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Emiliano Biaggio – Una mail 1

EMILIANO BIAGGIO

Una mail
storia reale e surreale di un giovane alle prese con la pubblica
amministrazione

finito di stampare il 19 dicembre 2008


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Personaggi e interpreti
(in ordine non di apparizione ma, così, un po’ alla rinfusa)

Un giovane, il malcapitato (nonché narratore);


La capa del dipartimento (in ferie o in riunione, comunque mai raggiungibile);
La facente le veci della capa;
Il responsabile della società controllata dall’ente nazionale;
La fanciulla dagli occhi blu, dell’ufficio stampa della società controllata dall’ente nazionale;
L’ometto, del medesimo ufficio della medesima società;
Mari;
Quella dell’ufficio smistamento posta del dipartimento;
Quell’altra, sua collega;
Il portinaio del dipartimento;
Il tempo, dilatato e in abbondanza;
La pazienza, mai abbastanza;
Un’impiegata distrettuale;
Un’altra impiegata distrettuale, tanto gentile e cortese;
Un ex collega del giovane;
Il direttore e il presidente del dipartimento (che non si vedranno mai, ma che comunque
hanno un ruolo);
Un general manager e chief executive officer di una società di comunicazione;
Una director for external relations and communications della medesima società;
Un’impiegata distrettuale dalla corporatura minuta e dai capelli castani;
Una figura femminile, sempre del dipartimento.
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Prologo

Era tutto pronto. Tutto era stato già deciso nel minimo dettaglio: quando partire, quanto
fermarsi, quali posti visitare e come spendere al meglio quei giorni che, dal suo punto di
vista, erano più che mai doverosi e meritati. Ma così non era per altri, come poi, di lì a poco,
avrebbe scoperto. Aveva un ampio margine, e proprio per questo non voleva perdere il tempo
che aveva. Ormai aveva deciso: avrebbe comperato quei biglietti. Si stava già dirigendo verso
l’agenzia, pregustando e assaporando quanto lo aspettava lontano da quel perenne groviglio
di automobili, da quel frenetico pulsare di un città congestionata che aveva fatto dimenticare,
non solo a lui, come ancora esistano luoghi senza smog ed effetto serra, dove l’unico rumore
ad esser udito è il chiacchiericcio dei presenti e la voce della natura. Stava già immaginando
il rumore dei flutti che si infrangono sulla riva, il vocio lontano di bagnanti al sole, il calore
sulla pelle lenito dalla brezza marina quando il suo telefono cellulare squillò, facendo svanire
il suo sogno ad occhi aperti.
“Pronto”
“Ciao, come stai?”
Era un ex collega dell’ultima delle agenzia di stampa in cui aveva lavorato.
“Senti, c’è una mia amica che sta cercando una persona per un ufficio stampa. Non mi ha
spiegato molto, ma mi ha detto che le serve con un certa urgenza. Si tratta di un lavoro pagato
mille euro al mese fino a ottobre. Ho fatto il tuo nome, ti contatterà a breve”.
“Grazie, hai fatto benissimo. Sei un amico”. La spiaggia e i bagnanti al sole erano stati
spazzati via da uno tsunami abbattutosi sul suo mondo. Ma non poteva dare un calcio alla
fortuna, e lui lo sapeva. Riattaccò e, sospirando, girò su sé stesso. Non andava più a comprare
i biglietti.

******

“Pronto?”
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“Ciao principessa”.
“Uhhh, che sorpresa. Non mi aspettavo una tua chiamata”.
“Mari, ascolta!, c’è un problema. Non vengo più”.
“Ah. E come mai?”
“Sembra che ho trovato lavoro. Da inizio mese per i prossimi quattro mesi, sembra. E
questa volta mi pagano, non si limitano a darmi un rimborso spese. Tu che avresti fatto?”
“Lo stesso. Hai fatto bene. Non si può sprecare una simile occasione. Pazienza. Dai, ci
vediamo il mese prossimo. Io adesso parto, torno verso il venticinque, o giù di lì. Se vuoi
venire l’ultima settimana basta che me lo fai sapere”.
“Non c’è problema. Lo sai che vengo sempre volentieri. Mari, fai buon viaggio, e prendi il
sole anche per me. Ci sentiamo”.
Riagganciò. Ancora non sapeva che non si sarebbero incontrati nemmeno il mese seguente.
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Capitolo 1

Chi ben comincia…

Arrivò al luogo indicatogli con un largo anticipo. Non era mai stato in un ministero, né in
alcun dipartimento di pubblica natura. Non diremo, né in questa né in altre sedi, per quale
dipartimento il giovane, ancora ignaro delle proprie sorti, lavorava dopo aver dovuto dire
addio a mare, sole, relax e ragazza. E non lo diremo per non turbare la calma dei dipendenti
interni del suddetto dipartimento ma anche e soprattutto perché leggi sulla privacy e il rischio
di denunce per diffamazione non consentono di potersi esprimere liberamente. Ma a ben
vedere ciò conta assai poco, poiché quello che qui interesserà è la storia del giovane, il
malcapitato.
Dunque, dicevamo: il giovane arrivò al luogo stabilito nel corso della telefonata con la
facente le veci della capa dipartimentale. Essendo in anticipo di un quarto d’ora, fece
colazione nel bar a fianco del dipartimento, quindi varcò la soglia del grande palazzo per cui
avrebbe lavorato. Si imbatté nel portinaio, impegnato a dialogare con un uomo seduto a
fianco a lui. Avrebbe tranquillamente potuto tirare dritto e procedere oltre, tanto il portinaio
era impegnato a discutere con l’altro, ma la facente le veci della capa non gli aveva detto
dove doveva recarsi una volta giunto in sede. Chiese della capa dipartimentale al portinaio, il
quale iniziò a balbettare “Dunque…la dottoressa…mi pare al secondo piano, non ne sono
sicuro. O forse è il terzo? Guardi, o secondo o terzo piano, provi uno dei due e poi chieda”. Il
giovane rimase costernato dalla mezza informazione, peraltro confusa. Ma rimase soprattutto
costernato per l’essersi imbattuto in un portinaio che anziché sapere vita morte e miracoli di
tutti i transitanti per il palazzo, ignorava dove le singole persone popolassero la sede del
dipartimento. L’inizio non fu dei migliori. Ma fu presagio di quello che da lì in poi il giovane
avrebbe vissuto.
Il secondo piano era un pullulare di operai e muratori, un via vai di elettricisti e
tinteggiatori alle prese con una ristrutturazione in bello stile dell’intero piano. Questo aveva
un corpo centrale, costituito dal perimetro della tromba dell’ascensore e da un corridoio
quadrato che lo circonda, con quattro corridoi, due per lato, che si aprono all’estremità dei
lati posti al lato della porta dell’ascensore. L’intera planimetria era occupata da cavi elettrici,
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calcinacci, mattoni, spatole, pennelli, infissi smontati, sacchi di calce, giornali e, ovviamente,
dagli operai della ditta incaricata di rammodernare gli interni. Più che un dipartimento
sembrava un cantiere, ma non fu questo a fermare il giovane che, schivando ogni ostacolo, si
affacciò sui corridoi del secondo piano fino a scoprire la stanza dove doveva recarsi.
Venne accolto da un giovane donna, che lo fece accomodare su un divano in pelle posto
all’interno, mentre in fondo alla stanza, seduta dietro una scrivania, un’altra donna parlava al
telefono. Era la capa del dipartimento, mentre quella che lo aveva invitato a sedersi era la sua
facente le veci. La prima riagganciò la cornetta, e subito la seconda procedette alle
presentazioni. Insieme iniziarono a discutere del da farsi. Si trattava di dare risalto ad un
programma avviato dal dipartimento in collaborazione con un’agenzia controllata da un ente
nazionale, in sinergia con tre diversi ministeri. Sulla carta, nonostante la totale e completa
inesperienza del giovane in materia di uffici stampa, la cosa appariva non troppo complessa:
si trattava di realizzare comunicati e articoli e diffonderli a quotidiani locali e agenzie.
Peccato che il giovane, nel suo ragionamento, avesse trascurato un piccolo minuscolo
particolare dalla rilevanza mastodontica: i meccanismi della pubblica amministrazione.
Come detto, leggi sulla privacy e il rischio di denunce per diffamazione non consentono
di potersi esprimere a liberamente, ma lasciate che si spieghi come si lavora in ambiente
pubblico. A livello di pubblica amministrazione non è raro ritrovarsi nella situazione in cui
più soggetti lavorano allo stesso progetto, per cui può capitare, come capitò al nostro giovane
malcapitato, che un ministero metta l’idea, un secondo i soldi, un terzo le regole, un
dipartimento le energie e soprattutto le capacità realizzative del progetto in partnership con
una società di un ente nazionale di forte rilevanza, che un sottosegretario dia il benestare al
tutto, che enti esterni ma comunque non estranei alla cosa pubblica facciano il tifo per l’uno o
l’altro soggetto coinvolto e che ministeri terzi, infine, diano la propria solidarietà a seconda di
quello che richiede il caso. Il giovane ne aveva sentite di cotte e di crude sul mondo della
pubblica amministrazione, ma mai avrebbe immaginato che le cose potessero assumere simili
conformazioni. E si dà il caso che la sua era una di queste.
Dopo aver appreso dalla capa in cosa consisteva il progetto cui avrebbe dovuto dare una
pubblicità visibile e capillare, la facente le veci condusse il giovane alla società controllata
dall’ente nazionale, azienda partner con cui, in stretta collaborazione, veniva seguito e curato
l’andamento del progetto. Durante il tragitto la facente veci della capa e il giovane discussero
del contratto: la prima esordì subito scusandosi col giovane per il compenso che avrebbe
percepito, a suo dire insufficiente. Certo mille euro sono mille euro, specie quando di lavoro
retribuito non se ne trova proprio tutti i giorni. Infatti il giovane si trovava a dover
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sopravvivere in un periodo non proprio favorevole, con congiunture economiche mondiali


negative, per non dire nefaste, e con un mercato del lavoro saturo in cui stage di natura
formativa andavano a sostituire quelli che una volta erano contratti o periodi di tirocini, con
la differenza, non proprio irrilevante, che gli stage non prevedevano alcuna retribuzione,
potesse essere questa in forma di stipendio o di più semplice rimborso spese. Sentirsi dire
“guarda, mi spiace ma non potremo darti più di mille euro al mese, mi rendo conto che non è
molto ma è il massimo che possiamo permetterci” suonò al giovane del tutto inconsueto e
fuori dal normale, tanto più che nella sua breve esperienza lavorativa maturata negli anni
successivi alla laurea non aveva mai ricevuto un compenso superiore ai cinquecento euro,
cifra che, va detto, per i tempi in cui si trovava il giovane non bastava nemmeno a coprire le
spese dell’affitto. Al giovane la facente le veci della capa, nel pronunciare quelle parole,
sembrò una creatura celestiale appena scesa sulla terra per strapparlo a quel mondo ostile e
spalancargli così le porte del paradiso. Poi però, memore dello tsunami che aveva sepolto la
sua spiaggia e spazzato via tutti i suoi piani, il giovane tornò a vivere di quello scetticismo
che è proprio di chi si appella al popolare detto “se non vedo non credo”, chiedendo perciò
quando il contratto sarebbe stato stipulato e firmato. Domanda che ottenne come risposta “nei
prossimi giorni”, un responso sibillino che, agli occhi dello scettico giovane, non pareva
promettere nulla di buono.
Una volta giunti a destinazione, la facente le veci della capa condusse il giovane da un
ometto e da una fanciulla dagli occhi blu, i responsabili dell’ufficio stampa della società
controllata in possesso di tutte le informazioni precise e tecniche del progetto in corso come
dati, previsioni, statistiche e ogni genere di numero relativo al programma. Con loro il
giovane iniziò un lavoro di raccolta informazioni per fare il punto della situazione, ed è lì che
il giovane iniziò a capire come il dover rispondere ad una persona, capa di un dato
dipartimento, non significasse lavorare per quella sola persona e per quell’unico ente. Emerse
chiaramente che qualunque cosa di lì in avanti avrebbe fatto, sarebbe passata attraverso ogni
singolo soggetto coinvolto direttamente o indirettamente nel progetto di cui doveva curare la
pubblicità. Il giovane realizzò di non avere più scampo, e maledì quello che una volta era
stato suo collega all’agenzia di stampa.
Nonostante l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu avessero ben chiaro come il progetto
stesse andando, loro due da soli non bastavano per fugare ogni dubbio del malcapitato
giovane che, per chiarimenti ma soprattutto perché nel mondo del lavoro e men che mai in
quello della burocrazia non si possono eludere le gerarchie, venne condotto dal responsabile
della società controllata dall’ente nazionale. Questi tenne subito a far presente che era lui ad
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occuparsi di tutto e che ogni qualvolta il giovane avesse avuto la necessità di chiedere
qualsivoglia dato relativo al programma avrebbe dovuto comunicarlo anche a lui. Questo
tanto per ribadire che l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu rappresentavano sì la società
controllata dall’ente, ma non ne erano i responsabili.
Per quanto spiegato poc’anzi, dato l’elevato numero di soggetti partecipanti alla stessa
causa, non sorprenderà se al malcapitato venne richiesto dal dipartimento di mettere in risalto
un aspetto piuttosto che un altro mentre dalla società controllata dall’ente nazionale venne
suggerito di evidenziare un altro punto diverso da quello preteso dalla capa e dalla sua
facente le veci. Del resto, come sarà facile immaginare, in un contesto in cui un ministero
mette l’idea, un secondo i soldi, un terzo le regole, un dipartimento le energie e soprattutto le
capacità realizzative del progetto in partnership con una società di un ente nazionale di forte
rilevanza, in un contesto in cui un sottosegretario dà il benestare al tutto, con enti esterni ma
comunque non estranei alla cosa pubblica che fanno il tifo per l’uno o l’altro soggetto
coinvolto e che ministeri terzi, infine, danno la propria solidarietà a seconda di quello che
richiede il caso, sarà facile immaginare, dicevamo, quanti e quali interessi diversi si trovino a
confrontarsi tra loro in una lotta serrata tra i vari livelli della pubblica amministrazione. La
graziosa fanciulla dagli occhi blu, non poté far notare al giovane che “fino all’anno scorso del
progetto se ne occupava al società controllata, ma poi il dipartimento ha forzato la mano e ne
ha ottenuto il controllo diretto. Questo ha determinato un clima teso tra loro e noi, quindi per
ogni minima cosa vedrai che ci vorrà il doppio del tempo”. Ottenuta questa rivelazione dalla
collega partner ma rivale, il malcapitato si sentì dire dalla stessa fanciulla dagli occhi blu, in
un tono che suggerì al giovane preoccupazione e rassegnazione, “Dovrai avere molta
pazienza. Benvenuto nel mondo della pubblica amministrazione”. Fortunatamente lui di
pazienza ne aveva sempre avuta in quantità, a parte i rari casi propri di ogni essere umano in
cui l’individuo tende a non essere più padrone di sé stesso e delle proprie azioni. Sapeva, da
quel punto di vista, che avrebbe saputo farcela: in fin dei conti era una vita che aspettava
pazientemente. Cosa, ammesso che lo sapesse, poteva dirlo soltanto lui. Certo è che le parole
della fanciulla dagli occhi blu non regalarono alcun motivo di gioia al nostro sempre più
malcapitato, che anzi si accigliò ulteriormente.
La facente le veci della capa, in tutto questo, era già andata via, lasciando il malcapitato
nelle mani di quelli della società controllata dall’ente nazionale in applicazione dei noti
principi “ognun per sé e Dio per tutti” e “a ciascuno il suo”, poiché, a ben vedere, quello di
raccogliere le informazioni, ordinare le idee e scrivere il comunicato stampa relativo al
progetto, non era ruolo suo ma del malcapitato, non per caso chiamato a vestire i panni di
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quell’ufficio stampa del dipartimento in fase di costruzione e realizzazione proprio come il


