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I S T O R I E ROMANE

DI

DIONE CASSIO
COCCEIANO
TR ID O TTB

D A G IO V A N N I V IV IA N I

TOMO PRIMO

M I L A N O
K d DALLA TIPOGRAFIA D e FRi FRATELLI SONZOGNO

1823.

I m presente edizione posta sotto la tutela delle leggi essendosi adempito a quanto esse prescrivono.

SOMMARIO DELLA VITA DI DIONE.

S I. Dioni diversi. 5 2. Nome , prenome e cognome i Dione. 3. Patria e padre di Dione , et del padre. 5 4- Adolescenza di Dione. Sua vita fino a Per* tinace. $ 5. Dione sotto Pertinace , Giuliano e Severo. $ 6. Soggiorno di Dione in Roma durante quel periodo. S 7. Primo consolato di D ione, non ottenuto se non sotto Macrino. $ 8. Dione sotto Garacalla e Macrino. 9. Dione sotto Alessandro Severo e fine della di lui vita. IO. Famiglia di Dione " , sua condizione e sna casa. II. Scritti di Dione. Vicende della ^ua istoria. la. Suo stile. i 3. Suoi pregi, suoi difetti. i 4- Osservazioni su le accuse date a questo scrittore. Giudizj portati sul medesimo. $ i 5. Edizioni e versioni delle istorie di Dione e di Sifilino.

TIPOGRAFI

FRATELLI

SONZOGNO
AL

BENIGNO LETTORE

da noi al suo termine l im pressione delle istorie di Giuseppe Flavi) e di Diodoro Siculo, ora ci acci giamo a pubblicare quelle di Dione Cass' \ Questo nobilissimo storico comparve la na volta r anno 1 533 nella traduzione ana di Niccol Leoniceno, non essendo stato per 10 innanzi edito n in greco n in latino. 11 lavoro del Leoniceno che poi rivide la luce nel i5 42 e nel i5 4 8 in 4 -* ed in 8 .* per le stampe di Vinegia, non senza meC
ondotta

vra
rito. Tuttavia giustamente disse Francesco Sansovino nella sua dedicatoria ad Andrea Dandolo, che la lingua nostra non era al lora in quel grado in che ella oggi si vede, onde il Leoniceno piuttosto volle mostrarci con parole non ben regolate la maniera di cos bell autore, che tacendo nasconderla. Francesco Baldelli segue il Leoniceno; e dal i5 6 4 sino al i5 8 6 noi contiamo non meno di otto edizioni di questo secondo volgarizzamento. Ma ci prova forse pi l amore che in quellet portavasi a simili studj che il merito suo, essendo esso fatto, a confessione del Baldelli medesimo, sulla versione latina, e in modo assai languido e contorto, e fastidiosamente prolisso. Terza ed ultima traduzione di Dione quella di Giovanni Viviani pubblicata in Roma nel 1 7 9 0 in quattro volumi in 4 ; e noi lab biamo preferita, s perch lo stile chiaro e facile, s perch formata sulledizione greco-latina stampata splendidamente in Amburgo nel 1 7 5 0 in due volumi in fo glio per cura di Ermanno Samuele Reimaro.

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Por la qual cosa contiene essa non sola mente i frammenti dei trentacinque primi libri di Dione che alle altre traduzioni mancavano, ma anche nel corpo dei rima nenti comprende quelle altre aggiunte ed emendazioni con cui il Reimaro dottissimo e diligente critico san il testo in molte parti assai guasto. Inoltre avendo egli steso un ampio commento trascelse il Viviani alcune note, ed altre ne appose egli stesso, come quello che traduceva pione nella m ^ o p o li medesima in cui e di cui gi scrisse lo storico greco e insieme romano consolo : E noi le abbiamo pur conservate. Ma non creda taluno che questa nostra sia una mera o al pi un elegante ristampa, perch nuove diligenze abbiamo usate on de cattivarci l aggradimento denostri asso ciati e del pubblico, e se non superare, attenere strettamente almeno le promesse nostre, e quelle del nostro genitore di onorata e dolorosa memoria. DifTatti oltre le tavole che servono ad ornare non solo ma a rischiarare il testo, vi abbiamo ag

giunto la traduzione dei nuovi frammenti che dopo r edizione del Reimaro furono editi nel 1 7 9 8 in Bassano dal chiarissimo abate Jacopo Morelli, ed una lunga vita di Dione, lavori entrambi deUeruditissimo cavaliere Luigi Bossi. N ci basta. La storia di Dione divisa in ottanta libri in cominciava coir arrivo di Enea in Italia e finiva collimpero di Alessandro Severo. I trenta ultimi libri pi non esistono, che nell rpifomq greca di Giovanni Sifilino la quale contenuta nel secondo volume del1 edizione del Reimaro. Ora questa mede sima epitome dal sullodato cavalier Bossi portata in italiano a preghiera nostra^ terr dietro a D ione, ed unita ad esso supplir in parte almeno a quanto dellintera opera ne ha tolto l ingiuria del tempo.

XX

V I T A
DI

D ION E

CASSIO.

t N o, uno, ma pi Dioni menzionati veggonsi presso gli antichi scrittori. D i un Dione incerto, ac cusatore d i Polemocrate, di un Dione Alessandrin o , eR un Dione filosofo , pure incerto , e di altro detto stoico , f a menzione Cicerone ; un Dione parla presso Platone nel Menesseno ; altro Dione accade mico alessandrino e capo d i una legazione spedita dagli Alessandrini a Boma contro Tolomeo Au lete , viene nominato dal Dione nostro, da Strabane e da Cicerone medesimo ; altro Dione filosofo ales sandrino, citato vedesi da Svida, da Zenobio e da Michele Apostolio ; gli Ateniesi un Dione spedirono legato a Teribazo, come da Senofonte s i raccoglie; un sonatore di tromba di Chio, che il primo ac compagn col suono il Bacchico spondeo , accennato vedesi da Ateneo ; note sono le opere d i Dione Cri sostomo di Prosa figliuolo d i Pasicrate ; un Dione Colofonio lodato viene tra gli scrittori delle cose agrarie da Farrone, da Columella da Plinio f al-

xa tro filosofo IRfeso neUe iscrizioni presso lo Sport ; M rt Dione d i Epidauro menzionato trovasi da Pausan ia , altro medico da Aezio e Galeno ; altro Siracusano j figliuolo di Jpparino e scolaro di Platone, celebrato da Plutarco , da Cornelio JVepote , da Stra bane , da Fozio e da a ltri, come sovvertitore della tirannide d i Dionigi il giovane. H Dione accademico alessandrino, probabilmente diverso e pi antico d i quello nelle accademiche quistioni introdotto da Cicerone , come diverso dalF alessandrino filosofo , e potrebbono altres registrarsi un Dione Diapiro rammentato pure da Ateneo al comico Timocle , un Dione A lesino, altrimenti detto Siculo , creato da Metello cittadino romano , un Dione Intralipte, ed altro Neapolko astronomo , registrati dal Fabricio. M a ad accrescere il numero gi copioso de Dioni <r uopo notare che alcuni concorsero, scrivendo o piut tosto ledendo malamente ne codici di Diogene Laersio , Dione invece di Dinone , padre di Clitarco ce lebre nelle storie di Alessandro, e cos pure si form un Dione di un Dio ('Dius ) , lodato da Giuseppa Flavio nei suoi libri cantra Apione. Singolare pure r errore di Sifilino, che il Dione nostro nativo di Pftcea, suppose in alcun luogo nativo o oriundo d i Pntsa. Dee pure iwtarsi che il Dione da Temistio rimproverato per F uso di parole dimezzate, non era certamente lo storico, cosicch altro scrittore d i egual nome emergerebbe. Furonvi alcuni altres, che il Dio^ ne Gissio, consolo sotto Alessandro Severo verso t anno uzg delFera cristiana, confusero con altro Diana-

xm Vasso consolo neW anno agi ; e mentre il Pancrolo, le dignit del nostro autore annwxiando, so ^ u n to aveva che finalmente f u consolo, il Pitisco con im^ perdonabile errore aggiunse di proprio talento , che stato ^ra consolo sotto Dioclcxiano. Inutilmente not fo rse il Tillem ont, che il Dione Coccejano diverso era dal Grisostomo , e due Dioni Grisostpmi fo rse vi ebbero , storico t uno , F altro autore di orazioni. II. Da tutti adunque que' Dioni deesi distinguere lo storico, che Dione semplicemente viene da molti nominato, specialmente da Svida, da Sifilino , da Eustazio e da varj scrittori della storia bizantina , non che nei fa s ti romani e nel corpo del diritto ci vile. M a numerosi trovansi i cognomi ad esso appli cati , giacch detto f u Cassio , Coccejo o Coccejano, JViceense , Istorico , da alcuni anche Cassiano , Cac ciano o Coccio, e sino Romano. Jl cognome di Cassio era il nome fam iliare o gentilizio, che gli antenati pro babilmente dello storico da qualche Cassio ricevettero, dal quale ottenuta avevano la romana cittadinanza ; cos il Dione ilesin o , del quale si gi fa tta men zione , Cecilio f u detto , perch alla cittadinanza am messo da Cecilio Metello. Non giova V andare fa n ta sticando sui Cassii dagli antichi storici celebrati, i quali nobili e ricchi furono nella Bitinia o in Nicea; giacche Dione stesso che alcuno ne nom ina , non ac cenna giammai che ad esso appartenessero ; quel co gnome deriv certamente allo storico dal padre sua Cassio j 4 proniano , che not\ si sa bene se per eredi taria successione lo possedesse, o primo alla fa n tin a

\T V

sua lo impetrasse. Non ripugna al modo di scrivere degli antichi latini il vedere promiscuamente nominato Dione Cassio o Cassio Dione, come Cecilio Dione no^ minavasi C Alesino suddetto. Noto non quale fo sse il prenome dello storico ; il Falcone arbitrariamente introdusse quello di Quinto; il cognome di Dione e di Coccejanof sembra allincontro dedotto probabilmente d a lt avo suo materno , Dione Crisostomo , il quale fo rse Coccejano si d isse, perch carissimo a Coccejo Nerva. I l Falcone suddetto pretende invero, che avo paterno quello fo sse , ma non si appoggia ad alcun fondamento ; Jigiiuolo di quello non f u al certo Cassio Aproniano, che non in P rusa, ma in Nicea abitava^ patria del Dione istorico. III. Lo stesso Dione nostro indica Nicea citt della Bitinia come sua patria. D all'A sia, scrive, essere egli venuto nella B itin ia , esservi caduto inferm o, e ri tornato col dopo il secondo suo consolato, avervi compiuta la sua vita ; in quella citt, dice pure, essere nato il meccanico Prisco. Vedasi per ci manifesta^ mente corrotto il passo di Sifdino , nel quale Dione vien detto Pruseo ; e se Zonara e Cedreno Romano lo appellarono, questo pot dirsi a ragione, perch cit-> tadino romano egli era , in JRoma dimorato aveva ed ottenuta dignit nella repubblica, finalmente perclu scritta avea la storia dei Romani. Cassio Aproniano era il nome del padre suo, che da Nicea , ove gi nato era D ione, trasferitosi in Roma e fa tto senatore, co me prefetto governate aveva la Dalmazia e la Cilicia, nel reggimento di questa assistito anche dal figliuolo.

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Su la persona altres di questo Apromano qualche con/isio ne negli scritti degli eruditi s inti odusse, perch creduto f u da alcuni padre di Dione altro Aproniano^ consolo nell'anno sesto di Adriaiio, il quale per Cas sio non era , ma bens Fentidio A promano, come da alcune lapidi presso il Grutero e il Fabretti si racco^ glie. A l vero maggiormente si accostarono il Jelando nei Fasti ed altri scrittori, che padre di Dione credet tero altro Aproniano, consolo esso pure con Bradua nell anno 191 dell' era volgare , con che ai tempi del Dione nostro si avvicinano. Ma a quell' Aproniano pure gratuitamente si applica il ncune gentilizio di Cassio, che mai nei fasti antichi, n in alcuna istoria o iscrizione j incontra ; n altronde da alcun monu mento pu raccogliersi, che consolo fosse il padre di Dione, il che taciuto non ^avrebbe Dione stesso, il quale con tanta cura la storia narr de suoi tempi. S i os serva altres, che Sijilino, bench amante spesso della brevit, tutte diligentemente conserv le notizie, che a Dione e ai congiunti di lui appartenevano. Forse l'A proniano collega di Bradua quello stesso, che a pro consolo f u creato dellA sia sotto Severo , e del quale Dione narra V ingiusta condanna cantra di esso as sente pronunziata nel giudizio di Plauziano e de suoi complici. Non pu dunque n pure ammettersi con A n tonio Agostino ed a ltr i, che al padre di Dione ap partenga il SenatuscoDsulto Aproniano, del quale si f a menzione nel D igesto, del Trebelliano parlandosi: se consolo fosse stato il padre d i Dione , e passMoquindi al reggimento della Cilicia > quella dignit oc^

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cupola avrehhe avanti il regno d i Cjommodo, non mai sotto Commodo stesso, giacch nella Cilicia ebbe a comi pagno il figliuolo , die durante l impero di Commodo mai non parli da Roma. Quel Scnatusconsulto ancora lodato vedesi da Paolo e da Ulpiano, vissuti V uno e V altro sotto Eliogabalo ed Alessandro Severo , il che serve a farne credere V autore piii recente delU et di Commodo. Rimane a dire alcuna cosa sulF et del pa* dre stesso d i D ione, il quale si f a vivere pi lunga mente non tanto da coloro che con Vantidio Aproniano lo confondono , quanto da coloro, che , un passo d i Dione interpretando, Aproniano suppongono preside nella Cilicia a lt epoca della morte di Trajano. M a non ben chiaro quel passo , e Dione altron de , narrando di essere stato compagno al padre nella Cilicia, esclude quella fa lsa supposizione, giacch un fanciullo non era egli allora, ma cura prendevasi delle cose pubbliche e consultava gli oracoli, il che basta ad indicare che egli era gi in et m atura, o alm eno, come alcuni opinano , d^ diciassette anni adulto. Ingatmossi anche il Tillem ont nello spiegare altro passo di Dione, allorch la prefettura della Cili cia sostenuta da Aproniano protrasse fino allanno 183 d i Cristo , che il quarto era di Commodo, avvegnach D ione, pai'lando di Condiano , di Massimo e di Se sto di lui figliuolo , mandati a morte da Commodo , narra che trovandosi egli in addietro nella Cilicia, ve dute afeva le figure simboliche presagitrici di quel fa tto dipinte in M a lli, delle quali per non avea potuto inm dovinai'e il significato se non dopo quelf avvenimetaa.

xvir
Dione altronde nel primo armo di Commodo gi era snatre, e le sue lodi nel Senato recitava, e le cose sotto quel regno attenute narra tome testimonio ocu lare, non mai sulla fedo altrui. Non abbandon adun que egli Roma in quel periodo , e futxo essendo, senatoj e avanti la venuta di Conunodo , mentre in et tro vatasi non minore d i venticinque anni, ne viene di conseguenza, che stato era alcuni anni da prima col padre nella Cilida sotto limpero di Marco. IV . Pu in questo modo con qualche fondamento ordinarsi la vita d i Dione, e eredersi nato a un di presso nell'anno i 55 dellera volgare, .il che si ac corda anche coll' epoca degli ultimi anni della sua vita. Imperciocch f u egli console per la seconda volta nell anno- 3 2 9 , oppresso dalla et e dalle malat tie la libert ottenne di tornare alla p atria , mentre vecchio gi era di settantaquattro o di settantacinqua anni- JVon ben chiaro se educato fo sse nella prima gioventt in JVica o pure in Roma , ove trovdvasi il padre suo ; cert bens che di buon ora dedicossi alle lettere, il che non solo da suoi detti si conferma, ma ancora dalle sue orazioni modellate su lo stile di Demostene e di Eschine, e dalla storia stessa, nella i/uale pigli ad imitare Tucidide. Sappiamo altres che da giovane tratt cause nel Foro, e che dalla lettura de^li scrittori attici attinta aveva quella venust del parlare > la quale soltanto si acquista con ottimi insegnamenti 0 con lungo esercizio. I dialoghi che egli introduce- nella sua vtoria tra Cicerone Filiscp , Augusto e L ivia , -grippa e Mecenate , ed altri interlocutori, provano
DtOMt, tomo / .

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che alcuna cosa imparata aveva egli della filosofia e massime della pratica, applicandola egli piuttosto alla fggia socratica agli usi della vita , ai costumi ed al redim ento della repubblica, che ad una sterile cor*tcmplazione, o alle, discipline matematiche e naturali : alcuno studio sembra tuttavia aver egli fa tto dell' jostrologia , deir arte d indovinare e d e lt interpretazione de sogni. Pi adulto , tutto si diede nella societ del padre al ministerp delle cose pubbliche , e quindi tornato in Roma dalla Cilicia, f u al Senato ascritto , regnando ancora Marco, o poco dopo la di lui morte, ma certamente avanti il ritorno di Commodo in Roma. JVn ampio trov egli il campo a distinguersi sotto quel pessimo imperatore ; soltanto durante il rgno di Pertinoce f u eletto pretore di provineie, giacch da prima coperte non aveva se non le cariche di pretore e d i ed ile, n alcuna dignit era stata ad esso conferita, nella milizia 'o nella amministrazione delle provineie. Dimorando egli tuttavia in Roma, occupassi sovente nel Foro a preservare gli amici suoi dai maggiori pericoli , e i momenti d ozio consacrava alla istoria, nella qutUo i fa tti narrava d i Commodo , stato essendone d i con tinuo, spettatore. Alcune inezie n eiu o i scritti consegn, del che' egli stesso scsossi colF all^ar^e che vduto avendo ed udito 'egli stesso tutte quelle cose, giudicato aveva non opportuno il tacerle. y . Dop r uccisione avvenuta di Commodo al cominciar delP anno 198 d] Cristo , Dione concorse nel. Senato alla elezione d i Pertinace, del quale nmico gi era da prim a, e da questo f u tosto eZe-

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voto per Panno segueite alla pretura. Sotto Pertinace f u deputato aW esame di un impostore, il quale Se sto Condiano dicendosi, carpire ne voleva la eredit; continu pure a trattare cause nel Foro , e spesso al tribunale d i Pertinace medesimo , peror cantra Giuliano. Mostr ^ l i net Senato d i essere pronto a condannare il consolo Falcone, che dai soldati era stato eletto imperatore ; del resto con Claudio Pompejano, Acilio Glabrione ed altri nobili, pass tra i fa v o riti. d i Pertimue medesimo , ^il quale affabile per natura, tutti con. dolcezza accoglieva, ed a fr u gali conviti ammettevali, o alttimenti alcuna vivanda loro inviava anche d i pochissimo 'cnto, 'riel fihe da alcuni deriso , da Dione e dai suoi -compagni, pi della virti amanti che della lussuria, grandemente era lodalo. Molto dovette affli^jersi Dion per la' uccisione di Pertinace e per la elezione di Giuliano; t odio suo tuttavia dissim ulando, ascolt nel Senato r orazione d i G iuliano, e recossi ancora a salutarlo alla d i' lui casa ; ma al tempo stesso delle di lu adulazioni verso il Senato diffidava, e la-morte ne augurava, fondato su V apparizione di tre stelle in torno al sole ; avvicinandosi quindi a Roma Severo , non dubit d i pronunziare capitale sentenza contra l usurpcUore , e creato essendo imperatore. Severo , a Pertinace decret col innato gli ' onori degli eroi. Spettatore f u del' magnifico ingrets di Severo, ed ai funerali d i Pertinace intervenne, mentre ancora as sunte'non aveva le funzioni della pretura. ' Un libro scritto aveva Dione dei prodigj e de ogni , nel quah

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promesso era a Severo il principato , e quelF impe ratore in molte lettere commendato ne aveva V autore, jillo ra fu . ^le Dione si credette quasi ispirato du Dio a scrivere la istoria de' suoi tempi ; raccolsa quindi le notzie che gi stese aveva del re^to d i .Commodo , e da altro sogno eccitato si credette - a comporre la istoria d i Severi e d i Caracolla. Fu da prima divulgata .la d i lui vita d i ^Commodo, e pia ciuta essendo questa sommamente a Severo^ determinos'si .Dione a ricercare e d ordinare tutte le cosa del popolo romano fino, dalla prima sua origine, inse rendo a Sito luogo la vita di Commodo. Narra egli al tres, che una Dea gli apparve in sogno, e che a queir impresa lo. anim , accertandole che quella nar razione sofferta non avrebbe dal tempo alcuna in giuria-. . Consum quindi dieci anni nel raccogliere i fa tti dei Romani dal cominciamento loro fino alla morte di Severo , e continu a scrivere V istoria per altri ddici a n n i, disposto ad a ttig n e r v i all'uopo i fa tti che in appresso sarebbero avvenuti. Da questo deduce il Beim aro, che morto essendo Severo nel mese d i febbrajo d e lf anno 9 11 d e lf era volgare , Dione cominciato avesse fino dalC anno 201 a dige rir le sue notizie -, e dopo la morte d i Severo con tinuasse a stenderle fino a lt armo aaa , in cui ebbe principio il regno-di jlessandro Svero ; opina altresi, che disegtmto ai>esse 3 i continiiare F istoria du rante la sua vita , ma che chiamato da Alessandro alle cariche pi sublihii ed al reggimento delle provincie , desistesse ^da quel lavoro, e solo alcuna cosa

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ticcennasse d i Alessandro e del popdlo romano in quell epoca., massime aggravato tifa n d o s i daW et e dalle m alattie, il che egli stesso annunzia a t prin cipio del libro ottantesimo d ell' istoria. Gi d a m oki anni doveva per essere uscita in luce la vita d i ConUnodo, chb Severo approvata, aveva ; perciocch insorta ssendo nel Senato una /iasione favorevole ad A lb in o , pigliato aveva Severo a rimettere in onore la memoria di Commodo, a rivendicarlo dalla igno minia , a tributargli divini onori, e persino tid ap pellarsi egli stesso figliuolo d i Marco e fratello di Commodo, nella quale occasione osato non avrebbe Dione d i offerire a Severo un libro in cui descritte erano te frivolezze non meno che i delitti d i Conimodo stesso. Da questo trae argomento il Jteimaro suddeUo a spiegare, per quale cagione Severo, che commendato aveva il libro di Dione , pi, di nuo\>i onori non lo rivestisse in appresso , quindi Diane medesimo quasi d i mala voglia intraprendesse a scri vere tutta la istoria rom ana, al che si disse da una Dea esortato^ Certo che eg li, raccolta ayendo la materia delle sue narrazioni, ritrae*^asi sovente a Capua , ove libero dalle pubbliche cure al suo lavoro attendeva. VI. Sebbene col cambiamento delle disposizioni d i Severo a riguardo d i' Commodo, svpnita fo sse in Dione la speranza d i maggiori dignit ,* tuttavia facile il provare che dorante pitto t impero d i quel principe Dione mai non abbandon Roma -almeno Italia, Chiamato non f u egli, bench guerre conti*

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nue ardessero, alla m ilizia, n mai spedito in alcuna provncia. Descrive egli bens la guerra con Nigrino sostenuta alle Fauci Cilicie, la situazione e le mura d i Bizanzio, l assedio di quella citt, il Bosforo e la Propontide '; ma non pu da questo dedursi chiaro argomento che egli a quella guetra e a quelt assedio fo sse intervenuto ; perciocch i luoghi della CUicia ove vissto aveva col padre, ben conosceva, e veduto aveva altres Bizanzio, e il Bosforo e la Propontide, regioni' non lontane dalla B itinia, ove egli 'era nato. Poteva egli dunque asserire d avere veduto quelle m ura, e le torri vocali, com egli le appella, e le notizie pi minute intorno alle macchine adoperate alla difesa d i gurlla citu, tratte aveva probabilmente dal meccanico Prisco suo concittadino, che qual novello Archimede mlti ingegnsi artijizj inventati aveva onde impedirsela espugnazione di quelle mura, e quindi la vita in dono ricevendo per clemenza di Severo, co struite gli aveva nuove mcchine nella guetm cantra gli Arreni. Se Dione vide le mura d i Bizanzio di roccate , come egli stesso asserisce,, non le vide se nn allorch and lella Bitinia con' Caracalla. Del ritnanerUe varf piMssi di Dione confermano , che e^li per lungo periodo non usci d i Roma : allorch Severo and alla guerra contro N igrino, designato egli era pretore.; quell(f carica sostenne nellanno seguente; ai giuochi saturnali interi>,enne in R om a, allorch imminente era la guerra contru .Albino ^ con molti senatori neutrale serbassi durante quella lotta; os servili in qWel periodo una pioggia cC ai-gnto , che

xxiir goduta si disse n el Foro di Augusto ; spaventato si mostr-dalle lettere d i Severo, scritte al Senato da che vinto era 'Albilto, nelle quali la mentoria d i Commodo si restituiva in onore, e dalle minacce da Severo reduce da quella guerra fa tte al Senato me desimo ; vide i disordini m td d i Plauziano ; vide un combattimento di donne; giudice sedette con Severo nella causa di Racio ' Costante ; spettatore f u della dote d i Plautilla portata solennemente intorno al Fo ro j e a q u el convito nuziale trvossi, cOme agli spet tacoli d i qulle nozze i^ rv e n n e ; ud nel Senato le parole d i Severo dopo luccisione di Plauziano; Iqd in quel consesso Evodo ; alcun timore nel Senato medesimo concep, adendo le accuse intentate a danno di Apthniano; pi. volte, f u giudice ton Severo ; dalle quali cose tutte evidnte apparisce, che mai durante il regno d i Severo non abbandonasse t Italia- Non ammette n pure il Reimaro, che Dione in Capua si trovasse al tempo delle nozze d i P la utilla , sebbene egli narri una eruzione del Vesuvio in quell occa-> sione avvenuta, e soggiunga che. lo' strepito ne f u udito fino in Capua ; giacch copie rtiai ' trovato si sarebbe egli in qm lla citt , se in Roma assisteva ai conviti ed agli spettacoli d i qulle nozze ? VII. M olti eruditi collocano il primo consolato di Dione sotto il regno d i Severo,, appoggiati ad un passo di quello storico, in cui, la . legge ricordando d i Severo contra gli adulteri, sembra egli fa r parola del proprio consolalo. M ai come il^Reimaro osserva, Dione parla sovente delle dignit da se dal padre

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suo sostenute y trasponendone noji-di rado il tempo ed il luogo: Cqs. die egli di essere stato prefetto delC A fric a , e quindi della Dalmazia e della Pan nonia superiore, onde mostrare di avere ben cono sciuti i Paitni ; tra gli uomini consolari si inchiude nella t'ita di Claudio , scjo a fin e di itdicare. ' che da Claudio quella dignit procedeva, e pcuiando della pittura dell' oracolo di AlalU, narra nella vita di Commodo di essere stat col padre nella Cilicia , mentre quella predizione era stata fa tta sotto il re^ gno di 'Marco. Pretore. eletta dicesi da Pertinace , non heir istoria d Pertinace medesimo, ma in quella d i G iuliano, onde fa r vedere che anche da questo f u onorato; e neila vita d i Severo ragiona tklle ori gini del N ilo , come ben informato d i quelle dai Macenniti vicini alla Mauritania j che egli govern non sotto Severo, ma sotto Eliogabcdo. Non pu dun que accertarsi, che consolo fo sse Dione la prima voUa rsotto Severo; e solo nel passo citato ei volle indicarey che. tre milq cause d adulterio erano'state sotto Se vero proposte, giacche egli nel suo consolato le ta vole pubbliche aveva potuto consultare , e conoscere quello che f a t ^ erosi a tempi d i quelt imperatore^ Noto che i consoli non eleggevnsi se non per la raccpmandzione degli imperatori: ma gi alienato da Dione era V animo d i Severo, per avere gli riv e le ^ le turpitdini di Commodo, n credere si po trebbe che, frenello dicendosi di Commodo medesimo. Severo onorare volesse Dione con quelCaltissima digni t. Dione stesso gi mal disposto mostratasi verso Se-

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vero , che come uomo truce, crudele c sanguinario descriveva ; la ferocia ne paventava, e menzogneri dichiarava i commentarj da quell' imperatore scritti della propria vita. Non trovasi altronde negli anticlU storici alcuna menzione di proconsolato o di pretura a Dione conferita, n di provincia al suo reggimento in quel periodo confulata , il che avvenuto sarebbe, se uscito egli fo sse sotto quel regno dal consolalo. S i aggiugne altres, che un uomo consolare non sa rebbe stato giammai spedito di l a qualche tempo da Macrino alle ignobili prefetture d i Pergamo e di Smirne. Vili. La prima volta usc Dione di Roma con Caracalla, non gi rivestito di alcuna crica militare, ma con alcuni altri senatori, che in apparenza dovevano essere consiglieri del principe , in realt rovbiarsi al suo seguito con importuno dispendio. La~ gnosi in fa tti lo stesso Dione , che in quel viaggio costretto f u coi colleghi ad innalzare a sue spese case fd ospiij per i viandanti, ed anche anfiteatri e circhi in mezzo ai quartieri, ed a somministrare fiere per le caccio e per gli spettacoli ; mentre egli e gli altri suoi eruditi compagni sprezzati erano, esposti alla tirannia dei soldati e di certo eunuco , chiamati tal volta, massime nei quartieri di Nicomedia, a giudica re verso l' a lb a , e trattenuti sino al meriggio , talora sino alla sera, senza essere neppure ammessi, non che salutati, nel vestibolo della residenza imperiale; giac ch Caracalla non attendeva che ad uccidere anim ali, a guidare carri, a combattere coi gladiatori, o ad ubDiofiEy tomo I.

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briacarsi coi soldati. In Nicomedia stessa Dione intervenne a un convito dato ai senatori, ed interpellato fu da Caracalla con alcuni versi d i Euripide allusivi al fatto; ma non sembra, che egb quellimperatore seguisse nella spedizione P artica, e piuttosto pu credersi ri mandato in Joma, giacche non trovassi ai giuochi dei gladiatori avanti quella guerra in Nicomedia celebrati. Pcu'la anzi degli avvenimenti successivi, come di cose udite o ricavate dalle lettere scritte al Senato da Antio chia, da Alessandria, dal campo sul Tigri; e cos pure dalle prime lettere di Macrino al Senato medesimo, e da altre fonti trasse le notizie del rivolgimento de soldati c del fa lso Antonino. Nasce alcun dubbio sul soggiorno di Dione in Roma verso la fine del regno di Caracalla ed il principio di quello di Macrino, dal vedere che quello storico dopo di avere narrata la sollevazione della flotta stazionata a Cizico, promossa da un semplice plebeo contra il fa lso A ntonino, soggiugne di averlo egli saputo dalla vicina Pergamo, al di cui governo , come a quello di Sm irne, era stat preposto da Macrino. Ma si pu opportunamente spie gare quel passo, qualora si ammetta che Dione al seguito di Caracalla, ben conosciuto da Macrino j nata essendo una sedizione dei Pergameni e fo rs'a n che degli Smirnei contra Macrino medesimo, fo sse chiamato da Rotna a riordinare lo stato di quelle due citt libere, e recato si fo sse col , mentre gi la fo r tuna di Macrino declinava. In quella prefettura, forse per la copia degli affa ri pubblici, rimase Dione lun gamente sotto il regno di Eliogabalo ; giacch par-

xxvn land della promessa delT impero fa tta da un genio che la figura vestiva di Alessandro il grande, ad Alessandro Sevetx> , cita un passo precedente^ nel quale menzionata aveva la prefettura di Pergamo e di Smime. Stortamente adunque credettero alcuni di potere dedurre da quel lungo soggiorno di Dione nelV A sia, che egli investilo fo sse di una piU vasta e pi. insigne magistratura in tutta lA sia stessa, provincia proconsolare ; avvegnach nell ultimo libro della istoria egli accenna'la sua destinazione al pro consolato deir A fric a , al quale passato non sarebbe, giusta il costume de Bonum i, immediatamente dopo di avere sostenuto quello deW Asia. IX. Narra lo stesso D ione , che dalla prefettura di Pergamo e di Smirne pass nella Bitinia , cio a Nicea sua p a tria , dove infermossi. Non torn dun que allora in Bont , ma per alcun tempo rimase in N icea, d onde pass al proconsolato delC A frica. Solo in queir epoca Dione fu sollevato alla dignit consolare , forse per la lode ottenuta nel riordinamento delle citt asiatiche, ed il consolato sostenne arwhe assente da Boma per cagiono di m alattia, co me pure lontano trovossi per altro motivo nel 4econdo suo consolato. Ebbe certamente a risorgere la di lui fortuna sotto Alessandro Severo, e colmato f u egli da poi di continui onori, e da una ad altra provin cia deputato. S i oper quel rivolgimento nella sorte di Dione, depressa in addietro, all'epoca della ado zione di Alessandro Severo, giacch Mammea madre di Alessandro divenuta allora potente, cominciato

xxAaii a\>cva a coltivare cd a conciliare a favore del figliuolo sito gli uomini probi j prudenti e periti delle leggi. Supponendosi adunque, che un triennio consumato si fosse da Dione nella prefettura di Pergamo e di Smirne, e che di l partito non fo sse se non alla met deir anno cristiano aai , in cui gi Alessaiulro adottato era da Avito e consolo designato per lanno seguente; o in queir anno medesimo o nel seguente sa rebbe stato consolo lo stesso Dione, e passato non sa rebbe al proconsolato dell'Africa se non se verso lan no 22^. Egli stesso ci inform a, che dall'A frica torn in Italia, e tosto f u spedilo nella Dalmazia; e tutto al p i , computato anche il tempo dei viaggi, pass un anno tra quelle due missioni. Pu credersi che egli nella Dalmazia, gi altre volte governata dal di lui genitore, rimanesse nellanno 226, e nel seguente si portasse a reggere V alta Pannonia. Torn quindi in Rom a, perch, avendo egli a severa disciplina as soggettati i soldati di quella provincia, i pretoriani, dati al lusso ed alla licenza , nullameno che il di lui supplizio chiedevano e quello di Ulpiuno prefetto del pretorio ; ma Alessandro le importune querele di que soldati sprezzando, di nuovi onori pens a de corare Dione. Fu egli dunque per la seconda volta consolo coll'imperatore nell anno 229 dell era vol gare, e consolo ordinario f u nominato nei fa s ti, nelle iscrizioni e nel codice, per avere egli solennemente celebrato il principio di quell anno coll imperatore collega , il quale caricossi egli stesso di quel gravoso dispendio onde sollevarne Dione, f olle tuttavia Ales-

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Sandro, che Dione durante il secondo suo consolato in qualche provincia dell' Italia si recasse, affinch i pretoriani irritati per il suo innalzamento , veden dolo di tutte le consolari insegne ornato, non lo ccidessero. Finito per il suo consolato, torn Dione in Rom a, e quindi passato nella Campania, trovossi coll' imperatore medesimo, e con tutta sicurezza si present alle milizie ; soffrendo per una malattia dei piedi t forse una specie di podagra, impetr dalt imperatore la licenza di tornare ai suoi la ri, cio a Nicea, dove tranquillamente visse sino alla fine de suoi giorni, e forse col di compimento alle sue istorie. Dalle parole di Dione stesso nella vita di Com X. modo e nei funerali d i Pertinace, pu raccogliersi che moglie e figliuoli avesse, laonde credette alcuno, che nepote di lui fosse quel Cassio Dione che consolo apparisce nei fa s ti sotto lanno di Cristo 291 , giac ch non potrebbe colla data d e lt ultimo consolato ac cordarsi l' et del di lui figliuolo. N ella descrizione della citt di Roma fa tta da un anonimo, pubblicata dal Pancirolo, parlandosi della regione decima, tra il tempio di Giove vincitore e la Curia antica si regi stra la casa di Dione, il che trasse in errore anche il Falcone ; ma presso Aurelio Fittore si legge invece domus Dionysii, e non si saprebbe decidere , se nei codici sia stata qualche lettera aggiunta al nome di D ione, o detratta a quello di Dionisio. Osserva ac conciamente il Reim aro, che se anche fo sse stata ijuella casa di D ione, a tutt altro Dione dovrebbe

XXX aggiudicarsi anzi che allo storico , perch menzionate veggonsi dall' anonimo le abitazioni piii splendide, e il nostro Dione, come la maggior parte dei dotti, non abbondava certamente di ricchezze. Il di lui padre, fa tto di recente cittadino, non aveva ottenuto n grandi dignit, n ricche provincie ; e Dione non era salito a cariche illustri se non su l estremo della sua vita. D el resto per lungo tempo uscito non e/'a dall" infimo grado de senatori, n altro aveva fa tto che trattare cause nel Foro; ed egli stesso, di Pertinace parlando, si colloca nel novero de cittadini meno agiati. Se anche fo sse stato fornito di ricchezze, consumate le avrebbe nelle spese esorbitanti, alle quali Caracalla obbligati aveva i senatori; e tanto di fa tto erano li mitate le di lui sostanze, anche dopo il primo conso lato ed il reggimento sostenuto d i molle provincie, che gi vedemmo dalV imperatore Alessandro Severo as sunte le spese del secondo suo consolato, a riguardo certamente della di lui povert. Si aggiugne altres, che a N icea, che egli casa, o patria sua appella, re cato non si sarebbe dopo avere sostenute le pi illu stri magistrature , se stabile e splendida esitazione posseduta avesse in Roma. XL Scrisse Dione il libro , gi da me accennato nel % 5 , d e ' Sogni e dei P r o d ig i , per i quali Severo aspirato aveva all' impero ; ma di quel libro non ri mane se non qualche vestigio in due luoghi della sto ria , ove di passaggio l autore ragiona d i que sup posti portenti, dal che pigli il Reimaro argomento di credere, che non degno giudicasse Dione quello

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scrtto dd inserirne una parte considerabile negli altri suoi libri. Gi si detto parim enti, che un libro scritto aveva Dione delle Cose di Commodo , che po scia inchiuse nel corpo delle sue istorie. Svida f a menzione di altro di lui libro delle Cose di Trajano imperatore, ma forse potrebbe quel libro attribuirsi piuttosto a Dione Grisostomo. Cos al nostro Dione at tribuisce lo stesso Si'ida un libro delle Cose Persiane, che il Falcone reputa doversi asa'ivere invece ad alb'o Dione, come scrittore delle Cose Persiane da molti antichi lodato ; a Dione Gfisostomo si aggiudica an cora pi opportunamente un itinerario da Swida attri buito a Dione Cassio , giacch quel Dione e non que sto via ^i lungamente presso diverse nazioni. Lo stesso pu forse dirsi della vita del filosofo jirriano, parimenti tra gli scritti di Dione registi'ata da Svida. Un libro pure delle Cose Getiche a Dione assegnano Svida non solo, ma ancora Giomande e Frecolfo. Filostrato per nelle vite de S < ^ ti, loda le Cose Getiche come prova della perizia di Dione Grisosto mo nello scrivere le- storie, e narra che nei suoi lun ghi viaggi and ancora tra i Geti. La grande opera di Dione F istoria dei fa tti del popolo romano. Svida e Fozio attestano , che in ottanta libri era di visa ; il primo narra altres, che distribuita era in decadi, come la istoria di Tito Livio. Non ben si conoscono ora i confini, o i termini dei libri di Dio ne , che vengono in seguito al sessantesimo, perch Sifilino nel suo compendio affett di assegnare cia scun libro alla vita di un imperatore , laddove Dione

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molti libri empiuti ai'eva dell' istoria d i uno solo. Comincia quella grandi opera dall' arrivo di Enea in Italia , e finisce co lf epoca e colle parole medesime , colle quali si chiude anche in oggi il libro ottantesi mo , il che si raccoglie da Fozio. Fino a Cesare \'e~ desi scritta f istoria con molta rapidit ; pi diffusa^ mente stesa quella degli imperatori, e Dione stesso annunzia di avere egli voluto minutamente descrivere le cose de'suoi tempi. Trovatisi anche negli antichi codici i sommarj decapitoli, ed i nomi de'consoli a ciascun libro prem essi, ma non sembrano opera di Dione medesimo , perch malamente sono scritti talvolta quei nom i, e in tutt altro modo che nell' istoria ; altronde non si sarebbono aggiunti quei nomi in un epoca, in cui noti erano a tutti i fa s ti consolari , e lo stesso Dione promette bens di nominal e neW istoria i con soli ordinarj, ma non gi d i registrare in principio i nomi loro. Da lungo tempo mancante di qualche pezzo la storia di Dione ^ che forse intera non ebbero n pure gli antichi. Sembra che trascurale fossero le cose ne' prim i libri narrate avanti f et di Pompeo , perch da molti e pi diffusamente trovavansi descrit te , e Sifilino stesso , sia che nel suo codice non le trovasse, sia che indegne le giudicasse di compendioy non promise d i esporre se non la storia dei Cesari. M a questa pure sottacque alle ingiurie del tempo , giacch mancante vedesi sul principio, qualora non si ami d i supporre, che un codice di Dione mutilo avesse alle mani lo stesso Si/ilino. S i vede tuttavia, che al di lui tempo ed anche pi ta rd i, in alcuni codici i

xxxin jfrinii libri trovavans, giacch da molti scrittori ven gono lodati, e alcuni fram m enti se ne espongono , viassinie nelle collezioni di Costantino Por/irogeneta e di Zonara , che forse l ultimo f u a %'edere il codice di Dione pi cohtpiuto, bench tuttavia mancasse di quel periodo che passa dalla terza guerra punica fino a Ponpeo. 1 pezzi interi che ora rimangono di Dione, cominciano da un frammento del libro ti'ente- fimo quinto , o secondo altri trentesimo sesta, e con tinuano sino alla fnte del libro cinquantesimo quttrto, col quale cessano tutti i migliori codici ed anche i pi antichi. Ti ovaiisi alcuni fram m enti del libro cin^ tfuantesimo quinto, ma non pu in alcun modo riem piersi una grande lacuna sul principio di quel libro , ( he da molli si reputa di dieci anni. Forse Diona d o li anno Jiojna fin o al ySy violte cose in un fascio riun , e n pure gli anni distinse , perch digiuni erano di fa tti. Oltre questa grande lacuna, interi non possono dirsi i libri dal cinquanteunio. quinto fino al sessantesiino, e il Falesia credette tutti que' libri abbreviati da alcuno, che egli non sapeva decidere se anteriore o posteriore fosse a Sifilino. N el libro sessantesimo manca alcuna parte, e twn si, trova neppure tra i fram m enti alcuna concatetiazionc^ n tampoco noto, a l dire del Fabretli, dove Dionefinisca e dove abbia principio - il supplemento di Si/if lino. S i creduto di riparare le lacune dei libri scttantesiniQ ottavo e settantesiiiio nono con un codica membranaceo antichissimo di Fulvio Orsini, ora della Biblioteca f ulicauaj ma in quello pure veggono ta->
D u k e , tomo I .

