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PROCESSO A GESU'

La polemica sul Gesù storico, che da sempre anima le discussioni teologiche e non in seno al
Cristianesimo, si riaccese improvvisamente nel 1980, quando G. A. Wells pubblicò prima
"Did Jesus Exist?" e più tardi "The Historical Evidence for Jesus", con entrambi i quali
cercò di provare che Gesù non è un personaggio storico bensì mitologico.

Un tentativo di contraddire Wells fu fatto da Ian Wilson con il lavoro "Jesus: the
Evidence", un intero volume scritto per provare che Gesù era realmente esistito.
Siccome, però, di prove effettive della realtà storica di Gesù non
ve ne sono, si è più propensi all'ipotesi che la figura di Gesù sia
stata "ritagliata" da alcuni miti, dati i numerosi punti di contatto con
eroi mitici presenti nelle tradizioni folkloriche di tutto il mondo,
risalenti ad un passato estremamente remoto.

In questa linea di pensiero, i più estremisti cercano di dimostrare che la figura di Gesù
è una pura invenzione e che non sia mai esistito un Gesù storico.

Più recentemente, in data 13.9.2002, il Sig. Luigi Cascioli ha


presentato una denuncia-querela contro Don Enrico Righi
(Parroco di Bagnoregio) per i reati di cui agli artt. 661 e 494
C.P., in quanto il Don Righi presenta come figura storica Gesù Cristo, mentre
(secondo approfonditi studi filologici e di esegesi testuale condotti dal medesimo Sig.
Cascioli sui Vangeli e sulla letteratura patristica e sulla storiografia del I e il II secolo
d.C.) Gesù Cristo non è un personaggio storico ed anzi la sua figura è stata mutuata
e modellata sulla falsariga di tal Giovanni di Gamala.

Il Tribunale di Viterbo, dopo lunghi tira e molla, archiviò il caso benchè il prete non
abbia portato alcuna prova ammissibile dell’esistenza di Cristo. Insoddisfatto
dell’archiviazione, Cascioli e suoi legali Di Stefano e Marinelli si
rivolgeranno ora al Tribunale dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
“La legge è in base al rispetto del diritto nazionale e internazionale” commenta Di
Stefano, “ipotesi e congetture lasciamole ai preti”.

Se il caso giudiziario venisse riaperto diverrebbe un processo di planetaria importanza


considerato che metterebbe in seria discussione la dottrina e i fondamenti sui quali si
basano il Cristianesimo e la Chiesa cattolica. Sarebbe un processo giudiziario nel
quale i ministri della Chiesa, alias il Vaticano, dovrebbero dimostrare, come
asseriscono da duemila anni, che Cristo è esistito esibendo prove ammissibili concrete
e non argomentazioni teologiche o filosofiche.

(Pubblicato su Ecplanet 25-05-2006)

Luigi Cascioli - La Favola di Cristo

RIPENSARE IL GESÙ STORICO

La contestazione sella storicità di Gesù Cristo non è certo una novità introdotta dal Sig. Cascioli, ma il suo
studio “La Favola di Cristo”, che si inserisce nel solco di una tradizione di studi e confutazioni autorevoli che
rimontano già ai primi secoli dell'era cristiana, è forse quello in cui viene meglio descritta la ricostruzione del
“personaggio Gesù Cristo” sulla base di Giovanni di Gamala.

In precedenza, già secondo le tesi di G.A. Wells., autore segnalato dai più eminenti biblisti, tutta la vicenda di
Gesù, i suoi miracoli, la sua dottrina e la sua crocifissione sotto Ponzio Pilato, era stata messa in
discussione, in quanto, secondo Wells, totalmente inventata dai cristiani soltanto dopo il 70 d.C. Prima di
questa data, sempre secondo Wells, Gesù era stato annunciato come sapienza incarnata che in circostanze
ignote era stata crocifissa per i peccati degli uomini ed era risorta.
Questa tesi si basa su tre linee argomentative:

1 - la documentazione extra-cristiana sull'esistenza di Gesù è troppo tardiva perché possa vantare una forza
probante indipendente dalla tradizione cristiana (riguardo a Flavio Giuseppe, Wells ritiene che nessuna delle
menzioni di Gesù sia autentica);