piano in ristrutturazione del medesimo dipartimento. Per cui il giovane restò a lavorare con i
suoi colleghi rivali dell’ufficio stampa dell’agenzia controllata dall’ente nazionale, pensando
alla singolarità di essere al soldo di date persone e ritrovarsi a lavorare con altre. Ma la
pazienza, quella di cui si parlava poco fa, fece vivere al giovane malcapitato la situazione
come se questa fosse la più normale delle circostanze. Una circostanza che forse poteva
anche rispondere alle illogiche logiche della pubblica amministrazione e apparire dunque
consueta e per nulla al di fuori dal comune, ma che non sarebbe mai potuta essere considerata
“normale” se vista dal di fuori. Anche se non era richiesto essere osservatore particolarmente
acuto per capire quale fosse la realtà delle cose: due parti in competizione per la gestione del
medesimo progetto, il suo controllo e soprattutto per la rivendicazione dei meriti per i risultati
raggiunti in una cooperazione forzata in cui nessuno, per la partnership in essere, si
sognerebbe di recare danno all’altro ma nella quale tutti si fanno i dispetti causando un
rallentamento di tutte le operazioni. Insomma, il giovane si rese immediatamente conto,
anche grazie alle rivelazioni della fanciulla dagli occhi blu, di essersi ritrovato invischiato in
giochi di potere di basso profilo. Il malcapitato, proprio perché malcapitato e sempre più
conscio della realtà in cui il suo ex collega d’agenzia lo aveva cacciato, si rese conto che
doveva fare di tutto per togliersi da quell’impaccio il più velocemente possibile, anche perché
il tempo per realizzare il primo comunicato stampa era poco. Insomma, il giovane non aveva
tempo da perdere, e nemmeno energie da dissipare inutilmente.
Cercando di rimanere il più indifferente possibile a tutte quelle questioni che a lui non
interessavano, il giovane rimase con l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu e il responsabile
dell’agenzia controllata per lavorare, dati alla mano, alla bozza di quello che sarebbe poi
dovuto diventare il primo comunicato stampa ufficiale della sua nuova occupazione. Una
volta realizzata la bozza, la inoltrò via mail alla facente veci della capa e, salutati i partner,
prese la via di casa.
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Capitolo 2

Una mail

Quando la facente le veci della capa aprì la casella di posta elettronica e visionò la bozza di
comunicato arrivatale in allegato con la mail, contattò immediatamente il giovane per
convocarlo in sede. E poco importa se la convocazione era per due ore più tardi, poiché il
giovane, in virtù del privilegio concessogli di lavorare per il dipartimento in mezzo alla
concorrenza spietata di un mercato del lavoro saturo e in procinto di esplodere, doveva
tenersi costantemente a disposizione dei suoi datori di lavoro. Per cui il malcapitato dovette
montare in sella al suo scooter e catapultarsi in città per rispondere alla convocazione,
correndo contro il passare del tempo e le leggi che regolano lo scorrere sulla strada. Riuscì ad
arrivare per l’ora stabilita dalla facente le veci della capa per accorgersi, una volta raggiunto
il cantiere del secondo piano, che questa non era in sede. La stanza della capa del
dipartimento aveva la porta spalancata: si affacciò all’interno dopo aver bussato ma non vi
trovò nessuno. La capa e la sua facente le veci non c’erano, e lui non aveva la minima idea di
dove potessero essere. Provò a contattare la facente le veci della capa, ma il telefono cellulare
di questa squillava a vuoto. Mentre andava su e giù per il corridoio, una voce lo chiamò.
“Cerca qualcuno?” Era un’impiegata del dipartimento uscita da una delle stanze del piano.
Da lei venne a sapere che la capa non c’era e che la facente la veci stava arrivando, e venne
fatto accomodare nella stanza di fronte a quella della capa: era l’ufficio della facente le veci,
una stanza con due scrivanie e altrettanti computer e faldoni di ogni genere accatastati alla
rinfusa per tutti e quattro i lati del vano. Polvere e disordine erano gli abitanti di una stanza
che non suggeriva affatto la presenza umana: sembrava un luogo abbandonato da anni, con
qualche appunto segnato su post-it a ricordare come un tempo qualcuno aveva lavorato tra
quelle quattro mura. Si fermò davanti ad uno dei mucchi di cartelline e fogli e prese a
scorrerli tra la dita. Resoconti delle spese degli anni precedenti, contratti, richieste ad uffici di
diversa natura, atti amministrativi: tutto lì era un unico grande archivio gettato e sparpagliato
alla rinfusa senza alcun criterio né ordine. Su una della pile di faldoni e carte di vario genere,
l’attenzione del giovane venne richiamata da una cartellina su cui era scritto contratto free-
lance. Ebbe un’intuizione: la prese e l’aprì. Era la bozza del suo contratto, nel quale si
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prevedeva il pagamento del firmatario in un’unica soluzione successiva all’interruzione del