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gliate a mezzo alcune colonne, e dubbio rimane tutt tavia y se quefram m enti non sieno di mano di qual che compilatore, anzich dello stesso D ione, giacch digerite non vi si vedono le cose secondo V ordine degli a nni , n annotati, come altrove , i nomi dei consoli, ed altronde assai brevemente esposte sono le notizie, sebbene si parli di que tempi a cui Dione viveva. XII. Scrisse Dione in greco con purit ed eleganza di stile , conciossiach, letti aveva a quellintento gli ottimi scrittori attici; e lodato vedesi da Fozio come imitatore di Tucidide, e di questo pi chiaro ancora nella sua elocuzione. Fggonsi nelle sue orazioni imi tati altres i retori antichi, come Eschine, Demoste-, n e , e lo stesso Cicerone, laonde imitatore diligentisi simo degli antichi f u detto dal^' Emsteruisio. Per aU cune voci e fr a s i singolari accusato f u Dione da Ja copo Palmerio, quasi amante di idiotismi, ed infetto di quel vizio che patavinit f u detto in Livio ; pi opportunamente il Reishe lo accus forse di fr equenti latinismi; siccome per adottate avevano i Latini molta costruzioni e fr a s i dei G reci, cos i Greci altres, massime nel descrivere le Cose Romane, alcuni modi d i dire dei Romani stessi e alcune form ule usurpate avevano. Tutte queste accuse non valgono per ad escludere Dione dal ruolo de' migliori greci scrittori. XIII. Degna di fed e la sua istoria , perch nella parte antica per lo pi appoggiata agli anti chi monumenti, e nella pi recente alle osser\>azioni delF autore medesimo, o alle notizie che egli pot

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procurarsi dagli uomini piti istrutti. en distinto ve* desi lo stalo d e tf antica libera repubblica da quello del popolo romano ridotto sotto il giogo de Cesari ; perch in quello stato primiero le cose pi segate al Senato ed al popolo, e quindi negli atti pubblici riJerivansi , ma ne secoli successivi comindossi ad in Voduire nelle operazioni il segreto e quindi V arbitrio degli imperatori. Molte sono in questo periodo le cose ignorate o non rappresentai al vero, e Dione stesso le rammenta alcuna volta nel modo in cui divulgate eransi > solo d i retro aggiugnendo V opinione sua su ia loro credibilit, fondata su quello che letto, ve* duto o udito aveva. D i critica non mancava egli al certo , perch i commentarj delle cose loro scritti da jidriano e da Severo rigetta spesse volte come fa ls i o come sospetti. Ben di rado cita g/i autori, dai quali trasse le antiche notizie > sebbene veggasi che molti pigliato aveva da L ivio, da Cesare e da Svetonio ; . ma da qualunque autore desunti si ravvisino i suoi racconti, egli ha cura di vestirli in una manier'a tutta propria. Molta fiducia si pu riporre nette narrazioni, che egli f a delle cose d suoi tempi avvenute. > giac ch senatore egli ed investito di varie magistrature > pot a fondo conoscere quello che in Roma facevasi; vantassi egli di fa tto che alcun altro scrittore non poteva con eguale accuratezza quelle cose medesime osservare. Merita pure Dione grandissima lode dal lato dell ordine e della serie cronologica, per avere il pi delle volte notate le epoche deifa tti, nominando dovunque i consoli f e dal lato ancora della geoff'a

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ja , perch con singolare perizia i luoghi ilistinse, di gran lunga in questo ad Erodiano supcriore. Cono scitore non volgare do\^ei>a egli essere delle cose n/na ne , e specialmente delle civili relazioni, e quindi gran nuiestro della politica da alcuni f u reputato. Di molte notizie altronde delle varie leggi e di alcuni riti dai Romani praticali, debitori siamo al solo Dione^ senza del quale perite sarebhono per sempre quelle memorie ; ed ove si confronti la di lui istoria con quelle di Erodiano e degli scrittori della Istoria Augu s ta , si trover che non solo quella pi copiosa e fin ita , ma anche con migliore ordine e maggiore di^ ligenza disposta. Non esente tuttavia dee credersi queir opera da difetti : err Dione spesse volte nel narrare le cose pi antiche i e quindi Giusto Lipsia disse non dovere in quella parte leggersi senza cri* terio ; err alcuna volta quello scrittore anche nei nomi, ponendo, per esempio, Castore in vece di Dejo~ taro, Erode in vece di Archelao, ' Artahazo in vece di Arias sia, e spesso ai figliuoli attribuendo il nome dei padri loro. Pu eziandio rimproverarsi Dione ( io direi piuttosto V indole de' suoi tem pi, la sita educazione e la societ nella quale egli viveva ) , per la menzione troppo frequente che egli f a d i prodigi, di sogni e di predizioni del futuro dagli Dei comuni cate ; e non opportuna n esatta io trovo la osserva zione troppo severa del Reim aro, che sebbene un storico possa rammentare le superstizioni umane, stret tamente coUegate col tacconto dei fa t t i , tuttavia sce vro egli debb essere da queste vane persuasioni} il

xrxyn che solo potrebbe avverarsi nel caso, che nella pa tria dello scrittore la superstizione non form asse la essenza della religione del popolo. Notarono alcuni, che molte ecclissi del sole o della luna trovansi da Dione riferite, le quali per ragione del tempo in cui diconsi avvenute, non bene si accordano coi calcoli astronomici ; ma questo un rimprovero, che pu fa r s i a tutti gli antichi scrittori e ad alcuni altres dei pi recenti, come io ho fa tto vedere nella mia Storia di Spagna ; e non del tutto fu o r di propo sito V opinione di alcuni moderni, che Dione ed al tri , come ecclissi riguardassero il passaggio di qual che nube che quegli astri oscurava. A ltri si dolsero, che troppo minuto fosse Dione nel descrivere i giuo ch i, gli spettacoli, le gozzoviglie ed altri deiirj degli imperatori, in mezzo alle cose piU gravi ed alle pi profonde considerazioni politiche; ma forse voleva egU con que minuti ragguaglj meglio indicare il peculiare carattere de principi. Con migliore avvisamento f u Dione ripreso da molti della sua imperizia nette cose m ilitari, per la quale cagione riemp spesso di vane fr a s i e parole le relazioni delle battaglie; disse per ci il Casaubono , che nei racconti delle guerre farsedir che, o filippich e, o altre sim ili, molta eloquenza trovavasi e niuna cognizione della tattica. Egli e vero altres, che qualche volta Dione lo stile dell' oratore a jfelta , anzich quello dello storico ; il che pero ap plicare non deesi alle bellissime allocuzioni che egli nella sua istoria inser, la consuetudine seguendo de gli antichi, e delle quali forse alcune trasse dagli

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scritti di que medesimi, che, pronunzitUe le cubano. Zm fu g a di Pompeo e de' suoi seguaci da Roma ; la pugna avvenuta tra Augusto ed Antonio, come quella pure in cui f u vinto Sesto Pompeo ; V incendio del Fesuvio sotto T ito , il tremuoto che ruin Antiochia sotto T rajw io, sembrano descritti piuttosto con poe tica liLcnza, che non colla ingenuit e colla gravit proprie di uno storico. Non pu n pure commendarsi D ione, laddove con aperta malignit le azioni cen sura di Cicerone, di Seneca, di TUjo e d i altri cele bri personaggi. XIV. / difensori di D ione, di alcuni errori e del trcvolglmenfo di alcuni avvenimenti accusano Sifilino, il quale, studioso soltanto di abbreviare , storpi al~ cuna volta i fa tti e fece torto al vero. G li scrittori altres, che per ordine di Costantino estratti di Dione compilarono o intorno alle legazioni, o intorno alle virt ed ai vizj, il contrario talvolta esposero di quello che scritto aveva V autre, del che il Reimaro ad dusse non pochi esempi. CorroUi debbono parimente reputarsi molti codici per la negligenza de' copisti o de' librai, ed a questi probabilmente debbono attri buirsi gli errori avvenuti nei nom i , dei quali si di sopra parlato. Che dirassi poi , soggiugne il Reimaro stesso, degli interpreti, i quali nel tradurre Dione molti errori inserirono e molte cose, che Dione non aveva n pure sognate ? Non approva egli per le ac cuse cantra la cronologia di Dione tentate dal Petapio, dal Baronio e dal Riccioli, giacch migliore essa trovasi d i quella dello stesso Giuseppe Ebreo, e gi-

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ftifMta f u pienamente dal Fforis nelle 'sue osserva^ zioni su i Cenotafi Pisani. Troppo severo parimenti cantra Dione mostrassi il Dodwello, ma si ingann egli fo rse , seguendo ciecamente Lampridia, n alcuno pu con esso consentire, l dove come scrittore avverso a Trajano accusa Dione, il quale le lodi pi ampie pi illustri a Trajano impart. Credette anche Sifilin o , che per timore a per adulazine de' Cesari, avverso si mostrasse Dione ai Pompejani, a Bruto ed a Cassio : osservano per altri scrittori, che tale era in quellepoca il comune sentimento dei Romani, e che Pompeo imprudenza si accusava, mentre da tutti riconoscevasi che V ediftzio della repubblica, scossa dalle intestine discordie e gi ruinoso, risto^ rare non potevasi se non sotto t impero di un solo. A Cassio ed a Bruto rimproveravasi lo avere di mMvo involto lo Stato , gi quasi tranquilla , ne tu multi e nelle guerre ; e Dione non pu essere tac ciato di parzialit, giacch i vizj riprende anche de g li imperatori che beneficata lo avevano, come d Pertinace e di Macrino, e di alcuna lode non adorna Alessandro Severo , che pure mostrato crasi degna di altissima commendazione. Studiansi parimenti cd^ cuni di scusare D ione, acerbo spesse voltie versa di Cicerone e di Seneca ; forse , dicono e s s i, censurate erano alcune azioni d i quegli uomini insigni, che Dione imparziale tacere non vallek forse si avvis di rivenUcare V onore della eloqueraa e della filosofa, ai suoi Greci, i Romani a vicenda deprimendo. Certo che giudizio favorevole di Diane portarono il Fai-

XL cane nei prolegomeni alla edizione sua ^ i quello scrit tore , il Passio, il Tillem ont, il la Motte le F'aya", e pi di tutti Giovanni Alberto Fabricio nella sua BiL]iot<ca Greca. XV. La istoria di Dione f u per la prima volta pub blio:ala in greco da Roberto Stefano nellanno i 548; la versione latina di qualche frammento era gi stata pubblicala in Italia nel secolo x r. S i videro da poi le edizioni latine di Xilandro e di Leunclavio, e lo parziali versioni dell'jiurispa, di Celio Secondo Ct^ rione, dei Freinsemio, del Meermanno, di Giovanni Pino o piuttosto Dupino , e del M erula, giacch d i Francesco Filelfo altro non pub dirsi, se non che il disegno conceputo avesse di tradurre Appiano o Dio~ doro Siculo o Dione. Enrico Stefano, e quindi il Leunclavio ed il Falcone, pubblicarono edizioni greco^ latine di quello sttirico] fram m enti greci o greco-latini del medesimo produssero altres Fulvio Orsu, En~ rico Valesio , Giacomo Gronovio ed il Falcone sunnominato. Lo Xilandro , i fra te lli Uguetani, Obadia Oddey e Scipione M affei nella sua Storia Diploma* tica, promesse avevano o disegnate edizioni greco~ Jatine, che mai non compaivero. In italiano f u Dione tradotto da Nicol Leoniceno, e stampato in Vene zia fino dal e pi volte in appresso; da Fran^ cesco Baldelli di Cortona, la di cui versione f u pub blicata in Venezia nel i 56a o 6 3 , e recentemente dal Viviani ; in francese f u trasportato da Claudio Moserio, sul testo per italiano del Leoniceno, e da Francesco Belleforest, il quale soltanto Vaduss le

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frazini n d ld stH inserite. V epittnt d Sifilina J ti stampala ila Roberto Stefano in greco nel i 55i , in latino da Guglielmo le Blanc nelC armo medesi mo ; e da Giorgio M enila gi era stato pubblicato in parte tra gli scrittori della storia Augusta stam* pati da A ldo nel i 5 i 6 c i S i g ; in greco ed in la* tino forse dallo stesso Roberto Stefano , e certamerUa da Enrico f che nel Spa riprodusse la versione del le Blanc ; finalmente dal Silburgio b'a gli scrittori greci minori della Storia Romana. I l Baldelli volt pure in italiano Si/ilino, ed Antonio de Bandole a Lodovico Cousin ne diedero traduzioni francesi; avvi altres d i quel compendio una traduzione inglese del Manning ed una tedesca disponevasi da certo Stiegehnuse. Il Boecle.ro in una singolare dissertazione > Giovan Seobaldo l'abricio in altra dissertazione sto rica, il Reimaro in una lettera al cardinale Quirinif il Quirini stesso in due lettere al ReUnaro > ed in ti e oltre lettere il moidicse Scipione M affei, eriulita* mente Copera di Dione , i dii/ersi codici e le piti re centi edizioni della medesima illustrarono. Sopra tutti porta la palma il Reimaro ^ che la pi compiuta e la piti bella di tutte le edizioni di Dione greco-latina ci diede colle stampe di Amburgo dell' anno l ya a , i> tomi due in folio. I giornali di Lipsia ed altri fo g li pubblici, sulla fine del passato secolo ed anche nel i8 o 8 , annun- ziata avevano una nuova edizione che si stava prepa* rondo da prima da Abramo Giacomo Penzelio ^ poi 4 a Federico S ta rt, editore di altri scrittori G reti;

iL ll ina non si fin <ju veduta V esecuzione di queJ{ promessa. Sulla edizione pregevolissima del Reimaro vedasi fa tta la traduzione gi accennata di Giovanni viani j che in Roma fu pubblicata nell' anno 1790^ e che ora da noi, come piti dell' altre fedele e pitc nitida, viene riprodotta. Il Fiviani alcune note critiche a corredo del testo trasse dai comenti del Reim aro medesimo, e tradusse altres i friunm enti Peiresciat^ Lemiclaviani e Valesiani, che premessi veggonsi a l primo volume del Dione magnifico di Amburgo. M a non ebbe egli notizia d i due preziosi fram m enti, d a l prestantissimo filologo Jacopo Morelli > bibliotecario della Marciana di Venezia ^ scoperti in un ottitno codice del secolo x t , che tra quelli donati d a l celebre card. Bessarione a quella insigne Biblioteca* Questi pubblicati non furono se non nellanno 1798 colle stampe Remondinine di Bassano, e in questa edizione si giudicato opportuno di inserirli al loro luogo > ove servono se non a compiere almeno a lo^ cupletare il testo Reimariano. Si pure aggiunta la intera versione della Epitome di Sifilino, dai romani editori delle istorie di Dione interamente trascurata. A compimento di queste notizie giover per ultimo avvertire, che da Federico Sehoell stato annunziato nell anno 1808 trovarsi tuttora molti frammenti inediti di Dione nel cdice c c c x tr della Biblioteca Sangermaniana, quello stesso dal quale trasse il Filloison il suo Apollonio. Que fram m enti sono col inceriti in un lessico, del quale Montfaucon ha pu^*

X IIII

blicato il principio ; ma sono per la maggior parte brevissimi, e spesso non formano unintera linea, Alcuni fiam m enli di questa natura yeggonsi pure pubblicali dal Morelli unitamente ai due importan tissimi che si sono tradotti; m a, non servendo essi se non a fornire al pi alcune note grammaticali, si sono da noi omessi, siccome non giovevoli alla sto ria , a ir amplia^ione del testo, alCoggetto della Col-> fona.

FRAM MEN TI
DELL ISTORIA ROSIANA

D I

D I O N E

TRATTI DAI PRIMI TRE^TAQUATTRO LIBRI.

I. F r a m m e n t i d i Dione da v a r j autori raccolti p er opera d i Enrico Vaesio in seguito agli E stratti Peiresciani^
I. T 'R I B come un trente , o sia tema parte. In fatti avendo Romolo tre mila aimati , come dice Dione nel primo libro della sua istoria, furono que sti da lui divisi in tre p a rti, le quali si chiamavano trib , cio trienti j ed i Greci le chiamano anche phjlas. Ciascheduna trib fu distribuita in dieci cu rie, o sia frontisterj; mentre la parola greca fthrontis significa cura ; ed in faiti radunandosi per curia
(i) Co detta da Fabrioio Peircsci*.
ViODt, tomo I.

a jtsKi coloro , i quali alle respeltve curie erano ascritti, Eoxj curavano gli affari , eli erano vantaggiosi. Le curie vengono dette dai Greci anche phratrie, o phatrie , ( rjuasi compagnie , confraternit , societ , collegj ) , perch in facolt di quei , che la curi^ compon gono , r esporre , ed il dichiarare a vicenda senza temenza e paura i proprj pareri. ( Quindi phr<tto~ res sono quelli che hanno la curia comune , i pa dri , i cognati, i maestri. ) Forse anche questo oonic si tratto dalla voce latina frater (i). II. Dione romano (2) racconta, che un certo eroe per nome Giano , per aver ricevuto ad ospizio Sa tu rn o , n'ebbe in dono la cognizione delle cose fu ture j e passate j e quindi si finge di due facce dai
( 1 ) Trovati questo frammento nel Gloisario Nomico pubblicate dal Labbc , e tu quindi fia altri riproilottn eoa molle scorrexioui . sebbene pi copioso. Dubita il Reimaro della autenticit delle nnor'f aggiunte, e per si veggono o d testo circooscrtll*. Uu Italiano, Nic col Carniinc Falcone , lusingalo erasi con questo frammento di por ter esporre non solo alcuni.altri del libro 1 . di U ione,ina anrbe i| Dione intero , nel che per non riu sr, o questo frammento medes.mo produsse mutilato. Sia questo rifeiibile ai tempi di jVtvua, come reputollo il Cedreno, sis) , cotne credette il Falcone, i( principio della istoria I>ioDana ceno i che pucbissimo lume somministra alla istoria, e di molli dulihj posson'j proinovcrsi intorno alla sua au leniicil , giacchi alcune giunte , com osserva to stesso Reimaio , serilte simbr.-ino elio siile de'ijlossatori. (a) Cosi cbiaoiavasi Dione per avere scritie le cose dei Romani 5 mentre la sua patria era Nicea in tiiinia , oggi chiamala Isnich.

?
Romani , e da lui viene denominato Gennnp , c da questo mese si prende il cominciamento dell'anno (i). UI. Enea adun<ue dalla Macedonia porloss in It;iJia ^ elle anticamente si chiam rgssa , e dipoi Salin'> aia da Satui-no ( pei Romani Saturno il Tempo ). quindi Ausonia da un cerio Ausoae , e poscia Tirreuia : in seguito fu nominata Italia da Italo , o da tino dei tori di Gevicue menati via da Ercole ^ il qual toro pass nuotando da Reggio nella .Sicilia, e nel territorio di Erica re degli Elimi , e figliuola di Kcttuno (a). In fatti i Tirreni cliiamatio il torollalo; per Io che rcsl alla regione il nome d'It.iia (3), Jo-.c primieramente regn Pico j e dipoi il di Ini fisHnoV) Fauno , nel qual tempo venne Ercole con gli aliti ai-meuti di Gerione, c dalla moglie di Fainio gcnci Latino. Costui olleunc il regno sopra il medesimo Inogo , e da esso i Lalini tulli presero il nome. Queir Enea poi dopo l eccidio di Troja , cin quanta anni dopo Ercole venne , come dicemmo , iti Italia, ed ai Latini , avendo seco Ascaoio, o sia
(i) Questo frammeiXo fc Iratlo crooiic di CeikBo. (a) Elimi o Elimei direvaiiM coloro che ahItaTjiio i( campo di Erice io Sicilia non lungi dl promontorio Lilibcu. (3) Anche Dionigi di Alicariiasso, Apnilodnro, Varrnne e T/otzoMseritcono l Italia coti delta dapl Jlati o ia dai Vitelli, l>enclic l'ultim o di qurgli crittori proponga allre.<i I opiioikr , d ie i|iu-l nome derivato sia di qnello di un nomo d o to italo , srntcnza ch<v dal CloTerio k stala come pi probabile ahhiacciata.

^Ki ]|q figliuolo di Grensa , ed approd a Laurein to (2), che con altro nome chiamasi T io ja , pressa .al fiume ^umicio (3). Stando quivi a mangiare i suoi compagni ad una mensa formata di seiino, o veramente di pezzi di pane molto duri ( mentre noa avevano altre mense ) (4) , ed una scrofa bianca uscita dalla di lui nave pai-toriti avendo trenta por. celletti sul monte che in seguito fu chiamato Alba no , per mezzo dei quali veniva a significarsi , che dopo trentanni i di lui figliuoli acquistata avreb bero una regione migliore, ed una pi grande pos sanza ; esso allora, avvertito gi prima dalP oracolo di cosa si fatta , pose fine ai suoi viaggj, e sacrifi cata la scrofa cominci a fabbricare una citt. La(i) Quest' Ilo si cliiacnb poscia Ju/iu, yirg . jEruid. Hb. i, w. 3 6 7 , Wam puer Ascanius , cui nunc eofnomen Juto jid d ilu r, J/i*t erat , d u n res stelit Ilia regno. (a) Aiiiene anche ia oggi il meilesimo nome. (3) Al presenle tien dello Rivo di Memi, ed nn fiumicella nella Campagna di Roma, che nasce dal lago di Nemi. (4) Questo passo b molto oscuro, subbeue di un rito eguale &cciano meoiione Dionigi d'Alicamasso ed Aurelio Vittore. Costu.. murano gli antichi di preparare le mense con una crosta di pano d o r i o . che s imbeveva del grasso de cibi o de succhi delle vi-> vando, e di questo trovasi fatta menzione da Ateneo e da S tra bene. Ma non si saprebbe facilmente spiegare , come in questo luogo entri I indicazione le mente selinine, mentre il setino s iutcrp re u da alcuni lessicografi greci la pianta da Plinio nominata A iipio. Forse migliore avvisamento quello di alcuni critici, i quali invece di selno leggono (e/(Ho,i[cfae significherebbe un pane (atto di fienogreco , o anche di qualunque sona di legumi o di farro. Presso Svicia per e presso 1' etimologo , setta o u lta non che noa vola spaziosa , sa la quale i paneiueci dispoofoua i loro pani.

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Uno per non soffri questo con pazienza ; ma poi superato in guerra da Enea diede a questi ia mo glie la propria figliuola , dalla quale il medesimo Enea pose il nome di Lavinia (i) alla citt da lui fabbricata. In seguito essendo periti Latino e Turno re dei Kutuli (a) in una guerra fattasi a vicenda , Enea ottenne il possesso del regno. Dipoi essendo morto anche Enea in Laurento nella guerra , che i toiedesimi Rutuli , e Mezenzio tirreno aveano mossa ^ d avendo lasciata incinta la moglie Lavinia, Asca> nio figliuolo dello stesso Enea e di Creusa s'im pa dron delle cose ; e mossa la guerra contro Mezen zio, lo vinse col riportarne una giusta vittoria, non avendo costui voluto ricevere gli ambasciatori, ma bens richiedendo, che tutta la regione di Latino ad un annuo tributo fosse soggetta. Ma essendo ormai i Latini cresciuti in ricchezze e potenza, e I' anno trigesimo facendo rigermogliare P enimma della scro< fa , eglino allora posta in non cale Lavinia, fabbri carono un altra citt, la quale dalla scrofa bianca chiamaronla Alba Lunga (3), ed Albano (4) vicino monte. Rimandarono poi a Lavinia i soli simulacii portati da Troja. Morto che fa Ascanio , non suc(i) l a oggi chiam ui s. L oreoto, piccola club D ella Campagna d Aoma. (3 ) Questi abiiav aD O la parte marittima d e l Lazio. (3) Oggi Albano, b e n c h non aia precisamente nel medesimo luogo, dov era Alba Lunga; ma piti T e rs o il ttenthoo*, vicino > Castel Gandolfo. (4) Al presente cliiamasi Monte Caro.

ce^lclte nel regno il suo figliuolo Giulio ; ma Silvio ' liglio di Enea e di Lavinia , o secondo altri Silvio figliuolo di Ascanio. Silvio poscia succedette u a altro iikica , a questi Capi j Capi il figliuolo TiLerinu (i). . Fin (jui sonosi esposte le cose di Alba , e degli Albani ; passiamo adesso alle Romane. rentino (9) gciier ]\iiniitoie , ed Amulio ; ma Amiilio discacci dal regno Numitore, che n' ei'a al possesso , ed uc-< else alla caccia Egeste figliuolo del inedesirao Numitorej e Silvia, 0 Hea llea (3), sorella di Egeste e fi gliuola del predetto Numitore la fece sacerdotessat della dea V esta, acci conservasse una perpetua Tergiuit ^ temendo di un oracolo , che aveagli annuu/.ialo , che sarebbe stato ucciso dai figliuoli di iVumitore. Questa adunque fu la cagione , per cui tolse di mezzo Egeste, e costitu Rea sacerdotessa di Vesta ) affinch cio rimanesse vergiue e senza prole. Ma costei essendo stata resa gravida nel bo sco di Marte, mentre era andata per acqua, partor Romolo e Remo; e per la medesima interced la fi gliuola di Amulio , acci non fosse condannata alla morte. Quei pargletti poi furono dati a Faustulo pastore , marito di Laurenzia per geltai li nel fiume
(i) Costui, come affcrnia Tiio Livio, li/i. x in p rin c., diede il nome al Tevere, che prima chiamavasi it fiume Albula , essea* dovisi auaegato nel pausarlo. , (a) Diede quesli il nome al monte Aveittiiio per esservi stat st'polioj Tito Livio 1/6. I . (3) Esiesto, coti nomisato anche da Diunigi, viene da O vidis ukir'.m'.ito Lauso-

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Tevere 3 ma la moglie di esso Faustulo , la quale allora per sorte aveva dato ia luce ua fanciullo morto j li prese , e gli allev. Romolo e Remo essendo cresciati, s'andavano pro^ cacciando il vitto nei campi di mulio ; ed avendo uccisi alcuni pastori del loro avo Nuoiitore, veni vano tese loro dello insidie. Quindi essendo stalo preso Remo^ Romolo corse in fi-lt, e rifer la cosa a Fustolo , il quale portatosi di volo a Numitore , gli svel il tutto. In ' somma Numitore seppe , che costoro erano nati dalla< sua propria figliuola. Essi p o i, venuti essendo molti altri in di loro ajuto, m i-* sero a morte Amolio , e diedero al loro avo Numi> tore il regno di Alba , cominciarono a fabbricar Rom a, essendo Romolo in et di anni diciotto. Pri ma- di questa gran Rom a, che Romolo fabbric sul monte Palatino non lungi dalla casa di Faustulo y Roma era stata edificata quadrata da Romo , ovvero lemo , il quale di molto tempo fu anteriore a co storo (i).

IV.
L Ausonia a dir vero , come acrive Dione Coccejano , si chiama propriamente la sola regione degU urunci (2) che sta in mezzo fra i Campani' ed i
(t). Questo frammento l in U o dagli scolj di Txetie alla Cassan dra di Licofrone. (a) Abitaoli di Auranca, che al prefotc> condo alconi , i S et a , cill in Terra di Lavbcv.

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jkki

Volsci (i) , ed situata presso ?l mai*e. Molti p e r i furono di parere , che 1 Ausonia 6no al Lazio giua* gasse , di modo che dalla medesima l Italia tutta venisse cliiamata Ausonia (a). V. Dove al presente Roma vi fu gi prima un luo^o detto O enotria, il quale dopo l eccidio di Troja abit Filottete, siccome trasmisero alla memoria dei posteri Dionigi , e Dione , e tutti gli scrittori delle cose Komane (3). VI. Dione Coceejano cliiam i Narbonesi Bebrici (4 ) f
(i) Popoli iu Ilali>, che ahliracniavaiio unn parie <1rtla Cam pai (!iia di Koina , Paliano, il Capo d Auxio , Vellelri e qualche poco della Terra di Lavoro. (a) Il frammenlo iralto dagli colj suddelii, come sono pure i seducali fino al v. CredeUero molli eruditi che .'.usonia fosse la sola regione degli Aurunci , nppoggiaiidoM al nome eil'alla oMerT*.. zioue, rhe gli anlicfai latini scambiavano spesso la r in i , e scrive vano /aiibus per taribiu, asarn per arani , loe/.esoiit per berwM r e ., la quale osservazione maggiore forza acquisirrKbbe , se credere si potesse al giureconsulto PoRipooio, che Appio Claudio trovata o inirodoita avesse nell'uso la lettera r, cambiando; y a le tii in Ittii e le JPasie in Fiirir. (5) Siraon riesce il vedere Filotlele condono ad abitare nel luogo ove doma fu fondata , mentre secundci Stvabuac, Dionisio e Ste.< fami Bizantino non edific se nou Petilia, Crimissa r Coni nel po'fo di Taranto. Cadde per ci in pensirro a qualche cn iioo, che Icg(;erc si dovesse Coni, oC to lou a, o auche Coiton, Croioiia o Cor Imia in vece di Roma. (4^ AucUe Murciano ctaclcoia c Stcfan bbaniioo fectro meo.

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scrirendo .* il monte Pireneo al presente dei Narbones, i quali una volta si chiamavano Bebricij ed il medesimo monte divide 1 Iberia dalla Gallia.
CX)S\

VII. I Liguri abitano la piaggia marittima , dalla Tir< renia fino alle Alpi , od ai G alli, come riferisce Dione. vm . Gli Iapigi e gli Apuli abitano intorno al seno Ionico. Le genti degli Apuli sono , secondo Dione, i Peucezj , i Pedicoli, i D aunj, i Tarentini, ed 4 Cannensi. Il campo di Diomede sta intorno all' A pniia de' Daun). Mesapigia ed lapigia vennero chia> mate in seguito Salenzia, e finalmente Calabria: ed Argirippa citt di Diomede, mutato il nome j fu detta Arpi (i) dagli Apuli.
tione dei Bebrici coofnaD'.i cogli Spigouoti, il di cai nome deriTato i i v a o le d a Brrbicc re d i q u e l p a e s e , la d i c o i tg liaofa P i r e n e m u p r a i a da E r c o l e , c h e D ella S p a g n a T iaggiaT * , d p o l a d i lu i p a r >
te n t a a n d m e s ta a d e r r a r e p e r s e l T e , il n o m e d ie d e ai P i r e n e i .

(i) Questa citt si chiam di Diomede , per esterne egli sialo il indaiore : in og)(i non vi rimangono che d^ile rovine, che conser^ vano ran tico nome al plurale, e si chiaouao l i oelia Ca pitanala preste al fiumiccllo Candaiar*.

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n r Jfjf.l

!X.

Mesapigia ed lapigia fu chiamata iii seguit Sr lenzia, e finalmente Calabria^ come narra l istoricd Dione, il quale tramand ai posteri le imprese fatte dai Romani. La Calabria poi situata intorno al seno Ionico , ed al Mare Adriatico. X. Alcuni , come Agatostene, t>ione, ed altri Istorici dissero, che PAverno (i) non era n un lago, n nna rupe 3 ma bens una certa apertura intorno ad Adiabene (2), sopra U quale volar non possono gli augelli a cagione dell alito che quindi sollevasi, pei cui anche qualunque altro animale ne muore (3). XL I Romani chiamano Mamerti coloro, che sono bellicosi, siccome narra in una qualche parte o DiO'* doro, o Dione ( imperocch qual sia di loro non ben mi ricordo). Scrive poi a un dipresso in questa maniera; quelli, uccisi i Messenj che aveanli ricevuti,
(t) Famoso lago ia Terra di Lavoro , chiamata Campania dagli antichi. ( 3 ) Veggasi S trabene, li6. 5 . (3) Strabooe, m e g lio a r v e d u t o , lasci e r ilto c h e q u e s te erano a m ic h e f a v o le , e c h e a v e n d o Agrippa U g lia la la eWa c h e 1 Averno c i r c o n d o v a , e fabbricale col Icone bitaiLioni, favolasi apparvera tulli qo racconti.

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eJ ocupala la citt di Messana, si chiamarono MaInerti , cio bellicosi 3 mentre Mamerte dai Romani tien detto Marte.

m
In tempo di Fabio Massimo verrucoso fa fatto questo dai Romani, cio che sotterrarono vivi in mezzo al foro un Greco ed una Greca^ un, Gallo ed una Galla ( i ) , pel timore che loro era stato messo dall oracolo , il quale avea predetto , che i Greci ed i Galli si sarebbero impadroniti della citt (a). XUI. Il Palladio di Minerva era fatto nel modo se* guente : esso era un simulacro di legno della gran dezza di tre cubiti, il quale era caduto dal cielo in Pesinunfe (3) citt della Frigia ; per lo che Diodoro e Dione riferiscono j che alla citt fosse dato un tal nome (4)(i) Di questo barbaro Mcrifcio nc fa mentione anche O ro iia , Uh, 4 c a p . i3 , e poscia fu Replicato adche uetla ecoada guerra P unica, come narra Tilo L t i o , M . v x , c a p - S j . {1 ) Il lealo parla veramedle di Androgini , Greci e Galli ; confroolandosi per questo passo con quelli di Plutarco , di Lirio e di Minutio Felice , vedesi chiaramente che non si parla gii di Eri)lk> froditi, ma di un uomo e di una donna per oiascnna natione. Forsa U nome di Androgini introdusse Tietaa nel racconto per solo tludia di hrevl. (3) Adesso p!& non esiste. (4) 11 Wesselingio nelle sue notea Diodoro, not opporlnnament^ cba ti tra csufute U palladio cadaU dal cielo ptasio Tioja col si-j

la
XIV.
D u ri, Diodoro e Dione raccontano, che in quel tempo , in cui i Sanniti , i Tirreni, ed altre nazioni guerreggiavano contro i Romani, Decio console dei medesimi Romani, il quale insieme con Torquato conduceva P esercito , offr e sacrific se stesso alla tnorte , ed in quel giorno medesimo uccisi foronocento mila nemici. XV. Lo clie introdusse egli lagnando , e condanne^ i colpevoli a pagare danari , acci non fossero aoggetti a passare alcun pericolo riguardo alla vita (i)^ XVL Dione nel libro decimoquinto della storia romana dice ; Imperocch a riguardo della dignit antichis sima della citt, e dell antica amicizia coi Romani ^ sopportarono di mal animo la pena, che si voleva far loro pagare. Ma i Campani essendosi accinti ad accusar Fiacco , ed i Siracusani Marcello furono essi condannati nel Senato (a).
tnulaero della Magna Dea o della Magna Madre caduta presso Pcsinuate. (i) Questo frammeolo , adatto m o n o , tolto da u d codice f)i1)lioleca Coisliniaaa presso il Mont-fancoa >

(a) Qatato fr<imalo tolto da Syida.

i3

xm
R0K4 Dione al libro decimosesto cos dice : Voi tu tti, a 540 dir vero , meritaste il supplicio ; ci non ostante io non vi condanner tutti alla morte ; ma lasciati andar via gli altri , gastigher soltanto quei pochi, che gi ho presi (i). XVUI. Intorno alle isole Ginnesie dicono le cose seguenti i lodati autori. In fatti Dione Coccejano riferisce, che non sono di molto distanti dal fiume Ibero , s dalle colonne europee di Ercole quelle isole, che i Greci al modo stesso de Romani le chiamano co munemente Ginnesie , e gl Iberi le appellano vale* rie (a) , cio sane. XIX. Dione nel libro decimosettimo della storia romana cosi dice; Sogliono il pi delle volte coloro, ai quali prosperamente le cose succedono, insuperbirsi con in solenza -, e f{uelli che provano la fortuna contraria, soglion portarsi con moderazione3 per lo che in questi
( i) Si riferitce quello passo ai soldati di Scipione, per arer susciuita una sedizioDC. () Queste isole Valerie sono le Balear. sebbene il Bocarto il D o m e (Ji Baleari sull appoggio di L t o pretenda di dedurre d a l getta di iinn freccia. Il frammento i trauo ancora da T |t t t e commeniatore di Licofron*.

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a motivo della panra s genera la prudenza, ed in quelli , a cagione della fiducia , F arroganza : e ci prini-ipailnente ebbe luogo allora in quest'uomo. Ed al libro decimoterzo il pi delle volte addiviene d ia la costanza nasce dalla tardit dell' ingegno ; e la leg' gere^sa dalla prontezza del medesimo, (i).
II .

d i Dione tratti dalle scritture raccolte da Costantino Porji-rogeneta, e pubblicate dal Valesio^
F r a m m e n ti

XX. yfo Dione Coccejano nel libro primo della storia romano dice ; ]Numa , siccome quegli eh' era sabino , avev.i la sua abitazione sopra il colle qnirinale (?), ed il pa lazzo reale nella Via Sagra , ed il pi delle volle praticava intorno al tempio della Dea Vesta , e ta lora fermavasi fuori della citt (3). Io poi ho in ani m o , dice Dione, d i scrvere le imprese del popolo romano fatte in pace ed in guerra quante mai ve ne sono degne che se ne faccia menzione j di modo che desiderar Qon si possa n dai nostri, n dagli estranei alcuna di quelle cose , che principalmente
Passe Italie da Svida. Lo slcHo dice Solrno, cap. 3 . Si coaiulti ancite il Paavi in 'l'heiauro G ra v . FiogeDdo di av^r dei coagressi con la dea Egeria, Plut. i

(i) ' (a) olo , (3)

ffuma.

i5

ono necessarie. Dipoi 3ice : per se stessi allora i Bomani si accomodarono ad una vita tranquilla, piando istruiti furono nella religione degl Iddii ; per la qual cosa essi medesimi , regnando N um a, maa tennero una perpetua pace fra loro, e con gli stra nieri ; e furono di parere che il medesimo Numa ugualmente che Romolo fosse stato dato loro dal Cielo. ( Quelli poi cbe sono i pi pratichi dei fatti salini dicono che Numa nacque nel giorno stesso, in cui Roma fu fabbricata ). In tal guisa per opra di entrambi la citt in breve spazio di tempo non solo riusc potente, ma anche ben regolata, avendola l'uno esercitata nelle cose belliche per necessit , sic come fabbricata di fi-elco , e l altro poscia instituita nel mestiere della pace, di modoch in amendue queste cose ugualmente si segnal. XXI. Tulio Ostilio nella guerra contro il neinico veniva 9 ' riputalo fortissimo, ma trasandava del tutto con dis> prezzo il culto degl Iddii^e finalmente facendo strage per la citt la pestilenza, rest anch' egli preso dal morbo : ed allora onor con ispecial cura gl' Iddii, ed istitu i S alj , che chiamano Collini (i)k
( ( ) Questi vcnivaDo ilrlli anche Agonali , td aveTano il loro ta pratio sopra il colle Quii inale. Vedasi il Gulberlelo, cap. fi-.

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D I M o m j

xxn.
Tarquinio Prisco , facendo uso a tempo delle sua ricchezze , di prudenza e di urbanit grande in qual sivoglia luogo , si cattiv in tal maniera l ' animo di Anco Marcio , che fu da questi ammesso fra i patrizj , ed in Senato , e spesse volte creato capitano di guerra , ed all' ultimo fatto tutore de' di lui fi. gliuoli e del regno. E non per questo era uA pi n meno caro a tutti gli altri j e per di comune vo lere il primo luogo teneva. Imperocch quantunque eseguisse tutte quelle cose , le quali spianano la via alla sovrana autorit, ci non ostante non si lasciava trasportare dall'alterigia', ma in quella somma al tezza praticava la moderazione. In oltre egli mede simo si addossava delle molestie anche per gli altri, e spontaneamente concedeva altrui le delizie, non traendone quindi per se utile alcuno, o seppur picciolissimo , e ci di nascosto. Aggiunge vasi ancora, che attribuiva a qualunque altro piuttosto che a se i prosperi successi, ed il frutto dei medesimi,' po stolo in mezzo, lo rilasciava a coloro, che di quello avessero avuto bisogno ; e pel contrario non ri fletteva sopra veruno la colpa delle sinistre im prese , e non ne parlava con chicchessia. Oltre a queste cose si obbligava coi fatti, e colle parole tutti in generale , ed in particolare ciascuno dei famigliati di Marcio ; imperocch somministrava eoa liberalit del danaro , e se da taluno ne fosse sta to pregato, gli prestava di bonissima voglia l ' a*

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pera sua. Nian uomo offendeva egli o coi fa tti, o colle parole , e di sua natura non esercitava odio contro aldina persona. Di pi esagerava i benefcj ricevuti dagli altri j e le offese o le dissimulava del tutto , o veramente col diminuirle le teneva per cosa da nulla j c tanto era lungi dal farne vendetta, che anzi non cessava d^l beneGcare il suo nemico , sino a tanto che non ne avesse vinto Io sdegno. Essen dosi adunque per s fatte cose cattivalo T animo di Marcio stesso , e. dei familiari regj , riport il vanto di una non mediocre prudenza. Ma con ci che fece in seguito diede a molti motivo di sospettare, o che egli fosse d'indole ingannevole per n a tu ra , o che per la fortu n a, e per le ricchezze F avesse cangiata. XXIII. Tarquinio , subitoch gli sembr di esser bastan temente fornito di quanto facea di mestieri , onde dominar potesse anche sopra coloro che non vole vano , fece da prima morire ciascuno dei pi po tenti fra i padri , e di poi anche altri che prendeva dal rimanepte della moltitudine , tolti di mezzo alla scoperta coloro, ai quali imputar poteva un qualche apparente delitto , e molti di nascosto , ed alcuni mandatine in esiglio. N solamente uccise alcuni di quelli , i quali a Servio Tullio pi che a lui erano stati favorevoli, o che erano i primi per nascita, per ricchezze e per grandezza di anim o, o che aveauo molta possanza a motivo della loro famosa
D io x e

,t r n o I.

i8 ^jnfi fortezza e segnalata prudenza, vendicandosene , e con sollecitudine arrestandoli per invidia e p e r so< sp etto , ed anche per livore e per astio della dif ferenza dei loro costumi da' suoi ; ma fece p o rre a morte altres alla maniera stessa degli altri c a d a u n o de' suoi pi intrinseci am ici, dai quali ad ottenre il regno era stato ajutato , tem endo, che essi coll' ar^ dimento medesimo, e genio di cose nuove , con cu i gli aveano formato l impero , a qualcun altro p e r avventura non conferissero il regno. Avendo egl i ia tal guisa tolti via i pi distinti soggetti dell' ordine senatorio ed equestre, non sostitu alcuno in luogo degli uccisi, credendo, che gli fosse portato odio da tutto il popolo, e desiderando in ispecialissimo modo d'indebolire l ' uno e l ' altro ordine col poco numero. Anzi tent di distruggere interamente anche il S enato, avvisandosi ^ che fosse cosa sommamente contraria ad un tiranno qualunque ceto di u o m in i, che in particolar maniera venivano scelti, e che fino dai tempi antichi aveano una certa sembianza di magistrati. Ma avendo egli tim ore, che la plebe , o veramente anche gli stessi satelliti sdegnatisi del cam biamento dt'lla repubblica non gli si sollevassero c o n tr a , non stim di dover far ci alla scoperta , m a ottenne interamente l intento per via d 'u n arti ficio molto a proposito ; imperocch non rim piazz veruno nel Senato , n a quelli , i quali v' erano ri masti; comunic alcuna cosa, che fosse di qualche momento j e quantunque talora li convocasse , u o n per lo faceva col fine .di servirsi del loro consiglia

nel provvedere alle cose necessarie, ci eseguiva a bella posta , afGnch dimostrata loro la propria scarsezza, li rendesse umili e dispregevoli. Egli poi o da se so lo , o in compagnia de' suoi figliuoli rgol quasi tutte le c o se , parte perch ninn altro avesse un qualche potere, u parte per non lasciare , che le sue malvage azioni si risapesser dal volgo. E ra in oltre ardua cosa l andar da lui t parlargli, e di tanta superbia e crudelt faceva egli uso inverso di t u tti, che quindi nc riport il soprannome di superilo. Fra le altre cose, che si da lui, come dai suoi figliuoli eseguite furono con prepotente domi nio , ordin che alcuni cittadini fossero legati nudi ad un palo nel fro alla presenza del p o p o lo , e battuti fosser con verghe finch morissero ; il qaal genere di supplicio ritrovato allora per la prima volta da lui, fu poscia messo in uso con molta frequenza. XXIV. Bruto cacci i Tarquinj dal regno per qusto mo<* tivo. Accidentalmente nell' assedio di Ardea ( i ) , ce nando insieme i figliuoli del re T arqum io, Colla^ tino e Bruto , siccome quelli cV erano uguali fra loro ed uniti in parentela , cadde il discorso spra l'o n est delle mogli ; dal che essendone nato con trasto, mentre ciascuno anteponeva la propria moglie
( i ) Ritiene anche in oggi il mcileMmo n o m e , e nel sno territorio si trovano delle acque sulfuree, delie dagli antichi jqute Jrdealinee, he VitrtiTo, lib. 8 , cap. 3 , chiama anche F o n u t lulphuraU.