2 - I vangeli non sono fonti in base alle quali poter ricostruire fatti storici attendibili, perché sono sorti troppo
tardi: dopo l'anno 70. Il che, nel caso d'eventuali tradizioni palestinesi, significherebbe una frattura radicale
all'interno della tradizione. Inoltre, per ampi tratti, i vangeli sono dipendenti l'uno dall'altro e perciò non è
riscontrabile in essi un'attestazione molteplice della vicenda storica di Gesù (i vangeli sarebbero cioè testi in
ampia misura leggendari e compenetrati dalle concezioni teologiche dei loro autori, che non erano ebrei e
scrissero fuori della Palestina);

3 - Le lettere di S. Paolo sono in effetti testimonianze cristiane


arcaiche, che però tacciono sulla vita di Gesù, in particolare sui suoi
miracoli, la sua dottrina e le circostanze precise della sua morte, al
che Wells conclude che l'autore di esse non sapeva nulla. Piuttosto,
le lettere paoline designano Gesù Cristo come Redentore
preesistente e incarnato, che in un periodo imprecisato è stato
crocefisso come giusto sofferente per i peccati del suo popolo.

Per Wells (esegeta cattolico), tutto questo prova uno sviluppo del mito
della “Sapienza” preesistente che ha scelto di abitare in Israele
(incarnatasi), in base a cui, le asserzioni sulla sua morte, arricchite
con passi profetici, furono interpretate in riferimento a una
crocifissione. Questo mito fu annunciato da Pietro, Paolo e dagli altri
apostoli sulla base di apparizioni nelle quali il risorto si era fatto
conoscere loro.

Torando all'attualità, nel lavoro del più eminente studioso biblico


contemporaneo, John P. Meier, “Un Ebreo Marginale - Ripensare il
Gesù storico” (tit. orig. “A Marginal Jew, Rethinking the Historical
Jesus”, pubblicato in Italia dal 2001, con ristampa del 2002, dalla casa editrice Queriniana di Brescia per la
collana Biblioteca di Teologia Contemporanea), si può trovare una equilibrata discussione sui principi
metodologici e critici della ricerca, con una lunga discussione preliminare sulle fonti giudaiche, pagane ed
apocrife.

GIOVANNI IL NAZOREO

“Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una banda di briganti i cui miracoli
che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i trucchi esoterici. La verità è che
tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato senza pertanto riuscire a dare
alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete scritto è il risultato di continui
rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate” (Celso, “Contro i Cristiani”).

Cascioli sostiene che la figura di Gesù sia costruita per intero su quella di un certo Giovanni di Gamala, figlio
di Giuda detto il Galileo, e che ciò risulterebbe in maniera inconfutabile da una grande quantità di prove da
togliere ogni dubbio sulle falsificazioni operate dai redattori dei vangeli. Tra cui, quella riguardante la
trasformazione dell'appellativo “Nazireo”, con cui veniva chiamato Giovanni di Gamala, in quella di
“Nazareno” data a Gesù.

Secondo Cascioli, il nome di Giovanni, sostituito con quelli generici di Cristo (Kristos nel significato di Unto) e
di Signore, fu definitivamente tramutato in quello di Gesù intorno all'anno 180, secondo quanto risulta da un
libro di Celso, filosofo platonico del II secolo celebre per la sua critica contro il cristianesimo, “Il Vero
Discorso”, nel quale egli dice: “Colui al quale avete dato il nome di Gesù in realtà non era che il capo di una
banda di briganti i cui miracoli che gli attribuite non erano che manifestazioni operate secondo la magia e i
trucchi esoterici. La verità è che tutti questi pretesi fatti non sono che dei miti che voi stessi avete fabbricato
senza pertanto riuscire a dare alle vostre menzogne una tinta di credibilità. È noto a tutti che ciò che avete
scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti in seguito alle critiche che vi venivano portate”.
In effetti, nelle prime edizioni dei vangeli di Matteo, Marco e Luca, uscite negli anni Sessanta del II secolo, il
Messia veniva ancora connotato con gli appellativi generici di Cristo e di Signore. I cristiani, non potendogli
attribuire un nome proprio, quale potrebbero essere Pasquale, Liborio o Anacleto, un nome cioè che non
essendo mai esistito nell'era messianica avrebbe fatto sprofondare nel ridicolo tutta la loro costruzione, gli
dettero quello di Josuha (Gesù) che in realtà, significando genericamente “Colui che Salva”, solo
apparentemente lo toglieva dal suo anonimato.

