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Il fronte davanti agli occhi.

Alcune riflessioni sul New Italian Epic

di Marco Amici* Tratto dall'intervento alla conferenza "The Italian Perspective on Metahistorical Fiction: The New Italian Epic", Institute of Germanic and Romance Studies, University of London, UK, 2 ottobre 2008. Obbedire a occhi chiusi l'inizio del panico. - Maurice Merleau-Ponty, Elogio della filosofia E sembra di essere piatti rotanti, i nostri corpi galleggiano e scendono il fiume fangoso. Radiohead, Like Spinning Plates Arte e letteratura "devono curare il nostro sguardo, rafforzare la nostra capacit di visualizzare" [1]. Questaffermazione posta verso la conclusione del saggio New Italian Epic, in cui Wu Ming 1 ha esposto, tra laltro, la necessit di simulare, attraverso il linguaggio, un punto di vista che permetta "un vedere il mondo da fuori e un vedersi da fuori come parte del mondo" [2]. Lurgenza quella di produrre un pensiero ecocentrico che consenta di elaborare unaltra modalit dellesistente. Il rischio, concreto eppure cos difficile da accettare, quello di velocizzare il processo che porter la razza umana a scomparire dal pianeta. Le immagini evocate oscillano fra The Road (2006) di Cormac McCarthy e The World Without Us (2007) di Alan Weisman, fra un pianeta grigio e arido attraversato da pochi sperduti sopravvissuti e un pianeta verde e in salute, privo di uomini. Al di l di facili catastrofismi, dunque, un pensiero ecocentrico indurrebbe alla presa di coscienza di quellaccelerazione verso lestinzione di cui noi, Occidente, siamo i principali responsabili. Noi, che ammontiamo a circa il 20% dellumanit e che consumiamo oltre l80% delle risorse naturali del pianeta e che, nonostante levidenza dei numeri, non diamo grande peso a un problema le cui conseguenze pi gravi non ci riguarderanno direttamente. Adattando liberamente dal film di Mathieu Kassovitz La Haine (1995): questa la storia dellumanit che precipita e, mano a mano che cade, continua a ripetersi "fino a qui tutto bene, fino qui tutto bene, fino qui tutto bene" Ecco: dellumanit che precipit noi siamo una delle generazioni coinvolte nella caduta; del problema ben pi serio dellatterraggio se ne occuper la pi sfortunata delle generazioni future. Compiendo un salto teorico verso il futuro a partire da una delle caratteristiche del New Italian Epic, quella relativa allo "sguardo obliquo", alla sperimentazione del punto di vista, Wu Ming 1 sembra alle prese con una strana deriva conclusiva. Le specifiche letterarie di quellinsieme di opere raggruppate sotto lumbrella-name New Italian Epic, a cui dedicata la parte centrale dello scritto, sembrano lontanissime. Si parla di salute del pianeta, di estinzione della razza umana, di ecologia della mente. Dov la critica e la teoria della letteratura? Dove che ci porta questa riflessione? La mia idea che ci porti esattamente dove siamo: qui, oggi, calati nel nostro tempo, perch se lumanit sta precipitando, arte e letteratura possono devono prendersi cura della sua caduta, rieducandoci all'immaginazione di un futuro diverso. Cito: "non c' avventura pi impegnativa: lottare per estinguerci con dignit e il pi tardi possibile [3]". Qui ed ora, nonostante lormai radicata convinzione che ad accadere sia sempre l'inatteso e mai l'inevitabile, si parla di letteratura che guarda in faccia la nostra corsa verso l'autoannichilimento. Letteratura che, pi di tutto, pone il problema del rapporto tra noi e il nostro mondo e lo fa con urgenza, perch, evidentemente, qualcosa non sta pi funzionando. Il timore, sempre pi concreto, che la causa del problema abbia a che fare con il

progressivo tecnologizzarsi del nostro quotidiano e, utilizzando una definizione di Antonio Scurati, con la conseguente inesperienza che ogni giorno facciamo della realt [4]. A ben guardare, lordine di dubbi cos sollevato pu considerarsi la naturale evoluzione di quello posto dal movimento cyberpunk negli anni Ottanta, le cui istanze sono state variamente assorbite sia dalle culture mainstream sia da quelle antagoniste. Tuttavia, non di cyberspace o inner space che si vuole parlare qui, quanto di romanzi che non hanno remore nel dialogare con una tradizione letteraria che va da Alessandro Manzoni a James Ellroy, di autori accomunati da unattitudine letteraria che porta a scrivere libri che vogliono leggere il mondo. Prima che questo diventi illeggibile o il nostro sguardo troppo confuso. Il New Italian Epic non un genere o una corrente, ma unipotesi di convergenza in atto nelle lettere italiane. Ipotesi affascinante perch basata non tanto sulle specifiche intenzioni di autori, bens sulla vita e lenergia radiante di specifiche opere letterarie. Se questa tendenza sia realmente in atto o sia solo espressione della volont di potenza del collettivo Wu Ming, lo si dibatte aspramente nei salotti delle lettere italiane. Dal mio punto di vista il New Italian Epic esiste, le istanze che pone sono reali e la sua consistenza letteraria segna una frattura rispetto al passato recente della letteratura italiana. Allo stesso modo, ritengo che lipotesi proposta da Wu Ming 1 possa essere considerata e integrata a partire da un humus teorico ben preciso, da riflessioni che solo in parte riguardano lo specifico letterario ma che, sulla pagina scritta, finiscono per ricadere e sedimentare. Per questo motivo le mie prime riflessioni verteranno principalmente sul prima e su lintorno del New Italian Epic, su ci che dal punto di vista teorico lo ha preceduto e su ci che preme sui suoi confini letterari. Da qualche anno a questa parte il termine mitopoiesi entrato a far parte del gergo letterario di chi frequenta la letteratura italiana dagli anni Novanta in poi. Mitopoiesi: produzione e manipolazione di miti e immaginario. La diffusione e attualizzazione del termine avvenuta proprio grazie allopera del collettivo Wu Ming che, fin dal suo costituirsi, si avvalso di questa prassi: fare letteratura col proposito di agire a livello di immaginario, nella sfera dei simboli, nella dimensione del mito. Un agire letterario che rivendica naturalmente la sua valenza politica, a partire dal presupposto che la critica allordine politico ed economico debba necessariamente passare anche per lambito dellimmaginario. Limmaginario, dunque, come terreno da mobilitare e movimentare, per evitare che si riduca a una propaggine a livello psichico dello stesso opprimente modello di societ in cui si vive. In questo senso, lo scrittore che basa il suo lavoro sullesplorazione della dimensione simbolica, sulla produzione di narrazioni che smuovano e facciano ri-vivere linsieme dei simboli e dei miti, gioca un ruolo di primaria importanza: latto del narrare diviene contributo attivo alla volont di cam biamento. Prendendo le mosse da queste considerazioni, lasciarsi andare alla deriva dallambito strettamente letterario pu portare a percorrere rotte interessanti. Parliamo allora di quella particolare tecnologia che consegna le narrazioni prima ai libri e poi ai nostri occhi: lalfabeto. Derrick de Kerckhove sostiene che la scrittura alfabetica va considerata come una vera e propria tecnologia comunicativa, capace di modificare le modalit del pensiero e della coscienza umana esercitando una vera e propria pressione sul nostro cervello. Dal momento che lalfabetizzazione viene di solito acquisita negli anni di formazione e dato che

influenza lorganizzazione del linguaggio il nostro sistema pi completo di elaborazione delle informazioni ci sono buone ragioni per pensare che lalfabeto influenzi anche lorganizzazione del pensiero. Il linguaggio il software che guida la psicologia umana. Qualsiasi tecnologia che influenzi significativamente il linguaggio deve anche influenzare il comportamento a livello fisico, emotivo e mentale [5]. Lalfabetizzazione ha prodotto nelluomo una nuova organizzazione cognitiva di tipo spazio temporale che, progressivamente, ha portato lindividuo ad avere un proprio personale appiglio alla realt, una propria prospettiva. Nellantica Grecia, la nascita del primo alfabeto comprensivo di vocali e quindi totalmente fonetico [6], port a sviluppare un inedito senso di identit individuale, che contribu alla formazione di una sfera pubblica critica: si crearono cos i presupposti per il dialogo democratico. Precedentemente, la gestione e lelaborazione delle informazioni avvenivano secondo un rigido sistema verticale, controllato dalle gerarchie istituzionali e religiose. Lalfabeto quindi, come sostiene De Kerckhove, ha creato due rivoluzioni complementari: una nel cervello e laltra nel mondo. Il suo impatto, dallantichit a oggi, ha modellato la nostra modalit di comprensione, fino a divenire condizione sine qua non del nostro essere: noi siamo creature dellalfabeto. Tuttavia, dopo pi di duemila anni di sviluppo tecnologico, il paradigma alfabetico sembra aver perso il suo primato. Levoluzione dei nuovi mezzi di comunicazione elettronici ha progressivamente messo in crisi il modello cognitivo di tipo sequenziale connaturato allalfabeto in un processo di implosione che ha ridotto il tempo e lo spazio alla simultaneit. Da una parte assistiamo al fenomeno descritto da Walter Ong come oralit secondaria [7], per cui i media elettrici ed elettronici producono un ritorno a una nuova oralit, quella del telefono, della radio, della televisione, la cui esistenza dipende per necessariamente dalla scrittura. Dallaltra parte sinaugurano il nuovo tempo e il nuovo spazio dei flussi, prodotto dallinnovazione tecnologica e dalle conseguenti integrazione e interconnessione di media e networks. Limmagine pi rappresentativa in questo caso quella proposta dal sociologo spagnolo Manuel Castells: un mondo globalizzato attraversato da flussi di capitale, informazione, immagini, suoni e simboli che definiscono le nuove gerarchie economiche superando qualsiasi distanza spaziale o temporale [8]. Le forme dellinformazione sempre pi complesse e la moltiplicazione inarrestabile degli agenti di comunicazione costituiscono un dato senza precedenti nella storia della comunicazione. A partire da questo dato, il filosofo e media-attivista Franco Berardi Bifo sottolinea come nellattuale fase, caratterizzata da tecnologie di comunicazione simultanea, il tempo necessario per elaborare la massa degli stimoli informativi in maniera sequenziale e dunque critica [] di gran lunga superiore al tempo utile per una scelta [9]. Essere soggetti, oggi, al flusso mediatico vuol dire, in pratica, essere incapaci di una decodifica consapevole, di esercitare sullinformazione che si riceve quello stesso potere che sullinformazione scritta pu esercitare un lettore. Volenti o nolenti, noi siamo spettatori passivi. La mole di informazioni a cui quotidianamente abbiamo accesso tramite il Web e la televisione offre una libert di conoscenza che spesso si traduce in una mera illusione di conoscenza. Laspetto inquietante di un simile processo che, allo sviluppo tecnologico e allintegrazione fra i vari media, ormai evidente come corrisponda unintegrazione fra potere politico, economico e mediatico. Nei casi in cui tale integrazione giunge a compimento, il flusso denso e avvolgente prodotto dai media non che unemanazione diretta del potere, una sua rappresentazione che coincide con quella del mondo. Precedentemente ho accennato al concetto di mitopoiesi in ambito letterario, pensiamo allintegrazione economica, politica e mediatica del potere e ai processi che ne conseguono:

