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Gary Lawlees
Stefano Panzarasa
Per contatti e per ascoltare La ballata dell’orto in mp3, scrivere a:
bassavalledeltevere@alice.it
www.orecchioverde.ilcannocchiale.it
La Ballata dell’Orto
Seminare, seminare
zappettare, concimare.
Viva, viva l’orto a scuola!
Su e giù con la carriola.
Raccogliere, raccogliere
cucinare, conservare.
Guarda dove sta la luna,
se ti può portar fortuna.
Compostare, compostare,
innaffiare, pacciamare.
Un menù vegetariano,
questo è il compito più sano.
Quando nasce…
Raccogliere…
UN QUIETO ORRORE
Un colpo secco. Poi un altro. Un tuffo al cuore mentre sto ancora dormendo, nell’ora in cui
la notte e il giorno sono uniti in un abbraccio indistinto. Quei colpi sono la sveglia mattutina:
segnalano che per me inizia un’altra giornata, mentre finisce quella di qualche gentile
creatura alata o con la coda, impallinata dai cacciatori fuori dal paese.
Inesorabili, ogni mattina sfruttabile del calendario venatorio mi traggono dal sonno e mi
Allora cerco di aiutare quei poveri animali, disturbati nell’affannosa ricerca di cibo e di
vita, inviando a un’invisibile divinità in ascolto le mie preghiere: “Tornatevene a casa, a fare
cose più serie! O Madre terra proteggi i poveri animali che capitano a tiro a questi freddi
cecchini! Che vergogna, mentre i supermercati sono pieni di animali morti in attesa di
qualcuno che li compri e dia un senso al loro sacrificio! Ma Stefano mi ha raccontato che
Latouche ieri a una conferenza alla Sapienza ha riferito che il trenta per cento della carne
sul mercato viene buttata via, sia per ragioni di scadenza, sia per semplice capriccio di
spreco…”.
Silenzio. Forse la telepatia dissuasiva sta funzionando. Mi riappisolo con un solo occhio.
Pum! Un altro colpo… e poi altri quattro, cinque, dieci, che salgono alla rinfusa dalla valle
loro ridicoli carnefici con calosce e tute mimetiche, che si espongono a ogni intemperie pur
Allora riprendo: “Ma nessuno vi ha detto che ‘la caccia è un affare di morte che genera
morte’? Così raccontava uno stregone africano che era un cacciatore provetto, ma quando
di sedici figli gliene erano rimasti solo cinque o sei si rese conto che stava pagando un
debito ben salato al mondo selvatico! Ha smesso di andare a caccia, decidendo di espiare
con il servizio sacerdotale. Ma figurati se questi bifolchi hanno mai letto Il dio d’acqua di
Marcel Griaule… O Dea natura fagli venire voglia di tornarsene a casa a dare una mano a chi
lavora per il sostentamento delle loro famiglie… e che spendano i soldi per cose importanti
e non per passatempi da becchini! Eppure in Italia c’è la legge 626 che non ammette la
libera strafottenza con le armi al collo e in casa… gli incidenti di caccia sono in proporzione
Forse stavolta ce l’ho fatta… non si sente più nulla, un silenzio carico di apprensione…
Rientra in casa Cirino e dopo la lauta colazione di croccantini eccolo adagiarsi con le
zampette sui miei polpacci… “Beh, almeno tu sei al sicuro dalla furia omicida di questa
specie subumana”. E Cirino risponde con tenere fusa… “Anche tu sei un cacciatore, ma non
certo così spietato come quei signori là fuori, che hanno le dispense piene di cibo”.