20
Vi

alle altre ^ , Tennero alla risoluzione di montar subi> tamcnte nella stessa notle sopra i loro cavalli e di portarsi a visitare meflesimamente tutte le mogli (m entr esse stavano lungi dal campo) prima che potessero esser fatte consapevoli della di loro ventita. Eseguito ci con preste^.za^ sorpresero le altre a di scorrere con le loro uguali, ma Lucrezia moglie di Collatiuo la ritrovarono intenta a lavorar della lana. La fama adunque di Lucrezia divenuta celebre p e r cosa s fatta inGamm di libidinosa passione Sesto T arquin io , il quale ardendo forse anche di am ore per tal d o n n a , siccome bellissima , ci non ostante faceva ci pi per macchiarne la stima, che il corpo. Egli pertanto scorgendo una volta, che Gollatino se n ' era andato ai Rutuli ( i ) , subito si port a C ollazia (a); e venne a Lucrezia sul fai; della sera, sic come a moglie di un suo congiunto, e cortesemente fu ricevuto ad alloggio ed a mensa. Cominci costui sulle prime a blandirla con incestuoso p arlare, e poscia, Qvlla con ci profittando, a tentar la fo rz a e neppur questo riuscendogli bene , immagin u n nuovo arti6cio , per cui ( cosa terribile a dirsi ) co strinse Lucrezia a condiscendcre di sua spontanea Tolont all adulterio. Era ella giunta perfino a n o n fare alcuna stima della minaccia eh' egli aveale fatta di darle la morte ; e con dispregio lo aveva ascol tato , quando aveale detto , che posto , le avrebbe (t) Anlicbi popoli dIulia nel Lazio, capitale dei.^ali era (a suddetta citt di Atdca, f^irg. jueid. Uh. j. v. 409. (3) Antica ciu dItalia, che al piesente pi noa esiite.

21

ticino un qualche servo : ma quado ioltre minac* ciolla , che avrebbe collocato presso di lei u n , servo nudo nel medesimo letto , e che avrebbe sparsa la voce come se uccisi gli avesse colti in adulterio , essa allora stimando che ci non fosse da soppor tare, e temendo che non si prestasse fede alla men zogna , volle piuttosto soffrire in quel punto 1 adul terio , e poscia manifestata l ' ingiuria , morire , che esporsi alla macchia della propria stima insieme colla morte presente. Per tal motivo adunque ced spon taneamente all adultero (i). Dopo aver ci fatto ^ preparato un pugnale , e ripostolo sotto l origliere , mand a chiamare il marito ed il p a d re , i quali prestissimamente essendo comparsi, Lucrezia da pri ma incominci a lagrimare, e dipoi traendo un pro fondo sospiro, padre mio disse (mentre pi mi ver^ gogno adesso a drizzar la parola al marito che a te) oh qual grave misfatto ho io commesso in questa notte ! Sesto Tarquinio avendomi m inacciato, che scannato avre}ibe insieme con me un servo, per far credere di avermi colta in adulterio col medesimo , mi rec violenza. Da tali minacce aduncpie mi sono io lasciata indurre a far male , acci voi non cre deste, che in tal modo passata fosse la cosa. Ma io orm ai, quantunque sia donna, far ci che mi con viene; e voi se siete uomini, e se vi stanno a cuore le mogli ed i vostri figliuoli, vendicatemi , ponete
(3) Dionigi d'^liearnasso , Oiodoro S cdIo , e T ito Livio narrali* il medesimo &tto , e ciascano lo espone a no talento.

'

23

yqJ stessi uomioi e Detto ci il pugnale

in libert , e mostrate ai tira n n i , qoaB qua] matrona abbiano essi oltraggiata. senz' aspettar risposta, subito trasse fnora e si diede da per se stessa la morte. XXV.

2^5

Marco Orazio consolo , a cui era ci toccato in sorte , dedic il tempio di Giove Capitolino ; quan tunque Valerio gli avesse detto cV era a lui morto il figliuolo, e procurato avesse , che una tal cosa riferita gli fosse in mezzo a quella sacra cerimonia , con questa intenzione, acci commosso da una parte dal dolore , e dall' altra siccotnc non era lecito il fare una cosa sacra stando la famiglia in duolo, ce desse a lui il fare una tale consecrazione. Ma egli non sment punto una tal nuova , mentre veniva confermata da molte persone e tutte degne di fe de ; n per si astenne dalla detta consecrazione. Del resto poi , acci non paresse clic il far quel funerale turbasse in certo modo la stessa sacra ce rimonia , ordin , che si lasciasse insepolto il cadavero del fanciullo , quasi fosse d a ltru i, ed in tal guisa compi secondo il rito tutta la dedica. XXVI.

2^^

I trecento sei F a b j, i quali per la nobilt della stirpe , e per le ricchezze ai principali della citt si uguagliavano, furono uccisi dagli Etruschi ; ed i

aa
Romani a dir vero pubblicaOientc e privatamente li piansero molto pi che non richiedeva il noniero di ^nei morti. Un tal numero era al certo non piccolo, trattandosi particolarmente di patrizj ; ma i Romani apprezzando in ispecial modo la dignit dei F abj, e la grandezza del loro animo , erano di parere di aver perduto tutto il vigore 5 e perci noverarono tra i giorni atri e funesti quello, nel quale coloro erano stati uccisi, e segnarono col nome di Scelerata (i) la porta , per cui erano andati alla guerra, di modo che non era lecito ai magistrati di passare per la medesima : e finalmente condannarono Tito Menenio (a), perch essendo egli capitano della detta guOTa, era una si grande strage avvenuta, avendolo accusato in piena adunanza di non aver congiunto il suo campo coi Fabj , e di aver in seguito egli stesso molto mal combattuto.

xxvn.
Essendo venuta in Roma la n u o v a , che M. Mi* ag6 nucio in una ccrta valle ripiena di alberi veniva insieme co' suoi soldati assediato dagli Equi (3) , no* (1) I Romani chiamaronp scelerau nna ul porla , perch sembrava Talicnare nn ilo in&usto, e per da tut veniva scaotata.
Portn caret culpa, te d tam tn amen kabet. Ovid. Fast. Uh. a , ao4(3) Di qnesta condanna morte del conMio Meuaoio parla ancbs Di<ai|i dA licarnauo, '6. a e 9 . Li, lib. cap. S i. (3) Qnesti abitavano tanno l'A nio , oggi Tevorone, che divideva io due parti il loro paese. Si riscontri il Disionar* dal *ig. de 1 .Martiiiere.

H minarono dittatore contro di questi L. Quinzio, po>xoMj v e ro , vero, e che da per se stesso colle sue pro-^ prie mani coltivava un picciolo campo ^ che unico aveva ; ma per altro non inferiore ad alcuno in vir t , e segnalato per la sua temperanza , quantunque ripiegasse la chioma in ric c i, per lo che riport il cognome di Cincinnato (i). XXVUI. 3^0 I Rom ani, i quali assediavano i Falisci (2), erano per stare pi lungo tempo intorno alla c itt , se non fosse per sorte accaduto il fatto seguente. Un certo maestro di scuola, il quale nella medesima citt insegnava a molti e non ignobili ianciulli, o per una qualche offesa ricevuta , o veramente per la speranza del guadagno li condusse , quasi che ad altro pensasse , fuori delle fortiGcazioni ( imperocch rimaneva tanta sicurezza ai Falisci , che anche in allora erano frequentate le scuole ) e guidati quei ragazzi a Camillo , disse che con quelli gli dava ia mano T intera citt , imperocch gli assediati non avrebbero fatta pi resistenza , essendo stati fatti
(i) Ma in questa occauone dice benMino Stanislao R obiertichio .

de hixu Ronutnorwn , lib - i , cap. 6 . Aniiqu. Grav. Crina hot Cincinnatofum natura flsxerat^ non laxurta, tic (3 ) Abilanti di F alera;, detta in Ialino FaUria , Faleris , Fa!e~ rii, et Falitca. Questa citt d is tr u tta , *i pretende , che sulle
sue roTae sia stata fabbricala Civita Castellana ; quantunque 1'O r tilio sostiene, che in oggi sia monte Fiascone.

a5
prigionieri qnei che loro erano carissimi. Ma nulla fece il maestro di scuola; ed in.fatti Camillo memore al tempo stesso e della virt de' Romani e della Ticenda delle cose umane ricus di prender la citt a tradimento ed anzi legate al traditore le mani dietro le spalle , lo consegn agli stessi fanciulli, acci lo riconducessero a casa. Dopo un tal fatto i Falisci non resisterono ulteriormente-, ma quantunque fosse difiicilissimo il poterli espugnare, e fossero molto valevoli a sostener per pi lungo tempo la guerra, ci non ostante a certe condizioni si arresero spontaneamente a Camillo , giudicando che ad essi, m entr' era loro am ico, serbata avrebbe in ispccial modo la fede quell'uom o stesso, da cui, mentr era per anche loro inimico , sperimentata aveano una cotanta giustizia. Ma Camillo per tal motivo essen dosi renduto molto ^)i odioso ai cittadini fu citato dai tribuni della plebe in giudizio, perch non aveva, portato nell'erario alcuna cosa del bottino vejentano. Camillo adunque di sua spontanea volont se n'and in esigilo , prima che il popolo mandato fosse a dare i suffragi. XXIX. .

Ai Rom ani, i quali erano assediati nel Campido glio , non rimaneva in niun altro modo speranza di scampo, fuorch neU ajuto degli Dei. Essi adunque, sebbene ridotti fossero in estremo pericolo , onora vano gl' Iddii con tanta cura , che un giorno doven-

a6

dosi fare un sacriGzio dai pontefici in un certo lu o g o m o m a (Iella citt ( i) , Cesone F a b io , a cui toccava la d i gnit (li fare il detto sacrificio, diccele dal Campi doglio con tutti gli ornamenti secondo il costume , passando per mezzo ai nemici 3 e dopo aver religio samente compita la sacra cerimonia , nel medesimo giorno se ne torn sul Campidoglio. A me certa mente cade in pensiero di ammirar quei barbari j i quali o mossi dalla religione degPIddii, o dalla v irt di un tal uomo , gli perdonarono : ci non ostante per meraviglia di gran lunga maggiore mi arreca lo stesso Fabio per amendue queste cose , s perch non ebbe timore di scender solo ai neihici, come anche perch non ritirossi in alcun luogo sicuro, lo che avrebbe potuto fare ; ma spontaneamente se n e torn in Campidoglio al pericolo che innanzi agli occhj gli stava , sapendo benissimo , che > Rom ani abba;idonar non volevano la Rocca , che sola p e r anche rilevano dopo aver perduta la patria, e di p i veggendo che i medesimi, quando anche avesser vo luto fuggire , non l avriano potuto , attesa la m olti tudine degli assedianti. XXX. Pregato Camillo di accettare il comando , lo ri cus , siccome colui che essendo sbandito , avrebbe ottenuto l impero contra le leggi. Egli senza dubbio
H i. t , cap- i 3 , S
( i ) Il Inogo era snl co!l Q u irin ale , Lit>. Ub. 5 , cap. ^6. F io r . 16.

27

con tal esatfezM esservaTa le leggi, eh anche ne! grave rischio, in cai <i ritrovava la patria, gli stette a cuore il proprio dovere, n lasciar volle ai posteri un esempio di violar le medesime leggi (i).

XXXI.
Il popolo romano condann alla morte M. Manlio 3^1 Capitolino (2), e la di lui casa fu spianata al suolo, ed saoi beni furono confiscati : oltre a ci ne fu cancellato il nome , e gettate a terra quante mai immagini eran di lui ; le quali cose tutte , all ec* cezione della m ina delle case (3), si fanno anche al presente contro i nemici della repubblica. Vi si ag giunse in oltre una legge fatta dal popolo; che niun patrizio ^ e r T avvenire abitasse nella R occa, perch Manlio aveaci avuta- T abitazione. La &miglia Manlia altresi proibi ai s u o i, che niuno in seguito si cfaiamasse Marco , pcrch era stalo il nome di Capi telino. Questo Capitolino adunque pel suo molto cattivo cambiamento di costumi , soffir ancora una grandissima variazion di fortuna. In fatti dopo aver egli compita egregiamente la guerra , non potendo pi soilrir la pace, occup, per brama di dominare,
( 1 ) uideo regtbat omnia pudor , L p . lib. 5 , cap. 4 6 . Vcggasi a nche Valerio a u im o , lib. 4> oap. i . (3 ) 'S i risciiDtri T ito L ir i o , lib. f i , cap. ao. (3) Anche anticamenle beo di rid o si legge che una lai pena si d a s s e , e nella Storia Romana non Te ne sono che cinque e se m p j, i qtiali sono stali laccolti da C ic tro n e , in Orai, pr dom o, cap. 3S-

aS
jtKi'i j| Campidogli che salvato aveva dai nemici ; e quantunque patrizio fu mandato al supplicio com e un servo : e sebbene riputato fosse guerriero v alo roso , ci non ostante fu preso a guisa di servo , e finalmente fu precipitato gi dalla medesima ru p e , da cui aveva rispiuti i Galli.
XXXII.

3^4

Guidando Camillo 1 esercito contro i* T u s c u l n i, costoro con mirabil arte a dir vero si sottrassero dal presente pericolo. l a fatti come se essi n o n avesser commessa colpa veruna , e uon si fossero tirati addosso la disgrazia del popolo romano ; m a quasi che i Romani come amici si portassero da a ltri amici , o veramente passassero per il lor territorio per andar contro altri nemici , non fecero cosa a l cuna di pi del solito, n si diedero alcun m ovi mento ; ma stando tutti inteuti ai proprj lavori , e ad altri affari , e restando nel lor luogo non a ltri menti , che in tempo di pace , riceverono l esercito dentro la citt, gli somministrarono con ospitalit le vettovaglie, ed onorarono quei soldati, come se fos sero stati loro amici. Per una tal cosa i Romani n o n solo non fecero ai medesimi danno veruno, ma po co tempo dipoi accordarono loro la cittadinanza. XXXIII.

386

Essendo nata una sedizione fra i cittadini ro m a n i.

9
gi poco mancava, che P. INIanlio dittatore non pr- "***' curasse la pace , avendo eletto dalla plebe Licinio Stolone per maestro della cavalleria (i). In fatti una tal novit and male per i patrizj ; ma per mitig gli altri in maniera , che nell anno seguente non aspiravano pi al consolato , e sofTrivano di esser creati tribuni dei soldati. Dipoi T una e l'altra parte accordandosi qualche cosa a vicenda in molte e molte occasioni, avrebbe potuto ritornare in grazia, se Stolone, tribuno della plebe non avesse detto, che propor non doveasi una cosa senza T altra (a), e non avesse persuaso alla plebe a non cedere in cosa veruna ; ma bens a mandare ad effetto tutto quello che aveano incominciato , siccome sommaqiente ue cessano. XXXIV. Manlio T orquato.non fu generalmente aspro e se- 4 '4 v e ro , n in alti-e occasioni fu tale , qual dimostralo si era verso il suo proprio Ggliuolo; ma per confes sione di' tutti fu molto potente in consiglio e nella marziale virt j di modo che i nemici non meno che i cittadini andavano dicendo, che dal.d i lui arbitrio era dipenduta la somma della g u e rra , e che se egli medesimo fosse stato duce dei latini , la vittoria senza dubbio sarebbe stata dalla lor parte (3).
(i) L'im piego d maastro della caTsIleria coasisleva n e ll'aju lare in tutti i modi possibili il d i tu t o r e , ed a lui dimostrarsi obbediente. Vefigasi lo Jeosio , in Ferculo L utrr. Veggasi L iv io , Uh. 6 , ca^. 4(3) Lo slw io vien confermato da L iy io , Uh, 8 , cap. io .

3o
XXXV. I Romani, i quali stavano nella c itt , desiderando che venisse nominato dittatore L. Papirio, e temendo che. Fabio Hullo, a motivo di quelle cose cli'erangli accadute come a maestro della cavallera , non rca sasse di nominarlo dittatore , gli mandarono degli ambasciador, i quali lo pregassero ad anteporre la repubblica alla sua inimicizia privata. Ma Fabio non diede risposta alcuna agli ambasciatori ; e dipoi sul cominciar della notte (im perocch per instituto dei maggiori di nottetempo il dittatore nominar si d o veva ) elesse dittatore Papiro , la qual cosa apport a Fabio gi'andissimo onore (i). XXXVI. Essendo stata recata la nuova ai Romani della rotta ricevuta dal console Fabio (2) , essi grande mente sdegnatisi , e richiamato il medesimo Fabio , gli assegnarono il giorno da comparire in giudizio. Costui essendo stretto dalle accuse di m o lti, e ve nendo esiandio oppresso assai pi dalla gloria pa tern a, che dalle altre accuse , non fu ammesso a difendersi. N il padre parl molto in vantaggio del
(i) T it. L iv. lib 9 , a tp . i e Ub. 8 , eap. 9 3 . ( a j Era questi Q . Fubio Massimo G u rg ile , figliuolo di Q . F a bio , che fu il primo della geuie Fabia ad esser chiamato M assim o, e fa detto Gurgile per aver divoralo il suo patrim onio , quantunque in seguilo emend una tale infamia.

3i
figlioj ma avendo fatta menzione e delle sue, e delle imprese fatte da'suoi maggiori, ed avendo promesso, che il proprio figliuolo non avreU>e eseguita alcuna cosa indegna di quelle , e di pi fralle altre cose avendone anche scusata T e t , mitig l ira del po> polo. Quindi partitosi incontanente in compagnia del detto figlinolo, sconfisse in battaglia i Sanniti , i quali andavano alteri per la vittoria riportata di fre sco , e s impadron degli accampamenti, e di nn immenso bottino. Per la qual cosa non solo fu fatto onore a lu i^ ma anche al figliuolo fu conferito nelr anno seguente il comando proconsolare, di modo che in allora servivasi per ambasciatore anche del proprio suo padre. questi non risparmiando in niente la sua vecchiezza, regolava ed eseguiva tutte le ca riche del figliuolo ; ed anche gli alleati dei Romani, memori delle cose fatte una volta da lui , venivano con prontezza in ajuto. Esso nondimeno dissimulan do , che tutto da se medesimo si effettuava , e por tandosi modestamente quasi che assistesse il figliuolo coi consigli soltanto , ed in qualit di legato, a lui lasciava delle eseguile imprese la gloria. XXXVII. C. Fabricio era in tutte le altre cose simile a 477 Cornelio Rufino ; ma di gran lunga lo superava nel disprezzo del danaro (i). In fatti esso era incorrot( i ) In torno a qoita r irlk di Fabricia i legga P la U rc o , in

Pjrrrho,

32

tissimo , e perci odiava Rufino, e parecchie volte A '* discordava da lui. NoaJimeao per fece ogni tenta tivo , acci venisse creato console, mentre stimaTa che esso fosse il solo capace pi di tutti a & r la guerra, posponendo la privata inimicizia alla pubblica utilit. Una tal cosa gli concili grandissimo o n o r e , perch represse T invidia, che anche negli ottimi uomini suol generarsi non piccola dall' ambizione. Era certamente costui amantissimo della p a tria , e sforzandosi di darlene prova non per via di una si mulata apparenza , riputava il medesimo , che la r e pubblica venisse ben governata o da se stesso, o d a un a ltr o , quantunque fosse suo privato nemico.

xxxvm .
Si diceva, che il re Pirro aveva espugnate p i citt per opra di C inea, che per mezzo delle arm i stesse. In fatti Cinea, siccome dice Plutarco , per la foi-za del dire era il solo fra tutti , che uguagliar si potesse a Demostene. 11 medesimo con la prudenza di cui era fornito , avendo scorta la temerit d i quella spedizione di P irr o , avea tentato di distorlo per mezzo di un' orazione dal suo disegno : imperoc* ch Pirro attesa la sua fol tezza crasi figurato nel l'animo di conquistar l impero delluniverso; e Cinea gl' imponeva di esser contento dei confini della p a tria , siccome quelli eh' erano sufficienti alia sua fe licit. Ma la brama di guerreggiare , e 1 ' ambizione di Pirro avendo avuta pii forza degli avvisi di C -

53
n e a , finalmente avvenne, che fu costretto a partirsene con vergogna dalla Sicilia, e dall Italia , dopo aver perdute in tutti i combattimenti molte migkaja di soldatesche. XXXIX. Pirro oltre il regno dell'Epiro (i) aggiunse al suo dominio la massima parte della Grecia , quindi coi benefic), e quinci col terrore. Di pi veniva onorato dagli Etoli (a) , i quali in allora erano potentissimi y e da Filippo Macedone (3) , e dai piccoli re delP Il lirico (4) ; siccome colui che solo era di gran lunga, agli altri superiore e per F elevazione della sua in dole e per la forza della sua dottrina e per la pratica delle cose. Per lo che n avvenne , che pi si dava al suo sapere , che alle sue forze , ed a quelle de' suoi confederati , quantunque grandissime.

(i) AI presente chianuM lAlbania.


(a) Popoli di E to lia , oggid A rtinla, L epanto , D espotato , pro vincia di Grecia. (3) Kifleite qai il Valesio , cm in tempo d i Pirro non vi fu alcun re in Macedonia cbe ti cbiamat* Filippo , onde d i parere che vi ia errore nel testo. Il Reim aro poi soggiunge, che io quel tempo regnava in M acedonia Alessandro iglioolo d i C assa n d ro , che A ntip airo suo maggior fratello avea tentato d i espeller dal re g n o , per lo che il detto Alessandro chiam io suo a ju to Pirro , come riferiace P l u u r c o , in Pyrrho. E finalmente c o a c h iu d e , che forse in vece di Filippo M acedone, deve leggersi Alessandro M aced o n e, a che qneslo pu essere un errore d i un qualche copista.

(^) Adesso propriamente c la Schiavouia.


D i B m , toma

/.

34
HoM4
or

XL.
Chiedendolo quei di Reggio ( i) , fu loro m andato un presidio dai Romani sotto la condotta di Deci. Alla maggior parte di questi soldati, menando quivi un genere di vita molto pi delicato che alle lo r case, attesa l'abbondanza dei viveri e tutte le altre morbidezze , venne desiderio, tanto pi che a ci gl' instigava anche D ecio, di occupar la citta, ucciai i principali dei Reggini. la fatti essendo in allora i Bomani impediti dalla guerra contro i Tarentini e contro Pirro , sembrava ad essi di poter fare tutto a lor proprio capriccio. Vi si aggiungeva ancora una ragione che a ci li persuadeva , ed era che vede vano Messana similmente esser tenuta in allora dai Mamertini (a), i quali essendo anch'essi Campani (3), ed essendo stati posti da gatocle tiranno della Si cilia a difender col loro presidio la citt . uccisine gli abitanti, T aveano occupata. Coloro per non si accinsero apertamente ad un tal tentativo, mentre dai cittadini rispetto al numero venivano di gran lunga superati. Ma Decio avendo finte delle le tte re , come se fossero state scritte a Pino da alcuni J i quei di Reggio circa il dargli nelle mani il detto presidio , convoc i soldati , recit nell adunanza le medesime lettere , quasich intercette le avesse , e
(l) V rggasi P o lib io , Jfisi. Uh. i . (a) A cagione li costoro il Faro di Messia chiam aTati M am ertinwn Fr tum (3) L a Campania corrisponde a un dipresso alla T erra di L av o ro .

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con un discorso adattato alla circostanza infiamm gli animi degli stessi soldati, avendo aiichc preparati alcuni , i quali dicessero , eh' eransi vedute le navi di Pirro approdate ad un certo luogo dei dominio di cpiei di Reggio, onde venire a parlamento coi traditori. Oltre a ci quei soldati eh' erano stati su> bom ati da Decio , cominciarono ad esagerare la cosa, e andavano vociferando, che faceva di mestieri prevenire i Reggini , prima che un qualche grave danno ne intervenisse 3 mentre facilmente potevansi opprimere alla sprovvista , quando nulla sapevano dei loro disegni. In tal guisa pertanto iucorati i soU dati, parte avendo fatto impeto nelle case doverano stati ricevuti ad ospizio, e parte in quelle dei citta dini , ne uccisero moltissimi ; e Decio ancora ne ammazz alcuni invitatili a cena. XLI. Pirro da principio tent di persuadere ai prigionieri rom ani, dei quali ne aveva moltissimi , che contro gli stessi Romani militassero nei di lui ac campamenti. Ma essi avendo ricusato di far ci, egli si accinse a renderseli grati con ogni sorta di ufiicio, non ritenendoli in ceppi, n recando loro veruu'altra molestia. Dipoi mandatili via tutti gratuitameute , sperava d impadronirsi per opera loro della citt senza combattere.
or

36
Antii
PI M
omj

XLIL Pirro, non Tolendo i confederati contribuire apoii taneamente del daaaro , si rivolse ai tesori di P r o aerpina (i) celebri per la fama della loro dovizia, e d avendoli esausti mand sopra le navi a T aranto l e rapite ricchezze. Ma suscitatasi d'improvviso u n a tempesta , quasi tutti gli uomini restarono annegati , ed il danaro ed i tesori furono gettati aHa spiaggia. XLUI. Per si fatte imprese i R om ani, quantunque c re sciuti fossero in possanza , ci non ostante per n o a ne andavano fastosi con soverchia insolenza. In fatti diedero Q. Fabio dell ordine senatorio nelle m ani degli Apolloniati (2) , che sono una colonia di C o rinti , e che stanno situati nel seno Io n ico , p erch egli aveva usata villania ad alcuni dei loro am ba sciatori. Gli Apolloniati per sano e salvo alla s u a casa lo rimandarono. XLIV. I Romani con un poderoso apparecchio marziale y che alla grandezza dell' animo loro corrispondeva ,

( i ) Q uesti erano in L ocro cilU della C a la b ria, dalle d i cui r o Tine si k poi fabbricala Gieraci. Si riscontri T ito L iv i o , li6. , eap- iB. (a) Veggati Valerio M a isim o , li6, 6 , ta p . 6 .,

3?

se ne andarono alla volta di Cartagine. Erano capitani M. Regolo e L. Manlio , preferiti agli altri in riguardo della loro virt; imperocch Regolo viveasi in tanta povert, cbe a cagione jdella medesima egli stesso parti a stento dalla sua casa , ed alla sua moglie e Ggliuoli assegnati furono gli alimenti a pub> bliche spese. XLV.

I Romani , dopo aver fatta la pace coi Liguri , 5 18 diedero primieramente nelle lor mani M. Claudio, il quale ci non ostante attaccatili in guerra gli aveva assoggettati , rigettando sopra Claudio la colpa dei patti da loro violati ^ e dipoi non essendo egli stato ricevuto dai L ig u ri, i medesimi Romani lo manda rono in esiglio. XLVI. Demetrio Fario pieno daltergia si per Tappoggio 535 di Pinneo (i), s anche pel matrimonio contratto con Triteuta madre del detto Pinneo, la quale aveva egli tolta in moglie dopo la morte di T e u ta , era a tutti gli abitanti molesto, e devastava altres le campagne dei vicini. Una tal cosa essendosi risaputa dai cons o li, siccome sem brava, che abusatosi dell amicizia dei Romani avanzato si fosse ad infestar gli altri ^ mandarono a chiamare il detto Fario j e costui non
() Di qoetto Pinneo figlinolo di AgroM re degl'lU irj p u la noht T iio U t o , Ub. , cap. 33.

38
comparendo , e non cessando dal vessar gli alleati xoMj Je] popolo rom ano, condussero le truppe ad ^ s a (i) contro di lui. XLVII. Era Annibaie di un'indole egregia e singolare , e sopra ogni altra cosa instruito parte nelle patrie di scipline dei Peni (2) , c parte nelle greche : ed ia oltre sapeva benissimo gli aruspicj (3). N da animo di tal sorta avea dissimile il corpo , formato parte dalla natura e parte dal suo genere di vitR, d i manierai-h mandava facilmente ad effetto tutte quelle cose , alle quali accingevasi. In fatti aveva egli un corpo quanto mai dir si possa agilissimo e robusto, e perci era prontissimo a correre , o a stare in p ie d i, o a salire a cavallo. Egli non impedito giam mai dalla quantit dei cibi, ovvero languente per la miseria serbava lo slesso animo nella scarsezza e nell abbondanza , nell uno e nell altro caso p a rea;;li di aver sempre quanto bastava. In oltre sem-. brava che le traversie gli accrescessero forza e le veglie robustezza. Avendo esso adunque un tal ani mo ed un corpo si fatto, teneva quasi il seguente metodo nell eseguire le imprese. Siccome sapeva che la maggior parte degli uomini serbavano la fede per rispetto soltanto del loro privato vantaggio , a a ( 1 ) AHmso pi non esiste. (a) i;io 'a.iapincsi. (3) Si risconlri Cornelio N ip o te , eop. i3 . L tio , iib. lib. a8 , cap- l a . G iustino, lib, 3 a , cap. ult.

2 1

, cap.

39
si determin di servirsi con gli alh di questa considerazione , e stava sempre in sospetto, che gli aitii parimenti se ne servisseio ; di sortech avendo ingannati gli altri sovente con prospero successo , esso poi di rado veniva deluso dalle altrui trame ed insidie. In oltre tenendo per inimici tutti coloro che erano superiori di forze, o cittadiui fossero, o vera mente stranieri, non era- d'avviso che aspettar si dovesse fino al punto di sperimentare in fatti di qual animo essi fossero inverso di lui; ma trattava i me desimi asprissimamente, come se gi fossero inclinati a recargli ingiuria, perch potevano farlo, stimando cosa migliore il prevenire i mali eh' esserne perve nuto, e che gli altri fossero in suo potere, piuttosto eh'esso in quello daltrui. E per dir tutto in pocheparole , riguardava egli alla natura delle cose , anzi-* ch allo splendor della fama , eccetto per laddove 1 una e T altra cosa poteva stare insieme. A quelli p o i , della di cui opera esso abbisognava , faceva grandissimo onore , mentre stimava che la maggior parte degli uomini di questo fossero schiavi, in gra< zia di cui scorgeva chc precipitosamente correvano ad' incontrare i pericoli , posti in non cale i propr} vantaggi. Quindi che egli spessissime volte fu ve duto astenersi dal proporre dei lucri , ed altie cose con che si adescano gli uom ini, e ad altri per lo contrario compartire con molta liberalit simili cose; dal che gli ebbe volontarj compagni neiresporsi con lui a cimento. Esso dal canto suo non solo usava lo lo stesso vitto degli altri ) ma aiTrontara i medesimi

4o
rischj ; cd egli era il primo ai! intraprender ta tto quelle cose , le quali voleva che fosser dagli altri eseguite; imperocch in tal guisa sperava, che quelli non animati dalle sole parole sarebbero stati senza difllcolt pronti a mandare ad effetto insieme e o a lui qualunque impresa. Verso tutti gli altri poi fece uso da pertulto di grandissimo, orgoglio ; laonde a l modo stesso eh ebbe moltissimi, i quali gli deside ravano bene per la uniformit riguardo alla maniera del vivere, cos per la sua superbia ritenne gli altri in timore; e per la medesima ragione pot con gran dissima facilit, ed a suo talento opprimer gli alteri, sollevar gli o p p ressi, ad alcuni incuter terrore , ad altri fiducia, speranza o disperazione nelle cose d somma importanza. Che poi quanto di lui si detto non si andasse senza ragione spacciando, ma bens narrato fosse a norma del vero, lo contestano i fatti medesimi : imperocch soggett in brevissimo spazio di tempo una massima parte della Spagna , e dipoi per i popoli della Gallia , i quali non solo n o a erano a lui uniti con veruna alleanza , ma per la maggior parte non gli erano n o ti, port la guerra in Italia ; e fu il primo fra tutti q u elli, i quali abi tano fuoii deir Europa , per quanto a nostra no tizia , che con 1 esercito passasse le Alpi ; e p o rt le bandiere nemiche contro la stessa citt di Roma^ e ritir dal di lei partito quasi tutti i confederati parte colla forza e parte col persuade) li. E tu tte queste cose le fejre egli da per se solo senza le pub bliche forze de' Cartaginesi, siccome c o lu i, il quale

da principio non era slato mandato a questa guerra dai magistrati dei Peni , n in seguito ricev dai medesimi alcuni validi ajut. In fatti eglino essendo per ritrarre una non picciola parte di utilit e di gloria dalle imprese di Annibaie, operavano in guisa da non far parere di averlo abbandonato, senza che per desiderassero di somministrargli un qualche forte soccorso.

XLVm.
Annibaie, o per rendersi grato Fabio, come amico 5 3 j dei Cartaginesi, o veramente per renderlo sospetto, non diede il guasto a veruna delle di lui possessioni, o campi. Essendosi poscia fra i Peni ed i Romani fatto il cambio dei prigionieri a questa condizione , ohe quelli di essi prigionieri , i quali presso T nna delle due parli erano in maggior quantit , a un determinato prezzo venissero riscattati, Fabio allora poste all' incanto le possessioni suddette sborz il prezzo per i cittadini prigionieri, non avendo voluto i- Romani redimerli col danaro pubblico (i>. Per una tal cosa non fu in allora a dir vero tolto il comando al dittatore Fabio ; ma per il popolo decret, che il maestro dei cavalieri avesse insieme con lui una ugual potest ed impero. Ci non ostante Fabio non si sdegn n coi cittadini, n con Minucio Rufoj ma perdon loro benignamente, quasich fos sero stati soggetti ad un'um ana passione, giudicando
(i) Marta nn tal fatto Tito L tio , lk. aa , cap. a3. P lutarco, iti F a i. viut, ( Valerio Masiimo, lib. 4 f top-

42

.< # . / doversi appagar eli tulio , purch i Romani in qiia ***'' lunquc fosse maniera rimanessero vincitori. Esso i a fatti era tale , che voleva piuttosto la salvezza d ella repubblica , e la vittoria , che la propria gloria j e d egli medesimo era d avviso, che la virt non dipen desse dai decreti della plebe , ma che riposta fosse nell'anim o di ciascuno; e similmente giudicava, che non si desse a taluno la vittoria, e la rotta per via di decreti ; ma bens che tali cose risultassero o dalla prudenza , o dalla inesperienza di cadauno. Kufo poi , il quale anche per l addietro era stato poco saggio , insuperbitosi allora pi che mai , n o a poteva pi frenarsi, come colui die in premio del suo orgoglio aveva ottenuto un diritto nel comandare uguale a quello del dittatore. Egli pertanto bramava di esercitar solo il comando un d s , e P altro no a vicenda, ovvero per tutti due i giorni, ed anche per pi consecutivi. Ma Fabio, temendo , che Rijfo toltosi il comando dellesercito intero non mandasse il tutto in rovina , non gli accoi'd n l ' una n l altra cosa; ma divise con lui il detto esercito , acci secondo il costume dei consoli, ciascuno di loro avesse per se le sue soldatesche. Fatto ci Ru fo , incontanente pose il campo separato da quello del dittatore, affinch in realt apparisse, ch egli di propria autorit comandava , senz' esser soggetto a l dittatore. XLIX.

538

Avendo saputo Scipione , che alcuni ciltadioi r o -

43
mani (i) s' andavano disponendo ad abbandonar la citt , e tutta 1 Italia, come se dovesse venire in breve in potere dei Cartaginesi , portatosi di subito nella casa , dove una tal risolnzioue si macchinava , li trattenne col feno alla mano } e poscia formato un giuramento , eh egli non avrebbe mancato giam mai di soccorrere la repubblica colie parole e coi fa tti, costrinse tutti a giurare il medesimo , minac ciando la morte presente a chiun<^e avesse ricusato di confermare un tal obbligo per mezzo del giura mento, Ridotti adunque in tal modo ad una confor mit di opinioni, scrissero al consolo eh essi erano salvi. Ma il consolo non invi subito a Roma n le lettere , n la nuova , e portatosi a Ganusio (a) vi stabil tutte le cose, mand quanti rinforzi in allora poteva alle citt con6nanti , rispinse la cavalleria che faceva impeto contro la citt , e finalmente non sbigollito punto n dalla disperazione, n dal timore provvide ed esegu tutte quelle cose, che nel presente stato erano espedienti , con un animo tranquillo , come se nulla di sinistro gli fosse accaduto. L. Annibaie avendo accettata la resa dei Nocerini a questo patto, che partissero della citt con una sola
(i) Si riscoDiri Tito Livio, Uh. i i , eap, 53.
proTincia di B a ri,

(a) In oggi i chiam a Caoosa , c ili del regno di Napoli nelta prcMO al fiume Aufdo , che al piMenU rie a detto Oiiaaio.

44
veste per ciascheduno , s impadron dalla m edesim a citt , ed ammazz i senatori, che dentro ai lo ro bagni stavano chiusi \ e poscia avendo data agli a ltr i la permissione di andarsene dove pi loro fosse p ia ciuto , uccise in viaggio anche moltissimi di costoro. Questo operato per non poco gli nocque ; im pe rocch quelli eh' eran rimasti postisi in timore d un altra simile ingiuria , ricusate le condizioni d i p a c e , fecero resistenza per quanto poterono (i). LI. E ra dotato Marcello di una cert siugolar fortezza, astinenza e giustizia ; ed era di tal carattere, ch e non esigeva tutte le cose con severit e rigore d a quelli che gli eran soggetti. Procurava, egli vero , che ciascuno compisse il proprio dovere ; ma a co loro , che in qualche cosa per caso avessero e rra to , benignamente perdonava , n sdegnavasi se essi ge neralmente in tutte le cose non erano simili a lui. LII. Volendo la maggior parte dei Nolani mettere a morte coloro , che nella battaglia di Canne erano stati p re s i, e poi lasciati andare da Annibaie , p e r ch li tem evano, 'siccome addetti al di lui partito ,
( i) Ditcorda molto da Dione aet narrar qaeito fatto Tito L ivio ^ Ub. a 3 , cap, i5 .

45

Marcello vi si oppose (i) j e dissimulato il sospetto che sopra di loro si era form ato, trattolli in si blanda m aniera, che a lui si unirono, ed egli si serri in seguito deli utile opera loro in pr della p a tria, e del popolo romano. LUI. Il medesimo M arcello , avendo scoperto, che un certo cavaliere di Lucania (a), era preso d ' amore per una tal donna, concesse al medesimo in riguardo al suo singolar valore nel combattere , di ritener con se la detta donna negli alloggiamenti, quantun* que prima per mezzo di un editto avesse vietato , che non s'introducessero donne nel campo (3). LIV. Annibaie tratt gli Acerrani (4) alla maniera stessa dei Nocerini, se non che gett i senatori non dentro ai b a g n i, ma bensi dentro ai pozzi.
(i) VeggMi Tito L to , IH , a 3 , eap, l 5 , i 6 , 17. (a) Provincia nel regno di N apoli, che io oggi comprende oaa parte del Principato, e della Calabria di qua dallApenaiiio , ed una gran parte della B aiilicau. (3) P lnu rco attribaisce qaetto a Fabio Massimo. Intorno all' an tica militar disciplina , in vigor di cui i soldati non potevano aver moglie, veggasi il P itisco, in Lexieo J n tiq u (4 ) Abitanti di Acerra , c itt in Terra di L avoro, la quale ri tiene anche al presente il medesimo nome- Si riscontri L ivio, IH . V ), <tap. 3.

46
tluM A
Fabio Massimo , rispetto a quei cittadini , c h e nelle passate guerre erano stati presi , parte n e cambi testa per testa coi prigionieri dei Peni j e parte pattu voa Annibale che per un certo prezzo fossero riscattali. Ma il Senato avendo ricusato di supplire a simili spese ( imperocch non approvava questo riscatto) F a b io , siccome ho detto di s o p r a , vend le sue possessioni , col danaro quindi ri tratto riscatt egli medesimo quei prigiooieri (i). LVI. Scipione, quel medesimo che salv il padre ferito in battaglia, e che poscia venne fatto capitano d i g u e rra , fu in sommo grado eccellente e pel suo ca rattere sortito dalla natura e per la sua maniera di Tivere. N solamente nell animo , ma anche nel d i scorso , qualora ve ne fosse stato bisogno, spirava cose grandi, si che tanto rispetto allo spirilo, quanto rapporto alle sue azioni compariva grande , e n o a in virt di una vana ostentazione, ma bens di mna soda costanza d animo. Per tali m otivi, ed anche perch onorava gl Iddii con ispecial religione fu eletto duce della milizia ; imperocch egli era solito di non iu traprendere alcun affare o pubblico o p ri vato , se piim a salito ia Campidoglio ivi alquante
( i ) F tam m .

48-

47
non si fosse trattenuto : per la fama, che egli fosse stato verso in drago , e per tale marono di lui le pi grandi lo che si sparse anche generato da Giove conopinione moltissimi for speranze.

Lvn.,
P. Scipione, quantunque sembrasse ch'egli tenesse ^ 4^ un non legittimo impero (i), contuttoci dopo essere stato eletto dai sufTragj del popolo j si concili la benevolenza dei soldati, gli eserciti valorosamente divenuti pigri ed oziosi , perch lungo tempo erano stati senza comandante j e li sollev oppressi dalle passate sciagure. Del resto poi non si rend inimico L. Marzio , come generalmente suol farsi , perch godeva di una grandissima stima; ma l'onor sempre in parole ed in fatti. Ed in realt Scipione non era tale , che cercasse la lode ed il suo -ingrandimento dall' altrui oppressione e m iseria, ma bens dalla propria virt 5 e principalmente per questo motivo egli si cattiv la benevolenza dei soldati.

Lvm.
Essendo insorta sedizione fra i soldati , Scipione 544 distribu loro una gran parte del bottino, quantunque ne conservasse una quantit non minore per lerario; di pi assegn alla flotta una parte dei prigionieri,
( 1) P ercU aon era in m agittraio, L iv, Uh. 8 , cap. 38.

