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la Repubblica

DOMENICA 16 GIUGNO 2013

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R CULT

ILMUSEO DEL MONDO


MELANIA MAZZUCCO
FOTO DI BASSO CANNARSA

LARTISTA

Edward Hopper (1882-1967), pittore statunitense. Tra il 1905 e il 1910, il viaggio in Europa decisivo per la sua formazione. Diventa il maestro della pittura realistica americana del Novecento. I suoi interni illuminati da fredde luci artificiali, le sue figure solitarie ispirano il cinema

KLEE Ad Parnassum (6 gennaio)

GRNEWALD Crocifissione (5 maggio)

BEATO ANGELICO Annunciazione (13 gennaio)

OKEEFFE Black Iris (12 maggio)

KOKOSCHKA La sposa del vento (20 gennaio)

DEGAS La stiratrice (19 maggio)

ACHEROPITA Il Santissimo Salvatore (27 gennaio)

PISANELLO San Giorgio e la principessa (25 maggio)

POLLOCK Full Fathom Five (3 febbraio)

KANDINSKY Lirica (2 giugno)

RAFFAELLO Ritratto di Leone X (10 febbraio) GOYA Cane (9 giugno) BCKLIN Lisola dei morti (17 febbraio)

LOPERA
DI COSIMO La morte di Procri (24 febbraio)

MONDRIAN Lalbero grigio (3 marzo)

Edward Hopper: Cinema a New York (1939) olio su tela 82 x 102 cm New York MoMA

CORREGGIO Giove e io (10 marzo)

MATISSE Violinista alla finestra (17 marzo)

GIOTTO Resurrezione di Lazzaro (24 marzo)

Quella triste sala cinematografica di New York dove Hopper smaschera la macchina dei sogni
te raffigurano platee e gallerie di cinema o teatri, prima dello spettacolo, col sipario ancora abbassato e file di poltrone vuote. Un tema emblematico, perch duraturo: la prima Figura solitaria in un teatro del 1902, Due nella platea del 1927, The Sheridan Theatre del 1937, First row orchestra del 1951, Intervallo del 1963. Bench avesse messo a punto il suo stile in unepoca dominata dalle avanguardie e tesa allastrattismo, credeva nella rappresentazione della realt e nella fedelt oggettiva della visione. Impiegava molto tempo a trovare un soggetto che lo colpisse, e poi a decidere le proporzioni della tela. Lidea del quadro nasceva sempre dal fatto cio dal vero: una casa spettrale lungo la ferrovia, un faro, una strada, una finestra. Ma non prendeva il pennello se non aveva tutto chiaro in mente: limmagine doveva spogliarsi di ogni dettaglio aneddotico per diventare una faccenda di forme, volumi e soprattutto luce. Nel 1939 Hopper era gi il pittore vivente pi acclamato dAmerica. A quarantanni aveva potuto abbandonare il mestiere di illustratore di pubblicit e disegnatore di poster (anche cinematografici). Nel 1933 il Museum of Modern Art gli aveva dedicato una retrospettiva. La critica lo aveva incoronato come il tanto atteso artista autoctono: un realista, come i narratori della sua generazione (Theodore Dreiser, Sherwood Anderson). Con la sua pittura rigorosa e puritana aveva saputo cogliere lessenza dellAmerica moderna, lo squallore della vita quotidiana, lalienazione, la solitudine. La tristezza del paesaggio urbano di domenica, i luoghi anonimi come i diner, le camere dalbergo e di motel. Nei suoi quadri dominati dagli spigoli delle architetture e da schemi cromatici essenziali, compaiono pochissimi personaggi, sempre isolati, persi nel loro silenzio. Hopper riconosceva invece il suo debito con la pittura europea che aveva approfondito a Parigi nel 1907-08 anche se ammetteva che un artista poco indicato a riconoscere gli influssi decisivi. Nominava Rembrandt, Goya, Manet e Degas. Degas quello cui doveva di pi. Nei quadri di Degas ambientati in squallide stanze dalbergo, uffici deprimenti, stirerie, caff e platee buie di teatri, vi sono gi molti futuri Hopper, e anche questo. La superficie divisa in due parti asimmetriche. Non si tratta di un montaggio, due fotogrammi incollati alla moviola: la simultaneit che conta, il tempo fermo, pietrificato in un unico attimo insignificante e al tempo stesso gravido di misteriosa attesa. A sinistra, la platea di un cinema (il Palace di Times Square), immersa nelloscurit grigio-azzurra, come una grotta. Gli stucchi, i rossi e gli ori stridono con la sala semideserta, in cui si distinguono appena due sagome: un uomo e una donna, seduti in file differenti. Il cinema di Hopper non meno desolato della pompa di benzina di Gas, o del locale dei Nottambuli. Il film proiettato sullo schermo solo unombra confusa. Per guizzante e mobile, quasi fosse lunica cosa viva. La parete che separa la sala dal corridoio interrotta. A destra, la luce elettrica illumina un non-luogo di passaggio, dove indugia una donna, la mascherina in divisa. Indifferente al film che si proietta l dietro, immersa nei suoi pensieri. Sul fondo, la scala che conduce alla galleria. Le tende accostate lasciano che lo sguardo si inoltri, e forzando i margini del quadro esca dai confini della scena rappresentata. La figura della donna malinconica che sembra il marchio di fabbrica del pittore e compare infatti, in pose analoghe, in molti suoi quadri invece quella che cost pi travaglio a Hopper. Dai disegni preparatori sappiamo che inizialmente la immagin mentre accompagnava in sala uno spettatore. Poi com adesso, ma pi vecchia e meno attraente. Hopper, carattere di pietra, era laconico come i suoi quadri. Non commenta mai, non divaga, non sottolinea n con le parole n con le immagini. Ma ha ripetuto spesso che larte forse anche piacere, ma certamente fatica. Ogni opera frutto di un difficile lavoro di sintesi. Semplificazione, quasi denudamento. Cos eliminava sempre tutto ci che poteva affascinare, ornare o svolgere una funzione decorativa. E in Cinema a New York smaschera la rutilante macchina dei sogni hollywoodiana. Non il film sullo schermo, ma una prosaica teoria di gradini svolge la funzione di suggerire laltrove. Non c arte possibile se non nella verit delle cose. Hopper, hanno scritto, era un maestro la cui poesia era il realismo. Una frase quasi identica aveva scritto Valry per Degas.
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DE STAL Footballeurs (31 marzo)