Per fortuna ci sono gruppi di giovani che praticano il disturbo venatorio, hanno davvero un
grande coraggio ad andare disarmati a passeggiare fra tante doppiette fumanti, con
grilletti che non chiedono altro che di essere abbassati… Seguo le loro imprese eroiche in
Ancora un’oretta di sonno per cercare di cominciare in un altro modo la giornata, magari
uscendo da un bel sogno. Poi la colazione pronta e fumante, i libri già aperti accanto a una
fetta di torta di mesquite del seri, una farina sudamericana che mi ha portato il mio tesoro
dal Salone del gusto, tutto sembra propiziare un momento di pace e tranquillità… Ma come
una mitragliatrice inceppata ecco l’urlo meccanico del decespugliatore con cui depilano le
rocce del centro storico… Saluto per l’ultima volta le incaute erbette che fanno capoccella
dai muri del vicolo all’altezza del selciato. C’è un piccolo ciuffo d’erba isolato su un muro
nudo, lo guardo e penso: ‘Vuoi vedere che si portano via anche te?’. Detto, fatto. Ecco le
Ma almeno voi avete delle radici ben custodite nella roccia e non ci metterete troppo a
Non c’è male per una tranquilla giornata infrasettimanale in un borgo sonnolento della
Sabina. Tutti sembrano posseduti dallo stesso demone: snidare la vita e farla fuori, con
grande dispiego di mezzi tecnologici efficienti, che dietro di loro lasciano una desolata scia
di vuoto e morte…
Ora accendo la radio pur sapendo che corro un grande rischio a collegarmi così
direttamente al Mondo… e infatti, eccoti subito la grande notizia che per testare chissà
quale molecola dello spermatozoo sono i poveri topi a doversi sobbarcare l’ingrato compito
Gli animali sono come gli schiavi ai tempi dei romani, sbeffeggiati e sviliti di default: un
quieto orrore in cui siamo immersi senza rendercene conto… i miei vicini hanno pezzi di
cadaveri di animali nel frigo e magari intere famiglie spezzettate nei congelatori, e mi sale
alla memoria l’immagine del dirimpettaio che torna dal suo “lavoro” con la borsa termica
naturale decomposizione, si distendono sui nostri piatti disegnando figure che magari
richiamano scene della loro vita troncata. Ma noi non le distinguiamo, ingurgitandoli
documentario… Nella realtà c’è chi per noi gli spara un colpo alla fronte al macello o li
estrae a tradimento dall’acqua con una rete: killer industriali che in tram ci siedono a
fianco, a volte con piccoli schizzi di sangue rimasti sui baveri o sull’orlo delle maniche,
sfuggiti a una frettolosa abluzione. E poi un iter da catena di montaggio, per cui il corpo con
zoccoli, corna e peli sparisce e fa posto a una massa gelatinosa rosea che finisce sotto i
riflettori ai supermercati e sui tavolacci da dissezione dei macellai. Oppure viene strizzata
e compressa negli insaccati come le nostre ave ottocentesche nelle stecche del busto…
Sono questi bravi padri di famiglia il mattone del nostro edificio sociale. Un condominio
tenebroso, in cui la gente perbene vive ignara (in trance) accanto al lager in cui si straziano
Alzo gli occhi dal computer alla finestra: su una delle canne che pianto nei vasi per
proteggere il mio orticello di rucola dai mici di passaggio per i tetti si è appollaiato un
passero: ha capito che sto scrivendo un messaggio agghiacciato in loro nome? Che
meraviglia, si scrolla e becchetta per pochi secondi che mi paiono un delizioso infinito e poi
della giornata: a sera mi aspetta infatti la solita cenetta vegan, preparata senza spargere
una goccia di sangue animale. Certo, i carnivori maligni a questo punto si chiedono se non ho
pietà anche per le piante strappate e sacrificate. Naturalmente vi sono vari livelli di
crudeltà da subire in ambito vegetale, il meglio è lasciare la pianta madre sana e salva dove
Dunque, raccogliere rappresenta un salvataggio. Poi ci sono le erbe tagliate come vari tipi di
verdura e insalate, le cui radici vengono lasciate a terra, e quindi continuano a vivere
collettivamente (questa è una mentalità che sfugge alla forma mentis individualistica del
carnivoro). E infine le piante a ciclo agricolo annuale che morirebbero anche se non
prelevate per il nostro desco. Insomma, le piante sembrano suggerire che stanno lavorando
per noi, e in parte per questo si sacrificano di buon grado. Dunque onore alla loro grandezza
d’animo, anche per l’altra sostanza salvavita che preparano in continuazione per noi:
l’ossigeno. Diversa cosa è strappare la vita a un animale che non è per nulla d’accordo e lo
dimostra correndo via disperato quando si trova su una scia predatoria… che geme in modo
Certo, gli animali da allevamento corrispondono agli schiavi che stranamente non si ribellano
alla loro condizione e hanno in qualche modo interiorizzato la sudditanza al prepotente, una
specie di trance ipnotica che continua a causare problemi psicosociali ai popoli di schiavi
millenario servaggio.
