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Quaderni di vita bioregionale

Solstizio d’estate 2009 n° 9

Tu sei l’ultima balena


Alla deriva su spiaggia lontana.
Le onde si infrangono su di te.
I tuoi fratelli e sorelle sono scomparsi.
La luce è troppo forte per i tuoi occhi.
Non riesci a respirare.
Dei piccoli bambini ti lanciano sassi ridendo,
si arrampicano sul tuo corpo.
Muori sola, le tue orecchie piene di vento.

Tu sei l’ultimo bufalo.


Il sole sta tramontando sulle pianure.
Sei immobile, enorme
Pesante di pelliccia, solo.
Sei stanco di correre,
stanco di correre.
Tutti i tuoi amici sono scomparsi.
Sembra persino che la terra si sia messa contro di te.
Non c’è nessuno da salutare.
Riposi, ascoltando il vento.

Quando il tempo è giusto


lo spirito del lupo ritorna

Gary Lawlees

Supplemento a Stampa Alternativa, registrato al Tribunale di Roma


n. 276 in data 1983 Direttore responsabile Marcello Baraghini
Una bella giornata di lavoro... bioregionale
Ultimamente al Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili (siamo a circa 40 km da Roma,
tra montagne calcaree, grandi faggete, il “ritorno” dei lupi da quando nel 1989, istituito il
parco, fu chiusa la caccia, tanti uliveti e piccoli paesi con caratteristici centri storici),
abbiamo ideato molti lavori che riguardano le bambine e i bambini delle scuole, gli adulti, gli
anziani e le persone diversamente abili. Chi ci stimola tanto è finalmente un Presidente di
parco, Paolo, mio caro amico, ambientalista per passione e convinzione.
Io coordino l’ufficio che si occupa di educazione ambientale e, questa è la mia visione, della
crescita della coscienza ecologica della popolazione del parco. Oggi è stata una bella
giornata di pratica bioregionale nel territorio dove abito insieme alle altre persone che
lavorano con me.
Silvano è andato a Castiglione, vicino a Palombara Sabina, dove cura, insieme a Paola, la
naturalista del parco, un progetto di apicultura biologica e già il primo miele prodotto è
molto buono e lo spalmiamo, alle feste del parco, sul pane che io faccio tutti i sabati
nell’antico forno a legna di Moricone, dove abito, ancora funzionante grazie all’opera
instancabile di un’anziana fornaia. A Castiglione ci sono delle rovine di un antico paese
fortificato e una persona del posto, un altro amico, Renzo, fra pochi giorni inaugurerà
un’area attrezzata per le visite che ha predisposto in un suo bell’uliveto lì vicino. Un bel
modo eco-compatibile per utilizzare un terreno privato nel parco.
Aldo e Patrizia invece sono andati in una piccola scuola locale, a Borgo S. Maria di
Montelibretti, per curare l’orto biologico scolastico con gli insegnanti (tra cu l’amico
Filippo) e le bambine e i bambini. Si tratta del progetto “Orto in Condotta” realizzato in
collaborazione con l’Agenzia Regionale per i Parchi del Lazio e Slow Food, abbiamo otto orti
nelle scuole del parco e i primi frutti cominciano ad arrivare sulle tavole, fave, insalata,
ravanelli… Cercheremo di far comprendere a tutti l’importanza dell’alimentazione sana,
biologica e vegetariana. E ci proviamo anche grazie a una mia canzone, composta a partire
da un testo di Mariagrazia “La ballata dell’orto” che in questi giorni stanno imparando a
cantare oltre 600 bambine e bambini.
Giuseppina ha “lavorato” a Poggio Moiano, il suo paese natale, e ha accompagnato degli
escursionisti a fare una passeggiata nel parco tra la montagna e alcuni antichi e bellissimi
fontanili che lei stessa ha riscoperto e recuperato. Poi è stata alla scuola elementare per
una lezione sulla pasta, uno dei nostri migliori laboratori didattici dove parliamo di
agricoltura biologica, del grano e del farro, la farina, e poi a volte si fa il pane o la pasta in
classe e tutti sono contenti… Nel frattempo si è occupata di trovare un pullmino per far
arrivare da Roma le bambine e i bambini e le insegnanti della scuola Montessori del
quartiere di S. Lorenzo, proprio la scuola dove negli anni ’20 Maria Montessori iniziò il suo
famoso lavoro pedagogico “dalla parte dei bambini”. Sarà un grande onore per noi ospitare
queste belle persone.
Donatella invece è rimasta a Licenza, nella bellissima vallata dell’omonimo fiume, dove cura
il “Giardino dei Cinque Sensi”, un’area attrezzata “per tutti”, un bel giardino botanico dove
possono camminare i non vedenti e chi è in carrozzina trova delle aiuole alla sua altezza per
poter odorare le piante aromatiche locali. E poi c’è il Centro Visita del Parco, il fosso
Marricella che scende impetuoso dalla montagna e la splendida vista sulle rupi dove nidifica
una coppia di aquila reale. Alla fine della giornata è passata alla scuola elementare dove
stiamo organizzando l’annuale convegno “La parola ai bambini e ai poeti” dedicato a Gianni
Rodari e a dare voce a coloro che ne sanno più di tutti su come bisognerebbe vivere
orientati dalla selvaticità e in modo ecologicamente sostenibile.
E io? La mia pratica di lavoro bioregionale si è svolta dall’alba al tramonto, tra il
coordinamento di tutte le nostre attività e varie pratiche tecnico-amministrative a
Moricone, dove ha sede il mio ufficio, un incontro con Luigi, l’amico Direttore a Palombara
Sabina, dove ha sede l’Ente parco, e anche una bella lezione di musica eco-pacifista a
Montorio Romano con bambine e bambine della scuola materna e la prima elementare. Sto
preparando uno dei quattro Cori dell’Orecchio Verde dedicati alle poesie e filastocche eco-
pacifiste di Gianni Rodari che prossimamente canteranno a Roma al Festival “La torta in
Cielo” (dal titolo di una famosa poesia del poeta) che ho organizzato insieme ad altri amici,
Giulio, Rosa, Maria Cristina, Giordana e Gemma dell’Associazione Epicurea, un modo
divertente e gioioso per insegnare la pace, la solidarietà e l’amore per la natura.
Una giornata impegnativa ma che mi fa tornare la sera a casa soddisfatto e contento di
ritrovare Mariagrazia che nel frattempo, oltre a lavorare alle sue traduzioni e scrivere
belle poesie, ha preparato una gustosa cena vegana…
Ultimamente ogni giorno è più o meno così intenso di attivià, una bella fatica ma ne vale la
pena, per tutti noi, il territorio dove viviamo e il Parco dei Monti Lucretili che lo protegge.
Chissà, magari fra trecento anni le future generazioni saranno riuscite finalmente a vivere
in pace sul pianeta, in maniera ecologica e orientata dalla selvaticità e forse qualcuno si
ricorderà ancora con affetto di noi…

Stefano Panzarasa
Per contatti e per ascoltare La ballata dell’orto in mp3, scrivere a:
bassavalledeltevere@alice.it
www.orecchioverde.ilcannocchiale.it

La Ballata dell’Orto
Seminare, seminare
zappettare, concimare.
Viva, viva l’orto a scuola!
Su e giù con la carriola.