LEONARDO Uomo vitruviano (7 aprile)

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BURNE-JONES Il destino compiuto (28 aprile)

cinema nel cuore delle nostre citt chiudono uno dopo laltro. Un giorno forse dovremo spiegare alle nuove generazioni, abituate a consumare film sullo schermo del loro computer, cosha significato per i loro genitori, nonni, bisnonni, passare dalla luce acida dellatrio delle biglietterie alloscurit avvolgente della sala, prendere posto sulle poltrone di velluto (o di legno), lasciarsi abbracciare dal buio e guardare insieme agli altri uno schermo gigantesco, su cui per novanta minuti danzano le ombre. Allora forse essi guarderanno Cinema a New York di Edward Hopper come noi gli affreschi pompeiani della Villa dei Misteri, che raffigurano un rito enigmatico e inspiegabile, ancora capace per di trasmetterci la sua seduzione. Ma nel 1939, quando Hopper dipinse questo quadro, il cinema viveva, in tutto il mondo, la sua et delloro. Il divismo regalava splendore e bellezza, i biglietti costavano poco. Negli anni Trenta fra bancarotte, fallimenti e Depressione i disoccupati trascorrevano ore nelle sale ben riscaldate, i ragazzi vedevano un film al giorno, e tutti entravano per sognare avventure, amore, delitti. Il buio della sala consentiva ogni evasione, trasgressione, libert. Hopper era nato nei dintorni di New York, e viveva in un appartamento al n.3 di Washington Square. I lussuosi cinema di Manhattan ti facevano sognare ancor prima di varcare la soglia. Hopper dipingeva con parsimonia, e ha lasciato appena un centinaio di tele. Svaria-

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