Sono a tavola finalmente a gustarmi due mandarini, un’insalata con le olive, gli spaghetti ai
cotte sotto la cenere. È tutto colorato e gustoso, gioioso e invitante. Ho acceso la tv, di
nuovo mi trovo in balia degli imprevedibili messaggi in arrivo dal Mondo che cerco il più
possibile di tenere fuori dalla porta della mia vita: sto guardando “Anno zero”… ed ecco
improvvisamente Celentano che canta su flash di famigerati reality show… non ci posso
credere: i “naufraghi” devono superare una prova raccapricciante, bere sangue di vacca e
dormire disgustata.
Si palpa con mano la sconsolante ricostruzione di Rifkin in Ecocidio: purtroppo viviamo nella
cultura (?) del dio Bistecca, che sta portando alla desertificazione il pianeta e le nostre
anime…
(3 dicembre 2008)
UNA MERAVIGLIOSA BIBLIOGRAFIA INTERNAUTICA (O QUASI)
http://www.nutritionecology.org/it/news/news_dett.php?id=593&
http://www.veganhome.it/vegetariani/lettera-aperta/
Marina Berati, Stefano Tettamanti, Diventa vegan in 10 mosse, Edizioni Sonda, Casale
http://arielveganfashion.blogspot.com/
È dopo aver letto la lettera aperta ai vegetariani di Marina Berati che ho iniziato a
documentarmi sulla scelta alimentare e di vita vegan… ero convinta che si trattasse di una
frangia estremistica e che essere vegetariani fosse sufficiente per nostra madre natura,
nel rispetto delle tradizioni culinarie locali (mi pareva che frittata, pandoro e mozzarella
fossero valori sacri e intoccabili…). La lettera, di una chiarezza esemplare tipica di chi
latte e uova, che noi vegetariani mangiamo pensando di non fare del male agli animali…
purtroppo non è così: il latte che beviamo è mescolato al sangue dei vitelli distaccati da
madre mucca poco tempo dopo il parto e i pulcini maschi vengono soppressi e tritati (i galli
non fanno uova…). E poi è venuto lo studio tedesco sull’impatto ambientale delle varie diete.
Sapevo già che la carne producesse un grave danno al nostro pianeta (da Rifkin, dal
Rapporto Fao), ma non sapevo che anche la dieta vegetariana fosse piuttosto pesante,
Sono grata alla lettera di Marina Berati che mi ha aperto gli occhi, e da allora sto cercando
di aprire anche quelli degli altri, che sono semplicemente imbambolati e disinformati, come
lo ero io stessa. Inoltre mi pareva un sacrificio eccessivo quello di privarsi dei cibi a base di
latte e uova, ma poi frequentando tanti allegri blog vegani mi si è aperto un universo, quello
della cucina senza sofferenza! Degli animali? No, anche di quella degli umani: riduzione
netta del rischio cardiologico, oncologico e diabetologico, vi pare poco? (Gli ospedali inglesi
hanno accolto il recente appello ONU per la riduzione della carne nelle diete!). Un mondo
vario e goloso, che non ha nulla da invidiare alle tradizioni culinarie che fanno soffrire i
nostri fratelli e sorelle animali, ma anche noi stessi attraverso tante malattie di origine
alimentare.