Il tempo, con il suo oblio e le repressioni usate dai cristiani contro i loro avversari, avrebbero poi fatto sì che il
nome di Gesù, acquisito lo status di nome proprio, fosse adottato come tale pur esprimendo in realtà lo
stesso significato di “Soter”, che veniva attribuito genericamente alle divinità pagane, le quali avevano,
nondimeno, anche un nome proprio.

Tutti e quattro i vangeli canonici fanno dipendere il nome Nazoreo (Nazareno) dalla città di Nazaret,
affermando che fu il paese nel quale Gesù crebbe e si formò durante quei trenta anni che precedettero le
sue prediche. Secondo Cascioli, vi è innanzitutto una discrepanza geografica, poiché la città di Nazaret è
situata in pianura e lontana dal lago di Tiberiade mentre invece viene descritta nei vangeli costruita sopra un
monte e in riva a un lago. E dipenderebbe dal fatto che i “falsari”, avendo costruito i quattro vangeli canonici
a Roma senza conoscere la Palestina, commisero la grande leggerezza di raccontare i fatti secondo la
tradizione che si riferiva a Giovanni, senza preoccuparsi di adattarli alla città di Nazaret che avevano scelto
soltanto perché attraverso il suo nome potessero giustificare l'appellativo di Nazoreo.

Gli stessi apostoli sono tutti dei pescatori che Gesù trasforma in discepoli incontrandoli mentre ritirano le reti:
“Terminate queste parabole, Gesù partì di là e venuto nella sua patria insegnava nella Sinagoga. La gente
del suo paese, riconosciutolo, si mise a parlare di lui. Gesù, udito ciò che dicevano, partì di là su una barca,
ma visto che la gente restava sulla spiaggia guarì i malati e moltiplicò i pani e i pesci. Congedata la folla, salì
sul monte e si mise a pregare. Dal monte vide che sotto, nel lago di Tiberiade, la barca degli apostoli era
messa in pericolo dalle onde generate dal vento che si era improvvisamente levato” (Mt.13/53).

Cascioli individua la verità nel passo di Giuseppe Flavio che descrive la città di Ezechia, padre di Giuda il
Golanitide e nonno di Giovanni il Galileo, detto il Nazoreo: “Ezechia era un Rabbi appartenente a famiglia
altolocata della città di Gamala che era situata sulla sponda golanita del lago di Tiberiade. Questa città non
si era sottomessa ai romani confidando nelle sue difese naturali. Da un'alta montagna si protende infatti uno
sperone dirupato il quale nel mezzo s'innalza in una gobba che dalla sommità declina con uguale pendio sia
davanti che di dietro, tanto da somigliare al profilo di un cammello (Gamlà); da questo trae il nome, anche se
i paesani non rispettano l'esatta pronuncia del nome chiamandola Gamala. Sui fianchi e di fronte termina in
burroni impraticabili mentre è un po' accessibile di dietro. Ma anche qui gli abitanti, scavando una fossa
trasversale, avevano sbarrato il passaggio. Le case costruite sui pendii erano fittamente disposte l'una sopra
l'altra: sembrava che la città fosse appesa e sempre sul punto di cadere dall'alto su se stessa. Affacciata a
mezzogiorno, la sua sommità meridionale, elevandosi a smisurata altezza, formava la rocca della città, sotto
di cui un dirupo privo di mura piombava in un profondissimo burrone”. (Ant.Giud.)

Se Gesù allora risulta essere di Gamala, chi altri potrebbe essere se non Giovanni nipote del Rabbi Ezechia
e figlio di quel Giuda il Galileo del quale così parla Giuseppe Flavio? (Ant. Giud. XVIII – 4).

“Basta sostituire nei vangeli Nazaret con Gamala e tutto apparirà chiaro. Tutto ciò che ho scritto
precedentemente, in fin dei conti, aveva il solo scopo di preparare i lettori a questa conclusione la cui
evidenza non può essere respinta neppure da coloro che, resi testardi dalla fede, sono portati a negare le
verità anche le più evidenti” (Luigi Cascioli, “La Favola di Cristo”).