produzione di immaginario, modellazione di soggettivit, occupazione dellinfosfera. Un insieme di conseguenze che possiamo riassumere in una singola espressione: mitopoiesi centralizzata del potere, volta solo al mantenimento e al consolidamento dello stato di cose esistenti. Lidea di narrazione come pratica di opposizione a queste dinamiche teorizzata dai Wu Ming, nasce da questo stato di cose. Ritengo che il New Italian Epic, in quanto specifico campo di forze nel corpus della letteratura italiana, possa essere considerato a partire da questo stesso humus teorico. A mio avviso, molta dellenergia elettrostatica che tiene insieme, ad esempio, opere come Lottava vibrazione di Carlo Lucarelli (2008) e Black Flag di Valerio Evangelisti (2002) viene generata da pi reazioni a catena che coinvolgono testo e lettore, ma che sarebbero impensabili senza quel contesto che ho cercato di descrivere. nella transizione tecnocomunicativa [10] in atto che va ricercato quel qualcosa che non va nel nostro rapporto con il mondo, di cui il New Italian Epic intende occuparsi. Una sorta di deriva le cui conseguenze arrivano a ridisegnare i centri e le periferie del potere cos come a influenzare lettori e scrittori nellintimit del loro rapporto con la pagina scritta o da scrivere. Il New Italian Epic unipotesi che lega insieme uneterogenea quantit di opere letterarie. Autori di generazioni, background e ambizioni diverse capaci di scrivere opere accomunate dalla stessa sensibilit di fondo. Il dato comune immediatamente riconoscibile sembra essere quello del rapporto con la storia. Molte delle opere del New Italian Epic sono o sembrano essere romanzi storici. Niente di nuovo, per carit: in Italia il genere del romanzo storico non ha mai smesso di avere i suoi autori e il suo pubblico. Tuttavia, negli ultimi decenni al genere sembrata affluire nuova linfa. Margherita Ganeri, nel suo saggio Il romanzo storico in Italia [11], parla di una vera e propria rinascita, che prende avvio negli anni Ottanta con lo straordinario successo del Nome della rosa (1980) di Umberto Eco e che prosegue per tutti gli anni Novanta. Argomentando questa specie di nuova fioritura, la Ganeri fa riferimento anche a uno smarrimento percettivo, a un disorientamento spazio -temporale in un mondo che cambia secondo ritmi molto diversi da quelli del passato [12]. In questo quadro, la narrazione del passato assumerebbe la duplice funzione di esorcizzare le paure generate dalla rivoluzione informatica e di rappresentare le mutazioni antropologiche, sensoriali e cognitive, prodotte dallimpatto dei linguaggi multimediali sui processi di selezione della memoria storica [13]. Va altres considerato come, nel saggio di Ganeri, la messa in relazione di smarrimento percettivo e romanzo storico vada naturalmente contestualizzata allinterno del dibattito letterario sul postmoderno. Ganeri parla esplicitamente di romanzo neostorico postmoderno le cui caratteristiche possono variare da un approccio pi critico e problematico a uno pi concentrato sullaspetto seduttivo-commerciale del genere. Wu Ming 1 nel suo saggio ha variamente argomentato le differenze e le distanze che separano il New Italian Epic dallesperienza postmoderna. Va considerato, per, come la mutazione antropologica a cui si fa qui riferimento, rimanga un nodo irrisolto, fondamentale con cui la letteratura deve necessariamente fare i conti. Che questo debba implicare una variet di risposte diverse da quelle fornite dal postmodernismo, appare oggi evidente e necessario. Cos come appare evidente che il New Italian Epic non implichi in nessun modo un ritorno alla maniera realista: lopzione realista solo una delle tante frecce nella faretra di un autore [14]. Al contrario, considerando i romanzi proposti come appartenenti al New Italian Epic, sembra che sia stata generalmente metabolizzata la convinzione per cui il reale, per essere raccontato, va sempre sporcato,

distorto, diluito. Alla stessa maniera, le nozioni di commistione di pi generi in una singola narrazione e di contaminazione di letterario ed extraletterario sembrano naturalm ente abitare le narrazioni New Italian Epic, al di l di qualsiasi proposito sperimentale o davanguardia. Ma rimaniamo dalle parti del romanzo storico. Scurati, nel suo saggio La letteratura dellinesperienza, riflette sulla generazione di scrittori di cui fa parte: la prima a essere cresciuta con la televisione, la prima a fare dei tanti aspetti dellesistente, unesperienza mediata dal tubo catodico. Lautore individua una condizione di inesperienza per chi scrive, intesa come impossibilit di percepire il mondo al di fuori del flusso mediatico. Come forma di resistenza a questa logica, Scurati propone di praticare il romanzo storico. Il romanzo storico mi appare ancora un sentiero da percorrere. Non un caso che il romanzo storico, dopo essere caduto in disuso [], sia rifiorito in Italia grazie a Umberto Eco [], sia cio rifiorito per mano del nostro pi acuto studioso della cultura di massa proprio negli anni in cui la nascita delle televisioni commerciali ne segnava il trionfo. Ci di cui in futuro si dovr tenere conto che oggi, in piena esplosione dellinesperienza qualsiasi romanzo si scriva, anche il pi ferocemente autobiografico, il pi ingenuamente attuale, lo si scrive come un romanzo storico [15]. Questa asserzione, posta in conclusione di saggio e senza ulteriori argomentazioni, assume la paradossale e nel contempo emblematica sembianza di una reazione istintiva, uno scarto concettuale generato dalla necessit di fronte allimprevisto o al pericolo. La seconda parte del mio discorso sul New Italian Epic parte esattamente da qui: dalla sensazione che lo smarrimento percettivo postmoderno abbia lasciato il posto a una sottile e costante sensazione di pericolo. Per buona parte, questo effetto non pu che derivare della tragedia dell11 settembre, ovvero del pericolo che assurge a normale condizione sociale e globale. Tutto ci, a mio avviso, va ricondotto anche al pericolo avvertito da chi inizia a sentirsi minacciato nella sua facolt di leggere il mondo, quello presente cos come quello passato. Ho cercato di specificarlo poco prima: le narrazioni mediatiche del nostro tempo procedono a velocit tali che la nostra facolt critica viene tagliata fuori. Di fronte a esse non possiamo essere lettori, solo spettatori. a partire da questa sensazione che a mio avviso nasce lurgenza del New Italian Epic nonch la sua spiccata valenza etica. Cosa pu responsabilizzare di pi uno scrittore, nei confronti dei suoi lettori, se non limperativo di raccontare il suo tempo, di preservare, tramandare o riscoprire un patrimonio di immagini in una fase storica in cui la sovraesposizione mediatica non fa altro che produrre distrazione, dimenticanza e accecamento? Da questa prospettiva sintende chiaramente come il romanzo storico, o almeno il romanzo che abbia a che fare con la storia, possa considerarsi scelta privilegiata. Nella logica dei flussi lavorare sul passato appare una naturale forma di resistenza, perch consente di esaltare ci che la transizione tecnocomunicativa tende a minare dallinterno: la profondit del presente, le sue radici nel passato, la complessit della storia. Leterno presente delle narrazioni mediatiche produce una sproporzione irrimediabile fra la mole di informazioni su ci che sta accadendo ora, e le informazioni su ci che accaduto. La nostra prospettiva temporale si affievolisce, il nostro sguardo capace di abbracciare simultaneamente tutto il mondo ma dotato di una memoria cortissima. In questo senso, il New Italian Epic propone di percorrere la strada del romanzo storico con una nuova consapevolezza, a partire dalla convinzione che il romanzo storico consente di piantare narrazioni su un terreno fangoso, irrorato da flussi mediatici che ciclicamente producono esondazioni revisioniste o smottamenti di memoria. Urgenza, responsabilizzazione: ecco che il ricorso al termine epica appare pi chiaro. Come ha giustamente rilevato Claudia Boscolo, lepica " stata in passato, e continua evidentemente a essere, il genere politico per antonomasia" [16]: stata capace, attraverso i secoli, di manifestare le sue

potenzialit nei momenti in cui "la libert di espressione viene limitata dal ' patronage', cio quando si impongono, mutatis mutandis, modalit comunicative simili a quelle che si stanno verificando oggi" [17]. La rappresentazione del mondo a cui ci sottoponiamo ogni giorno attraverso i media non passa attraverso atto coercitivo, ma essa stessa ad affermarsi sulla nostra facolt critica. Immersi nel flusso informativo, senza il tempo di scegliere o elaborare criticamente quello che scorre davanti ai nostri occhi, inconsciamente deleghiamo la nostra possibilit di scelta ai media. Reagire a questa logica vuol dire avvertire il pericolo di perdere il proprio statuto di lettore critico della realt, temere per il proprio sguardo e prendersene cura. Per iniziare finalmente a chiamare in causa i testi, prenderei come esempio di questa urgenza nel contempo a resistere e a raccontare, propria del New Italian Epic, il libro di Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue (2007), uno degli oggetti narrativi non identificati pi controversi fra quelli citati da Wu Ming 1 nel suo saggio. Sappiano le mie parole di sangue, definito dallautrice stessa un quasi-romanzo, un testo instabile per costituzione: apparentemente il diario di una giornalista italiana bloccata a Mitrovica, nella ex-Jugoslavia, in realt un oggetto narrativo fra il reportage di guerra, il saggio geopolitico, il flusso di coscienza e la poesia. Un libro che si pone a testimonianza del conflitto nei Balcani e nello stesso tempo rappresenta limpossibilit di spiegare quella storia. Per questo motivo, come rilevato da Christian Raimo, lelemento che maggiormente sembra innervare Sappiano le mie parole di sangue la mancanza di catarsi [18]: il romanzo si pone come tentativo di resa allindicibilit di un male che da sociale diventa singolo, personale, e infine trascende la stessa comprensibilit e dicibilit [19]. Nelle prime pagine del libro la protagonista riceve in dono una penna stilografica da un anziano ex professore di Mitrovica, ora profugo di guerra, in partenza e senza una meta precisa. Sono stato professore. Credo sia il momento adatto per donare questa penna a chi libero di scrivere tutta questa verit. Rabbrividisco; ogni nervo della schiena si indurisce: cosa vero e cosa falso, in questa baraonda di milizie, di masnadieri e di affaristi; cosa ho visto veramente, chiusa dentro questo assedio? Cosa scrivo? indubbio che il fascino e nello stesso tempo il limite dellopera di Babsi Jones vivano di questa pulsione disperata alla testimonianza: lurgenza di raccontare si fa dramma e rimane senza soluzione. Il fallimento di Sappiano le mie parole di sangue , a mio avviso, una delle incarnazioni pi rappresentative dellurgenza del New Italian Epic. Laltro romanzo chiave, da questo punto di vista, senza dubbio Gomorra (2006) di Roberto Saviano. Il racconto delle dinamiche di dominio della camorra, del suo radicamento nel tessuto sociale, fanno di Gomorra una testimonianza esemplare. Questo grazie a una narrazione in cui Saviano riesce a far convergere le deposizioni pi diverse, registrando ogni fonte e accogliendo ogni punto di vista. Il romanzo risponde appieno alla necessit di metabolizzare in letteratura una realt la cui narrazione dominante, avvenendo per via mediatica, produce un racconto naturalmente mistificatore. Questo accade perch da anni ormai, in Italia, il principio regolatore dellintervento politico e dellattenzione mediatica determinato dalla logica delle emergenze, che scandisce il tempo con i suoi episodi eclatanti. Passato lo sgomento prodotto dallemergenza, linteresse politico e dei media si affievolisce e inesorabilmente cala. In questo senso, la narrazione di Saviano illuminante, perch, al di la dei morti ammazzati, ci mostra attraverso un proliferare di aneddoti e punti di vista sciolti nel racconto dellio narrante, facendoci partecipi di quella vera e propria morsa che la camorra esercita sul tessuto sociale.

Tutte le opere che hanno preannunciato, anticipato e delineato il New Italian Epic sono opere italiane post-guerra fredda scritte nella Seconda Repubblica e, di conseguenza, posteriori al cruciale biennio 1992-1993, su cui ora mi soffermer. A mio avviso, infatti, non un caso che gli eventi accaduti in Italia in quel particolare momento storico siano alla base di uno dei romanzi chiave del New Italian Epic, Nelle mani giuste (2007) del giudice e scrittore Giancarlo De Cataldo. Questo romanzo si svolge dallautunno del 1992 allautunno del 1993 mentre lItalia sta attraversando una fase estremamente delicata della sua storia. I magistrati simbolo della lotta alla mafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati brutalmente assassinati insieme alle loro scorte e alla moglie del primo. Bombe esplodono a Milano, Firenze e Roma e il paese, ventanni dopo, torna a rivivere langoscia della strategia della tensione. Nel frattempo, la Procura della Repubblica di Milano sta portando avanti linchiesta nota con il nome di Mani Pulite, i cui effetti cambiera nno per sempre la storia politica italiana. Eventi singoli da contestualizzare in relazione al macro-evento accaduto quattro anni prima: la caduta del muro di Berlino. Come giustamente evidenziato da Giuseppe Genna [20], intorno a questa mole di avvenimenti esistono poche opere di riflessione, approfondimenti, materiale che permettano di affrontare criticamente un delicatissimo passaggio nella storia dItalia. De Cataldo per osa, prende questi eventi e ne fa lossatura, non semplicemente lo scenario, di un romanzo che va a proporsi come uno dei finora pochi tentativi di raccontare gli anni Novanta in Italia. Impresa difficile, perch in mancanza di riflessioni e narrazioni, la pagina scritta si trova a sfidare un immaginario collettivo confuso, una memoria storica disarticolata in flash e stereotipizzata dalle informazioni trasmesse dai telegiornali e dai vari organi dinformazione istituzionale. Per questi motivi Nelle mani giuste, che nella sua struttura molto pi vicino alle caratteristiche tradizionali del romanzo storico, risponde, anche se con minore intensit, alla stessa urgenza a cui ho accennato precedentemente parlando di Gomorra e Sappiano le mie parole di sangue. Tuttavia, a partire dal romanzo di De Cataldo possibile aggiungere considerazioni a mio avviso molto interessanti. Cosa rimane di un passaggio storico come quello consumatosi in Italia fra il 1993 e il 1994 quando le narrazioni che lo riguardano mancano o scarseggiano? Immagini. Flash di pochi secondi. Quello che i media ci hanno cucinato e di cui noi ci siamo ingozzati. Leterno tempo presente dei nuovi media consegna alla nostra memoria quelle immagini che per loro forza riescono a ergersi a simbolo. Tutto il resto viene sciacquato nel flusso inarrestabile delle informazioni e cos facendo, tutta la complessit di un momento storico tende a sciogliersi. Un romanzo come Nelle mani giuste, da questo punto di vista, lavora per recuperare quella complessit originaria e, in definitiva, per storicizzare il presente. Il periodo in cui si svolge il romanzo, infatti, non semplicemente storia vicina ma quella fase storica in cui siamo tuttora immersi e di cui De Cataldo, miscelando sapientemente fiction ed eventi reali, ci offre il suo racconto. Vale qui lo stesso concetto espresso poco prima: il romanzo New Italian Epic ambisce a piantare narrazioni su un terreno fangoso. Questo, nella maggioranza dei casi, implica la necessit di confrontarsi o sfidare convenzioni immaginarie e magari fare i conti con il rimosso della storia. Basta pensare a romanzi come Lottava vibrazione di Carlo Lucarelli, Manituana (2007) dei Wu Ming, Cristiani di Allah (2008) di Massimo Carlotto, La banda Bellini (2007) di Marco Philopat, solo per citarne alcuni. La forza di queste opere risiede nella potenza delle loro immagini, nella loro

