Professional Documents
Culture Documents
Stellette addio.
© Antonio Montanari
Riproduzione riservata
Edizione informatica 2009
Stellette addio, pag. 2
Premessa
«Non conosco un solo libro di guerra scritto da un
soldato semplice, da un contadino soldato». Sono
parole di Nuto Revelli, riproposte dai giornali il 6
febbraio 2004, all’indomani della sua scomparsa.
Le pagine che seguono non sono «un libro», ma
frammenti di ricordi, di «un contadino soldato» lungo
un anno di guerra: vissuto lontano dalla guerra perché
lui aveva dato un calcio alle stellette; ma pure dentro
la guerra, perché, come disertore, doveva sfuggire alla
caccia dei repubblichini. Se lo avessero catturato,
l’avrebbero passato per le armi.
«Migliaia di ventenni scelsero come me di rifiutare
Salò. Pur non essendo ancora informati dei campi di
sterminio e di altri orrori e barbarie sentivamo
l’impossibilità di aderire alla parte fascista, alleata o
sottoposta ai “camerati nazisti”. Un’alleanza che
prometteva altri lutti e dolori, che sbarrava il
cammino verso la fine della tragedia e la conquista
della libertà, mai vissuta nella nostra giovinezza.» Così
ha scritto Mario Fazio (La cosa giusta, «La Stampa», 14
settembre 2003).
Alfredo Azzalli, mio suocero, è fra quelle migliaia di
ventenni che «scelsero di rifiutare Salò».
1. A Fiume
Otto settembre 1943. Il giorno del suo ventesimo
compleanno per Alfredo Azzalli trascorre come tutti
gli altri. In guerra. Tra le guardie di frontiera. A Villa
del Nevoso, sulla strada che da Fiume porta a San
Pietro del Carso, Postumia e molto più avanti a
Lubiana. Alle 19,42 la Radio italiana annuncia
l’armistizio.
Il re e la regina hanno appena lasciato Villa Savoia. Al
Quirinale si è temuto un colpo di mano. L’Eiar è stata
preceduta da Radio Londra. Badoglio legge un
proclama: «Ogni atto di ostilità contro le forze anglo-
americane deve cessare da parte delle forze italiane, in
Stellette addio, pag. 3
2. Ricordi di famiglia
Alfredo Azzalli nasce ad Argenta, quinto figlio di un
bovaro, Giovanni (classe 1884), e di Angela (Angelina)
Venturoli di due anni più anziana del marito. Il loro
fondo si chiama la Colombarina, distante due
chilometri dal paese. Gli altri quattro fratelli sono
Primo del 1904, che a vent’anni ha fatto il militare in
Cavalleria al tempo del delitto Matteotti; Rosina del
1907, Ada dell’11 ed Adele del ’14. In casa con loro
sette, vivono anche la nonna paterna, Maddalena
Pazzafini (classe 1856, vedova di Antonio, bovaro
anch’egli), e suo figlio Vincenzo Azzalli, trentadue
anni.
Un altro fratello di Giovanni e di Vincenzo, ha
partecipato alla Grande guerra come bersagliere. Lo ha
ucciso una pleurite contratta al fronte. Aveva aiutato
dei commilitoni ammalati, e trasportato i loro zaini.
Una sudata e la notte passata nell’umidità d’una chiesa
abbandonata, gli furono fatali. Si chiamava Alfredo.
Quando Giovanni ha avuto l’ultimo figlio, ha rinnovato
il suo nome.
Anche Vincenzo, detto Cencino, ha fatto la Grande
guerra. Era attendente del generale di cavalleria
Sammarzano, a Padova. Quando morì suo fratello,
Vincenzo scappò a casa senza licenza. Gliela avevano
rifiutata. Carattere ribelle, mal volentieri si
sottometteva agli ordini e non sopportava i divieti.
Rischiò l’accusa di diserzione, e la conseguente
condanna alla fucilazione. Lo salvò lo stesso generale
Sammarzano che lo proteggeva come un figlio. Aveva
bisogno della sua competenza per curare i propri
cavalli.
Alla Grande guerra c’era stato anche Giovanni, il
Stellette addio, pag. 6
3. Il 25 luglio
Stellette addio, pag. 7
4. Scappare da Fiume
A Fiume, quella mattina del 9 settembre 1943, ci sono
soldati d’ogni tipo. Alfredo Azzalli incontra un giovane
di Bologna: «Si chiamava Bondioli, e la pensava come
me: tornare a casa. Decidemmo così di avviarci verso
Trieste. A piedi. C’era una marea di gente che
percorreva le strade nella nostra stessa direzione». Ma
c’era anche chi proveniva in senso contrario.
Dall’Italia verso l’Istria, ed i loro paesi d’origine.
«A loro chiedevamo informazioni per evitare i posti di
blocco istituiti dai tedeschi per catturarci. Dopo due
giorni di cammino, e mentre eravamo lontani da
Trieste circa un giorno e mezzo di strada, si
cominciava ad avere fame. Ci fermammo in una
caserma degli alpini. Ci diedero da mangiare.»