In particolare:
http://www.veganblog.it/
http://www.veruccia.blogspot.com/
http://www.veganriot.it/index.php
http://tippitappi-it.blogspot.com/
http://ilmondodipuccina.blogspot.com/
http://incucinaconvila.blogspot.com/
Questi splendidi cuochi amanti della vita, animali compresi, mi danno ogni giorno tante di
quelle idee che mi viene da ridere a pensare a quelli che vedono i vegan come tristi
mangiatori di due foglie di insalata e che dicono che cucinare verdure sarebbe bello ma è
troppo lungo e laborioso… per cui il commento “non sai che ti perdi” del carnivoro inveterato
Un’altra classica osservazione: sì, sarebbe bello ma la spesa vegan è troppo cara… mentre è
vero esattamente il contrario, mangiare vegan, eliminando carne, pesce, formaggi e uova
Ma quante scuse ancora vogliamo inventare per non renderci conto che la guerra agli animali
E per finire tanta simpatia ai ragazzi che fanno disturbo venatorio, organizzano tante altre
belle iniziative per la difesa dei nostri amici animali e vivono in una fattoria-comunità di
stampo bioregionale:
http://www.vallevegan.org/dblog/
Mariagrazia Pelaia
www.orecchioverde.ilcannocchiale.it
mgpelaia@gmail.com
Se io lavoro
Troppi, davvero troppi tra sentimenti e risentimenti, mi provoca il solo sentire la parola
"lavoro". E ne ho ben donde e con me l'Umanità intera.
L'etimologia stessa danna questa parola, lavoro viene da "laborare" e questo indicava, in
latino, lo stare male, per esempio, "laboro ex stomacho", mi duole tremendamente il ventre.
Per non dire delle assonanze che troviamo nelle altre lingue neolatine: travailler rimanda al
travaglio. Anche nei dialetti le cose non migliorano, nel mio, il napoletano, "'a fatica" non è
proprio una di quelle parole che inducano delizia. Lavorare, inteso nel senso biblico, dello
stillare copioso del sudore dalla fronte, non ha mai entusiasmato nessuno. "Dicette 'a
turdeja, quanno magno, m'arrecreo, dicette 'a cajazza, si nun fatiche te magne cazze,
rispunnette 'a pica :ah, quant'è mal'arte 'a fatica!" è un proverbio che mia madre mi ha
trasmesso e che non ho mai più dimenticato.
Non stupisca questo atavico, compenetrato nel linguaggio, insito e incrostato diffidare,
odiare il lavoro. Fino a non molti decenni orsono ,anche in Occidente, esisteva,
praticamente, la servitù della gleba e non dimentichiamo che per diversi miliardi di nostri
simili a un dollaro al giorno, in pratica siamo in pieno medioevo, ancora oggi.
Chiaro, qui si tratta del "lavoro nella pratica bioregionalista", ovvero di persone molto ben
motivate, un nugolo di individui, soli o in concorso tra loro che intendono con la propria
attività produrre cambiamenti negli stili di vita, nella consapevolezza che la nostra attività
quotidiana ha un impatto sul posto in cui viviamo, sulla nostra bioregione.
Qui si tratta di noi, fortunatissimi, che, in un modo o nell'altro, abbiamo potuto scegliere o
abbiamo strappato una scelta, con le unghie e con i denti.
"Se io lavoro è perchè non so che fare, perdere tempo vuol dir restare indietro, e se
potessi tornare a nascere un'altra volta, direi al Signore di darmi la forza del contadino,
chè non mi manca certo, la gioia di vivere, Primavera, estate, autunno, inverno, canto il
giorno della Terra in festa..." non, non sono versi miei, sono le Orme, gruppo progressive
italiano, a parte il "Signore" che io cambierei con Madre Terra, per il resto questa che è
anche una bella canzone, riesce a sintetizzare bene cosa potrebbe intendersi per "lavoro
nella pratica bioregionale".
Almeno, questo è certo, ciò che intendo io.
Lavorare all'interno dei cicli della natura, sentire le stagioni cambiare,
percepire lo sbocciare delle prime gemme, saper intuire dalle nubi l'arrivo della pioggia o
del sole.
Faccio l'orto, a casa mia e nella scuola dove insegno: da quando è partito questo progetto di
Orto di pace, è come se mi sentissi radicalmente cambiato. Pur non essendo un contadino a
tempo pieno, ho però ritrovato ritmi, i tempi della semina, della cura, del raccolto, del
riposare e lasciar riposare la terra.