(Pubblicato su Ecplanet 04-06-2006)

IL VANGELO DI GIUDA

“Qui si narra il segreto della rivelazione che Gesù fece parlando con Giuda Iscariota...”. Così inizia la prima
pagina di un fragile manoscritto in papiro che rilegge in modo radicalmente diverso la vicenda del “traditore”
più odiato della storia e lo trasforma nel più fedele discepolo di Cristo.

Il Vangelo di Giuda è un documento straordinario e sconvolgente, poiché riabilita la figura di Giuda Iscariota,
presentandolo come colui che consegna Gesù alle autorità su richiesta dello stesso Cristo.
Al termine di un lunghissimo lavoro (cinque anni) da parte di una vera e propria squadra di “detective biblici”
- una équipe composta da esperti linguisti, papirologi e studiosi di storia della religione - si è riusciti a
decifrare il testo e a verificarne l'autenticità e il significato religioso. Il risultato, uno dei più eccezionali
documenti dell'archeologia giudaico-cristiana, è stato svelato nei primi giorni dell'aprile scorso a Washington,
nella sede della National Geographic Society (in Italia è pubblicato in esclusiva dal “National Geographic
Italia” di maggio).

Scritto su papiro e legato da un laccio di pelle, il vangelo è stato redatto in copto - la lingua in uso allora in
Egitto - intorno al 300 dopo Cristo; ritrovato negli anni Settanta (del '900) nel deserto presso El Minya, in
Egitto, finì nelle mani di mercanti di antichità, lasciò l'Egitto per giungere prima in Europa e poi negli Stati
Uniti dove rimase in una cassetta di sicurezza a Long Island, New York, per 16 anni prima di venire
acquistato dall'antiquaria di Zurigo Frieda Nussberger-Tchacos nel 2000.

Un testo destinato a fare discutere storici, religiosi e filosofi. Già nel titolo
(“Il racconto segreto della rivelazione fatta da Gesù a Giuda Iscariota nel
corso di una settimana, tre giorni prima la celebrazione della Pasqua”)
riecheggiano temi cari alla tradizione gnostica e che risalgono agli albori
del cristianesimo; vicende che contraddicono la storia più tradizionale,
quella tramandata dai vangeli canonici (di Luca, Marco, Matteo e
Giovanni) codificata dai dogmi della Chiesa cattolica.

Nel documento - in cui non si fa alcun cenno alla crocifissione nè alla


resurrezione - fin dalla prima scena Gesù ride dei suoi discepoli che
pregano il loro Dio, il “dio minore” del Vecchio Testamento che ha creato
il mondo. Li esorta a guardarlo e a comprendere cosa egli sia davvero,
ma questi non lo fanno e non capiscono. Il passaggio fondamentale
arriva quando Gesù dice a Giuda: “... tu supererai tutti loro. Perché tu
farai sì che venga sacrificato l'uomo entro cui io sono”. Aiutando Gesù a
disfarsi del suo corpo terreno, Giuda lo aiuterà a liberare la sua entità
spirituale, la sua essenza divina, il “Cristo Cosmico” (secondo le
credenze gnostiche, ndr).

Uno status, quello di Giuda, che viene più volte descritto come speciale: “Allontanati dagli altri, a te rivelerò i
misteri del Regno. Un Regno che raggiungerai, ma con molta sofferenza. Ti ho detto tutto. Apri gli occhi,
guarda la nube e la luce che da essa emana e le stelle che la circondano. La stella che indica la via è la tua
stella”. E Giuda “aprì gli occhi, vide la nube luminosa e vi entrò”.

Giuda Iscariota, dunque, non solo non è “il Traditore”, ma è - stando al codice copto - il mezzo attraverso cui
Gesù di Nazareth raggiunge il suo scopo, dunque il discepolo decisivo, il più importante. Nel testo si prevede
l'ira degli altri discepoli contro il traditore (Giuda ha una visione, “vidi me stesso mentre i 12 discepoli mi
prendevano a sassate e mi perseguitavano”) ma anche il fatto che sarà comunque superiore a loro: “Sarai
maledetto per generazioni, ma regnerai su di loro”, gli dice Gesù. Le 66 pagine del manoscritto non
contengono solo il Vangelo di Giuda ma anche un testo intitolato “Giacomo” (noto anche come la Prima
Apocalisse di Giacomo), una lettera di Pietro a Filippo e un frammento di un quarto testo che gli studiosi
hanno deciso di chiamare provvisoriamente Allogeni (“Book of Allogenes”).