La maestra porta i semi


e dà il titolo dei temi:
mangia sano, mangia bio,
dillo a mamma, papà e zio!

Quando nasce il pomodoro


noi cantiamo tutti in coro,
quando cresce l’insalata
balli tutta la serata!

Raccogliere, raccogliere
cucinare, conservare.
Guarda dove sta la luna,
se ti può portar fortuna.

Compostare, compostare,
innaffiare, pacciamare.
Un menù vegetariano,
questo è il compito più sano.

La signora di Slow Food


parla come Robin Hood!
Se la terra vuoi salvare
la verdura hai da mangiare.

Quando nasce…
Raccogliere…

Viva, viva l’orto a scuola!


Viva, viva l’orto a scuola!
Giro, giro, girotondo
e così salviamo il mondo.
Giro, giro, girotondo
e così salviamo il mondo…
Mariagrazia Pelaia
UN QUIETO ORRORE E UNA MERAVIGLIOSA BIBLIOGRAFIA
INTERNAUTICA (O QUASI)

UN QUIETO ORRORE

Un colpo secco. Poi un altro. Un tuffo al cuore mentre sto ancora dormendo, nell’ora in cui

la notte e il giorno sono uniti in un abbraccio indistinto. Quei colpi sono la sveglia mattutina:

segnalano che per me inizia un’altra giornata, mentre finisce quella di qualche gentile

creatura alata o con la coda, impallinata dai cacciatori fuori dal paese.

Inesorabili, ogni mattina sfruttabile del calendario venatorio mi traggono dal sonno e mi

riempiono di pensieri sulla stupida spietatezza del mondo…

Allora cerco di aiutare quei poveri animali, disturbati nell’affannosa ricerca di cibo e di

vita, inviando a un’invisibile divinità in ascolto le mie preghiere: “Tornatevene a casa, a fare

cose più serie! O Madre terra proteggi i poveri animali che capitano a tiro a questi freddi

cecchini! Che vergogna, mentre i supermercati sono pieni di animali morti in attesa di

qualcuno che li compri e dia un senso al loro sacrificio! Ma Stefano mi ha raccontato che

Latouche ieri a una conferenza alla Sapienza ha riferito che il trenta per cento della carne

sul mercato viene buttata via, sia per ragioni di scadenza, sia per semplice capriccio di

spreco…”.

Silenzio. Forse la telepatia dissuasiva sta funzionando. Mi riappisolo con un solo occhio.

Pum! Un altro colpo… e poi altri quattro, cinque, dieci, che salgono alla rinfusa dalla valle

fino al mio letto…


E ad ognuno invio il messaggio augurale che le vittime designate siano riuscite a sfuggire ai

loro ridicoli carnefici con calosce e tute mimetiche, che si espongono a ogni intemperie pur

di dare sfogo a una diabolica libidine.

Allora riprendo: “Ma nessuno vi ha detto che ‘la caccia è un affare di morte che genera

morte’? Così raccontava uno stregone africano che era un cacciatore provetto, ma quando

di sedici figli gliene erano rimasti solo cinque o sei si rese conto che stava pagando un

debito ben salato al mondo selvatico! Ha smesso di andare a caccia, decidendo di espiare

con il servizio sacerdotale. Ma figurati se questi bifolchi hanno mai letto Il dio d’acqua di

Marcel Griaule… O Dea natura fagli venire voglia di tornarsene a casa a dare una mano a chi

lavora per il sostentamento delle loro famiglie… e che spendano i soldi per cose importanti

e non per passatempi da becchini! Eppure in Italia c’è la legge 626 che non ammette la

libera strafottenza con le armi al collo e in casa… gli incidenti di caccia sono in proporzione

più alti di quelli sul lavoro…”.

Forse stavolta ce l’ho fatta… non si sente più nulla, un silenzio carico di apprensione…

Rientra in casa Cirino e dopo la lauta colazione di croccantini eccolo adagiarsi con le

zampette sui miei polpacci… “Beh, almeno tu sei al sicuro dalla furia omicida di questa

specie subumana”. E Cirino risponde con tenere fusa… “Anche tu sei un cacciatore, ma non

certo così spietato come quei signori là fuori, che hanno le dispense piene di cibo”.

Per fortuna ci sono gruppi di giovani che praticano il disturbo venatorio, hanno davvero un

grande coraggio ad andare disarmati a passeggiare fra tante doppiette fumanti, con

grilletti che non chiedono altro che di essere abbassati… Seguo le loro imprese eroiche in

rete. Sono una speranza per il nostro futuro.

Ancora un’oretta di sonno per cercare di cominciare in un altro modo la giornata, magari

uscendo da un bel sogno. Poi la colazione pronta e fumante, i libri già aperti accanto a una

fetta di torta di mesquite del seri, una farina sudamericana che mi ha portato il mio tesoro

dal Salone del gusto, tutto sembra propiziare un momento di pace e tranquillità… Ma come

una mitragliatrice inceppata ecco l’urlo meccanico del decespugliatore con cui depilano le

rocce del centro storico… Saluto per l’ultima volta le incaute erbette che fanno capoccella

dai muri del vicolo all’altezza del selciato. C’è un piccolo ciuffo d’erba isolato su un muro
nudo, lo guardo e penso: ‘Vuoi vedere che si portano via anche te?’. Detto, fatto. Ecco le

implacabili lame rotanti…

Ma almeno voi avete delle radici ben custodite nella roccia e non ci metterete troppo a

riemergere, più verdi e lucenti di prima.