Se poi, da questo Orto, cresce una coscienza, assieme alle insalate ed al mais biodiverso, la
mia gioia non può essere maggiore.
Scegliere la terra, sceglierla liberamente, assecondarne i movimenti, contribuire a
ridisegnare i propri spazi nel senso della bellezza: colori, profumi e forme, ciascuna nella
propria stagione, nella propria unicità e irripetibilità, questo è un bell'agire, un lavorare che
diventa esempio per altri.
Ho la fortuna di essere insegnante, di vivere in una valle, questa Valassina a 50 km da
Milano, ove scorre il Lambro pulito, sorvolato dagli aironi. Lavorare è tutt'uno con il mio
vivere, prima di entrare in classe non manco mai di dare un'occhiata all'orto.
Questo è felicità, non è più fatica, questi pomeriggi di febbraio che tutti assieme, con i
ragazzi, volontari, ridendo e scherzando e badando a non farci male con il forcone e i badili,
abbiamo concimato i nostri 300 metri quadri di terreno, andranno a sedimentarsi nel
ricordo come bei momenti, anche se ho dovuto urlare non poco, quando hanno cominciato a
tirarsi dietro le palle di cacca di pecora!!!
Si cresce anche così, dentro di me ero alle stelle: questi ragazzi li ho strappati alle
playstation, se non altro, ora essi sanno che "letizia" viene da letame, in latino e adesso più
che mai, è vero, mi son detto.
Teodoro Margarita Aula professori, Istituto Comprensivo "G. Segantini" Asso 5 marzo
2009, fuori, sull'orto, diluvia.
L’intervista di Terranauta a Giuseppe Moretti
NOTE PRATICHE:
Presentati brevemente (mi serve per l’introduzione al pezzo). Che ruolo hai all’interno del
bioregionalismo?
Sono Giuseppe Moretti e vivo nella Bioregione del Bacino Fluviale del Po, precisamente a
Portiolo, una piccola frazione di San Bendetto Po, in provincia di Mantova. Sono nato da
genitori contadini e io stesso sono contadino e conduco il piccolo podere che era dei miei
genitori. Coltivo biologicamente cereali, erba medica ( importante, per la rotazione delle
colture), ortaggi, un po’ di frutta, una piccola vigna, che in gran parte vendo direttamente al
consumatore finale. Ho iniziato a pubblicare Lato Selvatico alla fine del 1992, e nel 1996 ho
partecipato alla nascita della Rete Bioregionale Italiana. Il mio ruolo nella Rete e di esserne
il referente, inoltre tengo i contatti con il movimento bioregionale a livello internazionale.
Mi mandi un elenco dei siti principali di riferimento, dei libri che secondo te dovrei
segnalare?
Innanzitutto il blog della Rete: www.retebioregionale.ilcannocchiale.it Il sito di Planet
Drum www.planetdrum.com , e quello del movimento nordamericano www.bioregional-
congress.org . Un altro sito italiano dove trovare molte cose sul bioregionalsimo e
movimenti affini è: www.selvatici.wordpress.com
Per i libri, innanzitutto quelli della Rete:
*Etain Addey Una Gioia Silenziosa, Ellin Selae, 2003
*Gary Lawless Caribuddismo, Arcobaleno Fiammeggiante, 2000
*James Koller Vicino alle origini, Coyote Books, 2005
*Peter Berg Le Direttive post-Ambientaliste del Bioregionalismo, (pamphlet) Rete
Bioregionale, 2002
*Rete Bioregionale La Terra Racconta, Rete Bioregionale/AAM Terra Nuova, 1997
*Rete Bioregionale Selvatico e Coltivato, Stampa Alternativa, 2003
*Gary Snyder Ri-abitare nel Grande Flusso, Rete Bioregionale/Arianna editrice 2001
*Gary Snyder L’Isola della Tartaruga, Stampa Alternativa, 2004
*Gary Snyder Ritorno al Fuoco, Coniglio editore, 2008
*Giuseppe Moretti (a cura di) Per la Terra, Ellin Selae, 2007
*Giuseppe Moretti Bacini Fluviali della Mente (pamphlet), Coyote Books, 2006
E poi la nuova serie di pamphlet di Lato Selvatico “Libraria”
*Moretti/Greensfelder La Gente del Crinale, 2009
*Etain Addey Il Genio di Vallingegno, 2009
*Giuseppe Moretti Nel Lato Selvatico, 2009
*Giuseppe Moretti In Giro in Giro per Kitkitdizze con Gary Snyder, 2009
Lettera
Cari amici della Rete Bioregionale, come avete notato questo numero dei Quaderni vi arriva
con notevole ritardo, ce ne scusiamo: purtroppo la stesura dei Quaderni ha coinciso con il
nostro trasloco (doppio visto che per risolvere l’emergenza abbiamo anche occupato una
casa) Risolto il tutto abbiamo assemblato i pochi articoli arrivati.