rapporto lavorativo. Apprese con stupore la notizia e non poté fare a meno di chiedersi come
può l’uomo prima stabilire che il lavoro debba essere retribuito per poi costringere un suo
simile alla fame per un periodo di tempo più o meno lungo e privarlo di ciò che a lui
spetterebbe di diritto e per legge. Il mondo gli sfuggiva di mano, per quanto si sforzasse non
riusciva a comprenderlo. Provò disagio, si sentì smarrito e perso in una realtà che non
riusciva ad accettare e nella quale faceva sempre più fatica a vivere. Richiuse la cartellina e la
ripose sulla pila di carte sbiadite e impolverate, si sedette su una delle sedie delle due
scrivanie e attese la facente le veci della capa, già in ritardo di venti minuti. Dovette
attenderne un’altra decina prima di sentirne la voce che si avvicinava. Stava parlando con
l’impiegata che l’avevo accomodare in quella stanza-archivio. Raccolse la sua roba e le andò
incontro.
“Scusa il ritardo, ma impegni non previsti mi hanno costretto ad andare in centro. Non ti
dico che traffico”…
“Immagino. Ma non ti preoccupare. Piuttosto: di cosa volevate parlarmi? Qualcosa non va
col comunicato?”
“Allora:…”
Venne a sapere che la capa era andata in ferie e sarebbe rientrata alla fine dell’estate; questo
avrebbe comportato tutta una serie di difficoltà aggiuntive, prime fra tutte la firma del
contratto. La capa era infatti l’unica persona in potere di firmare qualsiasi carta, e la sua
facente le veci non aveva l’autorità per poter apporre firme di alcun tipo per conto della sua
diretta superiora. Quindi, per la contrattualizzazione il giovane avrebbe dovuto attendere due
mesi. Inoltre, l’assenza della capa avrebbe rallentato, e non di poco, i lavori in corso. Il
comunicato stampa era stato visionato dalla capa, che aveva dettato per telefono alla sua
facente le veci le istruzioni per una correzione opportuna dello scritto, che venne modificato
in modo radicale. Con la facente le veci della capa il giovane rimise mano al comunicato
sulla base delle indicazioni arrivate via telefono da chissà quale parte del mondo; quindi, una
volta terminato, venne inoltrato all’ufficio stampa della società controllata dall’ente
nazionale. Qui rimasero contrariati nel vedere che la nuova versione non teneva
minimamente conto delle indicazioni fornite nel lavoro svolto in precedenza col giovane. Alla
fine, dopo lunghe trattative, venne raggiunto un accordo per il quale il comunicato conteneva
entrambe gli aspetti messi in risalto dall’una e dall’altra parte, con i contenuti cari al
dipartimento in testa al comunicato e quelli cari alla società in coda, a ricordare chi tra i due
soggetti deteneva il maggior controllo della situazione e non solo.
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Di fatto il comunicato, dopo una febbrile fase di lavorazione, era pronto ma la procedura
voleva che la capa del dipartimento visionasse il prodotto finito e desse il suo benestare alla
cosa. Per cui spedirono via mail il nuovo e definitivo comunicato con gli indirizzi dei vari
giornalisti delle singole agenzie di stampa in modo, una volta ottenuto l’ok della capa, da
spedire il lancio direttamente dal dipartimento e non dalla casella di posta del giovane e far
apparire così la cosa ufficiale. Ma ciò che può apparire al lettore cosa alquanto semplice e
banale tutto è tranne che scontata. Non sappiamo come vadano certe cose, né possiamo dire
con esattezza cosa muova l’attività del settore pubblico, quindi non sarà in nostro potere
chiarire in alcun modo se quanto capitò al giovane rispecchi il naturale ordine delle cose, ma
per quanto visto finora è facile immaginare che se nel mondo esterno la vita scorra secondo la
norma quotidiana, all’interno di uffici statali, ministeri, dipartimenti, lo scorrere degli eventi
segua tutt’altre logiche. Così, una volta che il giovane fece avere alla facente le veci della
capa la mail contenente il comunicato stampa finito e gli indirizzi cui recapitarlo, iniziò un
percorso tortuoso che non avrebbe permesso alla mail di raggiungere il destinatario primario
e finale prima di un mese. Infatti, come venne a sapere il giovane, la mail doveva essere
inoltrata all’ometto e alla fanciulla dagli occhi blu, l’ufficio stampa della società controllata
dall’ente nazionale, i quali avrebbero provveduto a prenderne visione e girarla al responsabile
della suddetta società: questi, una volta sinceratosi che il comunicato non avesse subito nuove
modifiche e che i destinatari delle agenzie lavorassero per soggetti autorevoli del mondo
dell’informazione, avrebbe rispedito il messaggio di posta elettronica all’ufficio stampa della
sua società – sito, va detto, nella stanza attigua – che, tramite nuova mail, avrebbe a sua volta
provveduto a comunicare alla facente le veci della grande capa in vacanza chissà dove l’ok
dato dalla società controllata dall’ente nazionale; una volta ricevuto il benestare del partner
con cui si curava il progetto, la facente la veci della capa in vacanza avrebbe inoltrato alla
stessa la mail contenente il comunicato stampa finito e gli indirizzi di posta elettronica dei
singoli redattori delle diverse agenzie visionata e approvata dalla società controllata
cooperante, così da ottenere dal numero uno del dipartimento l’ok definitivo per la diffusione
agli organi di stampa del comunicato. Una volta che la capa, dalla sedia a sdraio su cui si
stava godendo il sole e il relax di chissà quale località esotica lontana chissà quanto da dove
si stava consumando la tragedia, fosse stata messa al corrente dell’ok dato dalla società
controllata dall’ente statale a inoltrare il messaggio di posta elettronica a chi di dovere e,
riletto il comunicato per vedere che nel frattempo non vi fossero state apportate correzioni,
anche le più piccole, senza che il responsabile del dipartimento fosse stato avvisato e/o
consultato, il messaggio da lei ricevuto sarebbe stato immediatamente rispedito alla sua
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facente le veci perché il comunicato contenuto nella mail fosse trasmesso ai destinatari
rispondenti agli indirizzi di posta elettronica dei singoli redattori delle diverse agenzie
contenuti nella suddetta mail; a questo punto la facente le veci della capa, ottenuto il via
libera dalla sua superiora, avrebbe provveduto a girare la mail a un ufficio del dipartimento
appositamente creato per la spedizione e lo smistamento dei messaggi di posta in entrata e in
uscita dal dipartimento. Alla fine, dopo “solo” otto passaggi la mail poteva finalmente
abbandonare gli ambienti amministrativi e viaggiare verso le destinazioni indicate nel
messaggio di posta elettronica di partenza, quello stesso messaggio che aveva dato avvio a
tutto il tortuoso percorso appena descritto.
Il lettore a questo punto crederà che quanto appena finito di dire sia frutto della finzione
letteraria sottesa a questo libro, e a ben vedere la convinzione sarebbe fondata, non fosse altro
che risulterebbe assai arduo indurre a credere che possa esistere una realtà come quella
descritta. Ebbene, cogliamo l’occasione per dire che la storia del giovane viene qui resa in
versione letteraria, ma senza alcun motivo di finzione o creazione. I fatti sono quelli che il
giovane si trovò a vivere in prima persona: se questo non vi sembrerà possibile e vi lascerà
perplessi, figuratevi il povero malcapitato, che si ritrovò a doversi confrontare con una simile
realtà, che con il percorso della mail si era mostrata in tutta la sua natura grottesca. Una
natura dall’aspetto qui rappresentato:
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Come è facile immaginare, in un simile percorso può succedere qualunque cosa: dato il
numero elevato di passaggi e la puntigliosità burocratica dei diversi soggetti coinvolti nella
catena, basterebbe un semplice qualunque intoppo per stravolgere l’intero percorso e far
subire a questo brusche interruzioni e fastidiose ripartenze da zero. Per cui se, per esempio -
come peraltro puntualmente accadde - al nostro giovane e alla facente le veci della capa
l’ufficio stampa della società controllata dall’ente nazionale avesse fatto notare che il
comunicato contenuto nella mail non riportava gli estremi e i recapiti del responsabile
dell’ufficio stampa del dipartimento, l’intero processo si sarebbe arenato in una discussione
legal-burocratica sulla questione comprendente più soggetti della pubblica amministrazione,
con tutte le annesse conseguenze derivanti: sospensione di qualsiasi cosa attinente al
comunicato e la sua diffusione, inizio di uno scambio di opinioni sulla pertinenza o meno
della diffusione di recapiti telefonici di individui ufficialmente estranei al dipartimento perché
non contrattualizzati. Va detto infatti che, in base alle normative vigenti ai tempi peraltro non
così remoti del giovane, in mancanza di contratti firmati non c’era nulla che potesse
giustificare, in alcun modo, la presenza e l’esistenza della persona realizzatrice del
comunicato stampa: questo ovviamente costituiva un problema sia perché, contrariamente a
quanto avveniva secondo uso e costume diffusi e consolidati, non si poteva lasciare ai
giornalisti alcun recapito cui rivolgersi in caso di qualsivoglia necessità, sia perché il
dipartimento, proprio per la non avvenuta stipulazione di alcun tipo di rapporto di lavoro, non
avrebbe saputo come giustificare, qualora fosse giunta una qualche richiesta di spiegazioni, la
presenza di una persona estranea ed esterna all’ambiente dipartimentale. Per cui, dopo lunghi
e combattuti scambi di argomentazioni, dopo una lotta serrata all’ultimo colpo di cavillo
legale e sottoprocedura amministrativa, dopo una lunga ed estenuate trattativa fatta di
richiami a prassi e regolamenti, la facente le veci della capa e i responsabili dell’ufficio
stampa della società controllata dall’ente nazionale arrivarono ad una dicitura di
compromesso e soprattutto di comodo che, nella sua natura indefinita ma comunque
inequivocabile, pose le parti d’accordo e risolse il problema: nell’impossibilità di far
riferimento al malcapitato, ci si limitò ad apporre al comunicato stampa contenuto nel
messaggio di posta elettronica, la dicitura, a mo’ di firma, L’ufficio stampa. A ben vedere la
situazione era rimasta esattamente la stessa di quella di partenza, e cioè un comunicato privo
di recapiti per la stampa, ma così facendo tutti gli ostacoli furono rimossi, e si poté riavviare
l’intero procedimento facendo recapitare la mail alle agenzie di stampa. Il perché dell’invio
della mail dall’ufficio appositamente designato del dipartimento non era però dettato
dall’ufficiale estraneità del giovane all’ambiente dipartimentale, quanto dalla voglia e dalla
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necessità che capa e facente le sue veci avevano di essere visibili: infatti un conto sarebbe
stato arrivare nelle caselle di posta elettronica dei vari giornalisti delle diverse testate con
nome e cognome del giovane, ben altro sarebbe stato figurare come dipartimento.
La facente le veci della capa condusse il giovane in una delle stanze che si affacciavano sul
corridoio: all’interno vi erano due signore sulla quarantina, tutte prese a consultare i monitor
del computer e, da quel che potè intuire il giovane dalla conversazione che stavano avendo, a
parlare di qualcuno, ovviamente assente. La facente le veci della capa le interruppe.
“Buongiorno. Senti lui è quello dell’ufficio stampa. Abbiamo già preparato un comunicato
stampa da inviare alle agenzie, per cui sappiate che vi arriverà una mail con lancio e gli
indirizzi a cui dovrete girarlo”.
“Ah, perfetto. Basta che me la segnaliate che lo spedisco”, e riprese là dove aveva interrotto
la conversazione.
La stanza ospitava l’ufficio smistamento posta del dipartimento, e quella con cui la facente
le veci della capa aveva appena finito di parlare era l’addetta alla posta. L’altra era una
collega che l’aiutava a sbrigare le faccende e a non annoiarsi troppo. L’ultimo anello della
catena era stato avvertito, e sembrava che tutto fosse prossimo alla conclusione. Ma il tempo,
fino a quel punto benevolo e in abbondanza, decise improvvisamente di stringere: il giovane
e tutte le persone che fino a quel momento avevano lavorato con lui, vale a dire la facente le
veci della capa, l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu e in qualche modo la capa, si
ritrovarono a ridosso di un ponte festivo e, con tutti passaggi che la mail doveva effettuare, al
giovane risultò chiaro che quel messaggio di posta non sarebbe mai stato inviato prima delle
festività; se poi si aggiunge che in quell’anno il ponte cadeva a ridosso del week-end, al
giovane apparve chiaro che il comunicato non sarebbe mai giunto a chi di dovere prima di
una settimana. Ma in fin dei conti quello che doveva fare lui lo aveva fatto, e ormai tutto
dipendeva dall’ufficio smistamento posta del dipartimento. Da quel preciso istante rimase in
attesa che la facente le veci della capa lo contattasse per informarlo dell’inoltro della mail da
parte dell’ufficio smistamento posta del dipartimento, così da segnalare prontamente ai
singoli giornalisti delle diverse agenzie l’arrivo nelle proprie caselle di posta il messaggio con
il comunicato da mettere in rete.
Passarono due giorni senza che il giovane ricevette notizie e il tempo aveva deciso che tutto
era agli sgoccioli: o la mail veniva inviata entro quello stesso giorno o se ne sarebbe riparlato
a distanza di una settimana. Chiamò la facente le e veci della capa, per sapere se l’ufficio
aveva assolto il suo compito. Ma questo, evidentemente, aveva già chiuso i battenti.
“Ho provato a chiamare, ma sono due giorni che non mi risponde nessuno”, gli disse. “Non
Emiliano Biaggio – Una mail 16

so che dirti: a questo punto credo che sia difficile che il comunicato venga spedito per oggi.
Se ne riparla dopo il ponte. Per questi giorni puoi tranquillamente sparire”.
Non c’era più nulla da fare, e anche il tempo a disposizione era andato via. Per ciò, anche in
virtù del “per questi giorni puoi tranquillamente sparire” suggeritogli dalla facente le veci
della capa, il giovane andò a godersi il breve periodo di riposo che il calendario gli aveva
riservato.
Emiliano Biaggio – Una mail 17

Capitolo 3

Missing

A sparire, in quei giorni, non fu solo lui. Se ne rese conto quando il lunedì successivo,
passato il ponte, chiamò per sincerarsi che al dipartimento ci fosse vita ma soprattutto attività.
Prima di disturbare la facente le veci della capa sul telefono cellulare, il giovane provò a
chiamare direttamente in sede, ma al numero diretto non rispose nessuno. Del resto, la stanza
della numero due, semmai fosse stato un ufficio, era ormai ridotto ad un archivio in disordine,
per cui tentò anche nell’ufficio della capa, ma neanche lì ebbe risposta. Provò quindi il
centralino, che dirottò la chiamata su una linea morta: gli squilli risuonavano infinti nel
ricevitore del giovane, che dovette desistere. Guardò l’orologio: le tre e un quarto. Doveva
esserci qualcuno, pensò. Non riuscendo tuttavia a contattare la sua referente, il giovane provò
a rintracciarla sul telefono cellulare, ma neanche lì, nonostante l’apparecchio squillasse,
riuscì ad ottenere risposta. Provò inutilmente a chiamare per tutto il giorno, così la mattina
seguente si recò al dipartimento per vedere di trovare quantomeno una persona con cui
parlare e ottenere, se possibile, informazioni su la facente le veci della capa e sul comunicato.
Giunto sul posto si imbatté nel portiere che questa volta, non avendo compagnia e
discussione da portare avanti, lo fermò
“Buongiorno, desidera?”
“Ho un appuntamento col capo del dipartimento…”
“Ah, la dottoressa. Terzo piano…Anzi no, provi prima al secondo poi in caso salga al terzo”.
Non aveva nessun appuntamento, ma il portiere non lo sapeva, così come ignorava che la
capa fosse in ferie. Ma non avrebbe mai verificato né l’una né l’altra cosa, e lui lo sapeva.
Il giovane salì al piano, dove si imbatté in elettricisti e imbianchini, gli unici, a quanto
sembrava, a non essere andati via. Si affacciò nella stanze della capa e della sua facente le
veci, ma erano vuote. Si affacciò all’ufficio smistamento posta, ma neanche lì trovò nessuno.
Fece per andarsene quando venne fermato da una donna, una delle tante impiegate che lì
lavorava.
“Cerca qualcuno?”
“Si, la signora che lavora qui, non ricordo come si chiama”
Emiliano Biaggio – Una mail 18

“Si, ho capito. Beh, non c’è”.


“Intende dire che non c’è adesso ma posso trovarla più tardi oppure…”
“Intendo dire che non c’è. E non mi chieda quando torna perché non lo so”.
“Sa mica per caso se giù, in fondo al corridoio…”
“No. Mi occupo di altre cose, e i miei superiori sono altri. Mi sa tanto che dovrà ritornare.
Se vuole un consiglio, riprovi a fine mese”.
Andò via senza dire nulla, rimestando su come era stato trattato da quell’impiegata tanto
gentile e cortese e sulle ultime parole che quella aveva detto: fine mese. Iniziò a temere che
l’intero dipartimento fosse in ferie, e che nessuno lo aveva messo al corrente. Chiamò la
società controllata dall’ente nazionale e si fece passare la graziosa fanciulla dagli occhi blu,
ma neanche lei sapeva che fine avesse fatto al facente le veci della capa. Provò a domandarlo
al responsabile della società controllata, più in contatto con la vice della capa di quanto lo
fosse la fanciulla dagli occhi blu, ma da questi non solo non ottenne le informazioni che stava
cercando ma si beccò anche un secco “non vedo perché lo dovrei sapere io, io faccio parte di
un’altra azienda e sono in contatto con i miei capi, e poi la mia società non si occupa più del
progetto”.
La facente le veci della capa continuava ad essere dispersa nel nulla, per di più i rapporti tra
i due soggetti cooperanti ma concorrenti sembravano essere, almeno dalla risposta fornita dal
responsabile della società controllata, più tesi che mai. I suoi superiori erano svaniti senza
lasciare traccia, mentre le relazioni tra le parti in causa venivano messe a dura prova dai
rapporti di forza e dai giochi di potere: al giovane parve che la situazione stesse precipitando
sempre di più. Riprovò per altri due giorni a chiamare sul telefono cellulare, ma questo
continuava a squillare a vuoto. Finché, la mattina del terzo giorno, il giovane ricevette un
messaggio di testo sul suo telefonino.