propensione ad aprire brecce in immaginari stantii attraverso cui il lettore possa leggere il proprio tempo. Ma cosa implica, oggi che limmagine massmediatica divenuta la chiave dellesperienza, il riporre fiducia nelle immagini della letteratura? Come considerare, oggi, la capacit propria dello specifico letterario di portare il lettore a visualizzare dentro di s la narrazione? Le mie considerazioni finali, ma non conclusive, sul New Italian Epic partono da questi interrogativi per tornare a quanto riportato in apertura: arte e letteratura devono curare il nostro sguardo, rafforzare la nostra capacit di visualizzare. Se il New Italian Epic vive di questa impresa, la sua naturale collocazione nel conflitto. Un conflitto la cui ricaduta domestica altro non che lopposizione fra lo sguardo del lettore (attivo, critico, creativo) e quello dello spettatore (passivo). Ho citato De Kerkchove e la sua asserzione per cui lalfabeto stato foriero di due rivoluzioni complementari, una nella mente individuale e laltra nel mondo. Forse nel nostro tempo, in cui le tecnologie di comunicazione sequenziale risultano minoritarie, a essere in atto nella nostra mente e nel mondo una controrivoluzione. Per questo scopo i media lavorano giorno per giorno, casa per casa, irradiando una rappresentazione del mondo che sembra non produrre altro che populismo e paura. Paul Virilio, in questo senso, parla di panico freddo, da ricollegarsi allorizzonte sospeso di unangoscia colletti va, in cui si tutti protesi ad attendere linatteso, in uno stato di nevrosi che opprime ogni vitalit intersoggettiva [21]. in questo contesto che, sempre secondo Virilio, ci muoviamo con gli occhi chiusi dallo schermo catodico, ma soprattutto non cerchiamo pi di guardare, di vedere attorno e neppure davanti a noi, ma unicamente oltre lorizzonte delle apparenze oggettive [22]. Quel qualcosa che non va nel nostro rapporto con il mondo, dunque, oltre a essere fra le conseguenze di una transizione epocale in corso, decisamente qualcosa che ha a che fare con il nostro sguardo, con la nostra capacit di vedere. Wu Ming 1, concludendo il saggio sul New Italian Epic, indica nella frase gli stolti chiamavano pace il semplice allontanarsi dal fronte, estrapolata dal breve testo allegorico che apriva il penultimo romanzo del collettivo, 54 (2002), limpulso alla base dei romanzi presi in esame. La mia ipotesi che il fronte evocato non solo non sia lontano ma sia ovunque si posi il nostro sguardo: coincide con la superficie degli eventi. Appena al di sotto, impazza il conflitto tra finzionale e reale, tra la carne e il sangue della storia e il virtuale della sua narrazione mediatica, tra il passato con le sue radici profonde e il presente senza memoria. Un conflitto silenzioso eppure capillare, incessantemente alimentato dalla transizione tecnocomunicativa in corso, in cui elementi del vecchio mondo dei luoghi e della prospettiva gutemberghiana vanno faticosamente e sanguinosamente a ricombinarsi con elementi del nuovo mondo dei flussi e del simultaneo. Tutto questo avviene davanti ai nostri occhi, ma non necessariamente siamo in grado di vederlo. per questo motivo che arte e letteratura devono curare il nostro sguardo, rafforzare la nostra capacit di visualizzare, suggerendo una via duscita allo stato di cose esistenti. La letteratura, allora, si offre come strumento privilegiato di lettura e di interpretazione del nostro tempo, grazie alla sua irriducibilit alle dinamiche dei flussi. La sua lentezza specifica e nel contempo la sua capacit di indurre il lettore alla visualizzazione ne fanno una pratica naturalmente resistente. Lipotesi interpretativa del New Italian Epic rappresenta, da questo punto di vista, un tentativo di presa di coscienza inaudito per gli ultimi anni di quello che la letteratura pu e deve fare.

NOTE 1. Wu Ming 1, New Italian Epic. Memorandum 1993-2008: narrativa, sguardo obliquo, ritorno al futuro, 23 aprile 2008, www.wumingfoundation.com 2. Ibid. 3. Ibid. 4. Antonio Scurati, La letteratura dellinesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione , Bompiani, Milano, 2006. 5. Derrick de Kerckhove, The Skin of Culture, Kogan Page, Londra, 1997, p.28. 6. Dal punto di vista neurofisiologico, secondo de Kerckhove, lut ilizzo di un alfabeto totalmente fonetico favorisce lattivit dellemisfero cerebrale sinistro, portando allo sviluppo del pensiero astratto e analitico. 7. Walter J. Ong, Orality and Literacy. The Technologizing of the Word, Methuem, Londra-New York, 1982. 8. Manuel Castells, The Internet Galaxy: Reflections on the Internet, Business and Society, Oxford University Press, Oxford, 2001. 9. Franco Berardi "Bifo", Exit. Il nostro contributo allestinzione della civilt, Costa&Nolan, Genova, 1997, p.125. 10. Ibid., pag.24 11. Margherita Ganeri, Il romanzo storico in Italia. Il dibattito critico dalle origini al post-moderno, Piero Manni, Lecce, 1999. 12. Ibid., pag.11 13. Ibid. 14. Wu Ming 1, op. cit. 15. Antonio Scurati, op. cit., p.78. 16. Claudia Boscolo, "Scardinare il postmoderno: etica e metastoria nel New Italian Epic", 29 aprile 2008, www.carmillaonline.com. 17. Ibid. 18. Christian Raimo, "Ogni esistenza un mondo in conflitto", 21 ottobre 2007, slmpds.net. 19. Ibid. 20. Giuseppe Genna, "DE CATALDO: Nelle mani giuste", 25 giugno 2007, www.carmillaonline.com. 21. Paul Virilio, Larte dellaccecamento, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2007, p.9. 22. Ibid., pagg.9-10 * Marco amici (Roma 1975) sta svolgendo un dottorato in Italian Studies allUniversity College Cork (Irlanda), con una ricerca sul giallo italiano. Si occupa principalmente di letteratura di genere e del rapporto fra narrazione, media e immaginario nellattuale scenario socioculturale. Ha scritto su diverse riviste, tra cui il "Bollettino di Italianistica", rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica diretta da Alberto Asor Rosa.

NOI DOBBIAMO ESSERE I GENITORI La "valle perturbante" della nuova narrativa e la necessit di immaginare il futuro, oltre i blocchi emotivi che ostruiscono la visione di Wu Ming 1* Alla vigilia di Capodanno del 2005 ricevetti una telefonata da un collega, uno scrittore italiano di nome Giuseppe Genna, nato e residente a Milano. Mi chiam nel tardo pomeriggio e mi chiese cosa avrei fatto per festeggiare l'anno nuovo. Gli risposi che, poich mia figlia aveva solo pochi mesi e la mia compagna aveva bisogno di un po' di respiro, avevo deciso di restare a casa, mentre lei sarebbe uscita con alcune amiche. Per la prima volta dopo pi di vent'anni avrei trascorso in casa la notte di Capodanno. Il mio piano era rileggere Il conte di Montecristo vegliando sulla bimba che dormiva. Chiesi a Giuseppe cosa avrebbe fatto lui. Disse che sarebbe andato a una festa, bench di malavoglia. Aveva appena sentito suo padre ed era preoccupato per lui. Da alcuni anni, suo padre Vito lottava contro il cancro. Di recente i medici avevano informato la famiglia che non c'era pi niente da fare. Era questione di pochi mesi. Vito viveva solo, molti dei suoi amici erano gi morti, e non aveva intenzione di uscire. Lo aveva detto in modo risoluto: sarebbe rimasto a casa, era stanco e voleva coricarsi presto. Il pensiero di quell'uomo vecchio e morente che passava Capodanno da solo nel suo appartamento quasi mi spezz il cuore. Mi identificai con lui: da poco ero un padre anch'io, e avrei trascorso il capodanno in casa per la prima volta nella mia vita adulta. Giuseppe e io avevamo entrambi trentacinque anni, e pensai: che ne sar di me, trentacinque anni a partire da adesso? Ad ogni modo, fu una piacevole nottata, il ronfare della bimba era rilassante e il libro grandioso. Il conte di Montecristo sempre grandioso. Ventiquattr'ore dopo mi squill il cellulare e il nome di Giuseppe riapparve sul display. Risposi, e mi disse: - Sono da mio padre. Io e mia sorella lo abbiamo chiamato tutto il giorno, ma non rispondeva. Ho appena sfondato la porta. E' per terra, ha addosso il pigiama. E' morto. Ha le mani blu, penso abbia avuto un infarto mentre andava a letto. L'attacco di cuore aveva salvato Vito Genna dall'agonia del tumore. Io vivevo in un'altra citt, non potevo essere di alcun aiuto e non ero nemmeno uno degli amici intimi di Giuseppe. Come mai, trovando il corpo di suo padre, mi aveva incluso tra le primissime persone da avvisare? Dapprima pensai che, nella sua mente, avesse fatto la mia stessa associazione di idee: ero un padre, come Vito; avevo passato la notte di Capodanno in casa, come Vito aveva intenzione di fare. In seguito capii che c'era qualcosa di pi, e me lo conferm egli stesso: aveva sentito il bisogno di chiamare un altro scrittore, perch stava vivendo un'esperienza allegorica soverchiante. Certo, ogni volta che muore un genitore possono entrare in gioco dense metafore e allegorie, ma quella morte aveva connotazioni particolari. Vito Genna era stato un solido attivista del Partito Comunista Italiano, il pi grande e peculiare dei partiti comunisti dell'Occidente, in grado di raggiungere il 33% dei voti alle elezioni politiche e mobilitare milioni e milioni di persone. Il partito non esisteva pi dal 1991 ed una storia troppo lunga da raccontare, basti dire che negli ultimi vent'anni tutta la sinistra italiana ha subito una lunga crisi e ora praticamente scomparsa, almeno nelle sue articolazioni strettamente politiche. Col tempo l'intera sinistra politica ha perso ogni orientamento su cosa essere e che fare, fino a commettere un suicidio di massa. Dopo le ultime elezioni, per la prima volta dopo la caduta del regime fascista, in Italia non c' pi un gruppo parlamentare che faccia riferimento al socialismo. L'Internazionale Socialista, un'organizzazione mondiale con affiliati in 170 paesi, non ha pi alcun rappresentante nel parlamento italiano. Nemmeno uno. E' un sisma culturale, annunciato da innumerevoli scosse preliminari. Al giorno d'oggi, tra le citt d'Italia, una delle pi a destra Milano. Non solo la capitale simbolica del movimento xenofobo chiamato "Lega Nord", ma conta anche aggressivi gruppi di ultradestra. Pochi anni fa un attivista di sinistra di nome Davide Cesare fu accoltellato a morte da neonazisti. Meno di due settimane fa c' stato un omicidio razzista in pieno giorno, un diciannovenne nero di nome Abdoul Guibre stato picchiato a morte da due baristi - padre e figlio - per aver rubato un pacchetto di biscotti. Lo hanno inseguito gridando: "Negro di merda", e lo hanno ucciso per strada, di fronte a testimoni, senza ritegno n pudore. Il razzismo divora l'Italia come un cancro e Milano