48
'**' ed in ulrimo restitu sem a prezzo veruno tutti gK ostaggj ; e quindi ne avvenne, che non solo m oltis sime c itt , ma eziandio non pochi piccioli r e , fra i quali vi erano Indibile e M andonio, Ilergeti (i) ^ vennero dal paitto di Scipione. In oltre i Celliberi ( i ) , eh erano i primi fra i popoli conGnauti xispetlo alla m oltitudine , ed alla loro possanza, diventai-ono amici per la seguente ragione. Ritrovan dosi fralle prigioniere una certa donzella di bellis simo aspetto , dair amar la quale generalmente eredevasi che non si sarebbe Scipione in alcun modo astenuto, Scipione medesimo avendo risa p u to , che la detta fanciulla era stata promessa in moglie ad un certo Allucio principale fra i Celtiberi , fece ve nire a se lo sposo , e nelle sue mani consegn la donzella con tutto il danaro , che i parenti della medesima aveano arrecato per riscattarla. per si mile azione si cattiv i C eltiberi , e tutte le alti'e nazioni. LIX.

545

Era Scipione fiero in guerra, ma placidissimo nei privati congressi ; era terribile contro quelli che fa cevano resistenza , ma poi umanissimo inverso di quei che cedevano. In oltre la gloria di suo padre e di suo zio faceva fede , che esso cos risplendeva
(i) Cos cliiamavasi u a amico popolo della Spagaa T artagonese opra la S rg ra . (a) Questi parim ente erano nn antico popolo della S pagna T a r r a g onese, la (egioae dei quali chiamavasi Celiiberia.

49
non gi per un accidente fortuito , ma s bene per la virt nata con lui. In allora poi e per la prestezza con cui riport la vittoria, e perch Asdrubale erasi riparato nei luoghi posti dentro terra ) e principal mente perch avea predetto, o ci fosse inspirazione celeste, o per caso, ch'egli avrebbe pernottato negli accampamenti dei nemici (il che appunto avvenne) tutti lo veneravano come pi degno di loro j e gl'lspani lo chiamarono anche re grande (i). LX. Masinissa fu uomo insigne nelle altre cose , sic come colui che faceva egregiamente la guerra , ma in ispecial modo nel serbar con costanza la data fede superava di molto non solo i suoi popoli ( im perocch costoro sono per lo pi d indole misleale ed infida) ma quelli ancora, che della sincerit por tano il vanto ( 3). LXL Masinissa amava perdutamente Sofonisba , donna dotata di straordinaria bellezza; in fatti la medesima era in vigore e per la complessione del corpo , c pel fior dell et ; ed in oltre era a meraviglia instruita nelle lettere, e nella musica 3 e di pi era
(i) Dice lo (tesso T ito L iv io , IH . 3 7 , cap, 1 9 . (a) Veggast Sallustio, Jugurth- eap. 6 1 , 6 6 , e T ito L iv io , U t. 3 9 , cap. 3. V i o x t , temo I . h

So
tanto cortese , affabile e graziosa, che al solo v eH oM ^ d e rla , o sentirla poteva allettare ad amarla anche r uomo il pi austero. LXII.
54g

Licinio Crasso per la sua modestia e bellezza , e per le sue immense ricchezze (dalle quali ne riport anche il cognome di ricco ) ed anche perch era Pontefice Massimo (i) , non avendo avuta in sorte alcuna provincia, rest in Italia (a). LXIII. Apollo Pitio risposto avendo ai Romani, che das sero la commissione al migliore dei loro cittadini di trasportar da Pessinunte (3) a Roma la madre Idea (4), ii Senato prefer a tutti gli altri , e riput degno d i un tanto onore P. Scipione , figliuolo di quel Gneo eh' era morto in S pagna, specialmente perch in generale veniva stimato per la sua piet verso gli D ei, e per la sua rara giustizia. Egli adunque port la Dea nella c itt , e sul monte P alatino, accompa gnandola le principali matrone (5).
(i) E u o TCTS nn sommo potere nelle coe More. Veggati il B o t i o , de PoHtiJ- M a x ., lib. 3 , cap. 4* (a) Mod volevano i R om ani, che il Poatefice M aiiim o se n ' a n dasse fuori d * Italia, affinch non si abbandonasse la cura delle c o s t aacre'. Si riscontri T iio L iv io , Uh. a 6 , eap. 38 , 44(3) Citt che pi non esiste: veggasi P lin io , U . N , l, 5 , c. 3 a . (4) Q u e s u era Cibele. (5 ) Veggasi T ito L ivio lib, cap, i i .

5i
LXIV. I Romani dopo arer udite le lagnanze dei Lo< cri ( i) , essendo d 'o p in io n e , che tali disordini fos> ero accaduti per negligenza di Scipione, sofFrirono ci di mal anim o, e subitamente trasportati dallira, determinarono di torre il comando a Scipi(e, e di richiamarlo in Roma a comparire in giudizio j sde guatisi maggiormente, per avere inteso, chegli usava le fogge greche, e che portava il mantello gettat* dietro alle spalle (2), e che frequentava le palestre e di pi che permetteva ai suoi soldati, che saccheg giassero a lor talento i beni degli alleati. Oltre a ci eravi anche sospetto , che egli a bella posta di& ferisse la navigazione nellAfrica, per comandare pi lungo tempo. Ma per instigazione principalmente di quelli, i quali gi da un pezzo invidiavano la di lui glo ria, aveano desiderio di richiamarlo dal coman do: una tal risoluzione per non ebbe effetto attesa la grande speranza, e benevolenza, che la plebe aveva riposta in P. Scipione.
(1) Si ritpontii Tilo Livio, U t . 39 , e a p . 8 , g , 17.
, (a) Cosi p o rurano il mantello fra i Greci caloro , che laotament* trallaTanti; ed al contrario quelli, i quali moderaiamente vivevano, si cDoprivano il braccio col detto mantelto < veggasi Libaoio , in O rat. pr taltatoribut, (3) Luoghi dove i Romani si provavano alla lo lla , ed altri v-> tnili eierciij : i deui luoghi cosi Tenivano chiamati da Palestra fi glinola d i Mercurio o , secondo a ltri, di Ercole alla qoale si at~ Iribnisce l invenaioDC della lotta.

5a
LXV. P. Scipione dopo aver presa una nave dei C a rta ginesi , la rilasci senza toccarla , perch la m ede sima si finse d' essere stata a lui spedita p er a m basceria. In fatti quantunque egli sapesse , che qu ei prigionieri aveano voluto con tale astuzia provvedere alla propria salvezza, con tutto ci elesse piuttosto di mantener sicura da ogni calunnia la sua fa m a , che ritener quella nave. Procurando poi Siface, che i Romani ed i Peni si pacificassero insieme a queste condizioni, cio che Scipione dall' frica, ed Anni baie dairitaiia partisse, esso Scipione diede luogo ad un simil discorso , non perch prestasse fede a tal uom o, ma per sorprenderlo alla sprovvista. LXVL Venivano a Scipione i soldati romani menando a n c h e , oltre il rimanente delia p r e d a , incatenato Siface ; ma egli non pot reggere a tal v ista, e me more deir antico ospizio, e ripensando alla instabi lit delle cose umane , mentre vedeva caduto in tanta sciagura un re di non piccola possanza, che esso medesimo una volta avea giudicato che onorar si dovesse , sbalz subito dalla sua sella , e sciolte gli le catene , e portagli piacevolmente la destra , lo accolse , e gli us ogni sorta di cortesia (i). (i) Lo Blesto dice Tito Livio, Ut, 3o, eap, i 3.

53

Lxvn.
U O U A
MolUtsipai militarono di loro spontanea volont, mentre sogliono gli uomini parecchie cose mandare ad effetto, le quali obbligati dalla forza ricuserebber di fare. In fatti gli uomini sopportano mal volentieri i com andi, i quali hanno unita quasi la violenza, ed amano quelle cose che essi spontaneamente pre> scelgono, siccome liberi, ed indipendenti. LXVUI. Calcide rovin Antioco insieme con gli altri ca- 553 pitani dei soldati ; imperocch avendo egli quivi grandissimo ozio , ed essendo preso d'am ore per una certa donzella , non fu solo a darsi alla efTemi* natezza, ma rend imbelli anche gli altri (i). LXIX. Seleuco figliuolo di Antioco onor grandemente il 564 figlio di Scipione A fricano, fatto da lui prigioniero nel navigar dalla Grecia. In fatti sebbene non volesse J a r luogo al suo riscatto ricluesto dal padre con molte preghiere, non fece per ingiuria alcuna a quel giovinetto , ma s bene ebbe di lui tutta la cura j c finalmente poi , quantunque non avesse po> tuto ottenere la pace , lo rilasci senza prezzo (3).
( i ) Vegga! Tilo L ivio, lib. 3 6 , cap. 1 1 , e F lo ro , i i b - i , e. (a) TU* Livio tiribuitcp quetio non al lgliuslo d i Anlioco} ma t d Anlioco le sto , '6. 3 ; , cap. 34-

54
DI

txx.

Mo m

567

Vi erano molti accesi d invidia cotitro gli Scipioni , perch quei due fratelli nobili per nascita e per v irt , aveano parecchie altre imprese egregia mente eseguile, siccome abbiamo dimostrato, e spe cialmente perch ne avevano riportato il cognome. Ma per vero dire la loro innocenza si dimostr n o n solo dalle cose gi dette ; ma si comprov anche maggiormente da questo , che essendosi confiscati i beni dellasiatico, non vi si trov nulla di pi della quantit delle sue primiere sostanze; e Tafricano ritiratosi a Literno (1) ivi sicuramente rimase fino a l termine della sua v ita , dopo esser prima comparso d giudizio, avvisandosi di esser superiore p er la sincera schiettezza delle sue proprie virt.
( 1 ) L ite r a o , o L interno era nn'anU c* citt d * Iu lii nella C am pa n ia all im boccatara del fiume C l a r i , che in oggi chiamasi lA gno. S i veggono gli avanti della delM citt sol golfo di Gaeta fra Pexxuolo e. la foce d i V o lia m o , alla distanza di quasi nove miglia d ' I t a l i a . I n qaella eravi il sepolcro di Scipione A fricano, sopra il quale fu scritto (I ingrata patria ne quidem otsa mea habei n . T a tti g li a u to ri, che hanno parlato di L |M erno, dicono che dopo essere t ta U distrutta d a i Vandali nel 4 ^ fu eretta la torre che ancora ci s i Tede a e precisamente bel luogo , -dov' era il detto sepolcro : e sic come non vi era rimasto della iscrizione, che la sola parola P a t r i a , questa torre vien chiam ala T orre di P atria ; ed il Lago vicino, cho anticam ente chiamavasi LU erna, o Linterna Pmu y a l presente t i e a d etto Lago delia P atria.

55
LXXI.
M Dt
oma

Avendo gustato una volta i Romani le delizie asia tiche , ed essendosi in mezzo all' abbondanza del b o ttin o , e fra la licenza dell' armi trattenuti assai lungo tempo nelle possessioni dei vin ti, emularono in breve 1' asiatico lusso , e cominciarono a concul car la disciplina dei loro maggiori. Quindi adunque essendo nata la corruttela , penetr un tal male an* che nella stessa citt (i). LXXU. Tiberio Gracco nato di stirpe p lebea, quantuaque veementissimo nel parlare al popolo , fu ci non ostante dissimile da M. Catone (a). In fatti seb bene avesse antica inimicizia con gli Scipioni , eoa tutto ci soifii di mal animo un tal fatto , e difese l africano, che stando assente veniva oppresso dagli accusatori ^ e con ogni premura s 'in te rp o se , acci non venisse infamato ; e finalmente viet, che 1' a* siatico non fosse condotto in prigione. Per la qual cosa gli Scipioni, posto termine alla nimist che avevano contro di l u i , strinsero col medesimo la
( i ) Lo itcsto vien confermato da L iv io , Uh, 3 ^ , eap. 6 , e da P lin io , lib. 3 3 , cap. t i . - (a) E ra conni M. Perci C a to n e , nemico implacabile degli Sci> p io n i, P ln t. in Cai. Majare. L iv . Uh. 3 8 , 54< Intorna poi all equit nsata da T ib. S em pr. Gracco verno gli Scipioui ti coaolti Valerio M assim o, Uh, 4 , eap. i , n, 9 , ed Aulo G ellio, i , < }, eap. 1 9 , a i .

56
parentela a tal segno, che gli diedero per m oglie Cornelia figliuola di Scipione Africano. LXXIII.

Ma Perseo (i), il quale avea aperato di discacciare interamente dalla Grecia i Romani , indeboli nuo vamente le sue forze per aver voluto risparmiar ti'op> po , e fuori di tempo, e per avere in tal guisa n o n curati i soccorsi degli alleati. In fatti nel mentre che le cose d er Romani andavano in decadenza, egli confidatosi ne' suoi avanzamenti , disprezz i confe derati , come se per 1' avvenire non avesse dovuto aver pi bisogno del loro ajuto, e come se o avesse dovuto ei medesimo riportar la vittoria con le sole sue forze, o gli alleati avesser dovuto prestargli gratuitamente la loro assistenza. Per lo che non diede il danaro promesso n ad Eum eno, n a Genzio , dandosi a credere , che costoro avrebbero avuto un privatq motivo di far la guerra contro i RomanL Essendo adunque divenuti lenti a somministrare ajuto non solo questi che ho nom inati , ma di pi anche i T ra c i , i quali neppur essi aveano ricevute le pa ghe intere, si ridusse egli di nuovo ad una s grande disperazione, che dimand la pace ai Romani.

( i ) E ra costai figlinolo b a sta rd o , per quanto dicevasi, di Filippo re dei M acedonii e di etso parla L ivio, lib, 44< 7 a5 , 4 t .

S 'j LXXIV.
R oma

Sedendo Perseo nel tempio di Samotracia ( i) , e richiedendogli i Romani, che venisse consegnato nelle lor mani il cretense Evandro, della di cui fede egli avea avute grandissime prove , e della di cui opera crasi egli medesimo servito in molte imprese contro i R om ani, non volle d a rlo , per timore che non svelasse tutte le cose , delle quali era consapevole y m a uccisolo di nascosto , sparse voce, eh' crasi data da per se stesso la morte. Allora poi i famigliari del medesimo re avendo paura della sua crudelt e fel lonia j cominciarono a ribellarsi da lui. LXXV. Perseo certamente si esib da s medesimo ad es> ser fatto prigioniero ; e condotto subito ad Anfpoli fu accolto da Paolo Emilio in maniera non aspra n in parole n in fatti : imperocch il detto Paolo gli si fece incontro mentre veniva, gli porse la d e stra , e lo ricev a convito; e finalmente con sommo onore trattollo, custodendolo, senza tenerlo in prigione (2).
( i ) Isola di Tracia Dell'Arcipelago^ la qaale ia oggi chiam ati 8 m an d ra cb i, famoM una volta pel tao te m p io , celebre non meno che quello di D e lfo , e pe misterj di C e re re , e di Proserpina. Si consulti T ito L iv io , /i6. 4 5 , eap. 5. ( 1 ) Veggasi T ito L iv io , S i . ^ 5 , eap. 6 e seg.

58
LXXVl
A

F u Paolo non solo un famoso comandante , m a fu dotato altres di somma moderazione ; d e l ch e n' questo una prova ^ che essendo egli consolo p e r la seconda volta , ed essendosi impadronito d ' im> mensa preda, ci non ostante pass la vita in ta n ta povert e miseria , che dopo la sua morte si pot appena restituir la dote alla moglie. E qu esta fu la virt, e queste furono le imprese di tm tal u o m o (i). Sembra per, che spargesse una certa m acchia sopra la sua condotta coHavqr egli permesso ai so ld ati di predare tutto il danaro (s). Quanto al resto poi esso fu di natura piacevole, e nelle prosperit m oderato, e fortunatissimo insieme , e prudentissimo capita* no (3). Il che si pu scorger da questo , c io , che non si dimostr n superbo , n arrogante verso di Perseo , n contro di lui o male o tem erariam ente fece la guerra. LXXVIL Scipione africano (4) faceva prima per lungo tem po
( i ) Si ooDtuUi Plutarco , in /Emioe (a) Q uesto arvenne in occauone e h egli ordin ai tuoi so ld ati d i dare ioleraoienle il guasto alle c itti dell E p ir o , oome a tt e s u LiviOf /. 45 . ca/>. 3 4 . (3) Veggasi Livio , Uh- 4 5 , cap. (4) Parlasi qui di Scipione A fricana, detto il m inore, figlioolo d i L . Emilio P a o lo , m a adottato dal figlio di Scipione A fricaap, d e tto il maggiore. Il sopraddetto Scipione riport neh esso il cogaooM

^9
a n esatta ricerca di ci oh era d uopo (Eseguire per il meglio , e ritrovava con somma avvedutezza la risoluzione che dovea prendersi sul momento; ed epe* raira nell' una e nell' altra maniera , secondo che ri chiedeva lo stato delle cose. Ma per se con fiducia d animo discerneva ci che si doyea mandare ad affetto , non senza timore altres ne veniva all ese cuzione; dal che ne avenne, che con quella sua in* trepida deliberazione vedeva con somma esattezza tutte quelle cose ^ che erano di utile, e colla sua tema e dubbiezza riguardo aglincerti successi, eseguiva qua lunque azione con sicurezza. Per la qual cosa se mai per avventura caduto fosse in qualche improv viso pericolo ( siccome suole intervenire negl impeU' sati eventi della guerra , e nella variet della fortuna) neppure allora si allontanava dalla giusta condotta. In fatti per uso, e perch non faceva giammai cosa veruna senza considerazione , neppure nei repentini accidenti, era non pronto a prendere i provvedimenti opportuni f ma siccome avea sempre tem uto, cosi sofiriva i subiti c a si, quasich da gran tempo gli avesse previsti. In quelle cose pertanto , nelle quali giudicava di tenere una retta co ndotta, era audace j e laddove confidava, era prontissimo ad affrontar qualunque pericolo; imperocch egli era di corpo Irobusto ugualmente che il pi forte soldato; e per si rendeva ammirabile specialmente anche per quedi ^fricsBO , non per inccessione, m t per eitertelo oquisUto col * 0 0 v a lo re , per aver d is im tu in teranente U citU d i C artagiae , Ftor< lib. a , cap. i5 .

6o

jtK M t s t o , cio che provvedeva a ci che fosse ottimo a nnA ; siccome colui che agli altri dovea com andare, ed esso nullameno dava la mano ali opera , q u asi che fosse stata comandala da un altro. Oltre queste v irt , delle quali era fornito, erasi egli acquistato un grandissimo credito non solo presso i cittadini e gli amici , ma anche presso gli estranei , e questi nemici ; per lo che non tanto moltissimi privati ^ quanto anche non poche citt si unirono a lui. l a fatti non facendo eg li, o non dicendo veruna cosa con temerit , con i r a , o con tinlore : ma essendo preparato con costante discernimento ad ogni repen tino accidente, e preveduta avendo la variet delle cose umane ,^pon eseguiva veruna azione che n o n avesse sperata, e considerava prima tutte le imprese secondo la loro natura ; e quindi antivedeva e o a grandissima facilit quanto doveva mandarsi ad ef fetto , prima che ce ne fosso il bisogno, ed ese guiva il tutto con somma costanza. Egli adunque solo fra t u tti, o certamente pi di . tu tti, specialmente per la sua moderazione ed equit, sfugg T in . vidia non solo de suoi uguali, ma anche degli a ltrij siccome colui che usava di pari dritto con gl' iuferio ri, e non voleva primeggiare co suoi pari , e volontieri cedeva a quelli cherano migliori di lui: p e r lo che vinse Tinvidia, la quale principalmente suole offendere uomini i pi eccellenti.

6i

Lxxvm.

JtO M Vinato Lusitano (i) n a to , come dicono alcuni, di 6 o 5 oscura stirpe , si rend chiarissimo per le sue im prese. Egli primieramente di pastore divenne ladrone, e dipoi imperatore. Esso e r a , s't per n a tu ra , come per esercizio, velocissimo al fuggire, ed al persegui* re -, e similmente era fortissimo nel combattere a fermo. Oltre a ci faceva uso con piacere di qua lunque cibo gli capitava, avvezzo a menare all' aria scoperta la pi gran parte della vita, e contento de gli stramazzi, che gli somministrava la n a tu ra , e tollerante del caldo e del freddo. Oltre a tutto que sto esso non rimaneva abbattuto dalla fame, n sog giaceva ad altri incom odi, siccome colui che aveva appreso a dare abbondante sollievo alle sue necessit con quelle cose che aveva presenti, quasich fossero le migliori. Fornito egli pertanto di un s fatto corpo e p r natu ra, e per uso di vita, fii di gran Innga pi insigne per le virt dell animo ; imperocch era prontissimo non meno a pensare , che ad eseguire ci che richiedevano le circostanze , siccome colui che conosceva non solo le cose chc doveano man^ darsi ad efietto, ma altres il tempo proprio ed op portuno per eseguirle. Egli era medesimamente ec( i ) D i L o tiu n ia , oggid Portogallo; ben ch i la LotiUDa si esteadeva pi clie il Portogallo , m entre coai|irenciera I' Eslrem adura . e la Gattiglia vecchia , che ora sodo fuori di Portogallo Di Viriato poi parlano Floro, lib. cap. i5 , 1 7 . Appiauo, de btU'u Hitpan. fivclooio, in G o lia , e. 3. G io ttin o , t, 4 4 i e . a , 7 , ee.

DI

6a

celiente maestro nel fingere d'ignorar le cose le p i *am A manifeste , o di saper quelle eh erano le pi segrete ed occulte. Finalmente essendo egli imperatore , e ministro in qualunque luogo di s m edesim o, non sembrava n abbietto, n molesto ad alcuno; m a in mezr.o alla oscurit de suoi n a ta li, ed alla dignit ^ che per mezzo deMa virt crasi procacciata, essendo egli moderato , non compariva n inferiore, n su> periore a veruno. Esso in somma non intraprendeva la guerra o per motivo di avarizia, o di dominio , a di sdegno ; ma per eseguir delle imprese ; laonde fu riputato ed amantissimo della g u e rra , e Taloro sissimo guerriero. LXXIX. 6i
I

ppio Claudio consolo , collega di Quinto Metel lo , insuperbito per lo splendor dei natali, e por tando invidia alla gloria del detto Metello , avendo avuta in sorte l'Ita lia (i) sgombra da ogni nem ico, anelli di andar cercando in qualunque luogo materia di trionfo. Dato adunque l'assalto ai Salassi (i); po poli della G allia, al quali non T e r a cosa d c o n a
^ i ) Si devono correggere i Com m roU rj dei F a n i scriui dal S i g o o io , il quale all* a n ao di Roma 6 io ic r iv e , che a Claudio toce& la Calila > quando da Dione a p p arisce, che gli tocc l 'I t a l i a . (al Amichi p o p o li, i qnali furono vinti da V arrone: AnguUo poi m and tre mila uomini l , dove il detto Varrone a re a piantato il suo cainpo, e ci si form una c it t , detta /iiigutta P r a te r ia , ed ora si chiam a A osta; e questa d il n o n e a d una Valle , che a p pattiene alU Casa di Savoja,

63
che rinfacciar si potesse, li concit contro il popolo romano. In fatti spedito egli per pacificarli coi lor confinanti, coi quali stavano in discordia riguardo alle acque necessarie per le miniere deU oro (i)^ diede il guasto al lor territorio. Ma i Romani man* darono a lui due dei decemviri de' sacrficj (a). LXXX. Appio C laudio, quantunque sapesse benissimo di non avere ottenuta la vittoria, contuttoci giunse in allora a tanta insolenza , che non essendo stata fatta menzione alcuna del suo trionfo n ia S enato , n presso il popolo, ebbe 1' ardire di chieder le spese del detto trionfo, quasi che che senza verun decreto gli fosse dovuto (3). LXXXI. Lucio Mmnmio , e Scipione Africano censori fu* 6 ia
( i ) Di qaeite miniere parla Strabone , I ti. 4* (a) Q u e lli avevano in enia i libri Sibillini, i (laali doT erano cm consoltare aei biiiogni argenti della repubblica , o quando un fiiuo d i (trave imporianaa Io richiedeva. Esendo adunque stati disfatti i Bom ani dai Salassi, che Appio Claudio aveva ingiustamente attac cali , i decemviri risposero , di aver trovato nei libri Sibillini , ch ogni volta che i Romani erano per m uover guerra ai G a lli, bi*o* p iav a che nei toro coofDi facessero nn nacriftio, ed a qneslo ef ftto m andarono i detti due decemviri. JaBiu Ohsf. cp. 8 0 . (3) Orosio ai lib. 5 , c ip . 4 d ic e , che fa da Appio Claudio chi^ lo il trionfo ; e che non avendo ottebuto il perm euo d i Carlo , lo fec impudemeaieiite a propria (pese.

64 tono di carattere in tutte le cose totalmente d iv erso ; imperocch questi non coudscencicndo ad acco rd ar veruna grazia, o favore, esercit la censura con ogni severit, ed esattezza*, e gastig parecchi dell*ordine senatorio ed equestre , e moltissimi altres delia f^ebe. Mummio poi accomodandosi all aura popolare ^ ed alla compiacenza, non fece ignominia ad alcuno, e per quanto p o t , annull ci che operavasi dal suo collega : e fu per natura dotato di tal m odera zione , che Lucullo avendo da lui ricevute in p re stilo le statue pei* la consecrazione del tempio della Felicit ( i ) , che dopo la guerra spagnuola avea co struito , n volendogliele. poscia restituire , quasich per la detta consecrazione fossero diventate sacre , egli per niun modo se ne sdegn j ma anzi so ffr, che si vedessero le sue spoglie con una iscrizione , che indicava essere state dedicate da altri. LXXXU.

6i4

Molte cose furono da Q. Pompeo (a) infelicemente eseguite, per le quali incorse in grandissimo diso nore. In fatti volendo egli deviar dal suo letto il
(i) S trib o ae al libro 8 coi dice : et eum LucuUus FelicUat Tempbtm fecUset cuti portcu , Miimmium rogavit, ut tahuUtg tibi commodaret ad ornatum Templi , donec Ulud dediearet, poUicitug, te statim a dedicaVone eas redditurum. Si rincontri ftnchfl V ellejo Patercolo , 4 P35 cap. 4 . e l . Sy, eap. I . Fronlin. Slraleg. 4 . cap- 3 , i 5. (a) E ra costui Q . Pom pM R ufo, che fu ^1 prim o della u t fami glia ad ester fatto c o n io lo , H o t, l , . i , eap,_ , 4*

65
fium e, cbe scorreT per la regione dei Numantlni (i), e spanderlo sopra i loro campi, alla fine diede com pimento a ci con immensa &tica: ma avendo per duti in ta^ o p ra molti soldati, non risult alcun ran faggio ai Romani da un simile deviamento, e non rec verna danno ai nemici.

Lxxxni.
Q. Cepione non diede al nemico alcuna memora* bile r o tta , e vess i suoi con molte e gravissime ingiurie, di maniera che manc poco che non venisse dai medesimi ucciso. Imperocch trattando egli Con molto dispetto e fierezza in generale tutti i sol-* d a ti, ed in ispecial modo i cavalieri , molti partico^ lannente in tempo di notte -scagliavano e spargevano contro di lui parecchj motti pungenti; e quanto pi egli se ne sdegnava , tanto pi con simili cose lo piovocavauoa irira . Essendo adunque palese u n ta le attentato , e d' altra parte non venendo scoperto al cuno che reo ne fosse, alloi*a Cepione venuto in io* sp e tto , che ci si facesse dai soldati a cavallo , e non potendo dar la colpa ad alcuno separatam ente, rivolse contro tutti il suo sdegno ; e comand ad essi, i quali erano seicento di numero, che in com pagnia dei .loro soli scudieri passato il fiume, presso il quale avevano gli accampamenti, andassero a far
( i ) Abitanti di N a m a n iia , c itti ohe fa poscia dittniU a da Sci pione Africano il totbora nella Cauiglia Vacchia : la di lai rovine al preaenle chiam aati P aenta Garajr.
BtOtt, tomo I.

66
legna nel m onte, sul qnale Vinato erasi ferm ato. Dal che essendo cosa cliarissima , che ne sovrastava a tutti un estremo pericolo, i tribuni ed i leg ati cominriarono a scongiurar Cepione, che i*in vo lesse precipitar coloro in una manifesta ruina. Quei cav lieri poi avendo un poco aspettato, se mai egli avesse per avventura esauditi i suoi capitani, quando in te sero ch'ei-asi dimostrato inesorabile, essi non vollero supplicarlo , lo che aveva principalmente desiderato Cepione ^ ed elessero piuttosto di m orire, che d i ammollir costui con un mite ragionamento. Si p o r tarouo adunque ad eseguire gli ordini ricevuti , a c - . compagnandoli alcuni cavalieri volontari dei confede rati. Ma passato il fiume, dopo aver tagliate le lega^ ritornarono; ed avendo fatto impeto nel di lui padi glione volevano bruciarlo vivo ] e lo avrebbero fatto , se il detto Cepione con la fuga non avesse provve duto alia propria salvezza. LXXXIV.

5i8

Appio Claudio censore avrebbe, atteso il suo sovercliio rigore, eseguite non bene molte co se, se il il suo collega Q. Fulvio non gli si fosse opposto. fatti dotato questi di una singolare equit , e di u u a indole assai diversa , non si oppose con ira j m a ta< lora cedendo j e talora (lattando placidamente co l suo collega, io mitig iu guisa, che ben di rado la ciavasi tiasportare dallo adeguo.

LXXXV. P. Furio Filo (i) , quantunque fosse reciproca ini micizia fra lui e Q. Pompeo e Q. M etello, contuttoci li condusse -per legati nella sua spedizione con questa m ira , che , siccome avea stabilito di far delle segnalate imprese , le potesse mostrar chiaramente j e ricavasse anche dai m edesim i, loro malgrado j una testimonianza del proprio valore. LXXXVI. Tiberio Gracco perturb la repubblica, quantun* que fosse di distinto lignaggio , mentre vantava per suo avo Scipione A fricano , e quantunque avesse sod* tita un' indole degpa di I n i , e di pi fosse egregia mente disciplinato nelle arti liberali, ed oltre a ci fornito di un' anima grande ed elevata. Ma quanta pi spiccavano in lui s fatte qualit, tanto- pi fie ramente era portato alle contese ed alle risse: e tra viato una volta dal retto sentiero , trascorse preci pitosamente anche contro soa volont nelle cose le pi vituperevoli. In fattr dopo che fu negato il trionfo al consolo per la pace messa fra i N um antini, di modo che egli stesso , il quale era stalo autore di una tal confederazione , non solo non riport quel r onore che aveva sperato, ma anzi poco manc che non fosse dato in mano de nemici. Gracco allora
( i ) P a tla di cestai Valerio MaMoio j / 3 , w p ,
7

> n . 5.,

68
scorgenclo d ie temerariamenle si gia<IicaTa, e n o n gi a seconda dii yalore, e della verit , a b b a n d o n questa strada d'incamminarsi alla gio i a , siccom e poco sicura ^ e d'altra parte bramando di o tte n e re il primo posto in qualunque fosse maniera , e s p e dando di poter conseguire il suo intento pi facil> mente per mezzo della plebe che del Senato j lasc iati i p a d ri, si ritir dal partito dei popolo.

Lxxxm
631 M. Ottavio (i) a motivo della emulazione, ed in vidia, nata dalla parentela si oppose costantemente a Tiberio Gracco, e quindi tutte le cose cominciarono a trattarsi con grandissimo tumulto. In fatti am endue costoro sforzandosi di superar piuttosto con una sc el lerata contesa il suo rivale , che di giovare alla r e pubblica , eseguirono molte cose per fo rz a , come se vi fosse stato il dominio dei re , e non il popolare governo} e sofTiirono altres molte cose e tutte g ra vissime , quasich non gi in p a c e , ma bens in guerra fossero stati. Imperocch ora ad uno ad u n o , fleparatamente , ed ora in pi divisi in fazioni , a n i davano seminando delle risse , delle disp u te, e dei contrasti in tutti gli altri luoghi della citt , e spe cialmente nella curia e nel comizio ; mostrando di volere in apparenza che le leggi venissero approvate (i) Si riscontri L. Floro ^ l. 3 , eep. i 4 t cd Appiano, CivU.
, eap. 356.

^9
Dt

dai tribuni , ma in sostanza macchinando tutt' altro , . . . ^ cio di non cedersi a vicenda in cosa veruna. Laon> de nella citt s incominci ad eseguire tutto senza decenza , e contra lo stile consueto^ i magistrati trasandarono i proprj ufficj ; i giudizj cessarono', non 5 fece pi contratto veruno , e s'introdusse da per tu tto un perturbam ento, ed una confusione grandis* 8m a, restandovi solo il nome di c itt , quando in sostanza i cittadini erano in ^ s a di quelli che stan* n o accampati (i).

Lxxxvm.
Tiberio Gracco propose una legge al popolo in favore della p leb e, la quale stava alla g u e rra , e dai senatori trasfer ai cavalieri il dritto di giudicare ^ sovvertendo , c perturbando tutte le costituzioni, per procurare una qualche sicurezza at suoi proprj in teressi. Ma dopo che non fece alcun proBtto nep pure in questa m aniera, e poi che gi era immi nente la fine dell' a n n o , ed egli deposto il magi strato era per rimanere esposto ai suoi nem ici, si adoper per essere fatto tribuno anche per l ' anno seguente in compagnia del suo fratello Cajo , e per> che venisse promosso al consolato Appio suo suo> cero , non ricusando a tal fine di dire e promettere a ciascheduno qualunque cosa ; ed ei medesimo spes sissime volte and all adunanza coi vestimenti sorf i ) S i iw contti P l a ia r c o , in Graechis.

70
elidi e laceri, e fece comparire al popolo la sua ma* dre ed i suoi figliuoli ad intercedere per lui. LXXXIX.

6 a5

Ebbe P. Snpione Africano un desiderio di gloria maggiore di quel d ie bisof^nava . o di qtKl ohe con veniva ad un uomo di cosi grande virt. Non p e r alcuno della parte rontraria si lallrgr Uclla sa a inorte ; ma quantunque fosser d avviso , che fosse stato loro sommamente mu1ei>to , ci non ostante j poi che fu estinto , lo desiderarono ; impt roi cli. b en s avvedevano, eh'esso era ulile alla repubblica, e pensavano che da lui non sovrastava ad e.-is alcun male. Ma tolto che fu di vita un tal uomo, di nuovo s'indebol il partito dei nobili , di mou che in se guito fu cosa facile agli autori delle leggi agrarie il devastar quasi, tutta l'Italia. E c i , per quanto a me sem bra, fu in ispecial mo lo pronosticato dalla pioggia di pietre , che poco prima era dal cielo in certi tempi caduta , ed alcuni uomini aveva am m az zati ] e similmente da quelle lagiime del simulacro di Apollo. In fatti esso pianse ed anzi pianse p e r tre giorai ; e per tal cosa a seconda della risposta degli aruspici il Senato decret, che quel medesimo simulacro fosse abbattuto, e gettato nel mare (i).
(i) JuUU O b t t g . c a p . 87.

V
Dt MotiA

XC.

G. Gracco nella repubblica segui la stessa opi- 633 nione del suo fratello Tiberio ; s non che questi dalla virt fece passaggio, quasi per un certo'fuoco ed impeto di spirito , a sediziose contese , e dipoi alla malvagit ; e Cajo fazioso di natura mandava volontariamente ad effetto le cose le pi cattive. Del resto poi era di gran Junga men pronto del fratello nel dire ( i ) , e quindi faceva uso di maggior frode nel pensare, e di ardire in ogni luogo , e d 'in so lenza pi grande ] e fu il primo che nelle aringhe incominci a passeggiare, e a denudar il braccio (2), di modo che dopo quel tempo n l'una n laltra cosa rec pi disonore. Il medesimo facendo uso nel, ra gionare di grandissima copia di argomenti, e veemenza di parole, e per questo potendosi appena frenare dal non trascoiTcre anch suo malgrado spessissime volte a dir quelle cose che non voleva, avea per costume di condur seco un sonatore di tib ia , sonando il qu ale, egli moderatamente si componeva, ovvero se anche in questo modo avesse passati i limiti, poscia si reprimeva. Fornito Cajo di cos fatta indole si accinse a metter sossopra la repubblicaj e simulando di non dire o far cosa veruna che non fosse lecita, ottenne in breve spazio di tempo una grandissima autorit presso la plebe, e presso l'ordine equestrej
(i) Vrggasi P lalarco , in Gracchit. (a) VfDTi questo ripiila'o un atto indeccata, Q uinftl. /. l i , cep. 5 , Jac. EUneruf in Schediasmate Critico.

e se pi lungamente in vita fosse rimasto , avrebbe interamente distrutta la nobilt, e tutto il S enato. Ma rispetto alla soverchia sua brama di dom inare avendo cominciato a rendersi odioso anche a quelli della sua 'fazione, rimase oppresso dai suoi stessi artiCzj. XCI.

64 o

Le vergini vestali soffrirono una grandissima parte di disonore pel male commesso da loro medesime j ma ci non ostante posero anche parecchj altri in gravissimi disturbi, e tutta la citt in confusione e tumulto. In fatti essendo d'opinione i R om ani, che fossero stati violali quei sacrifcj , i quali doveano essere intemerati per legge, santi per religione e casti per il timor delle pene , furono anche d'' avviso , che non vi sarebbe misfatto alcuno , per turpe ed impuro che fosse, il qual non venisse liceiiziosamente commesso. Quindi in odio di tanto eccesso non solo punirono co lo ro , -che ne furono convinti, ma tu tti quelli alti-esi eh' erano stati accusati ; di modo ch e sembrava , che non tanto si fosser posti in agitazione pel misfatto da quelle donne commesso, quanto che agissero in tal affare animati dall' ira divina. XCU. T re,v erg in i vestali aveano commessa al tem po medesimo disonesta azione 5 e fra quelle Marzia se paratamente avea avuto commercio con un cavalicie

7^
romano , e forse ci non si sarebbe scoperto, se il processo incominciato contro le a ltre , ed ampiamente formalo non avesse compreso ancor lei. Emilia poi, e Licinia (i) avevano molti amanti , ed in comune commettevan lo stupro. Da principio per aveano commercio con alcuni pochi privatam ente, ed in segreto , come se fossero uno solo : ma in seguito esse dal canto loro , per mettere in necessit di guar dare il silenzio tutti quelli, i quali da loro medesima si credeva che potessero formar sospetto, o dare indizio di una tal c o sa , ve li costringevano col com mercio dello stupro quasi per obbligo j e quegli stessi, che prima da quelle vergini erano stati scelti per a m anti, soflrivano ci con pazienza, quantunque lo sapessero , afBnch col loro risentimento non venis* sero ad essere scoperti. Quelle in somma ora con uno , ed ora con pi , o separatamente , o in comune giacevansi ; e Licinia col fratello di Em ilia, ed Emilia col fratello di Licinia praticavano famigliarmente il commercio carnale. Ed una tale infamia quantunque gi da un pezzo si commettesse, e ne fossero con sapevoli moltissimi uomini e donne , ingenui e ser vi , ci non ostante si mantenne segreta per lun ghissimo tempo : ma Gnalmente da un certo M anio , il quale era stato il primo a prom uoverla, e ad esserci a parte , fu manifestata , perch conseguita non ne aveva la lib e rt , n altri p rem j, siccome
( i ) Peror in favore d i questa L . Lieioio Grasso , qul celebre a r a tu r e , che in alici* aveva 3 7 a n n i, come dice C icerone, w
B r u to , cap.

43.

74
^irjrj aveva sperato. E costui era certamente abilissim o boma non solo ad intentar-delle accuse contro ta lu n o ^ ma altres a sparger calunnie e risse.

xcm.
64 a
E queste medesime cose a dir Tero recavano in loro stesse graodissima gloria a M. Druso (i) : ma di pi poste a confronto con la rotta ricevuta da G. Catone , specialmente perch il detto D m so usava molta equit verso i soldati , parve che lossero state pi segnalatamente eseguite di quello che fosse vero, e gli produssero una gloria superiore alla medesima impresa. XCIV. Era Mario un uomo di carattere sedizioso e tur bolento , e moltissimo afTezionato a tutti i p le b e i, dai quali traeva T origine , ed inimicissimo ai nobili in generale. In fatti esso non esitava giammai a dire ed a prometter qualunque cosa , a m entire, a sper* giurare , quando ne sperava un qualche vantaggio (a). Teneva per ischerzo e per giuoco il calunniare il migliore fra i cittadini, ed il lodarne il pi scelle( i ) Il consolo M . D rillo nell anno 6 4 ' com lntl p ro ip e ra m e o R ooDlro gli Scordisci ( raoo qiirali popoli pochisiim o c o o sid era ii a tempo di S tra b o n e , l. 7 ' , ) contro i quali C . Catone., c h e era sialo consolo due anni p rim a , aveva iufelicemenle g a e r r e ^ i a i o j T ilo L t Fi>Uome 63. (3 ) Si lisconlri P lu tarc o , in Mario.

646

rato. N conviene stupirsi, c h e , i mali che un tal jlanL DI uomo faceva, stassero per lunghissimo tempo segreti*, R o m a .imperocch esso acquist la fnma di virtuoso in grazia della sua industi ia artiflciosa , e della fortuna , la quale egli ebbe da principio favorevolissima in ogni occasione.

xcv.
Del resto anche per questo fu cosa facile a Mario il calunniar Metello , perch cio Metello stesso nato di stirpe patrizia era famoso nell arte di far la guerra; e colui per lo contrario , essendo di razza oscura molto ed ignobile , avea cominciato a venir di fresco alla luce. E d in fatti la maggior parte dei cittadini erano inclinati per invidia ad opprimer Metello , e ad innalzar Mario per le sue promesse , tanto pi che correva voce , che Metello dicesse a Mario , il quale se n' andava ai Comizj : Ti basti se otterrai il consolato in compagnia di mio figliuolo . Questi in allora era per anche molto giovine (i), XCVI. E ra Gauda (2) nemico di Metello , parte perch non aveva da lui ottenuti, quantunque richiesti, i disertori, n il presidio dei soldati Rom ani, parte perch gli veniva vietato di sedersi accanto al detto
( i ) Lo tesso dice S a llu s tio , Jtiffurth. eap 6J , 3(a ) Questo Gauda era igliaolo di M asU nabale, e nipote di Mactinbsa , cem *i iilTa da Sallustio , in Jugurih, cep, 65 in ii.

M etello, il qnal onore dai consoli quasi a c c o rd a r si soleva ai r e , ed ai dinasti.(i).

xcm
648 Avendo i Tolosani , i quali da prima erano s ta ti fedeli ai Rom ani, indotti dalle promesse dei C im bri ^ suscitata una sedizione, e messi in ceppi i soldati presidiar) dei Rom ani, questi introdotti di n o tte tempo da quelli che erano loro amici nella c itt j improvvisamente la presero , saccheggiarono i tem pj, e s'impadronirono di altro immenso danaro. Im pe rocch quella citt gi fino dai tempi antichi e ra opulentissima, ed era adorna di quei d o n i, i q u a l i anticamente i Galli andati in Grecia sotto la con dotta di Brenno aveano portati via dal tempio di Delfo. Con tutto questo per non ne deriv un gua dagno grande all' erario ; ma la maggior parte di quelle cose sacre se le appropriarono quei depreda tori ; per lo che in seguito molti furono puniti come rei di peculato (2). XCVIII.