Non c’è male per una tranquilla giornata infrasettimanale in un borgo sonnolento della

Sabina. Tutti sembrano posseduti dallo stesso demone: snidare la vita e farla fuori, con

grande dispiego di mezzi tecnologici efficienti, che dietro di loro lasciano una desolata scia

di vuoto e morte…

Ora accendo la radio pur sapendo che corro un grande rischio a collegarmi così

direttamente al Mondo… e infatti, eccoti subito la grande notizia che per testare chissà

quale molecola dello spermatozoo sono i poveri topi a doversi sobbarcare l’ingrato compito

per noi. Queste sono le liete novelle diffuse da Radio3 Scienza…

Gli animali sono come gli schiavi ai tempi dei romani, sbeffeggiati e sviliti di default: un

quieto orrore in cui siamo immersi senza rendercene conto… i miei vicini hanno pezzi di

cadaveri di animali nel frigo e magari intere famiglie spezzettate nei congelatori, e mi sale

alla memoria l’immagine del dirimpettaio che torna dal suo “lavoro” con la borsa termica

piena di pesci morti… cadaveri invenduti.


Poi mascherati dagli intingoli questi corpi, che grazie al gelo hanno interrotto il processo di

naturale decomposizione, si distendono sui nostri piatti disegnando figure che magari

richiamano scene della loro vita troncata. Ma noi non le distinguiamo, ingurgitandoli

indifferenti. Poi ci commuoviamo se ci presentano le loro vite in un film o in un

documentario… Nella realtà c’è chi per noi gli spara un colpo alla fronte al macello o li

estrae a tradimento dall’acqua con una rete: killer industriali che in tram ci siedono a

fianco, a volte con piccoli schizzi di sangue rimasti sui baveri o sull’orlo delle maniche,

sfuggiti a una frettolosa abluzione. E poi un iter da catena di montaggio, per cui il corpo con

zoccoli, corna e peli sparisce e fa posto a una massa gelatinosa rosea che finisce sotto i

riflettori ai supermercati e sui tavolacci da dissezione dei macellai. Oppure viene strizzata

e compressa negli insaccati come le nostre ave ottocentesche nelle stecche del busto…

Sono questi bravi padri di famiglia il mattone del nostro edificio sociale. Un condominio

tenebroso, in cui la gente perbene vive ignara (in trance) accanto al lager in cui si straziano

le vite di creature che hanno solo sbagliato la forma in cui nascere…

Alzo gli occhi dal computer alla finestra: su una delle canne che pianto nei vasi per

proteggere il mio orticello di rucola dai mici di passaggio per i tetti si è appollaiato un

passero: ha capito che sto scrivendo un messaggio agghiacciato in loro nome? Che

meraviglia, si scrolla e becchetta per pochi secondi che mi paiono un delizioso infinito e poi

frulla via… che tu possa sfuggire agli umani!

Il pomeriggio lo trascorro immersa nel lavoro al computer, speranzosa in un sereno epilogo

della giornata: a sera mi aspetta infatti la solita cenetta vegan, preparata senza spargere

una goccia di sangue animale. Certo, i carnivori maligni a questo punto si chiedono se non ho

pietà anche per le piante strappate e sacrificate. Naturalmente vi sono vari livelli di

crudeltà da subire in ambito vegetale, il meglio è lasciare la pianta madre sana e salva dove

si trova, raccogliendone soltanto i frutti, la parte cioè espressamente prodotta per il

consumo alimentare, che altrimenti non utilizzata deperirebbe e rinsecchirebbe invano.

Dunque, raccogliere rappresenta un salvataggio. Poi ci sono le erbe tagliate come vari tipi di

verdura e insalate, le cui radici vengono lasciate a terra, e quindi continuano a vivere

collettivamente (questa è una mentalità che sfugge alla forma mentis individualistica del

carnivoro). E infine le piante a ciclo agricolo annuale che morirebbero anche se non

prelevate per il nostro desco. Insomma, le piante sembrano suggerire che stanno lavorando
per noi, e in parte per questo si sacrificano di buon grado. Dunque onore alla loro grandezza

d’animo, anche per l’altra sostanza salvavita che preparano in continuazione per noi:

l’ossigeno. Diversa cosa è strappare la vita a un animale che non è per nulla d’accordo e lo

dimostra correndo via disperato quando si trova su una scia predatoria… che geme in modo

straziante una volta ferito, e sanguina come noi...

Certo, gli animali da allevamento corrispondono agli schiavi che stranamente non si ribellano

alla loro condizione e hanno in qualche modo interiorizzato la sudditanza al prepotente, una

specie di trance ipnotica che continua a causare problemi psicosociali ai popoli di schiavi

affrancati, come gli afroamericani e gli afrobrasiliani, o come le donne liberate da un

millenario servaggio.

Sono a tavola finalmente a gustarmi due mandarini, un’insalata con le olive, gli spaghetti ai

cinque cereali con foglie di puntarelle all’agro-piccante e un’insalata di patate e cipolle

cotte sotto la cenere. È tutto colorato e gustoso, gioioso e invitante. Ho acceso la tv, di

nuovo mi trovo in balia degli imprevedibili messaggi in arrivo dal Mondo che cerco il più

possibile di tenere fuori dalla porta della mia vita: sto guardando “Anno zero”… ed ecco

improvvisamente Celentano che canta su flash di famigerati reality show… non ci posso

credere: i “naufraghi” devono superare una prova raccapricciante, bere sangue di vacca e

mangiare un occhio di bue… Di nuovo sommersa da un quieto, domestico orrore… vado a

dormire disgustata.

Si palpa con mano la sconsolante ricostruzione di Rifkin in Ecocidio: purtroppo viviamo nella

cultura (?) del dio Bistecca, che sta portando alla desertificazione il pianeta e le nostre

anime…

(3 dicembre 2008)
UNA MERAVIGLIOSA BIBLIOGRAFIA INTERNAUTICA (O QUASI)

per riflettere un po’ e trasformare la tavola in luogo di pratica bioregionale

Studio tedesco conferma la superiorità ecologica della dieta vegan|31/08/2008

http://www.nutritionecology.org/it/news/news_dett.php?id=593&

Lettera aperta ai vegetariani di Marina Berati

http://www.veganhome.it/vegetariani/lettera-aperta/

Un libro con una bella introduzione al veganismo

Marina Berati, Stefano Tettamanti, Diventa vegan in 10 mosse, Edizioni Sonda, Casale

Monferrato 2005 (contiene anche la lettera di cui sopra).

