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Alcune riflessioni sulla teoria del valore e del profitto di David Ricardo

a) Il valore delle merci costituito, in ultima analisi, dal lavoro umano in esse contenuto -> Teoria del valore-lavoro
Siamo ricchi nella misura in cui possediamo ci di cui abbiamo bisogno per il soddisfacimento delle nostre necessit sia primarie che voluttuarie. Lo siamo, cio, nella misura in cui possiamo usufruire di beni in linea con le nostre esigenze e i nostri desideri. Ma questi beni non piovono dal cielo, li possediamo infatti solo se li produciamo, ovvero, in altri casi, se li reperiamo. Essi sono insomma a nostra disposizione solo se lavoriamo, se operiamo uno sforzo per averli. Per questo, la ricchezza economica costituita in ultima analisi proprio dal lavoro umano, in quanto origine ultima del nostro benessere. Ovviamente esistono, oltre a quello umano, anche altre forme di lavoro produttivo: il lavoro animale e quello delle macchine. Ma tali forme di lavoro da una parte esistono solo in funzione delle esigenze umane e dallaltra, e soprattutto, serve un lavoro umano per renderle effettive. Ad esempio, dovremo educare o costringere le bestie a fare ci che ci serve facciano, e inoltre dobbiamo alimentarle e curarle; del pari, dobbiamo progettare, creare e manutenere le macchine che compiono i lavori che servono alle nostre esigenze. Dietro al lavoro animale o delle macchine dunque, vi sempre il lavoro umano. Leconomia ci attraverso cui luomo diviene padrone del proprio destino, attraverso appunto il proprio lavoro. Per questo, in ultima analisi, la ricchezza umana tutta riconducibile al lavoro umano. La teoria alla base di questa visione detta teoria del valore-lavoro: secondo tale teoria, il valore di scambio delle merci e, prima ancora che esso, la ricchezza effettivamente posseduta da un individuo o da una comunit, interamente riconducibile al lavoro che l'ha generata.

b) Il mercato scambio di lavoro con lavoro -> una certa quantit di lavoro si scambia con una quantit equivalente (prezzo naturale)
Secondo Adam Smith, il mercato, cio lo scambio dei beni duso, non era originariamente finalizzato al profitto, ovvero a guadagnare una quantit di valore eccedente rispetto alle spese di produzione del prodotto stesso. Al contrario, chi scambiava scambiava, almeno tendenzialmente, qualcosa che aveva prodotto in un dato tempo (ex. due ore) con qualcosa che era stato prodotto attraverso un pari tempo di lavoro: ad esempio, un paio di scarpe con 1 kg di grano (ovviamente non si parla qui del tempo che il grano ha impiegato a crescere, ma di quello dedicato dal contadino alle sue attivit di coltura). Il tempo di lavoro, ovvero la quantit di sforzo necessaria a creare una merce (qui si parla infatti, non pi di beni di consumo ma di beni di scambio), quindi secondo tale visione lunit di misura alla base delle attivit di scambio, o di mercato, e lo scambio giusto quello in cui un tempo di lavoro scambiato con uno stesso tempo di lavoro, laddove il prodotto di tali lavori differente (scarpe, grano) e proprio tale diversit d concretamente senso allo scambio. Il tempo di lavoro necessario a creare una determinata merce ne costituisce allora il valore economico, cio il valore-lavoro in essa contenuto, ovvero ne costituisce il costo di produzione. Ogni merce si scambia con una merce avente un eguale costo di

produzione. * In che rapporto si pone allora la moneta rispetto al valore-lavoro? A tale proposito bisogna notare che la moneta (sia essa il conio modernamente inteso (moneta o danaro creato e garantito da uno stato) o qualsiasi oggetto o unit concreta e quantitativamente discreta atta a rappresentare un determinato valore di scambio, ovvero una determinata quantit di valore-lavoro) la moneta dicevamo, ha un rapporto estrinseco con il valore reale alla base delleconomia, ovvero con il lavoro. Una certa quantit di lavoro sar infatti rappresentata simbolicamente e convenzionalmente da una certa quantit di danaro: ad esempio, un minuto di lavoro sar rappresentato da un penny; un anno da 10.000 sterline; un oggetto o servizio prodotto da grandi quantit di lavoro, sia diretto (ad esempio, il lavoro di operai) sia indiretto (ad esempio, quello di coloro che hanno progettato, creato e manutenuto le macchine usate dagli operai per lespletamento di tale lavoro), avr un enorme valore monetario, ad esempio 10.000.000 di sterline, dovendo tale valore in danaro quantificare lenorme quantit di lavoro umano racchiuso, sia direttamente sia indirettamente, in tale merce (oggetto o servizio che sia). Non allora il danaro la vera ricchezza (come tendevano a credere erroneamente i teorici del Mercantilismo, una corrente di pensiero economico che precedette le teorie di Smith e Ricardo). La vera ricchezza il lavoro, che il danaro rappresenta soltanto in termini di quantit astratta, in qualit di merce universale, ovvero di mezzo di scambio universale, che facilita lo scambio tra diverse merci sulla base dellequivalenza del loro valore in termini di quantit di lavoro contenuta.

