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Lagado studi

Collana di testi universitari diretta da Giuseppe Sertoli & Fabio Cleto

MARCO TOMASSINI

Tattiche di mitopoiesi
Guida impossibile al Luther Blissett Project

ECIG

Questo volume stato pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lingue, Letterature Straniere e Comunicazione dellUniversit degli Studi di Bergamo Progetto grafico e impaginazione di Stefania Consonni

Distribuzione CLU I nostri testi sono reperibili in libreria, in rete (www. clu.it, www.ibs.it, www.amazon.it, ecc.) o direttamente presso la Casa editrice ECIG

2013 Marco Tomassini Si consentono la riproduzione parziale o totale dellopera e la sua diffusione per via telematica, purch non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta
ECIG Edizioni

Culturali Internazionali Genova Via Brignole De Ferrari 9 16125 Genova Tel.: 010-2512399/010-2512395 Fax: 010-2512398 e-mail: ecig@clu.it www.clu.it / www.ecig.it I edizione 2013 ISBN 978-88-7544-300-9

Stampato da CLU Genova, per conto della ECIG

Indice
Premessa Una vicenda masai Tappa n. 1 Senso e armonia Tappa n. 2 Nomi e recinti Tappa n. 3 Reazioni individuali e individuabili Tappa n. 4 Rivolta samizdat Tappa n. 5 Luther Blissett 5.1 Alle origini del mito 5.2 Strumenti 5.3 Le beffe 5.4 Comunicazione-guerriglia: i libri e il sito 5.5 Nomadismi 5.6 Verso il seppuku Conclusioni Post scriptum Bibliografia essenziale
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Premessa

Tracciare il percorso uno dei tanti possibili che alla met degli anni Novanta port alla nascita e allo sviluppo del Luther Blissett Project: questa, in sintesi, la finalit e lambizione del volume. Un percorso che non si limita al periodo durante il quale si colloca il maggior numero di azioni firmate con lo pseudonimo Luther Blissett, ovvero il quinquennio 1994-1999, ma che cercher di comprendere lanalisi di fattori sociali e culturali pregressi. Prima di affrontare largomento, si impone per una piccola ma essenziale digressione sul senso stesso di un approccio analitico alla questione. Esso implica infatti per losservatore una posizione esterna rispetto alloggetto, dettata dal compito di considerarne lintera estensione o, in certi casi, di isolarne alcuni aspetti che portino un contributo a un panorama teorico pi ampio. A tal proposito, interessante la sezione che Michel De Certeau dedica del suo Linvenzione del quotidiano allanalisi del procedimento utilizzato da Michel Foucault e Pierre Bourdieu nella costruzione di una teoria delle pratiche, in cui individua due astuzie proprie a entrambi. Tutti e due estrapolano infatti alcune pratiche dal contesto nebuloso della loro esecuzione quotidiana per farne, una volta rese visibili, lo specchio in

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cui brilla lelemento decisivo del loro discorso esplicativo.1 Gli elementi isolati da una totalit nel suo complesso indefinibile, una volta separati dal loro contesto, vengono cio utilizzati per decifrare il senso globale di cui sono parte, e solo tale intervento esterno permette di illuminare il sapere insaputo che ogni prassi del quotidiano detiene e ignora allo stesso tempo. Rispetto alloggetto di questo volume decisivo quanto scrive De Certeau: nel momento in cui si pretende di parlare del Luther Blissett Project, infatti, si ha a che fare con qualcosa di estremamente vivo, pratico, si potrebbe dire testuale, nellaccezione con cui Roland Barthes intende il termine testo, ovvero qualcosa che, per sua stessa natura, non possibile cogliere a pieno al di fuori della sua stessa attuazione, se vero che la teoria del Testo non pu coincidere che con la pratica della scrittura.2 Ovviamente, con ci non si vuole affermare che qualsiasi approccio esterno allargomento di questo volume sia impraticabile, tuttaltro. Ma il fatto che procedere isolandone solo alcune caratteristiche, facendone larchitrave di un discorso esplicativo, non d conto della sua natura pi intima, per afferrare la quale, piuttosto, occorre affrontarne la complessit: non si pu parlare delle tattiche con cui Luther beffa i media senza considerare i libri di cui autore o le performance che lo vedono come protagonista. davvero possibile, allora, un approccio analitico al Luther Blissett Project? Credo che la risposta sia affermativa, nella misura in cui si rinunci alla pretesa di esaurire un tema la cui portata afferrabile, pi che attraverso una qualsiasi
Michel De Certeau, Linvention du quotidien (1974), trad. it. di Mario Baccianini, Linvenzione del quotidiano, Roma: Edizioni Lavoro, 2001, p. 107. Dora innanzi la sigla IQ rinvier a questo volume. 2 Roland Barthes, Essais critiques (1964), trad. it. di Lidia Lonzi, Saggi Critici IV, Torino: Einaudi, 1988, p. 64.
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PREMESSA

definizione, tramite lattiva partecipazione al progetto stesso. Rinunciando, inoltre, allambizione di preservare una posizione esterna al fenomeno che si indaga, facendo propria la consapevolezza di essere, volente o nolente, parte di un unico flusso, che finisce con lunificare comunicazione e metacomunicazione in una magmatica continuit. Per concludere, ancora Michel De Certeau che, analizzando la struttura delle narrazioni quotidiane nel contesto delle descrizioni orali dei luoghi, distingue tra luso di indicatori di percorso e indicatori di mappa, intendendo i primi come una serie discorsiva di operazioni che permettono di vivere uno spazio, e i secondi come una messa in piano totalizzante delle osservazioni, [] un luogo proprio in cui esporre i prodotti del sapere (IQ, pp. 178-79). La ricerca e le analisi contenute in questo volume ambirebbero pertanto a essere mappa, sennonch il territorio che dovrebbero mappare ha una natura cos fluida e piena di vortici che, inesorabilmente, le trascina al proprio interno. Esse finiscono cos per costituire lennesima tappa di un percorso, quello di Luther Blissett, senza che spetti loro il godimento che scaturisce da una partecipazione realmente attiva e consapevole al progetto. Per porre un argine a una simile, frustrante condizione di passivit, si qui deciso di imboccare una strada che, pur comportando il rischio di uniniziale oscurit, in seguito consentir di comprendere forse con maggior chiarezza quella che si definita natura intima del Luther Blissett Project. In altri termini, in questo volume si tentato di articolare un percorso che, cominciando da questa premessa e snodandosi attraverso una serie di fasi, possa condurre alleffettiva comprensione del suo argomento, ma soltanto una volta che ci si sia lasciati alle spalle le tortuosit del cammino. Solo dopo le curve e le asperit del percorso, la mappa.

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Una vicenda masai

Un possibile punto di partenza del cammino costituito da avvenimenti che, a prima vista, poco o nulla hanno a che fare con Luther Blissett. Fatti che, accaduti diversi anni fa in Kenya, hanno per protagonista una trib seminomade masai, alle prese con le autorit cittadine della capitale Nairobi. Ma perch cominciare da qui? Perch, detto della difficolt di iniziare da una salda definizione che mappi e circoscriva loggetto di questo volume, costituendo un valido blocco di partenza per il discorso, diventa necessario decentrare lo sguardo e prendere spunto da un apparente altrove, che intrattenga con esso rapporti di analogia. Nelle vicende che verranno riportate, infatti, si possono cogliere molteplici assonanze con la traiettoria evolutiva e i temi pi importanti del Luther Blissett Project. Su di esse, cos come vengono riferite e certificate da un autorevole organo di informazione, sar possibile concentrare gli sforzi analitici, con lobiettivo di decostruirle e, dopo un processo di astrazione, individuare una serie di tappe che, nel loro insieme, rappresenteranno un peculiare, personalissimo percorso di avvicinamento a Luther Blissett. In ciascuna tappa, infatti, verranno affrontati argomenti che, gradulamente, costituiranno gli assi a partire dai quali tracciare la mappa conclusiva del progetto che lo riguarda. Progetto che, come recita il titolo del volume, si fonda su un modus operandi eminentemente tattico, intendendo per tattica lazione calcolata

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che determina lassenza di un luogo proprio (IQ, p. 73), arte e astuzia del pi debole giocata sul campo di un nemico pi forte, che, a sua volta, dispone di una strategia, calcolo o manipolazione dei rapporti di forza che divengono possibili nel momento in cui un soggetto dotato di una propria volont e di un proprio potere unimpresa, un esercito, una citt, unistituzione scientifica isolabile (IQ, p. 71). Il 29 agosto 2004, il quotidiano britannico Guardian scriveva: Si conclude dunque con una straordinaria vittoria per i Masai il processo che li vedeva opposti al sindaco di Nairobi Majiwa in rappresentanza delle autorit cittadine della capitale keniota, uscite duramente sconfitte da una querelle giudiziaria che ha appassionato la stampa del paese centroafricano per mesi, a cavallo fra il 1998 e il 1999. Quando il giudice Djibril Diop Agambwe ha emesso la sentenza, un lungo applauso salito spontaneo dalla folla che gremiva laula, a salutare una vittoria il cui significato simbolico va al di l del caso contingente. Nella vicenda che racconta il Guardian si confrontano infatti tre attori: la trib seminomade masai, dedita prevalentemente alla caccia e alla pastorizia; le autorit cittadine e, in particolare, lormai ex sindaco Majiwa; limprenditore inglese Guy Mansfield, attivo in vari settori, tra cui quello dello smaltimento rifiuti. Nel settembre 1998, riporta il Guardian, il Comune della metropoli africana affid al britannico lappalto per la creazione e la gestione di una discarica, da adibire prevalentemente allo stoccaggio di copertoni esausti. La gomma che da essi fosse stata ricavata sarebbe quindi stata riutilizzata dallo stesso Mansfield (in societ con Majiwa), per la produzione di sandali a basso costo destinati al commercio locale. A seguito di svariate perizie, il sito dellimpianto fu individuato in unarea periferica, fra la baraccopoli di Kibera e la savana. Area che, per, accordi precedenti assegnavano a una trib di etnia masai, che da anni vi portava al pascolo le

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proprie vacche e, fu presto chiaro, non aveva alcuna intenzione di spostarsi, per non intaccare i rapporti di buon vicinato con le altre trib della zona. Fu cos che, dopo un periodo di incertezza, dal nulla comparvero dei documenti che certificavano la disponibilit dei Masai a cedere unampia porzione del loro territorio, ricevendo in cambio lassunzione remunerata di alcuni membri della trib come guardiani e sorveglianti della discarica. E poco importava che una simile offerta implicasse per essi la rinuncia allattivit che, da sempre, regolava i ritmi delle loro esistenze, ovvero la pastorizia seminomade. In pochi giorni il sindaco fece requisire tutti gli animali della trib, rinchiudendoli nei recinti di alcuni allevatori locali: con il denaro guadagnato dal lavoro presso la discarica, la trib avrebbe potuto acquistare a prezzo calmierato il latte, il formaggio e la carne di quelle che, un tempo, erano state le sue bestie. Per qualche tempo tutto funzion a dovere: i copertoni affluivano numerosi, la loro gomma veniva regolarmente recuperata e stoccata, i Masai trascorrevano le giornate appollaiati alle loro lance, senza dare segni di particolare irrequietezza. Solo dopo qualche tempo si inizi a registrare qualche sporadica incursione nei recinti dove erano state ammassate le vacche della trib, con il chiaro obiettivo di mungerle e portare via il latte ricavato: la maggior parte dei Masai, infatti, dimostrava di non avere alcuna intenzione di utilizzare i propri guadagni per acquistare i prodotti di quelli che, a ogni buon conto, continuavano a considerare i loro animali. Tuttavia, anche di fronte a intrusioni via via pi frequenti, le autorit cittadine non presero alcun provvedimento, preferendo tollerare le piccole razzie piuttosto che inasprire i rapporti con la trib. Ma, quando alcune vacche cominciarono a sparire dai recinti, anche su pressione degli allevatori, Majiwa reag con risolutezza, mandando alcuni

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ranger sulle tracce dei fuggitivi. Questi, nonostante unottima conoscenza del territorio, non poterono evitare che gli animali lasciassero impronte evidenti sul terreno, permettendo agli scout di individuare e recuperare facilmente la refurtiva. Ma i furti non cessarono, provocando il conseguente inasprimento delle punizioni e laumento esponenziale della tensione tra Masai e autorit, che sfoci in una serie di scontri e larresto di alcuni esponenti della trib. Di l a poco, per, lo scenario sarebbe radicalmente cambiato. Da un giorno allaltro, infatti, non furono pi le vacche a scomparire, ma i Masai: lintera trib svan, dandosi alla macchia nella savana senza che nessuno, per diverso tempo, ne sapesse pi nulla. Nel periodo successivo la tensione si allent, e per qualche tempo non ci furono pi furti n sparizioni, con notevole sollievo di tutti. Qualche mese dopo, per, di punto in bianco ben dodici animali letteralmente si volatilizzarono. Quando una nutrita pattuglia di ranger fu mandata sul posto, si trov al cospetto di un insolito scenario: invece delle consuete impronte lasciate sul terreno dagli zoccoli delle vacche e dai piedi scalzi dei Masai, stavolta non cera altro che una serie continua di tracce, in apparenza lasciate da pneumatici di automobile. Non era possibile, quindi, distinguere la direzione di provenienza n quella di fuga: la conformazione di un battistrada, infatti, a differenza di un piede umano, non consente di distinguere una parte anteriore da una posteriore, rendendo estremamente complicata lindividuazione della direzione intrapresa dai razziatori. Poi, a ben guardare, cera un ulteriore dato che rendeva ancora pi surreale la situazione: a quanto si sapesse, nessun Masai della trib era in grado di guidare, e tanto meno possedeva un pick-up. Non ci fu molto tempo per analizzare lo strano episodio: nelle settimane successive il furto si ripet cos tante volte che quasi tre quarti degli animali furono trafugati, con le

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autorit prese a interrogarsi, mattina dopo mattina, sulla direzione del folle intrecciarsi di solchi lasciati nella savana da ruote di varia misura. A dare il colpo di grazia alla pace di Majiwa, dopo qualche tempo gli giunse una citazione ufficiale da parte degli organismi di rappresentanza delle trib locali, che avevano deciso di coalizzarsi per sostenere le ragioni dei Masai, adendo le vie legali contro le autorit cittadine. Il caso ebbe uneco notevole sulla stampa kenyota, arrivando fino alle aule del tribunale di Nairobi. Dove, a seguito di un processo durato oltre un anno, si era infine data ragione alla trib masai, che aveva cos potuto rientrare in possesso della propria terra e delle proprie vacche. Ma, al di l degli esiti processuali, a risultare di particolare interesse in questa sede la spiegazione materiale del modo in cui i predoni masai si erano ripresi i loro animali, confondendo cos efficacemente le proprie tracce. Il Guardian asserisce che, su espressa richiesta del giudice, un non meglio identificato Masai si fosse fatto avanti, e, una volta di fronte al magistrato, avesse indicato fieramente i suoi piedi. Questi calzavano un magnifico paio di sandali, realizzati artigianalmente dal battistrada delle gomme stoccate proprio in quella discarica che era stata allorigine di tutti i problemi della trib. La gomma di cui erano fatti, tagliata, lavorata e tenuta insieme da sottili strisce di cuoio allacciate allaltezza delle caviglie, per mesi gli aveva permesso di farsi beffe di ranger e sorveglianti. Certo, quei sandali non erano belli come le calzature che sarebbero state prodotte dalla manifattura di Mansfield, conclude il Guardian, ma per correre dietro a una vacca in modo da cancellarne le tracce, si erano rivelati davvero perfetti. Questa, dunque, la vicenda masai, che pu essere scandita in cinque tappe principali, cos come cinque saranno i capitoli della via al Luther Blissett Project contenuta in questo volume. Esse prepareranno il terreno allanalisi ap-

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profondita del progetto, permettendo di edificare attorno a esso unadeguata cornice interpretativa, anche a costo di una prolungata oscurit. Ma quali sono, nello specifico, le cinque tappe? Innanzitutto c una situazione iniziale, il grado zero a partire dal quale si origina lintera dinamica degli avvenimenti. Esso vede lesistenza di una non meglio identificata trib masai, la quale, pur con qualche compromesso, riesce a convivere con una grande, caotica citt come Nairobi, senza essere fagocitata da una modernit che non le appartiene. Una comunit che possibile immaginare coesa attorno a una cultura, intendendo il termine cultura come una condizione di sostanziale armonia tra individui, collettivit, tradizione e natura, origine di un senso che permea indistintamente ogni singolo aspetto della vita. In proposito, significativo che, scrivendo della trib, lautore dellarticolo non faccia mai riferimento a specifiche individualit, considerandola piuttosto nella sua indistinta totalit: tutti sono semplicemente Masai, parti di un tutto di cui ciascuno partecipa e che a ciascuno conferisce senso. Un senso che regola ogni gesto dei membri della trib, che lo rinnovano sistematicamente nei riti e nei cicli alla base della vita seminomade della comunit, espressione di un essere collettivo masai a fronte del quale si staglia, simbolicamente, la metropoli Nairobi, dal cui caos emergono invece individui dallidentit ben definita, intenti a perseguire i propri interessi particolari. La seconda tappa del percorso si pu interpretare come una perdita di senso che si abbatte sulla vita della comunit, dovuta alla rottura del fragile equilibrio su cui si era retta fino ad allora la convivenza tra trib e citt. Questa, infatti, nella figura del sindaco Majiwa, viola larmonia della vita masai, ostacolando il contatto diretto con due elementi fondamentali del loro stile di vita: la terra e gli animali. Quando

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le autorit locali decidono di collocare la discarica nella loro zona, ai Masai viene infatti impedito di abitare e praticare il territorio come avevano sempre fatto, e allo stesso tempo viene interposto tra loro e le vacche un recinto, metaforicamente scavalcabile soltanto attraverso la mediazione del denaro che la citt stessa a elargire. In questo modo viene spezzata la complessit della cultura della trib, la cui intera esistenza entra in crisi e perde di significato: smarrire il contatto diretto con gli animali e la terra comporta infatti rinunciare al nomadismo e alla pastorizia, e tale rinuncia implica limplosione dellintero sistema di vita masai, perch se il senso appartiene a una totalit, qualora di questa vengano a mancare alcuni elementi lintera impalcatura a collassare. Di fronte a una simile aggressione questa la terza tappa del percorso i Masai, dopo uniniziale impasse, cercano di riprendere in mano il controllo della propria esistenza. Dapprima tentando qualche sporadica sortita nei recinti degli animali, quindi scegliendo la strada della razzia e del furto. Entrambe le opzioni, per, risultano fallimentari, non portando ad altro che alla repressione da parte delle autorit cittadine. Un fallimento riconducibile a un eccesso di visibilit, considerata la facilit con cui i ranger riescono a individuare le impronte sul terreno lasciate dai fuggiaschi. Ai Masai, a questo punto, non resta che una soluzione: la fuga nella savana. Ecco allora il momento pi significativo dellintera vicenda, la quarta tappa del percorso, lazione destinata a introdurre un cambiamento radicale: il ribaltamento tattico della situazione. I Masai, preso atto dellinefficacia di una lotta combattuta ad armi pari con la citt, modificano il proprio modo di portare avanti il confronto: niente pi contrapposizione netta, ma sfruttamento delle falle presenti nel territorio avversario. In altri termini, ladozione di un agire tattico.

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Ci diviene possibile nel momento in cui essi riescono a sfruttare a proprio vantaggio gli scarti della citt allorigine delle loro tribolazioni, ovvero i copertoni ammassati nella discarica, riutilizzandoli per confondere le tracce la cui visibilit, fino ad allora, aveva permesso ai ranger di individuarli e recuperare la refurtiva. Proprio gli pneumatici che avevano causato la perdita di senso della vita della trib, divengono ora la materia prima con cui fabbricare i sandali che rendono illeggibili le impronte. Strettamente connessa alla quarta, la quinta tappa del percorso ruota attorno alla comunicazione reciproca delle esperienze. Risulta evidente, infatti, che per i Masai, affinch le tecniche di costruzione e utilizzo dei sandali si diffondano, sia imprescindibile raccontare e tramandare le imprese dei razziatori, in modo che la conoscenza resti sempre in movimento, disponibile a venire calata nei contesti pi disparati, arricchita e migliorata dal vissuto di ciascuno. Il risultato certamente strepitoso ottenuto dalla trib pu essere raggiunto solo attraverso la partecipazione del maggior numero possibile di individui, e perch ci avvenga chiaramente necessaria una reale condivisione del sapere pratico alla base del successo. A concludere la traiettoria della vicenda, un esito che coincide nel cambiamento radicale dello scenario. Anche grazie alla risonanza mediatica degli eventi, infatti, il valore simbolico di quanto accaduto va al di l del pur notevole risultato contingente, divenendo un esempio pratico che, opportunamente rimodellato a seconda dei contesti, indica una possibile via da seguire, mettendo a disposizione strumenti metaforicamente riutilizzabili a ogni latitudine. Identificate le cinque fasi cui fare riferimento nel percorso che porter al Luther Blissett Project, non resta ora che intraprendere il cammino.

Tappa n. 1
SENSO E ARMONIA

La vicenda vissuta dai Masai chiama in causa uno snodo tematico essenziale per arrivare a comprendere il Luther Blissett Project: il concetto di comunit. Cosa definisce una comunit? Cosa la rende una realt sociale coesa? Come si scritto, si pu immaginare la trib africana come un modello di societ comunitaria, insieme di individui le cui relazioni sono regolate da un plesso di codici culturali, morali e linguistici condivisi, con vincoli e consuetudini cui ogni membro partecipa. Condivisione e partecipazione: le fondamenta di un gruppo aggregato attorno a un modus vivendi, a un senso che organizza la vita dellintera collettivit, armonizzandone i rapporti sociali allinterno e con lambiente naturale allesterno. Un senso che non ha alcun bisogno della scrittura per dirsi o farsi, poich trova nella memoria collettiva i principi di organizzazione e i modi di apprendimento al tempo stesso.1 Come scrive Marcel Detienne, bisogna interpretare questa memoria sociale come attivit mnemonica non specializzata che garantisce la riproduzione dei comportamenti della specie umana e, in particolare, ha nei gesti tecnici e nelle parole del linguaggio i mezzi per trasmettere il sapere.2 Lo storico belga chiarisce qui un punto fondamentale: ci che tiene insieme la comuMarcel Detienne, Linvention de la mythologie (1981), trad. it. di Flavio Cuniberto, Linvenzione della mitologia, Torino: Boringhieri, 1983, p. 48. 2 Ibidem.
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nit una memoria collettiva dotata di caratteristiche ben precise: organizza i rapporti allinterno della societ; si esprime attraverso loralit; il suo contenuto si trasmette tramite un linguaggio articolato in gesti e parole. Una memoria al tempo stesso storica e sociale veicola dunque il sapere che fonda la comunit cui appartiene, coincidendo con quei racconti e quelle leggende che siamo soliti definire miti. Questi, fusi nella memoria collettiva e tessuti tra la bocca e lorecchio,3 nelle cosiddette societ tradizionali danno vita alla comunit, essendo a tutti gli effetti parola viva. Scrive Joseph Campbell: Il mito ti fa vedere la vita come una poesia, una poesia di cui di cui tu fai parte. Intendo un linguaggio che non fatto di parole, ma di azioni che rimandano alla dimensione del trascendente racchiuso nelle azioni compiute qui e ora, in modo tale che tu ti senta sempre in accordo con lessere universale. [] Ogni mitologia tratta della saggezza della vita in relazione a determinate situazioni culturali e storiche. Integra lindividuo nella sua societ e la societ nella natura. Unifica il mondo della natura con il mondo delluomo. una forza armonizzatrice.4 Una simile concezione del mito non pu che partire da una visione estremamente pratica della sua funzione allinterno della societ, ben lungi dal considerare le sue narrazioni secondo una prospettiva museale, che le disgiunga dal quotidiano e ne faccia, tuttal pi, oggetto di studio e osservazione scientifica. Al contrario: i miti nascono in risposta a necessit concrete dettate da condizioni ambientali esterne, rispondendo al tempo stesso allesigenza di organizzare i rapporti sociali allinterno del gruppo. In altri termini, il miIvi, p. 107. Joseph Campbell, The Power of Myth (1988), trad. it. di Agnese Grieco e Vittorio Lingiardi, Il potere del mito, Milano: TEA, 1994, pp. 79-80.
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to dice alluomo ci che pu e che deve fare in relazione a una lunga serie di azioni da compiere nella quotidianit, e lo fa perch il frutto di un processo di simbolizzazione delle pratiche sociali che non passa da unastrazione di quelle stesse pratiche dal contesto della loro esecuzione, con successiva esposizione a unosservazione apprezzatrice estranea e distante, ma le dice attraverso un gesto altrettanto pratico quale quello del narrarle allinterno di un racconto. Se unazione, unarte intesa come tekne al di fuori del suo stesso esercizio priva di enunciato, il linguaggio deve esserne anche la pratica. Sar unarte di dire: e in essa si esercita precisamente unarte di fare in cui Kant riconosceva unarte di pensare. In altri termini, sar un racconto. Se larte di dire essa stessa unarte di fare e unarte di pensare, pu esserne al tempo stesso la pratica e la teoria (IQ, p. 125). Accostando quanto si scritto del mito a quanto De Certeau dice a proposito del racconto, si comprende perch entrambi vadano considerati parola viva: non descrivono azioni ma le compiono, sono gesti di equilibrismo ai quali partecipano la circostanza (luogo e tempo) e il locutore stesso, modi di sapersi districare e di dire qualcosa che modifica una situazione, ovverosia una questione di tatto (IQ, p. 127). Secondo questa concezione, le storie raccontate nei miti si collocano sullo stesso piano delle azioni che gli uomini compiono nel corso delle loro giornate, espressioni di un sapere non disgiunto dalla propria applicazione pratica nella realt, narrando non di archetipi sintetizzati allinterno di teorie costruite in base a precetti astratti, ma trovando il proprio canale di trasmissione in una continua riattualizzazione nel vissuto reale. Il mito non come altro della realt, collocato in un luogo astratto, individuato e identificabile, bens vivo e circolante al suo interno, nella sua interezza e nella sua complessit. I racconti che esso tramanda si trovano a vivere una duplice condizione di esistenza: da

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un lato appartengono a quella sorta di non luogo che la memoria collettiva delle societ che organizzano e dalle quali vengono a loro volta modellati; dallaltro si manifestano nellatto stesso della loro esecuzione, indicibili al di fuori del loro stesso esercitarsi. Lefficacia del mito, infatti, sta proprio nel suo collocarsi al tempo stesso fuori e dentro la realt, mostrando ci che lecito fare e il modo in cui va fatto, senza che tuttavia il contenuto della narrazione coincida con aspetti visibili del reale, la sua dimensione simbolica a garanzia della sua credibilit. In proposito ancora De Certeau a fornire un esempio, riportando gli esiti di uno studio condotto sulla vita di una comunit agricola brasiliana della zona di Pernambuco (IQ, pp. 46-47), le cui condizioni, nel 1974, apparivano disperate, con i contadini umiliati da una realt che non sembrava lasciare spazio ad alcuna speranza di cambiamento. Tuttavia, il gesuita precisa anche che, fra i membri della comunit, nessuna legittimit veniva attribuita alla miserevole realt socio-economica che li circondava: a essere credibili, invece, erano le gesta di Frei Damio, santo ed eroe carismatico della regione le cui imprese, tramandate di generazione in generazione, creavano uno spazio per la speranza e i desideri di rivalsa, proprio perch proiettate in una dimensione utopica. Accadesse pure quel che doveva accadere, prima o poi Frei Damio sarebbe intervenuto a riparare i torti subiti, e ogni gesto di protesta, ogni voce che si fosse levata in opposizione alla realt contingente, non sarebbe stata altro che lennesima manifestazione delleroe popolare. Allo stesso alveo semantico pu essere riportato anche il processo di santificazione del territorio,5 momento decisivo nella fondazione delle societ tradizionali e delle loro mitologie, in cui lambiente acquisisce significato e valore attra5

Joseph Campbell, op. cit., pp. 124-25.

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verso la progressiva simbolizzazione di un luogo esterno che, da muto e minaccioso, viene reso spazio praticabile, vivibile e in armonia con la comunit.6 Perch possa essere conosciuto, il territorio non viene considerato nella sua realt sensibile e storica, venendo piuttosto vissuto alla stregua di epifania del mito, luogo in cui un senso trascendente si incarna nelle singole manifestazioni del reale, che a loro volta significano qualcosa non solo in quanto fisicamente presenti in natura, ma perch capaci di rimandare a una dimensione superiore. Penso per esempio ai miti degli aborigeni australiani e alle vie dei canti di cui scrive Chatwin: i figli della terra ripercorrono nelle vaste distese delloutback il cammino che gli animali totemici loro antenati percorsero allalba dei tempi, quando vagando per i deserti diedero vita alla creazione cantando la terra. Seguendo ciclicamente quei percorsi, gli aborigeni non compiono semplici spostamenti, ma ripercorrono lantico cammino sulle tracce dei loro miti, ripetendone il canto e, in tal modo, rinnovando la creazione. Il mito il canto, scrive Campbell, passare attraverso il rito, giorno dopo giorno, ci aiuta a non smarrire la strada.7 Il riferimento al canto e alla ciclica ripetitivit del rito consente ora di approfondire altri due aspetti decisivi della memoria collettiva: loralit e la sua espressione attraverso un necessario processo di ripetizione e rinnovamento. Nelle societ caratterizzate da una tradizione aurale, proprio la
6 Si fa qui riferimento alla distinzione tra luogo e spazio formulata da Michel De Certeau, che intende il primo una configurazione istantanea di posizioni [che] esclude [] la possibilit che due cose possano trovarsi nel medesimo luogo [essendo ciascun elemento] autonomo e distinto [dagli altri], e il secondo un luogo praticato [] animato dallinsieme dei movimenti che si verificano al suo interno (IQ, pp. 175-76). 7 Joseph Campbell, op. cit., p. 127.

