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Editoriale
Il Giudice e Google

N 66 Marzo 2013

Trifir & Partners Avvocati

Come si esprime il libero convincimento del Giudice nellera di internet? Il Giudice pu porre a fondamento della decisione fatti e notizie reperiti in rete assumendoli come fatto notorio? Appena qualche anno fa, il Tribunale di Mantova, con ordinanza del 16 maggio 2006, rispondeva di no a questa domanda, affermando che le notizie acquisite attraverso internet non possano denirsi nozioni di comune esperienza, a mente dellart.115 ult. co. c.p.c., dovendo la norma essere intesa in senso rigoroso, comportando la stessa una deroga al principio dispositivo, per cui notorio deve intendersi solo il fatto che una persona di media cultura conosce in un dato tempo e in un dato luogo, mentre le informazioni pervenute da internet, quandanche di facile diffusione ed accesso per la generalit dei cittadini, non costituiscono dati incontestabili nelle conoscenze della collettivit. Viene da chiedersi se tale posizione sia (ancora) valida, vista la straordinaria diffusione che ha oggi lo strumento informatico: basti dire che secondo i dati ISTAT la percentuale di persone - dai tre anni in su - che utilizzano il pc passata dal 41,4 % del 2006 al 52,3 % del 2012. E soprattutto, davvero si pu affermare che le informazioni reperite in rete siano, per ci solo, non altrettanto incontestabili di quelle fornite dalla carta stampata o da altri mezzi? un dato di fatto che oggi non solo i quotidiani, ma anche i ministeri, i tribunali, gli ordini professionali, le camere di commercio, hanno un sito web accedendo al quale si ottengono le medesime informazioni precedentemente acquisibili mediante i quotidiani o, ad esempio, gli accessi diretti agli ufci. Non , quindi, internet in s a rendere contestabili nelle conoscenze della collettivit le notizie. Certo, lintensit e la velocit del mezzo informatico rende pi difcile che in passato valutare quando determinati dati, informazioni, notizie, possano dirsi di comune esperienza.
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Diritto del Lavoro Attualit 3 Le Nostre Sentenze 4 Cassazione 9 Diritto Civile, Commerciale, Assicurativo Le Nostre Sentenze 10 Assicurazioni 11 Il Punto su 13 Rassegna Stampa 15 Contatti 16

N66 Marzo 2013

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Tuttavia, per esprimere diritto vivente, il Giudice dei nostri giorni, utilizzando in modo rigoroso il potere discrezionale che la legge gli attribuisce (art. 421 c.p.c., art. 115 c.p.c.), non pu escludere a priori la possibilit di pescare - il caso di dirlo - (anche) dalla rete, giungendo a qualicare come notori (cio conoscibili da chiunque, ovvero conoscibili con mezzi accessibili a chiunque) fatti reperiti su Internet, salvo che per la loro comprensione non occorrano particolari cognizioni tecniche. Salvatore Trir e Teresa Cofano

Comitato di Redazione: Francesco Autelitano, Stefano Beretta, Antonio Cazzella, Teresa Cofano, Luca DArco, Diego Meucci, Jacopo Moretti, Damiana Lesce, Luca Peron, Claudio Ponari, Vittorio Provera, Tommaso Targa, Marina Tona, Stefano Trir e Giovanna Vaglio Bianco