c) Il Capitalismo, ovvero la nascita della contrapposizione tra salario e profitto


Fin qui abbiamo considerato la possibilit che il lavoratore lavori autonomamente, scambiando poi i suoi prodotti con altri prodotti di valore (tempo di lavoro) tendenzialmente equivalenti ai propri. Secondo Smith, in un contesto moderno questo principio dellequivalenza del valorelavoro non pi alla base degli scambi. Secondo Ricardo invece, esso resta valido anche in tale contesto. Tuttavia, in esso, cio nel moderno sistema capitalistico, il lavoratore non lavora pi per se stesso ma alle dipendenze di un imprenditore. Proprio per tale ragione, la distribuzione dei proventi derivanti dallo scambio tra i beni prodotti dal lavoro umano, qui profondamente differente rispetto alla situazione sopra descritta. Ci poich limprenditore, esercitando un ruolo di preminenza rispetto alloperaio, in quanto gli fornisce gli strumenti alla base del suo stesso lavoro, pu rivendicare una parte dei proventi commerciali ricavati dalla commercializzazione dei prodotti creati dalloperaio stesso. Se quindi in un dato tempo, loperaio produce ad esempio 1 kg di grano, lo scambio sul mercato di tale prodotto-merce avverr con un prodotto risultato di un analogo tempo di lavoro e quindi di pari valore economico. Tuttavia ora, il lavoratore o produttore diretto non acquisir pi lintero ricavato della vendita, ma solo una parte di esso. Laltra parte difatti, verr intascata dal datore di lavoro, il capitalista appunto, a titolo di profitto o rendita. Peraltro, i soldi ricavati dalla vendita dei prodotti non arrivano pi direttamente al lavoratore, bens sotto forma di salario elargitogli dal datore di lavoro, ovvero in forma mediata. Questa teoria, che pi avanti analizzeremo pi a fondo, detta teoria marginale del profitto, ed basata sulla contrapposizione tra salario e profitto, questultimo visto come il margine di guadagno dellimprenditore sulle attivit del lavoratore, ovvero sul

valore-lavoro da questi concretamente creato. Secondo tale visione (ripresa in seguito da Karl Marx) loperaio produce, in sinergia con i macchinari e i mezzi produttivi fornitigli dallimprenditore (su questo argomento, si veda il prossimo paragrafo), una certa quantit di merce attraverso una determinata quantit di ore di lavoro. Un tale prodotto, una volta venduto, frutter una quantit di danaro equivalente al valore-lavoro impiegato per crearlo, ovvero al valore economico della merce. Ma tale quantit di danaro verr divisa tra imprenditore e lavoratore, laddove il primo dar tendenzialmente al secondo quanto basta alla riproduzione della sua esistenza materiale, ovvero alla sua sopravvivenza nel periodo stesso del suo lavoro per lui. Questa teoria marginale del profitto si presta peraltro allaccusa rivolta allimprenditore e pi in generale al sistema capitalistico di sfruttare i lavoratori, ovvero di sottrarre loro appropriandosene indebitamente parte del valore-lavoro da essi prodotto. Del resto per, si deve anche riconoscere che senza profitto (ovvero senza un guadagno netto rispetto al capitale salari pi spese per materie prime e macchinari impiegato dal capitalista nelle proprie attivit economiche), limprenditore capitalista non potrebbe implementare le attivit della propria azienda, mantenendola competitiva rispetto alle aziende concorrenti (il capitalismo infatti, un sistema di produzione basato sulla competizione di mercato).

d) Il ruolo di capitale fisso (mezzi di produzione non umani) e capitale variabile (lavoro umano) nella formazione del profitto capitalistico -> ovvero, solo il lavoro umano produce profitto!
Prima di tutto bene chiarire il rapporto che intercorre tra capitalisti e lavoratori. Il rapporto tra capitalista e lavoratori infatti, non si fonda solo su un arbitrario esercizio di autorit da parte del primo sui secondi. Vi sono difatti anche dei vantaggi oggettivi (in termini di maggiore capacit produttiva e quindi di maggiore disponibilit di merci e beni di consumo) dal tipo di organizzazione economica che chiamiamo capitalistica, e ci non solo per il capitalista, ma anche per la societ nel suo complesso e quindi, seppure in modo indiretto e con notevoli riserve, per gli stessi lavoratori salariati. Il capitalista infatti, in quanto detentore di grandi capitali finanziari (ovvero della possibilit di acquistare e mobilitare una grande quantit di forza-lavoro o, che lo stesso, di valore-lavoro), in grado di organizzare una produzione basata sul lavoro di un grande numero di operai (fabbrica o grande impresa), ognuno dei quali svolge una mansione ben definita, dando cos vita - in base al principio economico della divisione del lavoro come fonte di produttivit - a una organizzazione produttiva estremamente efficiente. Lo sviluppo della grande impresa capitalistica dunque, ha senza dubbio alzato il livello di benessere materiale delle nazioni in cui si affermata, nonostante fenomeni di pauperismo intrinseci a un tale tipo di organizzazione e alla sua logica strutturale (basata, come si visto, sullo sfruttamento del lavoro attraverso il principio del minimo salariale e in genere sulla logica dei mercati, fondata sul rapporto estremamente instabile tra domanda e offerta). Dunque, grazie ai propri grandi capitali finanziari il capitalista aggrega in ununica organizzazione produttiva, estremamente articolata ed efficiente, un grande numero di lavoratori, in veste di salariati. Egli inoltre, fornisce a essi i mezzi di produzione alla base del loro lavoro, cio materie prime e macchinari: mezzi che essi (in particolare per ci che riguarda gli strumenti tecnologici, estremamente complessi e costosi) non potrebbero mai possedere e quindi utilizzare da soli. In quanto possessore di grandi capitali, insomma, il capitalista colui che rende possibile la stessa organizzazione produttiva moderna, ovvero la produzione