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trasmissione dalla bocca allorecchio garanzia e fondamento della vitalit del mito, che s memoria di unintera comunit, avendo senso solo nellottica di una partecipazione condivisa, ma che al contempo deve essere costantemente disponibile a venire riadattato, ricontestualizzato, ricitato e recitato, affinch, a propria volta, possa dare senso alle esperienze individuali dei singoli. Infatti, soltanto una diffusione di tipo orale consente ai racconti di mantenere quella malleabilit e quelladattabilit che li rendono disponibili a essere vissuti indistintamente da tutti, rendendo ciascuno parte del senso complessivo da cui trasceso ma che, allo stesso tempo, viene rinnovato ogni volta attraverso i gesti e le parole della sua quotidianit. Fissare nella scrittura il mito comporta, al contrario, uninterruzione, una stasi tra la vita dei racconti nel non luogo della memoria e la loro immediata esecuzione nella realt. Daltra parte, la natura pratica, pragmatica e quasi gestuale del mito a non consentire la sua pietrificazione tra le righe di un testo scritto, pena la perdita della sua efficacia. Viceversa, laddove non interviene la fissazione comportata dalla scrittura, i miti mantengono la propria apertura, sciolti dai lacci di inutili richieste di realismo e veridicit, liberi di viaggiare tra le voci della gente, diffusi e recitati dallattivit di figure in possesso delle formule tecniche e dei moduli linguistici che ne permettono la rammemorazione e il canto. Mi riferisco per esempio agli aedi della tradizione ellenica, maestri di tutte le arti,8 cantori di quellepos che Detienne, citando Havelock, definisce enciclopedia delle conoscenze collettive, [] complesso di saperi e nozioni senza cui la comunit sarebbe spogliata delle credenze comuni, e insieme di buona parte della propria competenza sociale e tecnica.9 Oppure ai bardi del
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Marcel Detienne, op. cit., pp. 40-41. Ibidem.

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mondo celtico, o ai griot delle saghe centroafricane, dei quali nel 1972 linviato Alberto Ongaro scriveva che quando ne muore uno, per lAfrica come se bruciasse unintera biblioteca europea. Perch i griot sono i depositari della memoria tramandata, dunque sono gli storici del continente.10 Il fatto che la memoria mitica trovi nelloralit il solo canale espressivo adatto a esprimerla, fa s che la sua sopravvivenza sia legata a doppio filo a una costante ripetizione: questa letteratura particolarissima [] priva di opere nel senso della nostra cultura filologica, non fatta per essere letta []: essa fatta per essere ripetuta. Pi precisamente, essa si produce nella ripetizione, prendendo forma attraverso quelle che noi chiamiamo varianti di un racconto o diverse versioni di una medesima storia.11 Dunque non si tratta soltanto di ripetizione, ma di un ciclo che la fa coincidere con un rinnovamento, poich quando la memoria mitica viene parlata e messa in atto, se per un verso replica il proprio contenuto, per un altro, proprio in virt della natura orale e fluida della sua trasmissione, si associa a un contesto unico e irripetibile: quello della sua singola esecuzione, una scena fatta di gesti e immagini che crea una situazione destinata a rappresentare un unicum. Loralit, il ripetersi variando, la propriet comune: tutte caratteristiche che possibile ritrovare nellesempio fornito dallanalisi che Detienne fa del Bagre, che tra i lo-dagaa del Ghana del nord insieme cerimonia diniziazione e discorso che ordina il rituale iniziatico in un insieme unitario di storie.12 Un corpus di circa dodicimila versi viene tramandato di padre in figlio, generazione dopo generazione, senza che la sua recitazione venga affidata a una classe di
Alberto Ongaro, 1972. Costa dAvorio. Diario di viaggio, LEuropeo, 1 luglio 2004, pp. 53-65. 11 Marcel Detienne, op. cit., p. 53. 12 Ibidem.
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specialisti, poich il Bagre di tutti.13 Come unico filo conduttore, un intreccio comune alle storie di tutti i membri della trib, con un numero impressionante di varianti, metamorfosi e sfumature che nessuno, per, avverte in modo problematico: Uno il Bagre, ma molti i modi di raccontarlo.14 Sulla scorta di questo esempio, si pu affermare che la memoria mitica si regoli in base a unorganizzazione omeostatica, raggiungendo un equilibrio dinamico tra sopravvivenze e innovazioni: il vaglio delle informazioni vecchie e nuove s compiuto dalla memoria di ciascuno, ma al servizio e sotto il controllo della vita sociale. [] Ad ogni generazione la memoria del gruppo [] riorganizza e reinterpreta gli elementi precipui del rapporto sociale.15 Data la natura adattabile e collettiva del mito, ciascuno pu farsene interprete e calarlo nel reale attraverso i gesti, il corpo e la voce, garantendone al tempo stesso la continuit e il cambiamento, ma perch tali modifiche diventino memorabili, degne cio di essere tramandate dalla voce del gruppo, devono venire sanzionate dalla comunit nel suo insieme: le opere individuali sono tutti miti in potenza, ma solo il loro riconoscimento al livello collettivo pu attualizzare la loro miticit.16 Questi, dunque, i concetti di comunit e mito pi utili nel momento in cui si vuole provare a comprendere il Luther Blissett Project, se vero che non si [pu] comprendere il comunitarismo di Blissett senza partire dal concetto di mitopoiesi, creazione di mito.17

Ibidem. Ibidem. 15 Ivi, p. 52. 16 Ivi, p. 57. 17 Luther Blissett, Tot, Peppino e la guerra psichica 2.0, Torino: Einaudi, 2000, p. 11. Dora innanzi la sigla TP rinvier a questo volume.
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Tappa n. 2
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Fa la sua comparsa una distanza che insieme volont di rifiuto e sentimento di rottura, ma sempre a partire da ci che rende possibile la critica delle storie della trib: ossia dalla scrittura, una sorta di altrove, luogo altro donde si parla e si scrive il discorso sulla tradizione. [] Linterpretazione ha inizio con lo spazio grafico che mette la molteplicit sotto gli occhi.1 Cos scrive Marcel Detienne a proposito dellatto di trascrivere i racconti di una memoria aurale. Un atto che, come prima conseguenza, comporta lindividuazione, lasportazione e lastrazione del corpus mitologico dal tessuto del reale, separandolo dal ciclo continuo della sua ripetizione, compromettendone lefficacia e fissandolo in ununica versione quella considerata autentica che lo sottrae allopacit delle mille, possibili variazioni. Infatti, dal momento in cui una tradizione orale viene scritta, viene portata alla luce e resa visibile la pluralit costitutiva delle sue narrazioni, facendone emergere la natura apparentemente contraddittoria e lo scarso (o nullo) realismo. Ma, come si accennato nel capitolo precedente, impensabile parlare di contraddizioni tra le diverse varianti di uno stesso racconto mitico, visto che le sue versioni potenziali sono tante quante i membri della comunit entro cui circola, e, parimenti, la non aderenza al dato reale condizione fondamentale della sua validit simbolica, in vir1

Marcel Detienne, op. cit., p. 94.

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t della quale esso pu veramente dirsi di tutti ed essere rivissuto ovunque e in qualunque momento. Di fronte alla smaccata irrazionalit del mito una volta scritto, la reazione dellosservatore esterno varia da una divertita curiosit a un violento scandalizzarsi, che non pu non portare a una condanna di ci che viene inesorabilmente giudicato come il frutto di una superstizione altra rispetto ai criteri di razionalit moderni e illuministici, in base ai quali far luce, interpretandola, sul significato che si presume nascosto dietro lapparente assurdit della voce narrata. Messi in pagina i racconti mitici diventano visibili, e tale visibilit implica lo smarrimento della forza propria del simbolo, che, invece, per assolvere la propria funzione deve sempre rimandare a una dimensione trascendente. In simili condizioni i miti, non esercitandosi pi nel reale, non solo non dicono pi il vero, ma finiscono con lessere solo delle favole dettate dallignoranza, bisognose di un intervento esterno che ne sveli un significato celato dietro un senso letterale. Questo il processo che pu considerarsi tipico di ogni societ, una volta che il sapere orale tradizionale che le appartiene viene fissato sulla pagina scritta. Scrivendo delle origini della mitologia greca intesa come scienza dei miti, Detienne riporta lesempio del logografo Ecateo di Mileto e del filosofo Senofane. Il primo, di una generazione antecedente allaltro, introduce le sue Genealogie con questa formula: Ecateo di Mileto cos dice: queste storie io le scrivo come a me sembrano essere vere, perch i racconti dei greci mi appaiono molteplici e risibili.2 In pratica, rispetto al racconto orale che ne avrebbe fatto un aedo, il logografo sceglie di dare la versione di alcune storie partendo da un punto di vista guidato da un criterio di verosimiglianza, in modo da scongiurare la contraddittoriet emersa dallanalisi
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Ivi, p. 94.

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delle tante varianti degli stessi miti, che, sottoposti al suo sguardo, non possono non farlo sorridere. Ma se, per certi versi, Ecateo si pone gi nelle vesti di osservatore della tradizione, di cui critica le contraddizioni, per altri vi rimane allinterno, dato che il suo ruolo di fabbricatore di racconti consiste nel dare unulteriore versione del mito, di cui non si suppone ancora la falsit, ma che si decide di narrare unaltra volta, sia pure nel modo pi verosimile possibile. Ben diverso, invece, latteggiamento di Senofane, che condanna senza appello lintero corpus mitologico, la cui folle irrazionalit pu venire neutralizzata solo attraverso una spiegazione che la illumini. Il filosofo non d nuove versioni dei racconti, ma, parlando in prima persona al di fuori della tradizione, introduce il momento dellinterpretazione, figlia di una distanza e di un sentimento di scandalo che allontanano il corpus orale come altro da s. La conclusione di Marcel Detienne che n lincredibile n lirrazionale sono, in s stessi, territori reali: essi sono lombra proiettata dalla ragione o dalla religione di circostanza.3 Ma se la dialettica tra il mito inteso come memoria collettiva fondata su una trasmissione orale, e la messa in pagina che ne rende visibile laspetto formale consentendone linterpretazione, ha rappresentato una costante nel corso dei secoli presso tutte le culture in cui si sia affermata la prassi della scrittura, possibile identificare un luogo e un momento storico precisi che hanno visto per la prima volta lequilibrio propendere con decisione in favore del secondo termine del rapporto, assistendo alla nascita di una vera e propria scienza del mito: lEuropa tra il Diciassettesimo e il Diciannovesimo secolo. Da principio considerati espressione dellignoranza curiosa attribuita alle cosiddette civilt primitive, e identificati in un secondo momento con tutto
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Ivi, p. 158.

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ci che di folle e indecente andava estirpato da una societ bisognosa di essere riformata, con lavvento dellera moderna i racconti del mito suscitano un sentimento al tempo stesso di attrazione e repulsione, diventando oggetto di studio privilegiato di uomini di scienza che avvertono il dovere morale di interpretarli. Il mito viene considerato un settore a s stante, una categoria astratta, un territorio di caccia esposto agli sguardi sempre pi analitici di uomini che non solo si considerano estranei alla tradizione che incarna, ma che lo studiano come lincredibile contrapposto alla credenza religiosa, lirrazionale in antitesi alla ragionevolezza, il selvaggio come rovescio del viver civile. Insomma: lassente, larcaico, la demenza rimossa.4 Sotto gli occhi vigili dei nuovi interpreti, il mito, in rappresentanza di un sapere fluido, condiviso e molteplice, viene il pi possibile delimitato e reso inoffensivo attraverso la pagina scritta, proprio nei secoli in cui si soliti collocare le radici della modernit, segnata in modo indelebile da quella che De Certeau individua come la prepotente ascesa del mito della scrittura (IQ, pp. 198-219). Intendendo infatti per mito un discorso frammentato che si articola sulle pratiche eterogenee di una societ e le articola simbolicamente (IQ, p. 198) e per scrittura lattivit concreta che consiste nel costruire, su uno spazio proprio, la pagina, un testo che esercita un potere sullesteriorit da cui stato inizialmente isolato (IQ, p. 198), la tesi del filosofo francese che si sia verificato, per la prima volta, un ribaltamento, a seguito del quale unattivit pratica come quella scritturale ha finito con lassumere le peculiarit proprie del mito, riarticolando lintera organizzazione delle societ occidentali secondo il modello, divenuto simbolico, delle proprie caratteristiche: non pi una memoria condivisa che trascende e d senso al singolo, ve4

Ivi, p. 34.

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nendone a propria volta vivificata e rinnovata, bens produzione ex novo di teoria, tesa a trasformare il reale in base alla volont riformatrice dellindividuo. La struttura delle societ occidentali avrebbe cos progressivamente abbandonato la sua natura comunitaria, resa coesa da un discorso ricevuto, per riorganizzare lintero panorama delle proprie attivit in base ai tre aspetti fondamentali della prassi scritturale: una pagina bianca, un testo e una realt da cambiare (IQ, pp. 198-99). Il primo inteso come luogo separato dalla complessit del reale, pronto a ospitare il gesto cartesiano del soggetto che vi esercita la propria volont e il proprio controllo attraverso lo sguardo. Il secondo come il sistema ordinato inscritto sulla pagina, artefatto di un altro mondo, non pi ricevuto ma fabbricato (IQ, p. 198), sul cui modello ridisegnare una natura passiva rispetto allintervento delluomo. Il terzo, infine, come la materia silenziosa e inerte su cui inscrivere la razionalit del testo. la storia raccontata da uno dei libri pi rappresentativi della modernit, il Robinson Crusoe di Defoe, in cui appare lisola che ritaglia un luogo proprio, la produzione di un sistema di oggetti attraverso un soggetto padrone, e la trasformazione di un mondo naturale (IQ, p. 201), conquistato a partire dal progetto che il protagonista scrive innanzitutto sulle pagine del proprio diario, la prima, metaforica isola sulla quale esercitare la propria volont e il proprio controllo. Secondo De Certeau, laffermazione della scrittura come pratica mitica accompagnata dal manifestarsi di un altro avvenimento che caratterizza la modernit, ossia lerosione di un messaggio cosmico, di una parola identificatoria che, rivissuta dal credente nella comunit, gli consente di trovare una collocazione e un senso al suo interno. Semplificando la storia, potremmo dire che prima dellepoca moderna, dunque fino al XVI e XVII secolo, la Scrittura parla. Il testo

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sacro una voce, insegna [], lavvento di un voler dire di Dio che attende dal lettore (o meglio dallascoltatore) un voler capire da cui dipende laccesso alla verit. [] La modernit si forma scoprendo a poco a poco che questa Parola non si comprende pi. [] La verit non dipende pi dallattenzione di un destinatario che si compenetra nel grande messaggio identificatorio. Sar piuttosto il risultato di un lavoro storico, critico, economico. Deriva da un voler fare (IQ, pp. 201-02). Ci che appartiene alla tradizione, a una memoria collettiva, poco a poco si ritrae, di fronte allavanzata dei sistemi elaborati a partire da una cesura netta rispetto alla complessit del reale, e ci produce come conseguenza un affievolirsi dei legami che tengono insieme la comunit, legami di tipo mitico e simbolico. A tale ripiegamento si affianca la maturazione di un nuovo tipo di soggetto moderno, che non pu pi trovare il fondamento della propria individualit in un messaggio condiviso e totale, ma costretto a elaborare un linguaggio che gli consenta di ritagliarsi il proprio luogo in un reale inerte, muto e disposto a essere recintato. Infine, perch la pratica scritturale con le sue leggi e i suoi impianti teorici possa divenire mito, necessario un ultimo, fondamentale passaggio: deve potersi dire credibile, deve cio parlare in nome del reale, articolandolo e modellandone laspetto a immagine della propria razionalit. Se, infatti, i racconti circolanti nella memoria collettiva di una comunit si caratterizzano per una natura pratica, essendo concretamente riattualizzati nei corpi di individui che, attraverso la propria fisicit, rinnovano il mito nel quotidiano e nel rito, rendendolo in tal modo credibile, risulta chiaro che, affinch i codici elaborati a partire da unesenzione rispetto al reale possano venire altrettanto creduti e dare forma alla societ, devono inscriversi sul corpo dei suoi membri, facendo s che la realt stessa ne confermi la veri-

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dicit: il discorso normativo funziona solo se gi divenuto un racconto, un testo articolato su una realt che parla in suo nome, ovvero una legge istoriata e storicizzata raccontata dai corpi (IQ, p. 214). Le procedure che permettono lincarnazione della legge scritta sono identificabili con quelle pratiche disciplinari e mediche che, sviluppatesi nel corso degli ultimi quattro secoli, hanno portato a unintestazione dei corpi sempre pi evidente, con il duplice effetto di rendere il reale conforme al testo, e, contemporaneamente, di appagare il bisogno di essere riconosciuti, facendosi segni allinterno di un codice, cui si aderisce attraverso un contratto che, ancora secondo De Certeau, sarebbe portatore di una proposta che recita: dammi il tuo corpo e io ti do un senso, ti faccio nome e parola del mio discorso (IQ, pp. 21415). Ciascuno contribuisce, attraverso un corpo intestato da un nome riconoscibile, alla riproduzione di un testo di cui, tuttavia, non pu pi dirsi interamente proprietario, poich in una societ modellata in base al mito della scrittura non trova spazio una memoria condivisa, essendo ognuno padrone solo della porzione di linguaggio prodotta nellisolamento della propria pagina bianca. Il sapere collettivo, la conoscenza, le storie, i racconti e tutto ci che fonda una comunit e vive nellimmediatezza delloralit viene recintato, in quanto oggetto di studio o propriet di un individuo che, tramite la scrittura, ne fa la propria creazione, marchiata da un nome che ne impedisce la circolazione, la ripetizione e il rinnovamento. Qui lavorare significa scrivere. Qui si comprende solo ci che scritto (IQ, p. 198). Sarebbero queste le inscrizioni che De Certeau collocherebbe sullimmaginario frontone del tempio della modernit. Laddove si afferma il mito della scrittura, dunque, ogni testo non pu non essere concepito che come una creazione ex nihilo di un soggetto unico, il cui lavoro frutto di una volont che si pone al di fuori di un sapere ricevuto, e una

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sua propriet particolare, dalla quale il prossimo viene escluso dallinterposizione del simbolico recinto rappresentato dal nome proprio: se posso leggere questi autori, so anche che non posso ri-scriverli [], e questa consapevolezza un po triste basta a separarmi dalla produzione di quelle opere, nel momento stesso in cui la loro lontananza fonda la mia modernit (essere moderni non significa forse essere realmente coscienti del fatto che non possibile ricominciare?).5 Se si pu affermare che lavvento della modernit segni lascesa del soggetto creatore e della prassi scritturale, altrettanto vero che essa si accompagna a una sostanziale modifica del modo in cui i racconti e i saperi vengono fruiti, con lascesa della lettura silenziosa e solitaria. Attivit inevitabilmente secondaria rispetto alla creativit generatrice dellautore, la cui figura assume connotati lo rileva Michel Foucault nel celebre saggio Che cos un autore? radicalmente differenti rispetto a quelli appannaggio dellauctor medievale, pi artigiano che autore in senso moderno: Un chiasmo si prodotto nel XVII o nel XVIII secolo; si cominciato a percepire i discorsi scientifici per se stessi, nellanonimato di una verit stabilita o sempre di nuovo dimostrabile; la loro appartenenza ad un insieme sistematico che conferisce loro garanzia, e non la referenza allindividuo che li ha prodotti. [] Ma i discorsi letterari non possono pi essere accolti se non sono dotati della funzione-autore: ad ogni testo di poesia o di invenzione si domander da dove viene, chi lha scritto, in quale data, in quali circostanze o a partire da quale oggetto.6
Roland Barthes, op. cit., p. 64. Michel Foucault, Quest-ce quun auteur? (1969), trad. it. di Cesare Milanese, Che cos un autore?, in Id., Scritti letterari, Milano: Feltrinelli, 1996, p. 10.
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Anche Foucault, quindi, sottolinea quanto ormai venga considerato credibile solo il risultato dellosservazione scientifica fondata su una distanza apprezzatrice, e quanto i testi non scientifici vengano raggruppati in ambiti anchessi ben individuati, quali la letteratura o larte. In questo nuovo scenario, il nome dautore svolge una funzione classificatoria, istituendo fra i testi rapport[i] di filiazione o di autentificazione degli uni attraverso gli altri,7 e facendo s che essi diventino parola che deve essere ricevuta in un certo modo e che, in una data cultura, deve ricevere un certo statuto.8 Con laffermazione del mito della scrittura, infatti, anche i discorsi che non appartengono propriamente allambito scientifico vengono classificati allinterno di precise categorie, che con il passare del tempo vanno incontro a una sempre maggiore autoreferenzialit, la lontananza dal reale a garantire una presunta purezza che finisce, per, con il limitarne la circolazione, il rinnovamento, e, soprattutto, quella funzionalit pratica che, invece, sarebbe prerogativa del mito. Il quale, in una comunit, ammantato di credibilit proprio perch assente, potenzialmente trasgressivo nei confronti di tutto ci che visibile e contingente, e perci destituito di qualsiasi, reale autorevolezza. Proprio per questo motivo, il ruolo giocato dallattribuzione di un testo a un autore di fondamentale importanza: i testi, i libri, i discorsi hanno cominciato ad avere realmente degli autori (invece che personaggi mitici, invece che grandi figure sacralizzate e sacralizzanti) nella misura in cui lautore poteva essere punito, vale a dire nella misura in cui i discorsi potevano essere trasgressivi.9 Non a caso, lintroduzione delle prime forme di regolamentazione nella diffusione dei testi,
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Ivi, p. 8. Ibidem. 9 Ivi, p. 9.

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collocabili anchesse attorno al XVII secolo, attribuibile da un lato allesigenza delle gilde di librai di vedere garantiti i propri interessi commerciali, messi a repentaglio dalla stampa, dallaltro alla necessit dei governanti di assicurarsi un affidabile strumento di censura, che, attraverso la concessione di monopoli di durata pressoch illimitata agli stampatori, portasse questi ultimi a ostacolare la circolazione di testi considerati una minaccia per lordine costituito: Si iniziato a considerare i testi alla stregua di azioni, valutandone le loro ricadute concrete, nellesatto momento in cui si cominciato a redigere sistemi normativi in cui si trattavano al contempo la censura e i diritti degli stampatori. [] Da quando diritto dautore e censura vennero concepiti nellottica di regolamentare lattivit di stampa, praticamente impossibile considerarli separatamente.10 Mark Rose spiega come nellInghilterra del XVII secolo, pur non essendo ancora pensabile attribuire a un autore dei diritti connessi al concetto di propriet intellettuale, non andando questi al di l del possesso materiale del manoscritto originale, fosse comunque usuale pubblicare anche il nome dello scrittore accanto a quello dello stampatore, proprio allo scopo di condividere le eventuali responsabilit penali. Per arrivare allaffermazione di un primo esempio di propriet intellettuale, nel Regno Unito si dovette attendere la prima met del Diciottesimo secolo, sulla scia di un lungo dibattito che vide protagonisti del calibro di Milton, Locke, Addison e Defoe, tutti schierati in difesa del diritto degli autori di vedersi riconosciuta la paternit dellopera, in contrasto con le pretese monopolistiche degli stampatori. Due erano le principali argomentazioni addotte dagli scrittori:11
Mark Rose, Authors and Owners: The Invention of Copyright, Cambridge: Cambridge University Press, 1993, p. 9. Traduzione mia. 11 Ivi, pp. 30-39.
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innanzitutto, se un autore poteva essere punito per il contenuto del suo libro, era lecito che potesse godere dei benefici della sua propriet, quali i proventi della vendita e della diffusione; in secondo luogo, si stava affermando con sempre maggior forza una visione del testo come vero e proprio parto del suo creatore, padre della sua opera, con il plagio a configurarsi come vera e propria forma di rapimento. Unaltra similitudine assai sfruttata paragonava la futura propriet intellettuale al possesso della terra: definito il concetto di propriet quel possesso dispotico e solitario esercitato da ogni uomo sulla sua terra, in assoluta autonomia dalle pretese di qualsiasi altro essere vivente,12 il lavoro intellettuale del singolo si prefigurava come una pratica autonoma e isolata tanto quanto quella del contadino che dissodava il proprio campo, per dare forma a una natura pronta a trasformarsi in un luogo sul quale, proprio in ragione del suo sforzo produttivo, allindividuo sarebbe stato consentito un dominio assoluto. il mito della scrittura portato alla sua piena maturazione: non pi ascolto di una parola ricevuta, ma produzione di un testo; non pi armonia tra individui e tra questi e lambiente, ma possesso parziale esercitato dal singolo soggetto; non condivisione ma esclusione, una recinzione del sapere cos come della terra.

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Ivi, p. 7. Traduzione mia.