Un sito di cultura vegan varia

http://arielveganfashion.blogspot.com/

È dopo aver letto la lettera aperta ai vegetariani di Marina Berati che ho iniziato a

documentarmi sulla scelta alimentare e di vita vegan… ero convinta che si trattasse di una

frangia estremistica e che essere vegetariani fosse sufficiente per nostra madre natura,
nel rispetto delle tradizioni culinarie locali (mi pareva che frittata, pandoro e mozzarella

fossero valori sacri e intoccabili…). La lettera, di una chiarezza esemplare tipica di chi

comunica dei fatti e vuole informare, mi ha incuriosito e mi ha spinto a ulteriori ricerche su

latte e uova, che noi vegetariani mangiamo pensando di non fare del male agli animali…

purtroppo non è così: il latte che beviamo è mescolato al sangue dei vitelli distaccati da

madre mucca poco tempo dopo il parto e i pulcini maschi vengono soppressi e tritati (i galli

non fanno uova…). E poi è venuto lo studio tedesco sull’impatto ambientale delle varie diete.

Sapevo già che la carne producesse un grave danno al nostro pianeta (da Rifkin, dal

Rapporto Fao), ma non sapevo che anche la dieta vegetariana fosse piuttosto pesante,

soprattutto nella versione non bio.

Sono grata alla lettera di Marina Berati che mi ha aperto gli occhi, e da allora sto cercando

di aprire anche quelli degli altri, che sono semplicemente imbambolati e disinformati, come

lo ero io stessa. Inoltre mi pareva un sacrificio eccessivo quello di privarsi dei cibi a base di

latte e uova, ma poi frequentando tanti allegri blog vegani mi si è aperto un universo, quello

della cucina senza sofferenza! Degli animali? No, anche di quella degli umani: riduzione

netta del rischio cardiologico, oncologico e diabetologico, vi pare poco? (Gli ospedali inglesi

hanno accolto il recente appello ONU per la riduzione della carne nelle diete!). Un mondo

vario e goloso, che non ha nulla da invidiare alle tradizioni culinarie che fanno soffrire i

nostri fratelli e sorelle animali, ma anche noi stessi attraverso tante malattie di origine

alimentare.

In particolare:

http://www.veganblog.it/

http://www.veruccia.blogspot.com/

http://www.veganriot.it/index.php

http://tippitappi-it.blogspot.com/

http://ilmondodipuccina.blogspot.com/

http://incucinaconvila.blogspot.com/

Questi splendidi cuochi amanti della vita, animali compresi, mi danno ogni giorno tante di

quelle idee che mi viene da ridere a pensare a quelli che vedono i vegan come tristi

mangiatori di due foglie di insalata e che dicono che cucinare verdure sarebbe bello ma è
troppo lungo e laborioso… per cui il commento “non sai che ti perdi” del carnivoro inveterato

può essere rispedito al mittente con gli interessi…

Un’altra classica osservazione: sì, sarebbe bello ma la spesa vegan è troppo cara… mentre è

vero esattamente il contrario, mangiare vegan, eliminando carne, pesce, formaggi e uova

vuol dire risparmiare.

Vuoi risparmiare? Mangia vegan: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=609

Ma quante scuse ancora vogliamo inventare per non renderci conto che la guerra agli animali

è la più lunga e sanguinosa fra quelle dichiarate informalmente dall’umanità?

E per finire tanta simpatia ai ragazzi che fanno disturbo venatorio, organizzano tante altre

belle iniziative per la difesa dei nostri amici animali e vivono in una fattoria-comunità di

stampo bioregionale:

http://www.vallevegan.org/dblog/

Mariagrazia Pelaia

www.orecchioverde.ilcannocchiale.it

mgpelaia@gmail.com
Se io lavoro

Troppi, davvero troppi tra sentimenti e risentimenti, mi provoca il solo sentire la parola
"lavoro". E ne ho ben donde e con me l'Umanità intera.
L'etimologia stessa danna questa parola, lavoro viene da "laborare" e questo indicava, in
latino, lo stare male, per esempio, "laboro ex stomacho", mi duole tremendamente il ventre.
Per non dire delle assonanze che troviamo nelle altre lingue neolatine: travailler rimanda al
travaglio. Anche nei dialetti le cose non migliorano, nel mio, il napoletano, "'a fatica" non è
proprio una di quelle parole che inducano delizia. Lavorare, inteso nel senso biblico, dello
stillare copioso del sudore dalla fronte, non ha mai entusiasmato nessuno. "Dicette 'a
turdeja, quanno magno, m'arrecreo, dicette 'a cajazza, si nun fatiche te magne cazze,
rispunnette 'a pica :ah, quant'è mal'arte 'a fatica!" è un proverbio che mia madre mi ha
trasmesso e che non ho mai più dimenticato.
Non stupisca questo atavico, compenetrato nel linguaggio, insito e incrostato diffidare,
odiare il lavoro. Fino a non molti decenni orsono ,anche in Occidente, esisteva,
praticamente, la servitù della gleba e non dimentichiamo che per diversi miliardi di nostri
simili a un dollaro al giorno, in pratica siamo in pieno medioevo, ancora oggi.
Chiaro, qui si tratta del "lavoro nella pratica bioregionalista", ovvero di persone molto ben
motivate, un nugolo di individui, soli o in concorso tra loro che intendono con la propria
attività produrre cambiamenti negli stili di vita, nella consapevolezza che la nostra attività
quotidiana ha un impatto sul posto in cui viviamo, sulla nostra bioregione.
Qui si tratta di noi, fortunatissimi, che, in un modo o nell'altro, abbiamo potuto scegliere o
abbiamo strappato una scelta, con le unghie e con i denti.
"Se io lavoro è perchè non so che fare, perdere tempo vuol dir restare indietro, e se
potessi tornare a nascere un'altra volta, direi al Signore di darmi la forza del contadino,
chè non mi manca certo, la gioia di vivere, Primavera, estate, autunno, inverno, canto il
giorno della Terra in festa..." non, non sono versi miei, sono le Orme, gruppo progressive
italiano, a parte il "Signore" che io cambierei con Madre Terra, per il resto questa che è
anche una bella canzone, riesce a sintetizzare bene cosa potrebbe intendersi per "lavoro
nella pratica bioregionale".
Almeno, questo è certo, ciò che intendo io.
Lavorare all'interno dei cicli della natura, sentire le stagioni cambiare,
percepire lo sbocciare delle prime gemme, saper intuire dalle nubi l'arrivo della pioggia o
del sole.
Faccio l'orto, a casa mia e nella scuola dove insegno: da quando è partito questo progetto di
Orto di pace, è come se mi sentissi radicalmente cambiato. Pur non essendo un contadino a
tempo pieno, ho però ritrovato ritmi, i tempi della semina, della cura, del raccolto, del
riposare e lasciar riposare la terra.
Se poi, da questo Orto, cresce una coscienza, assieme alle insalate ed al mais biodiverso, la
mia gioia non può essere maggiore.
Scegliere la terra, sceglierla liberamente, assecondarne i movimenti, contribuire a
ridisegnare i propri spazi nel senso della bellezza: colori, profumi e forme, ciascuna nella
propria stagione, nella propria unicità e irripetibilità, questo è un bell'agire, un lavorare che
diventa esempio per altri.
Ho la fortuna di essere insegnante, di vivere in una valle, questa Valassina a 50 km da
Milano, ove scorre il Lambro pulito, sorvolato dagli aironi. Lavorare è tutt'uno con il mio
vivere, prima di entrare in classe non manco mai di dare un'occhiata all'orto.
Questo è felicità, non è più fatica, questi pomeriggi di febbraio che tutti assieme, con i
ragazzi, volontari, ridendo e scherzando e badando a non farci male con il forcone e i badili,
abbiamo concimato i nostri 300 metri quadri di terreno, andranno a sedimentarsi nel
ricordo come bei momenti, anche se ho dovuto urlare non poco, quando hanno cominciato a
tirarsi dietro le palle di cacca di pecora!!!
Si cresce anche così, dentro di me ero alle stelle: questi ragazzi li ho strappati alle
playstation, se non altro, ora essi sanno che "letizia" viene da letame, in latino e adesso più
che mai, è vero, mi son detto.