industriale. * Torniamo ora al discorso in merito al rapporto tra profitto e salario, ma aggiungendovi un elemento nuovo: i macchinari, ovvero pi in generale il capitale fisso. Il capitalista infatti, deve poter pagare non solo i propri dipendenti (capitale umano o variabile), ma anche i mezzi di produzione da essi utilizzati, che egli e solo egli pu fornire loro (capitale fisso). Egli deve cio possedere un capitale monetario sufficiente a pagare sia i suoi operai, sia le macchine (e le materie prime) da essi utilizzate. Ovviamente questo capitale il prodotto, in ultima analisi, della commercializzazione di ci che i suoi dipendenti (con lausilio dei mezzi meccanici dati loro in dotazione) riescono a produrre. Cio, i proventi della commercializzazione delle merci create allinterno della sua azienda o impresa saranno utilizzati dallimprenditore per pagare sia la forza-lavoro alle sue dirette dipendenze, sia quella esterna alla sua azienda di cui indirettamente si serve: il che significa in sostanza, la manodopera che ha creato i macchinari (e, se esterna, quella che li mantiene, ovvero ne controlla la funzionalit ed eventualmente li ripara), nonch quella che gli procura le materie prime. Mentre la forza-lavoro alle sue dirette dipendenze costituita dai suoi operai, laltra parte della forza-lavoro utilizzata e pagata dall'imprenditore costituita da lavoratori rispetto ai quali egli si pone non come datore di lavoro, ma come semplice cliente (per esempio, i macchinari che possiede sono stati costruiti da una qualche azienda, che ha speso per fare ci del tempo e ha dovuto inoltre preliminarmente acquistare le materie e i macchinari attraverso i quali essi sono stati creati: essi hanno perci un determinato valore in termini di ore di lavoro ovvero di valore-lavoro, un valore che si riflette nel prezzo al quale il nostro imprenditore li avr acquistati). Il capitalista dunque, dovr detrarre dai suoi proventi commerciali una parte che servir a pagare i suoi dipendenti (salario) e unaltra che servir a pagare il costo dei macchinari e della loro manutenzione, nonch quello delle materie prime. Egli avr perci due uscite: una inerente il capitale variabile (salario dei lavoratori) e una inerente il capitale fisso (costo dei mezzi di produzione). Tuttavia, mentre il prezzo dei componenti del capitale fisso non viene deciso dal capitalista, il quale in quanto cliente non potr che prenderne atto e pagarli, il salario dei propri dipendenti, in quanto appunto egli ne il datore di lavoro e come tale ha rispetto a essi una notevole forza di ricatto, dipende in gran parte da lui. E perci solo nei confronti dei suoi dipendenti diretti che egli pu per cos dire barare sul prezzo della merce (il loro lavoro), dando loro meno di quanto a essi spetterebbe in base alla quantit di lavoro eseguito, ovvero in base alleffettivo valore economico delle loro prestazioni. Se, ad esempio, lavorando 10 ore un operaio produce (in sinergia con le macchine) 10 quintali di grano, il cui valore in termini monetari di 10 sterline, e se le spese legate allammortamento del capitale fisso corrispondenti a tali 10 ore di lavoro sono di 2 sterline, ne segue per logica conseguenza che alloperaio spetterebbero come salario le rimanenti 8 sterline. Il lavoro produttivo infatti diviso tra lui e i mezzi produzione: se questi costano (ovviamente solo in relazione alle 10 ore di lavoro qui considerate!) 2 sterline, il resto dei proventi commerciali del lavoro delloperaio andrebbero alloperaio stesso: cosa che invece non avviene. Si ritorna quindi al discorso fatto nel precedente paragrafo: secondo questa visione, limprenditore toglie alloperaio parte del valore-lavoro da lui prodotto: un valore che gli spetterebbe di diritto in quanto egli , assieme ai mezzi di produzione fissi o inanimati, lunica origine dei beni duso creati. ** Ma in che misura, orientativamente, il capitalista sottrae ricchezza alloperaio?

