02/2013 Le vicende extralavorative hanno sempre rilevanza sul rapporto duciario? di Antonio Cazzella Diritto24 Il Sole 24 Ore:31/01/2013 Newsletter 7:24 - Il Sole 24 Ore: 13/02/2013 La nuova disciplina del procedimento di esecuzione presso terzi di Damiana Lesce
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