In fondo alla pagina, in caratteri più piccoli:

Trad. del proverbio napoletano: "Disse il tordo, quando mangio, mi delizio,


disse la gazza, se non fatichi, non mangi un cazzo. Rispose la pica, che cattiva arte, la
fatica."

Teodoro Margarita Aula professori, Istituto Comprensivo "G. Segantini" Asso 5 marzo
2009, fuori, sull'orto, diluvia.
L’intervista di Terranauta a Giuseppe Moretti

Giuseppe Moretti, che cos’è, in parole povere, il Bioregionalismo?


È la possibilità di rinnovare la nostra cittadinanza nella Terra, attraverso uno stile di
vita che tenga conto della necessità e del diritto per tutti: umani e non-umani, di vivere una
vita dignitosa e significativa.
Quali sono i suoi principi fondanti?
Che la terra è un organismo vivente organizzato in bioregioni. Le bioregioni sono le
regioni naturali della terra, luoghi definiti per continuità di flora e di fauna o per interezza
fluviale, grandi a sufficienza da sostenere un’ampia e complessa comunità di esseri viventi.
L’uomo è parte integrante di tutto questo ma non il suo signore e padrone. Il
bioregionalismo non è una ideologia ma una attitudine di buon senso e di umiltà di fronte
all’evidente divario tra la mente dell’umanità e la mente della natura, la cui complessità e
meccanismi sono di gran lunga più complessi e misteriosi di quanto l’uomo, nella sua
presunzione, pensa di conoscere e pretende di voler guidare. L’idea bioregionale è
l’occasione di re-impostare il nostro ruolo sulla terra in termini di rispetto, reciprocità e
uguaglianza, nei confronti del Tutto.
Quando ha attecchito in Italia e con che risultati?
L’idea bioregionale è arrivata in Italia a metà degl’anni ’80, per merito del gruppo che
faceva capo al giornale AAM Terra Nuova. Dopo alcune stagioni fervide e proficue
l’interesse è scemato ed è stato poi ripreso all’inizio degl’anni ’90 da Lato Selvatico.
Successivamente ha avuto un rafforzamento grazie alla formazione della Rete Bioregionale
Italiana, che, è bene dirlo, non è una organizzazione strutturata in modo convenzionale, ma
piuttosto una aggregazione informale, nel senso che non ci sono direttori, dirigenti e
ragionieri, ma attivisti, che nel loro luogo-bioregione si impegnano nella pratica e nella
diffusione del concetto. Perciò la Rete Bioregionale esiste ed esiterà fintanto che c’è chi ci
crede e condivide il comune sentire di essere parte di un insieme di relazioni che include sì
tutti i nostri simili, ma anche, come dice Etain Addey, tutti i nostri parenti: quelli con le ali,
quelli a quattro zampe, quelli che nuotano e quelli che strisciano. Questo modo di
procedere, naturalmente, non ha portato a grandi numeri in termini di visibilità, ma sempre
più persone ci contattano, soprattutto giovani, e partecipano ai nostri incontri e iniziative.
Abbiamo creato anche un nuovo giornale “Quaderni di vita bioregionale” (con una redazione
itinerante così da coinvolgere quante più voci possibili) che si alterna a Lato Selvatico, il
primo esce ai solstizi, il secondo agli equinozi.
Quante persone praticano la filosofia bioregionalista?
In Italia i numeri sono quelli che ho accennato poc’anzi, anche se molti di fatto sono
bioregionalisti senza saperlo. A livello mondiale il movimento è molto più ampio, negli Stati
Uniti, dove ebbe inizio, un “Directory” pubblicato da Planet Drum nel 1994 contava più di
250 gruppo. In Messico il movimento è molto attivo, così come in Canada e in altre parti del
Sud America. E non sono da meno in Australia, Asia ed Europa. Il fatto che non se ne sente
parlare tanto sta nell’attitudine dei bioregionalisti di badare al sodo, all’ agire più che
apparire. Il movimento bioregionale è un movimento rizomatoso, nel senso che ama
propagarsi seguendo i ritmi e i modelli della natura più di quelli offerti dalla società.
Tu come ne sei venuto a conoscenza?
Appartengo alla cosiddetta generazione degl’anni ’60, e da allora non ho mia smesso di
interessarmi e di scrutare le idee dei movimenti alternativi, che in quegl’anni si
succedevano in maniera quasi vorticosa. Conobbi l’idea bioregionale quando avevo già scelto
di ritornare alla terra, dopo una parentesi di lavoro dipendente in città, e fu leggendo il
trimestrale californiano CoEvolution Quarterly (gli stessi del famoso “Whole Earth
Catalog”), che nel 1981 dedicò uno speciale sul bioregionalismo. Per me fu un grande sollievo
e incoraggiamento a proseguire nel cammino intrapreso. Poi, conobbi personalmente i
precursori di questo movimento: Peter Berg e sua moglie Judy Golhaft, Freeman House,
James Koller, Gary Lawless, Nanao sakaki e Gary Snyder, ed iniziai a pubblicare Lato
Selvatico.
Che cosa significa ri-abitare un territorio e perché qualcuno oggi dovrebbe farlo?
Ri-abitare significa vedere se stessi e il proprio luogo con occhi nuovi, significa
percepire l’importanza di vivere in un ambiente sano e diversificato, significa finalmente
comprendere che dalla salute delle acque, dei boschi e del mondo animale dipende la nostra
stessa salute, significa capire che il diritto di libertà e giustizia sociale dei popoli dipende
la nostra stessa libertà e giustizia .
Ogni cosa è connessa l’una all’altra su questa terra. Il ciclo dell’acqua fa della terra un
unico grande bacino idrografico, e il bacino idrografico in cui viviamo (tutti viviamo in uno di
essi) è il contesto della nostra pratica—ricordo che un bacino idrografico è di fatto una
bioregione e viceversa. Prendersi cura del proprio bacino idrografico, della propria
bioregione, significa quindi prendersi le proprie responsabilità, qui e ora, di fronte ai
problemi che sono oramai su scala globale, ecco perché oggi è importante ri-abitare la
terra in senso bioregionale.
Appartenere alla rete bioregionalista significa rifiutare la modernità?
Il mondo moderno è il mondo in cui viviamo e quindi, che lo si voglia o no, non lo si più
rifiutare, ma possiamo scegliere. Possiamo scegliere di scaldare l’acqua con la legna o con i
pannelli solari, piuttosto che l’energia fossile; possiamo scegliere di coltivarci parte del
nostro cibo o acquistarlo da produttori ecologicamente consapevoli e liberi dagli ingranaggi
speculativi globali, piuttosto che dalla grande distribuzione; possiamo scegliere di ignorare
le mode e comprare solo le cose di cui abbiamo effettivamente bisogno, piuttosto di essere
succubi di un sistema che fa del consumismo la propria ragione di essere.
Insomma, quello che dobbiamo fare è andare oltre la modernità e recuperare il buon
senso, che peraltro la natura selvatica ci insegna in ogni momento, e cioè: consumare senza
sprecare, produrre senza distruggere, vivere e lasciar vivere.
E la tecnologia?
Da quando l’uomo ha imparato a scheggiare le rocce per ricavarne punte di lancia, la
tecnologia non ci ha mai lasciato. Oggi viviamo in un mondo drogato di tecnologia, inventata
più per soddisfare le smanie di un mondo iperconsumista, che da reali necessità di vita. La
tecnologia di per sé è neutra, è il modo in cui viene usata che spesso è sbagliato e, in molti
casi, criminoso.
In che rapporto vi ponete con il movimento della decrescita felice e con gli altri movimenti
“affini”?
Negl’anni ’60, la mia generazione portava i jeans strappati e rattoppati, non perché
fosse di moda, ma perché aveva rifiutato il consumismo, io stesso ho indossato per ben14
anni sempre lo stesso giubbino in jeans, quindi, figurati se non siamo d’accordo con il
movimento della “Decrescita Felice”. Anzi, complementi a questo movimento per il tempismo
in cui è sorto e il buon lavoro che sta svolgendo. Per quanto riguarda gli altri movimenti
direi che siamo del tutto intercambiabili, nel senso che molti di noi sono anche supporter (e
viceversa) della Rete degli Ecovillaggi, dei nuovi contadini del C.I.R., dei raccoglitori di semi
antichi, i Seedsevers, dei Gruppi d’Acquisto Solidali, della Finanza Etica, delle Tecnologie
Appropriate, dei Chilometri Zero, ecc…
Questo a livello individuale, quello che invece ancora manca è una collaborazione più
concreta tra tutti questi gruppi, reti e movimenti, su punti e temi specifici che, appunto, di
volta in volta possono richiedere il contributo di tutti. A questo proposito sembra sia
imminente un incontro fra le varie reti e movimenti nell’ambito dell’incontro del
CONACREIS, sull’Appennino modenese in maggio (evento comunque da confermare). Noi
siamo convinti che le sorti del cambiamento non sia prerogativa di un solo gruppo o di pochi,
ma che invece tutti, in base alla propria competenze, conoscenze e specificità, possono
essere fonte e fulcro per rendere più incisivo e concreto il cambiamento che la società
tutta dovrà fare.