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Tappa n. 3
REAZIONI INDIVIDUALI E INDIVIDUABILI

La terza tappa il terzo momento che scandisce la vicenda dei Masai segna unesasperazione della situazione e una radicalizzazione del conflitto con il potere e la modernit rappresentati dal sindaco Majiwa e dallintera citt di Nairobi. Tanto che, alla trib, non resta che darsi alla macchia e sparire nella savana. Analogamente, con il passare dei secoli, quel mito della scrittura considerato da De Certeau il fondamento dellera moderna letteralmente esplode, conformando in base alle proprie procedure ogni singolo aspetto del quotidiano, la cui complessit si frammenta in miriadi di recinti. Procedendo in unincessante definizione di strategie, che permettono a ciascuno di delimitare e controllare luoghi separati dal reale, leconomia scritturale (IQ, p. 222) si estende fino a colonizzare ogni aspetto dellesistenza, fino a quando nelle societ occidentali qualsiasi contatto diretto con il suo divenire si fa sempre pi difficile, essendo ovunque presente la mediazione di un codice astratto. Questo si identifica e sovrappone a tal punto al reale da risultare pressoch indistinguibile da esso, non potendo fare altro che replicare e legittimare incessantemente se stesso. il processo che De Certeau vede nel funzionamento celibe delle macchine fantastiche partorite dallimmaginazione di Marcel Duchamp e Kafka: miti di una reclusione nelle operazioni di una scrittura che si forgia indefinitamente e incontra sempre e soltanto se stessa. [] Produzioni che hanno del fantastico non gi per lindecisione di un reale

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che farebbero apparire alle frontiere del linguaggio, bens per il rapporto fra i dispositivi di produzione di simulacri e lassenza daltro. Queste finzioni romanzesche o iconiche raccontano che non vi , per la scrittura, n entrata n uscita, ma soltanto linterminabile gioco delle sue fabbricazioni. Il mito dice il non-luogo dellavvenimento o un avvenimento che non ha luogo se qualsiasi evento unentrata o unuscita. La macchina produttrice del linguaggio avulsa dalla storia, scevra dalle oscenit del reale, assoluta e senza rapporto con laltro celibe (IQ, pp. 216-17). Diviene cos estremamente difficile per il soggetto sperimentare il reale nella complessit del suo fluire, senza la mediazione di simulacri la cui pervasivit tale da rendere inevitabile il rapporto quotidiano con essi. Se, infatti, un simulacro ci che diviene il rapporto del visibile col reale quando cade il postulato di unimmensit indivisibile dellessere (o degli esseri) nascosto dietro le apparenze (IQ, p. 264), il parere di De Certeau che oggi si sia portato alle estreme conseguenze il ribaltamento gi avvenuto con lavvio dellera moderna e laffermazione del mito della scrittura: se tra il Sedicesimo e il Diciottesimo secolo diventa credibile non pi ci che trascende il reale in un messaggio e in una memoria generatori di senso, ma ci che scritto e dunque visibile, con lattuale, massiccia proliferazione dei mezzi dinformazione si ha la vera e propria istituzione della realt. Che, di conseguenza, non potr che avere consistenza simulacrale: un doppio rovesciamento [] avviene con la modernit, nata un tempo dalla volont di osservazione che lottava contro la credulit e si fondava su un contratto fra la vista e il reale, trasforma ormai questo rapporto e d a vedere precisamente ci che bisogna credere. La finzione definisce il campo, la natura e gli oggetti della visione (IQ, p. 263). Linformazione innerva lintero tessuto sociale, organizzando la vita dei suoi componenti fin negli

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aspetti pi minuti, fondandosi su un meccanismo autoreferenziale in base al quale vengono di continuo messi in circolo racconti volti a ridefinire i contorni del reale. Resi credibili dalla continua citazione da parte degli stessi media che li veicolano, e da una recitazione che, nel quotidiano, vede i loro fruitori nella duplice condizione di destinatari e attori al tempo stesso. Ciascuno contribuisce al costante riprodursi del meccanismo celibe che regola la societ contemporanea, facendone sempre unesperienza parziale, limitata allo spazio che il singolo in grado di conquistarsi: Le immagini che si sono staccate da ciascun aspetto della vita si fondono in un corso comune, in cui lunit della vita non pu pi essere ristabilita. La realt considerata parzialmente si dispiega nella propria unit generale in quanto pseudo-mondo a parte, oggetto della sola contemplazione. La specializzazione delle immagini del mondo si ritrova, compiuta, nel mondo autonomizzato dellimmagine, in cui il bugiardo ha mentito a se stesso. Lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, il movimento autonomo del non-vivente.1 La frammentariet del reale, che accompagna la portata globale del sistema spettacolare di cui parlano le tesi de La societ dello spettacolo, porta a una sempre pi marcata divisione della continuit dellesperienza in settori, categorie astratte e isolate rispetto a una totalit in divenire. A tal proposito, levoluzione subita dal concetto di arte emblematica: partito dal designare un saper fare artigianale legato a delle pratiche, oggi giunto a rappresentare un valore assoluto e autonomo. Cos disgiunto dalla complessit del reale, non pu che andare incontro a unautoriflessivit
Guy Debord, La Socit du Spectacle (1967), trad. it. di Paolo Salvadori e Fabio Vasarri, La societ dello spettacolo, Milano: Baldini & Castoldi, 2001, p. 53.
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sempre pi marcata, inavvicinabile senza quella che Benedetti definisce mediazione delle poetiche, ovvero dellinsieme delle ragioni astratte cui spetta il compito di designare lartisticit di unopera, considerata il risultato dellintenzionalit artistica di un autore: la poetica [] la mediazione concettuale che permette al fruitore di avvicinarsi al testo come a qualcosa che dotato di valore artistico. [] Nessun approccio ai testi pi possibile senza un riferimento alla poetica, implicita o esplicita, consapevole o inconsapevole, che rende artisticamente significativa la singola operazione, e di conseguenza, senza un riferimento allautore che se ne suppone essere il soggetto.2 Ne consegue che, nel moderno modo di concepire larte, non si tratta pi di esprimere, condividere e partecipare a un senso complessivo, ma di valutare la creativit di un autore e loriginalit della sua opera. cos possibile per lindividuo creatore modellare ex nihilo la materia grezza, pronta a farsi luogo dellespressione di un autore che ne custodisce il senso, portatrice di un valore che sta proprio nel suo essere nuova, unica, irripetibile, apparentemente distinta dal mondo che la circonda. Laffermarsi di criteri quali originalit, creativit e genialit, procede di pari passo alla progressiva svalutazione di tutto ci che, in qualche modo, legato alla sfera della condivisione e della ripetizione. Se, infatti, lintenzionalit artistica o lispirazione a guidare la mano dellartista, sar di qualche pregio solo ci che viene prodotto dal suo genio, creazione unica pregna di un senso che vi viene impresso dallautore insieme al marchio del suo nome, mentre ci che legato a contenuti e a meccanismi formali riconoscibili, non pu che essere considerato qualitativamente inferioCarla Benedetti, Lombra lunga dellautore. Indagine su una figura cancellata, Milano: Feltrinelli, 1999, p. 43.
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RELAZIONI INDIVIDUALI E INDIVIDUABILI

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re. Mi riferisco, per esempio, alla distinzione tra opere dautore e opere di genere, queste ultime giudicate di ridotto valore artistico proprio perch pi diffuse tra il pubblico, connesse alla ripetizione di intrecci gi in parte noti e spesso realizzate in modo da rendere inscindibile il legame dei contenuti con la loro realizzazione formale. Larte moderna attribuisce pi valore alla novit e alla riflessione concettuale piuttosto che allelaborazione tecnica, i cui vincoli e le cui ripetizioni vengono considerati alla stregua di convenzioni, e in quanto tali contrapposte alloriginalit assoluta del genio. Non a caso, in ambito letterario il genere considerato tipicamente moderno il romanzo, la cui caratteristica principale sarebbe, paradossalmente, proprio quella di mutare continuamente i propri temi e la propria forma,3 essendo libero di accogliere i contenuti pi disparati senza le costrizioni di unorganizzazione formale vincolante. Un ulteriore esempio di quanto, nelle societ occidentali, lintera organizzazione della realt venga modellata in base alle procedure proprie di uneconomia scritturale basata su una razionalizzazione astratta, rappresentato dalla trasformazione del fatto urbano nel concetto di citt (IQ, p. 146), ovvero dallelaborazione, a partire dal Sedicesimo secolo, di progetti legati a un urbanesimo utopico, che con il passare del tempo incontrano una realizzazione sempre pi diffusa e concreta. ancora De Certeau a scrivere che la citt instaurata dal discorso utopico e urbanistico si basa su una triplice operazione, che prende il via dallisolamento di uno spazio proprio, in vista del quale lorganizzazione razionale deve eliminare tutte le interferenze fisiche, mentali e politiche che la comprometterebbero (IQ, p. 147); prosegue con la sostituzione di un non-tempo, o di un sistema sincronico, alle resistenze inafferrabili e ostinate delle tradi3

Ivi, p. 117.

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zioni(IQ, p. 147); si conclude con la creazione di un soggetto universale e anonimo che la citt stessa. La citt, allo stesso modo di un nome proprio, offre cos la capacit di concepire e costruire lo spazio a partire da un numero finito di caratteristiche stabili, isolabili e articolate luna sullaltra (IQ, p. 147). Si costituisce cos un sistema rigido, improntato alla funzionalit, che apparentemente non lascia al soggetto altra possibilit se non quella di muoversi lungo rotte prestabilite. In tal modo sembra definitivamente compromessa lunit tra il soggetto e lambiente, un tempo praticabile in virt della comune partecipazione a un senso che trascendeva sia lindividuo sia il territorio. Che ora, nella sua forma astratta di citt, diviene per lo pi muto e anonimo, organismo asettico e funzionalista con il quale pare impossibile instaurare un rapporto armonioso. Ma, anche a fronte di una diffusione tanto capillare del mito scritturale, i racconti non escono affatto di scena. Anzi. La loro, pi che una scomparsa, infatti unatomizzazione. Pur non rivestendo pi una funzione centrale nel fondare il senso che legava in ununica complessit soggetto, comunit e territorio, essi riemergono ai margini dei luoghi istituiti dalle strategie conquistatrici di spazio: Qualcosa daltro parla ancora, e si presenta ai padroni sotto le figure diverse del non lavoro il selvaggio, il folle, il bambino, la donna e in seguito [] sotto forma di una voce o di grida del popolo escluso dalla scrittura. Ecco allora che una parola riaffiora o permane, ma come qualcosa che sfugge a uneconomia socioculturale, allorganizzazione di una ragione, alla diffusione della scolarizzazione, al potere di una lite e, infine, al controllo della coscienza illuminata (IQ, p. 225). Negli interstizi, nelle ombre del quotidiano, nella vita di tutti di i giorni, ritorna in una versione frammentata ci che non lavora alla riproduzione indefinita del modello scritturale, in quanto folle o deviante rispetto ai suoi criteri razio-

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nali, legato a una dimensione comunitaria in cui rimane la possibilit di partecipare a un senso condiviso. I legami famigliari, quelli che si instaurano tra gruppi di amici e tra questi e quartieri, associazioni, circoli, oratori, centri sociali, lunderground della produzione e della sperimentazione artistica: tutti sono espressioni della sopravvivenza ai margini di un senso e di una non meglio definibile vitalit. Tuttavia, ancora De Certeau a ricordare che anche se dislocata, lenunciazione messa a parte o trattata come un residuo non pu essere dissociata dal sistema degli enunciati (IQ, p. 227). Ecco il punto fondamentale di questo terzo capitolo: non in realt possibile considerarsi al di fuori del dominio della scrittura, e anche ci che pare esserlo viene comunque codificato come altro da s. Ogni voce e ogni gesto che, in apparenza, evadano la funzionalit del codice, proprio perch agiti in contrasto alla sua pervasiva presenza, vengono inevitabilmente ricondotti al suo interno, con lattribuzione di uno status che, bench deviante, di fatto equivalente a qualunque altro. Segno allinterno di un linguaggio.4 Tutto avviene con la forma di un moto che lega al tempo stesso repulsione e attrazione, per cui dapprima la posizione di ci che trasgredisce lordine della produzione scritturale viene messo a distanza perch assurdo, indecente o fantastico: definire attraverso la favola la posizione dellaltro (selvaggio, religioso, folle, infantile o popolare) non significa soltanto identificarlo con chi parla (fari), bens con una parola che non sa ci che dice. [] La distanza da cui proviene la voce estranea cos trasformata, surrettiziamente, nello scarto che separa la verit nascosta (inconscia) della voce dallillusione della sua manifestazione (IQ, p. 228).
Si veda Roberto Bui, Transmaniacalit e situazionauti. Senza il cyberpunk linsurrezione dei corpi tra le luci e le ombre del reticolo multimediale, Bologna: Synergon, 1994.
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Il passo successivo, per, consiste nella ricodificazione dellaltro deviante, attraverso una traduzione che, come accade nel caso del mito e della sua interpretazione, lo illumini rendendolo leggibile, visibile e, quindi, controllabile. La voce fa scrivere (IQ, p. 228): tutto ci che emerge ai margini, vivo, delinquente o deviante rispetto alla consuetudine, finisce per attirare lo sguardo del meccanismo autoriproducente del codice, che semplifica e fa luce su tali esperienze pur essendo condannato, per la stessa natura del suo funzionamento, a non poterle mai esaurire del tutto attraverso la scrittura: come se il discorso si costruisse per effetto e occultamento di una perdita che la sua condizione di possibilit, come se il senso di tutte le conquiste scritturali fosse quello di far proliferare dei prodotti che si sostituiscano a una voce assente, senza mai arrivare a catturarla, a ricondurla nel luogo del testo, a sopprimerla come estranea. Detto altrimenti, la scrittura moderna non pu trovarsi nel luogo della sua presenza (IQ, p. 228). A ben guardare, si tratta di unesperienza simile a quella vissuta dai Masai che tentano di riappropriarsi dei loro animali, mettendo in atto delle sortite allinterno dei recinti che li rinchiudono: le loro fughe hanno breve durata, i tentativi appaiono sporadici e velleitari, le impronte sono riconoscibili e la direzione della loro fuga facilmente individuata. In queste condizioni, per quanto lontano possano spingersi, alle autorit cittadine che li controllano sufficiente aumentare la sorveglianza, intensificare le ricerche e, infine, ritrovarli da qualche parte nella savana, pronti a venire ricondotti entro i luoghi giudicati pi appropriati: i recinti per le vacche, le riserve (o la prigione) per gli esseri umani. Un ulteriore parallelismo pu essere rintracciato anche nei tentativi di rinnovare la scena artistica messi in atto dai movimenti davanguardia tra la fine del XIX e la prima met del XX secolo, con tutta liniziale forza durto di provocazioni

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che, efficacemente, misero a nudo il meccanismo celibe dellarte contemporanea. Ma, come si sa, le critiche alle convenzioni e agli aspetti mercantili delle istituzioni artistiche persero, dopo un breve lasso di tempo, gran parte della loro carica dirompente e corrosiva, per venire riaccolte nel grembo dello stesso sistema che volevano rifondare. Codificate entro movimenti in tutto e per tutto analoghi a quelli gi digeriti, legittimati e commercializzati dal mondo dellarte, avendo relegato la propria furia contestativa entro una dimensione che, di fatto, era ancora pienamente artistica, e in quanto tale astratta, teorica e autoriflessiva. Incapace di incidere davvero nel reale: La separazione tra la teoria e la pratica fornisce la base centrale del recupero, della pietrificazione della teoria rivoluzionaria in ideologia, che trasforma le esigenze pratiche reali (i cui indici di realizzazione esistono gi nella societ attuale) in sistemi didee, in esigenze della ragione. [] I concetti pi corrosivi vengono allora svuotati del loro contenuto, rimessi in circolazione, al servizio dellalienazione mantenuta: il dadaismo a rovescio. Diventano slogan pubblicitari.5 Anche nel Robinson Crusoe di Daniel Defoe rintracciabile una parabola simile a quella vissuta tanto dai Masai quanto dai movimenti davanguardia dinizio Novecento. Infatti, quando il naufrago protagonista del libro scorge limpronta [] di un piede nudo sulla spiaggia (IQ, p. 221), che segnala la presenza di qualcuno invisibile, che non ha luogo, il suo turbamento tale da mandare in crisi lintero ordine razionale che, pazientemente, aveva conferito allintera isola. Robinson terrorizzato, di fronte a ci che De Certeau definisce lapsus nel linguaggio, presenza dellassenza [], traccia di qualcosa che non l e non ha
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AA.VV.,

Internazionale Situazionista. 1958-69, Torino: Nautilus, 1994,

p. 55.

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luogo (come il mito). [] Ci che lascia una traccia e passa non ha un testo proprio. Si pu dire solo attraverso il discorso del proprietario, e si colloca solo nel suo luogo. La differenza ha come linguaggio solo il delirio interpretativo sogni e bizzarrie di Robinson stesso (IQ, p. 222). Di fronte allaltro assente, che con tutta evidenza abita e altera la sua stessa isola, al naufrago non rimane altro che definire selvaggio il proprietario dellimpronta: la denominazione non pi in questo caso, come in altri, la rappresentazione di una realt; un atto performativo che organizza ci che enuncia. [] Cos come si scomunica nominando, il nome del selvaggio crea e definisce a un tempo ci che leconomia scritturale situa fuori di s (IQ, p. 222). Perch Robinson ritrovi calma e razionalit, sar necessario che il corpo tangibile che ha calcato lorma sulla sabbia si renda visibile: solo allora, allaltro sar possibile attribuire unidentit e un luogo proprio nel sistema-isola concepito dal protagonista. Per concludere, possibile affermare che, di fronte allimperante presenza di uneconomia scritturale, gli spazi di libert per i singoli individui si aprano ai margini, negli interstizi e nei coni dombra del quotidiano, dove, pur rimanendo allinterno dellorganizzazione complessiva del sistema, ancora possibile giocare in modo tattico. Spesso con attivit gratuite, cacce di frodo (IQ, p. 19), giochi dastuzia non finalizzati a una capitalizzazione, pratiche indicibili che non si fissano in luoghi ma che manipolano e alterano quelli gi esistenti, sopravvivendo nel non luogo della memoria e manifestandosi solo al momento opportuno. Tra di essi, va sicuramente menzionata la prassi della lettura, con il suo dare senso al testo e la produzione di ci che Barthes definisce indicibilit del godimento, sperimentato a partire da una partecipazione alla realizzazione del testo

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stesso.6 Ma se leggere significa peregrinare in un sistema imposto (quello del testo), analogo allorganizzazione fisica di una citt o di un supermercato (IQ, p. 238), si pu dire anche che unaltra fonte di libert nel quotidiano derivi dal percorrere i luoghi imposti dalla moderna urbanistica, descrivendo tra le loro maglie traiettorie imprevedibili, che gli conferiscano significati nuovi, intimi e inattesi, in enunciazioni pedonali che attualizzano in modo poetico e discontinuo parti di un ordine che, una volta praticato, diviene anche vivo: Lo spazio geometrico degli urbanisti e degli architetti sembra valere come il senso proprio costruito dai grammatici e dai linguisti per poter disporre di un parametro normale e normativo cui riferire le derive del figurato. In realt, questo luogo proprio (senza figura) resta introvabile nelluso corrente, verbale o pedonale; solamente la finzione prodotta da un uso anchesso particolare, quello, metalinguistico, della scienza che assume la sua singolarit proprio attraverso questa distinzione (IQ, p. 155).

Roland Barthes, Le Plaisir du texte (1973), trad. it. di Lidia Lonzi, Il piacere del testo, Torino: Einaudi, 1999, p. 104.

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Tappa n. 4
RIVOLTA SAMIZDAT

Unulteriore, imprescindibile tappa nel percorso di avvicinamento al Luther Blissett Project costituita dal contributo di riflessioni ed esperienze prodotto da alcuni movimenti (ma, come si vedr, il termine rischia di essere improprio) che, nel corso del Novecento, si sono concentrati sulla critica radicale alle strutture assunte dalle odierne societ occidentali. Una contestazione che, quasi sempre, ha preso spunto da unarticolata analisi delle condizioni sociali, politiche e culturali dominanti, venendo per mossa a partire da posizioni il pi delle volte inedite. Con Stewart Home, possiamo definire leterogeneo insieme di pratiche messe in campo da tali movimenti tradizione samizdat,1 termine di origine russa originariamente utilizzato per designare una tradizione di dissidenza e auto-organizzazione, i cui partecipanti hanno spesso agito documentando al tempo stesso le proprie azioni,2 ma sfruttato dallautore inglese per riferirsi ai cosiddetti movimenti utopici dello scorso secolo, che rivolsero le proprie critiche ai fondamenti della societ moderna rigettando qualsiasi collocazione in ambiti rigidamente circoscrivibili, a cominciare da quello artistico. Nel XX secolo, quanti aderivano ai principi utopici si sono mossi
Stewart Home, The Assault on Culture: Utopian Currents from Lettrism to Class War (1988), trad. it. di Luther Blissett, Assalto alla cultura. Correnti utopistiche dal lettrismo a class war, Bertiolo: AAA Edizioni, 1993. 2 Ivi, pp. 127-28.
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tra arte, politica, architettura, urbanistica e tutte le altre specializzazioni conseguenti alla separazione. Gli Utopisti vogliono creare un nuovo mondo dove tali specializzazioni non esisteranno pi.3 In altri termini, tali movimenti diedero vita a un tentativo di recuperare un legame con la vita intesa nella sua interezza, cercando di superare distinzioni considerate i prodotti e gli strumenti attraverso cui una societ alienante riproduce indefinitamente se stessa e i propri modelli di comportamento. N arte n anti-arte, dunque, luna considerata categoria autoreferenziale, laltra mera contestazione dei suoi dogmi, priva di uneffettiva capacit di intervenire su di essi per provocarne la definitiva deflagrazione. Si trattava, invece, di superare simili distinzioni, attraverso una caleidoscopica gamma di performance dallaspetto ludico, rituale o apparentemente folle, in grado di coinvolgere integralmente chi vi prendeva parte: I movimenti samizdat, essendo utopici, cercano di intervenire in tutti gli ambiti di vita; lanti-professionismo del samizdat lo fa comunque propendere per le iniziative culturali e politiche, e lo tiene alla larga dalla seria indagine scientifica. Ma la societ occidentale favorisce le specializzazioni, e ogni volta che un movimento samizdat perde il suo dinamismo viene relegato in un ambito settoriale di contestazione.4 Rintracciate le influenze determinanti nelle riflessioni e nelle opere di Sade, Fourier, Isidore Ducasse, William Morris, Alfred Jarry e Antonin Artaud, Home riconosce a Dada e alla sua rivolta iconoclasta il merito di aver aperto la strada a Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, mail art, punk e Neoismo. Esso viene investito del ruolo di precursore dei movimenti successivi soprattutto per la tensione anti-artistica, antiletteraria e anti-poetica che ne contraddistinse la fase eroica,
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Ivi, p. 16. Ivi, p. 129.

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caratterizzata da uninesausta ricerca di spontaneit, dinamismo e partecipazione, che non poteva n voleva rimanere confinata nei limiti angusti dellarte istituzionale. Che, in quanto categoria autonoma, rappresentava una delle tante forme astratte da far detonare con la forza della propria furia esplosiva e nichilista, da indirizzare verso tutto ci che costituiva una cristallizzazione delle energie vitali e dello spirito, il quale mai deve essere imprigionato nella camicia di forza di una regola, sia pure nuova e diversa, ma sempre devessere libero, disponibile, sciolto nel continuo movimento di se stesso, nella continua invenzione della propria esistenza.5 Dada non produsse opere, bens gesti, azioni e performance, compiute in qualsiasi direzione del costume, della politica, dellarte, dei rapporti,6 mirando alla provocazione e allo scandalo, contaminando, rimescolando e riciclando il gi esistente, scuotendo certezze e mettendone a nudo le ipocrisie. Di fronte alla pretesa originalit della creazione artistica, vennero cos proposti i primi merz di Kurt Schwitters, pittura dellimmondizia fatta di pezzi di legno, ferro, latta, buste, tappi, piume di gallina, sassi, chiodi e biglietti del tram; al genio autoriale si preferirono le tautologie dei ready made di Duchamp e Picabia; la seriosit dellarte tradizionale venne irrisa dai graziosi mustacchi che facevano bella mostra di s sulla riproduzione della Gioconda. Lintensa carica dirompente e anarchica di Dada, oltre che nelle azioni e nelle contaminazioni, si espresse anche nel linguaggio dei suoi manifesti, in pagine che Mario De Micheli definisce di uneccitante novit, esplosivi, nervosi, insolenti, sorprendenti. Umori filosofici, satirici, buffoneschi, lirici si confondono con una tensione intellettuale vera, con unansia
Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Milano: Feltrinelli, 2000, p. 156. 6 Ibidem.
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autentica che d alla disinvoltura verbale di Tzara una forza reale tuttaltro che scandalistica.7 Il tutto accompagnato da una costante, coerente tensione allautodistruzione, estrema manifestazione di libert e definitivo rifiuto delle logiche autoreferenziali dellarte. Che, tuttavia, il movimento non riusc del tutto a scansare, venendo in larga misura recuperato allinterno del sistema ufficiale dellarte. A ogni buon conto, fu facendo tesoro di simili esperienze che prese il via ci che Home definisce tradizione samizdat, con il Lettrismo prima e lInternazionale Lettrista e quella Situazionista a partire dai primi anni Cinquanta. Fu gi in ambito lettrista, infatti, che vennero elaborati i concetti di psicogeografia, urbanismo unitario e dtournement, che successivamente furono arricchiti dalla riflessione e dalla pratica situazioniste. Per psicogeografia si deve intendere una tecnica di esplorazione urbana finalizzata allo studio degli effetti precisi dellambiente geografico [] sul comportamento affettivo degli individui,8 con una decisa componente di gioco e lo scopo di individuare le forme pi adatte di decostruzione di una particolare zona metropolitana (TP, p. 152), per dare un senso nuovo allapparente rigidit delle sue costrizioni e delle sue traiettorie, istituendo con esse rapporti affettivi sempre diversi e aprendovi delle falle attraverso uno straniamento costante. Detto altrimenti, impostando con i luoghi della citt un rapporto tattico e consapevole. Strumento essenziale nella pratica psicogeografica la deriva, tecnica di passaggio veloce attraverso vari ambienti,9 passaggio decisivo lungo il percorso che avrebbe condotto allutopistico urbanismo unitario, modo
Ivi, p. 157. Sergio Ghirardi, Non abbiamo paura delle rovine. I situazionisti e il nostro tempo, Roma: DeriveApprodi, 2005, p. 39. 9 AA.VV., Internazionale situazionista, cit., p. 13.
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del tutto nuovo di vivere da parte del cittadino il proprio rapporto con la citt, e, pi in generale, con la propria quotidianit. Infatti, se la metropoli contemporanea era considerata emblematica e pervasiva manifestazione dellalienazione contemporanea, il recupero del controllo attivo e cosciente dellambiente urbano avrebbe condotto gli individui a un cambiamento decisivo nellintero panorama delle loro attivit: il principale successo dellattuale pianificazione delle citt di far dimenticare la possibilit di ci che noi chiamiamo urbanismo unitario, vale a dire la critica vivente, alimentata dalle tensioni di tutta la vita quotidiana, di questa manipolazione delle citt e dei loro abitanti. Critica vivente vuol dire stabilire delle basi per una vita sperimentale: aggregazione di persone che creano la loro propria vita su luoghi attrezzati a loro misura.10 Si trattava pertanto di creare vuoti nellordine funzionale dei luoghi imposti, per poi organizzare coscientemente le forme e i modelli in base ai quali si desiderava vivere, senza determinazioni rigide e pietrificate. Per aprire questi buchi positivi,11 era necessario esercitarsi nella prassi del dtournement, definibile come plagio di elementi estetici preesistenti e [] loro integrazione in una costruzione superiore,12 oltre che come metodo di straniamento che modifica il modo di vedere oggetti o immagini comunemente conosciuti, strappandoli dal loro contesto abituale e inserendoli in una nuova, inconsueta relazione.13 Lobiettivo, quindi, era la manipolazione tattica di elementi preesistenti, conferendo loro un senso sempre nuovo e inatteso, perseguendo lo scopo di rimettere in circolo tutto ci che fosse considera10 11

AA.VV., Situazionismo, cit., p. 75. Ivi, p. 76. 12 Stewart Home, op. cit., p. 32. 13 AA.VV., Internazionale situazionista, cit., p. 13.

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to fisso e immutabile, ridandogli vita attraverso usi che, a propria volta, avrebbero dovuto rifuggire la staticit e rinnovarsi costantemente. Sua conseguenza inevitabile, il ribaltamento del modo di concepire il ruolo dellautore in quanto creatore di opere originali, ideate a partire da una disgiunzione rispetto al reale e propriet su cui vantare diritti: per essere vivo, e quindi partecipato, tutto doveva rimanere fluido, dinamico e disponibile a mille contaminazioni: le idee migliorano, il senso delle parole ne partecipa. Il plagio necessario. Il progresso lo implica. Stringe da presso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella unidea falsa, la sostituisce con lidea giusta.14 Inutile quindi parlare di possesso o originalit: con la prassi del dtournement si scavalca qualsiasi recinzione, superando ogni separazione. Queste e molte altre riflessioni vennero sviluppate soprattutto dopo la costituzione dellInternazionale Situazionista, avvenuta nel 1957, e sempre pi riguardarono lintera struttura della societ occidentale. Postulandovi infatti la diffusione capillare di un modello spettacolare fondato sulla separazione, ovvero sulla passivit degli individui e sulla loro incapacit di intrattenere con la vita un rapporto creativo e non mediato, la rivoluzione avrebbe dovuto prendere piede nel quotidiano: la vita quotidiana la misura di tutto: del compimento o del non compimento delle relazioni umane, dellorganizzazione del tempo vissuto, delle ricerche dellarte [e] della politica rivoluzionaria .15 Se quella del quotidiano rappresentava la sfera entro cui si realizzava la colonizzazione dello spettacolo, essa sarebbe stata il terreno sul quale si sarebbe giocata la partita del dtournement, straniando ci che era imposto e riorganizzandolo in base ai
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Ivi, p. 51. AA.VV., Situazionismo, cit., p. 81.

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propri desideri. Era nella quotidianit che si sarebbe potuto tentare di andare oltre le specializzazioni e le divisioni, cercando di ristabilire un contatto con la vita intesa nella sua complessit fluida e opaca. In essa, infine, sarebbe stato possibile mettere in pratica la costruzione delle situazioni. Definita situazione momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito mediante lorganizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti,16 si trattava di dtournare i luoghi in cui veniva frammentato il quotidiano, per poi riorientarli in direzione dei propri desideri, ripristinado con essi un contatto immediato che partecipasse di un senso nuovo e complessivo, coinvolgendo individui e ambiente al di l di qualsiasi distinzione. Risulta evidente, a questo punto, quanto lagire situazionista mirasse alla totalit, rifiutando di essere confinato entro un ambito, come quello artistico, che ne avrebbe irrimediabilmente minato la possibilit di intervenire concretamente nel reale: Si tratta ora di realizzare larte, di costruire effettivamente, a tutti i livelli della vita, ci che in precedenza non ha potuto essere altro che illusione o rimembranza artistica, sognati e conservati unilateralmente. Non si pu realizzare larte se non sopprimendola. Tuttavia, in contrapposizione allo stato presente della societ, che sopprime larte rimpiazzandola con lautomatismo di uno spettacolo ancor pi gerarchico e passivo, non si potr realmente sopprimere larte se non realizzandola.17 Eliminare larte come categoria autonoma, facendola detonare nel quotidiano: un progetto che, in quegli stessi anni, veniva elaborato anche da un altro movimento: Fluxus. Come il Situazionismo, infatti, Fluxus perseguiva lobiettivo di porre fine alle separazioni tra arte e vita, soprattutto at16 17

AA.VV., AA.VV.,

Internazionale situazionista. 1958-69, cit., p. 13. Situazionismo, cit., p. 152.

