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UOMINI E SCIMMIE

Da una nuova misura della “somiglianza genetica” - il


numero di copie di geni che due specie hanno in
comune - si desume che essere umano e scimpanzé
condividono solo il 94% dei geni e non il 98-99%,
come si riteneva finora.

È dunque maggiore la distanza che separa l'uomo


dalla specie più vicina. La nuova ricerca, svolta
presso l'Università dell'Indiana a Bloomington, ha
tenuto conto della possibilità di copie multiple di geni
e del fatto che il numero di questi multipli può variare
da specie a specie, anche quando esso è più o meno identico.

Per spiegare il cambiamento di prospettiva, i ricercatori hanno paragonato la situazione


alla differente scomposizione in sillabe di una stessa parola in due lingue diverse. “Non
bisogna tenere conto soltanto dei geni condivisi”, dice Matthew Hahn, che ha diretto lo
studio.

Secondo i ricercatori, le copie addizionali di uno stesso gene consentono all'evoluzione di


sperimentare nuove funzioni per vecchi geni. La scoperta suffraga l’idea che l'evoluzione
possa aver conferito all'uomo nuove funzioni genetiche che non esistevano nello
scimpanzé.

Per condurre la loro ricerca, Hahn e colleghi hanno esaminato 110.000 geni appartenenti a
9990 famiglie di geni similari. La dimensione di una famiglia di geni differisce in 5622 casi,
ossia nel 56% di tutte le famiglie. Le dimensioni di queste famiglie sono variate così
frequentemente nel corso della storia evolutiva dei mammiferi che si possono paragonare
a porte girevoli attraverso cui passano i geni.

Nell'uomo e nello scimpanzé, che contano circa 22.000 geni funzionali, sono stati trovati
1418 duplicati di geni che l’una o l’altra specie non possiede. Per esempio, nell'uomo, alla
famiglia detta della “centaurina gamma”, correlata all'autismo, appartengono 15 geni,
mentre la corrispondente famiglia dello scimpanzé ne ha soltanto 6.

Human-chimp Difference May Be Bigger ScienceDaily 20 dicembre 2006

MICROINVERSIONI

In futuro, grazie alle “microinversioni”, un


nuovo metodo per identificare stringhe
cortissime di nucleotidi invertiti, messo a
punto da ricercatori dell'Università della
California a San Diego e della Brown
University e illustrato sui Proceedings of the
National Academy of Sciences (PNAS), sarà
possibile ricostruire i processi evolutivi,
determinare i rapporti fra le specie e
tracciare gli alberi filogenetici con un'accuratezza finora mai ottenuta.
“Via via che diventano disponibili sequenze del genoma con risoluzione sempre più fine -
ha detto Mark Chaisson, primo firmatario dell'articolo - le microinversioni acquistano
sempre maggiore importanza per la comprensione della diversità genetica fra e all'interno
delle specie”.

“Abbiamo osservato microinversioni nello 0,1% dei genomi di mammiferi, e possiamo


confermare gran parte delle idee oggi accettate sulla storia dell'evoluzione. Ma quando
avremo esteso queste analisi all'1% dei genomi in esame, saremo in grado di gettare luce
sulla separazione di quelle specie che hanno suscitato controversie nell'ambito della
biologia molecolare”, ha puntualizzato Pavel Pevzner, che ha diretto lo studio.

Per ottenere i loro risultati, i ricercatori hanno sviluppato un apposito software open-
source, “InvChecker”, con il quale hanno studiato in particolare le differenze specifiche fra
la regione CFTR, sul cromosoma 7, dell'uomo e dello scimpanzé. Hanno così scoperto
che l’80% delle microinversioni che di recente sembravano essere state identificate sono
in realtà degli artefatti dei metodi usati e non microinversioni reali. Per contro, hanno
identificato altre 187 microinversioni che erano invece sfuggite alle ricerche precedenti.

Software, Evolution And Micro-inversions -- Improving The Building Of Phylogenetic


Trees 23 dicembre 2006

EVOLUZIONE MENTALE

Gli umani hanno un cervello di dimensioni eccezionali


(almeno quanto la loro stupidità, ndr), soprattutto se lo si
relaziona alla dimensione del corpo: se questo pesa in totale
circa il 20% in più di quello delle scimmie, il cervello umano
pesa il 250% in più.

Il perché sia avvenuto questo massiccio cambiamento


morfologico in un tempo evoluzionario relativamente breve
rimane ancora un mistero. A dispetto dell'esplosiva crescita nelle dimensioni e nella
complessità del cervello umano, il passo del cambiamento evoluzionario tra le migliaia di
geni espressi nei tessuti cerebrali è rallentato a cominciare dalla separazione, avvenuta
milioni di anni fa, tra umani e scimpanzé.

È quanto ha riportato un gruppo di ricerca internazionale su PLOS Biology. Il rapido


avanzamento del cervello umano, secondo gli autori, non è stato guidato dall'evoluzione di
sequenze proteiche. L'alta complessità del network biochimico nel cervello, attraverso
molteplici interazioni tra geni, ha causato invece un forte impedimento allo sviluppo
dell'abilità di molti geni relativi al cervello di modificarsi.