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Diritto del Lavoro


A cura di Jacopo Moretti

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Lavoratori svantaggiati e deroghe alla somministrazione: ecco latteso decreto del Ministero del Lavoro
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha adottato, in data 20 marzo 2013, un importante decreto con cui ha individuato i c.d. lavoratori svantaggiati, vale a dire quelle categorie di lavoratori per i quali sono previste rilevanti deroghe in materia di somministrazione a termine, al fine di favorirne loccupazione, in applicazione dei principi comunitari di cui al Regolamento (CE) n. 800/2008. In proposito, poco pi di un anno fa il D.Lgs. 2.3.2012 n. 24 ha aggiunto allart. 20 del D.Lgs. 10.9.2003 n. 276 il comma 5ter, ai sensi del quale non sono necessarie le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, di regola richieste per la stipulazione di contratti di lavoro in somministrazione a tempo determinato, in caso, appunto, di utilizzo di lavoratori svantaggiati, la cui individuazione stata rimessa dal Legislatore stesso al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il Ministero, con il decreto ministeriale in commento, ha, dunque, stabilito che, in conformit alla definizione di lavoratore svantaggiato contenuta nelle lettere a), b) ed e) del n. 18) dellart. 2 del summenzionato Regolamento (CE) n. 800/2008, sono lavoratori svantaggiati:
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non ha un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, ovvero coloro che, negli ultimi sei mesi, non hanno prestato attivit lavorativa riconducibile ad un rapporto di lavoro subordinato della durata di almeno sei mesi ovvero coloro che, negli ultimi sei mesi, hanno svolto attivit lavorativa in forma autonoma o parasubordinata dalla quale derivi un reddito inferiore al reddito annuale minimo personale escluso da imposizione; non possiede un diploma di scuola media superiore o professionale (ISCED 3), ovvero coloro che non abbiano conseguito un titolo di studio distruzione secondaria superiore, rientrante nel livello terzo della classicazione internazionale sui livelli distruzione; occupato in uno dei settori economici dove c un tasso di disparit uomo-donna che supera di almeno il 25% la disparit media uomo-donna in tutti i settori economici italiani, ovvero coloro che sono occupati in settori economici in cui sia riscontrato il richiamato differenziale nella misura di almeno il 25%, come annualmente individuati dalla Rilevazione continua sulle forze di lavoro dellISTAT e appartengono al genere sottorappresentato.

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LE NOSTRE SENTENZE
LA SENTENZA DEL MESE
(Tribunale di Ancona, 11 marzo 2013, ord.)

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LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL COMPORTO: QUESTIONI DI RITO E DI MERITO

Un lavoratore ha contestato la legittimit del licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto e ha chiesto la tutela prevista dallart. 18 Stat. Lav., sostenendo che la sua malattia - causa delle assenze dal lavoro - era stata determinata dal comportamento vessatorio tenuto nei suoi confronti dalla societ datrice. Nel ricorso, introdotto con il rito Fornero, il dipendente ha impugnato anche alcune sanzioni disciplinari, costituenti, a suo dire, espressione del lamentato mobbing. Il Tribunale adito ha deciso la causa, statuendo in punto di rito e di merito. Quanto al rito, ha ritenuto inammissibile, nel procedimento speciale ex art. 1, comma 48, L. n. 92/2012, la domanda di dichiarazione di illegittimit dei provvedimenti disciplinari, in quanto non fondata sui medesimi fatti costitutivi del licenziamento. Circa il merito, ha disatteso tutte le eccezioni sollevate dal lavoratore e, in accoglimento delle tesi difensive della datrice, ha escluso, innanzitutto, che il licenziamento fosse illegittimo per illeggibilit della rma apposta sulla lettera di recesso. Al riguardo, la decisione ha affermato che lilleggibilit della rma non incide sulla validit del negozio per difetto della forma ad substantiam, ma determina la necessit di accertare lidentit dellautore per vericarne sulla base degli elementi ricavabili dal medesimo atto (intestazione, ufcio di provenienza, esercizio di determinate funzioni) - la legittimazione al negozio. In applicazione del principio, il Tribunale ha accertato lidentit del rmatario della lettera di licenziamento, che recava solo una sigla, avendo vericato che la stessa sigla compariva su altre comunicazioni dirette al dipendente e che era riconducibile al direttore, titolare del potere di licenziare. Lordinanza ha poi negato che la societ avesse erroneamente incluso, nel conteggio dei giorni di malattia, alcune giornate festive, avendo accertato che le stesse giornate erano ricomprese nei certicati medici e ritenendo che, in assenza di una diversa previsione della contrattazione collettiva, operi, in difetto di prova contraria, una presunzione di continuit, in quei giorni, dellepisodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dellassenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta. La decisione ha soggiunto che lunica prova idonea a smentire la presunzione di continuit data dalla ripresa dellattivit lavorativa. Inne, la Corte anconetana ha escluso lorigine professionale della malattia, constatata la mancanza di allegazioni speciche, idonee a dimostrare la pretesa condotta mobbizzante. Causa seguita da Marina Olgiati