Non abbiamo inserito contributi sul tema “lavoro” proprio perché questo cambiamento ha
scombussolato le nostre attività e non abbiamo ancora le idee chiare su come sarà il futuro.
Alcune cose però le vorremmo dire sui Quaderni e sulla Rete anche perché non abbiamo
ancora referenti per il prossimo numero (stessa situazione del C.I.R. di cui ho tenuto la
redazione dei primi tre numeri e degli ultimi tre).
I Quaderni erano partiti dall’incontro di Borgo Cerri, redazione itinerante e uscita
solstiziale, per tre anni sono usciti regolarmente: a volte sono stati dei buoni numeri altre
volte meno. Il numero degli abbonati e rimasto più o meno invariato cioè pochi … ( diciamo
anche che 10 euro per due numeri di 18 – 26 fogli sono forse troppi) questo anche perché
una redazione non dovrebbe “solo” aspettare gli articoli e assemblarli ma crearli: es.
l’intervista a Giuseppe Moretti ( e anche ad Etain Addey) fatta da Terranauta poteva
benissimo essere un lavoro della Rete. Forse potrò sembrare troppo fiducioso nei confronti
delle nuove tecnologie (internet) ma vorrei farvi un esempio pratico: ho redatto gli ultimi
tre numeri del C.I.R. e l’ho distribuito tramite blog, sito e forum di discussione…in totale ho
distribuito circa 2800 copie dei tre numeri e circa 400 degli allegati (orto sinergico e
manuali birra, sapone, patate) e nel tempo le copie scaricate aumentano costantemente.
Tutto questo a costo minimo (la connessione ad internet)
Sarebbe possibile fare altrettanto con i Quaderni.
Questa virtualizzazione del C.I.R. si è anche trasformata in rapporti di scambio e di
amicizia, da cui è venuta l’idea del Rural Network BIONIERI http://bionieri.ning.com
che dopo 3 mesi ha 130 membri e ad una rete di interscambio e informazione notevole.
Probabilmente la Rete Bioregionale dovrebbe avere più capacità di comunicazione (ogni
membro in pratica è la Rete) e i Quaderni potrebbero diventare il nostro “strumento di
comunicazione” cartaceo, informatico, scritto, raccontato … magari con una redazione
stabile, un sito gestito collettivamente, e con la capacità e la volontà di interloquire con gli
altri movimenti di ri/abitanti, quella moltitudine di cui trovate una dettagliata analisi nel
bel libro di PAUL HAWKEN “Moltitudine Inarrestabile” ( benedetta irrequietezza).
L’esempio migliore è WiserEarth ( http://www.wiserearth.org/ ) piattaforma gratuita che
riunisce decine di gruppi, associazioni, reti, ecovillaggi …ecc.
Insomma, propongo di fare un salto progettuale e comunicativo, alla Rete nel suo complesso
e ai singoli aderenti in maniera che ciascuno racconti e comunichi le sue storie ed
esperienze, i suoi progetti e le pratiche quotidiane tramite uno strumento come
Terranauta http://www.terranauta.it/ , per colmare il divario digitale tra chi ha accesso
ad Internet e chi no, ci sono i famosi “referenti”.