Siete un evoluzione degli hippy?


Siamo una evoluzione di tutti quelli che con immaginazione, creatività, e caparbietà
hanno, nel corso del tempo, cercato di migliorare, sia spiritualmente che mentalmente se
stessi prima e la società poi, così da ridurre sia l’impronta umana sul pianeta che l’arroganza
del potere e l’avidità di pochi sulla gente e sulla natura . Abbiamo fallito? Da quello che si
vede sembra di si, ma è vero anche che questo è un percorso lungo, che richiede tempo,
pazienza e dedizione. L’importante è non smettere di ‘seminare’, e in questo noi
bioregionalisti c’abbiamo fatto il callo.
Cosa sta per accadere in Italia e nel mondo a livello socio-economico?
Per rispondere a questa domanda basterebbe chiederlo ad un contadino vecchio stampo,
il quale senza tanti fronzoli ti direbbe che “con niente si ha niente”. Viviamo in un mondo di
apparenze, e di enormi speculazioni sulla pelle della gente onesta e sulla diversità biologica
della terra. Io non conosco il mondo economico, e temo che neanche gli economisti stessi ne
sappiano più di tanto: tali e tanti sono i guazzabugli che nel corso del tempo sono stati
inventati per fare in modo che a perderci siano sempre i più deboli. David H. Thoreau
ammoniva “Semplificare, semplificare”.
Norme e comportamenti semplici, onesti e soprattutto informati dalla consapevolezza
che quando si toglie da una parte bisogna restituirla dall’altra, dovrebbero essere alla base
di ogni sistema economico di ogni società di questo mondo. Da quello che si sente dire in
giro, questa crisi può essere una opportunità di riflessione e di cambiamento, e quindi
positiva (nella sua gravità), ma finora le decisioni prese sembrano solo palliativi, un modo
per far sopravvivere il sistema ancora un po’ più a lungo.
Credi che il bioregionalismo diventerà presto la “normalità”?
Purtroppo nò. Il mondo oggi è talmente imbevuto nel mito del potere, sia politico, che
economico, o religioso (con tutto ciò che ne consegue), che difficilmente rinuncerà ai
privilegi acquisiti. Quello che è in gioco è un rivoltamento completo nel modo di intendere il
nostro essere qui sulla terra, non si tratta solo di un cambiamento a livello dei governi, o di
una distribuzione più equa della ricchezza (anche se di per sé questo sarebbe già un buon
risultato), si tratta piuttosto di fare un passo indietro e uno in avanti e questa volta
finalmente nell’interezza del Tutto, di cui siamo che una piccola parte.
Credete che le città debbano “sparire”?
Le città non devono sparire, devono cambiare. Le città vanno intese e concepite come un
tutt’uno con il circostante, con la bioregione a cui appartengono. Le città, dovrebbero
essere intese come centri di aggregazione di gente, cose, prodotti e saperi al servizio del
resto della bioregione, in modo tale da migliorare le condizioni di vita della gente e, nel
contempo, rendere più leggera ed equilibrata la nostra impronta ecologica sulla bioregione
e sul pianeta.
Qual è il ruolo di Etain Addey?
Etain Addey, all’interno del movimento bioregionale, ha un ruolo apprezzato da tutti, ed
è il suo continuo donare in termini di testimonianza, esempio, conoscenza, umanità, umiltà,
spiritualità e ospitalità. Etain conosce la parola che va oltre la parola. Ti prende per mano e
ti svela i segreti del prato, del bosco e dell’animo umano. Etain non ha bisogno di ri-abitare
la terra, lei vive nella terra e per la Terra.
Come si fa a contattarvi?
Nel blog della Rete Bioregionale Italiana www.retebioregionale.ilcannocchiale.it si può
trovare l’elenco dei vari referenti per bioregioni o regioni d’Italia, ai quali chiedere
informazioni, indirizzi, appuntamenti e quant’altro. Altrimenti, contattando la Rete stessa:
morettig@iol.it
E a diventare bioregionalisti?
Per diventare bioregionalisti non ci sono scuole o corsi appositi. È innanzitutto un
percorso all’interno di se stessi, nel “lato selvatico” della propria mente. Perché solo
ritrovando se stessi, la propria vera umanità, e quindi la propria essenza, che è un tutt’uno
con la natura, si può iniziare il cammino che porta di nuovo a ‘casa’. È un percorso lungo,
faticoso e a volte frustrante, semplicemente perché spesso la realtà ci impedisce di
tradurre la teoria in prassi, ma questo non deve scoraggiare, a volte bastano solo spicchi di
tempo, di natura, di condivisione per andare oltre ad ogni curva. Quello che serve è la
potenza della visione, e poi, lungo il cammino si possono incontrare le persone e i libri che
raccontano le esperienze di chi sta camminando lungo lo stesso sentiero.