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ALTRE SENTENZE

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L'AMMINISTRATORE CHIEDE I DANNI AI SOCI, PER UN PRESUNTO INGANNO AL MOMENTO DELLINCARICO (Tribunale di Milano, 14 settembre 2012) Una sentenza del Tribunale di Milano si pronunciata in ordine alla domanda di risarcimento danni svolta dallex Amministratore Delegato di societ appartenente ad un gruppo societario, domanda formulata nei confronti, tra laltro, dellIstituto di Credito che aveva partecipato alle operazioni di ricapitalizzazione del Gruppo (divenendone socio) e della relativa Banca Controllante. La tesi dellex manager si basava sullassunto che lincarico sarebbe stato accettato dallattore a seguito della prospettazione di una situazione economico-patrimoniale della Societ non corrispondente alla realt. In particolare, linteressato asseriva che ladesione al mandato (peraltro durato pochi mesi) era stata condizionata dai dati contenuti in un cd Documento Informativo, al medesimo consegnato nel corso di un incontro esplorativo svoltosi con un rappresentante della Banca (e socio), al ne di discutere leventuale nomina quale A.D. Quindi, ad incarico gi accettato ed a seguito di una due diligence che era stata proposta al Consiglio di Amministrazione dal Presidente del Gruppo (dopo la segnalazione di anomalie nei bilanci riscontrate proprio dal neo Amministratore Delegato), era emersa leffettiva situazione economico nanziaria del Gruppo che smentiva i dati ed elementi del Documento Informativo. Ci aveva posto ne allattivit dellAmministratore, anche a fronte della decisione dei soci di non dar corso ad ulteriori ricapitalizzazioni. Il Tribunale - dopo aver evidenziato che la fattispecie prospettata in giudizio da parte attrice rientrava nellambito di applicazione dellart. 2043 c.c. (anche considerando che era stato chiesto il risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali, compreso il pregiudizio allintegrit psicosica), norma che impone precisi obblighi probatori in capo a chi agisce - ha ritenuto che tale onere non fosse stato assolto ed ha rigettato integralmente le domande proposte dallattore. Ci in quanto, tra laltro, non poteva essere contestata alla Banca (Socio) alcuna forma di responsabilit per effetto della partecipazione della stessa nelle operazioni di ricapitalizzazione del Gruppo e, comunque, poich non era stata provata in corso di causa la consegna, da parte del rappresentante di detta Banca, allex manager, del Documento Informativo di cui sopra. In ogni caso stato escluso che il medesimo documento potesse avere qualsiasi valore di certicazione della situazione patrimoniale societaria o dei bilanci. Conseguentemente stata respinta anche la domanda di accertamento di una qualche condotta illecita posta in essere dalla Banca Controllante, la cui funzione di verica - di per s ritenuta dal Giudicante, in ogni caso, non censurabile - non risultata provata dalla documentazione prodotta e dallistruttoria orale espletata. Causa seguita da Vittorio Provera e Marta Filadoro RESPONSABILIT SOLIDALE DI COMMITTENTE E APPALTATORE PER IL PAGAMENTO DELLE RETRIBUZIONI: ENTRAMBI DEVONO ESSERE CONVENUTI IN GIUDIZIO (Tribunale di Terni, 25 febbraio 2013, ord.) Lha stabilito il Tribunale di Terni osservando che, dopo lentrata in vigore della nuova regola processuale introdotta dalla L. 92/2012 alla disposizione sullappalto ai sensi della Legge Biagi, lattuale formulazione dellart. 29, comma 2, D. Lgs. 276/2003 prevede che il committente imprenditore o datore di lavoro
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convenuto in giudizio per il pagamento unitamente all'appaltatore e con gli eventuali ulteriori subappaltatori. Pertanto, secondo linterpretazione fornita dal Giudice del lavoro, la nuova disciplina dellappalto istituisce unipotesi di litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti che sono stati parte dellappalto presso cui era impiegato il lavoratore, che dovranno essere convenuti in giudizio per rispondere solidalmente delle retribuzioni non corrisposte al prestatore di lavoro. La nuova disciplina processuale, sempre secondo il ragionamento del Tribunale territoriale, attuabile anche ai rapporti di lavoro conclusi sotto la vigenza della precedente disposizione, stante il principio di immediata applicazione della legge processuale sopravvenuta. Sul punto giova, altres, ricordare che la medesima L. 92/2012 ha previsto, quale corollario del suddetto litisconsorzio necessario, anche la possibilit per il committente imprenditore di poter eccepire, nella prima difesa, il beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell'appaltatore medesimo e degli eventuali subappaltatori. In tal caso, il Giudice accerta la responsabilit solidale di tutti gli obbligati, ma l'azione esecutiva pu essere intentata nei confronti del committente imprenditore o datore di lavoro, solo dopo l'infruttuosa escussione del patrimonio dell'appaltatore e degli eventuali subappaltatori. Il committente che ha eseguito il pagamento pu esercitare l'azione di regresso