in posizione avanzata. Un milanese che creda nella solidariet pu sentirsi frustrato e anche un po' solo, di tanto in tanto. Il padre di Genna aveva dedicato buona parte della vita a un partito che non esisteva pi, nella speranza di una rivoluzione che non c'era stata, nel quadro di una sinistra politica che moriva in metafora mentre lui moriva alla lettera, moriva di cancro in un appartamento desolato di una citt desolata conquistata dalla destra tanto tempo prima. Un infarto improvviso gli aveva risparmiato mesi di strazio, e il figlio aveva sentimenti contrastanti: aveva il cuore a pezzi, ma provava anche sollievo. Il figlio sapeva che la morte del padre stava per la morte di un'epoca, la morte di un mondo. Il lutto per il padre era anche il lutto per l'epoca. L'elaborazione del lutto si annunciava dura. Giuseppe Genna elabor il lutto scrivendo un libro molto strano intitolato Medium. Ritengo quest'opera una delle pi rappresentative di ci che chiamo "New Italian Epic". Non necessariamente una delle migliori, ma di sicuro una delle pi emblematiche. Pur essendo un autore discretamente noto, i cui libri sono pubblicati presso grandi editori e sovente tradotti in altre lingue, Genna scelse di non dare Medium a nessuna casa editrice. Il libro disponibile come ipertesto sul sito dell'autore, e come libro rilegato su lulu.com, un editore on line che stampa copie singole a richiesta. Genna spieg di voler un rapporto coi lettori pi intimo, personale e delicato. Pensava che leggere il libro direttamente dal sito, a un solo click di distanza dalla possibilit di spedire un commento, o in alternativa avere il libro stampato apposta per me, potesse creare un'atmosfera pi intima. E aveva ragione: pochi giorni dopo la messa on line, inizi a ricevere e-mail di lettori che avevano da poco perso un genitore e volevano condividere quel dolore e quell'esperienza. Alcuni di loro fecero commenti molto perspicaci sull'aspetto storico e politico della morte di Vito. Le prima 39 pagine di Medium narrano nei minimi dettagli la notte e il giorno che Genna trascorse accanto al cadavere del padre. Dopo il ritrovamento del corpo, si ritrov in un incubo burocratico. Il primo di gennaio, nell'intero circondario milanese, non c'era un medico necroscopico disponibile a venire e firmare un certificato di decesso. Senza quel certificato, l'impresa di pompe funebri non poteva prelevare il corpo. Genna rimase a lungo in quella stanza, parl di morte con il becchino, ricevette amici e parenti, fantastic selvaggiamente sul padre, il passato, il futuro, i sogni infranti del socialismo, l'eredit del ventesimo secolo e cos via. Medium fu interamente concepito in quelle ore. Dopo le esequie, il libro passa a un registro del tutto diverso. Dal secondo capitolo la narrazione inizia a deviare: un viaggio in Germania Est che Vito Genna fece davvero nel 1981 diviene il momento centrale nella scoperta di una realt alternativa, di una storia alternativa, di una vita alternativa del padre, di una possibilit alternativa di elaborare il lutto. Tutto accade sullo sfondo della Guerra Fredda, e ha un ruolo indefinibile eppure importante lo scomparso Peter Kolosimo, negli anni Settanta autore di saggi di enorme successo. Per farla semplice, Kolosimo sosteneva che tutte le civilt umane dall'alba dei tempi avessero origini extraterrestri, che in origine il nostro pianeta fosse stato colonizzato da alieni e che tutte le culture del mondo recassero i segni di tale colonizzazione. Era un personaggio molto popolare, quando Genna e io eravamo bambini. Il fatto che Kolosimo fosse un comunista dichiarato e coltivasse apertamente rapporti con il Blocco Orientale il pretesto che lega quest'autore al viaggio del 1981 in Germania Est. Dopo aver stabilito il collegamento, Giuseppe Genna veste i panni di Telemaco e si reca a sua volta in Germania, in cerca di tracce di suo padre. L incontra alcuni loschi personaggi, ciascuno dei quali offre un'interpretazione del Novecento, della Guerra fredda e delle illusioni del comunismo. Ognuno di loro rivela qualcosa sul padre di cui Genna era ignaro. Emerge un legame forte tra l'esistenza di Vito Genna e il modo in cui il futuro veniva immaginato in quel passato, nell'epoca che Giuseppe va esplorando all'indietro. Alla fine, si stabilisce un legame ancor pi forte tra la morte di Vito e la nostra difficolt a immaginare il futuro. La nostra visione del futuro ostruita da troppi blocchi emotivi, e abbiamo bisogno di focalizzare su ci che sta oltre, di sforzare il nostro sguardo per superare quegli ostacoli. Medium termina con un'appendice di testi che Genna chiama "rapporti di visualizzazione". Tali documenti furono presuntamente scritti negli anni Settanta da un comitato di veggenti comunisti, tra i cui membri vi era Vito. Il gruppo segreto era nato su ordine del governo comunista e il suo compito era predire il futuro, tuttavia lo sguardo extrasensoriale coglie tanto un remotissimo futuro quanto un remotissimo passato. L'apparire di questi rapporti sorprende il lettore, che a tratti turbato, divertito, depresso e galvanizzato. Ecco un esempio: Lontano vicino e vicino lontano. Senza luce, vedo vicinissimo una guglia, costruita da una specie che non la nostra. Visiono altre galassie, macchia cosmica, ali nere. Una processione di esseri deformi, dallepidermide viscosa, tripodi, procede nel buio verso la torre immensa che culmina nella guglia che ho visionato. [...] Il momento risale a due milioni di anni addietro alla formazione della vita sulla Terra. La processione discontinua di questi esseri: nel buio visualizzo un deserto petroso, nessun

astro a illuminare la notte. Pianeta che loro chiamano Nglah, cio Il Sempre. Canto rituale.[...] : Ala siderale, alimenti di foschia. Vivente minerale, rosa di pietra. Convoglio sepolto, sorgente di pietra. Arca misteriosa, luce di pietra. Squadra equinoziale, vapore di pietra. Geometria finale, pensiero di pietra. La processione giunger alla torre, che sembra cos vicina e invece dista centinaia di chilometri, nellarco di sei rotazioni del pianeta.... Immaginando una realt alternativa in cui suo padre aveva una doppia vita, e interrogandosi su come avrebbe elaborato il lutto in quella realt, Genna rende omaggio al padre, alle sue convinzioni, ai sogni, alle illusioni. Descrivendo il padre come un veggente, Genna lo omaggia in questa realt, lo omaggia per aver almeno immaginato un futuro, impresa che le ultime generazioni trovano molto difficile. In questo modo, Genna elabora il lutto e rende l'elaborazione importante per tutti noi. L'allegoria profonda della morte di Vito ormai giunta in superficie. Il lutto divenuto una ricerca, una spedizione cavalleresca nello spazio e nel tempo, un viaggio iniziatico. Lo sguardo stato forzato, e il punto di vista reso inatteso. Una questione personale si trasformata in meditazione sui destini della nostra specie, del nostro pianeta, del nostro cosmo. Come sopra cos sotto, e ovviamente viceversa. Questo quello che chiamo New Italian Epic. I suoi tratti principali sono: - Impegno etico nei confronti dello scrivere e del narrare, il che significa: profonda fiducia nel potere curativo della lingua e delle storie; - Un senso di necessit politica - e potete scegliere tra il senso stretto e il senso lato dell'aggettivo; - La scelta di storie che abbiano un complesso valore allegorico. La scelta iniziale pu anche non essere conscia: l'autore pu sentirsi sospinto verso quella storia e soltanto in seguito capire cosa stava cercando di dire; - Un'esplicita preoccupazione per la perdita del futuro, con propensione a usare fantastoria e realt alternative per sforzare il nostro sguardo e spingerci a immaginare il futuro; - Sovversione sottile dei registri e della lingua. "Sottile" perch quel che conta non la sperimentazione linguistica fine a se stessa: quel che conta raccontare la tua storia in quello che senti essere il miglior modo possibile; - Sintesi di fiction e non-fiction diverse da quelle a cui siamo abituati (es. il "gonzo journalism" alla Hunter S. Thompson), un modo di procedere che oserei definire "distintamente italiano", e che genera "oggetti narrativi non-identificati". - Ultimo ma certamente non ultimo, un uso "comunitario" di Internet al fine di - qui uso un'espressione di Genna - "condividere un abbraccio con il lettore". Diversi libri usciti in Italia negli ultimi anni hanno in comune tutte o molte di queste caratteristiche. Ciascuno di essi peculiare, e a volte un libro, se ci fermiamo alle prime apparenze, non ha alcuna somiglianza con quelli accanto: stili diversi, storie diverse, ambientazioni diverse, generi in apparenza diversi. Eppure, se scendiamo abbastanza in profondit, vedremo che tutte queste opere sono in reciproca risonanza. La pi famosa e riuscita senz'altro Gomorra di Roberto Saviano, che ha venduto all'incirca un milione e mezzo di copie ed entrato a tamburo battente nella cultura di massa italiana. In Gomorra la sintesi di fiction e non-fiction talmente sottile da toccare vette di perturbante. Il libro si presenta come un energico resoconto sul crimine organizzato di Napoli e dintorni, e su come questo operi nell'economia globalizzata. Di certo lo stato di cose che descrive terribilmente reale, eppure questo non normale giornalismo: vi sono anche capitoli autobiografici e introspettivi, in molti passaggi la prosa si fa visionaria, l'io narrante ha frequenti allucinazioni e "dirotta" i punti di vista di altre persone, giocando intenzionalmente sulla confusione tra l'autore, il narratore e un io narrante che non appartiene a nessuno dei due. Alessandro Vicenzi ha ricapitolato la questione nel modo pi semplice ed efficace: Saviano usa indifferentemente i dati dei rapporti della polizia e le sentenze e le sue esperienze personali, e racconta la camorra scegliendo una forma che quella della narrazione in prima persona, anche se chi dice io nel romanzo non sempre il Roberto Saviano anagrafico, reale. Si scivola tra resa letteraria dei fatti e testimonianza, cronaca [...] Se Saviano descrive in prima persona anche cose che non ha visto perch quella la forma pi potente con cui raccontarle, la pi adatta a far passare nel lettore una sensazione, la pi immersiva. [...] Le barriere tra narrativa e cronaca non vengono superate: vengono semplicemente ignorate. Non so bene dove venga messo oggi Gomorra, nelle librerie. Credo che il successo gli permetta di risolvere ogni imbarazzo e di stare semplicemente in quelle pile di best-sellers allentrata, che contengono di tutto, senza particolari distinzioni di genere. Come dicevo poc'anzi, queste opere sono diverse dalle "non-fiction novels" o dai reportages ipersoggettivi nella tradizione del cosiddetto "New Journalism" o del "Gonzo Journalism". Mentre quel modo di scrivere ci ormai familiare, queste opere sono pi inquietanti. Credo che l'aggettivo pi adatto sia "perturbante". Quando Gomorra uscito nei paesi di lingua inglese (purtroppo in una traduzione mediocre), i recensori si sono chiesti cosa fosse. Ecco uno stralcio dalla recensione del New York Times, scritta da Rachel Donadio:

Ben pi problematica la difficolt di definire questo libro. In Italia, Gomorra stato descritto come "docufiction", il che fa pensare che Saviano si sia preso delle libert nei suoi resoconti in prima persona. [L'editore americano] lo definisce un'opera di "giornalismo investigativo", espressione che suggerisce attente verifiche legali. Alcuni aneddoti sono sospettamente perfetti: il sarto che lascia il lavoro dopo aver visto in TV Angelina Jolie alla notte degli Oscar con addosso un abito bianco fatto da lui in una fabbrica illegale; l'uomo che ama a tal punto il suo AK-47 da andare in pellegrinaggio in Russia per incontrarne l'inventore, Mikhail Kalashnikov... Forse l'autore ha cambiato dei nomi? Se lo ha fatto, i lettori non ne sono informati. Non si tratta di cose da poco, e sarebbe stato il caso di chiarirle. Eppure la verit emotiva del reportage di Saviano inattaccabile: questo libro coraggioso non mi pi uscito di mente. Presumo che Rachel Donadio non abbia mai avuto simili perplessit leggendo un libro di Hunter S. Thompson. Nessuno si mai preoccupato di cosa fosse vero e cosa fittizio nella scrittura di Thompson. Allora, in questo caso, dove sta la differenza? La differenza che Gomorra ben lungi dall'essere un'opera ironica. Gomorra m-o-r-t-a-l-m-e-n-t-e serio. Forse lo sapete, "perturbante" l'aggettivo con cui si traduce un termine usato da Sigmund Freud: "Unheimliche". Unheimliche indica una cosa al tempo stesso respingentemente estranea e attraentemente familiare. Come accade in Medium di Genna, anche in Gomorra un rapporto problematico tra il narratore e suo padre diviene emblema di una dimensione pi grande, fino a gettare luce sull'ambigua "doppia coscienza" di cui molti Italiani del sud sono dolorosamente consapevoli. Il narratore figlio di una cultura che non pu realmente abbandonare: anche se disprezza la mafia e la combatte, sa che quella mafia parte di quella cultura, coerente con quella cultura, che anche la sua. Di fatto, il narratore condivide frame concettuali profondi con le persone che denuncia, e lo ammette presentandoci ricordi d'infanzia e conversazioni col padre. Agli occhi del narratore, la camorra perturbante, al tempo stesso respingentemente estranea e attraentemente familiare. I lettori attraversano una valle del perturbante, e Saviano ne attraversa un'altra, pi vasta, una valle sociale e antropologica. Valle del perturbante un'espressione coniata nel 1970 dall'ingegnere giapponese Mori Masahiro. L'ipotesi di Mori che quando un automa avr un aspetto e un comportamento quasi uguali a quelli umani, la reazione tra gli umani sar di orrore e ripulsa. Secondo Mori, sar il tipico caso in cui la notte pi buia poco prima dell'alba, perch non appena l'automa avr un aspetto e un comportamento del tutto uguali a quelli umani, la reazione tra gli umani sar positiva. Questa fase di repulsione si chiama valle del perturbante perch una flessione nell'andamento di un grafico. Ora, lasciamo perdere gli automi. Io penso che questa sia una metafora utile a descrivere il modo in cui un lettore attento percepisce l'oggetto narrativo non-identificato. C' una fase in cui cominci a chiederti: com' possibile che Saviano abbia assistito a una scena come questa? Camorristi che usano tossici come cavie per testare la roba appena arrivata, tossici che collassano dopo essersi fatti, gente lasciata a morire... Dove diavolo era Saviano per aver visto questa roba? Chi l'io narrante? Se questo giornalismo sotto copertura, qual la "copertura" di Saviano? Dove si nascosto? E' lui il narratore? Sto leggendo un reportage giornalistico o sto leggendo un romanzo travestito da reportage giornalistico? Eccovi giunti nella valle del perturbante dell'oggetto narrativo non-indentificato. Non detto che i lettori meno attenti facciano mai questa esperienza: di solito accettano tutto come vero. Comunque sia, solo una temporanea flessione nel grafico, perch procedendo nella lettura si comprende cosa Saviano sta cercando di fare, e non solo lo si accetta, ma ci si commuove, perch questa cosa funziona, e i dubbi e la ripulsa lasciano il posto all'ammirazione. La mia ipotesi che molti di quanti hanno criticato Gomorra per la sua "ambiguit" e accusato Saviano di aver confuso i piani, non abbiano mai superato la flessione, e abbiano sospeso la lettura nel mezzo della valle del perturbante, senza mai uscirne. Ogni oggetto narrativo non-identificato ha la propria valle del perturbante. Ad esempio, in Medium la troviamo al principio del secondo capitolo, subito dopo il funerale. Una delle cose che pi colpiscono in Gomorra l'ampiezza, la gittata del libro: il viaggio inizia al porto di Napoli e nelle trascurate periferie di quella citt, ma poi Saviano ci porta in Russia, Bielorussia, Scozia, Stati Uniti, Spagna, in Medio Oriente, a Hollywood, in Colombia... Lo sguardo di Saviano fa incursioni in tutto il mondo, perch la criminalit organizzata italiana fa affari in tutto il mondo. Niente per cui provare amor di patria. Medium e Gomorra sono due esempi di New Italian Epic. Il mio utilizzo del termine "epic" cerca di mettere in gioco tutti i suoi significati e le connotazioni. L'ho scelto perch lo hanno usato molti lettori e recensori per descrivere questa letteratura, l'aggettivo spuntava qua e l su Internet, su blog e forum. Che intendeva dire quella gente? Di certo non si stava riferendo al "teatro epico" di Brecht, non

stava usando il termine in modi criptici e sofisticati. Io sono tornato alle definizioni di base, al fondo di roccia dura su cui tutti appoggiamo i piedi. Ho afferrato il dizionario. Consultate l' Oxford English Dictionary e scoprirete che "epic" si usa per: 1. un lungo poema sulle gesta di grandi uomini e donne, o sulla storia passata di una nazione; 2. un lungo film, storia etc riguardante imprese coraggiose e avventure eccitanti; 3. un compito, attivit etc. che richiede molto tempo, pieno di difficolt e merita attenzione e ammirazione una volta portato a termine; 4. qualcosa degno di nota e ammirazione per via delle dimensioni e della natura delle difficolt da sormontare; 5. qualcosa di molto grande, che ha luogo su grande scala; Diamo un'occhiata pi da vicino. "Grandi uomini e donne". Per essere grandi, non necessario essere famosi. Vi sono grandi esseri umani la cui grandezza riconosciuta solo dai loro amici. Non c' bisogno di Napoleone, Cromwell o Florence Nightingale per scrivere un romanzo epico. Se ce li infili, perch ti senti di farlo, ma non c' alcun obbligo. "La storia passata di una nazione". Il che non comporta per forza leccate di culo e propaganda patriottica, dato che le nazioni, solitamente, hanno storie di corruzione morale, genocidio, sfruttamento, etc. E non nemmeno necessario scrivere un romanzo storico per trattare della storia passata. Medium, ad esempio, non un romanzo storico. "Un compito pieno di difficolt". Tentare di sforzare lo sguardo e riappropriarsi di un senso del futuro una bella impresa, e i libri di cui sto parlando sono tutti molto ambiziosi per quel che riguarda la gittata... ...il che ci porta alle ultime due definizioni, dove l'enfasi posta sulle dimensioni. Qualcosa "che ha luogo su grande scala". Di sicuro queste narrazioni non sono del tipo minimalista: ogni questione individuale diviene simbolica di questioni pi grandi, come lo stato del pianeta etc. Non era che l'inizio della mia riflessione sulla tonalit "epica" nella letteratura italiana recente. In realt la riflessione non soltanto mia, perch molte persone vi stanno contribuendo. Nella versione estesa del memorandum le cose si sono fatte molto pi complesse, proprio perch ho potuto far tesoro di quei contributi. Descrivo l'epica stessa come un particolare lavoro sulle connotazioni, ma approfondire ora questo aspetto mi porterebbe troppo lontano. Ora vorrei fare un passo indietro, perch ho menzionato lo stato del pianeta. Parliamone brevemente, perch il punto cruciale. Noi tutti veniamo dal mare. Siamo usciti dal mare tanto tempo fa e ci siamo evoluti in terraferma fino a diventare quel che siamo: esseri umani. Veniamo dal mare, ma il mare sta morendo. Il mare soffre di "ipossia", carenza di ossigeno dissolto. L'acqua di mare diventa "anossica", priva di ossigeno, e i pesci muoiono, tutta la vita acquatica muore. Le aree in cui questo avviene sono dette "zone morte". L'estate scorsa, chi conduce queste ricerche ne ha individuate 146 e alcune sono enormi; ad esempio, la "zona morta" nel Golfo del Messico si estende in larghezza per oltre 500 chilometri, su una superficie di circa 20.000 chilometri quadrati. E' la superficie del Galles. Provate a immaginare un'area estesa quanto il Galles, del tutto priva di ossigeno e di forme di vita. E quella non nemmeno la "zona morta" pi vasta del mondo: tutto il fondo del Mar Nero diventato "zona morta", con bassissime concentrazioni di ossigeno e niente pesci, niente plancton, niente alghe, niente di vivo, niente, e parliamo di un'area di 440.000 chilometri quadrati. Qual la causa? E' una reazione a catena innescata dai fertilizzanti a base di azoto che usiamo in agricoltura. Quelle sostanze finiscono nei fiumi, i fiumi le portano al mare. E pian piano il mare muore. Le "zone morte" sono una fra le diverse cause dell'estinzione dei pesci d'acqua salata. Le altre sono una pesca eccessiva e sregolata, l'inquinamento e le conseguenze del cambiamento climatico. Alcuni scienziati hanno previsto l'estinzione totale - estinzione totale - dei pesci d'acqua salata entro il 2050, se nessuno interviene a rallentare o invertire le tendenze in corso. Poco pi di quarant'anni a partire da adesso, niente pi pesci. Acque vuote di vita e piene di morte. E se muore il mare, la terraferma lo seguir di l a poco. Se il mare cessa di essere un ecosistema, nessun altro posto lo sar pi. Qualcosa di nuovo sotto il sole. Ogni atto artistico e letterario, ogni opera d'arte, ogni romanzo reca i segni di ci che accade intorno, in un modo o nell'altro. I tempi in cui viviamo sono condizionati dalla morte dei fondatori, dei "capostipiti", dei genitori che se ne sono andati lasciandoci con problemi enormi. Noi siamo gli eredi delle loro allucinazioni, ormai ci rendiamo conto che la crescita, lo sviluppo, il consumismo, il Prodotto Interno Lordo, tutto questo ci fa correre su un binario morto, e ci chiediamo se lungo la corsa vedremo uno scambio, e chi scender ad azionare la leva. Stiamo cercando di capire che fare, ma i nostri pensieri sono ancora prigionieri dei vecchi frame concettuali, il che significa che anche le nostre parole sono prigioniere. Pensiamo ai movimenti che chiedono un calo di produzione e consumi. Chiamano questo processo "decrescita", "dcroissance", "degrowth". "Decrescita" non nemmeno un antonimo, una mera negazione del concetto opposto, quindi dipende dal concetto opposto, e infatti ogni volta che diciamo "decrescita" diciamo anche "crescita", e "crescita" sentita come una parola

buona, d'istinto la associamo a cose positive, a processi che sono necessari e benigni, come la crescita dei nostri figli, o la crescita di piante che possiamo mangiare. "Decrescita" non una parola efficace, non funziona. I nostri pensieri e vocaboli sono ancora prigionieri. Per anni abbiamo espresso i concetti in cui credevamo semplicemente aggiungendo prefissi come "de-" o "post-" (es. "postmoderno") ai concetti in cui non credevamo pi. Sapevamo soltanto di essere post-qualcosa. [In Italia questo ha toccato punte di ridicolo, dato che tutti sono "post-fascisti" o "post-comunisti" o "postdemocristiani" etc.] La letteratura postmodernista si a lungo concentrata sui "postumi" seguiti alla sbornia del moderno. Gli autori postmoderni hanno sviluppato un tipo di ironia che all'inizio aveva un valore critico, e io sono contento che quei libri siano stati scritti, amo alcune di quelle opere, penso che dobbiamo tenere il buono e portarcelo appresso lungo la via, scartando quello che non ci serve pi; oppure, se preferite un'altra metafora, dobbiamo ricostruire su quelle fondamenta, ma per ri-costruirci sopra dobbiamo prima demolire la casa squinternata che c' adesso. Il problema del postmodernismo che ha generato un esercito di seguaci e imitatori, e presto si ubriacato di se stesso, si intossicato della propria ironia, del proprio sarcasmo e disincanto. L'ironia si fatta sempre pi fredda e anaffettiva, il che era perfetto per il nuovo spirito dei tempi: il disincanto ha invaso e impregnato l'intero paesaggio artistico e mediatico, finch a un certo punto, probabilmente durante gli anni Ottanta, diventato il sentimento dominante nella cultura occidentale. Nulla andava pi preso sul serio. Se prendevi qualcosa sul serio, facevi la figura del seccatore. Vorrei citare lo scomparso David Foster Wallace. Questo uno stralcio da una famosa, classica intervista rilasciata a Larry McCaffery per la "Review of Contemporary Fiction", estate 1993. E' l'ultimissima risposta, ed molto interessante: Questi ultimi anni dell'era postmoderna mi sono sembrati un po' come quando sei alle superiori e i tuoi genitori partono e tu organizzi una festa. Chiami tutti i tuoi amici e metti su questo selvaggio, disgustoso, favoloso party, e per un po' va benissimo, sfrenato e liberatorio, l'autorit parentale se ne andata, spodestata, il gatto via e i topi gozzovigliano nel dionisiaco. Ma poi il tempo passa e il party si fa sempre pi chiassoso, e le droghe finiscono, e nessuno ha soldi per comprarne altre, e le cose cominciano a rompersi o rovesciarsi, e ci sono bruciature di sigaretta sul sof, e tu sei il padrone di casa, anche casa tua, cos, pian piano, cominci a desiderare che i tuoi genitori tornino e ristabiliscano un po' di ordine, cazzo... Non una similitudine perfetta, ma come mi sento, come sento la mia generazione di scrittori e intellettuali o qualunque cosa siano, sento che sono le tre del mattino e il sof bruciacchiato e qualcuno ha vomitato nel portaombrelli e noi vorremmo che la baldoria finisse. L'opera di parricidio compiuta dai fondatori del postmoderno stata importante, ma il parricidio genera orfani, e nessuna baldoria pu compensare il fatto che gli scrittori della mia et sono stati orfani letterari negli anni della loro formazione. Stiamo sperando che i genitori tornino, e chiaramente questa voglia ci mette a disagio, voglio dire: c' qualcosa che non va in noi? Cosa siamo, delle mezze seghe? Non sar che abbiamo bisogno di autorit e paletti? E poi arriva il disagio pi acuto, quando lentamente ci rendiamo conto che in realt i genitori non torneranno pi - e che noi dovremo essere i genitori. Da quell'intervista sono passati quindici lunghi anni, Wallace non pi tra noi e finalmente capiamo quanto avesse ragione. Noi dobbiamo essere i genitori, i capostipiti, i nuovi fondatori. Abbiamo bisogno di riappropriarci di un senso del futuro, perch sotto il sole sta accadendo qualcosa di radicalmente nuovo. E' un pericolo senza precedenti, un GROSSO problema e il disincanto non la soluzione migliore. A mio avviso il dispotismo dell'ironia ha prodotto una sindrome sociale affine all' asimbolia del dolore. L'asimbolia del dolore una sindrome neurologica, causata da un danno alla corteccia insulare del cervello. Non rispondi al dolore in modo emotivo, o di la risposta emotiva sbagliata: ti metti a ridere. Noi ridiamo perch la risata utile dal punto di vista dell'evoluzione. Ridere ha a che fare con il sollievo dopo un falso allarme. Quando qualcuno ti racconta una barzelletta, la tensione cresce e sei sempre pi curioso, vuoi sapere come va a finire. Le migliori barzellette ti tengono all'erta per quello che sembra essere un tempo lunghissimo, e il tuo cervello si fa sospettoso, e alla fine ti trovi sulla difensiva, ma poi la battuta finale d alla storia una torsione inaspettata, la tensione si scarica e ridi. E' anche il motivo per cui il solletico fa ridere: all'improvviso qualcuno fa per toccarti, istantaneamente ti metti sulla difensiva, infatti irrigidisci i muscoli, ma poi quella persona non ti fa davvero male, si limita a toccarti e stimolarti in un punto insolito, e allora il tuo cervello dice: "Era un falso allarme!", e ti metti a ridere. Una risata segnala che tutto a posto, significa: "Non c' da preoccuparsi". E' probabile che il ridere si sia evoluto da un verso ritmato che i nostri antenati