Secondo Ricardo, come gi abbiamo detto, egli darebbe al dipendente solo quanto materialmente necessario alla riproduzione della propria esistenza nel lasso di tempo in cui lavora per lui. Se anche quindi, il lavoro delloperaio desse vita a unenorme quantit di valore-lavoro, il capitalista darebbe alloperaio solo quanto gli necessita per sopravvivere e riprodurre la propria forza-lavoro al proprio servizio, trattenendo il resto dei proventi per s, ovvero come profitto o guadagno netto rispetto alle spese di produzione (capitale fisso e capitale variabile). Questa teoria chiamata legge ferrea dei salari. Daltronde, queste misure di sfruttamento hanno, secondo Ricardo, una ragione precisa nella logica dei prezzi. La concorrenza commerciale difatti, impone a ogni imprenditore di vendere le proprie merci al prezzo pi basso possibile, quindi di mantenere il prezzo di mercato fondamentalmente coincidente con il prezzo naturale delle merci (coincidente, si badi bene, con il loro costo di produzione, ovvero con la quantit di lavoro o valore-lavoro impiegata per creare le merci stesse). Dal momento quindi che egli, per creare profitto, non pu (ma questo non esattamente vero, come vedremo avanti) alzare il prezzo delle proprie merci al di sopra del loro prezzo naturale, e che le spese legate ai mezzi di produzione utilizzati dai suoi operai non dipendono da lui ma da coloro i cui prodotti e servizi egli acquista esternamente (capitalisti che, peraltro, fanno nel loro ambito ci che lui fa nel suo, vendendo i propri prodotti o servizi al loro prezzo naturale, e sfruttando e sottopagando i propri operai per creare profitto), il capitalista sar di conseguenza costretto a lucrare sul salario dei propri lavoratori. Tutto questo dimostra, secondo la visione di Ricardo, che il profitto, anima stessa del capitalismo in quanto fonte della possibilit di ogni azienda di reinvestire i proventi al fine della propria crescita, pu sorgere solo dallo sfruttamento del lavoro salariato, ovvero barando sul prezzo del capitale umano o variabile (il termine variabile non casuale: infatti i lavoratori possono essere sottopagati, cio il prezzo del loro lavoro varia a seconda dellarbitrio del capitalista!) Questa visione delleconomia capitalistica, intesa come uneconomia basata sullo sfruttamento del lavoro salariato, sar ripresa da Marx per condannare moralmente tale modo di produzione (cosa che Ricardo non faceva) e indirettamente per preconizzarne la fine (infatti, se il profitto nasce dal lavoro salariato, dal momento che le spese per i macchinari o capitale fisso tendono a crescere costantemente, in conseguenza della competizione economica tra imprese che, imponendo di raggiungere sempre maggiori livelli di produttivit, implica una sempre maggiore centralit della tecnologia nel processo di produzione, anche i profitti di impresa anima del capitalismo tenderanno col tempo a decrescere, mandando in crisi il funzionamento stesso delleconomia capitalista legge marxiana della diminuzione tendenziale del saggio del profitto). Dunque, riassumendo, il prezzo delle merci coincide (tendenzialmente) con il loro costo naturale (ovvero con la quantit di lavoro in esse contenuto, espressa in danaro). E il profitto capitalistico sorge solo e unicamente a spese del salario dei lavoratori, tenuti (tendenzialmente) al livello della mera sussistenza per permettere al capitalista un margine quanto pi alto possibile di guadagno netto o profitto sulla vendita delle merci da essi prodotte. *** Daltra parte, per quanto spietata e crudele, la legge del salario minimo o legge ferrea del salario, non si giustifica solo come una forma di sfruttamento arbitrario del lavoratore da parte del capitalista, avendo una base molto chiara anche dal punto di vista della teoria ricardiana dei prezzi (peraltro, lidea secondo cui il salario dovesse ridursi al minimo, ovvero a coprire solo le spese di sussistenza dei lavoratori, era stata

avanzata prima che da Ricardo, da altri economisti, tra cui lo stesso Adam Smith) Essendo infatti il lavoro, cio la prestazione lavorativa a pagamento, considerabile come una merce, il suo prezzo come quello di ogni altra merce deve essere equivalente al suo costo di produzione (prezzo naturale). Dunque, dal momento che, perch il lavoratore possa prestare la sua opera, strettamente necessario che possieda solo i mezzi atti a reintegrare lo sforzo compiuto per adempiere a tale compito, il prezzo del suo lavoro (salario) dovr coincidere con il valore (chiaramente espresso in danaro) necessario a procurarsi tali mezzi.