nei confronti del coobbligato, secondo le regole generali. Causa seguita da Luca Peron e Diego Meucci SOMMINISTRAZIONE PER PICCO DI ATTIVIT: LEGITTIMA SE IL DATORE PROVA LA COMPLESSIVA SITUAZIONE AZIENDALE NEL PERIODO INTERESSATO (Tribunale di Lecco, 26 febbraio 2013, nn. 7 e 10) Una piccola azienda industriale ha fatto ricorso alla somministrazione di lavoro per far fronte ad una importante commessa, a cui non era possibile dare esecuzione con il solo personale in organico. Il Tribunale di Lecco ha ritenuto legittima tale causale e il conseguente utilizzo dei lavoratori somministrati. Lonere probatorio, incombente sul datore, si riferisce alla complessiva situazione aziendale di picco di lavoro, in tutto il periodo durante il quale sono stati impiegati i lavoratori somministrati. Non necessaria, invece, la prova che ciascuno di essi sia stato utilizzato, in tutti i singoli periodi, nellesecuzione della commessa richiamata dal contratto di fornitura, essendo possibile lo scorrimento tra i lavoratori somministrati e i dipendenti in organico. Il Tribunale ha, poi, evidenziato che, nel caso di interruzione del contratto di fornitura e della conseguente somministrazione, i dipendenti del somministratore non hanno titolo per chiedere la reintegrazione ex art. 18 St. Lav. allazienda utilizzatrice, non essendo mai stati licenziati da questultima. Daltro canto, in ipotesi di pretesa genericit della causale richiamata nel contratto di assunzione a termine, i lavoratori somministrati possono/devono far valere le loro pretese nei confronti dellagenzia che li ha assunti e somministrati. Inne, il Tribunale ha segnalato la possibilit che il preteso rapporto di lavoro tra il lavoratore somministrato e limpresa utilizzatrice, semmai sussistente, si risolva per mutuo consenso. In uno dei casi affrontati, il lavoratore era caduto in uno stato di grave malattia (ictus e conseguente paralisi motoria) durante il periodo di utilizzazione, e non aveva pi ripreso servizio. Al termine della malattia, conclusa quando il contratto di somministrazione era gi cessato, il lavoratore non ha chiesto allutilizzatore di riprendere servizio, lasciando decorrere oltre un anno prima di noticare il ricorso: tale comportamento, secondo il Tribunale di Lecco, ha ingenerato nellazienda convenuta il legittimo afdamento che il lavoratore non si fosse mai completamente ripreso e non avesse, quindi, interesse a riprendere servizio con le precedenti gravose mansioni. Cause seguite da Tommaso Targa
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TRASFERIMENTO NEL PERIODO DI GRAVIDANZA E COMPORTAMENTO DISCRIMINATORIO DEL DATORE DI LAVORO (Tribunale di Como, 4 marzo 2013, ord.) Con ordinanza 4 marzo 2013, il Tribunale di Como ha esaminato la fattispecie di un trasferimento intimato ad una lavoratrice in gravidanza, che era stato impugnato dalla medesima in quanto asseritamente discriminatorio e, comunque, illegittimo per insussistenza delle ragioni tecnicoorganizzative e produttive. Il Tribunale ha accertato che la tesi sostenuta dal datore di lavoro - secondo cui, ai sensi dellart. 56 del d.lgs. n. 151/2001, il trasferimento pu essere intimato durante lo stato di gravidanza, ma prima dellinizio del periodo di astensione obbligatoria - poteva ritenersi astrattamente condivisibile stanti le incertezze interpretative della citata norma; tuttavia, nel caso di specie, il trasferimento stato ritenuto illegittimo, in quanto, essendo stato previsto un periodo di preavviso, al momento della decorrenza del trasferimento la lavoratrice si trovava in astensione anticipata. Il Tribunale ha, invece, escluso, pur ritenendo applicabili le previsioni dellart. 56 del d.lgs. n. 151/2001, la sussistenza di un comportamento discriminatorio, rilevando che: a) vi erano incertezze interpretative sulla citata norma; b) il datore di lavoro non aveva conoscenza dello stato di gravidanza della lavoratrice nel momento in cui era stato comunicato il trasferimento; c) allesito della prova testimoniale era stata dimostrata la sussistenza delle esigenze tecnico-organizzative e produttive poste a base del trasferimento medesimo. Il datore di lavoro ha, peraltro, dimostrato in corso di causa che le mansioni assegnate alla lavoratrice presso la nuova sede di lavoro non erano dequalicanti rispetto a quelle svolte presso la sede di provenienza, contrariamente a quanto era stato dedotto in causa. La lavoratrice ha adotto, tra laltro, la sussistenza di un ulteriore comportamento discriminatorio, in quanto, al rientro dalla gravidanza, il datore laveva costretta a fruire delle ferie maturate durante lassenza dal lavoro; anche con riferimento a tale comportamento stata esclusa la sussistenza della discriminazione, in quanto il Tribunale ha accertato, da un lato, che rientra tra i poteri organizzativi del datore di lavoro la determinazione del periodo di ferie e, dallaltro, che era stata dimostrata lesistenza di una consolidata prassi aziendale in base alla quale i dipendenti dovevano fruire delle ferie maturate entro la ne dellanno. Causa seguita da Antonio Cazzella