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traverso performance ed eventi che coinvolgevano ambiente, performer, pubblico, suoni e immagini entro totalit irripetibili. Non producendo opere ma gesti, che, a loro volta, non implicavano unosservazione distaccata, ma interpellavano il pubblico e lo coinvolgevano integralmente. Lo stesso Fluxus manifest un forte interesse nei confronti dellarchitettura e delle arti applicate come il design industriale, lingegneria e la grafica, con il desiderio di intervenire concretamente nella realt sociale allo scopo di trasformarla, tramite programmi dazione che prevedevano, oltre alla vendita di pubblicazioni Fluxus, picchetti, dimostrazioni, sabotaggi e danneggiamenti, rivolti in particolar modo contro il sistema dei trasporti e quello delle comunicazioni via posta. Proprio il sistema postale ebbe una notevole importanza per lintero mondo che ruotava attorno alle esperienze Fluxus, permettendo una fitta rete di scambi tra i suoi componenti americani ed europei, costituendo un terreno assai fertile per sperimentazioni quali linvenzione di timbri e la stampa di francobolli decorativi, da utilizzare in sostituzione di quelli ufficiali. ancora Stewart Home a individuare nelle esperienze maturate nel contesto del fluxworking il nucleo decisivo per la successiva affermazione del network della mail art, il cui fondatore Ray Johnson proprio in Fluxus affondava le proprie radici artistiche. Il nucleo del suo lavoro consistette in lettere cui venivano allegati disegni, collage, timbri e ghirigori tracciati non con lobiettivo di produrre oggetti darte destinati alla vendita, ma di spedirli ad amici e conoscenti, ai quali venivano regalati. Ben presto si cre attorno a Johnson una vera e propria rete di contatti, che in pochi anni coinvolse qualche migliaio di persone, impegnate in una vorticosa giostra transnazionale di spedizioni. Vi prendeva parte chiunque lo desiderasse, nessun requisito artistico era richiesto n alcuna coerenza formale, cos come assente era ogni pretesa che non fosse quella di

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una gioiosa comunicazione a basso costo di idee e contenuti: un altro esempio pratico di allegra abolizione delle nozioni di opera e autore. In proposito, unaltra serie di esperienze decisamente emblematica, oltre che legata a doppio filo al Luther Blissett Project: quella connessa alluso dei cosiddetti nomi multipli. Nato gi nellambiente del Dada berlinese, il primo vero e proprio multiple name vide la luce alla met degli anni Settanta, a opera della rivista Blitzinformation, che pubblic un appello che invitava tutti a diventare Klaos Oldanburg:18 Chi aderiva, compilava e spediva un modulo a un determinato indirizzo, vedendosi assegnare un numero di discendenza da affiancare al nome proprio Klaos Oldanburg, che si sarebbe quindi moltiplicato un indefinito numero di volte. Alla base del progetto cera, evidentemente, la scelta di rinunciare alla propria identit, firmando le proprie azioni con un nome collettivo, in una prassi destinata a venire raffinata e migliorata nel contesto di Generation Positive, movimento lanciato da un gruppo di anarco-artisti punk londinesi sul finire del 1982. La proposta, rivolta a tutti i gruppi musicali della scena underground, fu quella di adottare il nome unico White Colours, mentre tutte le riviste e le fanzine sarebbero state pubblicate con lintestazione Smile. Cos facendo, la notoriet raggiunta dalle singole band si sarebbe moltiplicata, arricchita dallalone di mistero che circondava la vera ma inesistente formazione dei White Colours. Il caso pi noto di nome multiplo, per, fu quello di Monty Cantsin, che prevedeva la creazione di una pop-star aperta: lidea era che chiunque potesse usare questo nome per un concerto e che, se abbastanza persone lo avessero fatto, Monty Cantsin sarebbe diventato abbastanza famoso,
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Ivi, p. 95.

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e quindi artisti sconosciuti avrebbero potuto adottare quellidentit e garantirsi un pubblico.19 Alla base del progetto, la volont di sfruttare il passaparola e i mezzi di comunicazione per diffondere la fama di una pop star, la cui notoriet, per, sarebbe stata partecipabile da chiunque. Veniva cos messo in discussione il luogo per eccellenza: lidentit individuale. Per completare il quadro dei movimenti samizdat, in questo stringato riassunto non pu mancare una sintetica citazione relativa punk di fine anni Settanta. A differenza dei movimenti di cui si scritto finora, il punk, almeno nella sua fase iniziale, fu spontaneo e ignorante, ma ci non imped che, nel suo contesto, si sviluppassero pratiche fortemente innovative, a partire dalla radicale messa in discussione della distanza che separava il pubblico dai gruppi che suonavano sul palco, resi tangibili e posti sullo stesso piano di chi li ascoltava. Con il punk, inoltre, si diffuse unetica do it yourself in virt della quale gente che non aveva mai avuto la possibilit di frequentare corsi musicali, era ora pienamente legittimata a esibirsi in pubblico, senza contare il nutrito panorama di autoproduzioni, costellato di etichette indipendenti e fanzine fotocopiate: la pratica autonoma e creativa aveva la precedenza su qualsiasi canale ufficiale o commerciale. Plagio, rifiuto della creativit, critica alla nozione di autore: sono tutte caratteristiche proprie anche dellultimo movimento samizdat di cui scrive Home. Si tratta del Neoismo, forse il pi estremo, sicuramente il pi paradossale tra quelli fin qui sintetizzati. Nato tra la fine degli anni Settanta e linizio degli Ottanta, esso recep la lezione del Situazionismo, della mail art e di Fluxus, portandola alle conseguenze pi radicali. Lo stesso termine Neoismo venne coniato a
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Ivi, p. 97.

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partire dalla fusione del prefisso Neo e della desinenza ismo: essendo questa tipica di gran parte delle definizioni attribuite ai movimenti artistici, da sempre ne incarnava la chiusura attorno a una determinata poetica. Un ismo, pertanto, rappresentava unastrazione rispetto alla prassi. Apponendovi il prefisso Neo, si intese portare al parossismo la pretesa novit di questi movimenti artistici, mettendo alla berlina un approccio critico che, da sempre, li collocava lungo unipotetica traiettoria diacronica, rivolta indefinitamente al progresso e allinnovazione, come se ciascuno costituisse una fase assolutamente originale rispetto alle precedenti, arroccata attorno a un numero definito di caratteristiche poetiche e formali. Il Neoismo rappresentava cos il punto pi estremo e paradossale di questa presunta evoluzione, costituendo un movimento la cui opera migliore non era altro che l'anti-neoismo, la cui unica poetica consisteva nella ricerca fine a se stessa dellinnovazione, di qualunque natura essa fosse. Ivi compreso labbandono del movimento stesso: rotture e scismi sono essenziali alla mia concezione di Neoismo ed ogni match di pubbliche ingiurie fra un ex-Neoista e gli altri membri del gruppo vale dodici dozzine di grandi opere d'arte. In sostanza, ci a cui dovrebbero aspirare tutti i Neoisti una virulenta rottura con il movimento. Abbandonare il Neoismo la sua realizzazione.20 Evidentemente, non esisteva alcuna teoria neoista, dato che ogni cosa fatta all'insegna del Neoismo dallo scrivere una poesia o una lettera, fino a rilasciare unintervista a un quotidiano o a un qualsiasi giornale deve essere considerata una performance che in quel momento una parte della performance di un movimento artistico

Lettera aperta al Network Neoista e al grande pubblico, scritta da Stewart Home e disponibile online nel sito <www.lutherblissett.net>.

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chiamato Neoismo.21 Pertanto, si pu dire che il Neosimo fosse un vero e proprio anti-movimento, visto che qualsiasi gesto poteva contaminarlo e qualsiasi definizione calzargli, in una flessibilit assoluta che, se per certi versi portava alle estreme conseguenze lautoriflessivit dellarte contemporanea, per altri ne costituiva lopposto, leffettiva nemesi di qualsiasi creativit artistica: per riassumere, la performance Neoista consiste solo di atti che diffondono il virus del Neoismo.22

Primo manifesto della performance neoista e della performance del Neoismo, anchesso scritto da Stewart Home e disponibile nel sito <www.lutherblissett.net>. 22 Ibidem.

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Tappa n. 5
LUTHER BLISSETT

Superate le prime tappe del percorso, non rimane che affrontarne lultimo tratto, quello che finalmente condurr al Luther Blissett Project. Per farlo, si pu fare ancora appello alle esperienze vissute dai Masai, e in particolare al modo in cui sono riusciti, dopo mille peripezie, ad avere la meglio su chi li aveva privati di terra e animali. Come vincono i Masai? La risposta semplice: sparendo. La trib raggiunge il proprio obiettivo nel momento in cui rinuncia a un confronto in campo aperto contro un nemico meglio equipaggiato e in grado di elaborare strategie pi efficaci. Compreso questo, i Masai smettono di cozzare contro i recinti che ne respingono gli assalti, decidendo piuttosto di scivolarvi allinterno attraverso le fessure: iniziano cio a combattere in modo tattico, evitando di capitalizzare i risultati ottenuti e giocando su una continua mobilit nel campo avversario, di cui sfruttano a proprio vantaggio tutte le possibili debolezze. Nel loro caso, come si visto, a risultare determinante il colpo sferrato utilizzando i copertoni dismessi, abilmente trasformati nello strumento che gli permette di diventare invisibili, confondendo gli sguardi delle autorit ed eludendone il controllo. Unazione di pura tattica, insomma. Non dissimile da quella che, a migliaia di kilometri di distanza e in un contesto cronologico, sociale e culturale radicalmente diverso, un gruppo di individui mise in atto alla met degli anni Novanta: Tra gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo d.C. un imprecisabile network di artisti

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senza opere, attivisti post-politici, operatori di media indipendenti come radio, BBS, ecc., nauseati dalle obsolete tecniche e strategie di comunicazione ancora in auge presso un immobile movimento e una scena europea tanto poco vivace da ricordare il teatro da camera espressionista, decisero di darsi metaforicamente alla macchia, avvolgersi di leggenda, scommettere sul meraviglioso (TP, p. 11). Come riportato nei precedenti capitoli, lo scenario nel quale si trovavano a vivere gli appartenenti a questo non meglio definibile network, si caratterizzava per la capillare diffusione dei luoghi prodotti dallonnipresente economia scritturale, recinti che limitavano la possibilit di vivere la realt nella sua opaca complessit, in cambio di un possesso e di una definizione parziali. Alla profonda insoddisfazione per lo status quo, si accompagnava la comune conoscenza, e spesso lesperienza in prima persona, dei precedenti movimenti samizdat. Cera poi la consapevolezza che qualsiasi spinta contestativa che ambisse a collocarsi al di fuori dei meccanismi scritturali dominanti, inevitabilmente si sarebbe rivelata illusoria, venendo presto o tardi ricodificata e recuperata allinterno del sistema stesso: non si poteva evitare di giocare sul campo dellavversario. Era inoltre pi che nota la capacit dei mezzi di comunicazione di dare vita a realt simulacrali, e allo stesso tempo se ne sperimentava la forza deterritorializzante, capace di eludere le tradizionali distinzioni per aprirsi a un orizzonte decentrato di comunicazione globale, in reti di scambi un tempo impensabili. Infine, era comune la certezza della sopravvivenza interstiziale di margini di movimento, di spazi e possibilit disponibili a essere sfruttate dalle invenzioni tattiche di ciascuno, sebbene parcellizzate nei coni dombra del quotidiano. In un simile contesto non fu necessario riunire alcun comitato centrale: semplicemente si decise (tale forma impersonale sarebbe risultata fatidica, poich avrebbe dato forma a tutte

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le azioni a venire) di usare il potenziale dei nuovi media e il loro imminente impatto su quelli tradizionali, allo scopo di lanciare un nuovo prodotto, una merce intangibile, immateriale: un mito di lotta comune a tutte le trib e comunit di rivoltosi (TP, pp. 11-12). Creare un mito, dunque, capace di mettere a frutto le risorse del territorio, raccogliendo attorno a s una comunit dalle caratteristiche del tutto peculiari, adeguate allattuale contesto socioculturale, modellate sulle sue asperit e pronte a cogliere le possibilit che si fossero di volta in volta manifestate. Prima di tutto, per, era necessario dare un nome al nuovo mito. La scelta cadde su quello di un modesto calciatore inglese di origine giamaicana, che aveva militato con scarsissima fortuna nelle fila del Milan nella met degli anni Ottanta: Luther Blissett, giocatore dalle performance cos disastrose da essere sospettato di sabotare scientemente la propria squadra. Su un piano organizzativo, si sarebbe dato vita a un nuovo multiple name, sulla scorta di esperienze che, come si visto, gi in passato erano state sperimentate in contesti prevalentemente legati al mondo della musica underground, con lobiettivo di creare reputazioni aperte delle quali gruppi poco noti si sarebbero potuti servire per attirare lattenzione di media e pubblico. Ma cosa significava puntare sul mito? E, soprattutto, perch decidere di farlo? Perch esso aveva caratteristiche che, a tutti i livelli, ne facevano una risposta tattica perfettamente adeguata a un contesto dominato dalleconomia scritturale, frammentato in una molteplicit di luoghi propri che gli fanno assumere connotazioni simulacrali. Riassumendo quanto scritto nel primo capitolo, infatti, il mito assente, invisibile, manifestandosi solo nellatto medesimo della sua esecuzione, avendo una natura pratica ( arte di dire e arte di fare allo stesso tempo) che fa s che esso ab-

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bia senso solo nellottica di una partecipazione condivisa. Perch ci sia possibile, perch sia vivo, il mito non ha una struttura rigida, ma si fonda su una fluidit che lo rende disponibile a essere costantemente riattualizzato, ripetuto, contaminato e rinnovato, poich fa parte di una memoria collettiva che patrimonio di unintera comunit, allinterno della quale nessuno legittimato a dirsi custode di una sua corretta interpretazione. Il mito dice ci che possibile fare in un determinato ambiente, insegna come lo si pu vivere e praticare, conferendogli un senso che vale per una data comunit, coesa attorno alla propria memoria. La prima, notevole novit introdotta dal Luther Blissett Project sta proprio nellambizione di fondare una comunit basata su un complesso di saperi ed esperienze condivise, senza che, per, questa risulti identificabile in un numero limitato di caratteristiche, o allinterno di un territorio circoscritto. Detto altrimenti, viene concepito un modello decentrato di comunit, non chiuso allinterno di un luogo isolato da un punto di vista ideologico o ambientale, ma disponibile ad accogliere e a essere contaminato da chiunque scelga di farne parte. Una comunit capace di unire le eterogenee esperienze di persone che, insoddisfatte del sistema scritturale dominante, scelgono di rifiutarne il continuo processo di frammentazione, lindividuazione entro recinti definiti, per condividere conoscenze e pratiche, contribuendo, proprio in virt delle differenze individuali, allespansione e alla fluidit di un network che si fa tanto pi efficace nella lotta quanto meno risulta individuabile entro la rigidit di schemi fissi. Quella di Luther Blissett , infatti, una comunit diffusa a livello internazionale, e pertanto impossibile situarla geograficamente allinterno di confini precisi, cos come lo il tentativo di collocarla entro un numero limitato di presupposti teorici o ideologici: la magmaticit e lindetermina-

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tezza sono suoi caratteri ineliminabili, e rendono inutile la stessa identificazione di chi ne fa (o ne ha fatto) parte. Affinch sia preservata la sua fluidit e superata qualsiasi distinzione, anche la memoria e il mito attorno a cui si coagula la nuova comunit blissettiana devono essere altrettanto fluidi. Il progetto Luther Blissett, pertanto, viene concepito senza un nucleo centrale di verit cui attenersi, un rigido canovaccio da rispettare che funga da struttura o programma cui fare riferimento nellazione, e se gi il mito tradizionale conosce tante varianti quanti sono coloro che vi credono, Luther privo anche di quellintreccio minimo che costituisce il tema sul quale fondare lintero arco delle possibili variazioni. Niente segreti da svelare, nessun mistero su cui fare luce: Luther Blissett si realizza in pura partecipazione, e qualunque azione, gesto, performance, manifesto o pubblicazione venga firmata con il suo nome, diventa parte del suo mito, arricchendolo e costituendone un ulteriore tassello. Non a caso, dal momento del lancio del progetto, nel 1994, una mole impressionante di manifestazioni di Luther Blissett si sussegue in Italia e in svariate altre nazioni, coinvolgendo un po tutti i settori della cultura: dalla pubblicazione di fanzine, libri e fumetti underground, alla realizzazione di brevi film e brani musicali; dalle performance teatrali, alle micidiali beffe mediatiche; dalle campagne di controinformazione alle derive psicogeografiche: tutto ha contribuito alla diffusione, allevoluzione e alla crescita esponenziale della fama di quella che, nel tempo, ha assunto i contorni di una inquietante e nebulosa leggenda. Di questa, tutto noto fin dallinizio: gi a partire dai primi manifesti firmati Luther Blissett, la sua natura di identit multipla stata immediatamente esplicitata, insieme al suo obiettivo di rappresentare un mito globale, potenzialmente universale, non individuabile nel ristretto ambito di uninnocua contestazione. Come nel caso del Neoismo, il mito di Luther

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Blissett, rifiutando di coagularsi entro luoghi specifici e mantenendosi aperto a ogni uso che lo rinnovi e contamini, si realizza nel paradosso di poter essere s e il contrario di s, senza distinzioni tra vero e falso, senza che nessuno possa ergersi a giudice o censore di ci che viene agito in suo nome: tutto pu ambire a essere Luther Blissett. Critica radicale alla societ; enfasi sul valore pratico del progetto; rifiuto di una collocazione nella prigione dellarte; desiderio di cambiamento radicale a partire dal quotidiano: sono tutti punti di un programma in cui non si definiscono linee guida o poetiche, ma che esprimono la volont di vivere esperienze su un terreno ben pi complesso. E qui entra in scena quella che si pu considerare la vera e propria svolta tattica operata da Luther Blissett. La fluidit, la non-individuabilit che lo caratterizza, non devono essere lette come un tentativo di scongiurare un eventuale recupero da parte di un sistema spettacolare, tuttaltro. Come si scritto, in chi partecipa al Luther Blissett Project ben chiara la consapevolezza che non si possa evitare di giocare sul campo di un avversario potente, radicato e onnipresente, incarnato dal modello scritturale che permea le societ occidentali. Di conseguenza, non ci si attesta in un illusorio altrove, un underground sostanzialmente incapace di incidere in profondit nel reale e, alla lunga, funzionale alla riproduzione dello status quo. Piuttosto, si decide di esplodere nel sistema, contaminandolo con le proprie spore, diffondendovisi come un virus invasivo nei confronti del quale le cure usuali risulteranno tutte inefficaci: Non soltanto Blissett ha un aspetto multiforme e un comportamento imprevedibile, egli dotato di un potere che gli permette di sconfiggere lavversario senza afferrarlo e stringerlo, gli basta fotterlo dolcemente ( una malattia a trasmissione sessuale) e infettarlo. E, appestandolo, lo guarisce. In questo si differenzia completamente tanto dal tipo paranoico del

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potente, preoccupato da mille insidie, quanto dal modello maniacale di eroe, alla continua ricerca di pericoli. [] Blissett [] attira a s i suoi nemici, non li va a cercare, e lo fa per mostrare a tutti la loro vulnerabilit (TP, p. 46). Rinunciando a obiettivi parziali e contingenti, Luther porta il proprio attacco alla totalit della cultura mainstream, mosso dalla duplice volont di riappropriarsene e, al tempo stesso, esserne recuperato, poich solo da una posizione interna che inquadra la concreta possibilit di condurre efficacemente le proprie azioni. Se Luther Blissett , infatti, solo un nome, una firma, una sorta di contenitore vuoto, concepito proprio per non essere identificato con alcun tipo di identit, fisica o concettuale che sia, diventa possibile riempirlo con tutto ci che si desidera, definendolo e plasmandolo in base al flusso in costante divenire dei propri desideri, senza andare incontro ai veti di una qualche censura e senza tener conto di eventuali barriere. Cos, Luther Blissett si d al plagio continuo, specchiandosi di volta in volta nelle parole e nelle opere degli autori pi disparati, dando loro forme nuove e inaspettate, spiazzando le attese, dtournando verit e certezze, contaminandole, facendole vivere e circolare, restituendole allopacit e attribuendogli un senso disponibile a essere rimesso in gioco in qualsiasi momento. Se ci si pensa, un moto che porta a una riappropriazione simile a quella perpetrata dai Masai, se si sostituisce allobiettivo costituito da animali e terra quello rappresentato dal binomio cultura e vita, inteso nella sua validit pi generale. Grazie allinvisibilit, che la trib ottiene riciclando i copertoni e Luther adottando unidentit multipla, entrambi sono in grado di valicare i recinti che li tengono allesterno, per riprendersi finalmente ci che ha senso solo se possibile stabilirvi un contatto diretto. Nel caso di Luther Blissett, i recinti da oltrepassare o divellere sono rappresentati da tutto ci che impedisce una libera cir-

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colazione di corpi e saperi: dallurbanistica funzionalista alla propriet intellettuale, dallarte museificata ai diritti vantati da autori di genio su opere del cui significato vengono considerati padroni. Lidea che tutti, quotidianamente, contribuiscano alla produzione, allinnovazione e alla diffusione di un sapere e di una cultura da cui, tuttavia, vengono sistematicamente esclusi, delle quali non possono dirsi veramente partecipi, chiusi allinterno del recinto della propria identit e allo stesso tempo resi spettatori pi o meno passivi di ci che diventa propriet altrui. il processo che ha luogo con la progressiva affermazione di uneconomia scritturale: lisola costituita dalla pagina un luogo di transito in cui si opera uninversione industriale: ci che vi entra un ricevuto, ci che ne esce un prodotto. Le cose che vi entrano sono gli indici di una passivit del soggetto in rapporto a una tradizione; quelle che ne escono, i segni del suo potere di fabbricare oggetti. Limpresa scritturale [] trasforma o conserva allinterno ci che riceve dallesterno e crea nello spazio interiore gli strumenti di una appropriazione dello spazio esteriore. Immagazzina ci che preseleziona e si dota dei mezzi per espandersi. Combinando il potere di accumulare il passato e quello di conformare ai suoi modelli lalterit delluniverso, ha un carattere capitalista e conquistatore (IQ, p. 199). Con il progetto Luther Blissett, nome multiplo, mito e pseudonimo multiuso, si decide di fare a meno, o meglio di far esplodere il nucleo stesso che permette il riprodursi infinito dei un simile sistema scritturale: lidentit. Se Luther non altro che un nome, un segno, un contenitore vuoto, alle sue spalle ci pu essere tutto e nulla al tempo stesso. Non essendo interessato a forme di possesso parziale, e non dovendo difendere alcuna posizione, libero di distendersi sul reale al di l di ogni recinzione, arrivando in potenza a potersi sovrapporre a esso completamente. Tutto dtour-

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nabile e plagiabile, tutto pu essere rimesso in circolo, in un inesauribile movimento tattico, senza che nulla vada incontro a una nuova fissazione, diventando parte di una memoria disponibile a essere veramente condivisa da chiunque lo desideri, e della quale ciascuno pu legittimamente dirsi partecipe: Lindustria dello spettacolo integrato e del comando immateriale mi deve dei soldi. [] E ci che lindustria dello spettacolo integrato mi deve, lo deve ai molti che io sono e me lo deve perch io sono molti. Da questo punto di vista possiamo accordarci quindi per un compenso forfettario generalizzato. Non avrete pace finch non avr i soldi! MOLTI SOLDI PERCH IO SONO MOLTI: REDDITO DI CITTADINANZA PER LUTHER BLISSETT! (TP, pp. 83-84) Perch rimanga fluida e in movimento, necessario che la memoria collettiva di Luther Blissett si diffonda il pi possibile, percorrendo tutte le strade che le si aprono di fronte, per contaminare porzioni sempre pi estese di cultura mainstream. Quindi non si sceglie solo di combattere sul terreno dellavversario, ma si cerca di espandervisi il pi possibile: pi la conoscenza del progetto si irradia, pi settori del reale possono essere dtournati; pi persone vi partecipano, pi Luther Blissett si arricchisce e si rinforza; pi si fa molteplice, meno individuabile. Lesperienza del progetto si configura allora come lossessiva presenza di unassenza, analoga a quella che getta nel panico Robinson Crusoe di fronte allimpronta dell altro invisibile. Tra il 1994 e il 1999 Luther appare con frequenza crescente, dalle pagine dei quotidiani locali a quelle delle testate nazionali, dalle radio alle pubblicazioni underground, dalle librerie ai convegni, dalle mostre alle performance di strada: tutto contribuisce a diffondere il suo messaggio, che invita a prendere parte al progetto e fa leva su una continua autostoricizzazione, che, fin da subito, chiarisce gli scopi del progetto e il suo carattere aperto.

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Come ogni mito che si rispetti, anche Luther Blissett fa vedere ci che si pu fare in un determinato ambiente, e nel suo caso questo coincide con la societ contemporanea. Per farlo mostra le tecniche utilizzate e gli effetti delle proprie scorribande, tutte attentamente documentate e firmate con il marchio del proprio nome. In tal modo viene costruita una reputazione, che cresce azione dopo azione anche grazie al massiccio contributo degli organi di informazione, con cui Luther gioca spesso e volentieri, attirando la loro attenzione e servendosene per diffondere il proprio virus. Chi adotta la sua identit agisce nellopacit del quotidiano e firma le proprie azioni con il nome multiplo, e le tracce del suo passaggio immancabilmente destano lattenzione dei media, attratti dal fascino misterioso della creatura multipla, assente, strana, incomprensibile e inquietante: subiscono, insomma, quella pulsione scopica di cui si scritto nel terzo capitolo, dovuta alla fascinazione e alla repulsione per il trasgressivo e il deviante, che Luther conosce bene e sfrutta a proprio vantaggio. Nel corso di trasmissioni televisive e sulla carta stampata fioriscono cos le interpretazioni pi fantasiose dellinsolito fenomeno, e tra le varie definizioni che gli vengono attribuite si affermano quelle di terrorista mediatico e terrorista culturale, cui spesso seguono comunicati che, firmati dallo stesso Blissett, rivendicano azioni o fomentano il dibattito, senza mai censurare alcuna interpretazione del progetto, per quanto bizzarra essa sia. Daltra parte, i media non fanno altro che il gioco di Luther Blissett: non avendo questi verit o segreti da nascondere, qualsiasi lettura non solo pu dirsi corretta, ma ne diffonde ulteriormente il messaggio e ne accresce lindeterminatezza. In altri termini, il potere. Ma la presenza di Blissett non soltanto mediatica, essendo prima di tutto pratica, fisica, corporea. Chi ne assume lidentit, metaforicamente spogliandosi della propria, ripe-

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te ci che fanno i membri delle comunit tradizionali, ovvero fa rivivere il mito attraverso il proprio corpo, partecipando di una memoria da cui viene trasceso e che, tuttavia, manipola e rinnova. Anche nel caso di Luther Blissett, quindi, a fare da collante della comunit una memoria condivisa, che, riattualizzata nel quotidiano, coglibile nellatto medesimo della sua esecuzione, in una partecipazione che la contamini ogni volta. In quanto mito, anche Luther Blissett non altro rispetto al reale, ma vive nel corpo, nei gesti e nelle parole di chi sceglie di praticarlo: non teoria ma prassi, non essendo possibile relegarlo entro i confini di un settore specifico. Non avendo un nucleo, un centro nevralgico attorno a cui si costituisca unimpalcatura teorica, pu sovrapporsi al reale nella sua totalit, rendendosi indistinguibile da esso e dalla sua magmatica complessit: chi agisce adottando lidentit di Luther Blissett Luther Blissett, e ci che viene marchiato con il suo nome ne diventa automaticamente parte, in un unico flusso dal quale non possibile discernere il vero dal falso. Lassenza di unidentit, fisica o teorica, fa s che qualsiasi azione, testo o definizione venga attribuita a Luther Blissett sia destinata a mescolarsi a un flusso indistinto alla cui sorgente impossibile risalire, coincidendo il progetto con un continuo sgorgare che possibile cogliere solo nel preciso istante in cui avviene. Si pu soltanto nutrire lillusione di risalirne la corrente, per poi accorgersi immancabilmente di trovarsi ancora a valle, alla foce, e per quanto ci si sforzi di suddividere, organizzare e analizzare, si finisce sempre con laggiungere, complicare o ripetere. lecito parlare del progetto, scriverne o tentare di organizzarne i materiali, e se ne pu persino dare una lettura che lo interpreti, ma la pretesa di porsi nelle vesti di osservatore esterno resta sempre illusoria, venendo ogni metacomunicazione risucchiata nel gorgo creato da Blissett. certamente possibile unanalisi del progetto, ma

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gli esiti saranno del tutto diversi rispetto a quelli ottenuti, per esempio, dagli studi etnografici condotti sui miti tradizionali: non trovandosi in esso alcun nucleo di verit che lo identifichi, Luther pu essere tutto, e di questa totalit tutto pu essere scritto, purch non si abbia la pretesa di esaurire un argomento per sua stessa natura inesauribile, e non si nutra il desiderio di darne una lettura definitiva. Si oscilla continuamente tra la dimensione del reale e del fantastico, ed entrambe si fondono nel Luther Blissett Project, per il quale ogni sistema che lo inquadri e lo interpreti corretto, costituendone per soltanto lulteriore, parziale versione, indipendentemente dalla seriet dellapproccio o dalla distanza che si pensa di frapporre fra s e loggetto delle proprie analisi. Qualunque cosa si dica di Luther Blissett, si finisce col dare solo unaltra versione del mito: o una ripetizione tautologica di qualcosa che gi stato detto ed evidente fin da subito, o una lettura destinata a modificarne ulteriormente i connotati. Pertanto, questo stesso volume non pu che fare propria la consapevolezza di non poter evitare di collocarsi allinterno del progetto che dovrebbe idealmente mappare, non rappresentando nulla di pi che lennesima lettura, n pi n meno rigorosa di qualsiasi altra, di un fenomeno che viene a sua volta inevitabilmente modificato da ci che scritto fra le sue pagine. Come per un mito in una tradizione aurale: nessuna verit, nessuna certezza, ma il gusto di ripetere e raccontare lennesima versione di una storia affascinante. 5.1 Alle origini del mito Sulla scorta di quanto scritto finora, dovrebbe essere chiaro come il tentativo di leggere il Luther Blissett Project secondo una prospettiva lineare, lungo una sequenza di manife-

