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Qualche considerazione su un accoppiamento che sembra molto naturale ma che a me sembra presentare dei passaggi non cos ovvi

n trasparenti. Sia dal punto dosservazione delle donne psicoterapeute, sia da quello delle donne intese come pazienti (termine che non amo ma qui lo uso per intenderci rapidamente, diffuso definisce cos le persone che, cercando una relazione migliore con se stessi, vanno a lavorare con i professionisti chiamati terapeuti). Perch questa sfumatura di preoccupazione? Beh, quel che mi gira in testa che le donne, noi donne, ci accostiamo allesperienza chiamata terapia tutto sommato a passo lieve. Qualche ruga di ansia, il timore di scoprire chiss mai quali terribili cose al nostro interno, un pudore impacciato, certo, ma nella sostanza non unesperienza che ci risulta estranea. Gli anni dei gruppi di autocoscienza ce li ricordiamo bene ma ben prima e dopo di questi, in tutta la storia delle donne presente il confidarsi, lo scoprirsi, il rovesciare pensieri vuotandoli sul tavolo come se fossero il portamonete racchiuso nellincavo dei seni e poi riguardarli, rigirarli, le dita delicate e impazienti assieme che si accavallano nel comporre disegni e figure. Le donne, noi donne, scriviamo i diari, facciamo le telefonate, prendiamoci un caff perch ti devo parlare, ci raccontiamo e raccontandoci svolgiamo davanti ai nostri occhi il film delle emozioni, delle percezioni, dei nostri pensieri. Forse una delle nostre competenze pi abituali e diffuse, non a caso archiviata dai maschietti nella sprezzante categoria delle chiacchiere. Eppure, proprio da qui che vorrei prendere le mosse: troppo abituale, troppo diffusa, troppo femminile questa competenza, tale che non ci sembra davvero di dover fare un salto grandissimo entrando, come si dice, in terapia. E, allora, accade spesso che esattamente questa facilit di giocarci nel rapporto ci faccia velo alla necessit di un registro altro da attuare, praticamente sovrapponibile ma con un filo di differenza che lo rende sostanzialmente, radicalmente differente. Mi capitato spesso di sperimentare questa parete divisoria trasparente e in gran parte indefinibile ma chi i passato credo sappia che cosa intendo. Accade, allora, di trovarsi di fronte a una grandissima difficolt perch le parole stesse tradiscono il nostro pensiero accoppiandosi velocemente con la predisposizione abituale alla confidenza e nascondendo cos il salto logico e relazionale che occorre per entrare a pieno titolo nel rapporto terapeutico. Mi capitato di sbattere contro questa parete e di ristare sconfitta, le dita che accarezzavano e premevano e spingevano e tentavano invano una trasparenza infrangibile. stato allora che una donna mia coetanea, di grande spessore umano e intellettuale, mi ha lasciato dicendosi delusa della mia mancanza di coraggio nel seguirla liberamente, che unaltra, importante ed impegnata, mi ha bollato di volgarit, che quella ragazza un po invecchiata si risentita perch non mi ero preoccupata di chiamarla per sapere come stava dopo che aveva interrotto i nostri incontri. Evidentemente, il mio racconto sarebbe parallelo allaltro, ma non voglio tanto ora analizzare o confrontare i diversi resoconti di unesperienza vissuta in comune. In questi casi, e in altri ancora forse meno eclatanti o risolti con uno scarto che siamo state capaci di dare al nostro rapporto, comunque mi era sembrato di trovarmi di fronte a questa vitrea impossibilit di riuscire a intenderci. Esperienza piuttosto dolorosa. Ovviamente, lo stesso ostacolo possono trovarlo le donne che praticano questo mestiere dalla parte del terapeuta. Con la scioltezza dellabitudine, talvolta, 1