(Pubblicato su Ecplanet 09-06-2006)

INCHIESTA SU GESU’

“Voi chi dite che io sia?” chiede Gesù ai discepoli. Commenta il critico americano Harold Bloom nel suo
recente “Gesù a Yahvè”: “È possibile che Gesù sia stato un enigma anche per se stesso”. Sono queste le
premesse del libro che Corrado Augias ha scritto dopo aver dialogato con Mauro Pesce, eminente biblista,
docente di storia del cristianesimo all'università di Bologna (“Inchiesta su Gesù”, Mondadori, 2006).
Che cosa dicono davvero i 27 testi del Nuovo Testamento quando li si spoglia
delle sovrastrutture teologiche secolari? E che cosa dicono i numerosi altri
vangeli che l'ortodossia ha confinato nel silenzio, i cosiddetti 'apocrifi' (l'ultimo dei
quali, il Vangelo di Giuda, è appena stato pubblicato? E ancora: perché di tutti
questi testi la Chiesa ha scelto di salvaguardarne solo quattro? Inchiesta su
Gesù Sono alcune delle domande dalle quali si dipana una discussione che ha
esiti sorprendenti. Sappiamo davvero quando è nato Gesù, da chi, dove? Sua
madre Maria è sempre stata considerata vergine? E Gesù lo è sempre rimasto?
Quanto c'è di vero nella sua presunta relazione con la Maddalena? E infine:
quale fu la vera ragione per cui fu candidato a morire su un infame patibolo?

Il titolo “Inchiesta su Gesù” richiama quell' “Ipotesi su Gesù” di Vittorio Messori, che ottenne trent'anni fa un
successo planetario. Augias e Pesce restano, programmaticamente, un passo indietro, ritenendo che il
compito principale, oggi, sia accertare il maggior numero possibile di fatti. Nessuna ipotesi su Gesù, dunque,
ma piuttosto un'inchiesta.

Scritto nella forma dell'intervista (Augias domanda, Pesce risponde), il libro


contiene moltissimi spunti utili alla conoscenza della realtà storica nella quale
Gesù di Nazareth visse e operò. Gli autori, soprattutto Augias, non mancano di
presentare i propri pregiudizi sull'argomento. Ad esempio, la persuasione che la
fede abbia deformato la figura storica di Gesù, e che lo storico debba perciò
eliminare questi elementi per raggiungere, opportunamente depurato, il Gesù “in
carne e ossa”.

«Ogni religione - dice Augias - ripone l'ultima e più profonda speranza in una
realtà trascendente e benevola, efficace antidoto alla durezza, alle ingiustizie, al
male profondo e spesso ingiustificato della vita». Gli stessi autori, alla fine del
libro, sono pronti ad ammettere il “mistero della fede”. Fu proprio dall'adesione
amorevole a questo mistero, che nacque - senza che Gesù se lo fosse mai
proposto come obiettivo - il Cristianesimo.

(Pubblicato su Ecplanet 14-12-2006)

EVEMERISMO

Il dibattito su mito e verità storica fu innescato dal filosofo greco Evemero da Messina (quarto secolo a.C.), il
quale, contrariamente a quanto sostenuto dagli intellettuali della sua epoca, riteneva che le creature
mitologiche derivassero da personaggi storici come re, imperatori ed eroi
diversi, le gesta dei quali venivano in seguito mitizzate (ai suoi tempi si
discuteva su Omero). In seguito, l'evemerismo ha influenzato una notevole
massa di opere letterarie, intese a dimostrare che Gesù era stato un grande
riformatore ebraico ed un rivoluzionario scagliatosi contro il perdurare dello
status quo e che, per questo, fu messo a morte. Nessun storico, però, di
quella supposta epoca, ha dato notizia di questo grande riformatore.