Ciao, scusami ma non ti ho potuto rispondere perché


sono all’estero. Facciamo che ci risentiamo quando
torno.
Emiliano Biaggio – Una mail 19

Capitolo 4

Niente da fare

Seduto all’ombra degli alberi, sorseggiando il suo aperitivo, stette a riflettere: aveva un
lavoro, ma non possedeva alcun contratto; aveva dei responsabili, ma non c’era nessuno a
dirgli cosa fare; conosceva volti e nomi dei suoi superiori, ma non dove si trovassero né
quanto sarebbero rientrati; sapeva di aver lavorato per due settimane, ma non capiva a che
pro e quando avrebbe visto i frutti del suo operato; aveva di fronte a sé intere giornate che
non sapeva come impegnare, e non poteva fare progetti per paura di essere richiamato
all’improvviso da uno dei suoi capi, rientranti da un momento all’altro. La vita, la sua vita,
scorreva senza che lui riuscisse ad esserne padrone: non si era mai sentito così precario.
Più ripensava a quanto era accaduto, più non si capacitava. Non riusciva a scrollarsi di
dosso quelle sensazioni spiacevoli che attanagliavano il suo io interiore. Il suo stato d’animo
era un concentrato di incredulità, sgomento, tristezza, disagio, delusione, insoddisfazione,
smarrimento e rabbia; la sua persona era pervasa da un profondo senso di malessere. Avrebbe
voluto lavorare e dare un senso a tutto quanto era successo, ma non poteva; avrebbe voluto
raggiungere persone care lontane, ma ormai era troppo tardi; avrebbe voluto – si!, per un
attimo ne sentì il desiderio – inveire contro i suoi datori di lavoro ma si rese conto che, pur
volendo, non c’era nessuno con cui prendersela, perché nessuno avrebbe mai risposto alle sue
chiamate. Non c’era niente da fare: doveva solo attendere. Era impotente, in balia di persone
irraggiungibili finite in località ignote a godersi il sole estivo, con lui lì a non poter fare altro
che a rimestare sul suo destino e sull’impossibilità di alzare la voce. “E’ assurdo”, si disse.
“Non posso neanche mandarli a quel Paese, perché non ci sono”. E mentre se lo diceva rise,
consapevole che mai come in questo caso arrabbiarsi sarebbe stato del tutto inutile. La
pazienza, o forse la rassegnazione, aveva assolto il suo compito. Con un sorriso amaro
stampato sul viso tornò a godersi il suo aperitivo.
Ma lasciamo per un attimo il giovane alle proprie considerazioni, per cercare di guardare
con occhio imparziale quello che fino a quel momento era accaduto. La situazione era
davvero così insostenibile come il malcapitato iniziò a credere? Certamente non si può dire
che il giovane si trovasse davanti ad una situazione proprio del tutto logica – in fin dei conti
Emiliano Biaggio – Una mail 20

non c’è nessuna logica nell’ingaggiare un addetto stampa per la promozione di un’iniziativa
della quale ci si deve prendere i meriti per poi lasciare che i propri interessi vadano in ferie o
perduti in tortuosi percorsi burocratici - ma a lui non era dato sapere, come del resto non lo è
per noi, se fosse normale o meno quello che stava accadendo. E’ facile supporre, da quanto
detto finora, che sia nella natura del dipartimento agire con le modalità e i ritmi con cui si
stava procedendo. Perché è innegabile che il giovane e gli altri interessati, la facente le veci
della capa e l’ufficio stampa della società controllata, avessero lavorato e prodotto, come il
comunicato stampa poteva testimoniare; inoltre, come peraltro già detto, sarebbe stato
sciocco e privo di ogni logica spingere perché la stampa fosse informata dell’esistenza del
progetto e dei risultati di questo per poi lasciare che tutto cadesse così tra l’incuria generale e
dei diretti interessati. Certo, l’impressione che ne ricaviamo sembrerebbe essere questa, ma a
noi non è dato sapere come certe situazioni vengano gestite a livello amministrativo. Del
resto, che senso avrebbe perdere e far perdere tempo? Nessuno. E anche ammesso che ci sia
un motivo, a chi gioverebbe? Non certo al dipartimento, il primo interessato affinché tutti i
meccanismi funzionino. Per cui, per quanto il senso di insoddisfazione e di incredulità del
giovane potessero essere quantomeno legittimi, poiché a tutti è concesso il beneficio del
dubbio, il senso di precarietà del malcapitato poteva non essere altro che il frutto del suo
punto di vista. Col tempo, probabilmente, il giovane avrebbe iniziato a entrare nelle logiche
del suo dipartimento e avrebbe compreso che non c’era nulla che non andasse. Almeno per
quanto ci è dato di supporre sulla base degli interessi che il dipartimento aveva a cuore.
Ma torniamo al giovane, che poi è il vero motivo per cui chi scrive si trova qui a narrarvi
gli eventi che si susseguirono. Il giovane si ritrovò sospeso in un limbo di immobilismo:
costui era infatti inoccupato e del tutto statico. Per quanto l’assenza dei suoi superiori e
quindi di direttive lo mettesse nella condizione di potersi concedere giorni di svago, non
riuscì ad abbandonare il suo luogo natio: amici e colleghi già si erano organizzati e così, tra
chi era appena partito e chi stava rientrando, dovette godersi la sua estate al fresco dei
castagni del paesino.
Emiliano Biaggio – Una mail 21

Capitolo 5

Intermezzo

“Pronto”
“Ciao principessa”
“Ciaoooo. Che piacere sentirti. Come va?”
“Bene. Tu piuttosto: che racconti di bello?”.
“Non puoi capire…Adesso sono a Praga. Fa caldo, il tempo è splendido. Maaa che
meraviglia! E tu che fai? Come va il tuo lavoro?”
“Va. Ho realizzato il primo comunicato stampa, adesso dobbiamo inviarlo. Beh, si lavora”.
“Quando torno devi venire assolutamente a trovarmi, almeno tre giorni di mare li devi fare.
Tanto per tutto il mese che viene il bagno si può ancora fare”.
“Sono d’accordo”
“Io penso che rientrerò il trenta. Vedi di liberarti, anche perché poi sarò impegnata pure io.
Ma non stai spendendo una tombola? Stai facendo una chiamata internazionale…”
“Semmai sei tu che quella che stai spendendo: all’estero paghi per ricevere…Ma non
sapevo che andassi a Praga…”
“Infatti l’ho deciso all’ultimo momento. Sai, mi è stato proposto così, su due piedi. Mi
hanno detto ‘vieni a trovarci, ti ospitiamo noi…’”
“Hai fatto bene. Adesso ti lascio, che sennò ti faccio pagare uno sproposito. Ci sentiamo
quando rientri, così mi racconti”.
“Va bene. E tu mi dici del tuo lavoro…”
“Ok. Divertiti”.
“Anche tu. Ciao”.

Mentì. Non stava lavorando, e non si sarebbe preso quei giorni perché a fine mese, oltre a
Mari, sarebbe rientrata anche la capa. Ma non volle dirle come erano andate le cose, non
voleva che anche lei restasse con l’amaro in bocca. Ad ogni modo si sarebbero rivisti e allora
avrebbe potuto dirle la verità. Intanto si godeva i pomeriggi fatti di letture, chiacchiere e
biliardino: un’estate anomala, pensò, in perfetta sintonia con l’esperienza che stava vivendo.
Emiliano Biaggio – Una mail 22

In quei giorni ebbe modo di riprendere una disciplina, se così ci è consentito definirla, che
aveva abbandonato anni addietro, quando ancora si perdeva nell’incantato mondo della
fantasia e dell’immaginazione: il calcio balilla. Oltre a riprendere confidenza con il biliardino
lesse giornali e libri, quattro per l’esattezza. I primi erano di due scrittori russi e un ucraino,
tutti dell’ottocento, mentre il quarto era di un italiano, un contemporaneo. Quest’ultimo
descriveva, sia pur implicitamente, il mondo e il suo Paese, visti con critica sottile, satira
pungente e amara ironia. Si rese conto che in quelle pagine era racchiusa la realtà dei suoi
giorni e che lo scrittore, proprio come aveva fatto lui per stigmatizzare la situazione, aveva
saputo ridere di una realtà che sfuggiva ad ogni umana comprensione. Nonostante il
contenuto di quelle pagine contribuisse ad accrescere il suo senso di disagio, proprio quella
sottile ironia lo aiutò a ritrovare un sorriso che a stento riusciva a sfoderare. Chiuse il libro e
ripensò a quanto gli era accaduto: ci rise su un’altra volta. Quindi tornò al suo limbo fatto di
letture, chiacchiere e biliardino in attesa di nuovi sviluppi. Sviluppi che non si fecero
attendere.
Emiliano Biaggio – Una mail 23

Capitolo 6

CV, ovvero l’iter per un contratto

Il tempo era trascorso. Come spesso è solito fare, era passato senza che ci si potesse
rendersene conto. Per di più il giovane, sospeso com’era nel suo limbo, non ebbe modo di
percepire il tempo che scorreva. Anzi per lui il tempo si era fermato, per poi rompere gli
indugi e farlo piombare all’inizio del nuovo mese. La bolla in cui era imprigionato si ruppe
improvvisamente: quando quella mattina si alzò, si rese conto che la capa, almeno secondo
quanto dettogli dalla sua facente le veci prima di sparire, era rientrata dalle ferie. Si disse che
con molta probabilità la mattina non sarebbe certo stata al dipartimento, per cui si preparò ad
andare in città nel pomeriggio. Non sappiamo se quella sua considerazione fosse esatta, anche
perché il fatto che il giovane quel mattino se ne restò placidamente a casa non ci aiuta a
capire se la capa fosse effettivamente fuori sede come egli pensò o se viceversa
nell’occasione il giovane sbagliò le proprie previsioni, ma sta di fatto che quel pomeriggio,
come aveva preventivato, la capa era nel suo ufficio. A dire il vero lui non la vide né la
incontrò, tuttavia i fatti gli diedero ragione. Ma sentiamo cosa avvenne.
Arrivò al dipartimento e questa volta non badò minimamente al portiere, il quale ricambiò
la non curanza continuando a chiacchierare con l’amico all’interno della guardiola. Al
secondo piano i lavori erano terminati, anche se secchi, spatole, pennelli e barattoli di vernice
ammassati in un angolo lasciavano intendere che ancora ce ne voleva perché la normalità
fosse ripristinata. Imboccò il corridoio, dal quale vide immediatamente la porta dell’ufficio
della capa. L’avrebbe riconosciuta? In fin dei conti si erano incontrati solo una volta, per di
più prima che andasse a prendere l’abbronzatura su chissà quale assolata spiaggia del mondo.
Questi dubbi vennero tuttavia meno per l’arrivo di un’impiegata distrettuale, quella
dell’ufficio smistamento posta.
“Cerca qualcuno?”
“Si, il capo dipartimento”.
“Oh, allora aspetti un attimo. Sa, è appena rientrata…E’ in riunione, e non vorrei che la
disturbasse. La dottoressa sapeva del suo arrivo?”
“Beh, no. Passavo di qui e allora…”
Emiliano Biaggio – Una mail 24

“Va beh, aspetti. La chiamo io dal mio ufficio e vediamo se può riceverla”.
L’addetta allo smistamento posta rientrò nella sua stanza, sollevò la cornetta e compose il
numero. Il giovane rimase in corridoio, a ridosso della porta dell’ufficio della capa. Pochi
istanti dopo, proveniente dall’ufficio in questione sentì una voce dire “Non l’aspettavo
purtroppo ora non posso riceverlo ma domani torna ********1 e può tranquillamente
chiamare lei”. Quindi fu silenzio.
Quella dell’ufficio smistamento uscì immediatamente dopo.
“La dottoressa…” Non la fece finire.
“Si, ho sentito. Grazie, molto gentile. Scusi il disturbo. Arrivederci”.
La capa non l’aveva vista, ma almeno non aveva fatto un viaggio a vuoto: aveva saputo che
l’indomani avrebbe fatto ritorno anche la facente le veci della capa. Così il pomeriggio
seguente la chiamò. Ella si scusò per non avergli risposto mentre era all’estero, quindi chiese:
“ma hai notizie del comunicato? Ti risulta sia stato spedito?”
Il giovane restò in silenzio: pensò di aver capito male, e si chiese “ma non era lei che
doveva darmi notizie della mail”? E glielo fece notare.
“Veramente dovresti essere tu a dirmelo. Eravamo rimasti d’accordo che mi avresti avvisato
se fosse partita la mail, ma non mi hai fatto sapere più nulla. Deduco che non sia stata
spedita, a meno che qualcuno non sia scordato di avvertirmi…”
Visibilmente seccata per l’allusione del giovane, la facente le veci della capa tenne precisare
che semmai ci fosse stato qualche disguido, questo non poteva che essere stato provocato da
altri. Così promise al giovane che avrebbe indagato sul perché la mail non fosse partita e
avrebbe scoperto dove il cammino della mail si era interrotto. Quindi gli diede appuntamento
per il lunedì successivo.
Il giorno concordato il giovane telefonò alla facente le veci della capa.
“Eccoci qua”, esordì lei. “Stavo giusto pensando a te. Se non avessi chiamato tu lo avrei fatto
io a breve. Ascolta, non è che puoi mandarmi un curriculum?”
Il giovane rimase sorpreso da quell’inaspettata richiesta. Pensò che al dipartimento si
fossero perso il suo curriculum e dato che era indispensabile per la firma del contratto, ancora
da apporre, gliene servisse una nuova copia. Ma non era così.
“Ci servirebbe un altro curriculum, di un’altra persona, anche di tuo amico. Serve solo da
allegare alla pratica del tuo contratto, per dimostrare che abbiamo scelto te tra una gamma di

1 Nel suo breve intervento il personaggio in questione ha rivelato la vera identità della persona cui fa riferimento.
Il non potersi esprimere liberamente per la vigenza di leggi sulla privacy che non consentono la diffusione di dati
personali unitamente al conseguente rischio di sanzioni non solo amministrative ma anche e soprattutto penali per
eventuali infrazioni delle suddette norme vigenti impongono il ricorso all’autocensura (NdA).
Emiliano Biaggio – Una mail 25

opzioni. Un secondo curriculum ce l’abbiamo noi, ma ce ne serve un terzo”.