64g

Q. Servilio Cepiope essendo uguale nel com ando, ma in dignit inferiore a Gaeo Mailio, mentre questi
( 1) Ciofc ai signari di qualche luogo. (3) 11 Gindiiio di Peculato era quello , oel quale U la n o TenTa accusato di aver rubalo de l danaio pubblico, o sacro , C. t , e 4 ,

ff. ad L> ZtU. Pecul-

77
era consolo , per iavida ed emulazione fu causa di gravissimi mali all esercito romano. In fatti Mallio ^opo la strage di Emilio Scauro avendolo a se chia- 64^ mato , egli da principio rispose , che ciascuno difen der doveva la propria provincia ; . ma poi temendo che il detto Mallio non eseguisse da per se stesso felicemente T impresa , gl invidi una tal gloria. Mosse per il campo alla volta del consolo; ma non pot indursi ad unir l esercito insieme con lui nei medesimi alloggiamenti, n a comunicare col mede simo veruna risoluzione. Per esser poi il primo a venire alle mani coi Cimbri , e riportar tutta la gloria di aver fatta la g u e rra , pose il suo campo in mezzo tra Mallio ed i Cimbri suddetti. da prin cipio, non essendosi per anche scoperta la discordia di que due capitani , entr tal spavento addosso ai Cimbri, che spontaneamente addimandarono la pace. Ma avendo spedito un Caducentore al consolo Malli , Servilio cominci a sdegnarsi, perch non piut tosto a lui r ambasceria fosse stata mandata ; e quindi non diede una mite risposta intorno alla p a c e , e poco manc , che non uccidesse gli amba sciatori. XCIX. Ma finalmente i soldati costrinsero Servilio ad unire il suo campo con quello di Mallio, ed a venir con lui a comune consiglio. Furono per s lungi dall accordarsi fra loro , che anzi da quell abboc camento ne avvenne j che arsero a vicenda di odio '

pi forte di prima : ed ih fatti trascorsi esscDdo * ooMj contese ed oltraggj , partirouo vergognosameate dal congi'essok C.

65o

Gneo Domizio , avendo chiamato in giudizio M. .Scauro , e venendo a lui un servo d esso S cau ro , il qual prometteva , cbe avrebbe denunziati m olli e gravi delitti contro il suo padrone , non per gli prest orecchio , ma subito fattolo prendere j lo consegn nelle mani del medesimo Scauro (i>. CL

P. Licinio Nerva , il quale come pretore ammini* strava la Sicilia , sentendo che i servi venivano in giustamente trattati , o certamente cercando una oc* . cagione di guadagnare (imperocch non sapeva fre narsi nel desiderare il danaro ) ordin per mezzo della pubblicazione di un e d itto , che tutti quei servi, i quali avevano qualche motivo di lagnanza contro i propri p adroni, andassero da l u i , promettendo loro di ajutarli. Moltissimi servi pertanto fatta unione comparvero, aicuiii dei quali dicevano di essere stati ingiuriati , a lta opponevano altre cose ai p a d ro n i, pensa>i<tosi , che si fosse loro offerta una opportuna occasione d'im petrar senza pericolo qualunque cosa
f

eaf> 3 i . Valerio M assim o, l. Scauro.

( i ) Lo stesso riferisce C ice ro n e , io Orat. pr Rege D e je ta ro , 6 , cap. 5 , ed Asconio i a OraC. pr

79
avesser volato. I padroni per lo contrario di comune accordo resbtevano ai detti servi, ed in ninna parte cedevano. Per la qual cosa Licinio , avendo paura deir una e deir altra fazione, e temendo altres, che forse da coloro, i quali avesser perduto in giudizio, n o n si commettesse qualch eccesso pi grave , senza am m etter querela di alcun servo, li mand via tu tti, assicurandoli, che per l avvenire non sarebbero pi sta ti ingiuriali, e ci con intenzione , che dissipatisi suscitar non potessero tumulto veruno. Ma essi po stisi in timore dei lor padroni, perch aveano avuto tanto ardire di accusarli, fatta una congiura tra loro, si diedero alle ruberie. CU. Vinti i Barbari, e moltissimi di loro essendo morti 65a in battaglia, e pochi salvatisi con la fuga, Mario per dare ai soldati un sollievo, ed insieme una qualche ricom pensa, vend ad essi ad un vilissimo prezzo tutta la p re d a , per non parere di darla loro senza pagamento. Per questo Mario, laddove prima veniva celebrato dai soli uomini plebei , dai quali traendo egli r origine n era stato aggrandito con ragguarde volissimi o n o ri, in quel tempo si cattiv anche i nobili , che Ano allora aveanlo odiato ; dimodoch venne ormai esaltato dalle comuni lodi di tutti , e per generale consenso fu spontaneamente creato con solo per r anno seguente , acci ultimasse del tutto la guerra.

8o
Vi M m j

CHI. I Cimbri , appena furono abbandonati dal lo r mpeto , rallentarono molto il primiero furore y e quindi dirennero pi p ig ri, e pi deboli d 'a n im o , e di corpo. Cagione di ci era , che essendo prim a stati avvezzi a stare a cielo scoperto, allora stavano al coperto ; e faceano oso di bagni c ald i, quando per lo addietro erano soliti lavarsi coll'acqna fredda. Oltre queste cose si riempievano di appetitose stra niere vivande, laddove prima aveano in uso di pa scersi di carni crude ; e finalmente , oltre il loro costume , eccedevano nel bere , e nella gozEoviglia. P er tali cose adunque si snerv l'im peto del loro animo, ed i lor corpi divennero effeminati, di sorte cbe pi tollerar non potevano n la fatica, n ve runo incom odo, n il caldo , n il fre d d o , n la veglia. CIV.

651

I Mamertini trasportarono nella citt di Messana le loro sostanze , e le cose le pi preziose che ave vano (i), dandosi a credere , che in tal guisa sareb(i) F a menzione di questa sollevatione 'di se rri A p p ia n o . CiV.

2. a ., ed Orosio i. 5 , e- 6 c 9 , e. pi ampiamente D io d o ra Sicalo in Eclnqis l 34 e 3 6 , Jove riporla tre disile della soIleTaz io n i, la prima succeduta sotto Euno di S iria , e Cleone di C ilicia , la scoonda sotto nn cerio O a rio , e la tersa) sotto Salvio , c poco do po sotto Alenione di Cilicia. Orosio poi , /. 5 , e . 6 d ic e che
la sola citti di Messana fu esente da tal inmullu e m a n te n n e paca i servi col tr a tu r li splendidam ente. >

8i

bero stati sicnrssimi dalle scorrerie dei fuggitivi (i). C i appena fu risaputo da Ateaione ( costai oriundo d i Cilizia aveva grandissima autorit fra i ladroni ) aspett il giorno, in cui coloro facevano pubblica m ente una sacra solennit nel sobborgo . e fece ira* p eto sopra di e ssi, e moltissimi ne uccise qua e l dispersi , e manc pochissimo , che non prendesse la stessa citt. Ma avendo ben fortificato un certo luogo chiamato Macella (2) , diede il guasto al ter ritorio Mamertino. CV. P. Furio accusato per quelle cose che avea fatte ^55 n e l tribunato , fu ucciso dal popolo romano nel co mizio medesimo : uomo che per verit ben meritava d i morire ( mentre era sedizioso, ed essendo prima stato del partito di Saturnino , e di Glaucia , erasi poscia fuggito alla contraria fazione , ed aveva at taccati costoro), ma che per non conveniva, che in 81 fatto modo perisse. Ma la cosa parve che acca d e s se , secondo che un tal uomo si meritava.

evi.
P. Rutilio , uomo integerrimo, fu ingiustissima- 661 mente condannato (3). Esso fu chiamato in giudizio
( i) Veggasi Floro / . 3 , c . 1 9 . ( 3 ) Adeso pi non e sin e . Veggati il Ciacconio in / . Columna

Mostraue.
(3) Si consalli anche O ro s io , l . 5 , c . D i o n t , tomo T,
17.

82
Jalla cospirazione, e dalle insidie dei caT alieri, q u a si chf come legalo di Q. Mucio avesse per lui ricevuto dei doni j per lo che quelli gl imposero una p e n a pecuniaria. Gli fecero poi una tal cosa accesi di sdegno, perch il medesimo Rutilio aveali f r e n a ti, menlr'essi nellesigere le gabelle commeltevano m olte ingiustizie. CVII. Del resto difese Rutilio eoa grandissima costanza la propria causa ( i) , e tenne un tale ragionam ento, qual convenivasi ad un uomo probo , che veniva attaccalo dalla calunnia , e che di gran lunga pi del suo proprio danno commiserava quello della r e pubblica. Con tutto questo per fu condannato , e cede a tutti i suoi b e n i, per lo che si comprov grandemente, ch'esso era stato alieno da simile col* pa j mentre le sue sostanze si ritrovarono di g ran lunga minori di quelle, che dagli accusatori dice vasi esser da lui state rapite dall Asia ^ ed ei medesimo dimostrava, che le medesime erano pervenute in sue mani con titoli giusti e legittimi. In s fatto m odo adunque soccomb Rutilio per mezzo della cafuania in un iniquo giudizio , e fra tutti gli altri G. M ario si tir addosso T odio di una tal condanna , siccome co lui, al quale la virtii e la riputazione di un tal uomo era grave e molesta. Laonde il detto Rutilio disapprovando quelle cose che nella citt eseguivansi,
(i) Veggasi Valerio Massimo
3

L 6 , 'o . 4 < Cicerone in Brui

to c. 3o.

83
non volendo pi comunicare , n vivere con tal soggetto, se n and spontaneamente in esiglio, e portatosi per la seconda volta in Asia , visse da principio in Mitllene (i). Ma essendo poscia questa citt stata saccheggiata nella mitridatica guerra , si port a Sm irne, ed ivi pass il rimanente della sua vita, n pi mai volle ritornar nella patria. Con tutto questo per non visse niente meno nella celebrit , e neir abbondanza ; imperocch non solamente Mucio , ma le citLi ancora, e tutti quei r e , che per lo addietro erano siali da lui beneGcati , gli donarono moltissime c o se , di modo che possedeva sostanze pi considerabili di quelle di prima. CVIIL Q. Metello flgliuolo di Quinto con tanto calore 655
(i) Di q a u t o eu'glio d i Rntilio parla Cicerone in O rai, pr Bah. Postumo nella maniera seguente : Facilias certe P . Iluti/iurn Bufum neccssitatis excusatio di-ft-ndet, qui eum a Milhridale Mitylcts op~ pressus esset , crudelitattm in togatos veslitas mulatione vilavit. Fresa che fu Mitilene da M iiridale , Rntilio si ripar a S m irn o , e da quegli abitanti fu ascritto alla ciltadiuanta , C ic. in Orai, pr Coni. Balbo. Q uantunque poscia ritornare potesse in patria per ]a vittoria riportata dal partito Sillano , coututtoci rimase in esi glio per non far cosa veruna contro le leg gi, F a i. M ax. l. 6 , c. 4 , del che ne & tesmonianxa anche Ovidio , l. t , Eicg. 3 de Ponto , V . 63

E t grave magnanimi rolur mirare Rutili , N o n tui rediuu conditine dati. Smjrrna virum tcnuit.
Vcggasi anche O rotio , S , c.
17.

84
insst presso tutti in pubblico p ! in privato s o p ra il ritorno tlel p a d re , che per tal motivo fu cog no minato Pio (i). C!X. Furio era nemico di Metello, perch essendo qu esti censore aveagli tolto il cavallo pubblico. Vi erano poi molti altri autori della sedizione j ma tenevano il primo luogo M. Diiiso da una parte e Q . Cepione dair altra , ambedue bramosi al sommo di do> m inare, ed eccessivamente ambiziosi e quindi pron* tissimi a far delle risse. Queste cose adunque nelr uno e nell' altro andavan d pari. Ma Druso pr* meggiava di molto e per lo splendor della n a s c ita , e per le ricchezze , e per la somma liberalit verso tutti quelli, dai quali veniva pregato. Cepione poi lo superava in temerit ed ardire j ed era molto pi malizioso s^ n el tramar gran tempo prima le insidie, come anche nel cimentarsi ad eseguire i suoi disegni. Essendo eglino adunque in certo modo uguali fra loro , parte per la simiglianza e parte per la di versit delle virt e dei vizj , non da stupirsi y se suscitarono una cosi lunga sedizione , la quale dur anche dopo la loro morte.

ex.
M. Livio Druso e Q. Servilio Cepione d a
(i) Lo stesso dice Appiano , C w . /. i .

una

85

grandissima amicizia, e da una corrispondenza di matrimon) fatti a vicenda ( i ) , passati essendo ad inimicizie private (a), le stesero anche alla repubblica. CXI. P. Rutilio Lupo consolo avendo sospetto, cbe i 664 patrizi , i quali aveva seco nell esercito , svelassero ai nemici le sue risoluzioni, ne mand lettere al Senato, prima di certiGcarsi meglio di una tal cosa. P e r un tal fatto concit egli a sedizione coloro, che altronde per le sollevazioni della citt erano mal contenti j e forse il tumulto non sarebbe cessato, se non si fosse scoperto , che alcuni Marsi (3) mischia tisi con dei foraggieri rom ani, erano stati soliti di entrar negli accampamenti come alleati, e dopo aver sentito tutto ci che ivi si diceva, o faceva , lo aveano riferito ai loro. E cos finalmente cessarono i Romani dallo sdegnarsi contro i detti patrzj. CXIL Cajo Mario avendo in sospetto Rutilio Lupo , quantunque suo parente , e portando invidia alla di
( i ) Si pu supporre che D m s* togliesse in moglio la sorella di C e p io o e , e questi la sorella di D ruso. (a ) Queste inimicizie cominciaroDo per un anello da vendersi al1 ' in c a n to , come riferisce P liu io , H isl. nat. l. i , e. 33. (3) Che il detto Rutilio caduto in u n imboscala de' medesimi M arsi fosse tagliato a p e i con otto mila R om ani, lo riferiscono Appianoj CiV- / x. Y e lle jo , l. a , c < 1 6 , e d E u U o p i o , 5 | c . a

86 lui gloria, ed al tempo stesso sperando, che sarebbe stato creato consolo per la settima volta , siccome ^bile da per se solo ad ultimare la guerra, comand al medesimo di differir la battaglia ; imperocch ai Romani non sarebbe mancata la vettovaglia , ed i nem ici, nel territorio dei quali si faceva la g u e rra , non aviebber potuto pi far resistenza. CXIIL I Picenti (i) assoggettarono ricusato di collegarsi con loro schernirono con ogni sorta di dei loro am ici, ed alle donne capelli con tutta la cute. CXIV. quelli, i quali aveano nella ribellione, e li villania alla presenza strapparono perfino i

665

Lucio Porcio Catone avendo per la massima parte una milizia urbana , ed invalida rispetto all et , anche nelle altre cose era poco potente. In fatti avendo egli una volta avuto ardire di sgridare i suoi soldati, perch non tolleravano la marziale fatica , e non eseguivano con prontezza i suoi cenni , fa quasi da loro oppresso con terra che gli gittarono addosso; e senza dubbio sarebbe perito, se avessero avuto in pronto una quantit di pietre. Ma siccome per sorte il luogo , dov eransi rad u n ati, era arato ,
( i) Popoli del P ic e n o , Piccnum e d nchc P icem u parte orieotate dell' U m bria.

ager, alla

87 ed umido , perci nulla gli nocque il lanciar delle ^*** zolle. Gajo Tizio poi autore della sedizione , ed nomo ayvezzo a praticar nel fo ro , ed a guadagnarsi il villo col difender le cause , e che con somma impudenza si usurpava nel dire una soverchia libert, fu preso , e fu condotto in Roma ai tribuni j ma con tutto questo per non pag il fio del commesso attentato. CXV. I Romani per comando di Mitridate furono uccisi 66& da quelli d' Asia in tutte le parli (i) j se non ch i Trjilliani (a) non ammazzarono alcuno essi medesimi, ma prezzolai'ono un certo Teofilo di Paflagonia per far quella strage, come se in tal guisa i Romani non fosser periti ugualm ente, o fosse loro importato il sapere , per mano di chi venivano messi a morte. CXVL I Traci ad instigazione di Mitridate devastarono 666 1 Epiro (3) , ed i luoghi circonvicini fino a Dodo( l) Cam ( Cives Rnman ) jusm regii Mithridali apud cuneta$ Atioe InsiUas, et urbet trucidarentur, T a c . ^ n n . . i^ ,c - i4- Viggasi anche F l o r o , l. 3 , e. 5 , ed Orosio , /. 6 , c. i . (a Sembra che questi popoli face&sero ci ad esempio del costu m e , ed insliiuto della loro origine aatica ^ imperocrhk tc r ir e E s icliio che i Tralliani erano Traci , i quali ticeTevano prezzo per uccidere chicchessia , App. in Mithr. (3) Profinoia amplissima nella Grecia , detta da molti \lban ia in feriore. Fu prima go rem ata d a suoi proprj r , dipoi liiiita all* Mpcedonia.

88
na (i), e spogliarono lo stesso tempio di Giove (a).
R oma

CXVII.

GQy

L. Cornelio Cinna appena entr nel consolato , niun' altra cosa ebbe pi a cuore , quanto di ri> muovere L. Siila dall' Italia, sotto pretesto vero della mitridatica guerra , ma in sostanza affinch costui inviato lontano non potesse opporsi alle di lui determinazioni, osservatele da vicinoj quantunque egli stesso ottenuto avesse il consolato per impegno di S iila , e gli avesse promesso di non eseguir cosa alcu n a, se non a seconda del di lui sentimento. Imperocch Siila, veggendo la necessit di una tal guerra, e desiderando la gloria di ridurla a termine^ avea ordinate tutte le domestiche c o s e , prima di partire , come gli era sembrato pi vantaggioso ai suoi interessi; ed aveva nominati per suoi succsori nel consolato L. Cinna , e Gneo Ottavio , sperando principalmente in tal guisa , di far valere anche da lungi la sua autorit. In fatti egli sapeva, che questi era ragguardevole per la sua moderazione , e quindi giudicava, che niuna innovazione avrebbe fatta nella repubblica ; e di quegli eragli nota vero la malva- gita ; ma non voleva inasprirlo contro se stesso , come colui che gi aveva un qualche potere nella

( l ) C itt dell E p ir o , la quale aoticameale fu celebre p e r le quer cia e pel lempio di Giove. (a) Ci sembra essere avvenuto nell anno di Aoma 665. Si con-

sdU il Sigonip in F a ttit,

repubblica, ed avea confermato con giuramento, che avrebbe secondato Siila in tutte le cose. Ma Siila , il quale era perspicacissimo nello scorgere le risolu zioni degli uom ini, e nelP esaminare a fondo la na tura degli afiari , qui non lieve errore conunise , e lasci alla patria una gravissima guerra.

cxvm.
E ra Gneo Ottavio di sua natura molto tardo nel 667 governo della repubblica (i). CXIX. Dopo cbe L. Cinna propose di nuovo al popolo 667 la legge di ricevere i fuorusciti, C. Mario e gli altri , che con lui erano stali espulsi, entrarono al tempo stesso impetuosamente nella citt da tutte le porte con T esercito che loro era rimasto j e serrato di subito le medesime p o r te , acci taluno non ne fuggisse, incominciarono a trucidare chiunque inron< travano senza differenza veruna, ed a considerar tutti per inimici. Ma in modo speciale strangolavano gli uomini ricchi , indotti a far ci dalla cupidigia dei d a n a ri, e recavano oltraggj ai di costoro figliuoli, e m ogli, nello stesso modo che se avessero ridotta in proprio potere una straniera citt. E di pi espo sero anche sopra i rostri le teste dei pi distinti

(i) Si rUconlti Cicerone io Bruto c. 47> App. C > U . l. t.

90 personaggi ; il qaale spettacolo riusc funestissimo quasi cutne la sti-age medesima , mentre i riguardanti y 667 olire le altre cose , volgevano seco stessi nel]'anmo, che quel luogo ,'il quale dai loro maggiori era stato adorno dei rostri delie navi nemiche , allora veniva contaminato dai recisi capi dei cittadini. Ardeva Mario di s grande e cosi insaziabile brama di sangue , che avendo gi uccisi quasi tutti i suoi nemici , dopo che in tanta confusione non si ricord pi di alcuno , eh egli volesse che fosse uc ciso , diede ai soldati questo segno , che a chiunque presentatosi a lui non avess' egli porla la dcsti'a, lo mettessero a morte. A tal condizione adunque eransi ridotte le cose di R om a, che non solo seuza sentir le ragioni, o per motivo d inimicizie, ma ad un segno di una mano non data venivano trucidati i cittadini. N verisimile , che Mario in tanta con fusione e tumulto badasse a regolar la sua mano con deliberato consiglio j mentre quand'anche avesse voluto b a d a rc i, ci sarebbe stato impossibile e quindi ne avvenne , che molti uomini inconsiderata mente nccidevausi, i quali in niun modo facea di mestieri che venissero posti a morte. Non assolu tamente possibile di fare il novero degli uccisi* im perocch per cinque giorni continui, ed altrettante notti seguirono le uccisioni nella citt (1).
( l) Vengasi Plutarco ia Mario-

CXX

P I Rom a

Nelle calende di gennajo , in tempo clie i Romani 668 facevano i sacrifizj (i) e prendevano gli auspicj per r elezione dei m agistrati, a seconda dell inslituto dei loro maggiori, C. Mario il figliuolo uccise di sua mano un certo tribuno della p le b e , ed invi ai con soli la di lui testa recisa. Ne precipit anche un'altro gi dalla rupe T a rp e a , il che per l 'addietro a niuno era accaduto ; ed interdisse a due pretori 1 uso delr acqua e del fuoco (a). CXXI. Dando T assalto L. Siila al P ire o , e mancandogli 668 ormai T abbondanza dei materiali ( perch molte mac* chine discioltesi pel proprio lor peso erano cad u te, ed eransi incendiate dal fuoco lanciatovi continuamente dagl' inimici ) si accinse ad appressar la mano ai sacri boschi, e denud di alberi l'accademia, che tra i sobborghi era amenissima per la quantit dell* piante , e fece lo stesso anche al liceo. CXXIL Avendo ormai bisogno di molto danaro , spogli i sacri ed intatti tesori della Gi-ecia, e comand che si recassero a lui parte da Epidauro e parte da
^ i) Si rK ontri Dioue , / . 58. (a ) Ciwi il m and in rtiglio.

9
akm! Olimpia i

pi belli ed i pi preziosi doni dedicati nei tcmpj. Scrisse altres a Delfo agli AnGttioai (i), eh' era assai meglio , che i tesori d Apollo si portas* sero a luij imperocch o questi in tal guisai sareb bero stati pi sicuramente custoditi, o se per avven tura di quelli si fosse egli servito, ne avrebbe resi' altrettanti. CXXIU.

Gli Anfittioni poi costretti a fare a pezzi nn gran vaso d' argento , che solo vi era rim asto, per non essersi potuto trasportare dai giumenti a cagione del peso e della mole , richiamavansi a mente da un Iato Tito Quinzio Flaminino e Manio A cilio, e dairaltro Emilio Paolo. Ed in fatti Acilio, dopo aver .cacciato Antioco dalla Grecia , e gli altri dopo avere sconfitti i re dei M acedoni, non solo si astennero dal porre le mani nei tempj della Grecia , ma anzi vi accrebbero i donativi, l onore e la religione. Quegli antichi per presedevano a norma delle leggi ad uomini moderati ed avvezzi ad obbedire in si lenzio j e quantunque fossero d'anim o regio , con tuttoci se la passavano con un vitto parco e so brio , ed erano contenti di spese mediocri e limi tate , riputando cosa pi turpe 1 adulare i lor proprj soldati che 1 atterrirsi degl inimici. Ma i comandanti di questo tempo tenendo il primo luogo non per
( i ) Quesii erano presidi det co nsiglio, che lue volte si convocava a nome comune d i m ite le greche c i t t . P o i. a i Eusthat-

9^

v irt , ma per fo rz a , ed avendo pi bisogno delle armi contro se stessi a vicenda, che contro i nemici, erano costretti a cattivarsi la plebe. E cos spargendo i doni in copia a delizia dei soldati , per comprarsi r opera lo r o , renderono imprudentemente venale la patria , e per brama di comandare ai migliori fecero s medesimi schiavi dei pi malvagj. Questa fu la cosa che cacci Mario dalla p a tria , e questa per lo contrario fu la stessa che fece ritornar Siila j questa spinse Cinna a dar la morte ad Ottavio e Fimbria ad uccider Fiacco. Di questi mali la principal sorgente fu S iila , il quale per corrompere ed attirare dal suo partito i soldati a ltru i, fu liberale e prodigo inverso i suoi. Accostumando egli pertanto gli altrui soldati al tra dimento , ed i suoi alla mollezza ed al lusso, ebbe bisogno di gran danaro e principalmente in occa sione di quell'assalto che diede al Pireo. CXXIV. Aristione , che teneva un presidio in Atene , era uomo composto di lascivia e di crudelt , il quale dai vizj di Mitridate aveva p r e s i, come un sordido m iscuglio, quelli eh' erano i pi obbrobriosi. Esso all' ultimo afflisse di un morbo quasi mortifero quella citt che una volta arasi preservata da seicento guerre , da differenti tirannie , e dalla sedizione. In fatti vendendosi allora mille dramme nella citt un medinno di frum ento, ed i cittadini assediati ciban>

94
dosi di partenio ( i ) , che nasce intorno alla Rocca, e di altre nocive m aterie, esso datosi continuamente al vino ed ai conviti diurni (a ), e saltando 5 e pirriche (3) , e buiTonescamente motteggiando i nemici, permise di pi , che per scarsezza d olio si smorzasse la sacra lucerna di Minerva (4). Oltre a queste cose mand una mina di pepe ad un Jerofanto (*>), che dimandava a lui una mina di grano j e cacci v ia , scagliate contro loro delle sa ette , il Senato ed sacerdoti, i quali lo scongiuravano che avesse com passione della citt , e facesse pace con Siila.

cxxv.
Era Ortensio un famoso comandante, e pratichissimo delle cose appartenenti alla guerra.
(i) Descrive qtiesla pianta D ioscoride, l. 3 , e . iS5. (3) E ra ditonore presso gli a a l 9 bi il & r q aeilo fra giorno , l^lot. in Arato. (3) Specie di dante , cosi dette da Pirro : si consulti Celio Ro d ig in o , Leet. A n i. t. 5 , c . l^, e l. i8 , c . a6. (4) Vi era in Atene una lucerna sacra nel tempio d i M inerra , la quale ogni anno in un determ inato giorno veniva empita di o lio , l 'o li o d urav a'lino al medesimo giorno d ull anuo seguente, quan tunque ardesse di giorno e di nollc. Lo stoppino o lucignolo della della lucerna era di c srh a so , sorta di lino che al fuoco non si consuma , come riferisce Pausania. Questo fuoco perpetuo lo cu stodivano in Alene non gi le vergini, come in Roma nel tempio di Vesta ; ma bens le v e d o v e , P lu t. in Nunui. (5) Gli Jerofanti presiedevano alle cose sacre : di queste parla Ce lio R o d ig in o , / i3 , c . 6 ., A n i, Lee,

9^
CXXVI.

X O M J
Siccome in Roma Cinna e Carbone procedevano spietatamente , e con violenza contro i pi ragguar devoli personaggi, moltissimi per sottrarsi dalla ti rannia di costoro, si rifuggirono, come in un porto, negli accampamenti di S iila , ed in breve spazio di tempo si form presso lui una certa simigUanza di Senato. CXXVII. C. Flavio F im b ria, legato di Valerio Fiacco , es- 668 sendo questi venuto a Bizanzio , eccit la sedizioae contro di lui: imperocch esso era sommamente pre cipitoso nel tentare qualunque c o sa , aspirando egli in (ine ad una qualunque gloria, e dispregiando ogni virt. Quindi da che partissi di R om a, avendo di mostrata una certa apparenza di virt nel non cu rare il danaro , e nell' aver premura dei soldati, se gli obblig in questa maniera , e li sollev contro Fiacco. questo l'ottenne egli molto pi facilmente, perch L. Fiacco era animato da un' avarizia insa ziabile , e non contento di nascondere nel suo seno tutte le cose, che d altronde venivano, traeva gua dagno anche dalla vettovaglia dei soldati e dal bot tino, che sempre stimava fosse suo proprio. CXXVIII. ssendosi portato Fiacco a Bizanzio in compagnia

'Ant ^ F im bria, e dopo aver ordaato ai soldati di an dar fuori delle mura , essendo entrato nella citt , Fimbria afferrata questa occasione cominci ad im> putare n Flacro di aver ricevuto danaro da' Bizanti* n i; ed al tempo strsso lo calunni, che intanto pas sasse il tempo a sollazzarsi.nella detta citt , mentre essi sotto le pelli soffrivano il rigor dell inverno. Da questi discorsi accesi di sdegno i soldati entrarono con impeto nella citt , e tagliati a pezzi al cuni , che loro per caso si fecero innanzi, si spar sero per tutte le case.
CXXIX. Avendo C. Fimbria eccitata una contesa contro il questore di L. F ia c c o , questi lo m inacci, che lo avrebbe rimandato a Roma anche suo malgrado : p er lo che Fimbria avendo lacerato Fiacco con vil lanie ed ingiurie, Fiacco gli tolse il potere. Ma Fimbria , stantech ritornava nella patria molto di mala voglia, portatosi ai soldati, i quali stavano a Bizanzio , li salut come in atto di partirsene, e chiese da essi lettere da recapitarsi ai laro famigliari e congiunti ; lagnandosi, che gli era stata fatta ingiuria, ed avvertendoli di ricordarsi dei beaeficj da lui ricevuti, e di star bene in guardia quanto a loro medesimi, volendo con ci copertamente signi ficare , che Fiacco tendeva ad essi delle insidie. Scorgendo egli pertanto, che costoro porgevano orec chio a quanto diceva, e che a suo riguardo avevano

97 l>uona Tolont, e stavano in sospetto di Fiacco, sa]ito sopra un luogo elevato s che potesse esser vi> sto da tutti, li concit apertamente contro il mede* simo Fiacco ^ e fra le altre cose imput a l u i , che gli avrebbe traditi con ricever danaro, di modo ch i soldati cacciarono via immantinente T erm o, ch'era stato costituito legato da Fiacco.

cxxx.
C. Fimbria fece dare a morte parecchie persone p er motivi, che certamente non erano giusti, e non gi per utile della repubblica, ma indotto a ci dalla crudelt e daUira. Prova di questo sia, che avendo egli ordinato, che si piantassero molti pali, ai ^ a l i legati gli uomini aveva egli in costume di farli con verghe battere a morte , poi che scorse, che i detti pali erano in molto maggior numero dei condannati, procur che fossero presi alcuni dei circostanti', e venissero legati ai pali rimanenti, afSnch non sem brasse, che fossero stati iniitilmente piantati. CXXXL n medesimo dopo aver presa Ilio (i), uccise tutti quelli che pot, non perdonando ad alcuno, ed arse quasi interamente la citt. Gl Iliesi poi era; io stati presi non con marziale virt , ma con fro d e} impe.
( i ) App. M ithr. BiOMK , turno I . 5

98
Anm rocch avendo Fimbria commendata molto queirambasceria , che avevano mandata a S iila , e dicendo del continuo , che nulla importava , che o all' uno o a ira ltro si fossero arresi, mentre amendue ugual* mente erano cittadini rom ani, alla fine ricevuto co me amico dentro alla citt ^ vi esegui ^ e ll e cose che abbiamo gi dette.
CXXXIL 669 Q. Metello superato da Ginna si trasfer dalla parte di Siila , e giov molto al di lui partito ; im perocch attesa la fama della rara giustizia e piet di quel personaggio , moltissimi della fazione con iMifta passarono a Siila , essendo ben persuasi, che un tal uomo non si fosse inconsideratamente unito al medesimo Siila, ma che assolutamente avesse ab bracciato ci che era pi giusto e pi vantaggioso per la repubblica.

cxxxm.
671 Gneo Pompeo figliuolo di Strabone, che Plutarco paragon con Agesilao spartano, tollerar non po tendo coloro che nella citt erano padroni di tutte le c o se , di proprio impulso , entrato appena nella et virile (1), se nand nel Piceno (2), dove avendo
( i ) Aveva a5 a n n i , Plutarco e V elico /. a , c . ag.

(a) Marca d'Ancona, proviacia dlulia alle coste del mare Adria lico..

99
Messa insieme una quantit di gente, siccome il padre avea tenuti in suo potere i P iceni, vi costitu un privato dotniuio ; e v era apparenza, eh egli da per se stesso fosse per eseguir cose grandi. Pompeo adunque avendo cominciato in tal guisa, si con* giunse a S iila, vero ; ma non fu in nulia ad esso inferiore , e come vien dimostrato dal cognome che gli fu dato di Grande , si elev ad una sonuna ak tezza. CXXXIV. Siila consegn lesercito ad un uomo , che non crasi distinto con alcuna segnalata impresa (i), quan* tunqiie avesse in sua compagnia moltissimi personag* g i , che per la pratica , e per la destrezza erano e* celienti , e che da principio lo avevano seguitato j e d e ir opera dei quali , siccome fedelissimi, egli si era servito nei sommi pericoli. In fatti S iila , prima di rim aner superiore , era solito d" implorar T ajuto de gli uomini , e di abusai del loro servizio in propria vantaggio: ma quaudo gli parve di non essere ormai lontano dal sommo potere, non fece pi verun conto di e ssi, e prest maggior fede ad uomini &cellera< tissimi, i quali non avevano n splendor di nascita, n fama di virt. Egli certamente comprendeva benissimo che tali uomini sarebbero stati prontissimi miuistii a commct( i ) Secondo il parere del Aeimaro ialeuder ti d e re che q uelli fosse L u c rtsio O fe lia , al quale JL < . Siila diede la cnascim parie dell ow tCiL'iio per assediar P re n e tle j Pluucco e VclLejo l, a. c<

foo O rnili ter qualunque scelleratezza; e che i medesimi, ^ a n h vm a tuiique ricompensati con picciolo premio, gliene avreb> bere avuta grandissima obbligazione; ed era d'avviso, che non avrebber essi preso giammai tal ardire di arrogarsi la gloria o delle azioni eseguite , o delle fatte deliberazioni ; laddove per Io contrario gli uo mini segnalati per la loro virt non avrebber com> messo giammai in sua compagnia verun delitto , ma piuttosto ne lo avrebbero rimproverato , gli avrebbero dimandati dei premii in ricompensa delle imprese bene eseguite , n in verun modo gliene sarebbero rimasti obbligati, siccome li ricevevano per esser loro dovuti; e finalmente si sarebbero appropriate le fatte imprese ed i consigli come derivati da loro medesimi

cxxxv.
671 Siila dopo aver vinti i Sanniti (1) era per ancbe celebre e sommamente famoso per la gloiia si delle cose fatte in guen-a, come de suoi consigli ; ed al tempo stesso credevasi in m odo, che egli per senti mento d 'u m a n it , e per animo religioso superasse tutti gli altri nella piet verso gl' id d ii, che generai mente si teneva per certo, che a riguardo della sua virt la fortuna gli fosse favorevole. Ma da quel tempo in poi fece tal cambiamento, che con ragione
( i) Oggid sono per la maggior parte gli Abratxeti ; amicamente i Sanniti abbracuiavano non solameate I A b ruu o di qua dall A ppen nino ; ma eziandio la contea d i Molise , patte della Capiiaiukt* e della T erra di L a ro ro .

rol
dubitar si potrebbe, se qaclle cose , di cui sopra si fatta menzione e quelle che seguiranno, siano da un solo e dallo stesso uomo derivate. Tanto e g li, 673 com io son persuaso , non pot soffrire la propria felicit ! In fatti egli commise e quelle stesse scelle ratezze j le quali in tempo che poco poteva, rinfac ciava agli altri, e parecchie altre, e molto pi nere ed indegne j il desiderio delle q u a li, eh' egli gi prim a del continuo aveva avuto , si scuopri che ef fettivamente lo aveva, quando all ultimo si vide giunto al supremo potere : laonde sembr anche ad alcuni , che questa fosse la principal cagione della sua infelicit. Egli c e rto , che dopo aver ess superati i San citi e dopo che fu d avviso, che si fosse posto fine alla guerra ( mentre faceva picciolissimo conto degli avanzi della medesima ) subitamente cangi di co stumi. In fatti fermossi fuor delle porte con le sue genti schierate in certo modo in ordine di battaglia, e sorpass in crudelt Cinna e M a n o , ed anche tutti q u e lli, che furono dopo di lui ; imperocch contro la patria , quasich in guerra vinta T avesse, pro mulg tali co se, che non aveale decretate neppure contro straniere citt, che larmi portavangli contra. Primieramente in quello stesso giorno ordin, che le teste di L. Damasippo , e degli altri suoi com pagni mandate alla citt di Preneste fossero fitte sopra dei pali j ed ammazz, quasi presi per fo rza, molti che spontaneamente gli si erano arresi (i). Il
(1) Ci& vira coilfetnato tah* da Valeri Mastini, (. 9 , e. a.

102
Ann seguente avendo convocato il Senato nel tempia < > * < di Bellona ( i ) , quasich volesse rendergli conto di qualche cosa , ed al tempo stesso avendo dato or dine, che quelli, I quali erano stati presi in guerra, si radunassero nella villa pubblica (a), come se avesse voluto ascrverli nel ruolo dei soldati, gli uccise, servendosi a ci dell' opera di altri soldati ed ia tale occasione perirono anche molti altri della citt con quelli casualmente mischiatisi j e tenne ai sena tori un fierissimo ragionamento (3).
CXXXVI. 673 Esegnendosi intanto per di lui cenno la strage dei prigionieri, ed al morir di costoro presso il tempio di Bellona essendosi udito nella Curia un gran tu multo , dei gridi , dei gemiti e dei lamenti , per amendue queste coSe si turbarono sommamente i padri conscritti. In fatti essi sospettarono , che so vrastasse ai lor capi quasi la medesima sciagura, perch Siila osava di dire , e far parimenti cose scellerate a tal segno. Laonde m olti, siccome quelli eh' erano al tempo stesso afflitti da un doppio tor mento , si desideravano la condizione di coloro , i quali erano caduti estinti nella villa pubblica , per essere una volta esenti da ogni timore. Ma Siila ri( i ) Fuori della ciu nel detto tempio ai accordava di conTocars il Senato a c o la i , c h entrar Toleva trionfante nella c i t t i , P lu U rc a in Siila. ( 3 ) Palazzo nel Campo M a r io , di cui leggati il Mardtni I . 6, c.S ; (3) Questo si UOTA presso A ppiano, CtV. l, i .

io3
erbati gli aveYa ad altri tem p i, e in questo mentre gli alili vennero uccisi, e i lor cadaveri furono gcttati nel fiume j di modo cbe ormai si reputava per 672 leggiera quella barbara azione di Mitridate (1) , quando in un sol giorno mise a morte nell'Asia tutti i cittadini romani , in conionto del numero e della qualit di coloro , cbe furono massacrati da Siila. N qui si ferm un danno s grande; ma quasich dalle guardie si fosse dato di qui il segno della stra> g e , si commisero poscia delle uccisioni nella citt e per le campagne , e per quasi tutti i municipj (2) dell Italia. Siila in fatti odiava m o lti, e parecchi anche venivano odiati dagli amici di esso Siila , parte realmente e parte per finzione, affinch cio colla uniformit dei delitti e dei costumi veni>sero a confermarsi nella di lui amicizia, e colla disso miglianza non dassero a sospettare, che Siila non era da loro approvato , e quindi corressero rischio della propria salvezza. Trucidavano poi singoiar mente q u e lli, i quali aveano essi scorto essere i primi o per ricchezze , o per qualche altro vanto j questi per invidia e quelli per cupidigia di danaro. In tal numero eranvi m o lli, che in quella guerra non aveano seguita, o ajutata n l ' una parte n r altra , 1 unico delitto dei quali era il primeggiare o per virt , o per splendor di n a ta li, o per ric chezze. In somma non rimaneva a chicchessia sicn
(i) Vegga! sopra F ram . c x r . (a) Municipj chiamavansi quelle cili rb e avryano le propri* toc leggi, e J Boltre i privilegj della ciludinaoM rom ana. '

to4 rezza di orla alcuna contro tali uomini, th in quel potere che ritenevano , arcano determinato di ope rare con ingiustzia.

cxxxvn.
6^3 Da s fatte calamiti adunque era oppressa Roma. cseg. Imperocch a che serre il far menzione delie in-< giurie arrecate agli uomini r iv i, con le quali furono offese molte matrone e nobilissimi fanciulli, come se fossero stati prigionieri ? la fatti queste cose , quan tunque gravissime, contuttoci per esser simili a q u e lle , che gi prima erano accadute , sembravano da tollerarsi a coforo , i quali si ritrovavano fuori del presente pericolo. Ma posciach Siila non contento di tutto questo fu di parere che per lui non basiasse imitar gli altri , ma gli venne desiderio con una multiplice variet di uccisioni di sorpassar di gran lunga tutti i mortali , come se fosse assolutamente virt il non cedere in crudelt ad alcuno j allora in una maniera nuova ed insolita espose il registro ( i ) , nel quale nominatamente not quelli , che voleva tolti di mezzo. Con tutto questo per si seguitavano a fere le stesse cose di-prima , n acquistavano sicurezza co loro , i quali nel detto registro non erano stati se(i) Uq lai registro , cliiamalo dai Latini Album , era una tabella, nella quale erano scrini i nomi di tutti i senatori , ed ogni anno so leva porsi nella curia per legge fatta da Augusto, D i , l. (5 qd

mnnum 74^.,

io 5 ^ a t i : imperocclii vi erano scrtti non solamente ''J * m olti , eh' erano per anche vivi ; ma quegli altresi oh' erano m o rti, per assicurar quelli che aveanli uc- 678 dsi j di m oio che questa proscrizione non era in Terun conto migliore dei mali passati ; ma anzi tutti venivano oppressi dalla di lei crudelt ed ingiusti* zia. In fatti le dette tabelle erano esposte al pub* blico , come un registro senatorio, o un catalogo di soldati (1), i quali fosser di numero ; e tutti quelli i quali in quel punto per avventura si ritrovavan p rese n ti, si affollavano con gran premura intorno alle medesime , quasich apportassero buone nuove. Ma alcuni veggendovi notati i proprj parenti , altri se stessi ancora condannati alla morte , restavano sbigottiti, come suole avvenire, dal terrore di tanta inaspettata sciagura ; ed il pi delle volte scoperti da qaesti segni, venivano uccisi. N a dir vero eravi sicurezza di sorta alcuna per chicchessia , fuorch per la fazione sillana : impe> rocch o taluno accostavasi alle dette tabelle della proscrizione , e n ' era accusato come soverchiamente ouroso, o non vi si approssimava , ed allora sem* brava , che di mal animo una tal cosa soffrisse. Si milmente chi leggeva , o chi interrogava intorno a quanto eravi sc ritto , si rendeva sospetto, quasich tasse in agitazione riguardo a se stesso, o ai suoi
( t ) N o n Teciva reputato soldato colui, il quale non era aaaoTCrato io q u e llo catalogo m ilitare, quantunque folte stato eletto per soldato novello e marciatsa coll esercito a pubbliche pese, Cff/r,
Itg. 4 2 ,

I. ag, D. tu.

o6
amici. Quegli p o i, il quale n leggeva, n rcercara alcuna cosa dagli a ltri, si reputava nemico dei Siila n i, e per tal motivo diveniva odioso. L aver lagrimato, o riso era capitai delitto; ed anzi parecchi venivano ammazzati, non gi per aver detta, o fatta qualche cosa vietata , ma solamente per aver rag grinzato il vo lto , o per aver sorriso. Erano anche osservati con somma curiosit i moti del viso ; e non era lecito a veruno o il pianger gli am ici, o il rallegrarsi per F uccisione de' suoi avversar] ; ma chi lo faceva veniva similmente ammazzato, come se in sultasse ad alcuno. Oltre a ci anche t cognomi po nevano molti in pericolo ; imperocch alcuni noa conoscendo personalmente i proscrtti, ne mettevano cognmi a chiunque pi fosse loro piaciuto ; p e r lo che molti in cambio di altri furono ingiustamente u ccisi, e nacque un tumulto grandissimo , mentre i Sillani nominavano a capriccio quei che loro si p a ravano innanzi, e quegli stessi costantemente nega vano di avere un tal nome. In somma alcuni, che nulla sapevano della propria condanna, ed a ltri, ai quali era noto che ad essi sovrastava la m o rte , tutti venivano uccisi in qua lunque parte fossero stati trovati ; n v era luogo sacro , e sicuro a segno, che avesse potuto servir di scampo a qualcuno. certamente coloro, i quali d* improvviso, prima di risapere il danno ad essi imminente, o quei che venivano di subito trucidati, nelFatto stesso che ricevevano la nuova della propria sciagura, per questa parte almeno potCano chiamarsi

107
felle!,* mentre erano andati esenti dal terrore , che '*** nt precedeva la strage. Coloro p o i, che avendo preveduto il pericolo, eransi occultati, venivano dibattuti G73 da grandissime angustie^ imperocch e non ardivano di p a rtire, per non esser colti in qualche luogo e non reggevano a rimaner nel lor nascondiglio , per tintore di non essere traditi {mentre parecchj peri rono per tradimento dei loro pi intimi am ici, che ad essi rano stati dintorno), e cpindi venivano crux ciati dall aspettar continuamente la morte.

cxxxvm.
N solamente quelli , i quali erano stati n o ta ti, m a gli alili eziandio pativano le meucsime cose.

cxxxix.
Le teste poi di tutti coloro, che in qualunque luogo uccidevansi, portate nella piazza della citt , venivano esposte sopra i rostri , dimodoch allo spettacolo di quelle teste recise accadevano le me desime cose , le quali abbiamo detto che accaddero riguardo alle tabelle della pioscrizione.