emettevano dopo un falso allarme. Il resto del branco lo sentiva e tutti si sentivano sollevati: non c'era bisogno di fuggire o combattere. Ovviamente, quando il pericolo era reale e qualcuno o qualcosa procurava autentico dolore, il cervello dava la corretta risposta emotiva, non c'era sollievo, nessuno rideva, tutti fuggivano o combattevano. Ma quando soffri di asimbolia del dolore, quella parte del cervello non funziona pi, il circuito non si chiude, niente ti dice che stavolta vero, che non si tratta di un falso allarme, e finisce che di la risposta emotiva sbagliata. Ridi. Ti sfondo la faccia a calci, e tu ridi. Negli anni Ottanta e Novanta una gran parte della cultura occidentale ha iniziato a confondere dolore e solletico. Pian piano abbiamo perso la facolt di distinguere un dolore vero da uno falso: sentivamo o eravamo testimoni di grandi dolori, e reagivamo ridacchiando. L'ironia era ovunque. Nel frattempo era caduto il Muro di Berlino, l'Occidente aveva vinto e c'era persino chi diceva che era finita la storia, e durante gli anni Novanta tutti ridacchiarono ancora di pi. Certo, non nell'ex-Jugoslavia o in Ruanda, ma nel cuore dell'impero molte persone, soprattutto gli artisti, erano molto cool e ironici e sghignazzanti e intenti a farsi l'occhiolino a vicenda. I nostri compagni umani sono neuralmente programmati per associare le risate ai falsi allarmi, quindi conclusero che non c'era pericolo... ... poi scoppi la bolla della cosiddetta "New Economy", e subito dopo ci fu l'11 Settembre, poi la cosiddetta "Guerra al Terrore" e l'invasione dell'Iraq, poi arrivarono i bombaroli kamikaze a Madrid e nel Tube di Londra, e adesso l'economia globale sta franando, ma in molti continuano a non capire quanto la situazione sia pericolosa, e intanto il ghiaccio dei poli si scioglie, il petrolio sta arrivando al picco di estrazione prima del previsto, e si stanno esaurendo le scorte di metalli, nel giro di pochi decenni niente pi rame, niente pi ferro, niente pi cadmio etc. etc. E' chiaro che, essendo io un romanziere e amando la letteratura (le due cose non vanno sempre insieme), mi interessa vedere come la mia professione possa evolversi di fronte a questi pericoli. Ci che mi preme trovare nella letteratura di oggi un diverso approccio etico allo scrivere, oltre il disincanto di ieri. Una piena assunzione di responsabilit di fronte a quel che accade su scala planetaria. Ed essendo un romanziere italiano, sono ancor pi interessato a vedere cosa accade nella letteratura di quel paese. Si comincia sempre da dove ci si trova, l'Italia sempre un posto interessante da cui cominciare, un notevole laboratorio (tanto per usare un eufemismo). Di recente ho trovato molti segnali interessanti nella letteratura italiana, ne ho scritto e ne ho discusso, in corso un dibattito ed per questo che sono qui. In Italia si usa di frequente un'espressione: "l'anomalia italiana". Vi sono serie ragioni storiche per cui l'Italia cos diversa dal resto d'Europa e la logica della vita sociale appare impenetrabile o addirittura inesistente. Far conto che in questa sala tutti siano al corrente di tali ragioni, o almeno di alcune. C' di mezzo la Guerra Fredda etc. Diciamo solo che dopo la caduta del Muro per l'Italia inizi una fase tumultuosa che va avanti ancora oggi. Nel 1993 croll il vecchio establishment politico, i pi grandi partiti si dissolsero e vi fu un improvviso liberarsi di energie incontrollabili. Nemmeno nei pi scatenati sogni ad occhi aperti la sinistra rivoluzionaria degli anni '70 aveva previsto alcunch del genere, anche se l'esito parso pi simile a una controrivoluzione: da quei giorni, lo spettro politico della societ italiana si spostato sempre pi a destra. Cos' successo nel frattempo? Di tutto. Nel mondo della letteratura il tumulto ha provocato il ritorno alla narrativa e alla forma-romanzo come mezzi favoriti di espressione, creazione e comunicazione. Negli anni Sessanta la "Neoavanguardia" aveva dichiarato guerra a quella che percepiva come narrativa "normale" e "tradizionale". La cosa ebbe conseguenze di rilievo nel decennio a seguire: negli anni Settanta dagli scrittori seri non ci si aspettava che scrivessero romanzi "convenzionali" o che si occupassero di narrativa. Nei tardi anni Settanta un capolavoro come L'arte della gioia di Goliarda Sapienza fu rifiutato da molti dei pi grandi editori del paese, perch quel tipo di romanzo - storico, epico, moltitudinario e toccante, la cui autrice non prendeva nemmeno le distanze da quel che scriveva, n faceva strizzate d'occhio - era ritenuto datato e conciliante. Questo accadeva pochi anni prima dello strepitoso successo de Il nome della rosa. Negli anni Ottanta una nuova generazione di autori italiani riprese a scrivere romanzi, ma le loro influenze non erano nella narrativa di genere o nella cultura pop. Dopo il 1993, per, vi fu un'eruzione di narrativa che si rifaceva a generi popolari, soprattutto ai crime novels della tradizione "hard-boiled", e in alcuni casi alla fantascienza. Quei nuovi autori non erano figli delle avanguardie, non gliene poteva fregare di meno se una cosa era ritenuta o meno "appropriata". Carlo Lucarelli, Valerio Evangelisti, Giancarlo De Cataldo, noi Luther Blissett e molti altri, noi eravamo figli problematici della popular culture. Eravamo cresciuti con una dieta stabile di narrativa di genere, musica rock, cinema, giochi di ruolo, i primi videogames... E usavamo gi Internet, anzi, quello che c'era prima, le BBS,

comunicazione elettronica pre-web. Nel 1994 alcuni di noi tenevano gi siti web. Non ci interessava il comportamento "giusto" da intellettuali, e nemmeno le tirate snob contro l'industria culturale. Volevamo dare il nostro contributo alla popular culture, portarci dentro conflitti e contraddizioni, non stigmatizzarla guardandola da fuori, o addirittura rifiutandosi di guardarla. Quando usc il nostro primo romanzo, Q, dichiarammo in modo esplicito che volevamo combattere la nostra battaglia dentro il pop e portare le nostre pratiche all'interno dell'industria culturale. Dieci-quindici anni dopo, la situazione si evoluta, anche in modo radicale. Ci sono state scosse e torsioni, molte influenze si sono incontrate e hanno generato nuove pratiche e il processo va avanti. Molte cose stanno accadendo nella letteratura italiana, il New Italian Epic soltanto una di queste, ma quella che mi interessa di pi, e quella che mi sento spinto a esplorare. Grazie a tutti. * Discorso d'apertura alla conferenza "The Italian Perspective on Metahistorical Fiction: The New Italian Epic", Institute of Germanic and Romance Studies, University of London, UK, 2 ottobre 2008. http://www.carmillaonline.com/archives/2008/10/002804.html

NEW ITALIAN EPIC: WE'RE GOING TO HAVE TO BE THE PARENTS The London Speech by Wu Ming 1 Opening talk @ the conference"The Italian Perspective on Metahistorical Fiction: The New Italian Epic", Institute of Germanic and Romance Studies, University of London, UK, October 2nd, 2008. AUDIO VERSION HERE On New Year's Eve of 2005 I received a phone call from a colleague of mine, an Italian writer called Giuseppe Genna, born and living in Milan. He called me in the late afternoon and asked me what I was going to do to celebrate the new year. I told him that my daughter was only a few months old, my partner needed some respite, so I decided to stay home while she went out with some friends. It would be the first time in more than 20 years that I would stay home on New Year's Eve, and I planned to re-read The Count of Montecristo while watching over the sleeping baby. I asked Giuseppe what he was going to do. He said he'd go to a party, albeit reluctantly. He'd just had a phone conversation with his father, and was worried about him. For some years, his father Vito had been fighting against cancer. His doctors had recently told the family that there was nothing left to be done. It was a matter of months. Vito lived alone, many of his friends had passed away, and he planned to stay home for the night. He was adamant about that: he would stay home. He told his son that he was tired and wanted to go to bed early. The thought of this old, lonely, dying man spending New Year's Eve all alone in his apartment nearly broke my heart. I strongly identified with him. Now I was a father myself, and I would spend New Year's Eve at home for the first time in my adult life. Giuseppe and I were both 35 years old. I thought: what will be of me 35 years from now? Anyway, it was a pleasant night, the baby's snore was soothening and the book was great. The Count of Montecristo is always great. Twenty-four hours later my cell-phone rang. Giuseppe's name showed up on the screen again. I answered the call and he went: - I'm at my dad's right now. My sister and I tried to call him all day, but he never answered. I just broke the door down. He's on the floor, in his pyjamas. He's dead. His hands are dark blue. I think he had a heart attack while he was going to bed. The heart attack saved Vito Genna from the agony of cancer. I lived in another city, couldn't be of any help, and I wasn't even one of Giuseppe's closest friends. Why was I one of the very first people he called when he found his father's body? At first I thought that, in his mind, Giuseppe made the same association I had done: I was a father, like Vito was. I'd spent New Year's Eve at home, like Vito wanted to do. Later on, I understood there was something more than that, and he confirmed it to me. He needed to call another writer, because he was living an overwhelmingly allegorical experience. Of course, every time a parent dies there are strong metaphors and allegories potentially involved, but this death had particular connotations.