e) La legge della domanda e dellofferta, e loscillazione dei prezzi e dei salari -> ovvero la legge del prezzo naturale ha una natura solo tendenziale
Uno dei punti centrali della teoria del valore di Ricardo , come si visto, il concetto di prezzo naturale, ovverosia lidea che il prezzo di una merce debba coincidere con il suo costo di produzione, il che significa con la traduzione in danaro o valore monetario, del valore-lavoro (tempo di lavoro) necessario per produrla, ovvero della quantit di lavoro racchiuso in essa. Chiaramente il tempo necessario di cui si parla un qualcosa di standardizzato, cio il tempo che un lavoratore mediamente efficiente impiega nel produrre quella merce. Un lavoratore particolarmente lento quindi, rischierebbe di essere penalizzato dal proprio datore di lavoro per il fatto di determinare una perdita di profitto allimpresa, producendo in (poniamo) 3 ore ci che normalmente si produce in 2. Allopposto, un lavoratore particolarmente efficiente determinerebbe per essa un guadagno e potrebbe quindi ricevere premi e gratificazioni. Del resto, col tempo e con il progresso nellefficienza produttiva che a esso solitamente si accompagna, il costo delle merci tende a calare, proprio perch il tempo di lavoro connesso alla loro produzione tende a diminuire. Infatti, una delle caratteristiche delleconomia di mercato, come si gi visto strutturalmente basata sul principio della concorrenza tra imprese, la ricerca di una sempre maggiore produttivit. E un tale incremento di produttivit implica che una sempre maggiore quantit di merci si riversi sul mercato e a sempre minor prezzo, dal momento che il prezzo delle merci coincide con il loro costo in termini di valore-lavoro impiegato per produrle. Detto questo, Ricardo era ben consapevole del fatto che la legge dei prezzi naturali era solo una legge di massima, contrastata da fattori di diversa natura. Ma quali erano questi fattori? Alcuni di essi, particolarmente rilevanti, sono: la legge della domanda e dellofferta; il tempo di produzione di una determinata merce; la sua rarit. 1) La legge della domanda e dellofferta tra tutti senza dubbio il fattore principale e pi influente, ed ha inoltre forti implicazioni sullandamento dei salari. In sostanza, esso implica che, se la richiesta di una certa merce eccede la sua disponibilit sul mercato, il suo prezzo reale superi il suo prezzo naturale. Quando invece accade lopposto, la merce scende al disotto di esso. Ne segue che il prezzo naturale il punto di gravitazione dei prezzi reali, nella misura in cui le merci oscillano tra queste due polarit: un eccesso di produzione e uno di domanda. Questa legge ha implicazioni anche sulla merce-lavoro, che come si gi mostrato non fa eccezione rispetto alla legge generale del prezzo naturale, la quale per tale merce si traduce nella legge del minimo salariale, premessa attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato per laccumulazione del profitto da parte del capitalista. Anche il lavoro umano, in quanto merce, conosce alti e bassi, momenti in cui eccede la

richiesta del mercato e altri in cui insufficiente a coprirla. Per tale ragione, esso pu a sua volta scendere al di sotto o salire al di sopra del suo prezzo naturale (il minimo salariale). Ma come per tutte le altre merci, anche in questo caso ogni eccesso finisce per riequilibrare se stesso. Una merce sottoprodotta infatti, a causa della richiesta del mercato che ne stimola la produzione, tende a essere oggetto di sempre maggiore produzione da parte dei capitalisti, fino al punto in cui finisce per essere sovraprodotta. Cos, vi unoscillazione costante tra sottoproduzione e sovraproduzione, pur con la presenza di momenti di equilibrio tra domanda e offerta (nei quali, ovviamente, il prezzo naturale dovrebbe coincidere con quello reale). Cos il lavoro. Nei momenti in cui un settore economico si espande (cio cresce la domanda di una determinata merce e quindi anche della sua produzione) i lavoratori in quel settore vengono pagati al di sopra del prezzo minimo o naturale del lavoro. Ma quando la situazione si rovescia, e la domanda di tale merce decresce, il salario tende a scendere sotto tale soglia. Del pari, nota Ricardo, nel momento in cui gode di una certa prosperit a causa degli alti salari, la manodopera tende ad aumentare di numero (crescita numerica delle famiglie), ponendo in tal modo i semi della svalutazione del proprio lavoro, ovvero la diminuzione del suo prezzo o salario. Questa svalutazione poi, portando alla decrescita dei salari porta limpoverimento dei lavoratori, determinandone sui tempi lunghi la decrescita numerica, la quale a sua volta porta il valore delle loro prestazioni a aumentare. Ricardo aveva ben colto insomma, la natura altalenante delleconomia capitalistica, ovvero il costante alternarsi tra momenti di crescita e espansione e altri di decrescita o crisi. Come si vede infatti, la legge della domanda e dellofferta la base della visione economica ciclica di Ricardo. Essa completa insomma la teoria del valore sopra descritta, che di per s al contrario ha una natura statica. Unaltra legge di sviluppo ricardiana consiste nellidea di un tendenziale livellamento dei profitti capitalistici. Il capitalista infatti, mosso dalla ricerca del maggior profitto possibile, quindi tende a investire il proprio capitale in quei settori in cui la domanda eccede lofferta. In tal modo per, anche i settori in espansione giungono prima o poi a saturazione, determinando una decrescita dei profitti capitalistici investiti in essi. Al tempo stesso, nuovi o vecchi settori economici tendono a conoscere o a conoscere di nuovo una nuova fase espansiva, fino al momento in cui iniziano a loro volta a declinare. La visione delleconomia di Ricardo tende dunque a essere oscillatoria, comportando un movimento che sempre si autocompensa. 2) I tempi di produzione delle merci sono un altro fattore che sposta il prezzo delle merci al di sotto o al di sopra del loro costo di produzione. Infatti le merci che richiedono lunghi processi produttivi e implicano limpiego di macchinari molto costosi, tendono a essere vendute a prezzi superiori a quelli di produzione, in ragione e come risarcimento del maggior tempo e delle maggiori spese che comportano. Al contrario, e per ragioni uguali ma opposte, le merci caratterizzate da un breve ciclo produttivo tendono a essere vendute a un prezzo inferiore al loro valore-lavoro. 3) Un ultimo fattore che disturba, o meglio che esula dalla regola del prezzo naturale, quello della rarit di alcune merci. Mentre infatti i due punti precedenti (1 e 2) confermavano, pur costituendone un elemento di disturbo, la legge del prezzo naturale, il fattore della rarit di una merce ne costituisce uneccezione assoluta. Ricardo difatti affermava che la legge secondo cui il prezzo di un prodotto corrisponde al suo costo di produzione valida solo per le merci incrementabili allinfinito, ovvero per quelle merci la cui creazione o approvvigionamento non presenta particolari