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DA SEGNALARE ANCHE
A cura di Antonio Cazzella

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LA VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI CORRETTEZZA E DI BUONA FEDE DA PARTE DEL LAVORATORE NELLAMBITO DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE

La Corte di Cassazione intervenuta, anche recentemente, per valutare la portata degli obblighi di buona fede e di correttezza del lavoratore nellambito del procedimento disciplinare a suo carico, in considerazione del fatto che, con motivazioni pi o meno legittime, il dipendente spesso si sottrae o ritarda il confronto con il datore di lavoro volto a fornire le giusticazioni in merito agli addebiti contestati. Ad esempio, la Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 2618 del 5 febbraio 2013), ha affermato che il datore di lavoro non deve attendere la guarigione del dipendente per ssare laudizione a sua difesa e ci anche quando il lavoratore si trova lontano dal suo domicilio (nel caso di specie, presso il paese dorigine); in particolare, la Corte ha evidenziato che il certicato di malattia presentato dal dipendente non attestava la sussistenza di condizioni tali da impedire la partecipazione del dipendente medesimo allincontro ssato dal datore di lavoro e, quindi, tale comportamento passivo e dilatorio congurava una violazione dei pi elementari principi di correttezza e di buona fede. Sempre nellambito di un procedimento disciplinare, tra laltro, la Corte di Cassazione - con sentenza n. 7493 del 31 marzo 2011 - ha ritenuto che lesercizio del potere disciplinare, da parte del datore di lavoro, deve essere improntato ai principi di correttezza e di buona fede, ma che analoghi obblighi incombono anche sul lavoratore; nel caso esaminato dalla Corte, il lavoratore aveva chiesto un differimento dellincontro ssato per rendere le giusticazioni con lassistenza del rappresentante sindacale, deducendo la difcolt di presenziare ad un incontro ssato alle ore 11 in quanto egli avrebbe terminato il turno di lavoro notturno alle ore 7. A fronte del riuto del datore di lavoro di ssare un altro incontro, il lavoratore non aveva partecipato a quello gi ssato, deducendo in sede giudiziale lillegittimit del licenziamento per violazione del diritto di difesa. La Corte di Cassazione ha ritenuto insussistente la violazione rappresentata dal lavoratore (riformando la sentenza di merito che aveva, invece, accolto la tesi difensiva del dipendente), precisando che lobbligo del datore di accogliere la richiesta del lavoratore volta a differire un incontro gi ssato sussiste solo ove la tale richiesta risponda ad esigenze di difesa non altrimenti tutelabili e non quando, come nel caso di specie, non si ravvisa unimpossibilit allincontro, bens, esclusivamente, una disagevole (o sgradita) modalit di convocazione.

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A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
LICENZIAMENTO PER DIFFUSIONE DI DOCUMENTI AZIENDALI RISERVATI

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OSSERVATORIO SULLA CASSAZIONE