NOTE PRATICHE:
Presentati brevemente (mi serve per l’introduzione al pezzo). Che ruolo hai all’interno del
bioregionalismo?
Sono Giuseppe Moretti e vivo nella Bioregione del Bacino Fluviale del Po, precisamente a
Portiolo, una piccola frazione di San Bendetto Po, in provincia di Mantova. Sono nato da
genitori contadini e io stesso sono contadino e conduco il piccolo podere che era dei miei
genitori. Coltivo biologicamente cereali, erba medica ( importante, per la rotazione delle
colture), ortaggi, un po’ di frutta, una piccola vigna, che in gran parte vendo direttamente al
consumatore finale. Ho iniziato a pubblicare Lato Selvatico alla fine del 1992, e nel 1996 ho
partecipato alla nascita della Rete Bioregionale Italiana. Il mio ruolo nella Rete e di esserne
il referente, inoltre tengo i contatti con il movimento bioregionale a livello internazionale.
Mi mandi un elenco dei siti principali di riferimento, dei libri che secondo te dovrei
segnalare?
Innanzitutto il blog della Rete: www.retebioregionale.ilcannocchiale.it Il sito di Planet
Drum www.planetdrum.com , e quello del movimento nordamericano www.bioregional-
congress.org . Un altro sito italiano dove trovare molte cose sul bioregionalsimo e
movimenti affini è: www.selvatici.wordpress.com
Per i libri, innanzitutto quelli della Rete:
*Etain Addey Una Gioia Silenziosa, Ellin Selae, 2003
*Gary Lawless Caribuddismo, Arcobaleno Fiammeggiante, 2000
*James Koller Vicino alle origini, Coyote Books, 2005
*Peter Berg Le Direttive post-Ambientaliste del Bioregionalismo, (pamphlet) Rete
Bioregionale, 2002
*Rete Bioregionale La Terra Racconta, Rete Bioregionale/AAM Terra Nuova, 1997
*Rete Bioregionale Selvatico e Coltivato, Stampa Alternativa, 2003
*Gary Snyder Ri-abitare nel Grande Flusso, Rete Bioregionale/Arianna editrice 2001
*Gary Snyder L’Isola della Tartaruga, Stampa Alternativa, 2004
*Gary Snyder Ritorno al Fuoco, Coniglio editore, 2008
*Giuseppe Moretti (a cura di) Per la Terra, Ellin Selae, 2007
*Giuseppe Moretti Bacini Fluviali della Mente (pamphlet), Coyote Books, 2006
E poi la nuova serie di pamphlet di Lato Selvatico “Libraria”
*Moretti/Greensfelder La Gente del Crinale, 2009
*Etain Addey Il Genio di Vallingegno, 2009
*Giuseppe Moretti Nel Lato Selvatico, 2009
*Giuseppe Moretti In Giro in Giro per Kitkitdizze con Gary Snyder, 2009
Lettera