C e sa re , veduta eh' ebbe la testa di Pompeo ec. Ci che segue stato a bella posta omesso sulla /corta del Meimaro, perch ritrovasi al lib. 4 ^.

io8

III* F r a m m e n t i d i Dione to lti dalla Raccolta d i Fulvio Orsini intorno alle L egazioni, e presso il Leunclavio.
CXL. 09G Dopo che gli Equi (i) ebbero preso il Tusculo (2), e Tinto Marco M inucio, riacquistarono tanto corag gio , che nulla risposero, in difesa di quanto aveano operato, agli ambasciatori romani, i quali erano stati ad essi mandati a chieder ragione della presa citt; ma per mezzo del lor comandante Celio Gracco ( 3) arendo mostrata loro una q uercia, ordinarono ai medesimi di esporre a quella ci che volevano. CXLI.

363

H motivo della spedizione dei Galli fu il seguente. I Clusi (4) vessati in guerra dai medesimi Galli eb'*
( 1 ) CoiifioaT*DO qoesti popoli oi Sabini, coi M a r s i, coi Volaci , on gli Ernici e co L alioi. Il toro p jie x fc pieao ,p er anche di montagne ; e aoggiornavano lungo il T ev erone, che divideT* in d a c |w rii il lor medesimo paeae. (>) C iu antica d Italia nel L ati , la q u a li si crede che fosse eirca doe miglia distante dalla moderna c itt di Frascati. (3) Da T ito Livio Tien chiamato Cluili* al / . 3, e . S, doT* rac conta il medesimo 6 lto. (4) Abitanti della citt di C lu sio , che in oggi chiam ati Chiosi ia T oscana. Vicini alla detta citt t erano Clasini F n n te i, oggi c h ia aiaii bagni d i a. Casiiano. Veggasi ia oUrs T ii U t o i 3 j c . aS.,

109
bero ricorso ai Romani , sfantech natrTano grandissima speranza, che quando essi non avesser difessi i V ejen d , quantunque lor consanguinei, contro i detti R om ani, avrebber da questi ottenuto un qual che soccorso. I Romani per senza far decreto di ajutarli, e col mandar soltanto degli ambasciatori ai Galli, tentarono di procurar la pace ai Clus]: e gi r aveano quasi ottenuta sotto la condizione che si cedesse loro una qualche parte di paese. Ma gli ambasciatori del popolo romano venuti essendo eoo quei barbari dalle parole alla pugna, furono riceTuti dai Clusj. I Galli pertanto soffrendo di mal animo , cV essi schierati si fossero contro di lor m edesim i, mandarono da prima a Roma alcuni dei su o i, che accusassero gli ambasciatori. In seguito, non venendo data a questi alcuna punizione, e tutti creati essendo tr ib u n i, inBammatisi generalmente di furore , tanto pi ohe anche d'altronde erano propensissimi a irira , posti da banda i C lusj, si portarono contro Roma. CXLIL Gli Agillei ( i ) , i quali chiamansi anche C e riti, ^oi scorgendo che i Romani stavano per muover loro la guerra , spedirono degli ambasciatori a Roma prima che si venisse a stabilirne un qualche decreto, e eoa la condizione di cedere la met del territorio otte nero la pace.
( i ) A b itan ti della citt di Agilla, d e i u ancbe Cere, che in oggi b ia m a C eiv eterc. Si lisooutri T ito L h i , l. i , e . a * .

li

Ilo

cxLiir.
I Sanniti Tuti dai Romani , spedirono degli am basciatori a quei Romani, i quali stavano nella citt} e lasciati andar liberi quanti mai pri^onieri di questi vi aveano, dispersero anche le sostanze e le ossa di un certo Papio ( uomo fra i primi in dignit presso loro medesimi, al quale principalmente davasi la colpa della guerra ) perch prima del tempo erasi data da per s stesso la morte (i). Con tutto questo fatto p e r , non ottener ci non ostante la pacc ; imperocch venendo riputati uomini disleali , che negli eventi poco felici erano soliti di fare la pace; per allontanare da loro stessi I vincitori, non solo non ritrovarono alcuna strada di accomo dar quella gueiTa 5 ma anzi se ne procurarono una pei-petua ; mentre i Rom ani, quantunque avessero ricuperati i prigioni, ci non ostante emanarono un decreto , che fare si dovesse con quelli una guerra implacabile. CXLIV. I Avendo inteso i Romani che i Tarentini ed alcuni altri macchinavano di portar contro di loro le a rm i, spedirono per ambasciatore alle citt confederate Fabricio (2), ailQach non si suscitasse da quelli una
(i) Vcggasi T ito L iv io , l. 8 , . 3q (a) Questi era C . Fabiicio Lusciuo , il quale n e ll anno era stato questore m ilitare, e dipoi tre volte coosoto 1 e ceoore aveva uiooiklo due volte.

Ili qualche naova sollevazione. Ma essi lo fecero prigioniero, e mandati de loro uomini ai T oscani, agli Umbri , ed ai Galli , obbligarono molti di questi, parte subito , e parte non molto dipoi, a ribellarsi unitamente con loro. CXLV. Lucio ( Cornelio ) fu mandato dai Romani a Ta> rento. I Tarentini poi che in allora celebravano i Baccanali, e che da mezzod stavano seduti in teatro pieni di vino, sospettarono che costui navigasse con^ tro di loro. Per la qual cosa subitamente trasportati dall' i r a , ed anche alcun poco dalla loro stessa ubbrachezza, gli si mossero contro, ed attaccatolo coi loro n av ig li, lo mandarono a fondo , mentr' esso non adoperava neppure una mano in propria difesa, non temendo di alcuna ostilit (i). Avendo udite s fatte cose i Romani, le soffrirono di mal animo e con ragione ; ma in guisa p e r , che non vollero portare subitamente contro di quelli la guerra. A questo fine pertanto , acci non sem brasse che avesser passata la cosa sotto silenzio, e con ci rendessero pi feroci i T arentini, spaccia rono degli ambasciatori. Ma i detti Taientini non solo non li riceverono onorevolmente , o li rimana darono indietro con una qualche conveniente risposta, ma immantinente , ed anche prima che accordasser
(i) Si ritc o n u i Lucio F lo ro , l. i . e. >8, $ 4*

Ili Amn ]qpq la permissione di parlare, si misero a scher nirli rispetto ad altre cose , ed in ispeciai modo in* 472 tom o al loro vestimento; e questo era quel di citt, di cui ci serviamo nel Foro : e i detti ambasciatori avevano preso un tal vestimento , o per motivo di gravit e decoro , o per tim o re, affinch cio i Ta* rentini da questo medesimo venissero indotti ad usar loro un certo riguardo. Ma i Tarentini nel mentre che stavano in gozzo viglia nei loro circoli, scagliavano dei motteggi con* tro gli ambasciatori j imperocch siccome in allora avevano le ferie , anche per questo erano maggiorzneute incitati a fare delle azioni ingiuriose ; quan tunque per non avessero in costume di essere in alcun tempo morigerati e modesti. Finalmente un certo uomo , che stava vicino a Postum io, s inchi n , e scaric il ventre , e ne sporc il di lui vesti mento. Per tal cosa essendosi fatto da tutti gli altri un certo strepito, ed alcuni lodando una simile azione come degna di meraviglia, ed altri cantando in versi anapesti ( i) , con plauso ed andamento ar monioso e num erico, molte villanie im pertinenti, Postumio disse loro : rid e te , ridete finch vi p e r messo di ridere; imperocch piangerete per lunghis simo tempo , quando col vostro sangue laverete que sto mio vestimento.
( 1 ) Versi composti di pidi poetici i qaali costano di due sillabe b r e v i , ed una Inoga.

ii3
cxLvr.
Dt JiOM

Avendo inteso Pirro che altri ambasciatori e spe- 474 cialmente Fabricio venivano per liberare i . prigio nieri , mand loro incontro delle guardie sino ai confini , acci da Tarentini non venisse fatta vio lenza ai medesimi j e dipoi anch esso si port ad incontrarli : ed avendoli condotti nella c itt , li ri cev amichevolmente e splendidamente ad ospizio ^ e fece loro altri o n o ri, mentre sperava j che fosser per chieder la pace , e per accettare tali condizioni di p a c e , ^ a l i si convenissero ai vinti. CXLm Tolomeo re d Egitto , cognominato Filadelfo , avendo inteso che le cose di Pirro andavano male , e che quelle dei Romani si accrescevano, inviati loro de* donativi, strinse con essi alleanza. Laonde i Romani avendo risentito piacere che un re di som m a autorit gli avesse soverchiamente stim ati, anche essi gli spedirono degli ambasciatori a vicenda. Ed avendo questi portati all' erario i magnifici doni ot tenuti dal rCj i medesimi non furono ricevuti. c x L v in . I Cartaginesi postisi in timore di non venire in poter de nem ici, essi pe primi spedirono ambascia tori al consolo , acci allontanaadolo con una qualD l O K t , tomo I .
>

ii4
fhc tollerabile e giusta condizione di pace , scarapassero dalla calamit , che aveano presente. Ma 499 siccome non vollero cedere tutta la Sicilia e la Sar degna , n vollero rilasciar gratuitamente 1 prigio* nicri ro m an i, e riscat(a<e con prezzo i lor propi*j , n rifondere tutte le spese della guerra, che fatfe aveano i Rom ani, n oltre a ci pagare ogni anno alcune altre imposizioni, quindi che da quelli nulla si fece. d in fatti oltre le cose gi indicate , sofTrvano mal volontieri anche questo , cio , che venisse loro imposto di non imprendere guerra, o iar pace al> cuna senza i Romani , e di doversi servire di una sola nave lunga , e poi di essere obbligati a portare ajuto ai Romani con cinquanta trirem i, ogni qual volta fosse ad essi intimato \ ed in ultimo di dover mandare ad effetto anche altre cose a condizioni non giuste. Per tali motivi adunque essendo stati di sentimento che una s fatta pace sarebbe stata in realt la propria lor distruzione , elessero piuttosto di proseguire la guerra contro i Romani. CXLIX. 5o4 stato scritto che t Cartaginesi mandarono degli ambasciatori ai popolo romano per varie altre c o se , ma specialmente per la quantit dei prigionieri , e prima di tatto per veder di ottenere la pace a con dizioni discrete j o se n , per ricuperare almeno i detti lor prigionieri. F ra questi ambasciatori, dicono

115
che t fu mandato anche Regolo , s\ per la dignit , ' ' * * * come per la virt di un tal uomo ( i ) , mentre si davano a credere che ne sarebbe avvenuto che i Ro- ^^4 mani avrebbero fatto qualunque cosa per la spe> ranza di riscattarlo, e lo avrebbero permutato o privatamente con la p a c e , o generalmente con tutti i prigionieri. Coloro pertanto 1 obbligarono con forte giuram ento a promettere inviolabilmente di rito rn a re , quantunque non gli fosse riuscito di recare ad ef fetto veruna delle dette cose : ed in tal guisa lo mandarono in compagnia degli altri ambasciatori. Regolo non solo agiva in tutto come se fosse stato Cartaginese e non Romano : ma neppur volle am mettere a parlamento la moglie, n entr nella citt, siccome mandato in esiglio ; ma convocato il Senato fuor delle mura (a), mentre questo era lo stile di dare risposta agli ambasciatori d e 'n e m ic i, richiese, per quanto abbiamo inteso , di potervi intervenire insieme con gli altri. CL. I Romani dopo aver esatto del denaro dai Car- SiQ taginesi , rinnovarono con essi le convenzioni della
(t) Intorno a ^neU notistima ambatceria di Regolo prigioniero, al sopplicio che ue riporli), leggati il Drakeoborchio, a d Silium h a i. Punicor. l. 6 . t> . (a) Nel!a Villa Pubblica presto al umpio di Bellona, L t . So. e . 3 1 4o-

e iniorno ,

l.

116 ^ principio esseadosi portati a Roma gli kvka ambasciatori de Cartaginesi , perch aveano osser5 1g vato che i Romani facevano T apparecchio in tempo eh essi erano per anche occupati in una guerra coi loro vicini, non furono in conto veruno moderati nel rispondere. In seguito avendo spedito un certo chiamalo A nnone, giovine nel fior degli a n n i , e che nel ragionare faceva uso di gran libert , co stui disse apertamente molte altre cose , ed in fine parl anche ne termini seguenti : Se voi non volete attenervi alla pace , rendeteci la Sardegna e la Si cilia , alle quali noi comperata abbiamo non gi una tregua da durar breve spazio di tempo , ma bens una perpetua amicizia. Dopo aver ci fatto , final mente per un certo stimolo di riputazione divennero pi mansueti e pi miti. CU.

5a4

Volendo i Romani fare a vicenda con prontezza d animo una cosa grata agl Issei ( i) , i quali eransi rifuggiti dalla loro parte; e ci far volendo per dimosti'are che recavano ajuto a quelli , i quali per essi aveano avuta premura grandissim a, e per di mostrare a ltre s, di far vendetta al tempo medesimo degli Ardici (a), perch infestavano quelli che n a vigavano dal porto di Brindisi, mandarono amba(i) Abitanti d is sa , isola del mare Jonio, la quale in oggi chia masi Lissa(a) Abiunli di Ardia, o A rdeja, citt amica che pi& non esiste.

11 7 d a to ri ad grone ( i ) , a scongiurarlo in fevor degl Isse i, ed a lagnarsi eoa l u i , siccome quegli che nov., loro recava dei d an n i, senz'averne ricevuta ingiui-ia 5^^ alcuna. 1 detti ambasciatori per non trovarono pi in vita A grone, il quale era morto , avendo lasciato un figliuolo perancbe fanciullo , che si chiamava P inne.. Ma Tenta moglie di Agronc , la quale era madrigna di P in n e , gi esercitava l'im pero sopi'a gli Ardiei: e quindi attesa la sua fierezza non diede a quegli amhascialori alcuna moderata risposta , e come donna, la quale oltre il suo ardir naturale e ra fatta orgogliosa anche dal potere che aveva, al* cuni di loro legonne , ed altii ne uccise , perch con troverchia libert aveano parlato. Dopo aver ci eseguito , prese quindi maggior baldanza , quasich con quella pronta crudelt di m ostrata avesse la sua possanza. Ma poco tempo di poi d prova della debolezza del sesso femminile, mentre per mancanza di seimo prontamente si adira, con non minor prontezza per timor si sbigottisce. In fatti appena venne in chiaro che dai Romani era stato decretato di portar conti'o lei la guerra , co minci a tremare ; e promise di restituir . que Ro m ani, che riteneva per anche j e riguardo a q u e lli, eh' erano stati uccisi, si discolp col dire che da alcuni assassini erano stati messi a morte. Avendo pertanto i Romani sospesa una tale spedizione , e richiedendo che venissero consegnali nelle loro mani
( i) CotUii er* re di Sardegna, ed ettendeT* il uo dominio an che opra glItse i, Zonar,

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^i gij autori di quella uccisione, essa li dispregi nuovamente , perch non era cosi vicino il pericolo , 5 a 4 disse che non avrebbe consegnalo alcuno de delti a u to ri, cd al tempo stesso mand l'esercito nell i sola d'Issa. In seguito tostoch seppe che stavano per giungere i consoli , di nuovo tem rispetto a se ste ssa , si avvili d animo , e si dimostr pronta ad ubbidir loro in tutte le cose. Ma non per fece assolutamente passaggio alla m oderazione , imperocch portati che si furono a Corcira i consoli , ella riprese ai-dire , e ribellatasi da Romani, mand le sue truppe alla volta di Epi* damno. I detti Romani poi liberarono quelle citt , e predarono i di lei navigli .co denari , ed essa al lora sembrava che si sarebbe assoggettata di nuovo a ricevere i loro comandi ; ma siccome i medesimi nel passare il m a re , furono danneggiati presso il colle tirio , ella and differendo, sulla speranza che quelli se ne sarebbero partiti, stantech gi era venuto r inverno. Ma poich seppe che Albino non si moveva dal suo luogo , e che Demetrio (i) per cagione della di lei stolidit e sciocchezza, e per paura del popolo romano era passato dalla parte de nemici , e persuaso aveva anche ad alcuni altri di disertare, essa allora colpita interamente dallo spavento ced al regno.
( i ^ Di quMti p a tU Appiano in lU j-r., e Livio h 32 , c . 33.

9
C U I.

Romj
I Romani per via di messaggj trattarono con n- 538 nibale , chiedendo , che d'ambe le parli si restituis sero i prigionieri (i). Ci non ostante per non si fece un simil baratto , quantunque pel medesimo molivo avesse spedito loro Cartalone ('). Ed avver gnach non sarebbe stato ricevuto dentro le m u ra , siccome colui eh era nemico , perci venir non volle a parlamento , ma pieno di sdegno immantiaente tomossene indietro. CLIII. Avendo i Cartaginesi, per mezzo di ambasciatori 55 1 spediti a Scipione, promesso di eseguir qualunque cosa avesse loro imposta , e di obbligarsi a tutto , gli contarono subito del danaro , e restituirono tutti quanti i prigionieri : e rispetto alle altre cose man dai'ono alcuni de'loro a Roma, Ma i Romani allora non vollero ricever costoro , mentre dicevano , che era contro la costumanza della lor patria il dar ri sposta intorno alla pace a chicchessia, in tempo che ne restava in Italia l esercito. In seguito poi Annibaie e M.ngone', essendosi ritirati dai conGni dItalia, diedero ad essi la facolt di parlare. E cer ti) Non si lf{!ge a ltro v e , cLe i Aomani dopo la rotta di Canne fo<4ero i primi a traiiare con \nnih ale intorno alla restitnjione dei prigionieii: a m i T ito L.ivio dice tutto il contrario . / . aa , . 58(a) T it. L iv . ioc. cU.

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' tamente vi fu tra loro non poco contrasto, incli' nando alPuna parte ed all'altra i differenti p a re ri; ma alla fine decretarono di far la pace a quelle leg< gi j che avesse esposte Scipione. CLIV. I Cartaginesi investivano Scipione per terra e per mare. Ma lo stesso Scipione irritato per c i , essen dosi lagnalo di simile ingiuria , quelli non risposero con moderazione agli ambasciatori, e di pi trama* rono a questi delle insidie , mentre che se n' anda vano sopra un lor proprio naviglio. E se il vento che sopraggiunse non gli avesse fortunatamente ajut a t i , o sarebbero stati p resi, o ammazzati. Per un tal motivo Scipione , bench venissero a lui de' mes saggi , i quali recavano la pace , ci non ostante pi non volle concederla. CLV. I Cartaginesi spedirono ambasciatori a Scipione. I patti poi , de quali aveano convenuto, erano i se guenti : Che dassero gli ostaggi, e restituissero tutti i prigionieri e disertori che avevano , o fossero dei R om ani, o degli alleati : che consegnassero tutti gli elefanti e tutte le trirem i, all eccezione di dieci : che per F avvenire non possedessero n elefanti, n triremi : che fatta la restituzione cedessero a Massiuissa tutte quelle cose , che avendogliele tolte essi

I2r ritenevano ; e che lasciassero in libert la regione e la citt , che il medesimo aveva in proprio potere : che non facessero leve di milizie ; . n si servissero di soldati stranieri presi a soldo ; e che non im prendessero contro chiunque fosse la guerra senza r espresso volere del popolo romano (i). CLVI, Molti altri Romani erano di parere che distrugge si dovesse Cartagine ; ma principalmente Cornelio consolo (a), mentre diceva non essere possibile che fino a tanto che la medesima sussisteva, i Romani rimanessero esenti da ogni timore. CLVII.

Il re Filippo essendo stato vinto in battaglia (3) , 55 y sped ambasciatori a Tito Quinzio Flaminino. Questi p o i , quantunque aspirasse grandissimamente alla Ma cedonia , e desiderasse di andare innanzi nel prospero successo delle imprese presenti, ci non ostante
( i) 8i risconlr T ilo L t i o , l. 3o, c. 3 7 . (a) CoMoi era Gneo Cornelio L enialo , he aspirava acdoatoment* alla provincia d ell'A frica , Lt . i. 3o. c. 4 < 44(3) Questo accadde al dello Filippo re di Macedonia nella se conda guerra punica , la quale fu m esta contro di l u i , perche avea a ja ta to Annibaie , ed era staio conlrario agli alleati dei Romani , d specialmente agli A teniesi, L i r . l, 3a c. l a . Ju stin . { 3o, c . 4 '

122
motTO ch'ebbe di oprare in tal guisa f u , perch temeva che i Greci distrutto ^^7 Filippo non riprendessero gli antichi sp iriti, e pi non rispettassero il popolo romano ; ed af^nch gli E to li, i quali in allora sommamente vantavansi di aver essi con 1 opera loro riportata per la maggior parte quella vittoria, non divenissero pi che mai infesti ai R om ani, e finalmente acci Antioco non venisse, siccome dicevasi , in Europa a recar soc corso a Filippo. CLVIIL Essendo venuti a Roma alcuni giovani da' Cartaginesi, ed essendosi portati con furono inviati a Cartagine , e di nuovo ai Romani ; ma senza che fosse fatto male alle loro case tornarono. CLIX. mandatici p etulan za, consegnati loro alcun

585

Chiedeva il re Perseo (2) la pace dai R om ani, e 1 avrebbe ottenuta , se i Rodj , temendo che i Ro mani stessi non perdessero un nemico , non avesser con quelli del detto Perseo uniti anche i loro am basciatori In fatti costoro nulla riferirono con mo derazione , come si conveniva a tali che domanda vano la pace ; e quasich non tanto chiedesser eglino
( i ) Le condizioni di questa pace vengono rifer'^ da GiuaiDO

ioe. eit.
(a) Re di M acedoaia, del quale parla L iv io , /. 44 >4

123
la pace per Perseo , quanto gliela lasser, esposero con arroganza molte cose, ed all'ultim o minacciaro* no , che essi medesimi, per cagioa de' quali non crasi 585 conchiusa la p a c e , avrebbero con tutti gli altri in trapresa la guerra. Dal che ne avvenne che laddove neppur per lo addietro erano stati esenti da sospetto presso i Rom ani, allora si renderono odiosi pi che giammai , e furono d' ostacolo, che Perseo non im petrasse la pace. CLX. I R o d j, i quali per lo addietro dimostravano un 58 ^ sommo coraggio , quasich avessero vinto e Filippo cd Antioco , e fosser di forze superiori ai Romani , 6 ridussero ad aver tanto spavento , che richiama' rono perfino Popilio , il quale era stato inviato come ambasciatore ad Antioco re di Siria; e alla di lu presenza fecero un decreto contro tutti q u elli, i quali avessero abbracciato il partilo contrario ai Ro mani , c stabilirono di mandarne alla morte quanti ne avessero presi. CLXI, I medesimi Rodj mandando frequenti amhascerie ai Romani (i ) , a proporzione che avevano qualche cosa da chiedere , non trattavano pi coi medesimi, come per T addietro j ma esponevano quelle cose soltanto , eh erano per essi vantaggiose ad ottenere,
( i ) S i vegga T iio Livio , i |4 , c. i4 < i- 4^, o. 3 , a i e eg.

124
che i Romani in Trti de loro proprj favor ad esai compartiti , pi non si ricordassero del passato. laddove prima non aveano accettato di esser chia* niati in confederazione col popolo romano , affinch cio { non avendo stretta con essi amicizia per via di giuramento , e quindi potendo quando che fosse separarsi da loro ) recassero maggior terrore ai me desimi , e tanto pi venissero rispettati dagli a ltr i, che guerreggiavano co Romani j allora in ispecial modo studiavansi di procurarsi il nome di alleati, a line di consolidare a proprio favore la benevolenza de' Romani, ed anche a fme di procacciarsi dagli altri onore e rispetto. CLXII.

58 j

Essendo il re Frusta entrato in Roma e nella Gu ria , baci la soglia della Curia m edesima, e chia m Dei i senatori, c li vener con tutta sommis sione (i). Dal che principalmente ne deriv ch egli fu riputato degno di perdono , quantunque avesse mossa la guerra ad tt-ilo contro la volont del po polo romano. Si diceva inoltre che anche nella sua citt I .'spettava umilmente gli ambasciatori romani , qualora alcuni a lui ne fossero venuti j e chiamava se stesso liberto del popolo romano , e spessissime volte si faceva vedere col pileo in testa (a).
(i) Inlorno agli onori qoasi divini fxui dagli esteri al Senalo ro m ano Tcggasi lo Spantiemio Usu JVttm D'ss. J e 7 . (a ) E ra (jurito una specie di cappello , d ie si dava per segno a .

laS
cLxm.
/> /
R om4

Popilio (i) rec tal terrore a Viriato (a) che an- 6 i a che prima di tentar la battaglia mand a lui per chieder la pace ; ed essendogli stato imposto di con segnare 1 principali di quelli eh eransi ribellati dai R om ani, esso altri ne uccise , fra i quali ersfVi pa rimenti il suo genero, quantunque costui avesse an che di per se stesso delle truppe , ed altri ne con segn , ai quali tutti il consolo tagli le mani. E la cosa sarebbe stata interamente aggiustata, se non fosse venuto un comando che anche Viriato cedesse le armi : pel qual ordine ne avvenne che n esso , n il rimanente della moltitudine vollero ci sop portare. CLXIV. I Romani riceverono fuori delle gli ambasciatori dei Numantini (3) , loro ricetto dentro la medesima non essi pure ratiCcassero le convenute
coloro , che erano tati m e u i in lib e rti.

mura della citt 61 acci col dar sembrasse che condizioni (4)>

Veggasi ftadolfo Fornerio,

JUr. Quot. l. 4 C" 4( i ) Esso era consolo. ( 3 ) Di costui si parlato al Fram m ento 7 8 (3) Vrggasi Lucio F lo ro , /. a, c. 1 8 . (4) Il consolo C . Ostilio Mancino assediando i Num antini rest& spesse Tolie vinto ; efinalmeule avendo inteso che venivano in soc corso ilei medesimi anche i di loro confederati, cede il campo , fece una pace ignominiosa , la quale i Aumaai non vollero confer mare , Fior, l . 2 , c. 1 8 .

la G Con tutto questo per mandarono loro i soliti re gali , mentre non vollero togliere ad essi ogni spe6*8 ranza di concluder la pace. C oloro, che stavano dallaparte di M ancino, rappresentavano la neces sit , per cui eransi dovute fare simili convenzioni, e la moltitudine di quelli che a' erano salvati , e fi nalmente come ritenevano per anche tutte le c o se , che avevano possedute nella Spagna : ed al tempo stesso chiedevano che i padri rifleltesser nell'anim o loro non alla sicurezza p resen te, ma al pericolo, che in allora sovrastava ai soldati, e non a ci che si saiebbe dov u to , ma belisi a quello che si era po luto fare. I Numantini esponevano parecchie cose relativamente alla loro antica premura dimostrata in favor dei Rom ani, e molte cose altres dicevano in torno alle ingiurie da essi in seguilo ricevute, le quali avevano loro somministrato motivo di far la guerra , ed intorno al giuramento violato da Pom peo (i) j dimandavano che si avesse ragiofle del benefcio da essi fatto non tanto a Mancino, quanto agli altri , ai quali essi medesimi avevano accordata la salvezza e lo scampo. Ma i Romani dichiararono nulli i patti , e decretarono che dar si dovesse Man cino nelle mani dei Numantiui (2).

(i) Contili era il consolo Q . Pom peo, del qaale pati T l o r o , {. a, c. 18. (a; Vfggast Vellcjo P aie rc o lo ,/. 3, 0. i . VaUr. M a x . l. 3, o. 7.

1^7
CLXV.

P I om4

I primi autori della dissensione furono gli A cbei, 60 cbe accusarono i Lacedomonj j coi quali avevano avute delle antiche differenze ( i ) , quasi che questi fossero stati 1' origine dei m ali, eh erano loro ac caduti j facendo ci principalmente ad instigazione del capitano D iea (2). I Romani poi avendo spessis sime fate inviati dei messaggi, che li riconciliassero a vicenda , non fu possibile di persuaderli ; ed anzi avendo alP ultimo spediti degli ambasciatori per di sunire , e dividere in varie parti i G re c i, acci si rendessero pi deboli, e per ottenere che le citt comprese per Paddietro nel dominio di Filippo ( fralle quali si contava anche C orinto, che per molti ri guardi era florida , ed il primo luogo teneva nell adunanza dei Greci ) non dovessero aver parte nella detta a d u n an za, poco manc che i medesimi Achei Bon si lanciassero sopra gli stessi ambasciatori per metterli a morte , o per ridurli a mal termine j e ci sarebbe accaduto, se questi prima che tal cosa si effettuasse^ non si fossero partiti da Acrocoriuto (3) j dove in allora si ritrovavano (4)>
Eutrop. l . 4> e t . a , c. 3 3 3- Oros. 5, e. 4 > ^

Orat. l . t , c . ^o,

(i) IntorDo ai confini, onderano ricorsi al Senato, come ti rileva da Paunaoia, /. 7 , e- 11, la. (a) Veggaai Pausania l. 7 , c . la.
(3) A ulica ciuadella di Corinto, ampiamente descritta dallo Spon,

y o y . de Grece l . 6. l.
0 ) M o lta ch iarella apande sopra questo p e o d ittoria Giostio 3 4 , c . I.

128 Qji Achei per mandarono a Roma alcuni dei loro a scolparsi di un tale operato ; dicendo che essi non eransi portati contro gli am basciatori, ma bens con tro i Lacedemonj, che iavorivano i medesimi amba sciatori. Ed i Romani non escludendo un simil pre testo , perch facevano per anche la guerra co' Cai> taginesi, e non avevano ancora ben stabilite le cose dei M acedoni, spedirono col alcuni messaggi, i quali accordassero a coloro l ' im pim it, nel caso per che promettessero di non pi macchinar no vit. Ma quelli non permisero agli ambasciatori di presentarsi in consiglio j e dilTerirono ci ad un' al tra adunanza , che di li a sei mesi doveva tenersi.
CLXVI. 667 Suscitatasi fra i Romani una sedizione intestina , fu chiamato M etello, e gli venne ordinato di far la pace coi Sanniti a qualunque patto potesse j impe rocch costoro erano peranche i soli in quel tempo che danneggiassero la Campania , e la regione che al di l delia Campania si estende. Metello per non volle con essi conchinder la pace , perch chiede vano che si accordasse il dritto della cittadinanza romana non solamente a loro m edesimi, ma anche a quelli che dalla lor parte erano passati j e non volevano restituire il bottino eh'essi avevano fatto, e richiedevano dai Romani tutti i loro prigionieri e disertori Quindi ne avvenne che a simili condizioni

129
p i i non volle il Senato stabilire con costoro la pace (i); "o"

(a.xvn.
Metello impose a G iogurta, il <{aale aveva man- 646' dati ambasciatori per trattare di pace , molte coa> tribu2oai ad una per volta , fingendo che fosse soTa qualunque cosa da Tui esigeva, la questa maniera egli ottenne da lui e gli ostaggi, e le armi , e gli elefanti, ed i prigionieri, e i disertori, i quali di sertori esso gli uccise tutti. Ci non Ostante per non fu del tutl terminata la guerra , perch il detto Giugurta , per non esser, fatto prigioniero , ricus di portarsi da lui (a) j tanto pi che anche Mario (3) j e Gneo (4) erano d'im pedim ento, che ci non si effettuasse. CLXVUI. Dpo che fu presa Cirta (5) per capitolazione , Bocco mand ambasciatori a . Mario (6 ). Per mezzo
f i ) S i TMcoDUi Appiano C h . l. t . (aj'V eggui S allu d io e. 4 6 , 48> 6> ; e F loro / . 3 , e. i , 10. (3) Si riscoD lri Sallasiio c. 6 4 , ^3- P lalA co in if/ar<o e Velleio P a(rc. / a , e. 1 1 . Plaiarcu poi molta a proposilo oMerra , cb per dettino contrario Siila invol a Mario la gloria di qneata guer ra , come il medesimo Mario l aveva in v o la u a M etello, P lu t. im

Sjsfu.
(4j Non si pu dire con fondamento chi fosse costui. (5) Adesso chiamasi Costantina , capitale della Nnoiidia. (6 ) Sali. Jugutth. o. l o e ieg . F ior. < .3 , c . 1 . Oros. l. 5, e. i5 . B iome, tomo I . *

i3o
Avmt ^ questi in primo luogo dimandava che gli si concedesse il regno di Giugurla , come per prmio di esser passato dalla parte dei Romani. Ma non aven< do potuto impetrare ci , chiese semplicemente che si facesse la pace. Mario pertanto mand gli ambasciatori a Roma j ed in tempo che questo si effet tuava, Giugurta si ritir nei luoghi i pi deserti della sua propria region.
CLXIX. 648 Atendo ricevuti Maio gli ambasciatori di B occo, disse che non avrebbe stabilito con lui alcun patto ^ se non gli venisse dato nelle mani Giugurta 3 il che anche fu eseguito. CLXX. 664 M itridate, essendo a lui venuti gli ambasciatori del popolo romano non fece alcun movimento j ma dopo aver loro opposte alcune ragioni che aveva di lagnarsi, e dopo aver fatto vedere qual somma im^ mensa di danaro ' aveva egli spesa e pnbblicamente e privatamente, si stette quieto. Nicomede pi in superbito per r alleanza contratta coi Rom ani, e bi sognoso di d ^ a r o , entr ostilmente nel]^ di lui reigione. CLXXI. Mitridate spedi ambasciatori a Roma a supplicare'

i3 i
i. Rom ani, che , se tenevano p er amico Nicomede, lo persuadessero , o lo costringessero a trattar seco lui a norma della equit e della giustizia; o se n , 664 gli accordassero la permissione di vendicarsi del suo nemico. Ma i Romaui ^ o n solo non eseguirono al cuna di quelle cose , eh' esso voleva ; ma di pi gli fecero delle minacce , in caso che non avesse resti tuita la Cappadocia (i) ad robarzane, e non avesse proccurato di concluder la pace con Ificomede. Al tempo stesso comandarono ai di lui aaibasciatori di partirsene in quel medesimo giorno , ed in oltre gli vietarono di non inviai-e pi verun altro ambascia* to re , se non avesse obbedito ai di loro comandi. CLXm Sovrastando E^Jtlomani la guerra civile , spedirono 667 alcuni messaggi a chiamar Metello , e gli ordinarono di portarsi in loro soccorso. ' CLXXIII. Archelao scongiurava Siila di venire ad un paciGco 669 aggiustamento con Mitridate. Avendo pertanto Sijla prestato orecchio a questa esortazione, fu convenuto di far la pace con le condizioni seguenti : Che Mi tridate lasciasse 1 ' Asia , con la Paflagonia ; che si dasse la Bitinia (2) a Nicomede, e la Cappadocia
(i) V asia regiona d Asia. ( 3) Paese d 'A s ia nella parte settenUionale dell.^sia Minore longo la Fropontide ed il Ponto Eosino.

32

'***' ad Ariobarzane : Che pagasse duemila talenti a Romaai ; che somministrasse settanta navj rostrale coi 66g loro attrezzi necessarj : che Siila rendesse fermo e sicuro il rimanente del dominio di Mitridate j e lo dihiarasse alleato del popolo romano (i). Stabiliti che- fui-ono in tal guisa questi patti e queste convenzioni , Siila per la Tessaglia e p er la Macedoaia se ne andava alla volta dell Ellesponto , avendo in sua compagnia Archelao , che onorevol* mente tratlava. Essendosi questi infermato presso a Larissa di una pericolosa malattia , egli sospesa la m arcia, come se fosse stato alcuno de'suoi duci e com andanti, ebbe grandissima cura della di lui gua< rigioe. Una tal cosa diede motivo di m orm orare .che pugnato non si fosse di buona fede a Chero> nea ; ed in oltre djede altres occasione di m o r morare che Siila restituisse tutti gli altri amici di M itridate, ed uccidesse il slo Aristione com$ ne mico di Archelao : ed in ispecial mddo si m orm o rava che avesse in Eubea dato in dono a Cappadoco un cainpo di mille jugeri, e che lo avesse ascritto nel numero degli amici e de confederati del popolo romano. CLXXIV. Essendo Tenuti ambasciatori a Siila da M itridate, ed avendo esposto che Mitridate medesimo passava sopra tutte le altre cose 3 ma che essi non volevano
(>) Vegga! P la u rc* in Sylla.

iS5
che restasse privo della Paflagonia; e qaindi asso lutamente oegando che le navi fossero state pro messe , Siila sdegnato , cbe parlate voi ? riprese : In tal guisa adunque Mitridate i usurpa I9 Paflagonia e nega il patto intorno alle navi j quel Mitridate j che io mi dava a credere che avrebbe dovuto som" messamente rispettarmi , ancorch non gli avessi la sciato altro che la destra mano , con cui mise a m orte tanti cittadini romani? Egli terr, bene un dif ferente linguaggio quand'io sar passato nell'Asia. I presente s|andpsi in Pergamo (1) si prepari ad u n a g u e rra , che non avr vista giammai. Allora gli ambasciatori presi dallo spavento si tacquero. Ma Archelao scongiurava Siila , ed afferrata la di lui destra a forza di lagrimare ne raddolciva lo sdegno j e finalmente gli persuase di mandar lui medesimo a M itridate., perch affermava. eh' egli avrebbe fatta la pace a quelle condizioni richieste da Siila ; e che se a ci non lo avesse potuto indurre, colle sue pro prie mani ti'ucidato io avrebbe. CLXXV. Si abbatt Siila con Mitridate' presso una citt di Troade dei D ardani, avendo questi dugenlo navi ben fornite , e ventimila soldati di truppe terrestri, e sei mila a cavallo ^ e Siila quattro coorti e due
(i) C illi capiule dellr Misi Maggiore, aiuicameate reggia dei ra alialici, coti d e tta, percbi sitaaca sopra di uiia ropa t eaaa la pa tria di. Galeao medico di ApoUodoro oratore.

i34
cento cavalieri. Mitridate poi essendogli venuto innouA contro , ed avendogli porta la d e stra , gli dimand se volesse metter fine alla gaerra a (juelle condi zioni, che Archelao avesse fissate. CLXXVI. Fatta ch'ebbero tra loro la pace Siila e M itridate, vennet-o anche ad accomodamento riguardo ai re Ariobarzane e Nicomede; Mitridate adunque avendo date a Siila settanta, navi , e moltissimi saettato ri, aveva in animo di partite alla volta del Ponto cpl restante de' suoi navigli. In questa occasine Siila accortosi, che ai suoi soldati dispiaceva una simil pace ( tnentr erano d avviso non esser cosa da tol le ra rsi, il vedere un r e , loro capitalissimo nem ico, che in un sol giorno avea fatti tagliare a pezzi cento cinquanta mila cittadini romani , i quaK stavano in Asia , andarsene via per nave dall' Asia medesima , eh'esso in tanti anni aveva esausta col farvi quattro b o ttin i, e col jacrorvi tributi ) si giustificava con questa ragione, cio , che esso non aveva fprze suf ficienti per far nel medesimo tempo la guerra con Fimbria e con M itridate, giacch costoro imiemc gi s erano uniti. CLXXVIL Avendo i Gretensi mandati degli ambasciatori ai Romani, si lusiogavano di poter aanullare gli anticlii

i35
patti ( t ) , e di trovare inoltre della gratitudine pel beneficio da essi compartito a coTbro , il qual con* sisteva nell averne serbali il questore ed i soldati; 684 ma i Romani non che rimanere ad essi obbligati perch non aveano fatta la detta strage , si mossero anzi maggiormente a sdegno, perch erano stati presi interamente j e di pi non diedero ai medesimi al^cuna mite risposta, e chiesero tutti i prigionieri, e tutti i disertri, insieme con gli ostaggi ; e chiesta parimente una somma immensa di danaro , e delle navi pi grandi del solito , con che consegnassero anche nelle lor mani i principali di essi, non aspet* tarono veruna risposta da C retensi, che atavaxio in patria, ma' subitamente spedirono l'altro consolo (a), affinch ricevesse le dette eoe ; e se non le avessero date (n certamente erano per darle) egli portasse contro di loio la guerra. In fatti in qual modo dopo la vittoria avrebber sofTerto, che venissero comandate loro tante e tali cose quelli, i quali da principio, innanzi che alcuna delle dette cose dai medesimi si esigesse , e prima che fossero rimasti vincitori, non aveano voluto far^ la pace P Di certo aduiiqne ci sapendo i Rom ani, di pi avendo avuto sospetto, che gli ambasciatori suddetti si sarebbero accinti a corromper taluni con danaro a fine d'impedir questa guerra, vietarono per

( i ) E ra naia d eisi nna timil hminga da ana vittoria rifiortaU sa f r a i Romani , della quat* parla K loto, l . 3 , e. 7 , a , 3 . (3) E ra ijuesli Q . Cecilio Metello, che d ipai fo detto t>eteii*e.

i36
mezzo di un decreto del Senato , che ninno desM Som a ]qj.o veruna cosaixi impreatito. CLXXVUI.

