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LA SAPIENZA DISTINTA DALLA SAGGEZZA

Durante l’età moderna le porte del progresso si sono spalancate e quell’evoluzione scientifica che
dapprima era all’aurora è cresciuta smodatamente di fronte all’impeto della conoscenza di cause,
leggi ed effetti circoscritti ai fenomeni naturali. Dunque gli uomini sono stati investiti da una
molteplicità di incisive innovazioni e innovativi perfezionamenti in tutti gli ambiti.
Ma che sentimenti la nuova scienza può aver proiettato su di essi?
La comune reazione emotiva che ne scaturisce è palesemente lo stupore poiché non si può che
rimanere colpiti e immersi in un grande senso di meraviglia di fronte al genio umano, ma questo
sentimento plasma anche una condizione implicita all’individuo che si manifesta con il
disorientamento. Infatti, da questo punto di vista, “la scienza è incomprensibile” è incomprensibile
poiché le sue conquiste legate alle relative ricerche, con il susseguirsi del tempo sono divenute più
complesse e spesso non vengono neppure intuite dall’individuo comune. Egli, a differenza dello
scienziato, non possiede le conoscenze teoriche per spiegarsi un determinato fenomeno che in ogni
caso diventa tanto incisivo da mutare in una dipendenza della sua stessa vita nonostante egli ne
ignori la natura. Allora le persone come possono dare il proprio giudizio o la propria opinione su un
fenomeno a loro sconosciuto e tanto meno, non possono prevedere le conseguenze di un fatto a loro
ignoto. Ma se la scienza non è in potenza di giudizio degli uomini allora “lo scienziato ha bisogno
di sentirsi confermare da un giudice imparziale, dalla natura stessa, di aver compreso la sua
struttura”, poiché gli effetti della scoperta agiranno direttamente sull’ambiente. Quindi per il fatto
che l’apprendimento delle scienze segue un percorso nel quale la scoperta si presenta come l’esito
di un’esperienza, la responsabilità è dello scienziato, il quale dovrà valutare la sua scoperta alla luce
dell’etica scientifica e abbandonare qualsiasi esperimento che si sia rivelato rischioso, giacché
scienza è la conoscenza di ciò che è necessario e dunque le esigenze dell’uomo sono strettamente
legate alla sua dimensione naturale che non dev’essere compromessa. Quindi lo scienziato oltre che
ad attuare la parte migliore della propria natura svolgendo liberamente l’operosa attività di erudito
studioso ha l’onere di agire secondo le virtù per eccellenza, quali, sapienza accompagnata da
saggezza. La prima è la virtù che unisce insieme scienza e intelletto ed è il grado più alto della
conoscenza, in quanto richiede la cognizione dimostrativa e i principi teorici fisici e matematici da
cui essa scaturisce, ma in questo caso l’oggetto teorico della scienza esiste necessariamente poiché
deriva dall’esigenza dei principi e delle dimostrazioni.
Quindi non è la sapienza che ha il potere di limitare l’atto della scienza, ma la saggezza poiché lo
scienziato è saggio se ammette che “il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un
infinità di cose che la sorpassano”, cioè se egli è accompagnato dalla ragione egli sa deliberare
bene intorno a ciò che è buono e giovevole al fine di vivere bene. Dunque la saggezza non mette a
freno il progresso, in quanto l’uomo attraverso essa abbandona l’atto ma non la capacità di
pervenire ad esso.
Se i potenti fossero saggi non si assisterebbe alla “politicizzazione della scienza” la quale non è
frutto di virtù ma di vizi e di perversioni legate a profitto e potere, ma questa non è certo l’egoismo
la logica della scienza poiché il suo fine primo è la bontà dell’azione che scaturisce da essa.

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