Con sentenza n. 1311 del 21 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di un dipendente che aveva inoltrato alle OO.SS. un documento riservato inerente laggiudicazione di un appalto da parte del datore di lavoro. La Corte ha escluso la rilevanza della tesi difensiva del lavoratore secondo cui non sarebbe ravvisabile una condotta assimilabile alla violazione del segreto industriale, evidenziando, da un lato, che la comunicazione (che, peraltro, riportava la dicitura riservato) conteneva informazioni inerenti i costi, margini di guadagno e le strategie aziendali e, dallaltro, che le OO.SS. ben possono considerarsi soggetti terzi da tenere alloscuro delle informazioni inerenti le strategie dimpresa. LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO Con sentenza n. 2278 del 31 gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto comunicato a mezzo di telegramma nel quale non sono specicate le assenze dal servizio accumulate. In particolare, la Corte ha precisato che, se la comunicazione di licenziamento non contiene lindicazione delle assenze, il dipendente ha facolt di chiedere al datore di specicare le ragioni del licenziamento. Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva indicato nel telegramma che sarebbe seguita una lettera con indicazione delle assenze dal servizio; tale lettera in realt non mai pervenuta al lavoratore, che, pertanto, risulta esonerato dalla necessit di chiedere ulteriori chiarimenti. LICENZIAMENTO DISCIPLINARE PER DANNO ALLIMMAGINE Con sentenza n. 4859 del 27 febbraio 2013 la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare del dipendente che aveva diffuso la notizia della possibile chiusura di una sede aziendale. La Corte ha ritenuto proporzionata la sanzione espulsiva, in quanto limmagine del datore di lavoro poteva essere danneggiata anche dalla mera diffusione di tale notizia; n, peraltro, pu assumere rilievo esimente la circostanza che la sede sia stata poi realmente trasferita e che il dipendente licenziato fosse un semplice impiegato, in quanto egli ricopriva una posizione di rilievo nello stabilimento incriminato e, quindi, le informazioni diffuse potevano ritenersi provenienti da una fonte qualicata.

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Civile, Commerciale, Assicurativo


TRA LE NOSTRE SENTENZE
LA RIABILITAZIONE DEL DEBITORE EX ART. 17 LEGGE N. 7.3.1996 N. 108 IN PRESENZA DI UNA PLURALIT DI ASSEGNI PROTESTATI (Ordinanza del Tribunale di Milano, Sezione VI civile, 5 ottobre 2012)

Una Societ, a causa di una condotta illecita di un proprio ex dipendente, subiva, nel corso del 2010, il protesto di sei assegni. In seguito al pagamento di tutti i titoli protestati e trascorso oltre un anno dallultima levata di protesto, la predetta Societ depositava avanti al Tribunale di Milano ununica istanza di riabilitazione ex art. 17 L. n. 108/96. Il Tribunale, preliminarmente rilevava che la possibilit di presentare ununica istanza di riabilitazione, ex art. 17, 6-ter comma, L. n. 108/96 (ove sussistano tutte le condizioni indicate nel comma 1, consentita la presentazione di ununica istanza di riabilitazione anche in riferimento a pi protesti), sussistesse solo nel caso in cui i titoli di credito, non tempestivamente onorati, fossero stati emessi per ladempimento di ununica obbligazione. Tale fattispecie, tuttavia, non ricorreva nel caso in esame, posto che le levate di protesto erano riferite a titoli emessi a fronte di diverse obbligazioni. Pertanto, il Tribunale, pur dando atto che gli assegni fossero stati illegittimamente emessi dallex dipendente e che fossero stati tutti regolarmente pagati dalla Societ, ha accolto la domanda di riabilitazione della ricorrente solo per lultimo protesto, di cui era stata data prova della quietanza di pagamento e dal quale era trascorso un anno senza che la Societ avesse subito ulteriori protesti, disponendo, conseguentemente, la pubblicazione del provvedimento nel Registro Informatico dei Protesti limitatamente alla parte accolta.
Causa seguita da Salvatore Trir e Francesco Autelitano

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Assicurazioni
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano
INCAPACIT A
TESTIMONIARE