685

Essendo venuti i consoli al tirar delle sorti, tocc ad Ortensio il far la guerra contro i Cretensi (i). Ma egli avendo preso piacela alla citt, ed al foro, nel quale a suo tempo dopo Gicei^one il primo luogo teneva, ced spontaneamente l ' esercito al suo col lega , ed esso in citt si rimase. Metello adunque se 6 ' aud in C re ta , ed in seguito p rese'tutta l 'n o l a ; . bench veniva impedito e distolto da Pompeo il grande j quasich anche le sqIc a lui spettassero , m entr'egli in quel tempo aveva il comando di tutto il mare , c del continente , che non fosse pi lungi dal medesimo mare dtl cammino di ti'ie gioma|e. Ci non ostahte per a suo dispetto ultim Mntello la guerra di C re ta , per cui trionf , e fu cognomi nato Cretecse. In quei medesimi tempi L. Luciillo , poi chVhhe superati in guerra Mitridate e Tigrane rmenio., ambedue Te d' Asia -, e poi che gli ebbe costretti volger le spalle, si.mise ad assediare Tit<ranocerta (2). Ma i Barbari gravemente lo molestarono non tanto
(i) S i riscontri Cicerone in Bruto iait-

(3) S u l u n i a , o , o B itlis, come alcuni c re d o n o ,' c i u i n e lI rmeDia Maggiore , fabbricala 4a Tigrne unde ha preso il u om e , quasi ci u di Tigraae , im pctocchi Certa nel liugnaggio i k i . P a rli significa

ciu.

'* 7
col tirargli sopra dei datrdi, qnanto con la n a fta , la quale per mezzo di certe macchine essi lancia- *' vano. La nafta poi una materia composta di una 685 specie di b itu m e, cos infocata , che abbracia inte> ramente tutte quelle cose alle quali si a tta c ca , - n con alcuna materia umida pu -di leggieri smorzarsL Un tal fatto rend il coraggio , e la speranza a T ig ra n e , e rol sul luogo xoil tanta quantit di sol d a ti, che si pose a deridere i Rom ani, che in al lora vi erano. Si n a r r a , eh' egli dice^sse, che se coloro erano venuti per far la guerra , erano pochis sim i, e se per fare un am basciata, moltissimi. Ma non per ebbe lunga durata la sua allegrezza : men tre ben presto conobbe , ' quanto il valore e l ' arte prevalgano ad una moltitudine anche influita. Egli adunque essendosi dato alla fu g a , i soldati trovata la di lui tiara (i f j intorno a cui era ripiegala una fscia , la diedero a Lucullo : inf fatti il detto Tigraue per timore di non esser' conssciuto a simile orna mento , ed esser fatto prigioniero, levatoselo, lungi da se lo aveva scagliato (2).
(i) Veggasi lo Spaoemio , De Usa JVumitmalum , D ist. 8> (3) Q uesto fra m m is to tolto d a SiSliao sul principio.

F IS E

D B I R iM M B N T I D I D 1 0 5 E .

i38
DELLA

STORIA

ROMANA
DI

D I O N E

FRAMMENTO DEL LIBRO X X X V (iV

C iP lT O L O

IK O .

D i varie imprese c perdite fa tte da Lucullo. Am Jlod *** e perch dambe le parti Mitridate (a) aveva
( i ) 1 libri X X X V e X X X V I comprenHono la storia di anni qualt

t r o , nei quali

fiirpnu i segiienli

yi/t. printa di G . C. 6 9 -,
68. 67. 66.

o n . d Roma 685.
686. 687. 688.

Cretimse.

m L . (;>cilto ci te; W . M a ilo Acilio l l h t i


purnio P isen e. L.

Le)iido. (a) L e parole in e aritte re corsivo mancano nel le tto .

1^9
TQto una somma fortnua , T ira n e gli accord H < comando. E < 1 in fatti avendo colui parecchie volle *< p e rd u to , e molte fi^te essendo anche rimasto vinci* 685 to re , perci* si credeva, ch egli fosse diventato non gi pi inabile , ma ansi pi esperto nelle cose ap partenenti alla guerra. T ira n e adunque e Mitridat come se.' allora per la, prima volta incominciassero a guerreggiare , fecero i necessarii preparativi, mandati degli ambasciatori non solo ai loro vicini, ma anche in ispecial modo ad rsace Parto ( i ) , quantunque inimico di Tigrane per differenze ins.orte sopra una certa regione (a) ; la quale in quel tempo essi ceden* dogli j calunnifarono presso di lui i Rom ani, alle* gando , che se costoro avessero riportata la vittorift sopra di a stessi da lui abbandonali, avrebbero su^ bitamente rivolte le armi anche contro di lui mede* simo : imperocch di sua natura ogni vincitore non si sazia giammai delle prospere imprese n pone alcun termine ai suoi desideri; e per i Rom ani, che gi comandavano a moltissimi, sicuramente noa lo avrebbero' risparmiato. Que' due pertanto in allora
(i) L a lettera icriu a da MiirMate ail A n ace si trova n el libro 4 dei fran nicnti delle storie di S allu tiio. O d retto poi n o l o , ch e tulli i re dei Parti chiamaviuiti eom uoem eale col oom e di A n a ce ; e q u e s t i , del quale qui si par'a , fu padre di F r a a te , e perci fl su o proprio nome fu , noo gi^ Faco' o , come ti trova presso S i f i li n o , ma bens S in a lru ce, o Siutrico , e n n e si rileva da Appiano. I Parti p oi abitavano quella regione d' Asia chiam ala larthia , ch e in oggi vien detta A rack , ed Cborasao in Persia.

compresa nella parte meridionale del

(a) Q uesta regione era la M esop otam ia, com e pi sotto si legge.

i4o
s fatte cose eseguivano. In qnesto mentre Lucnllo non inseguiva Tigrane , ma gli dava tatto l'agio, di 685 potersi salvare; per lo che non solo dagli altri, ma anche dai cittadini venn incolpalo , dii non averlo Toluto debellare , a fine di rimanere pi a lungo nel comando (i). Per simil cosa i Romani affidarono novamente ai pretori il comando nell'Asia, e dipoi, avendo fatto veder Lucullo , che- per la seconda Tolta erasi regolato nella stessa m aniera, gli man darono per successore il consolo di questianno. Ma per altro Lucullo prese T igranocerta, p e c f ^ gli stran ieri, i quali coabitavano in questa citt, aveaao suscitata una sedizione contro gli Armeni. La mag* gior parte dei detti stranieri erano di Gilicia,. e fu* T o n o anticamente ricevuti dagli A rm eni, ed essi me desimi di nottetempo introdussero i Romani dentro alla citt ; e quindi alF eccezione di., quelle cos@ che appartenevano ai C ilici, - tutto il resto fu messo a sacco. Lucullo per salv da ogni ingiuria le m o ^ dei prim ati, multe dlie quali egli -ne aveva fatte prigioniere, e per tal condotta si cattiv gli animi dei di loro mariti. In oltre accord la sua amicizia ad Antioco re di Gomniagene (2), la quale una regione di Siria situata presso il fiume Eufrate ed il monte Tauro ; e l accord altres ad uu certo piccolo re d ell'A rab ia, chiamato Alcaudonio , e ad
( i ) V cggati U dTcsa che ne fa Plutarco in Lucut. {>) lo oggi chiamasi A u r , ovvero Rauaherg, proviocia di Sofia. Parla del dello Anuoco Oio. Fedele Vaillaot nella tloru . dot re <fi Siria illu ilr a u 'con le medaglia

i4 i alcuni altri, i quali per mezzo di ambasciadori aveaao seco lui" patteggialo. Fatto egli consapevole da costoro delPambitsceria di Tigrane e di Mitridate man- 685 data ad rsace, spedi aneh esso alcuni degli al leati al m edesimo, i quali lo minacciassero, in caso che avesse ajatati costoro , gli facessero delle prom esse, laddove preferisse di favorire le parti dei Romani. Arsace , siccome in quel tempo era per ftnche sdegnato contro Tigrane , e non aveva formato ancora verun sospetto sopra i R om ani, mandati a Ticenda a Luculfo i suoi am basciatori, fece con lui amicizia e confederazione di guerra. Ma dopo ci essendo andato da cqlui Secilio , gli venne sospetto, che un tal uomo famoso nella milizia ' foiisc stato spedito non tanto a cagione della criutratta all<-aH/a, quanto per ispiarc il di lui paese , e le sue soIHa* tesche j e quindi non sommiqistr ai Romani ajuto di sorta alcuna. Si regol per in maniera, che nepp u r fece contro di essi alcun tentativo ; ma stette fra i due p a rtiti, m entre, come par veri^imile, non Toleva che si accrescesse il potere o degli uni o degli a ltr i, giudicando, che se d'arabe le parti a. forze uguali si- fosse fatta la gu erra, egli sarebbe . rimasto in sicuro. Tali cose adunque fece in que st aiino Lucullo , coll unire a s stesso molte parti dell Armenia. Nell anno seguente Q. M arcio, quan- 686 tunque non fosse stato nominato so lo , contuttoei fu solo .ad esercitar la carica di consolo ; impe rocch il suo collega L. Metello sul principiar delr anno medesimo area cessato di vivere , e colui,

i4a
eh' era sta\o eletto in luogo di q u e sti, era morto prima di entrare in m agistrata, e quindi non erane stato sostituito alcun altro. In tal anno adunque Lucullo ) a mezza estate ( mentre in tempo d'inverno a eagione ^el freddo non avea potuto entrare nei confini degli inimici ) postosi in marcia coll'esercito^ diede il guasto ad una certa parte della loro regio ne , per 'invitare a venir finora a combattere quei B arbari, eh esso si lusingava che 1 avrebber difesa; ma non movendosi costoro, egli allora fece impeto sopra i medesimi. Cominciarono i nemici con la ca valleria ad incalzar fortemente quella dei R om ani, c per lo. contrailo ricusavano assoTutamente di comr battere colla fanteria j e subitoch Lucullo co' suoi armati di scudo (i) si moveva in soccorso della eavalleria, coloro volgevano le spalle. Con tutto questo per non riceverono i detti Barbari rotta veruna ; m a anzi scagliate alP indietro delle saette contro quelli f che davan loro la c a ccia , molti ne uccisero subito, e moltissimi n ferirono (a). Queste ferite poi erano gravi e diffcili a sanarsi j -imperocch i Barbali servivansi di dardi a due punte (3) , e di pi le adattavano in guisa, che o restassero le saette nei c o rp i, o ne venissero estratte , producevano sem pre sollecitamente la morte ; ed in fatti vi restava dentro un' altra punta minore ^ perch non v era
( i ) Veggati il L p s io , daM'Uit. R'tm. l , diai. a-i. (a ) S i coosoIido gl intcrpreii al ersp 3 | tlel T. 3 delle Georgi ch e di Virgilio I fidentemque fuga Parthunt , nertitqm sagittis.

(3) Veggasi il L iptio > Ptliorcet. i . 4 > dial. u h .

143
maniera, onde estrar si potesse, ^^ucullo adunque , liccome molti de'suoi erano rimasti fe riti, e parte erano morti per le ferite , e parte venivano mutilati 686 nelle lor membra , e siccome anche mancavano le vettovaglie , mossi di l gli alloggiamenti , se n'and a Nisibi (i). -Questa citt fabbricata nella Mesopotamia ( cosi chiamasi tutta quella regione che giace tra i fiumi Tigri (a) ed Eufrate) ed al presente sta tetto il nostro dom inio, e vien considerata come nostra Coloi^ia : ma iu quel tempo avendola Tigrane ritolta ai P a r ti, aveva riposti dentro quella i suoi tesori, ed alti-e moltissime cose , aflGdatane la cu stodia al suo proprio fratello (3). Quantunque Lucullo alla detta citt dass valorosamente 1' assalto , contuttoc'i per tutta quella estate riusc vano ogni suo tentativo * , imperocch vi era un muro doppio , {atto di m attoni, e molto grosso , che ^diviso da una profondissima fossa non era possibile , n di batterlo, n di ruinarlo ; di modo che anche Tigrane era d'av viso , che non facesse di mestieri venire iu soccorso di quegli. abitanti. Ma essndo ormai presso 1 ' in verno , e quei Barbari dandosi a credere di aver vinto, e che i Romani ormai fossero per andarsene, cominciarono ad agire pi lentamente j e Lucullo incontrata una notte senza luna e tempestosa per la pioggia e pe' tuoni ( dimodoch i detti Barbari non potevano n scorgere, n sentir cosa alcu n a,
(i) Adesso i chiama Nebm , Nasnibiu, o Naifiibio. (i) In oggi vieu d e t u Tgil , a I' Eufraie cUiamasi Frat. (3) Q u esti Tim ch iam ai Gura da P la ia tco iu Lacut.

144 ^p, e perci aveano abbandonata la parte esteriore d d m a ro , e la fossa che vi passava in mezzo, lasciatiri in guardia pochi soldati ) allo stesso muro da ogni parte diede 1 assalto. Essendo poscia per mezzo di terrapieni riuscito agevolmente sopra il medesimo, e trucidate avendo senza contrasto le sentinelle, che in poco numer v' erano state disposte, appian col portarvi della -terra una certa parte della fossa sud detta ( mentre gi prima i Barbari ne aveano disfatti i.p o n ti) non potendo essere offeso n dalle saette dei nem ici, n dal fuoco , attesa la veemnza della pioggia dirotta. Superata eh' ebbe la fossa , p r ^ e subitamente anche la stessa cit< ; mentre le mura al di dentro non erano molto forti e m unite, spe rando gli abitanti in quelle eh' erano tirate al di fuori. Accofd poi il perdono a quei che s'erano rifuggiti nella fortezza , coi quali v' era anche il fra tello di T igrane', ed impadronitosi di molto danaro, ivi fiss gli accampamenti d'inverno. Ma in tempo che Lucullo occupava in tal guisa la citt di Nisibi, perd molti luoghi d'Arm enia e di quelle regioni che stanno intorno al Ponto ; e questo gli accadde, perch Tigrane non avendo giudicato di doVer por tare ajuto a N isibi, siccome a citt inespfignabile, condusse l'esercito nell'anzidette regioni, per vedere se alcune ritoglier ne poteva a Lucullo , che stava intento alla impresa di Nisibi. Mandato adunque Mitrinate nel proprio, regno^, egU si port alla volta della sua Armenia j e quivi assedi e diede l ' a^-

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salto a L. Fanuio (i) che gli faceva resistenza, perfino a tantoch L ueullo, saputa la cosa , in di lui ajuto ne andasse. In questo frattempo Mitridate eti* 6dS trando nell' altra Armenia ( a ) , e nel restante delle Tes[ioni , attaccati improvvisamente molti Romani che Delle medesime andavano vagando, gli uccise, alcuni ne tagli a pezzi avendoli superati in battaglia, e con prestezza grandissima ricuper molti luoghi. In fatti quegli abitanti erano aflezionati e benevoli verso di Mitridate , s perch era della loro nazione , s anche pel suo regno paterno j ed i medesimi odia vano i R om ani, parte perch erano stranieri e parte perch venivano maltrattati dai loro governatori ; laonde di buon grado si unirono a Mitridate. Quegli stessi non molto tempo dipoi vinsero M. Fabio (3) che in quei luoghi era governatore dei R om ani, es sendosi serviti non poco dell ajuto dei T ra c i, i cpiali avendo gi prima militato sotto M itridate, allora militavano sotto F a b io , ed altres: dell'ajuto dei servi, i quali si ritrovavano nel campo dei detti Ro mani. In fatti i Traci essendo stati mandati innanzi da Fabio ad ispiare, non riferirono nulla di v e ro , p e r lo che egli incautamente avanzatosi si abbatt ajl impensata in Mitridate , e quelli ancora diedero addosso ai Romani : i servi p o i, siccome il re barbfiro avea promessa loro la lib e rt , p r^ la ro n o an( [ ) D i costu i parla Appiano. ( 3 ) C lo i nell Armenia M inore. (3) D i questo Fabio sconfitto da M iu id a ta 9 <a m entione anche P lu t a r c o , ed A ppiano.
DtOMF.f tomo I
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i/|6

^xw, 1 ,-> ng| combattimento il lor soccorso ai nemici. ni p Rox.4 E seaza dubbio avrebbero interamente disfatto il 686 medesimo Fabio , se Mitridate mentre fra i nemici aggiravasi ( imperocch quantunque avesse pi di settant a n n i, ci non ostante combatteva ) percosso da un colpo di pietra non avesse posto in timore i B arb ari, eh egli -non andasse a perire. Per tal mo tivo adunque avendo costoro sospesa la pugna si lasci campo a Fabio di rifuggirsi co' suoi in luogo sicuro. Il medesimo Fabio dipoi chiuso dentro Cabira ( i ) , ed in quella assalito , rimase salvo per opera di Triario (2). Costui dalP Asia essendosi in camminato l dove stava Lucullo , ed avendo inteso quanto era accaduto, raccolta una grandissima quan tit di gente da q u e lli, che si trovavan presenti ^ spavent Mitridate , il qual pensava che gli si mo vesse contro tutto T esercito l omano , di modo che lo costrinse a levare il campo anche prima eh egli fosse comparso. Da ci fatto pi ardito Triario , lo persegu fuggitivo sino a Comana (3) , ed ivi anche ]u vinse. Aveva Mitridate gli accampamenti dall'altra parte del fiume (4) , donde -i Romani accostavansi j per attaccarli stanchi dal viaggio , egli fu il primo ad andar loro incontro , ed ordin : che gli altri del
( 1 ) C ill d e ll A rm en ia, chiamata in arguito D iopoli , ed in oggi G abira. Q uesta Gabira , come dice P lu t a r c o , era stata presa da L u cu llo , e o a v eva assegnala la cu ilo d ia al detio F abio. (al Qursti era L . Triario Irgato di Lucullo( 3 lu oggi vien detta Armiiiaca, c i t t i iu C ap p ad ocia, celebre oua T o l u pel suntuoso tem pio di BeUoua. (4) C io d e ll Eufrate.

'47
SUO seguilo in tempo della raiscliia passati per un altro ponte facessero impeto sopra i medesimi. s sendosi lungamente combattuto con ugual sorte , in 685 ultimo il p o n te , pel quale molti afTollati insieme tentavano di passare , fu cagione d ie Mitridate rest privo di ajiito , in mezzo alla confusione ed al tu multo (i). Dopo questo conflitto gli uni e gli altri {mentre gi crasi approssimato linverno) si ritira rono nelle loro c itt , ed ivi si stettero quieti. Quanto a Comana p o i , essa in quel paese , d ie al prc> sente cbiamasi Gappadocia ; e si sempre creduto infino a questo g iorn o, cbe ivi sia stato il simulacro di Diana Taurica , e la schiatta di Agamennone (a). i>iccome poi varie opiQni si spacciano intorno alla m an ie ra , con cui le dette cose col pervennero, ed ivi ferm aronsi, cos io non ho potuto rinvenirne alcuna certezza; e dir soltanto quello che a me noto. Due sono in Gappadocia le citt , che hanno lo stesso nome di Gomana (3) , che non sono molto distanti fra lo r o , e che contengono i monumenti .delle medesime cose : ed in fatti non solo tutte le altre cose si iavoleggia, e si vanta che in questa ed in quella siano sim ili; ma ambedue queste citt
( i ) Altro Doa T ool sigaifcare il nostro i s lo r ic o , ce noa ch e alTol* lateti le troppe sul pooie per portarsi da M itrid a te, % impedirono fra l o r o , SI ch e Dou poterono giungere in tem p o. (a) Veggasi Pausania in L aaonitu. (3 ) L' una chiamasi com e sopra alla n o t. 3 j I altra poi si no m ina oggid Com , a l fiume C a sa lm a ch , ed anticaoienle venTa d cu n

Comana Ponlica.

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hanno un pugnale, il quale credono cbe sia vera mente queUo d'Ifigenia (i). questo basti sinqu. C
apitolo

IL

Come nacque la sedizione nel campq d i Lucullo, e Mitridate ricuper ogni cosa.
Nell' anno seguente , essendo consoli Manio Ad* lio e C. Pisone, M itridate, siccome Triario ' aveva piantato il campo dirimpetto al suo presso a Ga< ziura (y) , pens di provocarlo, ed incitarlo a bat taglia in molte altre maniere , ma specialmente coll esercitar s stesso ed i suoi soldati nell armi alla presenza de Romani ; afSnch venuto con lui alle mani prima dell' arrivo di Lucullo , e rimasto supe riore ( come sperava ) potesse ricuperare anche l ' al tra parte del regno. Ma nulla contuttoci movendosi T ria rio , esso allora mand alcuni dei suoi a dare r assalto al castello , che si chiamava Dadasa (3 ) , dov' erano stati messi i carriaggi e le bagaglie dei R om ani, lusingandosi che almeno si sarebbe mosso in difesa di queste cose , e cosi indotto lo avrebbe ad attaccar la battaglia. E d in fatti non si sbagli ; imperocch Triario , che sino a quel punto erasi

( i ) Si rideran o di queste cose gli stessi g e n tili, S lrabone, l. 6 . (a) C i t t , che pi non esiste, situata anticameDte alle ip o a d e d e l fiame t r i . il quale adesso chiam asi C asalm ach.
(3) A desso i d istrutto.

*49
frenato , perch temeva della gran gente di Mitridate , e perch aspettava Lueullo , che aveva man* 'dato a chiamare , dopo che intese che- si dava 1 as- 687 salto a Dadasa, e dopo che i sold ati, i quali teme* vano pel detto castello ^ tumultuariamente gli mi nacciarono che anche senza suo cenno , se non gli avesse fatti uscir fuora, si sarebbero portati a di fenderlo , si mosse dagli alloggiamenti. Allora i Bar bari si scagliarono addosso a Triario , chc si avan zava , e circondali con la loro moltitudine quanti in contrarono , lutti li tagliarono a pezzi ; e gli a ltr i, che fuggivano verso un campo ^ nel quale i Romani ignoravano che si fosse fatto . venire un fiume fu rono trucidati dai medesimi Barbari col portatisi in giro sopra i navigli, E se un certo romano (i) col fingersi uno delle milizie degli alleati di Mitri date , fra i q u a li, come ho detto di sopra (q) , ne aveva seco non pochi vestiti alla foggia ro m a n a , dopo esserglisi accostato in atto di volergli dir qual che c o s a , non avesse ferito il re , tutti sarebbero rim asti interamente distrutti. L autore di un tale attentato fu preso ed ucciso ma per tale accidente essendosi posti in turbamento i B arb ari, molti Ro m ani ebbero campo di salvarsi. Mitridate p o i , cura tasi la fe rita , e venutogli sospetto, che nel suo esercito vi fosser degli alti-i nemici , fece la rassegna dei soldati , mostrando per di farla per un altro m otivo e poi che a tutti fn imposto di ritirarsi su
fi) C osini era un c en tu rion e, come si rileT d a AppWDo.

[ i ) D e U * lo aveva in quel pezzo ch e fia n c a .

i5 o
blamcnte nelle lor tende , fece prendere i soli RoottA m a n i, e diede loro la morte. la qnesto mezzo giunse 68^ Lucullo ^ e quantunque di lui si avesse opinione'^ che aguvolineute sarebbe rimasto superiore a Mitri ^ate , e che con non moll. ^fatica ricuperate avrebbe tutte le cose perdute , ci non ostante per allora nulla esegu. In fatti Mitridate crasi fermato a Talaura (i) in un luogo elevato, e non conduceva fuori r esercito a battaglia ; e T altro Mitridate di Me dia ( a ) , genero di Tigrane , assalili avendo improv visamente i Romani qua e l d ispersi, fece dei me desimi una grandissima strage * e di pi dicevasi che slava per giungere lo stesso Tigrane. Oltre a tutte queste cose eravi anche la sedizione nell'esercito di Lucnllo : imperocch i soldati Valeriani (3) che dopo aver avuta la loro licenza , novamente militavano, aveano gi prima fatto tumulto presso a N isibi, di venuti insolenti per la vittoria , per T ozio , e per l'abbondanza di tutte le cose, e perch lavano spessissime volte senza Lucullo , che per lo pi se n andava assente in paesi stranieri; ma specialmente perch a ci erano stati instigati da un certo P. Cidio (4) , che altri chiamarono C laudio, pel desiderio
( i ) Citi ch e pi non esiste. (3 ) D i costui si vegg* ci che oe dice Raniero f ie io c c c io ,

Jul.
(3) C osi d e u i da L . Valerio F i a c c o , nom o c o n s o la r e , di coi parla V ellejo P a tercolo , / . a , . 4' (4) Costui era quel Clodio slesso . assai noto per le inimicizie di Cicerone : S i riscontri Pldiarco in LumUn , il tjiiale descrive aiirhe infame sorella del detto C l o d i o , e soggiunge ch e fu tipuiliata lU L u cu llo .

i5r
ch'egli aveva di novit , quantunque Lucnllo avesse per moglie la di lui sorella. In allora poi erasi su* scitata fra quelli la turbolenza per molti altri rao* 68^ tivi j ma in ispecial modo per essersi inteso dive , eh' era vicino a giungere il consolo cilio mandato per successore a Lncullo per le cose da me esposte di sopra ; dal che ne succedeva che avean in di spregio LucuIIo m edesim o, quasich fosse una per sona privata. Commosso da questi accidenti lo stesso L ucullo , non avendo in oltre ottenuto il bramato soccorso da quel M arcio, che prima di cilio era stalo consolo, e che se n 'e ra andato nella Cilicia a lui assegnata , non seppe a qual partito appigliarsi ; e non avendo avuto ardire di muoversi temeraria m ente dal suo luogo, n di fermarvisi, marci con tro Tigrane , per v ed ere, se riuscendogli di sbara> gliarlo alla sprovvista , e stanco dal viaf'gio , avesse potuto in qualche modo acquietare le sedizioni dei so ld ati: ma non gli and bene alcuno di questi due disegni ; imperocch i sold ati, che per qualche tratto lo aveano seguitato, subitoclic si pot torcere il cammino verso la Gappadocia, tutti concordemente , senza neppur fare una sola parola , a quella parte si volsero. I Valeriani poi avendo in teso , che dai ma gistrati di Rqma era stata accordata loro la licenza di partirsi dalla m ilizia, tutti si ritirarono dal se guitar le bandiere. Non deve sembrare strano ad al* c u n o , se Lucullo , il quale per altro era stato pe ritissimo n eir arte di capitano, e fra i Romani il

i5a
Avn primo aveva passato eoa 1 esercito il Tauro (i) per far la guerra , ed avea vati due re , e noa imbelli, 687 i quali anche presi gli avrebbe, se avesse voluto terminar con prestezza la g u e ira , non seppe poi comandare ai suoi soldati in m aniera, che essi non facessero delle continue sollevasioni, e finalmente non lo abbandonassero. In (atti egli aveva in costume d ingiunger loro parecchie cose , e quanto era diffi cile ad ammetter alcuno alla sua presenza, ed at tento a badare che venissero eseguili gl' imposti lavo)i , altrettanto non sapeva n allettar col discorso i so ld ati, n obbligarseli con la dolcezza , n ade scarli col mezzo degli onori e del danaro ^ le quali cose tutte sono in ogni occasione necessarie, ma specialmente con la moltitudine , e tanto pi quando si trova alla guerra. Fino a tantoch adunque le cose andarono a seconda della loro opinione , ed i soldati acquistavano delle prede in compenso dei corsi pericoli , si mostrarono obbedienti a Lucullo j ma dopo cV ebbero la fortuna contraria , ed in vece della speranza si videro innanzi agli occhi il tim ore, allora non fecero pi verun conto di lui : laddove per lo contrario essendo stati essi medesimi ricevuti la Pompeo ( come colui che per la seconda volta chiam seco i soldati Valeriani) si serv dei mede simi , senza che giammai si sollevassero. Tanto un uomo di un altro uomo migliore! Operando in si fatta guisa i soldati, Mitridate ricuper quasi tutto
( i) M onte a ltis sim o , d el quale parla con molta erudizione t' O r teiio , 2'hesaur. Ceograph.

i53
il suo regno , e pose in grande afliizione la Cappad o c ia , non recandole soccorso LiicuUo, che si scusava col dire , che stava per giungere Acilio, e non 687 difendendola Acilio medesimo : imperocch co stu i, ohe sulle prime ecasi aCTretlato per involar l ' onore delia vittoria a Lucullo , poi che seppe le cose ac cadute , non si port neppure all' esercito , ma con sum il tempo nella Bitiina. Marcio poi non venne in ajuto di L ucullo, adducendo per pretesto , che i soldati non volevano seguitarlo. Ma essendo giunto in C ilicia, accord la sua amicizia ad un certo Menemaco , eh erasi ribellato da T ig ra n e , e deput comandante della milizia navale P. Clodio ( mentre aneli' esso aveva per moglie una delle di costui so relle ) , il quale per paura delle cose fatte a l^isibi (1) erasi fuggito da Lucullo. Ma questo Clodio preso dai corsari di mare , e rilasciato poscia da essi per timore di Pompeo , si port in Antiochia di Siria (a), quasich ajutar ne volesse gli a b ita n ti, i quali erano in contrasto c o n g lL A r ^ i: ma quivi medesimamente avendo egli instigati alcuni a far sedizione, poco maiM: che non vi i e stasse morto.
( 1 ) C io i d d 'a seditione s o s c il a U , com e sopra si d e llo . (*) Al pKscDle Tien d ella AuiacLia.

i54 DELLA

STORIA

ROMNA
DI

D I O N E

L I B R O

XXXVI.

a pito lo

rim o

Metello assoggetta la Creta: e della insolenza dei corsari.

*** non\ perdon ad alcuno Q. Cecilio Metello fi), M o'm e spinto dal desiderio di signoreggiare si volse ad ggg attaccar i Creteasi , i quali a certe condizioni era a si con lui accordati ; n alcun riguardo ebbe ai p atti

( i ) S i parla qui di Q . Cecilio M e te llo , il quale nello sp a z io d i tre aani prese tulla la Creta , e fu chiaoiato C reten se, etl ebl> r OQore d el irioafo ; E u trop . l. 6 , c- g. V e l i e j o ./ . a , c . 3 ^ . F io r . / . 3 , c . 7 . L e parole in corsivo mancauo nel le s to .

i55
elle coloro gli opponevano: tanta era la fretta che aveva di danneggiarli , prima che arrivasse Pompeo. Quanto ad Ottavio ( i ) , il quale senza l'esercito si 686 ritrovava presente , ed era quivi stato mandato noa gi per intraprender la g u e rra , ma a far le citt amiche del popolo ro m an o , egli staVasi quieto. Ma Cornelio Sisenna (2), in quel tempo governatore della Grecia , saputa la cosa , vcmic in C r e ta , ed avvis Metello di perdonare ai popoli j ma quantunque noa potesse indurlo a far ci , nulla per macchin egli contro di lui. Metello pertanto diede il guasto a molti altri luoghi, e dimand danari alla citt di Eleutera ( 3) presa a tradimento ; perch i traditori per molte notti consecutive bagnarono d' aceto (4) 9 in modo che abbatter si potesse , una torre fatta di mattoni , che per la sua gran mole era difficilissima ad espugnarsi. Dopo ci prese Lappa (5) per forza, niun riguardo avendo ad Ottavio , che in allora te neva questa citt ; al quale per si astenne di usare alcuna violenza ; ma uccise tutti i Cilici, chegli avea seco. Soffrendo ci di mal animo il medesimo Otta vio , non si stette pi quieto come prima \ e preso
< i) E r t qaeti L . OtUTo , legato di P om peo il G rk n d e, di cui Pomp. .

f i m eutiuoe P lu U jc o in

(a) Veggas I Onomastico romane di G io . Glandarpio. (3) M presente t diitrutta. ( 4 ) DI simil arte faceva o so aocb e A nnilM le, rv . l. 11 , o . 3 7 . Bozkornius ^ Q u a it. Barn, x x x r i l . Jarduin. ad P iin. l. 9 3 a . I . Apolloari Polioreetca, e v tt. Scholiasien, ac /< G rangm m i ad lu v e n a l.-x . i 5 3 , tst monttru nipil aceto. ( 5 } Adesso pi noti, e lis ie .

i5 6
l esercito, che gi era stalo di Siseana, allora m orto xoMj j ; niaiattia, si volse ad ajutar quegli oppressi ; e 686 dopo averli rim essi, si port ad ristiotie nella citt di Jerapidna ( i ) , e per consiglio tenuto in comune con l u i , intraprese la guerra. ristione in quel tempo erasi fuggito da Cidonia (3); e vinto L. Basso, il quale eragli andato contro con la flotta, avea occupata la detta citt di Jerapidna. Quivi essendosi fermato egli, ed i suoi per alcun spazio di tmpo , ed avendo in> teso , che Metello portava contro di essi le a rm i, lasciata quella citt , spiegarono in alto mare le vele ^ dove agitati furono da nna fiera tem pesta, e sbai* zati a terra , perduto avendo molti dei loro } o po scia Metello tutta l'isola si rese soggetta. In tal modo i Creteusi, che prima di quel tempo erano sempre stati lib e ri, n mai avevano obbedite ad un padrone straniero , furono ridotti in servit ; e Metello preie da loro il cognome. Esso jier non pot confrlurre in trionfo n Panare (3) , n Lajtene ( mentre anche costui a vera egli preso ), perch Pompeo con T ajuto

( 1) Ve^pasi Io Spaniicmio , d t Usu N um ism . D isi. 6. (a) P erch queMa c u i capiiale della Creta veuTa assediata d a Aleiello , com e narra Valerio M a s s im o , / . 7 , /i. i extern . Adesso i distrutta. (3) Panare c Lastenc erano capitani della citt di C d o n ia , i q u a li, a m otivo della crudelt di Metello mandaroao a P um p ea la lro r r s a . F io r , l- 3, c . 7 . Questi duci prif>ioDeri , c h e d ov ev a n o servir di oruamento al trion/b di M e te llo , Pom peo glieli tolse. V e li. /. a , c. 4< >B i''loro , i. 4 c . a , aanoverafra le.c a u s e della guexr civile diminuzione di tiiou fo.

*^7

di un- certo tribuno della plebe (i) da lui suboraalo ritolse costoro a Metello , col dire che i medesimi a lui, e noH a Metello, eransi per via di convenzioni ac* 6b6 costati. Adesso poi esporr come Pompeo mand tal cosa ad effetto ( 3 ). Egli certo, che i corsari di mare 687 infestavano continuamente i naviganti, siccome i la droni erano infesti a quei che stavano in terra. Ci era sempre accaduto j e forse non cesser giammai per fino a tantoch durer la generaaione degli uomini : ina pare anticamente erano pochi quelli che per terra e per mare andavan ru b an d o , e ci succedeva in certi luoghi determ inati, e nel solo tempo di estate. Da che poi furono in varie parti continua mente le g u e rre , e molte citt rimasero d istru tte, ed a tutti q u elli, i quali erano scampati dal pre sente pericolo , sovrastava il supplizio e la p e n a , n in alcun luogo si riputavano sicuri , la maggior parte di questi si rivolse a rubare. I latrocini che faceansi per te r r a , furono con maggior facilit im pediti , imperocch succedevano in mezzo ai popoli ; e pi prestamente se ne sentiva il danno da vicino, n era tanto difficile a porvi rimedio * , ma per lo contrario le ruberie marittime andavano crescendo all eccesso. Ed in fatti essendo il popolo romano occupato a debellar gl inim ici, i corsari eransi u
( 1) Fra (|oesli A . Gabinio , il quale aveva fallo dare a P o m p eo

il com audo di tuUa la spiaggia m a riu im a , e delle i s o l e , c o n si dir p i sotto. (1 ) C i o , com e ottenne lam a aotoriti da inviare un legato ia Creta , e da im pedire in qnalclic prte la gloria d i M etello.

i58
D I
687 dismisura aumentati ' : ed essendosi con le lor navi portati attorno in molti luoghi, aveano tirati ad unirsi con loro tutti i lor p a r i , di modo che alcuni andavano ad ajutare parecchj nemici de' R om ani, come per ragione di alleanza (i). E ci che fecero in questa guisa uniti con gli a ltr i, gi stato detto di sopi-a. Quietate che furono quelle guerre , non per si quietarono quei corsari; ma essi da per loro medesimi si accinsero a recare moltissimi e gravi danni ai Rom ani, ed ai costoro alleati, n p i , come per lo addietro in poco numero , ma a na vigar cominciarono cwi 'grandi armate navali, avendo eletti perci dei com andanti, di modo che ormai un gran nome acquistavansi. Fecero da principio delle scorrerie , e delle prede di naviganti, i quali non lasciavano essi andar sicuri neppure in tempo d ' in> verno ; e divenuti baldanzosi per il loro ardim ento, per la pratica e per i prosperi successi , si usurpa vano in quel tempo con tutta sicurezza il dominio del mare j e dipoi andarono ad assalire anche q u e lli, che stavano nei porti : imperocch la maggior parte di coloro , i quali ebbero il coraggio di tentar con* tro di essi la battaglia navale , restarono vinti ed uccisi : e se taluno per sorte rest superiore, non pot far prigioniei'o alcuno di q u elli, attesa la velo cit con cui navigavano. Costoro p e rta n to , come se avessero trionfato, ritornati di li a non molto non solo devastavano , o incendiavano le case di campa ci)
Veggati

PlutiTco

in

Pomp., cd

ppiaBO

Miihrid.

59 gna e le possessioni, m a anche lo Intere citt j ed alcune se le univano, di modo che presso quelle come loro amiche si fermavano all'ancora in tempo 687 dinverno , e ci aveano i loro ricoveri in occasione di guerra. Succedendo adunque ai medesimi le cose secondo la loro opinione si avanzarono anche den tro alla terraferma ; ed ivi afflissero in molte maniere quelli a n co ra, che nulla aveano che far col mare y e non solo gli alleati dei Rom ani, i quali abitavano fuori d'Italia ; ma altres la stessa Italia. Erano essi d'avviso j che se non avessero risparmiata neppur questa regione, avrebbero ritratto dalla medesima u a pi abbondante profitto, ed arrecato -avrebbero a tutti gli altri spavento molto maggiore. Approdarono adunque a varie altre citt dell' Ita lia , e perfino dentro ad Ostia entrarono con la flotta (i) ; e dopo aver quivi abbruciate le navi che vi trovarono, e saccheggiate tutte le c o s e , finalmente siccome nes suno ne faceva pagar loro le p e n e , si trattennero per buona pezza in te rra , ed esposero in vendita gli uomini che non aveano uccisi, e le spoglie che aveano p re d a te , con non minor sicurezza, che se alle proprie lor case fossero stali. Altri di essi faceano il mestier del corsaro in altri luoghi (n gi potevano i medesimi uniti insieme infestar tutte le parti del mare ) , ma erano per collegati fra loro
i

( 1 ) A uwi quid r^o Ostirat* ineommoJiim tic . C ierro, pr lega M a n ilia , c . l a . Veggati aochc 'lito L i-vio, / . g . e . 1 9 > e l . 3 7 . *. a3.

i6o con tale amicizia, che mandavano danaro ed ajuti anche a quei che non conoscevano , come facevano 68^ a co lo ro , coi quali famigliarmente aveano praticato. Il mezzo p o i , con cui si accrebbe al sommo la lor p o ten za, fu questo , che onoravano e rispettavano tutti q u e lli, i quali erano stati officiosi inverso al cuni dei loro j e per lo contrario tutti insieme portavansi a far prede a danno di chiunque avesse ol traggiato taluno medesimamente dei loro. A tal seguo eransi ormai aumentate le cose dei c o rsa ri, che da essi si faceva una guerra grande , co n tin u a, ed osti natissima , e da non rimuoversi con veruna promessa. Aveano ci "udito i R om ani, ed in parte anche laTeano v e d u to , mentre pi non perveniva ad essi alcuna cosa di quelle , che sogliono trasportarsi per nave , ed era loro intercetto il frumento. Con tutto questo per non se n' erano presi gran cura , sic come il tempo lo richiedeva j e solamente , secondo eh' eransi turbati ad ogni n u o v a , che ne aveauo sentita, cos avevano mandate delle navi e dei coman danti ; m a altro non se n era ottenuto , se non che anche i loro alleati venivano da quei corsari m ag giormente vessati. Finalmente dopo che si videro posti in sommo pericolo , si radunarono insiem e, e per pi giorni deliberarono che far si dovesse. Erano essi a dir v c m 'o diminuiti di forze pe'continui ris c h j, ne' quali eransi ritrovati , e conoscevano che la guerra da farsi contro i corsari sarebbe stata grande e va ria j cd anche pensavano , non esser possibile di espugnarli o tutti insieme , o separatamente , m entre

i^r
coloro somministravansi ajato a viconda, n in ogni luogo potessi generalmente inetter freno ai medeimi : per io che ' i Romani n O n sapendo che farsi , 6 b j aveano del tutto perduta qualunque speranza di po> ter ben riuscire in simile impresa. Ma finalmente un certo Aulo Gabinio (i) tribuno della plebe ( in certo per se costui facesse ci per sej^eta insinuazione d P om peo, o per entrargli in gria ; ma comunque si fosse , certo , che non lo fece con animo di giovare alla repubblica, essendo esso ukir nomo malvagio ) p ro p o se, che s eleggesse per co mandante contro i pirati vno degli uomini consolari, con suprema autorit ,> e che il suo comando per tre anni d u rasse, e si servisse- di numerose soldatesche e di parecchi legati (a). Costui non nomin aperta mente Pompeo j ma era ben m anifesto, che appena la plebe si fosse accorta di ci , sarebbe venuta alP elezione del medesimo. E cos avvenne 3 imperoc* oh la plebe ratific la detta proposta, e tutti in un punto , tranne il S en a to , inclinarono a favor di Pompeo. E ra d avviso il Senato , che soffrir si do vesse dai corsari qualunque danno , piuttostoch accordai a lui nn comando s grande ; per lo che manc p o c o c h e Gabinio nella stessa curia non rimanesse ammazzato. Ma essendosi costui sottratto dalle mani dei senatori, ed avendo la plebe sco perta l intenzione dei p a d r, si suscit un tumulto
( i ) S i riscontri il Sigonio ed il P ig b io , ad J . O- C. C8 7 .

( 3 ) L 'u fficio dei legali m iliiari ria di assistere in tutte 1 occor rerne i cornandanti, talora' d i far ancLa le loro Tcci-t
In n o

I.