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stazioni che, a partire da unorigine certa, si succedano in modo diacronico e corente, ciascuna aggiungendo un nuovo tassello al progetto, rischi di non essere affatto proficuo. Come non lo sarebbe quello di rintracciare lautore o la presunta versione originale di un mito. Inutile affannarsi, allora, e scegliere, delle innumerevoli storie che vedono protagonista Luther Blissett, le pi note, le pi emblematiche o, semplicemente, le pi intriganti. Magari appoggiandosi agli stessi resoconti che lui stesso ha realizzato e disseminato, dando vita a uno sforzo di costante auto-storicizzazione che, alle azioni e alle performance, faceva sempre seguire rivendicazioni e racconti che ripercorrevano laccaduto, con lobiettivo di diffondersi quanto pi possibile nel reale e far s che sempre pi persone decidessero di assumere lidentit multipla. Un costante gioco di specchi, insomma, in cui limmagine di Blissett finiva col riflettere indefinitamente se stessa, secondo modalit che verranno analizzate pi accuratamente nei capitoli che verranno. In questa sede, essendo impossibile risalire con esattezza alle origini del progetto, e avendo a disposizione una gran mole di materiale firmata dallo stesso Blissett, ci si limiter a raccontare nuovamente, ri-citandole, alcune delle vicende di cui fu al contempo protagonista ed esegeta, senza la pretesa di cercarne una veridicit di fatto introvabile, e rinunciando al tentativo di esaurirne la complessit. Daltra parte, non essendo possibile muoversi da una prospettiva esterna rispetto a Luther, e non essendo disponibile una teoria che ne rispecchi lidentit, non si pu che ripeterne e rinnovarne le singole manifestazioni, valide nel loro non essere altro che versioni parziali del mito, del quale rappresentano le concrete epifanie nel reale. Per giustificare una simile scelta, ci si pu rifare ancora una volta a Michel De Certeau e Marcel Detienne. Quando il primo scrive del metodo utilizzato dal secondo per parlare

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dei miti greci, scrive che egli ha scelto deliberatamente di raccontare. Non usa le storie greche di cui si occupa per trattarle in nome di qualcosa di diverso da esse. Rifiuta la cesura che le trasformerebbe in oggetti di conoscenza, ma anche in oggetti da conoscere, caverne in cui misteri rimasti in ombra attenderebbero che linvestigazione scientifica ne spieghi il significato. Non presume che dietro tutte queste storie vi siano dei segreti il cui progressivo disvelamento gli assegnerebbe, in cambio, il ruolo di interprete. Questi racconti, poemi e trattati sono per lui gi delle pratiche. Dicono esattamente ci che fanno. Sono il gesto che significano. [] Per dire ci che dicono non vi altro discorso che il loro stesso. [] Il racconto non esprime una pratica. Non si accontenta di dire un movimento. Lo compie. Lo si comprende per tanto se si partecipa alla danza. Cos avviene in Detienne. Egli racconta le pratiche greche recitando le storie greche (IQ, pp. 129-30). Se Luther Blissett si presenta come un mito dei giorni nostri, espressione di una memoria che, assente, elude qualsiasi confine e si manifesta sia attraverso una concreta partecipazione, sia in una costante auto-riflessione, il modo pi adatto per affrontarne la materia forse quello di basarsi su ci che Luther Blissett stesso dice di s, raccontandolo di nuovo ed essendo consapevoli di non poter portare alla luce alcuna verit, n di poter mappare un territorio potenzialmente sconfinato. Nessuna blissettologia, dunque, ma nuove versioni delle singole epifanie del mito, al di l di ogni distinzione tra reale e fantastico. Rispetto alla propria nascita, nel suo Tot, Peppino e la Guerra Psichica 2.0 Luther scrive che il progetto, diffuso in diverse nazioni, in Italia inizi a essere praticato a partire dal 1994, per svilupparsi in un arco di cinque anni e concludersi dicembre 1999, data che non ne avrebbe segnato la fine bens il passaggio, come si vedr, ad altre forme di lot-

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ta. La maggior parte di coloro che vi parteciparono rientravano nella tipologia del lavoratore immateriale e/o atipico (programmatori, web designers, operatori culturali, grafici, copy writers, traduttori, lavoratori del terzo settore, lavoratori autonomi di seconda generazione, popolo delle partite Iva, ecc.). [] Le nuove e sempre pi diffuse figure del lavoro vivo create dallestendersi delle tecnologie informatiche abituate a lavorare in rete, a produrre comunicazione sociale, a collaborare (come del resto richiede il modo di produzione post-fordista) sono le pi vicine a unesperienza di Gemeinwesen. Nelle pieghe del nuovo lavoro va formandosi una comunit allargata che vive con crescente insofferenza lespropriazione, a opera di parassitiche multinazionali, della ricchezza che essa produce, ricchezza anche immateriale, relazionale, emotiva (TP, p. 21). Alle origini del progetto, dunque, una profonda insoddisfazione per le condizioni che caratterizzano la vita contemporanea, di fronte alle quali la risposta che viene tentata ha un carattere comunitario e globale. Non a caso viene utilizzato il termine marxista Gemeinwesen, essere comune, a indicare la dimensione collettiva della vera comunit umana, che non sidentifica con alcuna comunit esistente (Gemeinschaft) o gruppo limitato, ma con la molteplicit e la ricchezza delle relazioni che il proletariato avrebbe potuto e dovuto creare nella stessa cooperazione sociale capitalistica, una volta gettata via la limitata forma borghese, oltre comunit fittizie quali la cittadinanza, e oltre la stessa lotta di classe. La Gemeinwesen il principio comunitario che non si rapprende in una data Gemeinschaft, perch la comunit comunit degli umani, e va scoperta nellintera Specie (TP, p. 20). Ma, affinch potesse dirsi tale, occorreva che la nuova comunit si coagulasse attorno a una mitologia, della quale ciascuno avrebbe dovuto potersi sentire partecipe. E perch

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una simile genesi avesse luogo, sarebbe stato s necessario fondarla sulle caratteristiche ancestrali dei miti tradizionali, sulla loro forza simbolica e sulla loro natura pratica, ma sarebbe stato parimenti decisivo che la comunit si basasse su elementi di un sapere realmente diffuso e condiviso, al di l del bagaglio culturale individuale e oltre ogni possibile distanza spaziale o ideologica. Bisognava, in altri termini, dare vita a un mito i cui archetipi fossero davvero comprensibili e manipolabili da tutti e ovunque. Ovvero, archetipi pop: Mitopoiesi, dicevamo: saccheggiare e riadattare un patrimonio antichissimo di miti e archetipi comuni a tutte le societ umane, poi rielaborato nellarte e nella cultura di massa. Trovare alcune figure topiche, risalendovi dal cinema, dal fumetto e dalla letteratura seriale (di genere), per poi produrne una sintesi, basata su un massimo comune denominatore: una reputazione intesa come opera aperta, costantemente rimanipolabile, basata sul maggior numero possibile di ritocchi e interventi soggettivi (TP, p. 12). Da queste parole, evidente quanto il progetto non fosse pensato per chiudersi in una nicchia elitaria, tendendo piuttosto alla propria esplosione nel mainstream. Questo, quindi, andava riassorbito e riciclato entro contesti nuovi, dando vita a combinazioni inattese che ne spiazzassero i significati e ne contaminassero i contenuti. Soprattutto, era la cultura che si soliti definire di genere a rappresentare il terreno ideale sul quale elaborare i modelli delle proprie tattiche: letteratura seriale, cinema dazione, fumetti e telefilm erano e sono tuttora diffusi in modo capillare nellimmaginario collettivo globale, permeato a tutti i livelli dal loro linguaggio e dalle loro trame, comprensibili indistintamente da chiunque, a prescindere da barriere geografiche o culturali. Elaborare gli archetipi del nuovo progetto mitopoietico su simili basi, avrebbe avuto come risultato una maggior accessibilit al mito, poich ne avrebbe reso imme-

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diata la comprensione e facilitato la partecipazione. Rispetto a qualsiasi astrazione teorica, le imprese degli eroi da fumetto o telefilm, cos come le avventure dei romanzi di cappa e spada, non solo erano pi conosciute al grande pubblico, ma anche meno gravate da pretese artistiche e autoriali, sfruttando i meccanismi della serialit e basandosi su un sapere prevalentemente artigianale: tutte caratteristiche che rendevano questo tipo di cultura perfettamente adeguata alle mire di Luther Blissett, che vi poteva compiere le proprie scorribande indisturbato, attingendovi a piene mani, straniando e specchiandosi nei suoi contenuti, riassorbiti continuamente nel suo flusso magmatico. Tra gli archetipi cui Luther stesso fa riferimento per definire la natura delle proprie imprese, il primo quello del folk hero (o Waldganger), eroe popolare le cui gesta ripercorrono in ogni tradizione il pattern delle avventure di Rama contenute nel Ramayana. Da questo modello vengono fatte discendere le altre figure di folk hero diffuse tra numerose popolazioni, tutte varianti di ununica vicenda che vede nel Waldganger colui che si d alla macchia, il-ribelle-che-vanel-bosco e da l combatte contro un potere usurpatore (TP, p. 13). Un po quello che accade alla trib masai, o al Frei Damio di Michel De Certeau: che questeroe sia realmente esistito o meno, i racconti delle sue gesta sono sempre stati materia di manipolazione collettiva, per dare una speranza di rivalsa e una temporanea consolazione a una limitata Gemeinschaft, il pi delle volte una classe contadina oppressa da tiranni e feudatari di origine straniera (TP, p. 14). Tuttavia, la guerriglia condotta dalleroe popolare nel bosco ancora lo stesso Luther Blissett a ricordarlo non si esaurisce in una serie di trappole, agguati e rapidi combattimenti, ma si arricchisce di un metodico lavoro di propaganda nera e sabotaggio della macchina comunicativa del

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Potere (TP, pp. 15-16). In pratica, una puntigliosa guerriglia semiologica. Per questo motivo, il secondo archetipo rintracciato da Blissett quello del trickster, limbroglione mitologico complementare ed essenziale alla figura del folk hero, a cui conferisce lastuzia e lintuito necessari per svelare e mandare a monte gli intrighi del nemico. Tra i precedenti mitici si fa riferimento allAnansi delle leggende afrocaraibiche, o allEulenspiegel della cultura popolare tedesca (TP, pp. 15-16), anche se il modello probabilmente pi efficace quello individuato in un film di genere, pietra miliare del moderno gongfupian hong-konghese (TP, pp. 15-16). Il film, datato 1971, Fist of Fury, e il suo protagonista un eroe popolare della Cina degli anni Venti, Chen Zhen, interpretato per loccasione da Bruce Lee. La trama piuttosto semplice: Chen uno studente di arti marziali a cui viene assassinato il maestro dal perfido Suzuki, corrotto karateka dai baffi a manubrio. Di questi, leroe di vendica uccidendo tutti gli sgherri, quindi dandosi alla macchia e facendo della citt il suo bosco (TP, pp. 15-16), con lobiettivo finale di affrontare in duello lo stesso Suzuki. Per fare questo, ricorre a trucchi, travestimenti e ovviamente al suo micidiale gongfu (TP, pp. 15-16). Gli archetipi di genere rintracciati per delineare la figura del trickster, per, sono nulla a confronto di quelli che definiscono la terza e ultima figura mitologica incarnata da Blissett: quella dello stranger. Lo straniero colui che compare come dal nulla in un territorio lacerato dai conflitti, e ricorrendo alle armi del doppio gioco e della guerra psicologica risolve una situazione di grave collasso socio-culturale. Questo straniero non sembra avere passato n futuro, ed estraneo alla gemeinschaft locale (TP, pp. 16-17). Luther lo descrive come una variabile impazzita, un eroe popolare che, abbandonata la propria comunit di riferimento, si insinua in un territorio dove nessuno lo conosce, infiltrando-

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ne i poteri fino a provocare limplosione delle parti in conflitto. Di questo archetipo Blissett rintraccia la discendenza nel contesto della produzione di genere, ritrovando il modello delle sue azioni nel film La sfida del samurai, in cui Kurosawa costruisce la sua storia attorno alle azioni di un anonimo protagonista, nel contesto di una lotta spietata tra clan rivali. Come si sa, al regista giapponese si sarebbe ispirato Sergio Leone, quando nel 1963 gir il celebre Per un pugno di dollari, in cui Clint Eastwood, barba incolta, sudicio poncho, cigarrillo sbavato e mordicchiato (TP, pp. 17-18), interpretava la parte di uno straniero di cui nessuno sapeva nulla, in una cittadina dilaniata dal conflitto tra due bande rivali, risolto grazie allabilit del protagonista tanto nel doppio gioco quanto nel maneggiare la pistola. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, il modo in cui Luther Blissett percorre le strade del genere e del pop, facendo leva sulla propria mancanza di identit per riappropriarsi e riempirsi di tutto ci che desidera, in unindissolubile e continua fusione tra scrittura e lettura: tutto ci che legge diviene immediatamente suo, straniato in una nuova produzione di senso. La fluidit che ne caratterizza il progetto gli consente di scavalcare qualsiasi recinto, di eludere ogni sorveglianza, di assorbire tutto ci che tocca: archetipi pop e mitologici confluiscono nel suo gorgo e contribuiscono a definirne lidentit con la stessa autorevolezza di unelaborazione teorica o filosofica. Per questo motivo, avendo a che fare con Luther Blissett si ha spesso limpressione di trovarsi di fronte a una colossale cospirazione: il moltiplicarsi delle sue apparizioni nei contesti pi disparati, induce nellosservatore esterno la sensazione paranoica di vederne ovunque le tracce. Dappertutto sembra spuntare la sua firma, o fare capolino il volto che qualche partecipante al progetto ha deciso di dargli, ottenendolo attraverso un processo di morphing di vecchie fotografie degli anni Quaranta, e

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paradossalmente tutti questi strani riferimenti sono Luther Blissett, indipendentemente dal fatto che qualcuno abbia pensato di apporvi il marchio della creatura multipla. Nel momento stesso in cui legge Luther in qualche anfratto del reale, infatti, losservatore cessa immediatamente di essere tale, per venire risucchiato nel grande gioco di Blissett, poich la sua malleabilit elimina qualsiasi distanza tra esterno e interno: leggere Luther, attribuirgli unazione o anche solo ipotizzare che qualcosa, qualunque cosa, intrattenga con esso un legame, significa dare un altro tocco, aggiungere unulteriore pennellata al suo poliedrico ritratto. Ovvero, volenti o nolenti, si contribuisce a realizzarlo. Il modo migliore per non cadere preda della presunta cospirazione ordita da Luther Blissett, allora, consiste nellacquisire la consapevolezza di poter muovere i fili in prima persona, smettendo di cercare oscure origini o misteriose verit per partecipare attivamente allevoluzione del progetto. Una volta che si preso atto della costitutiva impossibilit di risalire a una fonte certa, si infatti liberi immergersi nel flusso di storie, immagini e leggende che sono tutte legittimamente parte di Luther Blissett, senza che nessuna, nemmeno la pi seria, la pi scientifica o la pi verosimile, ne costituisca la colonna portante. 5.2 Strumenti Ma come agisce, in concreto, Luther Blissett? In che modo riesce a essere recuperato? Quali sono, insomma, i suoi strumenti? Una volta introdotto il progetto, ora giunto il momento di trattare delle tecniche e dei mezzi di cui Luther si servito per raggiungere i suoi scopi. La trib masai adotta uno stile tattico nel momento in cui smette di opporsi frontalmente alle autorit cittadine per darsi alla macchia, volgen-

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do a proprio vantaggio gli scarti di quella stessa discarica che, impostagli da un potere esterno, era allorigine delle sue traversie. Lo stratagemma dei copertoni, riutilizzati in forme spiazzanti agli occhi dei ranger, assolutamente decisivo: in questo capitolo si vedr da quali simboliche discariche Blissett ha attinto gli strumenti per la sua personale lotta di riappropriazione. Questa, innanzitutto, stata condotta a partire da una metodica guerriglia culturale, secondo una definizione che ancora lo stesso Luther a fornirci. Il termine guerriglia viene usato per designare un modo di combattere proprio di chi non ha potere, avendo tutto da perdere in un confronto a viso aperto, dovendo perci organizzare il proprio agire in base a una continua mobilit portata sul terreno dellavversario, di cui si sfruttano le debolezze per volgerle a proprio favore. Lesempio storico pi lampante viene dalla guerra condotta dalla Francia in Vietnam, finita in una disfatta per un esercito che, secondo le parole di Ho Chi Min, si comportava come un elefante fatto a brandelli da una tigre, che dopo ogni colpo si rifugiava nel fitto della foresta, in attesa delloccasione successiva. Riempire i vuoti ed evitare i pieni,1 scrive Sun Tzu ne Larte della guerra, citato in pi di unoccasione dallo stesso Blissett al momento di descrivere i propri metodi. Un concetto espresso da molti strateghi orientali, capace di sintetizzare con efficacia lessenza di un agire tattico messo in pratica da diverse discipline marziali, per le quali fondamentale sfruttare la forza, la massa e limpeto dellavversario per metterlo a tappeto. Calcolare pregi e difetti del nemico, valutare attimo per attimo la situazione contingente, essere pronti a cogliere loccasione da girare a proprio vantaggio, sotto qualunque forma si manifesti, farne tesoro
Sun Tzu, Larte della guerra. Tattiche e strategie nellantica Cina, trad. it. di Riccardo Fracasso, Milano: TEN, 1994, p. 68.
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e tornare a vigilare in attesa della prossima mossa, di un altro colpo da sferrare con velocit e precisione. La chiave di tutto, perno che consente, grazie a una leggera spinta, di capovolgere i rapporti di forza precedenti, loccasione, la falla che si apre nella fortezza nemica, il fianco lasciato scoperto dallavversario, da colpire senza esitazioni e con lobiettivo di produrre la maggior quantit di danni possibile. Chi non ha luogo, chi non dotato dei mezzi o del potere per elaborare strategie fondate sul possesso di uno spazio proprio, chi sceglie la guerriglia invece del confronto muscolare, chi insomma gioca in modo tattico, deve necessariamente basare il proprio agire sullattesa delle condizioni che gli permettano di sfruttare le caratteristiche dellavversario, il black out nelle difese nemiche da cui trarre il massimo profitto possibile. Loccasione, il kairos, non pu venire preparata, ma si presenta come unopportunit irripetibile, e quanto pi approfondita la conoscenza delle caratteristiche del terreno su cui si decide (o su cui si costretti) a combattere, tanto pi aumentano le possibilit di cogliere lopportunit nellattimo stesso in cui si manifesta. Quanto pi si accumulano esperienza e memoria di azioni passate, tanto pi si in grado di riattualizzare un simile patrimonio nel pi breve tempo possibile e con la maggior quantit di effetti. Questi, a loro volta, modificheranno il luogo sul quale si producono, andando ad arricchire di un altro ricordo, di un'altra storia, il complesso di una memoria che continua a non avere luogo, per manifestarsi unicamente al momento opportuno. Una memoria che, per essere efficace, deve mantenersi fluida, mobile e aperta a ogni possibile contaminazione, preservando una composizione fatta di tante singole esperienze, che non la chiudono attorno a una verit o una teoria fissa e immutabile, ma la rendono malleabile, adattabile alle situazioni e ai contesti pi disparati. Si tratta delle stesse caratteristiche che, nel primo capi-

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tolo, si sono attribuite al mito nelle comunit tradizionali: anchesso insegna come praticare un ambiente senza fissarsi in una sola versione, conservando una fluidit che gli permette di essere condiviso e riutilizzato quotidianamente da ciascuno. un sapere pratico, espressione di una memoria partecipata che trascende il visibile e vive nella dimensione temporale della sua trasmissione di generazione in generazione, salvo prendere corpo nel reale nellatto medesimo della propria esecuzione. , infine, disponibile a venire contaminato, non capitalizzando i propri risultati, ma perdendoli subito dopo ciascuna manifestazione, mantenendoli in vita solo nella memoria che arricchiscono. Lagire tattico, la guerriglia, si fonda quindi sulla mediazione svolta dalla memoria tra uniniziale rarefazione di energia e una finale moltiplicazione degli effetti, attraverso lesplosione del sapere accumulato nellattimo stesso in cui si presenta loccasione: la coincidenza fra la circonferenza indefinita delle esperienze e il momento puntuale della loro ricapitolazione sarebbe dunque il momento teorico delloccasione. [] Da sempre loccasione d lo sgambetto a qualsiasi definizione, poich non isolabile da una contingenza n da unoperazione particolare. Non un fatto dissociabile dallo stratagemma che lo produce. Inscrivendosi in una serie di elementi, essa ne distorce i rapporti (IQ, pp. 132-33). Scrivendo a proposito degli stratagemmi propri di unarte del racconto, De Certeau identifica nella loro natura pratica larma assoluta, quella che assicura a Zeus la supremazia sugli dei. un principio di economia: col minimo di energia si ottiene il massimo risultato (IQ, p. 132). Lo schema con cui il gesuita sintetizza il meccanismo tattico dello stratagemma, parte da una iniziale condizione di scarsa energia, per sopperire alla quale si rende necessario un certo investimento di sapere-memoria, che a sua volta fa s che il tempo impiegato per portare a segno il colpo sia inversa-

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mente proporzionale alla quantit di esperienza accumulata in precedenza. Il cerchio si chiude con la constatazione che pi si pronti a sfruttare il kairos, pi incisivi saranno gli effetti prodotti dallo stratagemma (IQ, p. 132). Un luogo, visibile e definito, viene cos modificato e distorto dal risultato altrettanto visibile ottenuto dal colpo portato da una memoria invisibile, la cui azione si concentra nellattimo delloccasione propizia, passata la quale essa ritorna a una dimensione esclusivamente temporale. Rispetto al Luther Blissett Project, il sistema di luoghi in cui si decide di condurre la propria guerriglia , chiaramente, quello dellintero panorama culturale, dallarte alla comunicazione di massa. Il sottobosco in cui ci si muove, invece, rappresentato da un lato dallopacit del quotidiano, sfruttando i margini di manovra che esso consente, dallaltro dal mondo della produzione underground di libri, musica, fanzine e fumetti. In un simile sottobosco Luther si ritira, ma non con lobiettivo di restarvi confinato, bens con lo scopo di studiare il nemico, attendere il momento propizio e, quindi, balzare allo scoperto portando i propri colpi nel modo pi efficace possibile, con lobiettivo di pubblicizzare la fama di Blissett e, al contempo, dtournare le pi vaste porzioni possibili di cultura. Nella propria cassetta degli attrezzi, oltre alle esperienze dei movimenti anti-artistisici, Luther ha un ampio bagaglio di tecniche, utilizzate durante il secolo scorso nei contesti pi svariati. Mi riferisco a un vasto repertorio di pratiche che hanno tentato e tentano di produrre effetti sovversivi attraverso interventi nei processi comunicativi,2 che vanno dallo sniping, tecnica di straniamento dei contenuti di insegne,
AA.VV., Handbuch der Kommunikationsguerrilla. Jetzt helfe ich mir selbst (1997), trad. it. di Mirna Campanella e Elena Modolo, Comunicazioneguerriglia. Tattiche di agitazione gioiosa e resistenza ludica alloppressione, Roma: DeriveApprodi, 2001, p. 40.
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monumenti o manifesti, al cosiddetto billboard banditry, rivolto in particolare contro i cartelloni pubblicitari; dal subvertising, che stravolge il senso delle usuali strategie promozionali del marketing, al collage e al montaggio di matrice dadaista; dal camouflage al crossdressing per arrivare a beffe colossali ai danni dei mezzi di informazione. Tutte pratiche che, in qualche modo, spiazzano nella forma e nel contenuto i messaggi trasmessi, metaforicamente appropriandosene e, spesso, mettendone a nudo le contraddizioni e le ipocrisie. Introducendo nel flusso abituale della comunicazione variabili irridenti, gratuite e creative, lontanissime dalle canoniche esigenze di funzionalit e produttivit. in un simile contesto che Luther Blissett elabora la propria guerriglia culturale, alla cui pratica contribuiscono due momenti differenti: quello della guerriglia mediatica e quello della cosiddetta comunicazione-guerriglia. Si tratta di due stili di combattimento differenti, il primo basato sullo sfruttamento tattico della pervasivit, delle logiche e dei meccanismi celibi dei mezzi di comunicazione di massa, il secondo sulla diffusione in positivo del proprio messaggio, che attraverso una molteplicit di canali per lo pi appartenenti al mondo delle produzioni indipendenti e underground contestualizza, pubblicizza e storicizza le azioni compiute. , ancora una volta, il medesimo Luther Blissett a darne conto, definendo guerriglia mediatica metodo omeopatico di difesa dallingerenza/presenza dei media nellimmaginario collettivo e nella nostra vita (TP, p. 31). Utilizzare i media per diffondere la propria immagine, rifiutare ogni residua passivit per darsi, invece, alla costruzione attiva e consapevole delle notizie, gettando ai giornalisti esche troppo appetitose perch sia possibile dir loro di no, e quindi portare alla luce il carattere simulacrale delle verit veicolate ogni giorno da radio, stampa e televisione: tutto questo guerriglia mediatica, ovvero una pratica ludica che esorciz-

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za in quanto tale la disinformazione esercitata dai mass media e ne ridimensiona ai nostri occhi il potere. [] Essa la realizzazione di un gioco allinganno reciproco, una forma di cooptazione dei media in una trama impossibile da cogliere e da comprendere, una trama che fa cadere i mass media vittime della loro stessa prassi. Pura arte marziale: usare la forza (e limbecillit) del nemico rivolgendogliela contro (TP, p. 24). Un agire puramente tattico, insomma, alla cui base si trova la profonda conoscenza di un territorio costituito dai meccanismi che regolano il funzionamento dei media, a cominciare dallattrazione di questi per ci che strano, insolito, misterioso, per non dire perverso o indecente. Un fattore che, per il progetto, gioca un ruolo decisivo, rendendo possibile lelaborazione di colpi che sfruttano tale curiosit come occasione per richiamare lattenzione dei giornalisti. Daltra parte, non si tratta daltro che della pulsione scopica che muove letnografo illuminista descritto da Detienne,3 o il Robinson Crusoe di Defoe, attirato e turbato al tempo stesso dalla presenza di una traccia che appartiene allaltro assente. Per suscitare lattenzione dei media, allora, occorre disseminare tracce, agire concretamente nel reale e nel quotidiano e gettare lesca, dando il via alla catena di interpretazioni e contro-intepretazioni. fondamentale, per, che almeno lesca iniziale sia tangibile e osservabile da parte degli operatori dellinformazione, costituendo il nucleo verificabile della notizia. Chi partecipa al progetto, assumendo lidentit di Blissett, lo fa quindi agire nel reale prestandogli il proprio corpo, facendo s che la creatura concepita per essere mito non rimanga reclusa nellambito del fantastico, ma si sovrapponga alla realt, incidendo in essa attraverso un processo di incarnazione nei partecipanti, rendendo
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Marcel Detienne, op. cit., p. 32.