Vito Genna had been a staunch activist of the Italian Communist Party, the biggest and most peculiar communist party in the western world, able to gain 33% of votes at national elections and mobilize millions and millions of people. The party ceased to exist in 1991, that's too long a story to tell, suffice it to say that in the past twenty years the whole Italian Left has suffered a long crisis and now is all but disappeared, at least in its strictly political articulations. The whole political Left gradually lost any bearings on what to be and what to do, until it committed mass suicide. After the last election, for the first time since the fall of the Fascist regime, there is no parliamentary group having socialism as a reference. The Socialist International, a worldwide organization having members in 170 countries, has no representatives in the Italian parliament anymore. No representatives at all. It's a cultural earthquake, and it was announced by countless foreshocks. Milan is currently one of the most right-wing cities in Italy. Not only it's the symbolic capital of the xenophobic movement known as Lega Nord, but it's a city with aggressive far-right groups. A few years ago a Leftist activist called Davide Cesare was stabbed to death by neo-nazis. Less than two weeks ago there was a racist murder in broad daylight, a 19-years-old black guy named Abdoul Guibr was beaten up to death by two barkeepers - father and son - for stealing a packet of cookies. They ran after him shouting: - Negro di merda! (more or less: "Fucking nigger"), and killed him in the street, in front of witnesses, with no restraint and no shame at all. Racism is eating up Italy like a very aggressive cancer, and Milan is clearly in the forefront. In Milan, anyone who believes in solidarity may feel frustrated and a little lonely, once in a while. Genna's father had devoted most of his life to a party that didn't exist anymore, hoping for a revolution that never came, in the context of a political Left that was metaphorically dying, and this father was literally diying: he was dying of cancer in a lonely apartment of a lonely city taken over by the right-wing long before. A sudden heart attack saved him from months of pain. His son had mixed feelings: of course he was heartbroken, but he also felt relief. The son knew that the death of the father was symbolical of the death of an era, the death of a world. Mourning the father meant mourning that era. Elaboration of mourning would be tough. Giuseppe Genna elaborated the mourning by writing a very strange book entitled Medium. I regard this work as one of the most representative of what I call New Italian Epic. Not necessarily one of the best, but certainly one of the most emblematic. In spite of being a decently famous author, whose books are in print by the biggest publishers and often translated in other languages, Genna chose not to give Medium to any publishing house. The book is available as a hypertext on the author's website, and as a proper bound book on lulu.com, a print-on-demand online publiser. Genna explained that he wanted a more private and personal and tender relationship with readers. He thought that reading the book on the author's website, just one click away from sending him a comment, and/or having a copy printed just for you would create more intimacy. And he was right. A few days after Medium was made available, he started to receive e-mails by readers who'd recently lost a parent and wanted to share their grief and their experience with him. Some of those readers commented upon the historical and political aspect of Vito's death with great perspicacity. The first 39 pages of the book tell in minute detail the night and day Genna spent besides the corpse of his father. After he found the body, Genna was thrown in a bureaucratic nightmare. On the first of January, in the whole Milan area, there was no necroscopic physician available to come and sign a death certificate. Without a death certificate, the undertaker's staff couldn't take the body away. Genna stayed in that room with his dead father for a long time. He talked with the undertaker about death. He received the visits of kindred and friends. He wildly fantasized on his father, on the past, the future, the shattered dreams of socialism, the legacy of the twentieth century and so on. Medium was entirely thought up in those hours. After the funeral, Medium gradually shifts toward an entirely different register. From the second chapter, the narrative starts to deviate. A trip to East Germany that Vito Genna really made in 1981 becomes the pivotal moment in the discovery of an alternative reality, an alternative history, an alternative life of the father, an alternative chance to elaborate the mourning. Everything takes place on the backdrop of the Cold War. There's an undefinable and yet extremely important role played by the late Peter Kolosimo, a guy who wrote many bestseller essays during the 1970's. To put it simply, Kolosimo stated that all human civilizations since the dawn of times have extraterrestrial origins, that our planet was originally colonized by aliens and all the cultures in the world bear signs of that colonization. He was a very popular character when Genna and I were kids. The fact that Kolosimo was a self-professed communist and openly cultivated relationships with the Eastern Bloc is used by Genna to make a connection to his father's 1981 trip to East Germany. He

then plays the role of Telemachus and goes to Germany himself, looking for traces of his father. He meets some very gloomy characters. Each one of them offers an interpretation of the twentieth century, the Cold War and the illusions of communism. Each one of them tells him something he didn't know about his father. A strong connection is established between Vito Genna's life and the way the future was imagined in the past, in the age that Giuseppe Genna is exploring in retrospect. In the end, an even stronger connection is established between Vito Genna's death and our difficulty to figure out the future. Our view of the future is obstructed by too many emotional blocks, and we need to focus on what may be beyond, we need to force our gaze (lo sguardo) into bypassing those blocks. Medium ends with an appendix of what Genna calls "visualisation reports". These documents were supposedly written during the 1970's by a committee of communist psychics, of which Vito Genna was a member. The secret committee was set up by East Germany's communist government. Their task was to foresee the future, but the extrasensory gaze captures both an extremely remote past and an extremely remote future. The reports' appearance on the pages is unexpected by the reader, who is alternately shocked, amused, depressed and galvanized. Here's an example:

Far is near and near is far. There is no light. I can see a spire, it was built by a species that is not our specie procession of deformed beings with sticky skins, they are tripods, they walk in the darkness toward the immense tower before the befinning of life on earth. The scattered procession goes on. I see a rocky desert, no star to illuminate the n is hundreds of kilometres away. It will take six rotations of the planet to arrive. They sing a ritual chant: "Sideral wing, Mysterious ark, stony light. / Square of the equinox, stony steam / Final geometry, stony thought. " By imagining an alternative reality in which his father lived a secret life, and by asking himself how he would have elaborated the mourning in that reality, Genna pays tribute to the father, his beliefs and dreams and illusions. By depicting his father as a psychic, Genna pays tribute to him in this reality, he pays tribute to him for having at least imagined a future, a task that the latest generations find very difficult to accomplish. In this way, Genna elaborates the mourning, and makes the elaboration important for all of us. The allegory lying deep beneath Vito's death has now come to the surface. The mourning has become a quest, a chivalrous ride in space and time, and an initiatory journey. The gaze was forced, the point of view was made unexpected. An individual matter has become a meditation on the destiny of our species, our planet, our cosmos. As above, so below. And, of course, the other way around. This is what I call the New Italian Epic. Its main characteristics are: 1. Ethical commitment to writing and storytelling, which means: a deep trust in the healing power of language and stories. 2. A sense of political necessity -- and you can choose between the broader and the stricter sense of the adjective "political". 3. The choice of stories that have a complex allegorical value. The initial choice may not even be intentional: the author may feel compelled to tell the story and later on understand what he was trying to say. 4. An explicit preoccupation for the loss of the future, with a propensity to use alternative history and alternative realities to force our gaze into imagining the future. 5. A subtle subversion of registers and language. "Subtle" because what's important is not language experimentation in and of itself; what's important is telling your story in what you feel is the best possible way. 6. A way of blending fiction and non-fiction that's different from the ones we've gotten used to (e.g. Hunter S. Thompson's "gonzo journalism"), a manner that I dare describe as "distinctly Italian", which produces "unidentified narrative objects". 7. Last but certainly not least, a "communitarian" use of the Internet to - as Genna himself put it "share a hug with the reader". Several books published in Italy in the past few years share all or many of these features. Each one is peculiar, and sometimes, if we judge by immediate appearances, a novel doesn't resemble the next in the slightest: different styles, different plots, different historical backdrops, seemingly different genres. And yet, if we go down deep enough, we'll see that all these books are in resonance with each other. The most famous and successful of these works is of course Roberto Saviano's Gomorrah, which sold about a million and a half copies and triumphantly entered Italian popular culture. In Gomorrah

the synthesis of non-fiction and auto-fiction is so subtle that it reaches uncanny heights. It looks like a powerful report on Naples' organized crime and the way it operates in the globalized economy, and certainly the state of things it describes is painfully real, but this is no ordinary piece of journalism. There are also autobiographical, introspective chapters. In many passages the prose is rather visionary. The "narrating I" frequently hallucinates and "hijacks" the points of view of other people, intentionally playing on the confusion between the author, the narrator and a "narrating I" that doesn't belong to any of them. Alessandro Vicenzi summarized this matter in the most simple and effective way:

Saviano indifferently uses police reports, judicial documents and personal experience, and describes the camorra Roberto Saviano. The book oscillates between objective accounts and literary renditions of facts. [...] If Saviano uses the most effective way of telling them, the most communicative one, the most absorbing one. [...] Saviano doesn't them. I don't know on what shelves bookshop clerks are putting Gomorrah now. I suspect that the success of the book best-sellers at the entrance, where there are no particular genre distinctions. As I said a few minutes ago, these works are different from the"non-fiction novels" and hypersubjective news stories in the tradition of so-called "New Journalism" or "gonzo journalism". That kind of writing is now quite familiar, while these works are more disquieting. I believe that the most appropriate adjective is "uncanny". When the book was published in the English-speaking countries (unfortunately in a poor translation), reviewers got puzzled about it. Here's a passage from Rachel Donadio's review in The New York Times:

Far more problematic is the difficulty in pinning this book down. In Italy, Gomorrah was described as a "docuficti American publisher] calls it a work of "investigative writing," a phrase that suggests careful lawyering. Some anecdot Jolie on television at the Oscars wearing a white suit he made in a Camorra sweatshop; the man who loves his Kalashnikov. Did the author change any names? If so, readers arent informed. These are ot small matters, and unassailable. I could not get this brave book out of my head. I guess Donadio never had such perplexities in reading a book by Hunter S. Thompson. Nobody ever cared about what was true and what was fictional in Thompson's writing. What's the difference here? The difference is that Gomorrah is far from being an ironic piece of work. Gomorrah is d-e-a-d-l-y serious. As you all probably know, "uncanny" is the way we translate into English a word Sigmund Freud used: "Unheimliche". Unheimliche is used for things that look repulsively strange and attractively familiar at the same time. As happens in Genna's Medium, in Gomorrah too a troublesome relationship between the narrator and his father becomes strongly symbolic of something bigger. It casts light on the ambiguous "double-consciousness" several Southern Italians are painfully aware of. The narrator is the child of a culture that he cannot really renounce, and although he deeply despises the mafia and fights against it, he knows that the mafia is part of that culture, that it is consistent with that culture. In fact the nrrator shares some deep conceptual frames with the people he denounces, and he admits it by sharing with us memories from his childhood, conversations with his father. To the narrator's eyes, the camorra is uncanny, it's repulsively strange and attractively familiar at the same time. Gomorrah is an unidentified narrative object about an unidentified feeling. The readers read their way through an "uncanny valley", and Saviano walks through another "uncanny valley": a larger one, a social one, an anthropological one. "Uncanny valley" is a phrase coined by Japanese engineer Mori Masahiro in 1970. Mori's hypothesis is that when a robot looks and acts almost like a human being, this will cause a response of horror and rejection among humans. According to Mori, it's a case of the night being darker just before dawn, because as soon as the robot will look and act exactly like a human being, reactions among humans will be positive. He calls this period of revulsion "the uncanny valley", because it's a dip in a graph. Now, forget about robots. I think this is a useful metaphor to describe the way an unidentified narrative object is perceived by attentive readers. There's a phase in which you start asking yourself: how is it possible that Saviano witnessed a scene like this? Mobsters using heroin addicts as guinea

pigs to test newly arrived stuff, junkies collapsing after they shot up, people left to die? Where the hell was Saviano to see anything like this? Who's the narrating I? If this is undercover journalism, what is Saviano's cover? Where is he hidden? Is the narrator Saviano? Am I reading a piece of journalism or am I reading a novel disguised as a piece of journalism? You just entered the "uncanny valley" of the unidentified narrative object. Less attentive readers may never experience this, because they take everything for granted. Anyway, it's just a dip in the graph, because you go on reading the book and gradually understand what Saviano is trying to do, and you not only accept it: you're moved by it, because this thing does the job very well, and doubts and revulsion are replaced by admiration. My hypothesis is that many of those who criticized Gomorrah for its "ambiguity" and accused Saviano of "having confused things", never got over the dip, they stopped reading right in the middle of the "uncanny valley", and never got out of it. Every "unidentified narrative object" has its "uncanny valley". In Medium, for example, it is located at the beginning of the second chapter, right after the funeral. One of the most impressive things in Gomorrah is the scope, the scale of the book: the journey begins at the docks of Naples and in the destitute outskirts of that city, but then Saviano takes us to Russia, Blars, Scotland, the United States, Spain, the Middle East, Hollywood, Colombia... Saviano's gaze makes incursions all over the world, because Italian organized crime makes business all over the world. Nothing to be patriotic about. Medium and Gomorrah are two examples of New Italian Epic. In using the word "epic" I'm trying to convey a synthesis of its several meanings and connotations. I chose it because it's the word many readers and reviewers used to describe this literature, it popped up here and there on the Internet, on blogs and forums. What did those people mean? Certainly they weren't referring to Bertolt Brecht's "epic theatre", they weren't using the term in any sophisticate or obscure way. I went back to the basic definitions, the common rock bottom on which we all stand. I grabbed the dictionary. Look it up in the Oxford English Dictionary, you'll find that "epic" is used for 1. 2. 3. 4. 5.

a long poem about the deeds of great men and women, or about a nation's past history; a long film, story etc dealing with brave deeds and exciting adventures; a task, activity, etc. that takes a long time, is full of difficulties and deserves notice and admiration when success something worthy of notice and admiration because of the scale and nature of the diffficulties involved; something huge, that happens on a grand scale.