Come forse il lettore saprà, ogniqualvolta si procede all’assunzione o alla
contrattualizzazione di qualsivoglia individuo, nel pubblico come nel privato si opera un
processo di selezione tra più persone, e quindi tra più curricula. Una volta deciso con quale
soggetto si instaurerà un rapporto lavorativo, indipendentemente dalla formula contrattuale
che verrà poi utilizzata, si procede alla verbalizzazione di quanto avvenuto specificando che
la scelta è ricaduta sulla persona indicata previa consultazione dei curricula vitae di tutti i
candidati. La procedura appena ricordata è stabilita da regolamento, per cui non sarebbe stato
possibile per il dipartimento far risultare il giovane come assoldato senza una regolare
selezione del personale candidato. Dato che, in base alle norme vigenti ai tempi in cui si
colloca la nostra storia, il numero minimo previsto per poter rendere valido il processo di
selezione era di tre curricula, la facente le veci della capa non fece altro che chiedere il
curriculum vitae mancante per rispondere ai parametri dettati dalla legge e mettere il giovane
in condizione di essere regolarmente selezionato. In parole più semplici, chiese al giovane di
contribuire alla messa in scena di una selezione farsa con cui aggirare, in modo conforme alla
legge, gli ostacoli normativo-procedurali alla sua contrattualizzazione, rendendo così un
favore a sé stesso e all’intero dipartimento.
Il giovane, ancora una volta, rimase sorpreso dai modi con cui si lavorava nella pubblica
amministrazione, o almeno in quella sua piccola sfera. Ma ancor di più rimase colpito dal
tempo di cui si poteva godere all’interno di uffici amministrativi: con rapidi calcoli ipotizzò
ad almeno due settimane lo slittamento dei lavori di pubblicizzazione del progetto tanto a
cuore, almeno a parole, al dipartimento. E non poté fare altro che constatare almeno altre due
settimane di propria inattività. Eppure erano già trascorsi quasi sessanta giorni senza che
nulla, in concreto, fosse stato fatto. Il giovane non riusciva a capire come fosse possibile far
naufragare uomini e programmi nei gangli spazio-temporali, perdere e perdersi negli
intervalli più o meno regolari del tempo, a seconda del suo scorrere e della sua percezione.
“Eppure”, pensò il giovane, “se sta bene a loro…” Tuttavia, anche ammettendo per un attimo
che al dipartimento disponessero di tutto il tempo che volevano, si convinse che nessuno lì
rispettava la tanto nota raccomandazione per cui “chi ha tempo non aspetti tempo”. Per
quanto gli era dato di sapere, lui continuava a rimanere in attesa.
“Vedrò cosa posso fare”, rispose il giovane. “Appena ho qualche curriculum te lo giro
immediatamente”.
Il giovane stette un attimo a riflettere sul da farsi: avrebbe potuto chiedere aiuto a qualche
amico? Si, avrebbe potuto. Ma cosa avrebbe chiesto loro? Domandare un curriculum senza
Emiliano Biaggio – Una mail 26

specificare il perché della richiesta avrebbe rischiato di alimentare false speranze e facili
illusioni, senza contare i sospetti che una tale richiesta avrebbe potuto generare. Di proporre a
conoscenti più o meno cari di contribuire a clamorosi falsi legali in atti d’ufficio non gli parve
il caso, così arrivò alla conclusione del caso: se si trattava solo di rimediare un cv che fosse
meramente figurativo, non era strettamente necessario che provenisse da fonti conosciute.
Così iniziò le sue ricerche su internet e, nell’arco di una ventina di minuti, il giovane trovò il
terzo curriculum richiestogli.
Trionfante inoltrò via mail il curriculum richiestogli, e avvertì immediatamente la facente le
veci della capa, al fine di cercare di velocizzare il processo farsamente legale di reclutamento
del personale. Ma una volta contattata, il giovane si sentì dire che, testuali parole, “purtroppo
oggi al dipartimento la posta non funziona, non so se potrò controllarla prima di domani”.
Una frase, questa, che poteva significare soltanto una cosa: posticipare ulteriormente il tutto.
Sul momento il giovane non seppe cosa rispondere, poi però si riprese ed ebbe a chiedere alla
facente le veci della capa quando il contratto sarebbe stato firmato. La domanda, a seguito
della risposta che ottenne, si rivelò del tutto fuori luogo. Il giovane si rese conto che sarebbe
strato meglio non avanzare una simile richiesta.
Come il lettore potrà facilmente immaginare, se per l’invio di una mail bisogna dar vita ad
un procedimento tra il dispersivo e l’interminabile, quando si tratta di procedere alla
contrattualizzazione di chicchessia l’iter della firma è ancor più complesso. Il giovane venne
infatti a sapere che una volta ottenuti i tre curricula, questi sarebbero stati fatti visionare alla
capa; questa, presa visione dei documenti in questione, li avrebbe fatti recapitare all’ufficio
amministrativo che, con i cv, avrebbe provveduto ad avviare la procedura formale per la
richiesta dell’apertura del rapporto lavorativo. Tale richiesta, corredata da curricula e tutto il
necessario, l’ufficio amministrativo l’avrebbe portata all’attenzione della direzione del
dipartimento che, una volta visionato l’intero incartamento e riscontrato che non vi fossero
vizi di forma alcuni e/o alcunché di irregolare, avrebbe provveduto a far arrivare l’intera
pratica sulla scrivania della presidenza per la firma necessaria alla redazione del contratto
richiesto. Una volta ottenuto il via libero dalla presidenza, l’intero incartamento firmato
avrebbe ripercorso l’intero tragitto a ritroso per tornare nell’ufficio della facente le veci della
capa, che avrebbe provveduto alla stesura di forma e formula definitive del contratto da
sottoporre alla sottoscrizione del candidato prescelto. Ovviamente, prima dell’apposizione
della firma del soggetto cui il contratto era rivolto, lo stesso avrebbe dovuto ripetere l’intero
iter affinché l’atto legale fosse visionato dalla presidenza come richiesto da regolamento. Si
trattava di pura e semplice formalità, nonché di un meticoloso controllo della conformità
Emiliano Biaggio – Una mail 27

dell’atto alle caratteristiche richieste per legge. Ripercorrendo una seconda volta il percorso a
ritroso, il contratto sarebbe finalmente giunto nelle mani della capa del dipartimento che
avrebbe convocato il soggetto contraente per la ratifica. Insomma, in “soli” diciotto passaggi
il contratto lavorativo sarebbe stato siglato, come si può vedere nella rappresentazione
sottostante:

L’iter procedurale che avrebbe dovuto condurre alla firma del contratto finale si rivelò più
impervio, arzigogolato e incredibile di quanto il giovane potesse immaginare. Per quanto
cercasse di farsi coraggio, ripetendosi mentalmente che aveva sentito male e che le cose non
stavano così come la facente le veci della capa gli aveva detto, il malcapitato non poté fare a
meno di rivedere i suoi calcoli: per rispondere all’iter richiesto e soddisfare tutti i passaggi,
sperando che il procedimento non avesse incontrato intoppi durante le sue varie fasi,
sarebbero occorse all’incirca tra le quattro e le cinque settimane, vale a dire il doppio del
tempo che il giovane aveva precedentemente ipotizzato. Questo avrebbe significato una
inattività di ancora un mese.
Il lettore a questo punto sarà nuovamente portato a credere, e non a torto, che quanto
Emiliano Biaggio – Una mail 28

appena detto sia frutto di finzione narrativa. Tuttavia va ribadito che di finzione letteraria in
queste pagine ce n’è ben poca, vero è che onde evitare problemi di naturale legal-giuridica si
deve ricorrere ad ogni tipo di accorgimento volto ad evitare la rivelazione totale e/o parziale
di nomi e soggetti. Orbene, il lettore dovrà rassegnarsi a constatare con incredulità una
situazione, o se vogliamo una serie di situazioni, come quelle che si trovò a vivere il giovane
in prima persona. Ma torniamo per un attimo proprio al nostro giovane: incredulo, non
riusciva a capacitarsi di trovarsi davanti ad una realtà come quella appena descrittagli. Con
sconcerto si chiese se la facente le veci della capa non avesse snocciolato una qualche scusa o
giustificazione per un'assunzione che non volevano riconoscergli nonostante i proclami
iniziali, poi però cominciò a pensare che, se veramente esistevano una direzione e una
presidenza, allora ogni cosa avrebbe trovato una spiegazione. Fino a quel momento, infatti,
aveva creduto, con ogni probabilità in modo troppo scontato e superficiale, che la capa del
dipartimento fosse l'organo ultimo della scala gerarchica. Il che, per certi versi, era così,
essendo la capa in questione il gradino più alto della piramide con cui aveva a che fare lui. In
realtà, si rese conto, egli non conosceva la reale struttura del soggetto per cui, praticamente
ma non legalmente, stava lavorando. Cosa ospitavano gli altri piani del palazzo in cui il
giovane si era recato in più di un'occasione?
Il quesito resterà forse insoluto, poiché come già detto in altro frangente, ciò che a chi
scrive interessa sono le peripezie del giovane malcapitato, il quale, in occasione del tortuoso
percorso della mail, si era supposto fosse del tutto ignaro della situazione e vittima delle sue
impressioni personali. Alla luce di quanto visto poc'anzi e di quanto detto finora, sembra
dunque che il giovane risentisse più delle sue non conoscenze del mondo della pubblica
amministrazione che di quelle che lui pensava le disfunzioni dello stesso e della società in cui
viveva. Il fatto che il giovane ignorasse che vi fossero una direzione e una presidenza,
unitamente alla mancata curiosità che non indusse il giovane a domandarsi se vi fossero
organi e/o uffici sopra ordinati a quello della capa del dipartimento, testimoniano l'estraneità
del giovane alle dinamiche pubbliche e dimostrano come il malcapitato in realtà si sentisse a
disagio più per ragioni soggettive che per cause esterne. In altre parole, se il giovane si
sentiva un concentrato di incredulità, sgomento, tristezza, disagio, delusione, insoddisfazione,
smarrimento e rabbia, e se la sua persona era pervasa da un profondo senso di malessere, era
per colpa sua. E tutto, ma proprio tutto, risultava essere perfettamente nella norma.
“D’accordo”, riprese il giovane. “Allora attendo tue notizie”.
“Sì. Adesso io farò avere il curriculum che mi hai inviato al capo, e cercheremo di
velocizzare queste procedure. Rimaniamo che appena so qualcosa ti chiamo così ti faccio
Emiliano Biaggio – Una mail 29

sapere”.
La comunicazione si interruppe e il giovane riagganciò. La rivelazione lo aveva colto di
sorpresa, ma a preoccuparlo furono le parole di chiusura della facente le veci della capa:
l’ultima volta che era stato lasciato ad attendere notizie era stato dimenticato da tutto e tutti.
Emiliano Biaggio – Una mail 30

Capitolo 7

Una mail, sempre quella

Trascorsero tre giorni, senza che la facente le veci della capa si facesse sentire. Il giovane,
per uscire dal suo limbo e sfuggire all’attesa spossante, ruppe gli indugi e compose il numero
del telefono cellulare della facente le veci della capa.
“Pronto?”
“Buongiorno, sono il vostro collaboratore”
“Hai perfettamente ragione, non ti ho fatto sapere più nulla. Il punto è che io ho avuto
problemi e in questi giorni non sono andata al dipartimento. Non so neanche dirti se il
curriculum l’ha visto qualcuno perché ricordi che c’era il problema del server di posta?
Comunque appena so qualcosa ti chiamo. Ad ogni modo tieniti pronto che lunedì ci dovrebbe
essere una riunione con tutti quanti per fare il punto della situazione. Ancora non è certo, ma
te lo faremo sapere”.
La conversazione si rivelò preziosa come al solito. Ormai il giovane aveva imparato a
diffidare di quelli che in teoria avrebbero dovuto essere i suoi capi ma che in pratica si
rivelavano procuratori di imprevisti. Pensò di rivolgersi all’ometto o alla fanciulla dagli occhi
blu, in fin dei conti anche la società controllata dall’ente nazionale era coinvolta nel progetto,
quindi se fosse stata indetta una riunione per fare il punto della situazione loro lo avrebbero
saputo di certo. Poi però pensò un attimo all’imbarazzo che avrebbe potuto destare una simile
eventuale ipotesi: poteva presentarsi al cospetto di persone che non erano sue colleghe, non
lavoravano per lo stesso soggetto cui il giovane faceva capo e chiedere delle informazioni
perché a lui, tra tutti i suoi superiori, non c’era nessuno che faceva mai sapere nulla? Si
decise che forse era meglio evitare, così rimase in attesa. Ovviamente non ricevette alcuna
telefonata nei giorni che seguirono, così lunedì si presentò al dipartimento. Anche se non
avesse avuto luogo alcun incontro, almeno lui avrebbe potuto incontrarsi con qualcuno dei
suoi ipotetici capi. Così avvenne: il lunedì si presentò al dipartimento per l’ora in cui, almeno
secondo le intenzioni di tutti gli altri, si sarebbe dovuta tenere la riunione. Giunto al piano
notò chela porta dell’ufficio della capa era chiusa. Fece per bussare quando venne fermato da
una voce.
Emiliano Biaggio – Una mail 31