difficolt. Al contrario una merce preziosa, come ad esempio loro, ha di per se stessa un grande valore, essendo presente solo in quantit limitata in natura e non essendo artificialmente riproducibile dalluomo. Quando si va ad acquistare una certa quantit di oro, dunque, non si paga solo il lavoro alla base della sua produzione (ad esempio, quello necessario a trovarlo e estrarlo) ed eventualmente della sua lavorazione, ma anche e innanzitutto il suo intrinseco valore economico, prodotto della sua scarsit e rarit. Il valore derivante dalla scarsit di una merce quindi, si va a sommare a quello legato al lavoro che vi pur sempre a base, dal momento che una merce non si autoproduce mai, spesso peraltro rendendolo pressoch irrilevante nella determinazione del prezzo, data la sproporzione tra essi esistente.

f) Considerazioni su Ricardo e sulla teoria economica classica in genere -> Individualismo, atomismo e astrattezza logica
Con Adam Smith e David Ricardo nasce la scienza economica. Gi prima di loro, erano stati fatti dei tentativi di comprendere il funzionamento delleconomia degli stati (politica economica). In particolare erano state elaborate una serie di teorie oggi dette mercantilistiche e fisiocratiche. Ma tali teorie sono considerate ancora pre-scientifiche, nonostante molte intuizioni in esse contenute siano ritenute a tuttoggi valide o comunque oggetto di riflessione e dibattito (ad esempio, lidea mercantilistica che lo stato possa esercitare una tutela sulleconomia nazionale a vantaggio sia proprio sia delleconomia stessa). Manca per in esse una visione chiara dei presupposti attorno ai quali ruota leconomia moderna, capitalistica e di mercato: aspetti che invece iniziano a prendere una forma pi definita a partire dalle teorie smithiana e ricardiana. In particolare, il contributo che questi due pensatori diedero alla disciplina economica risiede nella comprensione lucida (Adam Smith) del fatto che il lavoro umano sia lorigine di ogni ricchezza economica, in quanto appunto produttore di valore duso, e di conseguenza lidentificazione tra valore economico e lavoro, e del fatto che la moneta costituisca un mero strumento di scambio della ricchezza (una merce universale, il cui fine favorire lo scambio delle altre merci tra loro), piuttosto che una ricchezza per se stessa. Sempre Adam Smith per primo comprese lucidamente e afferm il ruolo della divisione specialistica del lavoro ai fini dellincremento della ricchezza sociale. Del resto, un tale aspetto si lega profondamente per lui allesistenza dei mercati. Infatti, laddove ognuno si specializzi nella produzione di un determinato prodotto incrementandone cos la quantit e la qualit, anche gioco-forza che scambi i propri prodotti con altri, risultato del lavoro specialistico di altri individui. In tal modo nasce il mercato. A Ricardo invece va ascritto, oltre a una definizione esatta del rapporto tra salario e profitto di cui abbiamo gi parlato, il merito di avere compreso le implicazioni della specializzazione produttiva a livello internazionale. Egli infatti formul il principio, nettamente a favore del libero commercio internazionale, secondo il quale ogni nazione o stato finirebbe col tempo per specializzarsi nella produzione di merci per essa di pi agevole produzione, che rivenderebbe poi sui mercati esteri acquistandovene altre, per essa pi difficili da produrre. In questo modo, lapplicazione del principio smithiano della divisione del lavoro e del mercato come cause di benessere sociale trova applicazione anche sul piano del sistema delleconomia internazionale. David Ricardo e Adam Smith sono dunque i teorizzatori dei benefici sociali