Cari amici della Rete Bioregionale, come avete notato questo numero dei Quaderni vi arriva
con notevole ritardo, ce ne scusiamo: purtroppo la stesura dei Quaderni ha coinciso con il
nostro trasloco (doppio visto che per risolvere l’emergenza abbiamo anche occupato una
casa) Risolto il tutto abbiamo assemblato i pochi articoli arrivati.
Non abbiamo inserito contributi sul tema “lavoro” proprio perché questo cambiamento ha
scombussolato le nostre attività e non abbiamo ancora le idee chiare su come sarà il futuro.
Alcune cose però le vorremmo dire sui Quaderni e sulla Rete anche perché non abbiamo
ancora referenti per il prossimo numero (stessa situazione del C.I.R. di cui ho tenuto la
redazione dei primi tre numeri e degli ultimi tre).
I Quaderni erano partiti dall’incontro di Borgo Cerri, redazione itinerante e uscita
solstiziale, per tre anni sono usciti regolarmente: a volte sono stati dei buoni numeri altre
volte meno. Il numero degli abbonati e rimasto più o meno invariato cioè pochi … ( diciamo
anche che 10 euro per due numeri di 18 – 26 fogli sono forse troppi) questo anche perché
una redazione non dovrebbe “solo” aspettare gli articoli e assemblarli ma crearli: es.
l’intervista a Giuseppe Moretti ( e anche ad Etain Addey) fatta da Terranauta poteva
benissimo essere un lavoro della Rete. Forse potrò sembrare troppo fiducioso nei confronti
delle nuove tecnologie (internet) ma vorrei farvi un esempio pratico: ho redatto gli ultimi
tre numeri del C.I.R. e l’ho distribuito tramite blog, sito e forum di discussione…in totale ho
distribuito circa 2800 copie dei tre numeri e circa 400 degli allegati (orto sinergico e
manuali birra, sapone, patate) e nel tempo le copie scaricate aumentano costantemente.
Tutto questo a costo minimo (la connessione ad internet)
Sarebbe possibile fare altrettanto con i Quaderni.
Questa virtualizzazione del C.I.R. si è anche trasformata in rapporti di scambio e di
amicizia, da cui è venuta l’idea del Rural Network BIONIERI http://bionieri.ning.com
che dopo 3 mesi ha 130 membri e ad una rete di interscambio e informazione notevole.
Probabilmente la Rete Bioregionale dovrebbe avere più capacità di comunicazione (ogni
membro in pratica è la Rete) e i Quaderni potrebbero diventare il nostro “strumento di
comunicazione” cartaceo, informatico, scritto, raccontato … magari con una redazione
stabile, un sito gestito collettivamente, e con la capacità e la volontà di interloquire con gli
altri movimenti di ri/abitanti, quella moltitudine di cui trovate una dettagliata analisi nel
bel libro di PAUL HAWKEN “Moltitudine Inarrestabile” ( benedetta irrequietezza).
L’esempio migliore è WiserEarth ( http://www.wiserearth.org/ ) piattaforma gratuita che
riunisce decine di gruppi, associazioni, reti, ecovillaggi …ecc.
Insomma, propongo di fare un salto progettuale e comunicativo, alla Rete nel suo complesso
e ai singoli aderenti in maniera che ciascuno racconti e comunichi le sue storie ed
esperienze, i suoi progetti e le pratiche quotidiane tramite uno strumento come
Terranauta http://www.terranauta.it/ , per colmare il divario digitale tra chi ha accesso
ad Internet e chi no, ci sono i famosi “referenti”.
Certo che tutto questo non sostituisce i rapporti vis a vis, le ospitalità, gli scambi e gli
incontri ma non tutti abbiamo case come quelle di Etain o villaggi come Avalon, e molti di
quelli che si avvicinano al bioregionalismo, all’ecologia profonda, alla permacultura o
all’agricoltura naturale hanno vite normali, vivono in città piccole o grandi e svolgono lavori
subordinati. Ho amici che hanno iniziato a fare orti sul balcone, a coltivare fiori nelle aiuole
abbandonate, a sognare e progettare fughe dalla metropoli … a loro e a quelli che
diventeranno come loro vorrei portare le mie-nostre storie perché non è importante avere
tanti o pochi lettori, ascoltatori, ospiti, amici … importante che le nostre parole riescano a
stimolare la fantasia e la sensibilità di almeno “uno di loro”

Pontiroli Renato “Selvatici”


Sgomberi a Campanara
Comunicato Stampa "Associazione Nascere Liberi per la rinascita di Campanara e dell' alta valle del
Senio

Con uno spiegamento di forze senza precedenti per un problema tutto sommato piccolo sono state
sgombrate le case rurali occupate da decenni a Campanara e alle Pogge da persone che hanno effettuato la
manutenzione degli edifici evitandone il crollo e la perdita, che hanno realizzato orti con modalità
biologiche e orti sinergici, che allevano capre e pecore, che raccolgono erbe officinali.

Più di cento agenti tra polizia, carabinieri, forestale, vigili urbani, funzionari della Digos e della Comunità
Montana; con camionette, fuoristrada, escavatori, carpentieri, muratori, elicotteri uno dei quali ha girato
per buona parte della giornata sopra la valle di Campanara.
Bruciando in un giorno molte migliaia di euro prelevati dalle tasche dei cittadini, per mostrare i muscoli
del potere alle capre e ai boschi di Campanara. Una sceneggiata stupida prima ancora che insopportabile.
Si è così data attuazione all' ordinanza di sgombero che la sindaca Paola Cavini del centro destra (
"trombata" dagli elettori nelle elezioni della scorsa settimana in favore di un candidato sindaco espresso
da una lista unitaria di centro sinistra ) aveva emesso il 24 aprile 2009. Una ordinanza di sgombero
alquanto pretestuosa e con fragranza di illegittimità. Non si è aspettato nemmeno la scadenza dei tempi
per il ricorso al Tar o al presidente della Repubblica per motivi di legittimità, fissati nell' ordinanza.

Un ricorso che l' "Associazione Nascere Liberi per la rinascita di Campanara e dell' alta valle del Senio"
sta preparando con gli avvocati.
Del blitz non è stata avvisata nemmeno la regione Toscana, proprietaria degli immobili (demanio
regionale). Sono state sgombrate e chiuse cinque case rurali : Isola, Vallibona, la Villa, il Casone, il
Villetto. Per tutta la giornata alcuni degli abitanti di due di questi edifici - Casone e Villetto - sono saliti
sul tetto per esercitare il diritto di resistenza passiva e nonviolenta. Al tramonto, scesi gli abitanti dal tetto,
carabinieri, polizia e tutti gli altri se ne sono andati. Le case
sono state chiuse con lucchetti. non ci sono sigilli dell' autorità giudiziaria.

La lotta continua : molte realtà rurali, centri sociali, amiche e amici sono saliti ieri a Campanara e molte/i
ne saliranno sabato e domenica per un presidio pacifico e fattivo delle terre. L' Associazione presenterà il
ricorso.L' Associazione Nascere Liberi, che ha presentato un progetto di uso degli edifici e del territorio
(difesa della biodiversità, autosussistenza agricola e di piccolo allevamento, autorecupero con tecniche
bioedili, ripopolamento della montagna, raccolta di erbe, presidio sanitario di medicina naturale) fin dal
lontano 2004, chiede ora alla regione Toscana di passare ai fatti : la concessione diretta o il bando. l'
ostacolo degli occupanti ora non c'è più!
Noi resteremo sulla montagna per difendere il territorio dalle vendite/privatizzazioni, dalle rendite e da
usi impropri e per difendere la nostra voglia di costruire modalità di vita non subalterne al mercato.

Associazione Nascere Liberi

Doveroso ringraziamento

Per alcune fotografie devo ringraziare Otto: http://otto.over-blog.it/

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