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La vittima di un sinistro stradale titolare di un interesse giuridico, personale, concreto ed attuale che legittima la sua partecipazione al giudizio avente ad oggetto la domanda di risarcimento del danno proposta da altra persona danneggiata in conseguenza del medesimo sinistro e la circostanza che abbia dichiarato di essere stata risarcita dalla compagnia assicuratrice non fa venir meno la sua incapacit a testimoniare ex art. 246 cod. proc. civ.. (Cassazione, 14 febbraio 2013, n. 3642) Il giudicato maturato nel giudizio nel quale l'assicuratore non era parte non pu essere ad esso esteso sic et simpliciter, ma potrebbe spiegare nei suoi confronti efcacia riessa, nel senso di rendere non pi controverso, e dunque irretrattabilmente accertato, quel rapporto giuridico rispetto al quale l'assicuratore medesimo si trovi in una situazione di giuridica dipendenza. Perch ci si possa vericare richiesta, una condanna del danneggiante assicurato al risarcimento del danno, da intendersi, dunque, come una statuizione che non solo investa la questione della responsabilit del predetto quanto al fatto illecito, ma anche l'esistenza di un suo debito nei confronti del danneggiato e cio di una obbligazione risarcitoria in s piena e conchiusa (dunque, comprensiva di tutti i suoi elementi e non gi circoscritta all'an della responsabilit). (Cassazione, 20 febbraio 2013, n. 4241) Deve escludersi che allattivit sportiva riferita al gioco del calcio possa essere riconosciuto il carattere di particolare pericolosit, trattandosi di disciplina che privilegia laspetto ludico, pur consentendo, con la pratica, lesercizio atletico, tanto che normalmente praticata nelle scuole di tutti i livelli come attivit di agonismo non programmatico nalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio sico, sicch la stessa non pu congurarsi come attivit pericolosa a norma dellart. 2050 c.c. (Nella specie, ove nel corso di una partitella di calcio svoltasi nel corso di uno stage multisportivo, un minorenne era stato colpito al viso da una pallonata, riportando danni ai denti incisivi, non poteva legittimamente discorrersi che di un normale incidente di gioco determinato da caso fortuito, per il quale - attesa lassenza di qualsivoglia elemento idoneo a dimostrare la violazione di obblighi e cautele da parte della societ sportiva, ovvero il vericarsi di una azione anomala e/o in contrasto con le regole del gioco - nessuna responsabilit poteva attribuirsi n alla societ sportiva organizzatrice, n al danneggiante, dellet di circa 14 anni). (Cassazione, 27 novembre 2012, n. 20982)
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GIUDICATO RIFLESSO

CALCIO, ATTIVIT
PERICOLOSA, ESCLUSIONE

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ECCEZIONE DI
INADEMPIMENTO

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Il disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c., il quale nei contratti con prestazioni corrispettive non consente l'eccezione di inadempimento quando il riuto della prestazione sia contrario a buona fede, si applica anche alla sospensione dell'assicurazione di cui all'art. 1901 c.c., sospensione che costituisce una particolare applicazione dell'istituto dell'eccezione di inadempimento. (Cassazione, 14 febbraio 2013, n. 3654)

TRA LE NOSTRE SENTENZE


(Tribunale di Cuneo, 5 febbraio 2013-03) Tizio aveva agito in giudizio chiedendo la condanna della Compagnia Alfa al pagamento dei valori di riscatto di 4 polizze vita ai quali egli affermava di avere diritto, asserendo che Caio, ex socio della societ agente Beta, lo avrebbe costituito creditore pignoratizio delle suddette polizze (alcune intestate a Caio, alcune ad un terzo), garantendogli che ci gli avrebbe attribuito la titolarit del diritto di riscatto sulle stesse polizze. Si costituiva in giudizio la Compagnia, contestando le domande formulate nei suoi confronti. In particolare, Alfa disconosceva la documentazione prodotta dallattore, in quanto frutto di evidenti manipolazioni; eccepiva che le circostanze di fatto riferite dallattore e il tipo di operazioni e il prestito dedotti in giudizio non avevano nulla a che vedere con il ruolo che Caio avrebbe potuto svolgere nellambito dellagenzia (che peraltro era affidata non a Caio, ma alla societ Beta) e che, pertanto, le operazioni poste in essere da Tizio non erano ad essa opponibili. In sede di precisazione delle conclusioni, lattore avanzava, nei confronti della Compagnia, unulteriore domanda ex art. 2049 c.c., rispetto alla quale Alfa dichiarava di non accettare il contraddittorio. La Compagnia, in ogni caso, osservava che non esisteva, nel caso di specie, il nesso di occasionalit necessaria tra lillecito e le mansioni assegnate al preposto e, ancor prima, neppure un rapporto di preposizione tra la Compagnia e Caio. Con sentenza del 5 febbraio 2013 il Tribunale di Cuneo, in accoglimento delle eccezioni della Compagnia, ha respinto le domande nei confronti della Compagnia, affermando, in relazione alla responsabilit contrattuale dedotta dallattore, la mancanza di prova in ordine allesistenza ed opponibilit ad Alfa delle operazioni negoziali di cui Tizio affermava linadempimento, non avendo Tizio allegato gli originali delle polizze e non essendo stato dimostrato il consenso di Beta n rispetto alla stipula dei contratti assicurativi, n rispetto alla costituzione dei pegni. Quanto alla domanda ex art. 2049 c.c., il Tribunale ne ha dichiarato linammissibilit, ritenendola tardivamente proposta. Causa seguita da Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano

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IL PUNTO SU
A cura di Vittorio Provera QUALIT DEI MESSAGGI PUBBLICITARI

