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Dal punto di vista teorico le applicazioni della musicoterapia sono molteplici, hanno un
campo d’azione interdisciplinare, dall’ambito preventivo/educativo a quello riabilitativo
terapeutico.
Questi settori non sono separati, ma si integrano all’interno di una realtà complessa.
Dalla lettura della diagnosi, alla stesura del progetto, il paziente va accolto, nella sua
totalità.
Dal primo incontro inizia una storia nuova, in cui il paziente occupa un ruolo centrale.
Come sostiene Edith Stein rapportarsi con una persona significa porre la propria
corporeità con quella dell’altro, ciò permette di entrare in empatia.
Soggetto dell’empatia è in noi.
Anche Hursel fa riferimento al Korper dal punto di vista fisiologico in connessione al
Leib, il corpo che si emoziona e vibra.
Il vibrare del corpo del paziente da vita al corpo vibrante, come il luogo che permette
all’uomo di cogliere il mondo esterno e allo stesso tempo l’esempio utile all’uomo per
prolungare se stesso attraverso gli strumenti musicali.
Il progetto ricollegandosi a questi principi è stato intitolato “…Le Forme del pensiero
Musicale”, il titolo fa evincere come la musica possa permettere al paziente di esprimersi
nelle forme più diverse, attraverso l’agire, il “fare Musica”.
Come un dialogo che ha inizio dal corpo, fatto di gesti, posture, sguardi, ordine ritmico.
Il suono e gli strumenti permettono all’uomo di percepire in mondo, aprirsi al mondo e
agli altri, il percorso è strutturato in chiave bio-psico-sociale.
L’approccio al Progetto è stato umanistico- fenomenologico.
Il paziente accolto in seduta era libero di scegliere lo strumento che in quel momento
sentiva.
La disposizione degli strumenti all’interno del setting era strutturata in base all’obiettivo
dell’incontro.
Gli strumenti potevano essere riposti sul carrello, disposti sul pavimento in una posizione
centrale, o sparsi per la stanza.
L’obiettivo era stimolare il paziente attivamente e comprenderne l’intenzionalità, ciò è
risultato utile ai fini dell’osservazione anche con utenti che non disponevano del
linguaggio verbale.
Il setting era organizzato in modo che il paziente potesse muoversi, per questo sono
state proposte attività dinamiche, in chiave ludica.
La stanza era spaziosa, luminosa e all’occorrenza poteva essere oscurata per creare
giochi di luce.
E’ stato possibile creare delle barriere con le sedie, per separare ambienti diversi, e
quindi evitare la dispersione dell’attenzione nell’utenza.
Ogni paziente ha occupato lo spazio idoneo al proprio modo di essere.
Gli incontri hanno avuto inizio nel settembre 2007 fino al giugno del 2008, sono ripresi
nel settembre del 2008 e conclusi nel Febbraio del 2009.
Un aspetto teorico che ho voluto approfondire è quello del setting /contesto.
Oltre all’assetto normativo del setting, ho voluto evidenziare come la premessa del
setting fisico sia essenziale per pensare al setting come spazio mentale.
La definizione specifica come ciò che avviene in seduta non si limiti all’interazione tra
terapeuta e paziente, ma si connetta al contesto della persona, tutto ciò che avviene si
collega alla rete del tessuto familiare, sociale e non si può non citare la patologia.
Il secondo punto teorico del setting è quello Esplorativo- relazionale, che chiama in
causa il terapeuta.
In questo caso l’incontro prevedeva una seduta ogni 2 settimane con l’interazione tra:
• Il genitore
• Il bambino
• Il terapeuta
Il coinvolgimento dei genitori è stato un aspetto aggiunto in itinere che non solo ha
soddisfatto una richiesta degli stessi, in questo caso la madre, ma si è rivelato al
contempo un’esigenza. La musica ha permesso di affrontare quelle difficoltà/inibizioni
che influiscono nella relazione duale Madre-Figlio e facilitare la comunicazione non
verbale.