Nello scritto “Ancient History of the God Jesus”, Edouard Dujardin dice:
“Questa dottrina (evemerismo) è oggi screditata eccetto quando viene riferita
a Gesù. Nessuno studioso crede che Osiride, o Giove, o Dioniso fossero dei
personaggi storici, promossi ad un rango divino, mentre invece l'unica
eccezione viene fatta a favore di Gesù... È impossibile dare credito al
colossale lavoro fatto dal cristianesimo su Gesù inteso come uomo”.

L'argomentazione comune del cristianesimo evemerista è che nessuno come


Gesù, privato dei suoi miracoli e degli altri attributi soprannaturali, avrebbe
potuto essere adorato come un dio e salutato come il messia d'Israele.
Argomentazione a doppio taglio: nessun uomo avrebbe potuto causare tanto tumulto e tanto diabolico
fanatismo, il risultato del quale è stato un infinito spargimento di sangue.
UOMINI E DEI

Nei frammenti pervenutici di un'opera di Evemero, la “Hierà anagraphé”, con cui tentò una rilettura della
genesi cosmologica in chiave razionalistica, Evemero parla di discendenti di uomini divinizzati, e, con la
pretesa di veridicità storica, mira a dare legittimazione teorica alla concezione orientale del culto divino
tributato ai sovrani, che già all’epoca di Alessandro aveva suscitato scalpore.

Dal punto di vista filosofico, la razionalizzazione critica del patrimonio mitico-religioso si può ricollegare
all'influenza della speculazione sofistica che da Atene si irradiò in tutto il mondo greco (si può ricollegare la
riflessione di Evemero a quella del sofista Prodico di Ceo). Dal punto di vista antropologico, invece, la
tripartizione della società, di cui parla Evemero, in Sacerdoti, Guerrieri e Lavoratori, rispetta pienamente la
ripartizione societaria indoeuropea riscontrabile sia in India sia in Persia sia in altre società orientali. Essa
sancisce il passaggio della società greca ad una dimensione cosmopolita.

La spiegazione del divino presente nella “Hierà anagraphé” ebbe inizialmente poco seguito: fu, ad esempio,
rifiutata da Callimaco, che ribadì l'origine degli dei nell' “Inno a Zeus”. Suscitò invece l'ammirazione di Ennio,
che tradusse e rielaborò l’opera, e l'epitome di Diodoro Siculo. Anche Cicerone mostra di conoscere tale
teoria nel “De Natura Deorum”.

La spiegazione allegorica evemeristica restò l’unica sistematizzazione sull'origine degli dei fino al sorgere del
metodo comparativo nella Storia delle Religioni (XVIII secolo). Venne quindi ampiamente utilizzata da
apologisti cristiani come Cipriano, Arnobio, Lattanzio, Eusebio, sia per confutare la natura degli dei pagani,
sia per avvalorare la duplice natura umana e divina di Gesù.

L'evemerismo fu successivamente chiamato in causa da David Hume e dalla filosofia illuministica proprio per
screditare il Cristianesimo. Più recentemente, è stato pubblicato online il saggio di J.M. Robertson
“Christianity and Mythology” (edito da Rationalist Press, London, Watts, 1900), un libello piuttosto datato ma
che riporta una valida rassegna storica degli incroci che l'evemerismo crea tra
razionalismo e religione (in un'ottica fortemente anticristiana).

[...] Il presupposto generale dei vangeli canonici è “che il fondamento storico sia
la base di tutto e che le credenze si siano sviluppate intorno a questo
fondamento”; mentre invece, essendo i miti pre-esistenti, si dimostra che al
nucleo primo e mitico della materia si è voluto aggiungere il riscontro storico per
conferire al tutto una maggiore credibilità... È accaduto che la storia dell'umanità
è stata usata per ammantare la divinità e non che un umano sia diventato divino
[…]

(Gerald Massey, “The Historical Jesus and the Mytical Christ”).

Il fatto è che quando si rimuovono tutti gli elementi riferiti a precedenti divinità ed
ai miti che hanno contribuito alla formulazione dell'uomo-dio ebraico - l'intento
dell'evemerismo - non resta più nulla di storico a cui guardare.

Come dice Massey: “...una composizione fatta di almeno venti differenti persone tra loro mescolate... non
genera nessuna persona”.

(Pubblicato su Ecplanet 19-03-2007)

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