“La dottoressa è impegnata in una riunione”, disse un’impiegata che il giovane non aveva
mai visto prima. Probabilmente la donna dalla corporatura minuta e dai capelli castani
doveva essere appena rientrata dalle ferie.
“Si, lo so. Mi sta aspettando”.
L’impiegata aprì la porta e annunciò il giovane, il quale però non era atteso e risultava, si
rese conto il malcapitato, piuttosto inopportuno.
“Ma come, non l’hanno avvertito? La riunione di oggi non c’è più – risuonò la voce della
capa – è stata spostata a dopodomani. Mi ero raccomandata di avvisare tutti. Vabbè, glielo
dica lei. Adesso ho da fare”.
Il giovane udì le parole uscite dall’uscio della porta socchiusa, girò su sé stesso e fece per
andarsene quando, fatti pochi passi si vide venire incontro la facente le veci della capa.
“Oh, buongiorno. E tu che ci fai qui?”, gli chiese.
“Nulla, ero venuto ad avere informazioni circa il contratto”. Il giovane rimase sorpreso dalla
domanda della facente le veci della capa. Dunque ella sapeva che la riunione pensata
inizialmente per quel giorno era saltata. Era lei che gli aveva taciuto la cosa? “Comunque la
dottoressa è impegnata, però ne riparliamo dopodomani”.
“Dopodomani?”, domandò la facente le veci della capa. “Che c’è dopodomani?”
“La riunione. Non lo sapevi?”
“Ah, è confermata allora? A me non lo avevano detto”.
Il giovane salutò e andò via, sospettoso di quanto stava succedendo. Qualsiasi cosa
accadesse, lui puntualmente non ne veniva informato. Dipendeva dal suo status di
“estraneo”? Quand’anche il contratto fosse stato firmato, sarebbe stato reso partecipe di ogni
minimo avvenimento riguardante sé e il “suo” dipartimento? Non sapeva rispondersi, ma
certo è che tutti erano andati in ferie senza dirgli nulla, gli avevano taciuto per due mesi la
necessità di un terzo curriculum per avviare le pratiche di contrattualizzazione, nessuno era
stato in grado di fargli sapere se la mail fosse stata spedita oppure no e infine, da quanto
aveva sentito per bocca della capa, nessuno gli aveva comunicato che la riunione in
programma era stata annullata. Iniziò a domandarsi se veramente la sua presenza fosse
richiesta. Ma in fin dei conti, per quale motivo delle persone a lui del tutto sconosciute ed
estranee avrebbero dovuto burlarsi di lui in questo modo? Non poteva fare a meno di pensare
a queste cose mentre percorreva la via del ritorno. Certo la situazione non gli appariva delle
più chiare, ma nell’arco di due giorni tutto, o parte, si sarebbe chiarito. Questo, almeno, era
quello che credeva il giovane, che il mercoledì si presentò al dipartimento per partecipare
all’incontro questa volta effettivamente tenuto.
Emiliano Biaggio – Una mail 32

Arrivato al secondo piano, trovò l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu in piedi in mezzo al
corridoio, nei pressi della porta chiusa dell’ufficio della capa del dipartimento.
“Ciao”, disse loro. “Non entrate?”
“Veramente stiamo aspettando”, fece la fanciulla dagli occhi blu.
“Perché, non c’è ancora nessuno?”, chiese lui.
“A dire il vero la dottoressa c’è, ma è nel bel mezzo di un‘altra riunione a sentire lei
importante e urgente e quindi ci ha chiesto di aspettare”, spiegò l’ometto.
“Ah. Capisco”.
Rimasero lì in attesa che la porta si aprisse e la capa del dipartimento li facesse accomodare,
mentre osservavano quella che era la cabina di regia di un settore del Paese dall’importanza
non proprio marginale sull’economia del Paese. Quello che doveva essere il cuore e il motore
di un comparto che almeno per linee teoriche avrebbe dovuto essere potenziato e tenuto
sempre sotto stretta sorveglianza, il luogo dove avrebbero dovuto prendere corpo tutte le
politiche di sviluppo e di riassetto del settore, era un brulicare di gente intenta solo ed
esclusivamente ad una cosa: trovare qualsiasi attività futile volta all’astensione dal posto e
dagli obblighi di lavoro. Ovunque era un andare e venire di uomini e donne di ogni età: chi
andava a far vedere dei fogli a colleghi delle stanze vicine, chi a salutare persone magari
appena rientrate da ferie o da giorni di permesso o da aspettative o da malattie, chi si recava
al bagno, chi invece al distributore automatico di bevande, chi alla fotocopiatrice. Insomma, i
corridoi del secondo piano del dipartimento erano uno scorrere di individui dagli ingorghi e
dalla confusione di un traffico umano dal forte disordine e caos. Tutti erano impegnati in
attività che li tenevano fuori dall’ufficio, e in quel contesto riusciva difficile credere che tutte
quelle persone stessero facendo qualcosa che avesse a che fare con il lavoro che, almeno a
livello teorico, erano chiamate a svolgere. Non mancava la classica discussione calcistica tra
uomini, e c’era persino chi, pur di sottrarre tempo alle proprie mansioni, si fermava a
discutere con uno dei tecnici addetti alla manutenzione dei computer dei problemi che
avevano afflitto o stavano affliggendo l’elaboratore. Da come gli impiegati guardavano il
tecnico, con sguardo vacuo e perso, apparve chiaramente come questi non stessero capendo
un bel niente di hardware, software, ram e rom, ma la funzionalità di quella conversazione a
interlocutore unico risiedeva nella sottrazione di quei minuti di spiegazione tecnica al turno
lavorativo. Mentre i tre assistevano a tutto questo, con l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu
dell’ufficio stampa della società controllata dall’ente nazionale che non si capacitavano di
come nel pubblico fosse possibile e permesso una così vasta area adibita a pascolo umano, la
porta dell’ufficio della capa del dipartimento si aprì. I tre fecero per entrare, ma una figura
Emiliano Biaggio – Una mail 33

femminile li fermò sulla soglia invitandoli a prendere altro tempo.


“La dottoressa ne avrà ancora per un po’. Nello scusarsi per lo spiacevole contrattempo vi
invita a prendervi un caffè, così da non attendere qui fuori…”
In modo certamente non elegante e ancor meno cortese i tre vennero “invitati” a lasciare
l’edificio per tornare in un secondo momento. Il giovane non riuscì a capire se l’ometto e la
fanciulla dagli occhi blu avessero accolto le parole proferite dalla donna apparsa sulla soglia
della porta della stanza con disappunto, ma per quanto gli riguardava egli sapeva che quanto
si era appena verificato non gli era piaciuto per niente. A suo modo di vedere convocare le
persone per poi far fare loro anticamera e quindi invitarle a ripassare non era affatto indice di
buon costume né tanto meno di buona educazione, ma alla fine tutti i tre si ritrovarono tra le
mura del bar.
“Ma te esattamente di cosa ti occupi al dipartimento?”, chiese al giovane la fanciulla dagli
occhi blu.
Il giovane stava per risponderle “vorrei tanto saperlo anch’io”, ma non gli sembrò
opportuno. Per cui si limitò a spiegare a grandi linee la situazione in cui versava.
“In teoria dovrei fare da ufficio stampa al progetto, pubblicizzarne l’esistenza e i risultati
ottenuti, ma in pratica non posso occuparmi direttamente della cosa finché non ho firmato il
contratto”.
“Ancora devi firmare il contratto?”, chiese stupefatto l’ometto dell’ufficio stampa della
società controllata dall’ente.
“Ebbene sì”.
“E quando lo firmerai?”, chiese l’ometto.
“Ma il contratto c’è?”, gli fece eco la collega dagli occhi blu. “Possibile che ancora non te
l’abbiano fatto vedere?”
“Il contratto c’è, ho visto la bozza. So che ci stavano lavorando, poi sapete com’è: un po’ le
ferie, un po’ i tempi della pubblica amministrazione. Prima o poi dovrei firmarlo”.
Quest’ultima frase nascondeva timori, a questo punto non proprio del tutto infondati, che il
giovane cominciava ad avvertire con sempre maggior insistenza. Non si sarebbe stupito se
alla fine tutto si fosse risolto con un nulla di fatto, in fin dei conti era stato trattato come se la
sua presenza fosse quasi di disturbo. “Tuttavia”, pensò, “che senso avrebbe? Mi hanno
cercato loro”.
“Ma a parte il comunicato stampa, non hai realizzato altro?”, domandò la fanciulla dagli
occhi blu.
“No. Tra l’altro quel comunicato doveva essere spedito alle agenzie e mi dicono che non è
Emiliano Biaggio – Una mail 34

neanche uscito da nessuna parte”.


“Ah, era per le agenzie di stampa? Pensavo fosse per il sito istituzionale del dipartimento”,
disse l’ometto dell’ufficio stampa della società controllata..
“In fin dei conti è finito solo lì”, aggiunse la sua collega dagli occhi blu.
Il giovane trasecolò: probabilmente aveva capito male. “Eh? E’ finito solo lì dove? E
cosa?”, chiese.
“Come sarebbe a dire?!”, reagì sorpresa la fanciulla dagli occhi blu. “Sul sito del
dipartimento. Il comunicato è lì. Noi l’abbiamo scoperto per caso. Certo che ce lo potevate
anche far sapere…”
Il giovane rimase in silenzio. Ancora una volta qualcosa era successo senza che lui ne
avesse avuto notizia. Ancora una volta si erano dimenticati di lui.
“Vuoi dire che non lo sapevi neanche tu?” domandò la fanciulla dagli occhi blu dopo che il
giovane non ebbe fornito alcuna spiegazione al mancato avviso della pubblicazione del
comunicato su internet.
“No”, si limitò a rispondere. Una capa impegnata o in ferie e una sua facente le veci dai
contrattempi, dalle misteriose sparizioni e dalle amnesie che le impedivano di ricordarsi di
telefonare e recapitare anche l’avviso più insignificante; un dipartimento dove la gente
sembrava recarsi per concedersi lunghe passeggiate per i corridoi; un contesto in cui tutto, ma
proprio tutto, dalla cosa più elementare a quella più complessa, necessitava di autorizzazioni,
visti, prese visioni e via libera per un numero minimo di passaggi tra uffici mai inferiore a
otto scambi della stessa documentazione; una dirigente statale che convocava le persone per
poi far fare loro anticamera e quindi invitarle ad andar via e ripassare; a tutto questo si univa
adesso il dover apprendere da persone estranee al proprio teorico contesto lavorativo di
appartenenza ciò che avrebbe dovuto sapere dai propri superiori. Per quanto si sforzasse di
credere che tutto ciò aveva un senso, il giovane si convinse che non lo aveva, e che mai
avrebbe potuto averne. Fino a quel momento la pazienza, forse anche per via della
coesistenza con l’inesperienza e il dubbio, lo aveva tenuto in vita nonostante il suo stato
d’animo fosse comunque un concentrato di incredulità, sgomento, tristezza, disagio,
delusione, insoddisfazione, smarrimento e rabbia, e se la sua persona era pervasa da un
profondo senso di malessere. Perché fino a quel momento, l’aver letto comunque una bozza
del contratto che chissà quando avrebbe visto nella sua versione definitiva e firmato, l’essersi
ritrovato in un periodo dell’anno in cui la gente usufruisce del periodo di lontananza dal posto
di lavoro riconosciuto dalla legge e pagato, erano comunque elementi che in un certo qual
modo avevano contribuito a trovare una sia pur minima spiegazione a quanto finora gli era
Emiliano Biaggio – Una mail 35

capitato e a conservare quello spirito che se proprio non è possibile definire ottimistico
sicuramente lo si può chiamare speranzoso. Adesso anche la speranza sentì che lo stava
abbandonando. Si sentì come tradito e ripudiato: perché mai dover sapere da soggetti terzi ciò
che altri gli avevano tenuto nascosto? Sentì che iniziava a non poterne più. Ma fu questione
di un momento, poiché poi la calma e la pazienza vennero in suo soccorso e lo portarono
sulla via della riflessione e della ragionevolezza. Il comunicato era finito su internet? Voleva
dire che era stato ritenuto idoneo alla pubblicazione su sito istituzionale e che di conseguenza
il suo lavoro aveva risposto alle esigenze della committenza che aveva avuto modo di
apprezzare non solo il comunicato ma anche la validità e l’affidabilità della persona chiamata
a curare l’ufficio stampa. Alla fine il giovane convenne che il suo lavoro aveva avuto alla fine
un senso, l’aver dovuto dire addio a mare, sole, relax e ragazza non era stato per niente, che il
percorso della mail aveva trovato una dirittura d’arrivo, e che il suo operato era stato
apprezzato. Certo restava da capire come mai la mail non avesse raggiunto gli indirizzi di
posta elettronica dei singoli redattori delle diverse agenzie, restava da capire chi avesse
pubblicato il comunicato e chi ne avesse taciuto la pubblicazione al giovane, ma questo, si
disse il malcapitato, era di secondaria importanza.
“Da quando è stato messo sul sito?”, chiese all’ometto e alla fanciulla dagli occhi blu
dell’ufficio stampa della società controllata dall’ente nazionale.
“Da almeno una decina di giorni, cioè quando all’incirca l’abbiamo visto noi”, rispose la
fanciulla. “Però noi l’abbiamo trovato per caso ed è possibile che stia lì anche da prima”.
Come sempre, da quando tutta questa storia era cominciata, tutto risultava vago e confuso.
Mai niente di certo. “In fin dei conti- pensò tra sé- di certo c’è solo la morte”.
Emiliano Biaggio – Una mail 36