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indistinguibile, come avviene con i miti tradizionali, il confine tra le dimensioni del reale e dellimmaginario. Per scoprire il fianco dei media, per capire dove affondare i colpi e cogliere il momento opportuno, necessario un calcolo preciso delle condizioni che si presentano di volta in volta, al fine di comprendere con la maggior esattezza possibile dove posizionare lesca, in modo che il giornalista di turno sia convinto di avere il controllo assoluto sul materiale a disposizione [] crede[ndo] di esserci arrivato da solo (TP, p. 30). Inoltre, per selezionare adeguatamente il tipo di traccia da lasciare, viene messo in atto un meticoloso studio del sistema informativo locale, mix di stampa istituzionale, canali di comunicazione underground, circoli e salotti. Allo studio meticoloso del territorio, dunque, segue lindividuazione della falla, delloccasione da sfruttare a proprio vantaggio, che di solito gioca con quegli argomenti che attirano in modo quasi irresistibile la stampa, ingolosita di volta in volta da macabri ritrovamenti, presunti riti di magia nera, misteriose sparizioni di eccentrici esponenti del mondo dellarte radicale. In questo modo i media, messi di fronte allapparente evidenza di notizie vendibili e pruriginose, reagiscono mettendo in moto un complesso meccanismo fatto di inchieste, sondaggi e reportage, che spesso interpretano il fenomeno avvalendosi del supporto di esperti, che con la pretesa di analizzare i fatti, inquadrandoli entro spiegazioni accettabili, contribuiscono a fomentare e a diffondere teorie, definizioni e letture che, con i loro oggetti, non hanno nulla a che vedere. Accanto a questo vorticoso susseguirsi di interpretazioni, che costruiscono una sorta di impalcatura simulacrale fondata su fatti di per s falsi, iniziano a circolare voci, dicerie e sussurri, che viaggiano di bocca in bocca amplificando leco delle vicende, arricchendole di elementi ben al di l delle azioni materialmente compiute da chi, col nome di Luther Blissett, d il via

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allintera concatenazione di eventi, che in pi di unoccasione si riproducono in modo autonomo rispetto al dettaglio iniziale con cui tutto cominciato. A loro volta, i giornalisti sfruttano la ridda di dicerie non verificabili per soffiare ancor pi sul fuoco, fino a edificare vere e proprie realt simulacrali, nelle quali il confine tra vero e falso si fa sempre pi sfumato, alimentando leggende che sovente valicano i confini locali per diffondersi sullintero territorio nazionale. A questo livello, tuttavia, simili beffe resterebbero fini a se stesse, niente pi che divertenti trovate per chi le ha ideate e misteriose storie per chi le ha diffuse o vi incappato, sospese nello sconfinato limbo delle tante notizie stravaganti che occupano per un certo periodo le pagine dei giornali, salvo sparire una volta esaurito il loro potenziale di notiziabilit. per questo motivo, quindi, che diventa fondamentale un passaggio successivo: quello della rivendicazione, ossia della firma, da parte di Luther Blissett, che arriva nelle redazioni di giornali e televisioni quando lattenzione sulle vicende da lui stesso innescate allapice. In questi comunicati Luther non si limita a dichiararsi autore delle beffe in questione, ma punta il dito sulla poca accuratezza dimostrata dagli organi di informazione nel vaglio e nella verifica delle fonti, mettendo in ridicolo le interpretazioni pi deliranti e, pi di una volta, spostando lattenzione su tematiche marginali o normalmente poco presenti nei palinsesti quotidiani. Inoltre, evidente come anche la sola pratica di simili tecniche, di cui vengono svelati i retroscena, suggerisca in modo esplicito un uso alternativo dei mezzi di comunicazione, dei quali vengono messi in luce i meccanismi. Spesso, nel rivendicare le proprie azioni, Blissett si mostra, invita a partecipare al progetto, si dichiara nel suo essere contenitore vuoto, dice il suo non avere segreti, il suo essere pura presenza, oppure ritrae se stesso nelle vesti pi stravaganti, attribuendosi scopi seri o strampalati, affer-

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mando tutto e il contrario di tutto, senza che nessuno di questi ritratti possa considerarsi inautentico. I media, dal canto loro, danno spazio a queste rivendicazioni, indagando e approfondendo il caso Blissett alla ricerca di verit che, come si visto, finiscono inevitabilmente col trovare, senza tuttavia riuscire a esaurire n a decodificare il progetto, trattandosi n pi n meno di ulteriori versioni del mito, destinate a essere spiazzate da altre performance del nome multiplo. Inoltre, tali letture non fanno altro che ripetere ci che lo stesso Luther scrive di se stesso tra le righe di altre rivendicazioni, tra le pagine di svariate pubblicazioni, nel corso di programmi radiofonici, in un ossessivo gioco di specchi che assume i contorni di unintricatissima trama che pare celare misteriose cospirazioni. Di fatto, contribuendo allunico obiettivo che sta a cuore a Blissett: diffondersi nel reale, esplodere nel mainstream. Cos, tra il 1994 e il 1999, le apparizioni di Luther si moltiplicano in modo quasi esponenziale, parallelamente alle letture di cui viene fatto oggetto, diffondendo la sua fama di terrorista mediatico al punto tale che egli si vede attribuire azioni che nessuno degli aderenti al progetto aveva mai messo in pratica, n tanto meno rivendicato: tanto per esemplificare il potere di suggestione che una leggenda, un mito, pu esercitare, sufficiente rivelare che alcune delle pi clamorose beffe di Luther Blissett ai danni dei media non sono mai state rivendicate da Luther Blissett e in alcuni casi non sono mai state progettate come tali, ma sono state attribuite al Multiplo dagli stessi operatori dei media. La paura di cadere in una trappola di Blissett stata in alcune occasioni cos forte da far gridare al lupo! anche quando del lupo non cera traccia. Pura arte marziale: quando lavversario diventa il nemico di se stesso, quando metti a segno un colpo senza muovere un dito, allora sai di avere la vittoria in tasca (TP, pp. 34-35).

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Attraverso la prassi della guerriglia mediatica, chi partecipa al progetto gioca dunque con il potenziale dei media, ne sfrutta le debolezze al momento opportuno, produce leffetto di pubblicizzare la fama del nome multiplo e, poi, torna nellombra senza capitalizzare i risultati, lasciando il campo al mistero: un agire tattico che permette al mito di Luther Blissett di prendere sempre pi piede, di sovrapporsi in pi punti al reale e di assumerne via via la consistenza, guadagnando alla sua reputazione un peso specifico crescente apparizione dopo apparizione, beffa dopo beffa, azione dopo azione. Con il nome multiplo vengono firmate molteplici manifestazioni, che tuttavia rimangono irriducibili a ununica teoria, a unidentit che ne definisca un modus operandi individuabile una volta per tutte. Luther sfrutta loccasione nel preciso luogo e istante in cui essa si presenta, ma la stessa natura fluida che lo caratterizza impedisce che tali esperienze rappresentino qualcosa di pi che varianti di un racconto, versioni locali di un mito, ricordi di una memoria che si riattualizza solo nellistante medesimo della sua esecuzione pratica. Dunque da un lato Luther rimane rigorosamente assente, e dallaltro moltiplica la propria presenza utilizzando la capillare pervasivit dei media, attraverso i quali diffonde le proprie spore. Di azione in azione, Blissett diventa pi ambiguo; di apparizione in apparizione, si rende pi famoso e partecipato; pi viene praticato, pi affina le proprie tecniche; pi pronto a cogliere le occasioni che gli si presentano, pi devastanti sono gli effetti del suo agire. Luther Blissett diviene in tal modo vera e propria memoria collettiva, sapere tecnico e fluido disponibile a essere contaminato, costruendosi come un costante accumulo di singoli racconti, episodi che non vengono (e non vanno) letti alla luce di una verit superiore o occultata, ma solo per quello che sono, ovvero versioni di un unico mito, che costituiscono il patrimonio di esperienze

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pratiche che, secondo le parole di De Certeau, fanno ci che dicono. Solo cos, infatti, la memoria mantiene una mobilit che la dispone a ulteriori, potenziali usi, che a loro volta le garantiscono uninfinita vitalit. a questo punto che entra in scena la seconda componente della guerriglia culturale prevista dal Luther Blissett Project: la comunicazione guerriglia. Come si scritto in precedenza, si tratta di una serie di attivit complementari rispetto a quelle annoverabili come guerriglia mediatica, servendosi non dei media mainstream, ma dei canali tradizionali del sottobosco underground, sempre allo scopo di diffondere e storicizzare il verbo blissettiano. Attraverso un vasto panorama di pubblicazioni, manifesti, fanzine, riviste, programmi radiofonici, e, non ultimo, uno sconfinato sitoarchivio, la memoria del progetto viene tramandata, aggiornata e contaminata. Molti dei testi diffusi tramite questi canali hanno laspetto e le funzioni di vere e proprie cassette degli attrezzi, tra i cui scomparti le azioni del Luther Blissett Project vengono ricostruite e contestualizzate sotto forma di racconti, con un prologo che introduce la vicenda e fornisce dettagli tecnici riguardo il modo in cui stato preparato lo scenario dellazione, e unestesa rassegna stampa, spesso integrata da chiose sarcastiche che ridicolizzano la dabbenaggine dei giornalisti. Si tratta quindi di tante, singole storie, il cui senso deriva dal loro accumularsi e susseguirsi, in un flusso fatto di momenti che costituiscono, legittimamente, molteplici sfumature del medesimo mito, che li arricchisce e trascende allo stesso tempo. Sono ci che De Certeau definisce racconti, e, di conseguenza, uniscono indistintamente pratica e teoria, mostrando come e cosa si pu fare entro un sistema di luoghi propri, in questo caso rappresentato dai media, senza astrarre alcun precetto dal contesto della loro esecuzione. Non a caso, non vi alcuna censura n separazione tra gli

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articoli di giornale, nessuna divisione tra interpretazioni corrette o scorrette: tutte contribuiscono allevoluzione del progetto, e tuttal pi possono essere fatte oggetto di divertiti sberleffi da parte di chi, con il nome di Luther, raccoglie scrupolosamente il materiale che lo riguarda. Luther Blissett assume pertanto la forma di memoria aperta, fatta di episodi privi di un cardine centrale, la cui dinamicit la mantengono viva e riutilizzabile dalleventuale lettore, in virt di una natura pratica che rifiuta di essere confinata negli ambiti specialistici dellarte o della letteratura. Nessuna pretesa artistica, nessuna astrazione teorica: quello di Blissett un sapere tecnico, da condividere e utilizzare nel quotidiano quando se ne presenti loccasione. La prassi della comunicazione guerriglia, per, non si compone soltanto delle ricostruzioni delle beffe elaborate da Blissett, ma di un ampio spettro di attivit, che copre le pi classiche campagne di contro-informazione, la pubblicazione di riviste, fumetti e sticker, il cinema, la musica, il teatro e la deriva psicogeografica, in un continuo susseguirsi di azione e comunicazione. Chi partecipa al progetto agisce con il nome di Luther nel quotidiano, spiazzandone i luoghi, riappropriandosene, contribuendo a evolverne la memoria e, quindi, pubblicizzando le performance. In questo modo la fama di Blissett cresce, i racconti delle sue gesta si diffondono, il repertorio delle sue tecniche si arricchisce e i media, dal canto loro, si trovano dinnanzi a unimmensa quantit di materiale, alla cui espansione finiscono col contribuire. 5.3 Le beffe Non rimane ora che concentrarsi sulle manifestazioni concrete di Luther Blissett. Inutile premettere, evidentemente, che una classificazione dellintero corpus di materiali che lo riguarda risulterebbe impossibile. Meglio selezionare, allora,

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solo alcune delle sue molteplici epifanie, scegliendo quelle che meglio mettono in luce il modus operandi del progetto, facciano esse parte della guerriglia mediatica o della comunicazione guerriglia. Procedendo con ordine, un buon punto di partenza costituito dalle sue celebri beffe. Dal Resto del Carlino, ediz. nazionale, gioved 19 ottobre 1995: Allarmante missiva al nostro giornale fa scattare le indagini
HO LAIDS, INFETTO PER VENDETTA

L'autrice della lettera: sono unex studentessa costretta a prostituirsi a Bologna Sono una ragazza di 24 anni, nata in una citt del nord Italia, da una famiglia normale. Fino a poco tempo fa la mia vita era quella di tutti i ragazzi della mia et: frequentavo luniversit con discreto profitto, nella mia vita avevo sempre pensato di fare la giornalista. Due anni fa a causa di un incidente stradale, cui era seguito un ricovero in ospedale, subii una trasfusione di sangue. Dalle analisi seguenti risult che ero affetta dal virus HIV. Poich il mio tipo di vita era sempre stato normale, ben lontano da comportamenti a rischio (tossicodipendenza, rapporti occasionali) ho dedotto, e il decorso della malattia lo ha confermato, di essere stata oggetto di una trasfusione di sangue infetto. Questa scoperta ha sconvolto la mia vita e quella dei miei familiari, che hanno rifiutato questa situazione. Mi sono rivolta alle strutture pubbliche che, anche se erano la causa del mio male, non hanno fatto nulla di pratico per aiutarmi. A questo punto ho subito un forte esaurimento nervoso, da cui mi sono risollevata soltanto quando ho individuato il modo per sfogare la mia rabbia/disperazione verso la societ, colpevole di avermi infettato e RIFIUTATO. Mi sono trasferita qui a Bologna, dove non mi conosceva nessuno e ho cominciato a

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prostituirmi, ricevendo i clienti nel mio appartamento in centro. Questa attivit mi permette di aver denaro a sufficienza per curarmi e per mantenere un buon tenore di vita ma soprattutto mi consente di scaricare almeno parte della mia rabbia. Infatti da circa un anno ho deciso di utilizzare, nei rapporti con i clienti, preservativi da me precedentemente forati in modo da trasmettere il virus a queste persone abbiette che non trovano niente di meglio che pagare una ragazza per i loro piaceri. Nell'ambiente ho saputo che questa abitudine assai pi diffusa di quanto pensassi. Questo mi ha aperto gli occhi, e per questo forse mi sono convinta a scrivere ad un giornale diffuso come il Resto del Carlino, per far s che altre persone non debbano passare quello che ho passato io, provando il dramma di scoprirsi infettati dall'AIDS. Scusandomi poich non mi firmo per intero, sar facile capire il motivo di questa mia scelta. L.B. Ecco un esempio di guerriglia mediatica, che rielabora una celebre leggenda metropolitana4 diffusa alla met degli anni Ottanta. Nella Bologna del 1995, fu Luther Blissett ad appropriarsene e arricchirla di una nuova variante, sfruttando tecniche che avrebbe utilizzato in molte altre performance. Il terreno sul quale giocare questa partita gli era noto fin nei dettagli. La colonna bolognese del progetto, infatti, conosceva molto bene labitudine del Resto del Carlino di pubblicare, spesso in forma anonima, lettere intime e confessioni dei lettori, descrizioni stereotipiche del disagio sociale5 sulla base delle quali le chiose degli esperti e i pezzi dei giornalisti dipingevano spaccati della societ, con cui il
Si veda, per esempio, Paolo Toselli, Storie di ordinaria falsit. Leggende metropolitane, notizie inventate, menzogne: i falsi macroscopici raccontati da giornali, televisioni e Internet, Milano: Bur, 2004, pp. 67-69. 5 Comunicato del 20 ottobre 1995, disponibile online nel sito <www. lutherblissett.net>.
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giornale vantava un canale diretto. A quanto lo stesso Blissett a scrivere, tali confidenze avevano un carattere spesso lacrimevole, descrivendo casi la cui drammaticit o la cui extra-ordinariet li rendevano particolarmente appetibili e notiziabili da parte del quotidiano, tanto da rendere plausibile il sospetto che, se non di falsi, fossero il frutto della totale mancanza di attenzione riservata dai redattori alla verifica delle fonti, nonch di unassoluta assenza di scrupoli. Individuato cos il punto debole su cui puntare, Luther colse loccasione per rimettere in circolo la vecchia leggenda, confezionandola in modo tale da risultare irrinunciabile agli occhi del giornale, attratto da una vicenda i cui argomenti rispondevano a tutti i requisiti di bizzaria, scabrosit e morbosit richiesti da un lato per stimolare linteresse dei lettori, dallaltro per dare il via alla consueta giostra di interpretazioni pseudopsicologiche. Le previsioni di Luther Blissett si rivelarono tutte fondate: la lettera arriv in redazione, e, come certifica larticolo (riportato integralmente), venne immediatamente pubblicata, con ampio corredo di commenti da parte di sociologi, grafologi, infettologi e criminologi. Cos, per qualche giorno, le pagine del Resto del Carlino ospitarono ipotesi e analisi, che fomentarono il diffondersi della notizia e la conseguente ondata di allarmismo, alimentando dibattiti sulla base di un episodio dalla consistenza puramente simulacrale. La tensione crebbe per qualche tempo, e nessuno sembr accorgersi che, in calce alla lettera, Luther Blissett aveva apposto le proprie iniziali, fornendo un indizio che, gli fosse stata prestata un po dattenzione, avrebbe rivelato fin da subito il vero autore della missiva, considerato che, gi da un anno, le sue manifestazioni si moltiplicavano nel bolognese e dintorni. In ogni caso, una volta raggiunto lapice del clamore e dello scandalo, puntuale giunse in redazione la rivendicazione della beffa da parte di Blissett, che non si limitava a svelare il falso, ma

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puntava il dito contro la dabbenaggine del quotidiano, accusato di pubblicare senza la minima accortezza qualsiasi notizia, pur di mettere in scena rappresentazioni della realt che assecondassero le posizioni della testata su politica e societ. In altri termini, veniva messo a nudo il meccanismo celibe in base al quale, quotidianamente, la realt viene prodotta ex novo, a partire da operazioni di tipo scritturale: L'ipotesi di Luther che non siano false solo le [] lettere [della ragazza], ma anche molte di quelle normali, opera di un vero e proprio antitrust di cervelli interno al giornale dell'Emilia, che ha il compito di CREARE gli umori e le frustrazioni della gente... Sar per questo che appena ricevono una lettera vera la incorniciano e ci imbastiscono sopra un affaire sproporzionato? Ma la cosa pi importante che il gioco continua, chiunque pu INVENTARSI i nuovi scoop del Carlino per i prossimi giorni: basta aver letto qualcosina sulla grafologia (qualsiasi libro di Klages va bene), stare attenti a battere i refusi giusti, inanellare con accortezza i giusti luoghi comuni.6 Attraverso questa e tante altre beffe, Luther non solo evidenziava quanto le pretese di veridicit e aderenza al reale del giornale si riducessero a poco pi che illusioni, ma suggeriva esplicitamente un modo alternativo e paritario di rapportarsi ai media, dei quali diveniva possibile appropriarsi attraverso la costruzione attiva e consapevole degli scoop destinati a occuparne le pagine. Inoltre, egli accresceva e propagava la propria fama di terrorista culturale, servendosi sia dei giornali che cadevano nelle sue trappole i quali, una volta ricevuta la sua rivendicazione, la utilizzavano come spunto per ulteriori approfondimenti circa lidentit di Blissett, evidentemente a tutto vantaggio dello stesso Blissett sia delle rielaborazioni fatte circolare dai parteci6

Ibidem.

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panti al Luther Blissett Project. Uno schema, questo, utilizzato in molti contesti e con numerose varianti, ma comunque riassumibile come segue: unazione nel reale stimola lattenzione dei media, disseminando esche tangibili ma fittizie sulle cui basi vengono costruite complesse quanto fantasiose esegesi; queste, fondandosi su prove e assunti privi di referenti concreti, finiscono con lalimentare la produzione di simulacri, confluendo in un magma indistinto di comunicazione e metacomunicazione; rispetto a esso, la firma di Blissett, sotto forma di rivendicazione delle beffe, produce il triplice effetto di mettere a nudo i meccanismi autorefernziali che spesso regolano la condotta dei media, diffondendo la notoriet del nome multiplo e suggerendo possibili usi alternativi dei mezzi di comunicazione. Conclude la sequenza la successiva messa in forma narrativa dei materiali che hanno contribuito alla buona riuscita della beffa, che in tal modo divengono essi stessi componenti di ununica memoria mitica, dalla quale chiunque pu attingere e che chiunque pu contaminare. Ne costituiscono una testimonianza due episodi che, estrapolati dal corpus blissettiano e sintetizzati, ritraggono Luther nelle vesti di provocatore e terrorista mediale. La nascita dellOrrorismo Tra la primavera e lestate del 1994, alcuni giornali bolognesi, tra i quali spicca ancora Il Resto del Carlino, si videro recapitare una gran quantit di lettere indignate, vergate da cittadini scandalizzati dai continui, macabri ritrovamenti di interiora animali alle fermate degli autobus, nei parchi pubblici, nei parcheggi e in molti altri luoghi della loro citt. Tra gli autori delle missive, cera addirittura chi sosteneva di essere stato testimone della truculenta performance di un giovane attore teatrale, che, in pieno centro storico, avrebbe inscenato un violento attacco di convulsioni, gettandosi a

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terra e lasciando scivolare dalla propria camicia sbottonata un sanguinolento intestino di vitello: nacque cos il fenomeno che i giornalisti battezzeranno Orrorismo (TP, p. 25), con lampio coinvolgimento di noti docenti di storia dellarte, sociologi e psicologi. Il dibattito sul senso da attribuire ai ritrovamenti si protrasse per settimane, cos come le ipotesi sui possibili precedenti e i tentativi di comprenderne e spiegarne il potenziale valore artistico, il tutto mentre continuava incessante il flusso di lettere nelle redazioni, che arricchivano la vicende di sempre nuovi dettagli e sfumature. Naturalmente, col passare del tempo lOrrorismo di cui parlavano i giornali assunse contorni via via pi definiti, ma, proprio nel momento in cui sembrava essere stata trovata una chiave di lettura accettabile, che inquadrava le sue truculente manifestazioni nellambito dei movimenti artistici pi radicali, arriv da parte di Blissett limprovvisa e implacabile rivendicazione: in un comunicato stampa si svelava che il cosiddetto Orrorismo non era mai esistito, e che le uniche azioni effettivamente compiute erano state la performance dellattore e labbandono di qualche scarto di macelleria in un parco pubblico. Le stesse decine di lettere dei presunti cittadini indignati si rivelarono una montagna di falsi, scritti e spediti dagli orroristi medesimi: insomma, allelaborazione di una teoria orrorista avevano pensato solo ed esclusivamente i giornali. Prova generale di sistema: quello che puoi fare con qualche francobollo e un passaggio in macelleria. (TP, p. 25) Messe nere a Viterbo Prendendo spunto da casi di cronaca che avevano suscitato vere e proprie ondate di panico morale, tra il 1996 e il 1997 la colonna laziale del Luther Blissett Project architett una colossale e articolatissima beffa, basata sui turpi riti cui misteriose congreghe avrebbero dato vita nelle campagne del

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viterbese. Tutto ebbe inizio quando una serie di telefonate anonime e criptici messaggi murali misero sullavviso le forze dellordine, che, nel corso di alcuni sopralluoghi, tra boschi e chiese sconsacrate rinvennero presunti resti di messe nere, di fatto paccottiglia accuratamente disseminata da Luther Blissett medesimo. Nel frattempo venne coinvolta anche la stampa locale, alla quale fu recapitata una gran quantit di lettere firmate da cittadini che, oltre a segnalare con dovizia di particolari ulteriori tracce del passaggio dei satanisti, annunciavano la fondazione di un comitato per la salvaguardia della morale. La tensione crebbe di mese in mese, giungendo al culmine quando un anonimo videoamatore sped ad alcuni telegiornali regionali e a Studio Aperto una videocassetta contenente un filmato girato di nascosto durante un consesso satanista, cui subito venne dato ampio risalto mediatico, con tanto di violenta condanna nei confronti di quel poco che si intuiva dal video. S, perch in effetti la registrazione non mostrava quasi nulla: le riprese erano mosse e lo schermo quasi sempre nero, e solo a tratti appariva un lumicino in lontananza, mentre in sottofondo si poteva intuire una cupa cantilena in latino, drammaticamente interrotta dalle grida disperate di una ragazza. Ma tant, i tg non si posero troppe domande e mandarono in onda il filmato, anche perch questo era accompagnato da un verosimile quanto accorato messaggio dellautore, che, fra laltro, si scusava per la scarsa qualit delle immagini, imputabile alla necessit di tenersi sufficientemente a distanza per timore di essere scoperto. Tuttavia, passata una settimana dalla trasmissione del video, ecco la svolta: TV7, settimanale del Tg1 condotto da Gianluca Nicoletti, mostr lo stesso filmato, ma con unintegrazione: gli ingredienti sono gli stessi: buio, lumicino, cantilena, urla. Ma la telecamera si avvicina sempre di pi, fino a entrare nella piccola costruzione, dove sta avendo luogo la messa nera: ci sono

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alcune figure incappucciate, intorno a un fuoco. Dun tratto si tolgono i cappucci e si gettano in una sfrenata tarantella, mostrando un poster di Luther Blissett (TP, p. 27). Insomma, nel corso della trasmissione fu svelata lintera architettura della beffa, e venne fuori che tutte le lettere, i messaggi sui muri, lo stesso comitato per la salvaguardia della morale, naturalmente oltre ai resti delle presunte messe nere, erano tutti falsi firmati Luther Blissett. Come si scritto, queste e innumerevoli altre beffe vengono rielaborate dallo stesso Luther, che nelle sue pubblicazioni e nel sito ricostruisce il contesto delle vicende, riportando scrupolosamente tutti gli articoli che se ne sono occupati, corredati da chiose e commenti che, non censurando mai alcuna intepretazione, per quanto bizzarra o strampalata possa essere, vengono utilizzati per armonizzare leterogeneo materiale raccolto, riorganizzato in una molteplicit di racconti brevi. La loro struttura e il loro contenuto evidenziano quanto la natura fluida di Luther Blissett faccia s che alla sua costruzione finisca col contribuire qualsiasi interpretazione ne venga data, e quanto la pretesa di mantenere un posizione esterna rispetto al suo mito si riveli, una volta di pi, illusoria. 5.4 Comunicazione-guerriglia: i libri e il sito Catalogare linsieme delle manifestazioni blissettiane impresa ardua anche per lo stesso Blissett: non finiamo mai di sorprenderci di fronte allallungarsi del curriculum e allarricchirsi dellopus di Luther. Un calcolo ottimistico potrebbe rivelarci che solo il 40% della produzione blissettiana stato affidato a supporti cartacei durevoli come libri o riviste (TP, p. 45). Daltra parte, di fatto impossibile pretendere di fissare entro coordinate definite le eterogenee epifa-

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nie di unesperienza destinata, per sua stessa natura, a sfuggire a qualsiasi classificazione. Non si pu, per, trascurare limportanza che per Luther ha rivestito lattivit di costante auto-storicizzazione, perseguita attraverso radio, fanzine, riviste, newsletter e, soprattutto, libri e siti internet, organizzati in base a caratteristiche che ne fanno strumenti decisivi per chiunque desideri avvicinarsi al progetto. Il riferimento va in particolare a Mind Invaders, pubblicato da Castelvecchi nel 1995; a Tot, Peppino e la Guerra Psichica, edito nel 1996 per i tipi di AAA, e alla sua versione 2.0 pubblicata da Einaudi; allenorme sito-archivio LutherBlissett.net. Ovviamente, le pubblicazioni che a vario titolo si sono focalizzate sulla creatura multipla sono molte di pi, tra quelle scritte e curate da Luther Blissett medesimo, quelle che sulle sue imprese hanno dibattuto, quelle alla cui stesura ha partecipato, quelle che ha plagiato e quelle, infine, che ha scritto sotto forma di falsi. Tuttavia, il sito e i libri citati hanno unorganizzazione che sembra riflettere la natura stessa della memoria blissettiana: privi di un cardine centrale da un punto di vista concettuale e narrativo, si strutturano in base al continuo accostamento del materiale, suddiviso in tanti comparti monotematici. Nel flusso eterogeneo dei contenuti che vi confluiscono, compaiono i racconti delle azioni di guerriglia mediatica, i manifesti, i volantini, le descrizioni di performance teatrali o psicogeografiche, gli sticker, le immagini, le riletture di libri e film: ciascuno elemento delinea un tratto in pi della sfuggente fisionomia di Blissett. I libri e il sito-archivio assumono pertanto laspetto di veri e propri gorghi, entro cui viene risucchiata indistintamente una parte significativa di ci che contribuisce a evolvere e ad arricchire la memoria di Luther, e, pur non potendola esaurire, ne mostrano molteplici manifestazioni. Da un

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lato, quindi, tanto il sito quanto Mind Invaders e Tot, Peppino e la Guerra Psichica svolgono la funzione di cassette degli attrezzi, mostrando come sia possibile praticare i luoghi pi disparati, offrendo contenuti organizzati in brevi racconti e non in astratti saggi teorici, perch possano a loro volta essere rivissuti e contaminati. Dallaltro, invece, essi assumono le sembianze di grandi stanze degli specchi, in cui limmagine distorta di un unico soggetto viene riflessa su tutti i lati, senza che mai compaiano le stesse fattezze, in un gioco di continue metamorfosi nel quale non c alcun originale a cui far risalire le infinite deformazioni. Pi nello specifico, Mind Invaders definito nel sottotitolo Manuale di guerriglia e sabotaggio culturale, e tra i nove capitoli di cui composto si affrontano temi legati alla mitopoiesi e agli scopi del progetto, alluso del multiple name e alle tecniche di guerriglia mediatica, trattati in forme che vanno dallintervista, al saggio, al racconto. Si tratta di una delle prime forme di auto-storicizzazione di Luther Blissett, che fornisce dettagli anche circa le origini del titolo, ispirato al nome che nei primi anni Ottanta venne dato a una rock band simulacrale, i cui inesistenti brani furono pi volte recensiti su riviste di settore grazie alla fama che gli anonimi autori del progetto erano riusciti a creare attorno al gruppo, limitandosi alla diffusione di false interviste, gadget e materiale informativo: grazie a questa impressionante sequela di panzane e allappoggio di alcune fanzines e di bands vere che li citavano nelle interviste o inserivano il loro nome nei credits dei dischi, i Mind Invaders ebbero i loro album immaginari recensiti pi volte in tutta seriet da alcune riviste del settore (su tutte Rockstar, che allepoca aveva una certa importanza e diffusione).7
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Luther Blissett, Mind Invaders, Roma: Castelvecchi, 1995, p. 24.