“Abbiamo scoperto che i geni espressi nel cervello umano hanno rallentato la loro
evoluzione”, ha detto l'autore dello studio Chung-I Wu, professore di Ecologia ed
Evoluzione alla University of Chicago, “più il cervello diventa complesso, più i geni trovano
difficoltà ad evolversi”.

Questi risultati sembrano smentire dunque precedenti studi secondo cui i geni che
regolano lo sviluppo e le funzioni del cervello si siano evoluti molto più rapidamente negli
umani che nei primati e in altri mammiferi. Il passo comparativo dell'evoluzione specifica
degli organi, tuttavia, è difficile da misurare.
Per stabilire la velocità con cui sia umani che scimpanzé hanno accumulato molte piccole
differenze nelle sequenze genetiche, Wu e colleghi hanno deciso di sequenziare alcune
migliaia di geni espressi nel cervello dei macachi e poi compararli con le sequenze
genomiche disponibili di uomini, scimpanzé e sorci. Quello che è emerso è che le specie
più avanzate hanno tassi di evoluzione più rapidi.

In media, i geni di umani e scimpanzé si sono evoluti più in fretta che quelli delle scimmie
e dei sorci. I ricercatori spiegano questa tendenza come un correlato di popolazioni meno
numerose tra le specie più avanzate, in grado di sfuggire più facilmente al duro scrutinio
della selezione naturale. Quando hanno comparato il passo dell'evoluzione tra geni
espressi nel cervello, tuttavia, l'ordine si è capovolto, mostrando come i geni cerebrali
negli umani si siano evoluti più lentamente che nei primati e perfino nei sorci.

Ma questo non vale per tutti i geni. Per esempio, i geni espressi solo nei tessuti maschili
riproduttivi si sono evoluti molto rapidamente. Dunque: i geni espressi solo nel cervello si
sono evoluti più lentamente di quelli espressi nel cervello e in altri tessuti, che si sono
evoluti più lentamente dei geni espressi nel resto dell'organismo.

Gli autori attribuiscono questo rallentamento alla crescente complessità delle interazioni
genetiche che avvengono nel cervello. “Sappiamo che le proteine con più partners
interagenti evolvono più lentamente”, dice Wu, “le mutazioni che distruggono le interazioni
esistenti non sono tollerate”.

In conclusione, Wu e colleghi sostengono che la maggiore dimensione e complessità del


nostro cervello, rispetto a quello degli scimpanzé, sia dovuta all'aumento delle interazioni
genetiche che impediscono l'evoluzione delle sequenze codificanti. “Il rallentamento
dell'evoluzione genetica negli organi più avanzati acquista senso solo se la si vede da una
prospettiva sistemica”.

Wu suggerisce anche che gli studi futuri sull'evoluzione delle funzioni cerebrali dovranno
tener conto dei vantaggi offerti dalla biologia sistemica (che effettua comparazioni tra
organismi e specie diverse, ndr).

Complexity Constrains Evolution Of Human Brain Genes ScienceDaily 29 dicembre


2006

Al contrario della biologia molecolare, che si concentra sulle


molecole biologiche come acidi nucleici e proteine, la
biologia sistemica non si occupa del singolo meccanismo
molecolare bensì delle interazioni dinamiche tra le varie
molecole nel corso del tempo.

Questo obiettivo viene conseguito tramite l'integrazione di


modelli dinamici e dei risultati di differenti esperimenti ad alto
rendimento (“high throughput”), integrando nella pratica le
conoscenze derivanti dalla genomica, dalla proteomica,
dalla trascrittomica, dalla bioinfomatica, dalla matematica-
statistica e dalla teoria dei sistemi dinamici.
La teoria dei sistemi, della quale la biologia sistemica è figlia, fu fondata negli anni 1950 da
Ludwig von Bertalanffy, William Ross Ashby ed altri, che unirono principi dell'ontologia,
della filosofia della scienza, della fisica, della biologia e dell'ingegneria, trovando poi
applicazioni in numerosi campi, tra cui geografia, sociologia, scienze politiche, teoria delle
organizzazioni, management, psicoterapia ed economia (anche la cibernetica è una
disciplina strettamente correlata).

La grande intuizione della Teoria dei Sistemi fu di applicare una concezione olistica e
relativistica allo stesso tempo allo studio di un qualsiasi sistema, vivente e non,
concentrandosi sulle interazioni esistenti fra le singole parti.

(Pubblicato su Ecplanet, 03-02-07)

Biologia dei sistemi - Wikipedia

Indiana University Department of Biology

Center for Algorithmic and Systems Biology

Il Micro-Albero Della Vita (the Net of Life)

Microevoluzione (the Ring of Life)

MICROCOSMO

IL GENOMA MANCANTE

Pseudo Genetica

Dna Spazzatura

THE PROTEIN GRID

Il DNA È MOBILE

MUTAZIONI CAUSALI

REGOLAZIONE GENETICA

METAGENOMICA

EVOLUZIONE SISTEMICA 2

EVOLUZIONE SISTEMICA 3

NATURA VS. CULTURA

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