Capitolo 8

Essere senza essere

Le sorprese per il giovane non erano finite. Tornato al secondo piano del dipartimento con
l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu dell’ufficio stampa della società controllata dall’ente
nazionale, il malcapitato si imbatté nella capa del dipartimento, il che, data la complessità
della reperibilità della stessa, fu evento piuttosto insolito e degno di nota. Certo, l’incontro
era stato combinato dalla stessa capa, ma se si pensa alle volte in cui costei non si era fatta
trovare perché in vacanza chissà dove o perché impegnata in chissà quale affare di stato, il
poter conferire con ella risultò per il giovane un avvenimento straordinario. Quella era la
seconda volta che il giovane incontrava la sua capa, e il loro primo nonché unico faccia a
faccia risaliva a due mesi prima.
Non mancarono però altri motivi di stupore: il primo fu l’assenza della facente le veci della
capa che, stando a quanto annunciato dalla capa, non poté presenziare alla riunione per
motivi personali che l’avevano costretta altrove, lontana dal dipartimento. Il giovane si
meravigliò per quanto la capa aveva appena finito di dire ai presenti: era stata indetta una
riunione per fare il punto della situazione, con la convocazione di tutti i soggetti giuridici e le
persone fisiche coinvolti nel progetto e la facente le veci della capa non si sarebbe presentata?
Al giovane la cosa lasciò un attimo interdetto poi però, alla luce di quanto era accaduto in
quegli ultimi mesi, con un contratto ancora da firmare, con gente che sparisce senza avvertire
e senza lasciare traccia, con una mail che per raggiungere i destinatari prefissati doveva
seguire un percorso tortuoso fatto di otto passaggi e con l’arrivo ad una destinazione diversa
da quella prevista, alla luce anche degli eventi più recenti di persone convocate per una
riunione e poi lasciate a fare anticamera e poi gentilmente invitate a ripassare, il giovane si
convinse che quanto stava avvenendo era del tutto normale e coerente con quanto aveva
assistito fino a quel momento. Anche perché, a ben vedere, la presenza della capa riduceva le
ragioni d’essere della sua facente le veci. All’assenza della facente le veci della capa si
accompagnò subito la partecipazione all’incontro di altre due persone, un uomo e una donna
mai visti prima e con ogni probabilità entrati nell’ufficio della capa del dipartimento mentre il
giovane, l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu stavano consumando la loro colazione forzata.
Emiliano Biaggio – Una mail 37

Si venne a sapere nel corso della riunione che le persone in questione rappresentavano una
società di comunicazione responsabile dell’organizzazione dei convegni con cui promuovere
e pubblicizzare il progetto dalle mille paternità. L’uomo, si apprese, era il general manager e
chief executive officer della società in questione, praticamente il capo indiscusso dell’azienda
di comunicazione; la donna, una quasi quarantenne sprizzante simpatia da ogni singolo poro
della pelle, si rivelò invece il director for external relations and communications della
medesima società. In termini più semplici e comprensibili al pubblico la donna altro non era
che il capo ufficio stampa dell’azienda, ma ai tempi peraltro non così remoti in cui il nostro
giovane si trovò a vivere le sue (dis)avventure era pratica piuttosto comune ricorrere ad
espressioni che potremmo definire ‘esotiche’ per conferire un’aura di fascino e mistero al
proprio lavoro. Costoro, si venne a sapere, avevano il compito di organizzare una serie di
convegni con cui rendere nota alla cittadinanza e al mondo istituzionale, locale e centrale,
l’esistenza del progetto e i suoi risultati ottenuti e sempre con costoro la capa del
dipartimento stilò un programma di massima del convegno, lasciando all’ufficio stampa della
società controllata dall’ente e al puramente nominale ufficio stampa del dipartimento,
ovverosia il nostro giovane malcapitato, il solo compito di prendere appunti e approvare
quanto stabilito dalla capa del dipartimento e dai due rappresentanti della società di
comunicazione. A che pro chiamare delle persone quando il loro parere non è richiesto e la
loro presenza risulta del tutto superflua?, si chiese il giovane. In quanto ipotetico ufficio
stampa avrebbe potuto essere contattato dalla capa o dalla facente le veci della capa in un
secondo momento per essere messo al corrente degli accordi presi tra la sua superiore e i
rappresentanti della società di comunicazione ma la parvenza, si sa, è forse più utile della
realtà stessa, come dimostrato ampiamente dalla faccenda dei curricula. Perciò il giovane
rimase a prendere nota di quanto stava accadendo in quell’ufficio, per poi chiedere alla capa
del dipartimento, una volta terminata la riunione e rimasto da solo a conferire con lei, da dove
avrebbe dovuto cominciare dato che si dovevano realizzare comunicati stampa in vista dei
convegni e cartelle stampa per gli eventi. La risposta, non si fece attendere e non mancò di
originalità.
“Lei ha ragione, la sua è una domanda pertinente. Purtroppo la sua situazione contrattuale è
ancora da definire e finché lei non ha il contratto non possiamo muoverci. Avevo inviato tutto
l’incartamento ma chi se ne deve occupare al momento non può. Io spero al più presto di
risolvere la cosa, ma fino a quel momento non possiamo fare nulla”.
La risposta fornita dalla capa del dipartimento conteneva una verità in forte contrasto con la
realtà: da una parte, come peraltro già detto in precedenza, in mancanza di contratti firmati
Emiliano Biaggio – Una mail 38

non c’era nulla che potesse giustificare, in alcun modo, la presenza e del giovane e il
dipartimento, proprio per la non avvenuta stipulazione di alcun tipo di rapporto di lavoro, non
avrebbe saputo come giustificare, qualora fosse giunta una qualche richiesta di spiegazioni, la
presenza di una persona estranea ed esterna all’ambiente dipartimentale; dall’altra, l’essere
convocato alla riunione in veste di “colui che cura l’ufficio stampa” – poiché queste erano le
parole con cui la capa del dipartimento aveva presentato il giovane ai rappresentanti della
società di comunicazione – riconosceva formalmente il malcapitato come una persona
ricoprente un ruolo all’interno del dipartimento. In altre parole, la presenza fisica del giovane
in quell’ufficio si scontrava con la mancanza di un rapporto lavorativo messo nero su bianco,
e il suo riconoscimento da parte dei suoi offerenti lavoro si infrangeva contro le mancanze
legal-giuridiche. Il giovane riceveva suggerimenti, non direttive; poteva operare a nome della
capa del dipartimento, purché le sue azioni non uscissero dagli ambienti del secondo piano
del dipartimento, l’ufficio stampa della società controllata dall’ente nazionale e le linee
telefoniche dell’ufficio external relations and communications della società di comunicazione
appena entrata a far parte del gruppo di lavoro. Era senza essere. Ufficialmente non esisteva,
materialmente doveva essere il tramite del dipartimento con gli altri soggetti interessati dal
progetto. Per quanto sembrerà inconcepibile che nel pubblico possa esserci del sommerso, il
giovane era a tutti gli effetti un lavoratore in nero. Anche per questo, in due mesi, aveva fatto
poco o nulla.
“Quindi come rimaniamo?”, fece il giovane alla capa.
“Rimaniamo che appena qualcosa si smuove le faremo sapere. Comunque ci sentiamo”.
“E per quanto riguarda il convegno, l’elaborazione dei comunicati e il resto?”
“Intanto ci lavorano gli altri, che altro possiamo fare? Per ora siamo fermi…”
Alla fine non erano rimasti in nessun modo, e al giovane, cui era stato detto nuovamente di
rimanere in attesa, non rimase altro che tornare nel limbo in cui aveva vissuto sospeso fino a
pochissimo tempo prima. Che senso ha tutto questo?, si chiese. Non fu in grado di trovare
risposte.
Emiliano Biaggio – Una mail 39

Capitolo 9

Giochi di potere

Il tempo scorreva. Difficile stabilire con quale velocità. Nessuno lo aveva chiamato, dal che
il giovane dedusse che nulla era accaduto e che al dipartimento nessuno sentiva la benché
minima apprensione per i giorni che passavano. Quelli che ancora rimanevano a disposizione
di quella divisione amministrativa probabilmente erano ancora sufficienti per potersi
permettere ritmi di lavoro blandi, o comunque non forsennati, ma il giovane iniziò a tenere
sotto controllo le pieghe temporali: rispetto al periodo di collaborazione previsto dalla bozza
di contratto che ebbe modo di leggere nell’ufficio-archivio della facente le veci della capa,
più della metà del suo tempo era già trascorso.
Onde evitare di perdere altro tempo, il giovane prese l’iniziativa e si mise all’opera:
contattò la società controllata dall’ente nazionale, e chiese un incontro per ottenere tutta una
serie di dati relativi al progetto utili ai fini della realizzazione dei comunicati stampa e della
cartella stampa; in questa occasione il giovane venne a sapere che la responsabile
dell’external relations and communications della società di comunicazione aveva già
intessuto una fitta trama di rapporti con l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu, e che stava
lavorando alla stessa cosa cui egli si era interessato per sua iniziativa personale. Quel giorno
la pazienza non venne in soccorso del giovane, che stufo della situazione generale in cui era
finito, si fece forza di quell’autorità che non aveva ma che in minima e formale parte gli
veniva riconosciuta: sottolineò come egli rappresentasse la capa del dipartimento e che non
era possibile fare la benché minima cosa senza previe consultazioni. Quindi, ottenuta la
disponibilità del soggetto in questione ad incontrarsi, il giovane contattò la società di
comunicazione per convocarla alla riunione appena richiesta. Parlò con la donna che aveva
visto giorni prima nell’ufficio della capa del dipartimento, redarguendola per non aver
informato né lui né la sua responsabile delle iniziative prese. Quindi le comunicò la data
stabilita per l’incontro.
La riunione si tenne presso la sede della società controllata dall’ente nazionale, dove il
giovane venne condotto dalla facente le veci della capa all’inizio della sua nuova esperienza
lavorativa. C’erano ovviamente l’ometto e la fanciulla dagli occhi blu, ma c‘era soprattutto il
Emiliano Biaggio – Una mail 40

responsabile della società controllata, l’uomo che all’interno di quella società si occupava del
progetto ed era in possesso di ogni singolo dato ad esso relativo. L’incontro però divenne
l’occasione per ridiscutere il programma del convegno tracciato dalla capa del dipartimento.
Il giovane capì bene che in realtà tutti lo stavano bypassando, e che la società controllata
dall’ente stava lavorando in partnership con la neo entrata società di comunicazione: a
riprova di ciò al capo ufficio stampa di questa diedero il materiale, al giovane no.
“Ci spiace, ma ne abbiamo solo una copia”, disse come a giustificarsi il responsabile della
società controllata.
“Non ti preoccupare, te lo giro immediatamente via mail”, aggiunse il director for external
relations and communications della società di comunicazione.
Al giovane il quadro della situazione si presentò ben chiaro: erano in atto giochi di potere, e
gli attriti si facevano sempre più forti. La società controllata dall’ente nazionale era stata
messa in una posizione di debolezza dal dipartimento, che aveva acquisito il controllo del
programma a scapito della società controllata stessa. Questo lui lo sapeva, era la fanciulla
dagli occhi blu ad averglielo rivelato mesi addietro; ma alla società controllata dall’ente
nazionale sapevano che il giovane non aveva alcun contratto, e quindi di conseguenza nessun
potere o autorità, pertanto veniva considerato da un punto di vista formale ma non fattuale. Il
disporre di un ufficio stampa accreditato, reale e operativo, quale quello della società di
comunicazione, permetteva alla società controllata di collaborare con questo senza rendere
partecipe il dipartimento che, secondo i piani della società controllata, avrebbe dovuto
rimanere all’oscuro di ogni minimo cambiamento per farlo ritrovare di fronte al fatto
compiuto ormai a giochi fatti. Al giovane tutto questo in realtà non interessava, ma il venir
bypassato fu una cosa che non digerì, così appena finita la riunione da lui indetta ma alla
quale fece solo presenza, chiamò la capa del dipartimento per riferire quanto udito in sala. La
capa ovviamente era impegnata, ma il giovane insistette ripetendo con forza alla centralinista
che si trattava di cosa urgente. Alla fine la capa, visibilmente contrariata, rispose al telefono.
“Allora, cosa c’è di così importante da interrompere una riunione?”, disse infastidita.
“Beh, il suo programma per il convegno è stato rimesso in discussione”.
La capa del dipartimento andò su tutte le furie e pretese spiegazioni dettagliate dal giovane,
il quale, visto quanto la sua superiora aveva “a cuore” la situazione, rincarò la dose:
“…E non è tutto: per quanto riguarda le partecipazioni e gli interventi avrebbero messo il
loro presidente all’inizio, e non il direttore generale alla fine come stabilito da Lei”…
Apriamo qui una doverosa parentesi affinché il lettore possa comprendere meglio cosa
stesse provocando l’ira della capa del dipartimento. Va da sé che ci siano contrasti e fonti di
Emiliano Biaggio – Una mail 41