spesso, non ci accorgiamo che non ci siamo preoccupate della necessit di partire da zero e non da tre. Come accade alle nonne che non sanno imparare nuovamente dalle madri. Dice con intelligenza chiara Daniela: un capomastro, abile nel suo mestiere, pu arrivare a diventare pi abile, abilissimo, ma non ha lapertura delle opzioni di chi comincia da zero per imparare il mestiere. Ce lo ha raccontato Massimo Troisi, ce lo mostrano le linee che si divaricano: la maggiore apertura richiede una partenza non pi grande di un piccolissimo punto per una forbice ampia, generosa. Come dire che la predisposizione femminile a confidarsi una sorta di falso amico come accade nelle lingue vicine, sorelle? S, un po cos, tanti, mille punti di contatto che troppo spesso costringono a un accoppiamento che non richieda stupore, che scorra via facilmente. Da questo punto di vista, ben vero che gli uomini si servono con minore frequenza delle nostre pregiate professionalit ma, quando decidono di usarle, spesso accade che si accostino agli incontri terapeutici con una seria, composta attenzione a capire, vedere, adeguarsi a regole che pensano di non conoscere e, dunque, si predispongono ad imparare. Lavorare con le donne pi facile, sembra richiedere un grado minore di estraniamento dal nostro modo di essere persona eppure penso che sia pi scivoloso, che pi di frequente occorra testare se ci stiamo adagiando in un agevole rapportarsi di cui conosciamo bene dettagli minuti, sequenze, sorrisi, complicit. Lavorare con un uomo diversamente facile, c un gusto speciale nel riuscire a costruire con un uomo una intimit dintesa che non travalica il rispetto pudico per trasformarsi in complicit. Siamo pi avvertite, noi donne che facciamo le psico, quando ci rapportiamo con un uomo e, forse, lattenzione che dedichiamo rende pi semplice procedere assieme, senza slittamenti o sbandamenti verso registri incongrui con il nostro lavoro. E, ancora, tanto per non tralasciare di massacrarci aggiungendo difficolt a difficolt, lo stesso ambito terapeutico trascina verso un ruolo ben codificato da chiss quanto: basta ricordare i termini cura, rispetto, intimit, malattia, sofferenza, dolore, rapporto, disponibilit, conversazione..., termini che rimandano immediatamente a una cultura che tradizionalmente viene abitata dalle donne. Le mani fresche e leggere che consolano il sofferente, lesposizione delle piaghe da curare, lesperienza antica del dolore negli occhi di chi si prende cura, come non riconoscere i tratti delle suore cappellone negli ospedali, delle infermiere di guerra, delle madri, delle spose, delle nonne che proteggono e curano parlando piano fino a che il pianto si acquieta? proprio questo, appunto, il pericolo troppo trascurato, una professione cui le donne dovrebbero dedicarsi per naturale predisposizione, rischiando di non impararlo mai realmente ex novo, cui gli uomini possono dedicarsi spostando il loro polo naturale inclinandolo verso un universo altro dal mondo maschile, capaci, dunque, di cominciare ad apprenderlo ma rischiando, a loro volta, di fraintendere una necessit di adeguarsi a un ambiente che sentono pregiudizialmente aperto alle donne. S che nel tentativo di femminilizzare il loro intervento per avere il diritto di libera circolazione, finiscono per trattenere con redini forzate la loro mascolinit operando una sorta di devirilizzazione: atteggiamento un poco mesto e pensoso, voce controllata, spalle curve, un sentore di sofferenza tutto attorno. Impersonare la funzione paterna scivoloso per gli uomini quanto reggere la funzione materna per le donne ma si respira per gli uomini e per le donne una qualche tristezza di costrizione: quando ridono gli psico? Lallegria strumento da utilizzare? La sofferenza va omaggiata con il rispetto di un tono sottomesso? 2

Non sar che abbiamo bisogno anche nel nostro lavoro di cogliere e realizzare una pi attuale definizione dei sessi? Maneggiando con nuova e diversa attenzione lo scambio e lo scarto fra le nostre competenze date e le necessit richieste dallesercizio professionale? Potremmo provare a ricominciare a ragionarci con la spregiudicatezza che esige lavvento di un nuovo secolo, di un nuovo millennio? Magari giurando che lasceremo comunque (per un po) intatti i posti dirigenziali agli uomini?

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