delleconomia di mercato capitalistica (dove il capitalismo una fase successiva rispetto a quella della produzione gi specialistica, ma ancora puramente individuale o familiare), ovvero dei benefici della competizione e dello spirito individualistico in quanto basi stesse dellorganizzazione capitalista della produzione. Questa idea trova la sua raffigurazione nellidea della Mano invisibile di Adam Smith, ovvero nel principio per il quale legoismo e la massimizzazione del profitto personale porterebbe tendenzialmente (attraverso un meccanismo indiretto ma necessario) allincremento del benessere collettivo. La prima scienza economica sorge dunque come decifrazione dei meccanismi alla base delleconomia industriale e di mercato sviluppatasi in Europa a partire allincirca dal XVII secolo (una decifrazione i cui primi tentativi si fanno risalire appunto alle teorie mercantilistiche del XVII secolo). Essa ha un carattere astratto o deduttivorazionale, e si basa su unidea essenzialmente atomizzata della societ. I suoi meriti sono quindi legati alla definizione dei caratteri puri delleconomia industriale moderna, una definizione talvolta estremamente spregiudicata (ad esempio, quando Ricardo definisce il salario come il costo minimo del lavoro umano, ovvero il mero costo di riproduzione della vita delloperaio) ma di solito con forti componenti di verit. I difetti di tale visione sono invece legati alla sua natura fortemente astratta e astorica, che prescinde totalmente dai fattori spirituali o culturali in cui tali dinamiche di mercato si collocano, mutandone anche profondamente la natura (ad esempio, in alcuni stati leconomia di mercato ha assunto caratteri maggiormente libertari, in altre rimasta maggiormente legata alla tutela statale) Essa pecca cio, tra laltro, di astoricit e di mancanza di un legame strutturale con il contesto socio-culturale in cui tali meccanismi di volta in volta si collocano. Proprio per reagire a tali parzialit, la scuola economica romantica (in particolare il List), prodotto della temperie culturale post-illuministica, inser dei nuovi elementi o spunti sociologici e storici allinterno della dottrina economica, vedendo la sfera produttiva come una delle molteplici espressioni della vita di un popolo, profondamente integrata con tutte le altre e da esse influenzata (tra laltro, molti economisti posteriori a Ricardo misero in discussione la sua teoria del valore-lavoro, in favore dellidea del valore economico come risultato dellutilit sociale dei beni duso). Senza dubbio inoltre, la visione meccanica e atomistica dei pensatori economici classici pecca, da un punto di vista storico globale, di sopravvalutazione del peso del mercato, ovvero della logica (cos ben descritta da Ricardo) della formazione dei prezzi, motore stesso attraverso la ricerca del profitto della produzione dei beni duso. Gi i romantici e poi Karl Marx mostrarono invece che esistono economie che, pur se non totalmente prive di mercati, non sono in ogni caso basate principalmente o esclusivamente su tale tipo di istituzione. Ovviamente, al di fuori della fase primitiva delleconomia di mera sussistenza (autoproduzione), sempre si afferma la specializzazione e divisione del lavoro e, quindi, lo scambio dei prodotti. Ma questo deve essere ben chiaro lo scambio inteso come commercio (ricerca dellutile o profitto) non il solo tipo di scambio codificato a livello istituzionale: esiste ad esempio, il baratto (di cui gi parlava Adam Smith), una forma di scambio tra singoli produttori o possessori di beni il cui fine non generare un guadagno netto ma scambiare alla pari differenti valori duso; esiste il tributo, ovvero lobbligo dei singoli produttori o possessori di beni di versare parte del proprio lavoro a una pi alta autorit (che in genere restituisce loro qualcosa in termini di servizi); esiste il dono o scambio rituale, tipico delle forme di organizzazione pi arcaiche, il cui scopo era in gran parte lo stesso del baratto anche se a livelli pi alti (il dono tra stati antichi, ad

esempio, nascondeva la necessit di scambiare beni superflui con beni duso carenti ma necessari), cos come il consolidamento di rapporti di alleanza tra diversi clan o stati Ovviamente, nessuno nega che in linea di massima le economie pi evolute e ricche si basino in gran parte sul mercato e sulluso della moneta (e ci non solo in Europa e Occidente), ma pensare che leconomia come tale debba coincidere esclusivamente con questo tipo di organizzazione una vera semplificazione e mistificazione storica e sociologica. I limiti del pensiero economico classico sono dunque principalmente due: 1) uneccessiva astrattezza, legata allindividuazione dei meccanismi puri delleconomia di mercato, senza molta attenzione ai fattori di carattere culturale e in ogni caso non peculiarmente legati alla sfera produttiva e di mercato e alle loro pesanti ripercussioni su di essa; 2) il presumere che leconomia umana come tale debba basarsi (con la sola eccezione dei periodi pi arcaici, in cui secondo Adam Smith lo scambio aveva una natura ancora molto primitiva: il baratto) sulla ricerca dellutile e sulla triade rendita fondiaria - lavoro salariato - profitto capitalistico: in altre parole, la natura astorica del loro pensiero.