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Unaltra caratteristica del libro la rigorosa assenza di copyright, concreta manifestazione dellassoluta volont di Luther Blissett di rendersi manipolabile e partecipabile da chiunque. Privo di copyright anche Tot, Peppino e la Guerra Psichica, vera e propria antologia di materiali dal Luther Blissett Project: Tot, Peppino e i fuorilegge. Tot, Peppino e le fanatiche. Tot, Peppino e la dolce vita. Tot, Peppino e la malafemmina. Tot e Peppino divisi a Berlino. Miracoli da millesima replica della copia della copia della copia pi rovinata, magiche introspezioni da fondo di magazzino, esperienze medianiche dovute alla deperibilit dellacetato di cellulosa. Tot e Peppino hanno messo radici nellimmaginario multimediale italiano, perfettamente a loro agio nella societ dellavanspettacolo creata dallimmagine della nostra costituzione materiale. Abitano il paesaggio del mito, sono protagonisti di storie ri-manipolabili, ri-decosruibili, infinitamente replicabili fino a sfiorare il grado zero del significato. Nel corpus delle loro opere sempre pi aperte, possiamo trovare tutto ci che ci serve. [] La leggenda di Luther si sviluppata, arricchita e deformata negli stessi anfratti e fenditure dello spettacolo, nelle stesse pieghe e addirittura nelle stesse fasce orarie di palinsesto occupate dai fantasmi di cui sopra. dunque inevitabile andare a cercare consonanze, analogie, parallelismi, ed bello forzare le interpretazioni: sfido chiunque a non leggere nella trama del suddetto Tot, Peppino e i fuorilegge unallegoria del Luther Blissett Project! (TP, p. 47). Diviso in tredici sezioni, dedicate alla psicogeogrfia, alle beffe, al teatro, ai manifesti, alla radio e a molti altri settori, nel libro si ha una manifestazione tangibile del carattere eterogeneo del progetto, e gli specchi che riflettono i tanti volti di Blissett si moltiplicano, se possibile, ancor pi che in Mind Invaders.

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Ma, ben pi ricco di qualsiasi volume e accessibile in cinque differenti modalit, che consentono approcci di tipo tematico, cronologico, casuale, facilitato o sonoro, il sito-archivio LutherBlissett.net ingloba una serie sterminata di manifestazioni di Luther Blissett, comprendendo al suo interno gli stessi Mind Invaders e Tot e Peppino, i cui contenuti sono scaricabili gratuitamente (cos come tutti i materiali allinterno del sito). Posto che, naturalmente, neppure questultimo pu pretendere di esaurire il progetto, chiunque desideri avvicinarvisi vi trova una tale mole di informazioni da appagare e allo stesso tempo stimolare qualsiasi curiosit, salvo correre il rischio di perdersi nella miriade di racconti, articoli, comunicati stampa, saggi, interviste, suoni e immagini offerti dal sito, che non presenta chiavi di lettura o intelaiature teoriche, ampliandosi piuttosto per accumulo. Ogni manifestazione di Luther Blissett vi assume le sembianze di una scatola cinese, nella quale alle azioni (di qualunque tipo esse siano, dalla pubblicazione di un libro alla descrizione di una performance psicogeografica) seguono reazioni sotto forma di recensioni, commenti o interpretazioni che a propria volta contribuiscono ad arricchire di nuove sfumature i caratteri dellazione stessa. 5.5 Nomadismi proprio dai libri e dal sito a essere tratti molti dei contenuti riportati in questo capitolo, scelti in quanto momenti focali nel processo di costruzione del mito di Luther Blissett. Il materiale da cui sono stati attinti ha un carattere assai eterogeneo, tanto da un punto di vista formale quanto contenutistico, essendo stato raccolto e organizzato da Luther sia per pubblicizzare la propria fama, sia, come nel caso delle beffe mediatiche, per mostrare la possibilit di vivere in modo altro e creativo il territorio e i suoi luoghi, tramite

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racconti che parlano di modalit gioiose di praticare il quotidiano. Questo, occorre ricordarlo, passa s attraverso una costante auto-storicizzazione, che assorbe ogni tentativo di metacomunicazione, ma si realizza innanzitutto nella prassi, nellazione, nella partecipazione a una memoria collettiva che, prima di ogni altra cosa, finalizzata al raggiungimento di pura e semplice gioia, al soddisfacimento intimo di ciascun partecipante, al godimento fugace e indicibile che pu provare solo chi sfrutta loccasione di essere Luther Blissett, cogliendo la possibilit di divenire parte di un con-dividuo. La comunit blissettiana fatta di persone che scelgono di condividere esperienze ed emozioni sul terreno della realt, da un lato arricchendo le molteplici manifestazioni della creatura multipla, dallaltro sperimentando nuove e stimolanti possibilit, che gli permettono di plasmare porzioni della loro stessa esistenza grazie a una condotta che si pu definire nomadica. Essere Luther Blissett vuol dire farlo vivere, muovere, agire attraverso il proprio corpo, incarnarne lassenza, scavalcare i recinti al di l dei luoghi e delle distinzioni e, quindi, percorrere il reale con latteggiamento del nomade, ovvero di colui che non pu che agire in modo tattico, privo di potere e preso in un continuo movimento, che gli consente di appropriarsi di qualsiasi cosa, salvo perderla listante successivo. La volont di incidere in profondit il reale, il rifiuto di circoscrivere le proprie azioni entro ambiti definiti, il desiderio di un cambiamento radicale e complessivo di un intero sistema, avvicinano evidentemente il Luther Blissett Project ai movimenti che, citando Home, si sono definiti samizdat, e in particolare al network della mail art, al Neoismo e al Situazionismo. Di questultimo, in particolare, Luther riutilizza e rinnova la prassi psicogeografica, riattualizzandola nel contesto delle realt urbane degli anni Novanta, a partire dal presupposto dellonnipresente diffusione di un siste-

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ma di luoghi, entro il quale ciascuno costretto a muoversi seguendo traiettorie predefinite, che nella metropoli contemporanea costituiscono i veri recinzioni allinterno delle quali viene confinata lesperienza di ciascuno: La metropoli postmoderna, infatti, non pi identificabile in veri e propri territori, essa composta pi che altro da traiettorie; con la crisi della cittadinanza, del territorio di diritto, luomo non possiede che i suoi tragitti (sempre gli stessi!), il suo diritto diventa un diritto traiettoriale. Luomo possiede le proprie traiettorie ma non la terra su cui si sposta. [] La metropoli postmoderna dunque una metropoli traiettoriale, una metropoli senza luoghi, extraterritoriale, in cui agisce invisibilmente [] il puro comando dello spettacolo (TP, p. 149). in questo contesto che si colloca lagire tattico e nomade di Blissett: facendo leva sulla conoscenza dei meccanismi che regolano il funzionamento delle logiche urbanistiche, li si usa a proprio vantaggio, spiazzandone il senso abituale e praticandole al fine di costruire cartografie del desiderio, di volta in volta aggiornabili tramite la partecipazione collettiva di tanti Luther alla realizzazione di esperienze condivise e significative per lintera comunit. Attraverso la compartecipazione si legge e si vive la citt, con tutti i suoi luoghi e le sue traiettorie predefinite, facendole assumere configurazioni momentanee radicalmente altre, dotate di senso per tutti coloro che, facendo parte della comunit, ne hanno condiviso leffimera realizzazione. In sostanza, pi partecipanti al Luther Blissett Project socializzano i propri desideri, e a partire da ci percorrono la metropoli tracciandone una spiazzante, effimera mappatura, istituendo con la citt un rapporto nuovo, che le conferisce significati altrettanto nuovi: La psicogeografia postgravesiana formula di continuo nuove ipotesi cartografiche per linterpretazione dello spazio urbano. Ipotesi che privi-

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legiano la metodologia dellallineamento e che fondono la propria tecnica attingendo dalle culture pi disparate. Graves si rif spesso alle linee del drago della geomanzia cinese, alle vie dei canti degli aborigeni australiani, alle linee di Nazca peruviane e soprattutto alle linee dei prati, le note ley-lines dellantica Britannia (TP, p. 156). In questa cornice va quindi inquadrata la cosiddetta guerra psichica condotta da Luther Blissett: attraverso la partecipazione collettiva e la condivisione delle sensazioni, larchitettura e le traiettorie della metropoli cessano di essere luoghi intangibili, per venire riutilizzati entro percorsi che, per il solo fatto di vedersi attribuire un senso, finiscono con limpregnarsene. In altri termini, viene perseguita la depropriazione dei luoghi, ovvero la loro momentanea riappropriazione immediatamente seguita dalla perdita da parte di coloro che li praticano, con lobiettivo di ristabilire un contatto diretto con lambiente urbano, al di l di ogni separazione. In un simile processo, Luther non si avvale soltanto delle tecniche psicogeografiche, ma mette in piedi rave party, feste nomadi, dtournament murali fatti di tag e graffiti, performance spiazzanti e rappresentazioni teatrali, trasformando lintero scenario metropolitano in uno spazio vivo e aperto: in una parola, praticabile. Il tutto con il coinvolgimento di riviste (come Transgressions. Rivista internazionale di esplorazione urbana e Luther Blissett. Rivista Mondiale di Guerra Psichica e adunate sediziose) che storicizzano le azioni proponendo nuove sperimentazioni, e di programmi radiofonici come Radio Blissett, che, soprattutto a Roma e a Bologna, svolse un ruolo diretto nellorganizzazione e nella conduzione delle derive metropolitane. Come nel caso delle beffe, anche per le performance blissettiane non resta, a questo punto, che fare degli esempi,

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desumendoli ancora una volta dal materiale messo a disposizione dallo stesso Luther. Il bus Neoista Era in linea con Radio Blissett il gruppo di persone che, nel giugno del 1995, a Roma, diede vita a uno dei pi noti esempi di festa nomade, organizzata da Luther per la ricodificazione ludica dello spazio urbano, [...] contro il caro biglietti [...] e per il teletrasporto pubblico e gratuito (TP, p. 160). Lappuntamento fu fissato alle tre del mattino in Piazza del Verano, dove circa un centinaio di partecipanti sal sullautobus 30 Notturno dichiarando che, tutti e cento, avrebbero pagato un solo biglietto: quello di Luther Blissett. Questi, nelle vesti di unico individuo presente alla serata, ha chiesto in radio di pompare la musica e ha ballato, bevuto, fumato, pomiciato, tirato coriandoli, giocato a pallone per circa venti minuti, mentre lautobus seguiva il suo percorso abituale raccogliendo gente alle fermate (TP, p. 160). Quando verso le tre e venti una pattuglia di polizia costrinse i cento Luther a sloggiare dallautobus, la creatura multipla non si perse danimo, riorganizzandosi di l a poco su un altro mezzo pubblico (il 29 Notturno), salvo venire nuovamente fermata dopo una decina di minuti, questa volta in un clima di forte tensione, dal momento che tutti i partecipanti alla festa rifiutarono di essere identificati con un nome diverso da quello di Luther Blissett. Alla fine, verso le 5.00 del mattino, Luther Blissett risulta introvabile, ma una ventina di persone che si trovavano da quelle parti vennero identificate dalla polizia.8

Festa nomade sullautobus notturno. Gli scarafaggi sparano su Luther Blissett, disponibile online nel sito <www.lutherblissett.net>.

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Il rapimento del professor Lutr Blissette Anche lUniversit fu teatro delle azioni blissettiane. Una delle pi celebri ebbe ancora luogo a Roma, nellaprile del 1995, quando Luther fu invitato da un professore di antropologia culturale a intervenire in una lezione sullo spaesamento dellio nellesperienza psicogeografica, invito accolto alla condizione di poter soddisfare un capriccio performativo. Cos, il giorno della lezione, unaula stracolma fu sconvolta dallirruzione di tanti Blissett a volto coperto, impugnanti armi giocattolo: dopo un rapido proclama, il commando rap il professore (portandolo al bar, dove fu costretto a offrire un caff ai tanti Luther presenti), lasciando gli studenti del tutto attoniti e incapaci di reagire. Uscendo poi dalla sala e trattenendo ulteriormente l'accademico, ho potuto constatare, essendomi precedentemente infiltrato fra gli studenti, la loro destabilizzazione cerebrale al ritrovarsi soli nellaula ad adorare catatonicamente il feticcio/cattedra senza riuscire a fare altro, svelando cos il rapporto da essi instaurato con l'evento/lezione come spettacolare e dotato di elevata tossicit (TP, p. 163). Passata qualche settimana, cominci a circolare una voce secondo cui, con il proposito di sabotare le imminenti elezioni universitarie, un gruppo di militanti appartenenti a un collettivo politico ormai sciolto avesse rapito un professore francese di nome Lutr Blissette, e si arriv a costituire un comitato di controinformazione per la liberazione di Lutr Blissette, scioltosi solo molto tempo dopo con lo svelamento del caso. Il Teatro Situazionautico questa unesperienza concepita a partire dal 1995 e portata avanti soprattutto in Emilia Romagna, a stretto contatto con altri giovani gruppi teatrali. Per dar conto delle sue azioni ci si pu rifare a quanto scritto da un membro dello

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stesso Teatro Situazionautico, Riccardo Paccosi, dai cui brani emerge con evidenza tanto il legame del progetto con il samizdat, quanto la netta continuit con lagire tattico di Luther Blissett. Come spunto iniziale si pu partire dagli eventi che, quello stesso anno, ebbero luogo durante il Festival di Santarcangelo, rassegna annuale di gruppi teatrali emergenti la cui gestione era allora affidata a Leo De Berardinis, che ne aveva inaugurato ledizione scrivendo un articolo dal titolo: Riaprire il pianoforte di Cage: Ci si riferiva a un concerto di John Cage durante il quale questi si limit a sedersi al piano e chiudere il coperchio della tastiera; quindi, laddove Cage aveva riassunto tutte le conseguenze delle rivoluzioni teatrali e musicali del Novecento, facenti piazza pulita dellArte, del principio estetico, della concezione idealistica che vedeva lopera darte come qualcosa di trascendente il dato materiale, Leo proponeva di recuperare quel principio, ricollocare lArte nelliperuranio e lArtista sul piedistallo: questo, appunto, il significato di riaprire il pianoforte di Cage (TP, p. 111). Insieme a questo tipo di impostazione, emblematica secondo Paccosi di una dilagante tendenza reazionaria in campo artistico, viene criticato anche lintero panorama del teatro di ricerca ufficiale, lontano da tutta una situazione molteplice e vitale tra i giovani teatranti, i quali portano avanti i propri percorsi nonostante lassoluta inaccessibilit di spazi per provare e per realizzare messinscena (TP, p. 111). Scrivendo di queste collettivit attoriali, Paccosi insiste su alcuni termini che racchiudono il senso dellesperienza del Teatro Situazionautico, caratterizzato da unorganizzazione rizomatica, dalla volont di creare concatenamenti tra attori, pubblico e ambiente, dalla capacit e dallobiettivo di dare vita a continue deterritorializzazioni trasformando le varie comunit attoriali in vere e proprie macchine desideranti: questa comunit spontanea si costituisce

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secondo una modalit rizomatica, ovvero un insieme di linee che si incrociano e si connettono in maniera variabile e molteplice, senza un centro di riferimento stabile. [] Non imperniata su figure di artisti individuali, ma su concatenamenti, cio su campi di relazione che effettuano una comunit spontanea allinterno della quale percorsi di ricerca, tecniche, idee e progetti circolano in maniera orizzontale (TP, p. 111). Il primo concatenamento quello che coinvolge i vari gruppi teatrali in ununica, magmatica e mobile realt, al di l delle rigide distinzioni dovute allappartenenza a questa o quella compagnia, e puntando sulla ricerca di un percorso comune fondato sulleffettiva condivisione di tecniche e conoscenze. A un secondo livello, anche lattivit degli attori viene regolata in funzione di una ricerca del concatenamento tra le tante singole azioni: in un insieme di attori, ci che importa non la sommatoria delle azioni individuali di ognuno, ma l'insieme di impulsi interni ed esterni, la molteplicit che costituisce ogni singola azione. Anche quando dettata da una poetica egocentrica o narcisista, non si ha mai azione scenica individuale, ma solo azione scenica in quanto concatenamento, fatto collettivo.9 Tale azione scenica non viene certamente concepita nellisolamento di un palco, distante da un pubblico passivo e confinato tra le mura di un luogo deputato alla sua rappresentazione: al contrario, le performance del Teatro Situazionautico evadono queste distinzioni per riversarsi in strada, a stretto contatto con la gente, che con le sue reazioni, i suoi gesti e le sue parole viene coinvolta nel flusso dellazione stessa: Le azioni sceniche vengono [] sviluppate in luoghi diversi: strade,
Riccardo Paccosi, Il Teatro Situazionautico Luther Blissett, disponibile nel sito <www.lutherblissett.net>.
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piazze, autobus, supermercati ecc. inglobandone le caratteristiche e trasformandole in elementi costitutivi dell'azione stessa. Ci inevitabilmente tende alla modificazione degli usi quotidiani dello spazio urbano, che viene, quindi, deterritorializzato. Lambiente cittadino quello pi usato perch presenta una ricca possibilit di sfruttare situazioni diverse e perch principalmente il luogo dei percorsi costretti e limitati (casa-lavoro-divertimenti) dove diventa alieno tutto ci che esce da questi. Cos proprio tra questi percorsi il Teatro Situazionautico sinsinua con azioni sceniche, prevalentemente costituite da una componente ludica e gioiosa, che coinvolgano emotivamente e talvolta fisicamente il pubblico.10 A un terzo livello, il concatenamento si esprime nella ricerca di una nuova totalit, uscendo fisicamente dai recinti che confinano queste esperienze entro luoghi fissi e determinati, e in qualche modo riappropriandosi (ma solo per perderli listante successivo) degli spazi cittadini e del pubblico, coinvolti e spiazzati nel contesto di una magmatica complessit. Le azioni sceniche del Teatro Situazionautico diventano cos happening unici e irripetibili, gli attori corrono per le strade della citt, usano i suoi edifici, coinvolgono i suoi abitanti e creano gioiose linee di fuga rispetto al senso abituale dei luoghi e delle traiettorie: diventano macchine desideranti, ovvero macchine da guerra senza guerra, puro movimento affermativo. Per macchine da guerra, Paccosi intende reazioni negative allo status quo, nichilismo e rabbia scagliate violentemente contro i confini e i limiti di un sistema che impone rigide separazioni, territorializzazioni contro le quali azioni individuali e individuabili sono destinate a non produrre alcun cambiamento. Il teatro delle
Riccardo Paccosi, Save the planet kill yourself, disponibile nel sito <www.lutherblissett.net>.
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macchine desideranti mette in pratica una soluzione diversa, tattica: utilizza tutta lenergia e la forza propulsiva delle comunit attoriali non per opporsi, ma per inglobare i territori, rendendole fluide e quindi in grado di utilizzare, manipolare e rimettere in gioco i luoghi esistenti entro nuove combinazioni, usandoli in base ai propri desideri: Desiderio inteso come pienezza, energia condivisa e priva di un fine che non sia quello di stare dentro il campo dimmanenza del desiderio stesso. Possiamo parlare di estasi, perch no? Una percezione estatica dei concatenamenti, dellevento in quanto tale, dellenergia dionisiaca che connette gli eterogenei, le molteplicit. [] Ecco dunque che gli attori avevano svolto in realt un lavoro di costituzione di una macchina desiderante, la quale per allinterno dello spazio normalizzato e museificato del paese, creava una linea di fuga, rompeva il codice assegnato alla piazza, alle strade, ai corpi, effettuava deterritorializzazione, funzionava come macchina da guerra. Pertanto: un piano costitutivo di macchina desiderante e un piano effettuale di macchina da guerra (TP, p. 117). Questi ultimi capoversi si riferiscono a quanto accaduto a Santarcangelo, quando le compagnie giovanili cui si accennato decisero di seguire il Teatro Situazionautico nellinvasione della cittadina, inscenando una lunga serie di azioni che spiazzarono strade e abitanti, coinvolgendoli in una giostra di performance che, fino a tarda notte, si svolsero parallelamente al festival ufficiale. Tutto ebbe inizio con la pacifica irruzione al convegno dapertura, con la distribuzione di un volantino intitolato Basta con la museificazione!, che recitava, tra laltro: anzich unArte con la maiuscola, solo da contemplare, occorrerebbe parlare di arti che circolino in modo orizzontale e possano essere non solo fruite ma anche agite da tutti; [] la nostra critica non rivolta unicamente al Festival di Santarcangelo: labbiamo scelto in

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quanto esso si eletto ad emblema e rappresentanza di ci che ricerca teatrale in Italia (TP, p. 113). Dopo un vivace dibattito con Leo De Berardinis e la distribuzione di un secondo volantino dal titolo LArte la continuazione della morte con altri mezzi firmato da Luther Blissett, fu lo stesso Paccosi a salire sul palco per annunciare le iniziative del Teatro Situazionautico: Chi vorr vedere dellArte, non so se ne trover; chi invece interessato a vedere attori capaci di creare delle intensit, delle energie, dei concatenamenti tra comunit attoriale e pubblico, forse capiter nel posto giusto. Noi non sappiamo se siamo in grado di aprire il pianoforte di Cage, siamo senzaltro capaci di tagliarne dei pezzettini e distribuirli (TP, p. 113). 5.6 Verso il seppuku La maggior parte delle manifestazioni di Luther Blissett di cui si scritto finora, da un punto di vista cronologico si collocano tra il 1994 e il 1997, periodo durante il quale beffe mediatiche, performance e attivit di auto-storicizzazione gli guadagnarono una sempre pi solida fama di terrorista culturale. Tuttavia, a partire dal 1997 alcune cellule del progetto iniziarono a mettere in pratica nuovi usi del mito, in qualche misura capitalizzandone la notoriet per portare attacchi sempre pi diretti e mirati al mainstream, non pi basati soltanto sullo sfruttamento delle falle nella strategia avversaria, ma facendo leva sulla propria stessa forza, che, nel caso di Blissett, coincideva con il peso e la spendibilit della sua reputazione. Attenzione: una simile scelta non comportava in alcun modo labbandono dellagire tattico. Anzi, ne costituiva un arricchimento, essendo lennesima svolta imprevedibile di uno stile di lotta mai uguale a se stesso. Infatti, a differenza dei rigidi canoni imposti a unazione di tipo strategico, la manipolabilit della tattica, la sua

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disponibilit a sfruttare qualunque occasione nel momento stesso in cui si presenta, la rende tanto aperta da permetterle di cambiare forma e tecniche di combattimento in qualsiasi istante: se lo si ritiene opportuno e vantaggioso, la fluidit di un approccio tattico pu anche adottare metodi strategici. Il tutto senza alcuna contraddizione, perch il punto nodale resta cogliere il kairos, il momento opportuno, e se questo rende proficuo portare attacchi frontali in campo aperto, sar giusto e necessario adeguarvi il proprio stile di combattimento. Daltra parte si gia visto come, grazie alle sue doti di adattabilit e malleabilit, Luther riesca a essere contemporaneamente s e il contrario di s, inglobando nel suo flusso ogni genere di opposizione. Inoltre, anche dopo il 1997, simili capitalizzazioni della fama di Blissett non comportarono in alcun modo la scomparsa di azioni di guerriglia sferrate a partire dallombra della macchia, rimanendo il nome di Luther sempre e comunque disponibile agli usi e alle contaminazioni pi disparate. Di conseguenza, prendere il 1997 come data di riferimento per questa svolta una scelta del tutto arbitraria, al fine di parlare di alcune delle tantissime manifestazioni blissettiane, che da un lato ne mostrano una volta di pi linesauribile variet dispositiva, dallaltro precedono le due fondamentali operazioni battezzate coi nomi di Dien Bien Q e Seppuku. Il terreno scelto per iniziare a sfruttare il peso della fama di Blissett quello della controinformazione, nel quale Luther si sveste dei panni del seminatore di panico mediatico e culturale per portare alla luce temi particolarmente scottanti, spesso allorigine di panico morale. Se, quindi, con le beffe agli organi di informazione Blissett si era servito delle loro debolezze per riappropriarsene e metterne a nudo i meccanismi celibi, ora passava direttamente allattacco realizzando dettagliate controinchieste, che svelavano un altro genere di meccanismi: quelli relativi alla costruzione delle

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emergenze: Chiamiamo emergenza una continua ridefinizione strumentale del nemico pubblico da parte dei poteri costituiti. Grazie allemergenza, agli occhi della fantomatica opinione pubblica viene resa accettabile non solo la violazione ma la vera e propria sospensione delle libert formalmente sancite dalle costituzioni e dalle carte dei diritti umani. Accettabile? Di pi: necessaria e auspicabile al fine di difendere la democrazia.11 Le campagne emergenziali prese in esame da Luther, negli anni, coinvolsero massicciamente gli organi di informazione e lordinamento giuridico, ricorrendo a innovazioni tecnologiche utilizzate a fini di controllo e sorveglianza sempre pi molecolarizzati. Nella propria attivit di controinformazione, Luther porta alla luce le procedure e le tecniche utilizzate nel processo di costruzione dellemergenza, allinterno di volumi in cui alle analisi circostanziate delle varie vicende si accompagnava una gran quantit di dati, assemblati in veri e propri cut up insieme a lunghi estratti di articoli di giornale. Queste pubblicazioni, proprio per la fama che Luther si era guadagnato con le sue azioni, attirarono a loro volta lattenzione dei media, venendo recensite, accompagnandosi ad assemblee, conferenze e comunicati stampa, suscitando polemiche, e, talora, essendo seguite da strascichi giudiziari, facendo s che Blissett acquistasse una consistenza corporea fino ad allora sconosciuta, che non coincise, per, a con una personalizzazione del progetto. Lasciate che i bimbi vengano a Luther Definito da Repubblica un salutare antidoto allisteria collettiva,12 la prima campagna di controinformazione conLuther Blissett, Nemici dello Stato. Criminali, mostri e leggi speciali nella societ di controllo, Roma: DeriveApprodi, 1999, p. 1. 12 Bernardino Campello, Pedofilia, attenti agli isterismi. Il nuovo
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dotta da Luther Blissett si concretizz in un volume pubblicato nel 1997 da Castelvecchi, col titolo Lasciate che i bimbi. Pedofilia: un pretesto per la caccia alle streghe. Come facile intuire dal sottotitolo, tanto il tema affrontato quanto le tesi sostenute sono decisamente urticanti. Anzi, sembravano fatt[e] apposta per suscitare scandalo, esecrazione, fastidio, disgusto. Non fosse altro perch espone sul banco degli imputati proprio i costruttori dellopinione pubblica giornali e tiv , che con la faccia e le parole di circostanza, sulla caccia al pedofilo hanno infilato una quantit di idiozie.13 Posto che nel libro non vi traccia di apologia del reato in questione, si tratta in sostanza di un saggio-inchiesta, che, fondandosi su un dettagliatissimo repertorio di dati, costituisce un autentico invito al buon senso e alla cautela, una reazione alle gogne mediatiche e giudiziarie, cui erano state sottoposti individui la cui vita era stata rovinata da campagne di informazione fondate su accuse poi rivelatesi infondate. In continuit con quanto avvenuto con le beffe, quindi, anche in questo caso veniva messa a nudo la natura simulacrale di certe impalcature mediatiche, troppo spesso edificate su quanto di turpe e indecente affiora dal quotidiano, troppo poco scrupolose nella verifica delle informazioni, troppo incaute nella formulazione di condanne definitive. Il caso che, nel libro, viene affrontato con maggior dovizia di particolari quello del satanista Marco Dimitri, leader della setta dei Bambini di Satana, arrestato il 1 gennaio 1996, tenuto in carcere per oltre un anno prima di un procedimento dove verr processato con laccusa di violenza carnale e con quella, molto pi infamante, di aver costretto
Luther Blissett, la Repubblica, 1 dicembre 1997, disponibile nel sito <www.lutherblissett.net>. 13 Rudi Ghedini, Lasciate che i bimbi vengano a Luther, Zero in condotta, 21 novembre 1997, disponibile nel sito <www.lutherblissett. net>.

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un bambino di tre anni a un rituale satanico.14 Accuse da cui, in seguito, verr pienamente assolto, a dimostrazione questa la tesi sostenuta da Blissett dellinconsistenza dellequivalenza automatica tra satanismo e pedofilia, ovvero tra una forma di devianza lecita (per quanto discutibile), e un reato penale disgustoso (ma non provato), come una serie di campagne di dis-informazione avevano cercato di sostenere, sfruttando laltro, lindecente, lorribile, per cavalcare quelle Luther medesimo definisce ondate di panico morale. Anche prescindendo dai controversi argomenti affrontati, la pubblicazione di Lasciate che i bimbi era destinata a essere seguita da una lunga scia di polemiche, sfociate a loro volta nelle aule di un tribunale. Come gli altri libri blissettiani, infatti, anche questo era privo di copyright, venendo messo gratuitamente a disposizione in rete da diversi siti, scaricabile e manipolabile da chiunque volesse approfondire o anche solo accostarsi al suo contenuto. Di fronte alla proliferazione di questo testo scabroso, il PM dellaccusa decise di querelare per diffamazione leditore Castelvecchi, Luther Blissett (nella figura di un suo membro storico), nonch gli ISP Cybercore e 2mila8 ComunicAzione, rei di aver contribuito a unamplificazione planetaria dei contenuti del libro (gli avvocati dellex PM parlarono di oltre centomila contatti solo nel corso del 1997). La richiesta prevedeva oltre quattrocentocinquanta milioni di lire di risarcimento, il sequestro delle copie in circolazione, e, soprattutto, il taglio dei passaggi che, nel libro, erano ritenuti diffamanti. Insomma, si equiparava il no-copyright a una licenza di uccidere, nonch la figura dei provider a quella di direttori responsabili dei media tradizionali, dando la stura
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Ibidem.

