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CHE CI FACCIAMO
A MALTA? di Italo MALTESE
2. Le ragioni della presenza a Malta di una missione senza scopi militari, il cui
costo è tuttavia piuttosto elevato – circa tre milioni di euro l’anno, senza tener con-
to del materiale impiegato e dei relativi ricambi – non possono essere liquidate
con facile ironia. Della presenza italiana è dunque opportuno ripercorrere le tappe
fondamentali. Essa ha origine – tra gli anni Sessanta e Settanta – dalla crisi nei rap-
porti fra Malta stessa e la Nato, dall’abilità politica del brillante primo ministro labu- 271
CHE CI FACCIAMO A MALTA?
rista dell’epoca, Dom Mintoff, e dalla giusta ambizione italiana di assumere, alle
porte di casa, un ruolo più consono all’accresciuta importanza in seno all’Alleanza
atlantica. E, di conseguenza, anche di maggiore responsabilità nella scena mediter-
ranea, sulla quale aveva fatto la sua comparsa la Libia di Gheddafi. Mintoff, con-
vinto socialista di scuola fabiana, personaggio di un certo rilievo nel panorama dei
leader non allineati (è il primo governante occidentale a visitare la Cina comunista,
un anno prima di Richard Nixon), cerca e ottiene in Gheddafi una sponda per il
proprio disegno che mira alla piena sovranità di Malta e all’ottenimento di com-
pensi finanziari sufficienti a modificare la struttura economica dell’isola affrancan-
dola dalla tradizionale presenza di flotte militari estere. La Libia propone ai maltesi
un patto federativo e le cancellerie occidentali reagiscono. L’Italia e Malta stipula-
no nel 1973 un accordo che contempla una presenza militare italiana nell’isola. Es-
sa dovrà in prevalenza fornire un’ossatura tecnica al ministero dei Lavori pubblici
locale. Ma il carattere dissuasivo di tale iniziativa è palese. I militari italiani da allo-
ra divengono nell’isola una presenza stabile, di basso profilo e, appunto, dagli sco-
pi non dichiarati.
Lavorano sodo, in quegli anni, gli italiani: di essi si ricordano – assai più che
marziali, dure esercitazioni a beneficio proprio e del piccolo esercito locale – il
gran da fare nei cantieri, nelle strade, nella costruzione di accessi alle spiagge, nel-
l’edilizia civile, negli scavi. In un momento di crisi italo-maltese Mintoff li espelle,
non prima di aver loro sequestrato automobili e altri mezzi. In seguito però la crisi
si risolve. Gli italiani ritornano. Qualche anno più tardi, nel 1979, l’ultima nave bri-
tannica lascia Malta. Si chiude un’èra e inizia una nuova fase che nell’arco di
vent’anni farà assurgere Malta ai livelli sociali ed economici europei: oltre che con
la presenza dei suoi soldati-lavoratori, infatti, l’Italia decide di figurare sulla scena
maltese anche come paese ricco e generoso.
Nel 1980 Malta e Italia sottoscrivono un accordo in virtù del quale il nostro
paese s’impegna a garantire la neutralità maltese. Mintoff rafforza così i vincoli oc-
cidentali dell’isola. Con l’Unione Sovietica firma nello stesso anno un accordo di
contenuto analogo ma con una profonda differenza: l’accordo con Mosca è privo
di annessi. Con l’Italia gli annessi si chiamano protocolli finanziari. Il governo di
Roma apre i cordoni della borsa. Un vero fiume di denaro inizia a scorrere nei for-
zieri maltesi. Un fiume che, per venti lunghi anni, non ha mai smesso di fluire.