g) Debolezze della teoria ricardiana dei salari


Uno degli aspetti cruciali del pensiero di Ricardo, come si sar capito, la teoria dei salari, intesi come ci che il capitalista d ai lavoratori in cambio delle loro prestazioni e che coincide, secondo la sua visione, con ci che consente loro di sopravvivere durante il periodo di lavoro per il capitalista, permettendo in tal modo di replicare lo sforzo al suo servizio. Questo discorso pu essere valutato da due differenti punti di vista: dal punto di vista della logica di mercato, il lavoro essendo una merce come le altre, giusto che come le altre merci abbia il minor costo possibile (quello coincidente cio col suo costo di riproduzione); dal punto di vista produttivo invece (unidea questa fatta propria da Marx, che a questo aspetto del pensiero di Ricardo si richiama in alcuni aspetti cruciali del suo) essendo il lavoro umano in ultima analisi lorigine di tutte le merci, una tale retribuzione costituisce una palese ingiustizia, ovvero lappropriazione da parte del capitalista di parte dei frutti del lavoro dei suoi dipendenti. Questa teoria del salario senza dubbio importantissima e cruciale nella storia del pensiero economico, ma ha alcuni punti di debolezza. Prima di tutto, si deve osservare la natura aleatoria dellidea del salario minimo, atto a garantire la mera sopravvivenza delloperaio: cosa si intende infatti con sopravvivenza? Si possono intendere varie cose, ovvero si pu avere unidea pi o meno ristretta delle condizioni esistenziali minime delloperaio (e umane in generale), e quindi idee anche molto diverse di cosa debba essere un salario minimo. Con tale concetto si intender il vitto, o il vitto e un alloggio (per quanto modesto), o il vitto e un alloggio e i diritti minimi alla salute e al limite anche a qualche svago? Detto ci, un fatto che il progresso tecnico e organizzativo che caratterizza levoluzione dei sistemi economici capitalistici e industriali porta tendenzialmente con il tempo a tempi di produzione delle merci sempre pi ristretti e quindi, a parit di tempo, a una maggiore produzione. Se il tempo di lavoro diminuisce diminuiscono anche il valore e il costo delle merci e quindi il loro prezzo si abbassa. Questo comporta una maggiore capacit di spesa da parte dei lavoratori, ovviamente a parit di stipendio o salario, e quindi anche un innalzamento dei loro livelli di vita, ovvero tendenzialmente della misura del minimo salariale. Vi , insomma, nel capitalismo, una tendenza progressiva allinnalzamento del

benessere, conseguente allaumento naturale della produttivit industriale. Ovviamente, non si pu escludere la possibilit che i capitalisti vanifichino gli effetti della diminuzione del costo delle merci abbassando in misura proporzionale i salari, ovvero riducendo il potere dacquisto dei lavoratori, al fine chiaramente di conservare un alto margine di profitto sulle merci. Ma questo fatto non sempre avviene, ed anzi non solo non costituisce una regola ma al contrario, tendenzialmente, uneccezione. Ci poich diminuire il potere dacquisto delle masse lavoratrici significherebbe deprimere la domanda di beni sul mercato e cadere di conseguenza nel problema della sovrapproduzione (merci invendute o vendute sottocosto), ovvero in perdite finanziarie ben peggiori di quelle legate a un semplice aumento (o meglio, a una non diminuzione) dei salari. Ovviamente per, il singolo capitalista ha di solito una visione a breve termine dei meccanismi economici, ovvero guarda al proprio vantaggio immediato piuttosto che a quello secondario e a lungo termine: egli propenderebbe cio pi per una diminuzione del salario che per il mantenimento del suo precedente valore, o al limite per un suo innalzamento. Entra allora in gioco il ruolo di alcune istituzioni politiche e sociali moderne, i sindacati, che in nome di principi egualitari e di redistribuzione della ricchezza, rivendicano e cercano di ottenere un miglioramento delle condizioni salariali dei lavoratori, favorendo in tal modo lespansione della domanda e quindi dellindustria stessa, con reciproco beneficio sia per i lavoratori che per i capitalisti. Si vede allora come nelleconomia e nel pensiero economico moderno abbia fatto capolino, rispetto ai tempi degli economisti classici, una nuova componente: non solo cio la preoccupazione (tipica dei primi) inerente la produzione (produrre con i pi alti margini di profitto possibile per i capitalisti), ma anche quella inerente la domanda delle merci, che lo stato e la societ in genere debbono cercare attivamente di sostenere (visione organica). Un altro limite dei pensatori classici, pionieri del pensiero economico moderno, risiede allora in una sottovalutazione del problema della sovrapproduzione (problema del quale per gi Ricardo era ben cosciente, nella misura in cui sottolineava ad esempio che i capitalisti cercano di inventare sempre nuovi tipi di merci, al fine di non incorrere nel rischio di una caduta dei prezzi e degli utili in seguito a un eccesso di produzione). Leconomia moderna al contrario, anche a causa dei problemi sempre pi ricorrenti legati alle crisi strutturali di sovrapproduzione, ha evidenziato, accanto al problema originario della massimizzazione del profitto capitalistico in relazione al costo di produzione delle merci, limportanza del sostegno strutturale della domanda: un sostegno che si ottiene in gran parte attraverso misure di stabilizzazione economica che non dipendono dalla logica del mercato puro, ma da organismi politici e decisionali capaci di trascendere linteresse del singolo imprenditore in favore dellinteresse del mercato e della societ globalmente intesi. Ci ha determinato, se non la fine, quantomeno un forte ridimensionamento dei principi smithiani della Mano invisibile o del laissez faire, ovvero in sostanza del liberismo radicale dei pensatori classici.

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