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a un lungo dibattito fatto di assemblee, incontri e conferenze che ebbero come tema la libert di espressione online. Nemici dello Stato Esce nel marzo del 1999, per DeriveApprodi, Nemici dello Stato. Criminali, mostri e leggi speciali nella societ di controllo: Loro malgrado, sono nemici dello Stato tutti quelli che si trovano sulla sua strada. I pi appetibili candidati a diventare nemici dello Stato sono quei singoli e quei gruppi il cui comportamento pu essere rappresentato [] come una fonte di pericolo per la convivenza democratica ad esempio, in passato intere sottoculture giovanili (gli skinheads, i ravers etc.) sono state demonizzate per rendere accettabile l'imposizione di leggi speciali il cui bersaglio erano in realt le libert civili nel loro complesso.15 Come nel caso precedente, si tratta di una saggio scritto in forma di controinchiesta, incentrato sulla situazione italiana a partire dagli anni Settanta, e capace di ricostruire una lunga sequenza di casi che hanno coinvolto organi di informazione, politica e magistratura. Riassumendo, a partire dalla gi citata definizione di emergenza, la tesi principale dellintero volume espressa gi nella sua introduzione: Le emergenze servono a introdurre nuove forme coercitive nella divisione sociale del lavoro, o tuttal pi a preservare quelle gi esistenti. [] In Italia, dagli anni Settanta in avanti, il metodo di governo consistito interamente in un avvicendarsi di emergenze. In questo paese esiste da sempre una complicata dialettica dell'incostituzionalit, al cui interno l'emergenza ha stabilito una propria retorica, un compiuto ma fluido sistema di metafore, un peculiare modo di cristallizzarsi nel diritto scritto e nel costume nazionale.16
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Luther Blissett, Nemici dello Stato, cit., p. 1. Ibidem.

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Puntare il dito contro chi viene indicato come potenziale pericolo per lo Stato, scatenare campagne mediatiche al fine di fomentare panico morale nellopinione pubblica, quindi varare leggi e provvedimenti che, in sostanza, sanciscano il mantenimento dello status quo: seguendo questo schema Luther Blissett d la propria lettura di oltre ventanni di storia italiana, sostenendo tesi che stimolano dibattiti e riflessioni, dando lennesima prova della sua natura assolutamente poliedrica, e dimostrando una volta di pi di trovarsi a proprio agio anche nelluso degli strumenti della controinformazione. In un certo senso, preparando il proprio assalto finale alla cultura mainstream, atto estremo di sfruttamento della propria fama e ultimo, grande stratagemma del suo percorso tattico: Dien Bien Q. Dien Bien Q Pubblicato nel febbraio del 1999 da Einaudi, Q si apre con queste parole: Fuori dallEuropa, 1555. Sulla prima pagina scritto: Nellaffresco sono una delle figure di sfondo. La grafia meticolosa, senza sbavature, minuta. Nomi, luoghi, date, riflessioni. Il taccuino degli ultimi giorni convulsi. Le lettere ingiallite e decrepite, polvere di decenni trascorsi. La moneta del regno dei folli dondola sul petto a ricordarmi leterna oscillazione delle fortune umane. Il libro, forse lunica copia scampata, non pi stato aperto. I nomi sono nomi di morti. I miei, e quelli di coloro che hanno percorso i tortuosi sentieri. Gli anni che abbiamo vissuto hanno seppellito per sempre linnocenza del mondo. Vi ho promesso di non dimenticare. Vi ho portati in salvo nella memoria. Voglio tenere tutto stretto, fin dal principio, i dettagli, il caso, il fluire degli eventi. Prima che la distanza offuschi lo sguardo che si volge indietro, attutendo il frastuono delle

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voci, delle armi, degli eserciti, il riso, le grida. Eppure solo la distanza consente di risalire a un probabile inizio.17 Molto pi delle precedenti esperienze di controinformazione, Q rappresenta la vera e propria forma di capitalizzazione dellautorevolezza che Luther si era guadagnato nel corso della sua quinquennale attivit nel panorama mediatico e culturale italiano. Ma, allo stesso tempo, esso costituisce il suo capolavoro di tattica, capace di sfruttare loccasione pi ghiotta: quella di entrare nella fortezza del nemico dalla porta principale, nel ventre di un cavallo di Troia dal quale fuoriuscire nottetempo per insediarsi definitivamente allinterno delle mura, con lo scopo di minare poco a poco le fondamenta della citt. Dalla foresta si Sherwood al castello di Nottingham: in Tot, Peppino e la Guerra Psichica 2.0 questo decisivo passaggio del progetto viene letto facendo riferimento al mito di Robin Hood, in grado di entrare nel castello dellodiato sceriffo dopo anni di guerriglia boschiva. Similarmente, una cellula del Luther Blissett Project, dopo unintensa attivit nella macchia, sfrutt il peso della fama di Blissett per installarsi sullaltopiano e continuare a colpire dallinterno (TP, p. 41), incuneandosi definitivamente nel mainstream per diffondervi i propri agenti patogeni, portatori di novit nello scenario culturale. Loccasione per questo ultimo colpo si present quando un grosso editore come Einaudi diede a Blissett carta bianca per la pubblicazione di un romanzo, che a ragione si supponeva avrebbe attirato lattenzione dei media e del pubblico, se non altro per la reputazione dellautore: Ci che tutti si sarebbero aspettati da Blissett in questo campo era un agilissimo romanzo ipercontemporaneo, magari fantascientifico, in cui le solite nuove tecnologie e gli hackers avrebbero giocato il ruolo dei protagonisti assoluti. Quello che
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Luther Blissett, Q, Torino: Einaudi, 1999, p. 1.

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stato proposto una spy story di seicentocinquanta pagine, ambientata nel XVI secolo, che va in totale controtendenza rispetto a quanto prodotto dalla narrativa italiana negli ultimi anni (TP, p. 40). Il primo valore spiazzante, allora, sta nella trama: sullo sfondo dellEuropa della met del Cinquecento, due personaggi si muovono inseguendosi tra le pieghe della Storia, attraverso un continente che sta conoscendo lavvento della modernit, sconvolto dalla riforma luterana, squassato dalle rivolte contadine guidate dal magister Thomas Mntzer, dalle guerre di religione e dalla ribellione anabattista. UnEuropa che, allo stesso tempo, assiste alla nascita della stampa e allaffermazione delle potenti famiglie di banchieri, venendo turbata dalla circolazione di misteriosi libri maledetti, mentre loschi affari vengono condotti tra i moli delle citt mercantili olandesi e le torbide calli veneziane: quanto al XVI secolo, lo abbiamo scelto perch il secolo in cui nasce il moderno, e tutto ci che oggi sta marcendo: l'Europa, la comunicazione di massa, gli apparati di polizia, il capitale finanziario, lo Stato. E poi, come dice nel romanzo il libraio Pietro Perna: puttane, affari, libri proibiti e intrighi papali. C' forse qualcosaltro che d sapore alla vita?.18 la vicenda di un uomo senza nome, o meglio, di un uomo con tanti nomi (Adesso mi volto quando mi chiamano Gustav, mi sono abituato a un nome che non pi mio di qualunque altro19), la cui esistenza segnata da un continuo, inesauribile movimento, che lotta sposando innumerevoli cause destinate ad altrettanto innumerevoli sconfitte, senza che ci scalfisca la sua tempra di ribelle, un
Loredana Lipperini, Luther Blissett siamo noi, la Repubblica, 6 marzo 1999, disponibile nel sito <www.lutherblissett.net>. 19 Franco Bifo Berardi, Q & particules, Temps, 3 luglio 1999, disponibile nel sito <www.lutherblissett.net>.
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empito vitale che va al di l delle singole utopie, che gli impone di immergersi completamente in una Storia fatta di umili e figure di sfondo. E poi la storia del suo alter ego, Q (iniziale di Qoelet, il libro dellApocalisse), nemesi del protagonista al servizio del potere, scaltra spia che modella la propria vita come una costante reazione negativa al movimento propositivo dellavversario, intenta a prevenire o disinnescare ogni cono dombra che attiri la sua attenzione. Se il primo si muove, combatte, si sporca nel fango del quotidiano, cercando di sabotare il potere per realizzare utopie, il secondo non propone, non sogna, in sostanza non agisce ma reagisce, mettendo la propria incredibile scaltrezza al servizio di una continua restaurazione dello status quo. Salvo scoprirsi, alla fine dei suoi giorni, vecchio e solo, in fondo senza nome tanto quanto il protagonista, disposto a farsi usare da questi in vista di un ultimo, grande colpo. Non difficile, allora, considerare il libro unarticolata allegoria del Luther Blissett Project, ed significativo che un simile compito spetti a un romanzo denso, corale, ricco di vicende che si intersecano. Non unastratta blissettologia a fare da summa al progetto, ma unopera narrativa i cui racconti, una volta di pi, parlano da soli. lennesima prova della volont di Luther di mantenersi mito, raccontando se stesso e le sue storie rimanendo al tempo stesso opaco, immergendo il lettore nellapnea di una narrazione di genere, ricca, dettagliata e insieme nebulosa, una scatola piena fin quasi a scoppiare, dove confluiscono elementi provenienti dallo hard boiled, dalla spy story, dal romanzo di cappa e spada a quello storico, dal thriller al racconto davventura, dal giallo al noir: Abbiamo affrontato una narrazione impegnativa, corale, in cui s'intrecciano sottotesti e sottostorie. questo che ci piace, questo che deve fare la letteratura: raccontare storie, produrre mito. Non ne pos-

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siamo pi di raccontini basati su ununica idea, e spesso nemmeno su quella, che si riducono a esercizietti di stile, libercoli pseudo-autobiografici e generazionali. Roba da cento paginette. Londata minimalista finir, deve finire. Anzi, finita. dimenticata.20 Q, dunque, un romanzo che punta sulla densit dei contenuti e dellintreccio, rifuggendo sperimentalismi per raccontare una storia piena, soddisfacente, dalla quale ci si separa a fatica, attraverso uno stile secco, intenso e sincopato. Uno stile che sembra intagliare a colpi di scalpello la gran quantit di materiale grezzo utilizzata per dare forma alla storia, selezionato da quelle infinite risorse di temi, vicende e personaggi che sono da un lato il genere e dallaltro la Storia. Riserve i cui contenuti vengono per lungo tempo studiati, scremati, ricombinati, quindi dirozzati in bottega fino al raggiungimento del risultato finale. Per questo libro, Luther ricorre a un sapere condiviso fatto di archetipi universalmente noti, per riassemblarli entro un contesto che li rimette in gioco senza velleit artistiche, ossessioni per loriginalit o ardite scelte di poetica, ma con lunico obiettivo di raccontare una buona storia. Nella convinzione che le storie, cos come i miti, servano, arricchiscano, uniscano e siano utili nella vita di tutti i giorni, perch il racconto fa ci che dice. Daltra parte, sarebbe stato arduo associare Q a un autore di genio o a un artista. Specie dopo che, in un articolo di Loredana Lipperini su Repubblica pubblicato il 6 marzo 1999, Luther Blissett si era svelato, attraverso unintervista ai quattro autori del libro, accompagnata da una foto di gruppo: Gli autori sono quattro e sono nel Luther Blissett Project fin dai suoi esordi. Hanno accettato di svelarci i propri nomi, ai quali non intendono dare peso. [] Hanno tra i
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Loredana Lipperini, Luther Blissett siamo noi, cit.

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ventisei e i trentacinque anni. Vivono a Bologna: qualcuno lavora nel terzo settore e nellindustria culturale, uno fa il buttafuori in locali e centri sociali della citt. Fine della biografia. I nostri nomi, dicono in unintervista che resta rigorosamente collettiva, hanno pochissima importanza, e ancor meno le nostre storie individuali. Siamo il team che ha scritto Q, ma allo stesso tempo siamo meno dello 0,04% del Luther Blissett Project.21 Quattro membri storici del progetto venivano cos allo scoperto, rivelando la natura collettiva dellautore di Q. Giustamente, i quattro non si identificavano con Luther Blissett, affermando di rappresentare solo una piccola frazione dei tanti che si erano serviti del suo nome multiplo, la cui attivit di guerrigliero mediatico e culturale continuava in modo indipendente dalla loro decisione di venire allo scoperto. Ma, sul piano squisitamente letterario, emersero subito altre domande: come era stato possibile che, a scrivere un libro dallo stile tanto compatto quanto fluido, fossero state addirittura otto mani? come per un combo jazz: grande affiatamento, arrangiamenti collettivi e assoli individuali. Ma un altro esempio possibile la realizzazione di un videogame: ci sono sempre almeno una ventina di nomi accreditati come autori. C' forse differenza tra un romanzo e un software interattivo? Del resto, da anni Blissett dice che la scrittura e la creazione sono in tutto e per tutto progetti collettivi, le idee non possono avere propriet, il genio non esiste, c' solo una Grande Ricombinazione.22 Evidentemente, il reperimento dei materiali, lo scambio di idee e impressioni, la collaborazione e quindi la scrittura
Ibidem. Il titolo dellarticolo (Luther Blissett siamo noi) ha ricevuto poi una piena smentita dagli autori di Q. 22 Ibidem.
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venivano intese come parti di un unico lavoro artigianale, nel quale tutte le componenti, anche le pi ripetitive e monotone, avevano avuto uno stesso peso in vista del risultato finale: un lavoro in bottega al quale, nella fattispecie, avevano cooperato quattro persone, affiatate e consce dei propri compiti individuali. Per loro, lesperienza di scrittura di Q era stata assimilabile a quella vissuta da chi aveva partecipato al Luther Blissett Project: nessuno poteva dirsene proprietario, ma ciascuno aveva contribuito ad arricchirlo. Tuttavia, luscita allo scoperto dei quattro ebbe anche altre conseguenze. Se, infatti, Blissett aveva reso, negli anni, onnipresente la propria assenza, gli autori di Q, una volta emersa la propria presenza (ovvero, la loro identit), immediatamente la facevano sparire, dichiarandone lirrilevanza. Se il volto sottoposto a morphing di Luther era apparso ovunque, il loro sarebbe comparso una sola volta, e mai pi; se Luther aveva parlato, discusso e firmato comunicati, loro, da quel momento in avanti, non avrebbero quasi mai usato il proprio nome di battesimo, n personalizzano unintervista; se Luther aveva mille possibili biografie, delle loro si sarebbe saputo solo lo stretto necessario. Tanto che, alle presentazioni di Q, preferirono mescolarsi al pubblico in platea piuttosto che impossessarsi della scena, cos come, durante ledizione annuale del premio Strega, assistettero da spettatori alla premiazione del loro libro. Tutto ci continuando a spostare lattenzione sul contenuto del romanzo. Sul quale, tra altro, non gravava alcun diritto dautore (come per le altre pubblicazioni blissettiane), venendo messo a disposizione online ed essendo introdotto da formula copyleft. Uninnovazione notevole, specie se si tiene conto dellanno di pubblicazione il 1999 , il fatto che, ad adottarla, fu una grande casa editrice, e che, contro ogni previsione, dopo pochissimo tempo il libro raggiunse tirature eccellenti, con oltre dodici edizioni e pi di duecen-

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tomila copie vendute. Insomma, la formula copyleft era il sigillo dellopera blissettiana: essendo il libro una grande ricombinazione artigianale di un sapere condiviso, i suoi contenuti non venivano bloccati da un unico, dispotico proprietario, bens rimessi in circolo. E, perci, tenuti in vita. Seppuku Lintroduzione, datata dicembre 1999, della seconda edizione di Tot, Peppino e la Guerra Psichica, si chiude con la celebre frase di Cary Grant: Meglio andarsene un minuto prima, lasciandoli con la voglia, piuttosto che un minuto dopo, avendoli annoiati. La domanda, a questo punto, la seguente: era possibile, per Luther Blissett, morire? Poteva, qualcuno, staccare la spina al mito, allo scadere del piano quinquennale iniziato nel 1994? La risposta, va da s, negativa: allalba del 2000 non fu Luther a fare seppuku, bens i membri storici del progetto, cio chi ne aveva utilizzato il nome per almeno cinque anni. C unenorme differenza tra seppuku e harakiri: lo harakiri consiste nel mero sventramento; il seppuku prevede che, dopo lo sventramento, un secondo officiante decapiti il suicida.23 Furono dunque le colonne del progetto a fare seppuku, per evitare fossilizzazioni e permettere ad altri di prendere il loro posto. In tal modo, se da un lato le molteplici manifestazioni del mito di Blissett avrebbero continuato a rappresentare un enorme bagaglio di esperienze a cui poter fare riferimento, dallaltro sarebbero state arricchite da nuove tattiche, messe in atto da chi, da quel momento in avanti, avesse deciso di adottare il nome multiplo, contribuendo alla metaforica decapitazione dei vecchi membri del
Luther Blissett, Ultimo!, 27 dicembre 1999, disponibile sul sito <www.lutherblissett.net>.
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progetto. Luther Blissett, simbolicamente, eludeva cos lultimo, possibile recinto: quello della sua stessa sopravvivenza. Si trattava, in fondo, dellazione tattica pi estrema, se si considera che una condizione di guerriglia permanente avrebbe inevitabilmente contraddetto la costitutiva fluidit dellagire blissettiano, il suo saper cogliere il momento opportuno, sferrare il colpo decisivo e, subito dopo, sparire nuovamente nella macchia. Perch unazione tattica deve sapersi mantenere mobile, essere pronta ad adattare il proprio stile di lotta a nuove condizioni e a nuovi terreni, essendo disposta ad abbandonare celermente le posizioni conquistate e, perch no, a venire superata, affinch si possa passare a nuove fasi dello scontro. Deve, insomma, essere disposta a darsi la morte: Non esiste un piano che possa prevedere tutto. Altri solleveranno il capo, altri diserteranno. Il tempo non cesser di elargire sconfitte e vittorie a chi proseguir la lotta. [] Possano i giorni trascorrere senza meta. Non si prosegua lazione secondo un piano.24

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Luther Blissett, Q, cit., p. 643.

Conclusioni

dobbligo a questo punto unammissione: quanto promesso in apertura del volume non si avverato. In fondo al percorso, una mappa del Luther Blissett Project resta unillusione. Forse, allora, meglio sfruttare queste conclusioni per fare qualche breve accenno alle mete raggiunte da alcuni di coloro che, tra il 1994 e il 1999, vissero in prima persona il percorso di Blissett, mettendone a frutto la reputazione per inocularsi, possibilmente contribuendo a modificarlo, nellorizzonte della produzione culturale italiana. Il riferimento va, per esempio, al collettivo Wu Ming, atelier narrativo metaforicamente partorito dal cavallo di Troia di Q, bottega artigianale di mitopoiesi, destinata a rinvigorire una memoria comune sulla cui base fondare un nuovo impegno. Proseguendo sulla scia tracciata da Q, i nomi di battesimo dei quattro autori sono noti da ben oltre un decennio, ma, ancora una volta, non hanno importanza: la scelta di ricorrere al marchio Wu Ming risponde allesigenza di praticare un anonimato ambivalente, inteso come presenza continua presso le comunit di lettori, trasparenza nei confronti delle reti sociali e al tempo stesso rigetto delle logiche dellApparizione.1 Estremamente presenti tra i lettori, disponibili al contatto diretto tanto nel corso di incontri, presen1

Wu Ming, giap!, Torino: Einaudi, 2003, p. 10.

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tazioni o dibattiti, quanto per via telematica, e allo stesso tempo lontani anni luce da qualsiasi inquadramento: Wu Ming stile, contenuto e presenza fuse in un unico fluire, che rende impossibile distinguere le storie, le sceneggiature, i brani musicali, dalle campagne dinformazione e dal sostegno diretto a una serie di cause. Lesperienza di Wu Ming rappresenta, probabilmente, leffetto pi evidente, anche a distanza di tempo, nato dallazione del Luther Blissett Project, rappresentando una realt sempre pi consolidata, capace di mantenere, per, la propria dinamicit, imboccando i sentieri pi disparati e continuando a raccontare storie che aiutano ad attraversare il deserto.2 Testimonianza concreta degli effetti terapeutici del virus di Blissett nel tessuto culturale italiano.

Ivi, p. 9.

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Vittore Baroni & Piermario Ciani Blissett Stamps, 1995

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Vittore Baroni & Piermario Ciani Blissett Stamps, 1995 Multiple Names, 2001

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Lammissione che apre le Conclusioni, sopra, non in verit completa. Manca di un tassello non trascurabile. Larticolo del Guardian del 2004 che ha aperto questo volume, e su cui si fonda il suo percorso analitico, infatti un falso. Falso nella misura in cui non mai stato pubblicato dal Guardian o da alcun altro quotidiano, n scritto da alcun giornalista. Falso perch incentrato su episodi inventati di sana pianta, per quanto, forse, verosimili. In compenso, lo stratagemma dei copertoni vero, o quantomeno dotato di un referente reale: alcuni Masai, in Kenya, indossano sandali realizzati recuperando copertoni in disuso. Anche il loro uso, per quel che se ne sa, non poi tanto dissimile da quello descritto. Si racconta, infatti, che qualche volta le calzature artigianali vengono utilizzate dai loro proprietari per rubarsi a vicenda gli animali, facendone sparire le tracce nella savana. Insomma, i contenuti del presunto articolo sono un collage di elementi parzialmente veri, completamente falsi o soltanto verosimili. Ma perch scriverlo? Ecco, lo racconto. Al primo motivo ho gi fatto cenno nellintroduzione: avevo bisogno di una struttura solida, che mi consentisse di avvicinarmi al Luther Blissett Project in modo pi agevole e sicuro di quanto avrei potuto fare se fossi partito dal materiale che Luther stesso metteva a disposizione. Considerati gli obiettivi di questo volume, infatti, fondare un discorso arti-

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colato in logiche sequenze di rapporti di causa-effetto sullo scivolosissimo terreno rappresentato dalle mille, contraddittorie manifestazioni di Blissett, sarebbe stato impensabile. Senza contare che io stesso fui preda per lungo tempo della sindrome cospiratoria di cui ho parlato: vedevo riferimenti a Luther Blissett ovunque, nel frame di un film, tra le pagine di un libro, nelle strisce di un fumetto. Tutto sembrava collegato, ogni elemento pareva rimandare a una trama superiore e inesauribile, e in un simile caos scegliere un punto fermo, un trampolino dal quale prendere lo slancio, era semplicemente impossibile. Ripeto: non potendo cominciare da una specifica epifania di Luther Blissett, e sapendo che ogni tentativo di dare uninterpretazione del progetto sarebbe stato inevitabilmente risucchiato nel gorgo da esso creato, non potendo essere altro che unennesima variante delle imprese della creatura multipla, avevo bisogno di un percorso parallelo, che, almeno inizialmente, si snodasse indipendentemente da Blissett, permettendomi di parlarne a partire da una posizione esterna. Per quanto illusoria essa fosse. Cos decisi: mi sarei servito di un elemento che, apparentemente, nulla aveva a che fare con Luther, usandolo come passerella sulla palude delle sue manifestazioni, in cui verit e finzione si mischiano incessantemente. In tal modo avrei potuto darne una lettura personale, senza venir immediatamente coinvolto nella moltiplicazione di specchi connaturata al progetto, a causa della quale del nome multiplo diventa possibile dire tutto e il contrario di tutto. Restando ben consapevole che anche la mia passatoia non sarebbe stata nulla pi che unulteriore versione del mito, e che prima o poi sarebbe sprofondata nel suo magma. Per, prima che ci accadesse, forse grazie a essa sarei riuscito a scrivere del perch questo sprofondare sarebbe stato inevitabile. Per quale motivo, allora, non utilizzare un vero articolo di giornale, scritto da qualche giornalista professionista? Lidea

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mi ha tentato a lungo. Tuttavia, ogni qual volta mi sembrava di aver trovato il pezzo giusto, ai miei occhi febbrili cos smaccatamente e inconsapevolmente ancorato al progetto, ecco che sempre incappavo nello stesso problema. Avrei s potuto servirmente sotto forma di citazione, ma la mia lettura era comunque destinata a restare aggiuntiva, artificiosa, seconda rispetto alleffettualit degli eventi riportati. Di segno opposto era la difficolt derivante dallutilizzare un racconto: che lo scrivessi di mio pugno apponendovi la mia firma, o ne scegliessi uno di qualcun altro, esso sarebbe stato irrimediabilmente falso, irreale, e la mia interpretazione sarebbe risultata forzosa tanto quanto nel caso precedente. E se fossi ricorso a un articolo scritto e siglato di mio pugno? Neanche a parlarne, il risultato restava lo stesso. E poi cera la questione della credibilit, non essendo io n uno scrittore n un giornalista accreditato e sorretto da un apparato di autorit. Per farla breve, cera un problema di recinzioni: potevo appropriarmi del senso che la mia condizione di lettore mi consentiva di individuare tra le righe di un testo, ma non mi era davvero possibile farne mio il contenuto, non mi era concesso riscriverlo e, esultante, gridare: Ecco Luther Blissett!!!. A chiudermi fuori dal recinto, sia il dovere di citarne lautore, sia quello di creare una discontinuit formale tra il testo dellarticolo o del racconto e la mia verbosissima prosa, frapponendovi degli apici che, inesorabilmente, lo avrebbero separato da me e dalla mia lettura. Anche se io, fra quelle righe, leggevo davvero Luther Blissett, indipendentemente dagli intenti del loro autore. Non pensai davvero di gettare la spugna, ma ci andai vicino. Poi, dun tratto, lilluminazione. Avrei optato a mia volta per un agire tattico. Perch non sfruttare a mio vantaggio proprio ci che rendeva reale un articolo di giornale,

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impedendomi allo stesso tempo di appropriarmene allinterno di questo volume? Visto che, a quanto pareva, un pezzo risultava credibile nella misura in cui era attribuito a un giornalista accreditato, e a un organo di informazione autorevole, realizzai che tali caratteristiche non dovevano necessariamente essere vere, ma che, in quanto autore di questo volume, mi sarebbe bastato sostenere che lo fossero. Mi sarebbe stato sufficiente mettere in piedi una storia tutto sommato verosimile, facendo appello a esperienze personali, vicende lette tra le pagine di cronaca e un po dimmaginazione, riassemblando il tutto in unoperazione di bricolage. Quindi, avrei semplicemente sostenuto che quanto scritto fosse la sintesi di un articolo pubblicato da un serio quotidiano meglio se inglese, considerati i trascorsi coloniali del Kenya , che ne avrebbe garantito e avvalorato la veridicit. Infine, potevo dare vita a una vicenda che, punto per punto, ricalcasse le tappe del sentiero che consideravo necessario percorrrere per arrivare a Luther Blissett. Qualunque cosa avessi scritto, qualunque analisi avessi fatto, allora, si sarebbe collocata sulla scia delle vicende di cui avevo reso protagonisti i Masai, mescolandosi nello stesso flusso della precedente narrazione, amalgamando comunicazione e metacomunicazione in un unico racconto, al cui interno si sarebbero fuse verit e finzione, pratica di osservazione e oggetto di studio. Cos facendo, avrei raggiunto un duplice scopo. Innanzitutto, come evidente, avrei potuto modellare in tutta libert un collage di materiali, letture ed esperienze, dandogli la forma di una sintesi che avrebbe risposto adeguatamente alla mia esigenza di trovare un punto di partenza utile ad affrancarmi, almeno allinizio, dal gioco di specchi blissettiano. In secondo luogo, avrei avuto lopportunit di mettere in pratica a mia volta gli insegnamenti di Luther Blissett, riattualizzandone alcune tecniche e, pi in generale, il modus

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operandi: avrei utilizzato le marche che sanciscono lautenticit di un testo in questo frangente, lattribuzione al Guardian al fine di rendere possibile credere nelleffettualit dei suoi contenuti, una volta assemblati secondo le mie esigenze. Avrei non solo eluso, ma giocato con le stesse recinzioni che, fino a quel momento, mi avevano impedito di servirmi di ci di cui avevo bisogno, dando forma, concretamente, a una piccola porzione di reale, per poi edificarvi il mio discorso metacomunicativo. Ovvio: perch questultimo avesse senso, distinguendosi da una comune lettura di un normale articolo di giornale, sarebbe occorso un ultimo passaggio. Al termine dellanalisi, avrei dovuto rendere esplicito lintero meccanismo su cui era stata fondata, in una sorta di personalissima rivendicazione della mia piccola performance tattica. Ecco allora la funzione di questo post scriptum. Che mi ha permesso di dare, sia pur in corpore vili, una dimostrazione di come sia possibile servirsi degli strumenti messi a disposizione da Luther Blissett, in un certo senso rivivendone la mitopoiesi.

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Finito di stampare nel mese di novembre 2013 da CLU -- Genova per conto della ECIG

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