Let's take a close look. "Great men and women". To be great, one hasn't necessarily to be famous. There are great human beings whose greatness is recognized only by their friends. You don't need Napoleon, Cromwell or Florence Nightingale to write an epic novel. If you put them into your writing, it's because you feel like doing it, but there's no obligation. "A nation's past history". Which doesn't mean that you have to kiss arse and write patriotic propaganda, as nations usually have histories of moral corruption, genocide, exploitation etc. And you don't necessarily have to write a historical novel to deal with past history. For example, Medium is not a historical novel. "A task full of difficulties". Trying to force your gaze and reappropriate a sense of the future is quite an endeavour, and the books I'm talking about are all very ambitious in scope... ...which takes us to the last two definitions, where the stress is laid upon scale. "Something that happens on a grand scale". Certainly these narratives are not of the minimalistic kind. Any individual matter becomes symbolic of such matters as the state of the planet etc. This was just the beginning of my reflection on the "epic" tonality in recent Italian literature. Actually this reflection is not only mine, because many people are giving contributions. In the expanded version of the memorandum [The text that sparkled the debate on the NIE in April 2008] things got much more complex, precisely because I could make use of those contributions. I describe epic itself as a particular work on connotations, but delving into this would take me too far now. Now I'd like to take one step back, because I mentioned the state of the planet. Let's briefly talk about it because it's the crucial point.

We all come from the sea. We came out of the sea a long time ago, evolved on dry land and became what we are, human beings. We come from the sea, but the sea is dying. The sea suffers from "hypoxia", a shortage of dissolved oxygen. Salt water becomes "anoxic", without oxygen, and fish die, all aquatic life dies. The areas where this happens are called "dead zones". Last summer, researchers counted 146 of them, and some are huge, for example the dead zone in the Gulf of Mexico is about 300 miles wide and stretches across 8,000 square miles -- which is the surface of Wales. Try to imagine it: an area as big as Wales with no oxygen at all and no form of life. And it isn't even the largest "dead zone" in the world: the sea floor of the entire Black Sea has become a "dead zone", with extremely low oxygen concentration and no fish, no plancton, no seaweed, nothing alive, nothing, and we're talking about an area of nearly 170,000 square miles. What are the causes? It's a chain reaction triggered by the nitrogen fertilizers we use in agriculture. These substances end up in rivers, and rivers carry them into the sea, and the sea dies little by little. "Dead zones" are just one of the many causes of the extinction of salt-water fish. There's also overfishing, there are other kinds of pollution, and there are the consequences of climate change. Some scientists have predicted the complete extinction - complete extinction - of saltwater fish by 2050 if no-one intervenes to slow down or reverse the current trends. A little more than forty years from now, no more fish. Waters empty of life and full of death. And if the sea dies, the dry land will follow soon. If the sea ceases to be an ecosystem, no other place will be an ecosystem anymore. Something new under the sun. Every act of literary and artistic creation, every work of art, every novel bears the signs of what happens around, in a way or another. The times we're living in are affected by the death of the founders, the "progenitors", the parents that passed away and left us with enormous problems. We are the heirs of their delusions, by now we're becoming aware that GROWTH, development, consumerism, the gross domestic product, all this keeps us running on a dead track, and we ask ourselves if there's any railroad switch and who's going to pull the lever. We're trying to figure out what to do, but our thoughts are still prisoner of the old conceptual frames, which means our words are prisoner too. Think of the movements demanding a decrease of production and consumption. They call this process "de-growth" -- "dcroissance" in French, "decrescita" in Italian. "Degrowth" isn't even an antonym, it's a mere negation of the other concept, which means it is dependent on the other concept, and in fact every time you say "degrowth" you're also saying "growth", and "growth" is perceived as a good word, we instinctively associate it with good things, with processes that are necessary and benign, like the growing of our children, or the growing of plants we can eat. "Degrowth" is not an effective word, it doesn't do the job. Our thoughts and words are still prisoner. For years we've been enunciating the concepts we believed in simply by adding prefixes like "de-", or "post-" as in postmodern - adding prefixes to the concepts we didn't believe in anymore. We only knew that we were "post-"something. [In Italy this has gone through ridiculous lengths, as everybody is a "post-fascist", or a "postcommunist", or a "post-Christian Democrat" etc.] Postmodernist literature has long focused on the "hangover" that followed modernist intoxication. Postmodern authors developed a kind of irony that had a critical relevance at first -- and I'm glad that those books were written, I love some of that stuff. I think we have to keep what was good and carry it along with us in our journey, discarding what is no longer useful. Or, if you prefer another metaphor, we have to re-build on those foundations, but to re-build on those foundations you have to demolish the crooked house that was built before. The trouble with postmodernism is that postmodernism begot an army of followers and imitators and quickly became intoxicated of itself, intoxicated with its own irony and sarcasm and disenchantment. Irony became ever more cold and unaffectionate, which perfectly suited the new zeitgeist. Disenchantment invaded and impregnated the whole artistic and media landscape until at a certain point, probably during the 1980's, it became the dominant feeling in western culture. Nothing was to be taken seriously anymore. If you took things seriously, you sounded like a bore. I'd like to quote the late David Foster Wallace. This is an excerpt from a famous, classical interview with Larry McCaffery from the "Review of Contemporary Fiction," Summer 1993. It's the

very last answer, and it's very interesting:

For me, the last few years of the postmodern era have seemed a bit like the way you feel when you're in high scho over and throw this wild disgusting fabulous party. For a while it's great, free and freeing, parental authority gone and the party gets louder and louder, and you run out of drugs, and nobody's got any money for more drugs, and things host and it's your house too, and you gradually start wishing your parents would come back and restore some fuck generation of writers and intellectuals or whatever is that it's 3:00 A.M. and the couch has several burn-holes and som The postmodern founders' patricidal work was great, but patricide produces orphans, and no amount of revelry can m our formative years. We're kind of wishing some parents would come back. And of course we're uneasy about the fa pussies? Is there something about authority and limits we actually need? And then the uneasiest feeling of all, as w means we're going to have to be the parents. Fifteen long years have passed since that interview, Wallace is not with us anymore and finally we understand how right he was. We're going to have to be the parents, the progenitors, the new founders. We need to reappropriate a sense of the future, as something radically new is taking place under the sun. It's an unprecedented kind of danger, there's a BIG problem and disenchantment is not the best solution. My opinion is that the despotic rule of irony caused a social syndrome similar to PAIN ASYMBOLIA. Pain asymbolia is a neurological syndrome. It is caused by some damage close to the brain's insular cortex. It makes you laugh when you experience pain. You don't respond emotionally to that pain, or rather, you give the wrong emotional response. We laugh because laughter is useful from an evolutionary standpoint. Laughing has to do with relief after a false alarm. When somebody tells you a joke, tension increases as you're curious to know the end. The best jokes keep you on the edge for what feels like a really long time, thus your brain becomes suspicious and you find yourself on the defensive, but then the punch-line gives the story an unexpected twist, the tension is released and you laugh. That's also why tickling makes you laugh: suddenly another person lays your hand on you, and you instantly get on the defensive, in fact you harden your muscles, but then the offender doesn't really hurt you, s/he only touches you and stimulates you in an unusual place, thus your brain goes: "It was a false alarm!", and you start laughing. A laughter signals that everything's ok, it means: "Don't worry". Most likely it evolved from some rhythmic grunt our ancestors uttered out of relief after a false alarm. The rest of the pack heard it and felt relieved too, there was no need to flee or fight. Of course when the danger was real and someone or something inflicted real pain, the brain gave the correct emotional response, there was no relief, nobody laughed, everybody would flee or fight. But when you suffer from pain asymbolia, that part of your brain doesn't work anymore, the circuit doesn't close, nothing tells you that this time it's real, that it isn't a false alarm, and you end up giving the wrong emotional response. You laugh. I kick your face in with my boot, and you laugh. During the 1980's and 1990's a big chunk of western culture gradually became unable to tell pain from tickling. Little by little we lost this faculty of telling a real danger from an unreal one, we experienced or witnessed severe pain and reacted by giggling. Irony was everywhere. In the meanwhile, the Berlin Wall had fallen down, the West had won, someone even went around saying that history was over, and during the 1990's everybody giggled even more. Ok, certainly not in the former Yugoslavia, or in Rwanda, but in the heart of Empire most people, especially artists, were sooo cool and ironic and giggling and winking at each other. Our fellow humans are neurally wired to associate laughters with false alarms, so they assumed that there was no danger around... ...then came the big burst of the "new economy" bubble, and immediately after came September 11th, then the so-called "War on terror" and the invasion of Irak, then came kamikaze bombers in Madrid and in the London Tube, and now the global economy is tumbling down, and even now many people don't realize yet how dangerous the situation is, and the sea is dying, the ice caps are melting, petroleum extraction is reaching its peak sooner than expected, and there's also the exhaustion of metal resources. In a few decades no more copper, no more iron, no more cadmium, and so on. There's something new under the sun, and we find ourselves with a culture that's become more used to toying with the past than imagining the future. It's due time to go beyond that.

Of course, being a novelist and being in love with literature (the two things don't always go together), I'm interested in seeing how my trade can evolve in face of this danger. What I'm interested in finding out in the current literature is a different ethical approach to writing, beyond yesterday's disenchantment. A full assumption of responsibility in face of what's happening on a global scale. Being an Italian novelist, I'm even more interested in seeing what happens in the literature of that country. You always start from where you are, and Italy is always an interesting place to start from, a remarkable laboratory (just to use an euphemism). Recently I've been detecting many interesting signs in Italian literature, I've been writing and talking about them, there's a debate going on and that's why I'm here. A very common phrase in Italy is "l'anomalia italiana", the Italian Anomaly. There are serious historical reasons why Italy is so different from the rest of Europe and the logic of its social life seems impenetrable or even non-existent. I'll pretend that everyone in this room knows what those reasons are, at least some of them. Let's just say that soon after the Berlin Wall came down, Italy was thrown in a turmoil that lasts to this day. In 1993 the old political establishment collapsed, the biggest parties disbanded and there was a sudden release of uncontrollable energies. Not even in their wildest daydreaming had 1970's revolutionary leftists foreseen anything like that, although the eventual outcome looked more like a counter-revolution. Since those days, the political spectrum of Italian society has shifted ever more to to the right. What happened in the meantime? Everything. In the realm of literature, this turmoil caused a return to fiction writing and the novel form as the favourite means of expression, creation and communication. During the 1960's the Neoavanguardia had waged an intellectual war against what they perceived as "ordinary", "traditional" fiction writing. That had some serious consequences in the following decade, as during the 1970's serious writers were not supposed to write "conventional" novels and care about narrative fiction. In the late Seventies such a masterpiece as L'arte della gioia [The Art of Joy] by Goliarda Sapienza was rejected by many of the most important publishers in the country because that kind of novel - a historical, epic, multitudinarian and moving novel whose author didn't even distance herself from what she was writing by means of ironical winking - was considered cozy and out of fashion. It wasn't serious culture. This was only a few years before the astounding success of The Name Of The Rose. During the 1980's a new generation of Italian authors started to write novels again, although their influences were not in genre fiction and popular culture. But after 1993 there was an eruption of narrative fiction that took inspiration from popular genres, especially crime novels of the so-called "hard-boiled" tradition, and in some cases science-fiction novels. These new authors were not children of the avantgarde, they couldn't care less about what was appropriate or not appropriate. Carlo Lucarelli, Valerio Evangelisti, Giancarlo De Cataldo, us (Luther Blissett) and many more, we were problem children of popular culture. We'd grown up on a steady diet of genre fiction, rock music - and it is interesting to notice that several of us played in punk-rock bands -, movies, role play games and the earliest examples of videogames. We were already using the Internet, and even before that we used Bulletin Board Systems, pre-web electronic communication. In 1994 some of us already had their own websites. We were not interested in appropriate highbrow behaviour or snubbish tirades against the culture industry. We wanted to give our contribution to popular culture, we wanted to bring conflict and contradictions into it, not condemn it from the outside looking in, or even refusing to look in. When our debut novel Q was published, we explicitly stated that we wanted to fight our battle in popular culture and bring our practices into the culture industry. Ten-fifteen years later the situation has evolved, radically evolved. There have been many twists and turns, many influences have merged and given way to new practices, and the process is going on. Many things are happening in Italian literature, the New Italian Epic is just one of those things, but it's the one I'm most interested in, it's the one I feel compelled to explore.

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