scontri quando ci si trova davanti ad un progetto dove un ministero mette l’idea, un secondo i
soldi, un terzo le regole, un dipartimento le energie e soprattutto le capacità realizzative del
progetto in partnership con una società di un ente nazionale di forte rilevanza, quando un
sottosegretario dà il benestare al tutto, enti esterni ma comunque non estranei alla cosa
pubblica fanno il tifo per l’uno o l’altro soggetto coinvolto e quando ministeri terzi, infine,
danno la propria solidarietà a seconda di quello che richiede il caso. Ma qui la situazione era
di più semplice lettura poiché nella bozza di programma del convegno la capa del
dipartimento aveva stabilito, in base al controllo che il suo ente aveva sul progetto, quali
fossero le personalità chiamate ad intervenire. Nomi e cognomi della sua istituzione e delle
altre società, ivi compresa quella controllata dall’ente nazionale, erano stati fatti dalla capa
del dipartimento con il consenso e l’approvazione dei presenti alla riunione, che avevano
acconsentito anche all’ordine di interventi stilato sempre dalla capa del dipartimento. Per cui
ogni tentativo di riscrivere nomi di partecipanti e modificare l’ordine degli interventi venne
visto come una manovra politica volta ad assumere una maggiore visibilità, e quindi
importanza, a scapito del dipartimento. L’ordine degli interventi non era casuale: prima
avrebbe parlato un rappresentante del dipartimento, poi tutti gli altri, con il rappresentante
dalla società controllata dall’ente nazionale a chiudere la serie di interventi. Un gioco politico
in cui il dipartimento veniva prima degli altri. Non solo: il dipartimento si riservava il diritto-
dovere di indicare quale personalità della società controllata dall’ente nazionale doveva
partecipare. La capa del dipartimento aveva espressamente richiesto un nome, mentre la
società ne stava fornendo un altro. Per cui quando la capa del dipartimento seppe quanto la
società controllata stava tramando a sua insaputa, andò su tutte le furie.
“Sono io che decido”, ruggì al telefono. “Ogni decisione la devono prendere con me, e ogni
cosa deve essere fatta solo se io do l’ok. Quello che stanno facendo non esiste. Ha fatto bene
ad avvisarmi”.
Aveva fatto la spia? Aveva difeso gli interessi delle persone per cui, almeno in linea di
principio, lavorava? Il giovane queste domande se le pose, ma alla fine convenne che gli altri
con lui non si erano fatti molti scrupoli, per cui non vide per quale motivo dovesse
comportarsi diversamente. La capa lo ringraziò per averla tenuta informata e riattaccò. Il
giovane venne poi a scoprire che subito dopo la loro breve conversazione la capa del
dipartimento sospese la riunione che aveva in corso per incollarsi al telefono e ribadire la
propria autorità a chi di dovere. Dopo questo incidente passarono giorni in cui non accadde
nulla: il giovane ricevette i dati richiesti alla società controllata dall’ente nazionale, segno che
il suo operato aveva dato i suoi frutti. Iniziò a lavorare alla cartella stampa tra l’indifferenza
Emiliano Biaggio – Una mail 42

generale: a qualcuno, e forse anche a più di qualcuno, il suo colloquio con la capa del
dipartimento non era andato giù. Nessuno si era mai curato di lui fino ad allora, figuriamoci
dopo aver fatto esplodere la bomba a orologeria confezionata dalle sfere più o meno alte dei
palazzi del potere. Ebbe modo di contattare l’ufficio stampa della società controllata dall’ente
nazionale per questioni relative a dati necessari alla cartella stampa: al telefono rispose
l’ometto, che cercò di far capire al giovane cha al di là di tutto la società conservava una
propria autonomia e che in virtù di ciò era libera di scegliere da sola i propri dirigenti da far
intervenire al convegno. Ma questo al giovane non interessava: rispose seccato che capiva,
ma che non poteva farci nulla. Ed era vero: non era che una pedina in uno scacchiere più
grande di lui. L’ometto continuò a difendere le ragioni della sua società, ma il giovane, che
ormai aveva avuto dati e spiegazioni di cui aveva bisogno, ringraziò e pose fine alla
conversazione riattaccando. La pazienza nelle ultime occasioni l’aveva assistito meno, segno
di una stanchezza evidente.
Emiliano Biaggio – Una mail 43

Capitolo 10

CV, ovvero l’iter prosegue

Erano due giorni che non metteva mano alla bozza di cartella stampa. Nessuno lo cercava e
quindi nessuno gli metteva fretta. Il dipartimento sembrava disporre di tempo illimitato, e il
giovane decise che non era il caso di affannarsi. Si godette quei due giorni autunnali
sorprendentemente e piacevolmente estivi, concedendosi salutari lungo il lago. Ne riscoprì la
bellezza, insieme al fascino del paesaggio e della natura circostanti. La strada scorreva sotto i
suoi piedi, accanto gli alberi sfilavano via, mentre i riverberi di luce facevano scintillare la
superficie lacustre di tanti frammenti luminosi. Correva e ammirava quel luogo che lo
guardava passare. E si interrogava. Era ancora tempo di bagni laggiù? Si potevano ancora
trascorrere rilassanti mattine in spiaggia? La sua mente vagava, aveva bisogno di distrarsi e di
scappare da ogni fonte di preoccupazione. Gli disse che sarebbe rientrata il trenta, e il trenta
era già passato da un pezzo. Mentre avvertiva un risveglio dal torpore di una vita fin troppo
sedentaria e non più abituata al movimento, si rese conto che non era il suo corpo ad aver
accumulando stanchezza, ma la sua persona. Egli era stanco di aspettare, di essere
dimenticato, di venire scavalcato e prevaricato; era stanco di ricevere continue rassicurazioni
e promesse mai mantenuti. Come quel paesaggio che si lasciava alle spalle ad ogni sua
falcata, avvertì il desiderio di abbandonare quella precarietà che lo avvolgeva.
Tornò a casa, la maglia attaccata al corpo per la fatica e la mente liberata dai pensieri, e fece
per recarsi sotto la doccia, quando lanciò un’occhiata al telefono cellulare lasciato sul tavolo.
Qualcuno lo aveva cercato. Quel numero impresso sul display non era in rubrica, ma lo
riconobbe lo stesso: era quello della facente le veci della capa. Prima di rimettersi a nuovo e
rilassarsi sotto la doccia la richiamò.
“Pronto?”
“Salve, sono io. Ho visto che mi avevi cercato. Scusa, ma avevo dimenticato il telefono…”
“Non ti preoccupare. Ascolta. Devo comunicarti delle novità relative al tuo contratto”.
“Ci siamo?”, chiese speranzoso il giovane.
“Guarda, noi abbiamo scoperto che come dipartimento non possiamo fartelo avere. Non
chiedermi perché perché non lo so, ma ci hanno detto che non possono essere fatti contratti a
Emiliano Biaggio – Una mail 44

giornalisti…”
“E quindi?”
“E quindi te lo facciamo fare dal nostro partner. Solo una cosa: mantieni la cosa riservata
sennò se si viene a sapere li mettiamo in difficoltà”.
Il partner era la società controllata dall’ente nazionale. Dato il punto in cui si era arrivati, al
giovane non interessava con chi avrebbe firmato: ciò che a lui interessava era apporre la
firma punto e basta. Prese atto della notizia, domandosi come fosse possibile che al
dipartimento ci avessero impiegato tre mesi per scoprire che non potevano sottoscrivere
contratti con lui. Ma era stanco, quindi tirò oltre.
“E quindi adesso quanto dovremo aspettare?”, chiese.
“Non lo so. Mi dicono che i tempi saranno più ristretti, ma non ti so dire quanto ci vorrà.
Noi adesso diamo l’intero incartamento al loro responsabile, non il responsabile del progetto
ma il responsabile della società. Lui lo gira all’amministrazione, che lo registra e lo fa firmare
al presidente. A quel punto potrai firmare”.
Emiliano Biaggio – Una mail 45

Avrebbe firmato così su due piedi o il contratto sarebbe tornato indietro ai singoli uffici?
Questo la facente le veci della capa non lo aveva specificato. Cercò di visualizzare
mentalmente il nuovo passaggio, ma lui non aveva voglia di rimettersi a calcolare per quanto
la tiritera sarebbe andata avanti. A occhio e croce i passaggi gli sembravano pochi, troppo
pochi, perché l’iter potesse essere vero. Ma il punto non era quanti passaggi occorrevano per
giungere al contratto, ma quanto tempo avrebbe richiesto il nuovo iter. E di tempo fino a quel
momento se ne erano presi in abbondanza. E anche se il nuovo procedimento fosse stato
veramente così snello, comunque si andava ad aggiungere a quello precedentemente avviato
e ora interrotto. Ma al giovane tutto questo non interessava, il solo pensarci lo spossava.
Ringraziò la facente le veci della capa per la comunicazione, quindi riattaccò e si infilò sotto
la doccia.
L’acqua scorreva sulla pelle come il tempo passava sulla sua vita, ma se il getto caldo della
doccia rinvigoriva un corpo provato dalla fatica e dallo sforzo, lo scivolare dei giorni
amplificava quella stanchezza con cui da mesi si trascinava. Da quanto andava avanti quella
storia? Da tanto, troppo tempo. Aveva rinunciato a sé stesso per non avere alcuna
contropartita, aveva atteso invano solo per continuare ad attendere, aveva rincorso obiettivi
che non aveva neanche mai visto in lontananza, aveva ricevuto promesse e rassicurazioni che
erano servite solo per ottenere nuove promesse e nuove rassicurazioni. Era questo il modo di
operare nella pubblica amministrazione? Era possibile tutto questo? A giudicare dagli eventi
fu chiaro che era così. Si, era possibile. Ma era ammissibile? Forse. Del resto, se poteva
succedere voleva dire che era ammissibile. Non per lui. La pazienza non riusciva più a
dominarlo, solo quel piacevole scorrere di acqua calda giù per il corpo riusciva a dargli
sollievo. Liberò la sua mente da ogni pensiero, e la pulì da ogni domanda. Non era più tempo
di domande, era tempo di risposte. Non era più tempo di sapere come doveva essere, era
tempo di stabilire come era stato. Per mesi era stato costretto ad attendere nel nulla più
assoluto, senza ricevere comunicazioni né indicazioni; non aveva ancora un contratto e non
aveva ancora visto un soldo; aveva lavorato sì e no, erano passati tre mesi da quando tutto
aveva avuto inizio e stando alla bozza del contratto che aveva visto la sua esperienza
lavorativa sarebbe finita entro trenta giorni. Avrebbe dovuto attendere solo trenta giorni e poi
tutto sarebbe finito. Ma con ogni probabilità sarebbe finita prima ancora di iniziare, perché si
doveva procedere alla realizzazione e alla stipulazione del contratto, per cui di qui trenta
giorni alcuni, in numero ancora indefinito e per quanto ne sapeva indefinibile, li avrebbe
passati senza far nulla. O no.
Emiliano Biaggio – Una mail 46

Epilogo

“Pronto?”
“Ciao principessa”
“Ciaao. Che bello sentirti. Come stai?”
“Bene, grazie. Tu che racconti? Come sei stata poi a Praga?”
“Una meraviglia che non ti dico. Praga intendo. Io sto bene, adesso mi godo gli ultimi
giorni di libertà che poi devo iniziare a lavorare al nostro progetto…”
“Quando inizi?”
“La prossima settimana, quindi ho ancora questi sette giorni per fare baldoria”.
“Fantastico, allora dì al barista che prepari un campari-gin anche per me, che domani passo
a prenderlo”.
“Stai venendo? Non ci credo, ma è fantastico. Non potevi farmi sorpresa migliore. Ti
aspetto con ansia, allora. Fammi solo sapere a che ora arrivi”.
“Certo. Tieni il telefono accesso e sotto carica. Mari adesso ti lascio che ti sento poco.
Maledetto traffico…A domani”.
“Ciao, a domani”.

Aveva già stabilito quando partire e quanto fermarsi. Quali posti avrebbe visto lo avrebbe
deciso con lei. Avrebbe fatto ancora in tempo ad abbandonarsi al tepore del sole e al suono
dei flutti che si infrangono sulla spiaggia? Mentre si perdeva in questi sogni ad occhi aperti
rimase per un attimo immobile a guardare il sole che scompariva dietro la città, con la luce
del crepuscolo a inondare il centro mentre stormi d’uccelli disegnavano insoliti e affascinanti
figure in movimento dalle traiettorie indefinite e misteriose. Poi prese a camminare: andava a
comprare i biglietti.
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Indice

Prologo pag 3

Capitolo 1. Chi ben comincia… pag 5

Capitolo 2. Una mail pag 10

Capitolo 3. Missing pag 17

Capitolo 4. Niente da fare pag 19

Capitolo 5. Intermezzo pag 21

Capitolo 6. CV, ovvero l’iter per un contratto pag 23

Capitolo 7. Una mail, sempre quella pag 30

Capitolo 8. Essere senza essere pag 36

Capitolo 9. Giochi di potere pag 39

Capitolo 10. CV, ovvero l’iter prosegue pag 43

Epilogo pag 46

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