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E ORA L’EUROPA
BATTA UN COLPO di Michael BRENNER
2. Gli affari continentali concernono materie in cui gli europei dispongono già
di notevole influenza e spazio di manovra. Tra queste ve ne sono due che pesano
fortemente sulle relazioni russo-europee e coinvolgono direttamente gli Stati Uniti:
lo scudo missilistico e la promozione, da parte di Washington, dell’inclusione di
Georgia e Ucraina nell’Alleanza atlantica. Su entrambe le questioni si è registrato,
negli ultimi mesi, un parziale scostamento dall’approccio inflessibile dell’ammini-
strazione Bush: il nuovo presidente e i suoi alti consiglieri hanno sottolineato la
necessità di «rifondare» le relazioni russo-americane, affermando il mutuo interesse
dei due paesi a evitare che le crescenti tensioni bilaterali divengano endemiche 1.
Un passo importante verso la distensione dei rapporti è stata la schietta missi-
va inviata lo scorso febbraio da Obama al presidente russo Medvedev, in cui si of-
friva un accordo sul controverso proposito di installare in Polonia e Repubblica
Ceca elementi chiave di un sistema di difesa missilistica 2. L’essenza della proposta
stava nell’aperta disponibilità americana ad abbandonare il piano in cambio di
maggiori pressioni della Russia sull’Iran, affinché sospenda il suo programma nu-
cleare. Washington considera l’inasprimento delle sanzioni economiche un ele-
mento fondamentale nel suo approccio strategico verso la Repubblica Islamica, in
cui il bastone si alterna alla carota. Infatti, se da un lato Obama ha adombrato l’i-
potesi di negoziati diretti con Teheran, abbandonando tacitamente il vecchio
obiettivo di un rovesciamento del regime degli ayatollah, dall’altro rimane persua-
so che l’inasprimento delle misure economiche resti una valida carta da giocare.
Ad oggi, però, la Russia ha mostrato scarso interesse in questo senso.
3. Risposta del presidente russo Dmitrij Medvedev alla lettera del presidente Barack Obama, cfr. «Med-
vedev denies any deal on shield for help on Iran», International Herald Tribune, 4/3/2009.
4. «In Secret Letter…, cit. 3
E ORA L’EUROPA BATTA UN COLPO
getto. Questo sentimento di amara sorpresa connotò la reazione del governo tede-
sco a un’iniziativa che toccava un interesse nazionale fondamentale, quale le rela-
zioni con la Russia. In quell’occasione Berlino, con una mossa alquanto irrituale,
espresse apertamente il suo risentimento. La Merkel non usò giri di parole nel chie-
dere conto all’amministrazione Bush del progetto, manifestando al contempo la
forte preoccupazione per le possibili ritorsioni di Mosca. Come disse senza mezzi
termini il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, «non vogliamo una nuova
corsa armamenti in Europa» 5. Non meno preoccupante, per Berlino, era l’e-
ventualità che le possibili divisioni tra gli europei sullo scudo potessero spazzare
via il fragile consenso faticosamente ricostruito dopo la frattura sull’Iraq.
3. L’intensità della negativa reazione europea allo scudo missilistico colse Wa-
shington di sorpresa. Sebbene l’amministrazione Bush non si facesse alcuna illu-
sione sull’accoglienza del progetto in molte capitali europee, per non parlare delle
rispettive opinioni pubbliche, riteneva nondimeno che la volontà di non deteriora-
re nuovamente le relazioni con gli Stati Uniti, dopo la vicenda irachena, avrebbe
indotto il Vecchio Continente a moderare le proprie posizioni. Fin dalla nascita
della Nato, la deferenza europea è stata sempre data per scontata dall’America, no-
nostante gli eventi abbiano sovente smentito questa visione. Nella fattispecie, gli
Stati Uniti contavano sull’automoderazione degli europei, che si sarebbero astenuti
da qualsiasi opposizione diplomatica seria fin quando il progetto non fosse stato
realtà. Alla fine, questa tattica si è rivelata corretta. La prontezza dei tedeschi nel
portare la diatriba in sede Nato ha colto Washington alla sprovvista, ma una rapida
ricognizione dell’alleanza, compiuta sotto la stretta supervisione americana, si è ri-
velata sufficiente a rintuzzare le critiche tedesche e ad assicurare a una Casa Bian-
ca ipersicura di sé un consenso sufficiente a procedere.
La disputa sui missili gira intorno a tre questioni importanti. La prima è l’effet-
tiva utilità ed efficacia del sistema; la seconda, fondamentale, attiene all’unità degli
europei e al loro peso effettivo nel rapporto con l’America, da cui dipende anche
la loro capacità di coltivare stretti legami transatlantici; la terza concerne la Russia e
il modo in cui le complesse relazioni che questa intrattiene con l’Europa potrebbe-
ro risentire dello scudo missilistico.
Quanto al primo punto, è utile esaminare la logica strategica in base alla quale
i vertici americani giudicano così importante la collocazione, in Europa, di un si-
stema di difesa missilistico. Oggi come un tempo, per la leadership statunitense ta-
le sistema rappresenta la garanzia di poter affrontare con decisione e credibilità l’I-
ran senza esser costantemente frenati da alleati europei nervosi, in quanto possibili
bersagli delle future testate iraniane. L’essenza del progetto americano sta tutta qui.
Ora, il fatto che Washington abbia messo ripetutamente in chiaro che un Iran nu-
cleare è assolutamente intollerabile, suggerisce che gli Stati Uniti faranno tutto
quanto in loro potere per impedire che tale eventualità si realizzi. Il che, ovvia-
4 5. Citato in Der Spiegel International, 19/2/2007.