Certo che tutto questo non sostituisce i rapporti vis a vis, le ospitalità, gli scambi e gli
incontri ma non tutti abbiamo case come quelle di Etain o villaggi come Avalon, e molti di
quelli che si avvicinano al bioregionalismo, all’ecologia profonda, alla permacultura o
all’agricoltura naturale hanno vite normali, vivono in città piccole o grandi e svolgono lavori
subordinati. Ho amici che hanno iniziato a fare orti sul balcone, a coltivare fiori nelle aiuole
abbandonate, a sognare e progettare fughe dalla metropoli … a loro e a quelli che
diventeranno come loro vorrei portare le mie-nostre storie perché non è importante avere
tanti o pochi lettori, ascoltatori, ospiti, amici … importante che le nostre parole riescano a
stimolare la fantasia e la sensibilità di almeno “uno di loro”
Con uno spiegamento di forze senza precedenti per un problema tutto sommato piccolo sono state
sgombrate le case rurali occupate da decenni a Campanara e alle Pogge da persone che hanno effettuato la
manutenzione degli edifici evitandone il crollo e la perdita, che hanno realizzato orti con modalità
biologiche e orti sinergici, che allevano capre e pecore, che raccolgono erbe officinali.
Più di cento agenti tra polizia, carabinieri, forestale, vigili urbani, funzionari della Digos e della Comunità
Montana; con camionette, fuoristrada, escavatori, carpentieri, muratori, elicotteri uno dei quali ha girato
per buona parte della giornata sopra la valle di Campanara.
Bruciando in un giorno molte migliaia di euro prelevati dalle tasche dei cittadini, per mostrare i muscoli
del potere alle capre e ai boschi di Campanara. Una sceneggiata stupida prima ancora che insopportabile.
Si è così data attuazione all' ordinanza di sgombero che la sindaca Paola Cavini del centro destra (
"trombata" dagli elettori nelle elezioni della scorsa settimana in favore di un candidato sindaco espresso
da una lista unitaria di centro sinistra ) aveva emesso il 24 aprile 2009. Una ordinanza di sgombero
alquanto pretestuosa e con fragranza di illegittimità. Non si è aspettato nemmeno la scadenza dei tempi
per il ricorso al Tar o al presidente della Repubblica per motivi di legittimità, fissati nell' ordinanza.
Un ricorso che l' "Associazione Nascere Liberi per la rinascita di Campanara e dell' alta valle del Senio"
sta preparando con gli avvocati.
Del blitz non è stata avvisata nemmeno la regione Toscana, proprietaria degli immobili (demanio
regionale). Sono state sgombrate e chiuse cinque case rurali : Isola, Vallibona, la Villa, il Casone, il
Villetto. Per tutta la giornata alcuni degli abitanti di due di questi edifici - Casone e Villetto - sono saliti
sul tetto per esercitare il diritto di resistenza passiva e nonviolenta. Al tramonto, scesi gli abitanti dal tetto,
carabinieri, polizia e tutti gli altri se ne sono andati. Le case
sono state chiuse con lucchetti. non ci sono sigilli dell' autorità giudiziaria.
La lotta continua : molte realtà rurali, centri sociali, amiche e amici sono saliti ieri a Campanara e molte/i
ne saliranno sabato e domenica per un presidio pacifico e fattivo delle terre. L' Associazione presenterà il
ricorso.L' Associazione Nascere Liberi, che ha presentato un progetto di uso degli edifici e del territorio
(difesa della biodiversità, autosussistenza agricola e di piccolo allevamento, autorecupero con tecniche
bioedili, ripopolamento della montagna, raccolta di erbe, presidio sanitario di medicina naturale) fin dal
lontano 2004, chiede ora alla regione Toscana di passare ai fatti : la concessione diretta o il bando. l'
ostacolo degli occupanti ora non c'è più!
Noi resteremo sulla montagna per difendere il territorio dalle vendite/privatizzazioni, dalle rendite e da
usi impropri e per difendere la nostra voglia di costruire modalità di vita non subalterne al mercato.
Doveroso ringraziamento