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Nei momenti di crisi e di conseguente contrazione dei mercati, soprattutto quelli relativi a prodotti non indispensabili anche se non proprio voluttuari, forte la tentazione di attirare lattenzione dei consumatori anche attraverso campagne pubblicitarie che - pur se ridotte nella frequenza - siano finalizzate a diffondere messaggi fortemente attrattivi per il consumatore. Talvolta, tale tentazione pu avere tuttavia effetti indesiderati. Nello specifico ci occupiamo di una recente pronuncia dellIstituto dellAutodisciplina Pubblicitaria (il cosiddetto Giur della pubblicit), che ha esaminato la correttezza di un messaggio pubblicitario (diffuso a mezzo stampa, internet e televisione) riguardante i prodotti di unazienda di arredi. In particolare, il messaggio pubblicitario conteneva espressioni del tenore: da noi la qualit garantita 15 anni e ancora 15 anni di garanzia gratuita ed altri. La copertura concernente detta garanzia, nella realt, riguardava tuttavia la sola ipotesi di cedimento della struttura interna in legno dei divani, mentre non coinvolgeva lintero prodotto. E ancora, ulteriori messaggi della stessa azienda evidenziavano la possibilit di acquisire con notevole facilit un finanziamento per il pagamento del prodotto, facendo intravedere la possibilit di pagare meno di 1 euro al giorno, senza particolari specifiche informazioni sulla durata del finanziamento e sul costo complessivo delloperazione. Su tali aspetti si incentrata lattenzione del Giur, al fine di verificare il rispetto o meno in tali inserzioni delle norme contenute nel Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, codice che persegue il fine di garantire che queste comunicazioni (in sostanza i messaggi pubblicitari e promozionali) siano oneste, veritiere e corrette. Si tratta di un Codice che vincola utenti, agenzie, consulenti di pubblicit e di marketing che abbiano accettato il medesimo, o direttamente, o tramite lassociazione di categoria, o tramite specifico accordo. Orbene, in relazione alle specifiche iniziative sopra illustrate, vengono in evidenza le disposizioni di cui agli articoli 2, 5 e 17 del Codice di Autodisciplina. Il primo impone che nei messaggi pubblicitari si debbano evitare dichiarazioni o rappresentazioni tali da indurre in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguit o esagerazioni non palesemente iperboliche, specie per quanto riguarda le caratteristiche e gli effetti del prodotto, ecc.. Larticolo 5 dispone che, qualora siano comunicate garanzie maggiori o diverse rispetto a quelle obbligatorie per legge, il messaggio deve precisare il contenuto e le modalit della garanzia offerta, oppure riportare una sintetica ma significativa indicazione. Nella fattispecie, lesame dei messaggi ha condotto il Giur a valutare non rispondente allarticolo 5 la parte dei medesimi cui era - con molta enfasi - pubblicizzata la durata della garanzia (maggiore rispetto a quella obbligatoria), senza, tuttavia, che fossero fornite le indicazioni circa le limitazioni in cui operava detta garanzia per il periodo di 15 anni (appunto, solo ed esclusivamente nel caso di cedimento della struttura in legno). Parimenti, stata censurata quella parte del messaggio che vantava la possibilit di effettuare il rimborso delleventuale finanziamento con meno di 1 euro al giorno, senza altre utili indicazioni.

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Al riguardo, per il Giur, trattandosi di un aspetto che pu sicuramente inuire sulle scelte dacquisto del consumatore medio, doveva essere dimostrato dallazienda che vi era comunque la possibilit effettiva di beneciare del nanziamento, con un onere di rimborso corrispondente allammontare indicato. Nello specico ci non era avvenuto e limpostazione del messaggio contrastava anche con lart. 17 del Codice, riguardante le vendite a credito. Detto articolo impone - in questo tipo di operazioni - che la comunicazione commerciale debba precisare lentit del versamento iniziale e delle successive rate, nonch il tasso dinteresse e gli oneri accessori. Inoltre devono essere indicate anche le condizioni a cui subordinata la concessione del nanziamento. Sulla base, dunque, di tali considerazioni i messaggi sono stati valutati - per questi proli - non conformi al Codice di Autodisciplina, con le relative conseguenze e necessit di sostituzione. Come si vede, vi ormai unestrema attenzione da parte di tutti i soggetti coinvolti nel settore produttivo e commerciale ad analizzare la correttezza dei messaggi pubblicitari al ne di garantire al consumatore (ed anche gli altri operatori) una trasparenza nel comportamento, anche a benecio di una leale concorrenza.

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