EURUSSIA, IL NOSTRO FUTURO?
mente, rende particolarmente controversa la questione dello scudo: a che pro rea-
lizzare un sistema di difesa missilistica contro armamenti che, in ogni caso, l’Ame-
rica non permetterà mai all’Iran di sviluppare?
La risposta è duplice. Da un lato, fornire agli europei piena tutela contro
qualsiasi minaccia esistenziale che possa provenire dal Grande Medio Oriente;
dall’altro, soprattutto nell’ottica dell’amministrazione Bush, preparare adeguata-
mente il terreno nell’ipotesi che il nuovo presidente americano si fosse trovato ad
affrontare una recrudescenza della questione iraniana. In altri termini, l’obiettivo
della passata amministrazione era di creare le condizioni che favorissero una ri-
sposta americana dura a qualsiasi sfida, in qualsiasi momento essa si presentasse.
Questa logica, a sua volta, è però in contraddizione con un’altra argomentazione,
in base alla quale un’Europa protetta dallo scudo americano avrebbe meno incen-
tivi ad assumersi i rischi derivanti dal far fronte a potenziali minacce esterne. Que-
sto circolo può essere spezzato solo se si crede che lo scudo possa rendere gli eu-
ropei più coraggiosi, ma non abbastanza da non considerare indispensabile elimi-
nare il pericolo alla fonte.
L’amministrazione Bush si è spesa proprio in questo senso, ma senza succes-
so. I calcoli esatti dell’attuale governo per ora non si conoscono, ma non c’è dub-
bio che esso ritenga di avere ancora un certo margine di manovra prima di dover
prendere una decisione definitiva circa il destino dello scudo missilistico. Al ri-
guardo, aspetterà senz’altro di vedere i risultati delle sue aperture negoziali a
Teheran. Il fattore russo, inoltre, avrà ora un peso maggiore rispetto a prima.
L’amministrazione Bush, infatti, era sinceramente convinta che non fosse necessa-
rio prendere Mosca troppo sul serio; e furono proprio le conseguenze di questo
atteggiamento, in Asia centrale, Georgia e altrove, a causare l’imprevisto deterio-
ramento delle relazioni russo-americane.
per ammorbidire la posizione di Mosca circa l’invasione del suo spazio strategico
senza però venir meno ai precedenti impegni con il Cremlino. Al riguardo, le vi-
cende di Tbilisi e Kiev hanno fatto gioco all’amministrazione americana, perché le
hanno fornito una valida giustificazione per rimandare decisioni delicate.
Non va dimenticato che la squadra di Obama per la sicurezza nazionale si
compone di persone che hanno avanzato con forza l’idea della massima espansio-
ne possibile dello «spazio democratico». Una linea sostenuta anche da Zbigniew
Brzezinski, influente consigliere esterno del presidente. Il fatto che, al momento,
questa idea non si sia ancora tradotta in una strategia concreta, offre una preziosa
opportunità agli europei di contribuire a forgiare il pensiero strategico di Washing-
ton, assicurandosi un ruolo di partner paritari della nuova amministrazione. Gli in-
teressi europei sono troppo grandi, in questo campo come in Medio Oriente, per
permettere che le proprie politiche siano un sottoprodotto di ciò che l’America
pensa e fa. Idem dicasi per la Russia, anche (ma non solo) in virtù del suo peso
nella questione afghana e in quella pakistana.
Una delle persistenti lacune che hanno frustrato tutti gli sforzi volti ad animare
in qualche modo la politica estera e di sicurezza comune europea, che versa da
tempo in stato semicomatoso, è stata l’assenza di un soggetto in grado di imporre
ai governi scelte difficili. Il che, a sua volta, è il prezzo che l’Unione Europea paga
per non aver previsto alcuna forma di leadership istituzionalizzata. Qualcuno spe-
rava che la ratifica della sfortunata costituzione europea avrebbe colmato questa
mancanza, attraverso un relativo rafforzamento del segretariato del Consiglio. Tra-
montata, almeno per ora, questa possibilità, la responsabilità continua a ricadere su
tutti e, dunque, su nessuno. Negli anni Novanta, l’impulso all’azione venne dal can-
celliere tedesco Helmut Kohl, ma resta da chiarire se egli vi riuscì in virtù delle sue
doti personali ovvero del peso politico-economico della Germania. Inoltre, c’è da
chiedersi se in un’Unione a 27 Stati una simile guida sia effettivamente esercitabile.
5. Cosa possono fare, dunque, gli europei? La risposta più cinica e diretta è:
«Non molto». Gli Stati Uniti sono troppo grandi e insulari per essere guidati dai pen-
sieri e dalle azioni altrui, per quanto benintenzionate. Tuttavia, un certo margine
d’influenza c’è, anche se minimo, specialmente nel campo della politica estera, do-
ve il neofita Obama è incline a distanziarsi dalle scelte del suo predecessore ed è
sinceramente interessato a collaborare con altri paesi. In questo quadro, la cosa mi-
gliore che l’Europa può fare è probabilmente tentare di influenzare l’amministra-
zione americana nel raggiungimento degli scopi che essa si prefigge: dallo scudo
missilistico all’allargamento della Nato, passando per la ricerca di un compromesso
con il Cremlino sull’accesso al forziere energetico centrasiatico e il rinnovato impe-
gno in Afghanistan, a prescindere dall’invio di nuove truppe europee. Detto altri-
menti, l’influenza europea consisterebbe nell’incoraggiare Washington a fare di più
e più in fretta su alcuni di questi dossier, e ad agire con maggiore cautela su altri.
Nello specifico, la logica delle attuali circostanze suggerisce di estendere e
6 istituzionalizzare le relazioni tra Europa e Russia, in maniera complementare ma
EURUSSIA, IL NOSTRO FUTURO?