I laburisti lasciano il governo nel 1987. Ha inizio l’èra nazionalista. Il Partito
nazionalista maltese ha assunto da tempo una fisionomia nettamente democristia-
na. I suoi due leader, De Marco e Adami, sono di casa a piazza del Gesù, a Palaz-
zo Chigi e alla Farnesina, senza tuttavia trascurare d’intrattenere rapporti cordiali
con gli alleati della Dc, primi fra tutti i socialisti, e con la stessa dirigenza di Botte-
ghe Oscure. A Malta, peraltro, il flusso di personalità provenienti da Roma, le cui
visite hanno carattere sempre più turistico, si fa piuttosto intenso. Nel 1990, in un
clima internazionale ormai mutato dopo la caduta del Muro di Berlino e l’isola-
mento crescente della Libia in seguito alla tragedia di Lockerbie, il socialista De
272 Michelis sottoscrive con Malta il terzo protocollo finanziario. Cinque anni dopo
L’ARABIA AMERICANA
tocca a Beniamino Andreatta firmare il quarto. Alla fine del 2000 l’Italia avrà con-
tribuito con circa 500 milioni di euro a porre il reddito reale pro capite di Malta al
livello di quello dell’Abruzzo e sopra quello siciliano: l’antica fortezza militare e
navale (che ha una popolazione di 380 mila abitanti) è divenuta un centro turisti-
co d’importanza con un vivace comparto terziario e una piccola ma efficiente in-
dustria di trasformazione.
Il primato maltese, in termini di aiuti, gratuiti e in pratica privi di ogni vinco-
lo, è a questo punto assoluto. Né le ex colonie e neppure i più poveri paesi bene-
ficiari degli aiuti della Cooperazione italiana hanno goduto di aiuti simili a quelli
avuti da Malta. Tutto ciò soltanto in virtù dell’accordo del 1980, senza che alcun
ripensamento e ridimensionamento siano intervenuti da parte nostra dopo il
1990? Il quesito, senza dubbio, merita una risposta. Non è detto però che qualcu-
no si interroghi su questo aspetto a dir poco curioso della nostra politica mediter-
ranea. A quanto pare è in arrivo – e la cosa non è passata inosservata anche per-
ché di recente il governo maltese l’ha ampiamente pubblicizzata traendone moti-
vo di vanto – un ulteriore programma di aiuto finanziario a Malta, questa volta
giustificato dalla necessità di incoraggiare i sostenitori dell’adesione all’Unione
Europea che si confronteranno con gli avversari antieuropeisti in un referendum
che avrà luogo l’anno prossimo.
La tesi maltese sostiene che l’Italia ha tutto l’interesse a bilanciare con la pre-
senza nell’Unione di due paesi mediterranei, appunto Malta e Cipro, il folto ploto-
ne dell’Europa centrale. In realtà la sproporzione fra i due gruppi di candidati è tal-
mente evidente da non meritare commenti. Cipro, comunque, farà blocco unico
con la Grecia, mentre Malta potrebbe addirittura ritirare la propria candidatura in
caso di vittoria laburista al referendum. Qualora il sì referendario prevalesse, poi,
resterebbe l’incognita dell’atteggiamento di La Valletta, dove i sentimenti filobritan-
nici prevalgono su quelli pro italiani e il sentimento di riconoscenza non è troppo
sviluppato. Tutte considerazioni che dovrebbero far riflettere su un rapporto perlo-
meno peculiare, in cui l’influenza italiana si esercita per il tramite della televisione
e del solito calcio (mentre le specializzazioni professionali si conseguono in Gran
Bretagna e negli Stati Uniti). La stessa presenza militare italiana appare sempre più
un retaggio anacronistico, una sorta di guarnigione del tipo «deserto dei tartari», ta-
gliata fuori anche dai compiti di intelligence che questi non facili tempi, nel Medi-
terraneo e non soltanto, imporrebbero.
3. Quali sono stati i benefici politici e strategici della nostra politica diplomati-
co-militare nei confronti di Malta? L’isola è (per usare un termine tradizionale) nella
nostra zona d’influenza? La risposta è sicuramente negativa per quanto concerne
gli scambi tra le società civili (non un solo membro del governo maltese, e tanto
meno dell’opposizione, ha una laurea italiana; le società o ditte italiane, devono
lottare, oltre che con i concorrenti di altri paesi, contro i pregiudizi locali, né man-
cano esternazioni nei media contro l’Italia, e in particolare il suo Mezzogiorno). In
campo politico-militare, l’acuirsi delle tensioni mediorientali negli ultimi tre anni 273
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