Ogni tanto di notte Azzalli, Bondioli e gli altri si
fermano a riposare. Appoggiati ad un masso. Oppure
sotto un cespuglio. Al chiaro di luna.
«Durante la fuga buttai in una scarpata i miei
documenti e la valigia. Tenni soltanto dei fazzoletti. Li
usai più tardi per fasciarmi i piedi che cominciavano a
piagarsi. Giunti alle porte di Trieste, incontrammo un
gruppo di soldati in fuga. Saranno stati duecento.
Stellette addio, pag. 9
5. Verso casa
Sempre attraverso i campi, Alfredo giunge in provincia
di Ferrara. A casa, insomma. Si accompagna ad altri
due giovani. Uno è faentino.
Stellette addio, pag. 10
6. A Rimini
Alfredo Azzalli decide, per maggior sicurezza, di
andarsene da Argenta a Rimini, nella casa della
fidanzata Graziella Montebelli, in zona Celle sulla via
Emilia.
I loro padri erano amici, si erano conosciuti tramite il
dottor Bragliani, un medico di Ferrara, che aveva
proprietà terriere anche ad Argenta. Il babbo di
Alfredo lo accompagnava spesso a caccia. In una delle
tante battute, ha conosciuto Luigi Montebelli, il padre
della Graziella, che era stato attendente di Bragliani
durante la Grande guerra, dove pure lui aveva
conosciuto la vita di trincea. D’inverno Bragliani, con
un gruppo di «signori» della zona, andava a caccia a
Lesina nel Gargano.
(Tra loro c’era anche il conte Manzoni: il suo nome
resta legato alla strage della vedova e dei tre figli,
compiuta il 7 luglio 1945.)
A Lesina avevano una casa: «Mio padre li
accompagnava come “uomo di caccia”, mentre Luigi
faceva il cuoco».
Alfredo Azzalli resta in casa Montebelli ben poco. I
tedeschi piazzano davanti all’abitazione un fortino di
cemento armato con un cannone. Temono lo sbarco
degli anglo-americani.
«Prima che la casa fosse distrutta con una cannonata,
fummo costretti a sfollare. Ci rifugiammo a Poggio
Stellette addio, pag. 13
7. Ancora a casa
San Biagio, verso mezzanotte. Sotto la pioggia, a piedi,
Alfredo e Luigi Montebelli avanzano verso la casa degli
Azzalli. Attraverso strade di campagna. Stanno lontani
dalle abitazioni, dove potevano trovarsi nascosti i
tedeschi. Quando arrivano, il fratello di Alfredo prende
i propri figli Gloriano e Livio e li porta ancora una volta
via di casa, dalla cognata Giovanna Pollini.
«Primo, mio babbo e Luigi fecero una galleria nel
fienile. Aprirono un buco nel granaio. E sistemarono
un letto.»
Luigi torna a Rimini. Gloriano e Livio sono riportati in
casa. «Era la fine di maggio. Rimasi chiuso nel granaio
sino allo sfollamento avvenuto a novembre.»
A chiunque chieda di Alfredo, sua madre Angelina
risponde che è stato mandato in Germania. E mostra la
cartolina che suo figlio ha spedito da Milano.
«Di giorno, non mi facevo vedere da nessuno. Di notte
uscivo dal nascondiglio per andare a dormire con mio
zio Vincenzo che aveva un letto a due piazze. Mi
teneva informato sugli avvenimenti. Lui andava
sempre da un suo cugino, Umberto Azzalli, che faceva
il giornalaio, ad ascoltare Radio Londra.»
In quella stessa camera dorme la mamma di Vincenzo,
Maddalena, che era cieca ed aveva quasi novant’anni:
«Sentendo bisbigliare, credeva che suo figlio Cencino
parlasse da solo, e diceva: “A cred propi che te dventa
mat, guerda cum che t’at ci ardôt”, credo proprio che
tu diventi matto, guarda come ti sei ridotto. Prima che
facesse giorno tornavo nel nascondiglio».
Nella casa degli Azzalli si sono alcuni sfollati. Tra loro,
una famiglia di Pieve Santo Stefano (Arezzo) ed il
capostazione di Argenta, Dario Pagnini con la moglie
Adele e la figlia Maria Teresa, originari di Rimini,
alloggiati nella stalla della cavalla.
Stellette addio, pag. 15
NOTE
Bibliografia
ADAMO ANTONELLINI, Argenta, aprile 1945, «Arzenta!», I, 5,
ottobre 1993, p. 6. (Qui è riportata la cit. testimonianza di Olao
Mingozzi.)
MARCO INNOCENTI, L’Italia del 1943, Come eravamo nell’anno
in cui crollò il fascismo, Mursia, Milano, 1993, pag. 53.
ANTONIO MONTANARI, I giorni dell’ira. Settembre 1943 -
settembre 1944 a Rimini e a San Marino,Il Ponte, Rimini, 1997.
(Il testo integrale è disponibile su Internet, all’indirizzo
<http://digilander.libero.it/monari/ira.html>.)
ANTONIO MONTANARI, Rimini ieri, Dalla caduta del fascismo
alla Repubblica, Il Ponte, Rimini, 1989.