Il

i6a AtMt s'j grande ^ d ie la medesima s i . avrelit contro di essi j che stavano per anche sed u ti, e che senza 687 dubbio sarebbero generalmente rimasti uccisi , se prima dalla curia non fossero asciti. Tutti gli altri essendosi dileguati e nascosti , il solo C. P iso n e , il quale allora essendo collega di Acilio esercitava il consolato, fu preso; e stando per essere strascinato a morte in vece di tutti gli a ltr i, alle preghiere di Gabiuio fu .rilasciato. Per questo fatto coloro che avevano maggiore autorit stettero q u ieti, chiaman dosi contenti del guadagno fatto nell'essere stata accordata loro la vita ; ma fecero in m o d o , che col si portassero nuovi tribuni d ^ la plebe, per op porsi a Gabinio (1).. Non fecero per altri oppo sizione alcuna per timore della plebe , e soli ebbero simil coraggio un certo L. Trebcllio e L. Roscio , senza che per potessero n dire, n efTettuare quelle cose , eh' eransi addossate. Ed in fatti essendo pros* sinio il giorno, in cui doveva confermarsi il soprad< detto decreto , 1' affare and nella maniera seguente. Pompeo desideroso all eccesso di avere il comando, quantunque ormai e per la sua ambieioae e pel fevore del popolo si recasse tal cosa non tanto ad o n o re , quando ad ignominia, se non T avesse otte nuta , cootuttoci , perch scorgeva, che i soggetti
( i ) D a e , o cinque furono nella loro prima io itit u iio o e , i tribuni della |)tcl)c , e dall auno di Roma aqC comiaciarono ad m r dieci di n u aiero. L i , l. 3 , c. 3o. Bastava p e r , ch e a quanto propo neva un tribuno si opponesse anche un solo dei suoi coU egbi , com e Io attesi* Diouigi d Alicaroasso, / . ' i o , e . 3 i .

i63
f plh aatoreToU gli erano c o n trarf, roUe anzi far comparire , cbe a ci dalla necessit fosse stato costretto. Avendo esso pertanto in costume ancl^e in 687 altre occasioni di non manifestare al pubblico qnel che bramava , in allora tanto pi infingerasi, quantO' che ben vedeva, che si sarebbe esposto ad una gra vissima invidia, se ulteriormente da per s stesso avesse brigato il comando , riflettendo altres , che ridondata gliene sarebbe una somma gloria , se col finger di non volerlo , a lui come a pi degnd di tutti gli altri si fosse conferito il detto comando. C P I T o L d II.

Ragionamento di Pompeo e di Cabinio ai Romani.


Essendo adunque salito in ringhiera, io g o d o , disse j o Q u iriti, di esser da voi onorato ; imperoc ch di loro natura tutti gli uomini si compiacciono di venir distinti dalle beneficenze d e 'lo ro concitta dini ; ed io stesso gi spesse fiate da voi ricolmo di o nori, non posso, come si deve, rallegrarmi di quelli che oVa mi fate. Ma non per sono d'avviso che a voi convenga avere una inclinazione tanto insazi< bile di onorarmi, o che a me stia bene Tesser sem pre in comando. In fatti io fin da ragazzo ho tolle rati molti travagli ; ed ben giusto che voi abbiate riguardo anche agli altri. Yi sono forse uscite di mente quelle gravi fatiche^ che nella mia adolescenza

i64 soffersi nella g u e m contro Cinna ? (i) ed b qiuiiill coutra'sti sudai nella Sicilia (a) e neH'Africa (3), non 6^7 compiti ancora gli anni quattordici ? e quali pericoli affrontai nella Spagna (4) , prima di essere stato am messo iq Senato Ma per tutte queste cose io sono ben luugi dal^ tacciarTi d'ingrati j imperocch per non parlare degli altri benefizj che in molta c o p ia , e grandi a me compartiste , il comando che mi ftd dosaste contro Serturio , in un tempo , in cui non v era alcuno, che o lo volesse , o lo potesse soste nere , e similmente il trionfo , che per tale impresa a me concedeste contro gli statuti della citt (5), mi apportarono un sommo lustro e splendore. A me per j che tante molestie e tante fatiche ho sofferte , sonosi diminuite le forze del corpo , e stancato lo spirito ; n dovete pensare che io sia ancor giovine,
( I ) Nacqoe Pompeo nell' anno di Roma 6 4 8 , e precisamntt neU ] anoo !>leo , iu cui oacqiie auche C ic e r o n e , com e riferisce Vetlejo fa ir r c o lo , l- t , e. 5 3 , per la qual cosa il medesimo Cic&> rene lo chiama suo e g u a le , Ht CXir. O rat. e. 6 8 . Nell* guerra contro Ciiiua milit Fompeo sotto il suo padre P om p to S tr a b o u e , e pi d una volta insidialo da (^iuaa, corse pericolo di perdere la Tta , come liarra Pliuarco in Pomp. Cinna poi fu ucciso nell anno d Roma 6 7 0 . quando. P om peo aveva com pilo l'anno yigesimo p riMO della tua et. . ( a i Contro Perprrna Gneo Carboae. Veggati P lu tarco, ^ c . e . , e il S igoaio, ed il P'glno , A . U . C. 6 7 1 . (3) C'unire Giico O om iiio , P lu t. loc. ti<. (4) (joDlro S erloriu , Plut. Ci. pr lege [Vanii, e. t i . (5) A uiuuo prima di Pompeo era succeduto di aver l onore del trio n fo , essendo semplicemente cavaliere rom a n o , e non essendo per anche senatore , L i r . EpUone P lu l .

Cicero pr lege M andi

c. all

i65
b fare il computo cie tanti o tanti anni io m 'a b bia ; imperocch se voi. numererete quante volte io fui in comando , e quanti rischi passai, troverete una 6 8 j somma maggiore che non quella de' miei anni j e ci vi servir di fortissima prova che io per P avve> nire non posso esser pi atto a tollerar le fatiche e gli affanni. Ma se pur vi fosse taluno , che persistesse ci non ostante nella propria opinione , costui riletta , quanta invidia e quant'odio si fatte cose pro> ducano, delle quali quantunque voi non facciate gran caso ) e siate d'avviso che a voi stessi direttamente non appartengansi, contuttoci a me saranno per arrecar molestia grandissima ; e vi confesso che non t nelle gu-re alcun altro percolo , per grande che sia , che p i 'd elle dette rose atterrr mi possa j o recarm i travaglio. Ed in fatti qual uomo di senno giudicher di menare una vita grata e gioconda in mezzo ad nomini invidiosi j o chi mai bramer il go verno della repubblica l . dove mal riuscendo rim-< p resa , dovr subire il giudizio , e dove ben gli suc> ioeda , sifr esposto all'invidia? Laonde <non tanto per q u e s ti, quanto per altr motivi concedetemi che della mia quiete mi goda , e badi ai niiei affari , e cominci una volta ad aver cura degl' interessi della mia pro p ria famiglia , e che io non muoja ridotto a mal term ine dai disastri. Eleggete adunque un altro duce contra i Corsari , imperocch vi sono molUsimi p giovani ,e vecchi , i quali vogliono e possono com andare ad un armata navale , di modo che fra ta n ta m oltitudine a voi non difficile d i . scegliem

i66
alcuno. N sono io gi solo ad amarri : n solo a d Vi S om a avere esperienza delle cose appartenenti alla guerra j 687 ma v' questi e quegli , i nomi de quali io taccio , acci non sembri eh' io aia andato mendicando il di loro favore. Parlato eh ebbe in tal guisa Pom peo, ripigli Gabino nella seguente maniera : O Q u iriti, Pompeo opera conformemente al suo carattere col non bramare il comando e col non portarsi ad ab bracciarlo con impeto quando gli viene offerto. la fatti essendo egli un uomo probo non aspira nep pure in altre cose al detto comando , e non bram a di addossarsi la cura degli affari di grave impor tanza : ma in questa occasione in ispecial modo con* viene di ricevere con somma avvertenza tutte le com* missioni , onde poter con sicurezza mandar le cose ad effetto. La precipitosa inconsideratezza nel pro mettere , degenerattdo in una ruinosa temerit nel1 iccingersi alle im prese, delude parecchi 5 e p e r lo -contrario una matura riflessione usata da princpio continua similmente sempre la stessa anche in mezzo alle azioni -j e riesce generalmente in vant&ggio di tutti. Egli poi conveniente che voi eleggiate di fare Bon ci che possa esser grato a Pom peo, ma quello eh' utile alla citt ; e non si devono affidar le im -< prese a coloro, che aspirano al com ando, ma- bens a q u e lli, che ne sono capaci : dei primi ne troverete moltissimi ; de' secondi, nessuno , tranne Pompeo. Voi ben vi ricordate, quanti e quali incomodi sof frimmo nella-guerra contro Sertorio , quando abbiioguavamo di un comandante 3 e coiue in quel tem po

167

-non trovtOnmo alcun altro n fra giovani n fra i vecchi che atto fosse a simile im presa, alleccezione di questo Pompeo stesso, che in vece di ambi i con- 687 soli noi spedimmo , quando la sua et non per an che il soffriva, e non era stato per' anche ammesso in Senato. Vorrei certamente che noi avessimo una quantit grande di uomini eccellenti, e se basta di fare un tal voto , io lo desidero : ma quando la detta impresa non si riduce a compimento col semplice desiderio, e non dipende dal caso , ma egli neces< sario che vi sia taluno fetto per quella dalla natura, che abbia appreso ci che pU esser giovevole , e che aia stato in un conveniente esercizio , e sopra tutto che goda di una prospera fortuna ( le quali cose tutte a dir vero ben di rado in un sol uomo combinansi) in tal caso quando un simil nomo si sar ritrovato , bisogna che voi tutti con unanime prem ura lo coltiviate, ed anche contro sua voglia vi serviate del medesimo ; imperocch una s fatta violenza di grandissimo onore a quei che la fa , ed tL colui che la soffre, mentre l'u n o per mezzo di essa rin^ne salvo , e F altro in questo modo con** serva i suoi cittadini, pe'quali rOgni uomp dabbene, d amante della citt deve con somma prontezza spender la propria persona e la vita. Credete voi fo rse , che Pompeo in tempo della sua adolescenza fosse capace per la milizia, per condurre eserciti, p e r accrescere le nostre cose , e difender quelle degli a lle a ti, e conquistar quelle degl inimici ; e che ora fatto adulto, e giunto a quella t , in coi ciascuoQ

i68
<'' diventa maggiore di s m edesim o, e divenuto in Houa oltre eccellentissimo per la pratica delle cose appar687 tenenti alla g uerra, non sia per essere pi che mai di vostro vantaggio ! C olui , al quale da giovinetto conferiste il comamlo , lo rifiuterete voi or eh' pervenuto all'et virile? E d a quello stesso , a cui tante guerre addossaste , da cavaliere , avrete dif ficolt d' affidargli il comando , da senatore. Quegli che voi unicamente desideraste per opporlo come argine a quelle calamit che vi sovrastavano, quando per anche non bene lo conoscevate per alcuna pr* va, adesso che lo avete sperimentato d'avanzo, non lo porrete alla testa degli affari presenti, i quali non ineno hanno bisogno di lui? Chi voi sceglieste in tempo che non era anror abile a sostenere il grado di comandante , per mandarlo contro Sertoro , Of eh' uomo consolare , aon Io deputerete contro i corsari ? Ma certamente non si deve agir da voi in altra maniera j tu , o Pompeo , arrenditi a me j ed alla patria , per cui tu sei nato ed allevato, e pc'di cui vantaggi tu devi adoperarti j in riguaH o dei quali ritirar non ti devi dal subir q ^ u n q u e rischio e fatica , ma anzi quando anche fosse ne cessario il morire , prevenir ^ devi con qualunque specie di morte l ' ultimo fatto. Io a dir vero mi rendo degno di r is o , nell esortarti a simili co se, quando tu in tante e s grandi guerre hai gi fatta piostra del tuo valore, e dell'anim o tuo inverso la patria. Piegati adunque alle mie , ed alle voci di co sto ro , non ti rechi Umore l ' invidia d 'a lc u n i;

169 ao2i tn per questo motivo fa ogni possibile sforzo , per non curare in confronto dell amicizia dei pi , ed in riguardo del pubblico nostro vantaggio , T in- 687 vidia de tuoi rivali, a cui se far brami cosa spia cente , per questo stesso motivo accetta il com ando, afincb cio quando tn contro la costoro opinione avrai comandato , e riportata glo ria, essi ne restino angustiati, e tu , poi cbe ci avrai liberati da molte e gravi calam it, ponga un termine degno di te stesso alle tue imprese passate. Parlato eh ebbe Gabiuio in tal guisa, tent di opporglisi Trebe]lio (i)j m a quantunque gli mancasse l abbondanza delle pa role , ci non ostante im ped, che per tal cosa non si mandassero le trib a dai-e i saiTragj. Soffrendo ci di mal animo Gabiuio , lasci la proposta intorno Pompeo ; tua in vece ne present un altra rsguardante lo stesso Trebellio. Da diciassette trib , che jerano' state le prime a dare la loro sentenza, fu giudicato, cbe costui iniquamente operasse, e che fos.se da rimuoversi dal tiibunato : ma stando anche la decimottava per dare il medesimo v o to , allora Trebellio pi non la finiva dall interporre le sue istan?:e e preghiere. >Visto ci Roscio , e non avendo ardir di parlare , alzata una mano fe segno (a), che i dovevano elegger d u e , acci anche in questa ma niera risecasse l autorit di Pompeo. Mentre costui
| i ) Non i d ev e lasciare di cootultare A tcooio Pediano , ad Cic,

O ra i, l , pr C. Cornefn. (tj y i d . iVicoloum Smyrnceim , gito*.

B td a m , d t loqutla p tr d i-

170 con. siimi gesto volea signGcare tal c o s a , si alz noMj dalla moltitudine un grido s forte e pien di mi68j naccia, che un corvo , il qual vlando in allora accidentalmente passava di sopra , cadde spaventato ^ come se fosse stato colpito da un fulmine (1), per lo crhe Rosaio non solo fren la lingua , ma anche le mani. In tutto questo tempo aveva Gatulo (a) guardato il silenzio ; ma allora fu richiesto da Ga> binio di proferire il suo sentimento. Era Catulo il primo del Senato , e v era apparenza di credere , che anche gli altri seguendo la sua autorit avreb bero aderito al di lui parere ] e di pi v' era anche speranza, eh' egli commosso dal pericolo dei tribuni avrebbe abbracciata la detta opinione. Avendo quindi ottenuta la permission di parlare (mentrera un uomo riverito da t u tt i , e lo ricevevano come ta le , che sempre avesse consigliate ed eseguite a pr loro le cose pi vantaggiose) tenne il suo ragionamento nella seguente maniera. C
apitolo

111.

Come parl Catulo ai 'Romani. O Quiriti, voi tutti sapete benissimo esserio stato ommamente affezionato verso la vostra moltitudine:
<i) Esser ci spesse v o lte ic n sd a to I osserr. Giano Grulero d L i v i o , l. 3 9 , c . a 5 , e da Plutarco in Flaminio Ditsert. in

<lft- e. 13.
4 3 ) S i riscoou i Cicerone^

pr lega JUanil. c-

17 ao

7^
Il ehe cos essendo egli & di m estieri, cbe io semplicemente vero , ma al tempd stesso con libert dica quelle cose,, che da me si conoscono vantag- 687 giose alla repubblica ; ed a voi tocca, udire il tutto placidamente , e poscia prendere una qualche riso luzione ; imperocch laddove voi potreste venir in chiaro di ci che pu esservi d' u tile , col soscitarvi a tumulto* f nulla capirete : e per lo contrario se ascolterete con attenzione quanto ho da d irv i, si rintraccer senza dubbio alcuna c o sa , che pofr esservi di sicuro vantaggio. La ptim a dunque , e la prncipal cosa che io dico, ella q u e sta , cio, che non si devono aiEdare ad un sol u o m o , qualunque gli sia si, tanti e s estesi comandi di seguito , per* ch e le leggi lo vietano, e per esperienza si tro* v a to , esser ci sommamente pericoloso. In fatti starei p e r d ire , che non per altra ragione si port Mario m quella guisa che voi sapete , se non se perch in u n brevissimo spazio di tempo gli fu commessa la cura di (ante guerre e gli fu in pochissimi anni per ben sei volte conferito il consolato; n in altro m odo oper Siila, se non perch per tanti anni di seguito fu alla testa degli eserciti, e poscia fu creato ditta tore , e quindi consolo ; imperocch tale la natura degli uominf , che non solo i giovani , m a quelli ancora che sono in efk avvanzata, poi che hanno passato molto tempo in com ando, si danno a eredere di non dover pi vivere a norma dei patr} institnti. Ma io fo menzione di tutto questo , n o a p e r accoMr Pompeo, m a solo perch sono darviso j

173

elle una tal cosa voi non sia in alcun modo esp&* diente, e perch le' leggi non lo permettono. Ed in 687 fatti se il comando apporta onore a colui , che da noi ne viene riputato degno , ben giusto , che r abbiano tutti quelli , ai quali il detto onore si aspetta ; mentre -ci richiedesi dal governo di una popolare repubblica : se poi apporta fatica , anche di questa dovere che tutti ne siano a parte} men tre ci si esige dall' uguaglianza. lu oltre in questa maniera ne avverr, che molti si eserciteranno nelle im prese, ed a voi riuscir pi facile di venire alla aelta di alcuno nel numero di costoro , ai quali attesa la lor p ratica , l ' esecuzione di qualunque impresa si potr acconciamente afddare. Nell' altro modo poi non .pu essere a meno , che non vi sia nna scarsezza grande di q u elli, i quali siansi acqui-* stata r esperienza di quanto conviene , e d . ai quali le imprese possano con sicurezza -addossarsi. P er la guerra contro Sertorio vi mane un cap itan o , e specialmente non per altro motivo , se non perch per lo passato vi eravate serviti per troppo lungo tempo dei medesimi uomini. Quantunque pertanto per tutti gli altri motivi foste da eleggersi Pompeo contro i coi'sari ; ci non ostante , siccome una tale elezione dovrebbe fiirsi conti'o la volont delle leggi, e disapprovata sarebbe dall' esperienza, quindi , che n da voi , n da lui dev'essere ammessa. Que sto quanto io sono stato d avviso di dovrvi in pinmo luogo , ed in ispecii modo rappresentare. Yengo ora ad esporvi u n 'a ltra c o sa, ed ,^ che

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Mndo secondo 1 ordiuaztone delle leggi i consoli, i p re to ri, i procottsoli , i propretori quelli , che degn gion prendere le magistralure ed i com andi, sar 687 poco onorevole e vouit^gioso , se ribattati questi , introdurremo una nuova specie di magistrato. A che serve, che da voi ogni anno si eleggano i magistrati, se poi siete di p a re re , di non dovervi prevalei del 1' opera d* alcuno di loro in affari di simil sorta Gli eleggete forse , ^ rc h vadano passeggiando coi eslimenti bianchi liitati intorno di porpora ( i ) , o TramcDf perch sano adorni . del solo noie . di m agistrato, e privi (iella sostanza/ Con tutta ragione a dir vero voi vi etporrete all odio di qaesti e di tutti gli altri , che si sono proposti di eseguire una qnalche pubblica in p re sa , se dal canto vostro au'* nnllati i magistrati della patria j e non afGdata vera n a azione a colcro, che legittimamente ottenaerc la magistratura , onferirete ad un uomo privato un genere nuovo di csmando, che non vi stato giam-* mai. Che se , oltie i magistrati soliti eleggersi ogni anno , . si debba lecess^riamente venire alT elezione d i unaltro, anche:in questo caso abbiamo un esem>' pio antichissimo ; voglio dire la dittatura. Ma il d it' tatore non venne eletto dai nostri maggiori per qua lunque motivo (s) j n fu costituito per un tempo. V
( i ) Tnlorno alla to^ pretesta dei inagislral! romani si consulti Ot tavio Ferrari , de re /estiaria , l. i , c . 3. ( a ) L e cagioni, pei cui veoivasi in Berna alla creazione del dit tatore , S O D O state cunpilale dal Gollzio , in thesaur.i rei aniiqwi-

r ia , e da G io. J e u o a in D isi, de DictatoriLus Pop. l . c. 3 , JercuU liUerar.

*74
pi lungo di sei mesi (i). Se donqae voi arete solatamente bisogno di nn tal dittatore , vi p e r687 messo , salva la maest dellt leggi , e coasultaado con calore intorno alla repoLbUca, eleggere per dit< latore o Pom peo, o qualeun Utro; purch esso per non abbia il comando pi dd tempo stabilito, n fuori d'Italia. N gi vi ignoto, che i padri a bella posta provvidero a questo ) dioodoch non si trova y che sia stato creato giammai it altra manira alcun C itatore , all eccezione di qaeKo , che and in Si cilia, senzaI per farvi cosa veruia (2). Ma n lItali abbisogna di un d ittatw e, n r sofirir potete, non dico il com ando, ma neppure j nome di dittatore ^ del che ne prova il vostr' odio contro di Siila (3). Come vi sar egli lecito , di stabilire generalmente |>er tutte le cose un comando , e tale che durar debba tre a n n i, e che si estenda dentro e fuori d e ir Italia f In fatti voi tutti u^alm ente sapete , quante calamit e disastri ne deririno alle d itt } e
( i ) S iccom e taTora succedeva d ie i diltabr uscissero d i carica in pi breye tem p o , cos anche qualche TtJa (afa pi& di ra d o ) av venne che per decreto del senato se ue d a sx la proroga per altri sei m e s i, come fu fatto a M . F urie Camilio ed a L . l'apirio cu i^ o r e . Si riscoQtriao gli annali d el Sigonio e fighio agli anni d i Ro m a 364, 4^9. 4 4 i (t) Q uesti fu A . Atilio Calattno Sigon. e fig b . A - V . C. So4(3) Dionigi d' Alicarnasso sul fine del quinte libra d ice oh^ p w Io spazio d'interi qiiattroocnto a n n i, dal primi dittatore T L a r t i o , non vi fu alcuno ch e non esercitasse c o n l o d e , e senta ripreosione la d itu ta ra ; ma ch e finalmente Siila col suo esempi* la ren d i odiosa e detestabile a giudiaio di tnUi*

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ftianti p er una scellerata brama di comandare abbiano sconTolta la nostra plebe con spessissime sedizioni, e ci siano stati cagione dinnumerevoli mali. 887 Cesser adunque di pi parlarvi di queste cose: im perocch e chi v ha fra v o i, che non sappia, che non per niun modo onorevole , n utile che si conferisca ad un solo , qualunque egli siasi, un su prem o potere , e che uno solo, quantunque o ttip o , sia di tutti, noi il padrone? In fatti i sov^rch) onori, e le autorit illimitate rendono fastosi, e guastano anche gli animi di tali uomini. In oltce io voglio, che voi consideriate questo j c io , che non possi bile j che un uomo solo tenga il comando di tutto il mare e che faccia bene generalmente tutta la guerra; imperocch se voi eseguir vorrete ci eh mestifer che si faccia, si dovr da tutte le parti muovere a un tempo stesso la guerra contro i cor sari , afGnch o non possano unirsi fra loro , o q u e lli, contro l quali si portane le a rm i, non pos sano so ttrarsi, in modo che non siano p re s i, per andar da quelli , chp sono esenti dalla guerra. Un sol comandante non potr in alcun modo mandar tu tte queste cose ad effetto ; imperocch come riuscir gli potrebbe di combattere nei medesimi gioi-ni uclr Italia , nella Cilicia, nell' Egitto^ nella Siria , nella G recia, nella Spa^pa, nel Mai-e Ionio, e nelle Isole? Egli fa d uopo adunque destinar per simile impresa non solo molti soldati, ma anche parecchj capitani, se risultar ne deve un qualche vantaggio. Che se ^ a lc u n o 'dicesse , che affidandosi ad un sol uomo

'i '] 6

la somma di tutta la gnerra, il medesimo a^A molti itoMj prefetti di n a v e , e molti legati, perch non potr& 687 io con molto maggior giustizia, e vantaggio rispon-< dere : qual ostacolo aduncpie vi , per coi quegli stessi , i quali dovrebbero sotto gli auspicj di ua sole andare in qualit di legati, non possano essere eletti da voi a simile impresa, ed ottenere un ampio comando? In fatti in questa maniera ne avverr, che prenderanno maggior impegno nella guerra quei me* desimi , ognuno dei quali avr la sua particolare ispezione, e non avr alcun altro , in cui poter ri torcere la colpa della propria negligenza. In oltre con maggior attenzione gareggeranno fra loro di o n o re , avendo un' assoluto comando , e dovendo acquistare per se medesimi la gloria delle imprese. Al contrario , se ci atterremo alla prima m aniera , come potete voi darvi-a credere, che uno con' ugual impegno stia allaltro soggetto, e che'senza retinens una qualche azione eseguisca, se non per se stesso, ma bens per altrui dovr riportar la vittoria ? Ma ehe qnesta gUerra si grande non possa farsi da uno solo in un sol tempo , lo ha confessato lo stesso G abinio, quando ha chiesto , che si destinino m olti in ajuto del comandante da eleggersi. Resta poi un' ai Ira considerazione da fa rsi, ed , se coloro , come com andanti, o come legati e duci 3 e simil mente se da tutta la plebe con legittimo im p e ro , ovvero da quel solo , come suoi ministri , debbano . spedirsi. Niuno di voi temerariamente mi n e g h e r , che il mio sentimento non sla il pi conforme all

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leggi, tanto riguardo a tutti gli altri, quanto rispetto agli stessi corsari. Badate in oltre , cosa dir voglia, che tutti sotto pretesto della guerra contro i corsari 687 abbiano in animo di torre il vigore agli altri magi< s tra ti, di modo che in tal ten\po non ve ne sia al cuno h in Italia , n in quelle regioni, che a noi sono soggette (1). * * * ed in Italia in vcce del consolo per tre anni^ gli destinarono per via di un decreto quindici legali, e fissarono che prendesse tult le n a v i, e quanto d a n a ro , e similmente quante legigni voleva. Queste cose furono ratificate anche dal Senato, quantunque di mala voglia , ed anche altre che esso conosceva essere per ogni parte espedienti ad un simile affare; e tanto pi s indusse a far ci , perch avendo Pisone nella Gallia Narbonese , sua provincia, negala la facolt ai legati di Pompeo di far reclute , la Plebe per tal qosa ei-asi grandemente sdegnata ; e d , essa lo avrebe subito rimosso dalla m agistratura, se Pompeo meclesimo non avesse supplicato per lui. Questi poi essendosi messo all ord in e, come un si mile affare, ed il suo ardore lo richiedevano , in un medesimo tempo parte con la sua presenza, e parte mediante i suoi legali and navigando attorno per tutto il mare , che dai ' corsari veniva infestato , ed
( ) D op o q u etle parole manca non solo l Uima parte del ragion am enlo d i Catulo ; ma accl^e com e fu ricevlo <ial popolo , co-t in e ci uoa ostaote fu taniionata la lgge d i Gubiaio. P lu ta r c o , riCeritce che veggeodo C i l u l o di non poter riutcire in n u lla , si a cq u iet. Si ritcontriuo anche Q icerona, pr legg AJaniiia, e. ao., V e lle jo l. 3 , e. 2 , ed Appiauo l. 1, ciV.

B lB u t, toma I.

la

1 7 8 in quell anno stesso gli flicde qnasi interamente la calma. Per tale oggetto fec egli uso di molto nvale 687 apparecchio, e di molti soldati arm ati, di modo d ie per teiTa e per mare ninno poteagli far resistenza :, ed in ispecial modo poi colla sua somma piacevo lezza verso di quelli che s arrendevano , ne attir moltissimi dal suo partito. Ed in fatti gli uomini superati per forza , dopo essersi accorti della di lui bont , corsero prontissimamente a mettersi sotto la sua proiezione-, imperocch egli non solo prese degli opportuni provedimenti rispetto ' a tutte le altre lor cose; ma anche, acci novamente attesa la miseria non ricadessero nella necessit di commettere delle ribalderie, assegn loro dei campi , eh ei vedeva esser d eserti, r delle c itt , che abbisognavano di abitatori. In seguito adunque anche altre citt co minciarono' ad abitarsi, ed altres q u ella, che nc^ minarono Pompejopoli ( i ) , la quale situata nella piaggia delia Cilicia era stata devastata da T igrane, ed anticamente si chiam Soli.
Capitolo IV.

D i varie leggi, che furono promulgate, 'e della spedizione di Pompeo contro Mitridate.
Queste eose in tal guisa passarono, essendo cn soli cilio e Pisone. In oltre dagli stessi consoli fu (1) I presente disiruiu..

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promulgata la legge intorno airam bito (*) del quale chi fosse rimasto convinto non poteva n esercitare alcuna magistratura, n essere senatorej e di pi gli 687 venisse imposta una pena pecuniaria : ed in realt dopo che la potest tribunizia riacquist i suoi dritti primieri (a) , sforzandosi molti di ricuperare la di gnit senatoria , dalla quale gi prima erano stati dai censori rimossi , succedevano per tutti gli onori delle frequenti cospirazioni , e congiure. I consoli poi pubblicarono una tal legge, non perch dete stassero r ambito ( mentre anch' essi erano pervenuti al consolato per via di un fortissimo broglio , e per tal cosa Pisone era stato citato in giudizio , ed esso colla mediazione di u no, e di un altro avea fatto in modo di non comparire a difendersi ) ma costrettivi dal Senato e ci pel seguente motivo. Un certo G. Cornelio (3) tribuno della plebe avea stabilito d'im p orre atrocissime pene a coloro, che fossero rei di ambito ; e ci veniva approvato anche dal popolo. ' M a il Senato , se minacciate si fossero delle pene
( 1) Cio intorno al procacciarsi occultam ente dei v o t i , per ottener ^ d i e magistrati : q n e s u legge era la Legge Calpam ia , della quale parla Antonio Agostino l. de l ^ i t a Rom. Thetaur. Graev. ^ (a) S il|a spogli di ogni autorit i tr ib u n i , com e affermano C e sare l. I, c . 5 e 7 , e Vellejo l. , c . 3 o . Ma questa p o te s t i tri bunizia ch e n ell' anno di Roma 6 7 8 era stata lim it a u da Siila . fu p oscia ristabiliu da Pompeo n el su o consolato n ell'an n o ,d i Roma 6 8 4 ' Appian. Cin. l. l e a . P lu t . in Pomp. SaUut~ CatiL A tcon,

i n divinathnefn , a. 3,
(3) Vcggasi A scan ie alU prinut orazione di C ictran e in fatore di o s t a i.

iS o
^^1 eccessive , l5\:orgeva , egli vero , cbe generalmente si sarebbe arrecato del terro re ; ma siccome le medesime erano sommamente rigorose, vedeva a ltres, che non si sarebbe facilmente trovato n chi accu sasse i r e i , n chi li condannasse. Laddove per lo contrario imponendosi delle pene moderate, molti si sarebbero indotti ad intentare simili precessi, n i giudici avriano avuto ribrezzo a condannarne.il reo. Persuasi dunque i padri da questi motivi ordinaro> n o , che si emendasse u n a tal proposta e che intorno a quella emanassero i consoli una legge. Quantunque poi fossero stati intimati i co*tilizj e non fosse lecito prima di quelli di sanzionar legge veruna , contuttoci , siccome nel tempo che vi passava di mezzo ^ coloro che brogliavano le dignit, avevano commesse delle scelleratezze e neppure si eiano astenuti dalle uccisioni , perci fu decretato , che una tal leggo metter si dovesse in vigore anche prima degli stessi comi/.) e dar si dovesse ai consoli una guardia. Sde gnatosi per tutto questo Cornelia , sentenzi', che' non fosse lecito ai senatori di conferir veruna ma gistratura a chi non la dimandasse a teuor delle leggi (i) , o di fifir decreto sopra qualunque altra cosa, che appartenesse al Popolo. Ci era stato sta bilito per legge 'mohi secoli prim a; ma in realt non
(i) S'iatendoDO quelle delle riddici .tS T ol, cKme ire d e Antonio Agosliuo , /ih de Lrgilu$ Rnm. tom. a . Grtev, pa^ * '9 4 ' Pro-

mulgavit Corncluu Ugem , qua aucloritalem Senatas m inuebai, ne quis nisi per popolun ifgibtu talftretu r , quod antiquo quoque jure arai cauium} J$eon

i8 i era giaipmai stato osservato. U aa tal cosa poi avetido ' eccitato un tumulto grandissinto e parecchj altri del Senato essendosi opposti c specialmcntc il consolo 687 Pisone , la plebe gli ruppe i fasci, e stava. anche per fare pezzi lui stesso , quando Cornelio scor gendo r impeto dlia plebe medesima, prima che si venisse a stabilir cosa alcuna per mezzo di suffragi , licenzi r adunanza. Fatto ci aggiunse questo alla legge, cio, che i padri doveano assolutamente esser gli. autoii delle 1 jg i e che il popolo in # q u e la della costoro autorit doveva ratificarle. In- questo modo adunque promulg Cornelio una tal legge, come an che un^'altra e fu la seguente. Tutti i pretori solcano esporre al pubblico per mezzo di un editto quelle leggi, a norma delle quali erano per dar la sentenza. Non per aveano fissate tutte le leggi, le quali con cernevano il buon regolamento dei contratti ; n si erano accinti a farlo concordemente , ed una volta p e r sempre j n erano stati alla legge scritta ; ma r aveano sovente cangiata , e su questo punto ese gui vansi molte cose o in favore o in odio di alcuno persone , siccome ordinariamente suole accadere. Colui adunque propose una legge (1), che i pretori subito da principio esponessero prima al pubblico di qual dritto fossero pei far uso, e che poscia non si
( i ) Atiam deinde le^em Cofnelius, etti nemo repagnare ausus e t t , muliit tameii invilis lu lit , ut prrtoret ex eMctis suis perpetuit Jns dieerent. Qiiae res tum ^ratiam anihilinsh practorius, qui varie j t u dicere talehant, sHttulit. S i riscoatriao le anootaiinoi dei d o ttMuni interpreli a P om p on io, j f . I. 2 . de Orig. Juris , 5 eodent tempore , , . .

iS a ^*1" dipartissero dal medesimo. l a somma i Romani k quel tetnpo con tanta attenzione badarono a far s , 687 che taluno non si lasciasse corrmpere dai donativi, che oltre le pene , che davano a quei che n erano convinti, onoravano anche gli accusatori. Per la qual cosa, avendo M. Cotta (i) licenziatQ il suo questore P. .Oppio, perch' eragli venuto in sospetto come reo di peculato e come macchinatore d 'in sid ie , e dipoi avendo lo stss Cotta portata via dalla Bitinia una quantit g rJt e di dan aro , fregian^io di onori con solari (2) C. Carbone, che lo aveva accasato, quan tunque non fosse stato-in altra carica che in quella di tribuno della Plebe. E , Carbone medesimo in se* guito , avendo ottenuta in sorte la stessa Bitinia e con non minore licenza co(nmesse avendo le mede sime iniquit, fu anchesso dal suo proprio figlinolo strascinato in giudizio e pass per reo. Difktti vi sono a lc u n i, i quali' con pi facilit riprendono gli altri, ch non ammoniscono se stessi; e perci sono prontissimi a commetter quei mancamenti medesimi, p er cagione dei quali giudicano gli altri esser meri( i ) M . Cdua fa consolo l anno di Roma 6 8 0 e l anno dopo gli tocc in sorte la BitDa. (3 ) Riflette il dottissimo Reimaro , ch e questo non p o intendersi in altra m aniera, je non ch e C . C a rb o n e fose fatto consolo dai - suffragj del popolo : eppure nei fasti di (^ el tem po non si^ troTa alcun condolo chiamato C a rb o n e . Il costume poi di f r u ia te con gli o n o r i, con gli o r a a m e n l i , e colle insegne consolari q u e l li , ch e ia reah non erano c o n s o li, h molto pi r e c e n te , e fu introdotto in n itim o da Ang usto; e p o sc ia . essendo andato in d isu s o , fu n o v a mente stabilito da C osU ntin o il g r a n d e ,

A nlon. Pagi D iti, hypd-

tictun.

i83
tevoli di gasb'go ; li modo che non si crede in alcuna maniera , che , per la ragione eh essi ne accusabo gli a ltr i, abbiano in orrore i delitti. Quanto 6 8 y a LucuIIo poi j egli aveva compila la carica di pre tore di c i t t e dipoi avendo ottenuta in sorte la Sardegna , si tir addietro , ricusando una tal com missione f perch v erano m olti, che nelle provincie agivano perversamente in tutte le cose. Esso avea gi date riprove grandissime della sua dolcezza; im perocch avendo comandato cilio, che si rompesse la di lui sedia dalla quale giudicava, perch una volta veggendolo passare non erasi alzato, egli senza punto turbarsi continu a dar le sentenze in piedi e lo stesso in di. lui riguardo fecero similmente i suoi colleghi. Anche Roscio (i) promulg una legge, e^ un altra ne promulg parimente G. Manilio (a) Iriltuno della plebe. Il prim o, mentre la di lui legge riguardava i sedili de cavalieri da distinguersi nei teatri con somma diligenza da quelli degli a ltr i, perci ne venne lodato; Manilio poi fu quasi per esser punito. Di fatti costui nell ultimo giorno del l an n o , sul far della s e ra , accordati prima per tal
(i) L . Roscio O l o n e , tribuno ddtla p l e b e , fu autore della legga eii teatrale, ia vigor di cui reitiiu ai cavalieri il luogo nei trilri ,

ssegu loro i qualtordici gradini pib protsimi j fid . L iv. Epnom . 9 9

t t AdnoUU. y i r , d jc t. ad 'i>eten. A ugutt. cap. et yellejo Ub. a , eap. 3 a . (a) A scon. Pedian. in Ciceronit O rat. pr M ilane, cap- 7 . Q u e tlo Manilio in alcuni codici g r e c i , ed anche in alcuni Ialini
Ten c h ia m a to 'M a llio , ed in vece dell a u liu o n e di Cajo gli Tia d ato falsamenle q u elle di Gueo.

184
t-ftetio aicnni della plebe , avea conceduto al liberti nvM A j| Jritto (li dare i suffragj nella stessa maniera di 687 coloro , che aveanl emancipati. Essendosi ci risa<puto dal Senato il giorno dopo, e precisamente nelle C88 Calende del nuovo mese e L. Tullio ed Emilio Lepido entrati nel consolato rigettata avendo una lai legge , colui atterritdsi pei forte sdegno della plebe , and ^qlle prime spacciando , che gli autori di si fulta Irg^e erano Grasso e certi altri ; ma niuno prestandogli fed e , esso , bench di mala voglia , si cattiv col lusingarlo il favor di Pom peo, per molte altre ragioni ; 'm a in ispcciai modo pcrch' era a sua notizia, che Gabinio poteva moltissimo presso di lui. Decret adunque , che egli andasse a far ja guerra contro Tigrane e Mitridate, e similmente che avesse il governo della Bitinia e della Cilicia con assoluto comando (i). Se Jie sdegnavano vero , e ci si op ponevano i pi polenti (1) per molte altre ragioni,
( 1 ) In quema maniera quali tutto l impero romano Tenira a porti nelle roani del solo P o m p eo . S i cou iu ltiu o P lu la r c o , in A ffiano, Aiithridat. e Vellejo laicrcolo , Uh a , eap, 3 1 . ( 2 ) Lncullo fu il p rim o, a cui una lai legge pi di

Pomp.

tulli diftpia*

eq u e, mentre le sue Irgtoui, e provinnie venivano a darsi a. P om peo, e gli s invo'ava la gi>ria di terminare la miiridaiioa guerra, com e riflette Vcllijn. Plutarco pcr 6 d i c e , d i e Ca.ulo fu il s o l o , ch e fortencnle si opponesse hllf Manilla , quel Calulo gie'.so, il quale com e abbiamo veduto di s u p i a , rispos*' al ragionamento di Gabiuio. Egli h certo per , che quandi) t,i''<''i>ne pronunci In sua O ratione in faVore della medesima liP R '. , '1 d<-no Catulo era lo n ta n o, com a rilevasi da queste paiole di (M.-eume s e s i o , cap. aa lihem et hitc

eoram Q . C a tu lo , et Q . HotlcnUo tltSjJulareiH, suitunis et claris~

tm ii virila

i85
ma singolarmente perch veniva imposto a Marcio e ad Acilio (i) di uscire dalla magistratura, prima che spirasse il tempo prescritto: ma la plebe quantunque 688 poco prima avesse spediti alcuni, i quali facessero degli stabilimenti intorno al preso dominio , mentre ' Lucullo avca dato avviso per mezzo di lettere , che era finita la guerra 5 ci noa ostante indottavi par ticolarmente da Cesare (2) e da Marco C icerone, ratific la legge Manilia. In simil guisa questi due aderirono a Manilio ed a Pompeo , non gi perch fossero di parere, che ci esser dovesse di pubblico vantaggio, o veramente perch volessero rendere un servigio allo sttsso Pompeo 3 ma perch con tal cosa , la quale nondim eno. essi bea vedevano he si sarebbe mandala ad effetto, Cesare aveva in animo di conciliarsi la benevolenza del popolo, eh ei scor* geva esser di gran lunga^ pi potente dei padri 5 ed al tempo stesso s'appianava la strada , onde una volta ottenere anche in suo proprio favore un simil decreta; e similmente con questi onori, che venivano conferiti a Pompeo , voleva esporlo ad una invidia m aggiore, e studiavasi di renderlo vie pi importuno e molesto , acci pi presto il popolo ne restasse annojato. Cicerone poi essendo ambizioso di reggere la repubblica, faceva vedere tanto ai nobili, quanto
(t)' Il primo teneva la C ilic ia , d il acon<lo leoeva la Biiinia. ( a ) ' Riguardo a Cesare coi dice Vellejo P atercolo,' Uh. a , cup. 4

animadverlebat , te cedendo Pompeji gloria aueturwn tu a m , et invidia communis potentiae in iUutn re/ega/a , confirmalurwn v ira

i8 6 ' * " alla p leb e , che avrebbe fatto acquistare aumento a quella delle due p a r ti, alla quale egli si fosse a c c o 688 stato. Esso adunque si univa agii uoi ed agli altri y mostrandosi favorevole agl' interessi ora dell' una ed ora dell'altra parte, onde cattivarsi la grazia di tutte due ; e quindi laddove prima erasi protestato di se guire il partito dei nobili , e per avea preferito di esser fatto edile , piuttostoch tribuno della plebe ^ in allora poi erasi unito alla feccia del popolo. Dopo tutte queste cose essendo stato per la seconda volta intentato dai nobili il giudizio contro Manilio (i) ; ^ costui desiderando di andar differendo il medesimo giudizio. Cicerone fu contrario al detto Manilio in tutte le cose e perch ajlora nel giudizio esercitava la p re tu ra , ed il primo luogo ten e v a , appena volle perm ettere, che tal cosa al giorno seguente si dif ferisse , allegando che gi stava per finir l ' anno. Ma in questo mentre siccome la plebe soffriva di mal animo il caso di Manilio , allora Cicerone salito in ringhiera, costretto a ci dai tribuni , riprese con parole il Senato e promise , che avrebbe difeso Ma nilio j e per tal cosa gli furono dette molte ingiurie e s'intese dire anche disertore (a). Un tumulto p o i ,
(i) A m otiro delta lrggr> che voleva promulgare fragi lib e r t i, della quale si parlato di sopra. intorno ai suf

(?) Salustio , o chiunque altro sotto il suo nome com pose I O raxiooe contro Cicerone , cosi dice al capitolo ulumn = Orn te , qvue

lib i partes rripuUica p la cetill qatm amum , qium inim icun habet ? Cui in c'wtate frcisti in sid a i , ancillw is : quo fure , cuoi de exilio tuo Dyrrhmrhio redisli, ewn ttquebaritJ Qaot tfra n n o t psU abat, eorunt nuiK potenttce favcs; qui libi ante oplimatet Kde~

187 clie improTTsamente destossi, im ped, che non si facesse il detto giudizio j imperocch Publio Peto e Cornelio S iila , Ggliuolo del fratello di quel gran 68S Siila, amendue nominati consoli, convinti cbe furono di aver fatti dei donativi ( i ) , per via d insidie an davano mettendo in pericolo la vita di Lucio Cotta e di Lucio T orquato, dai quali erano stati accusati* c tanto pi lo facevano , perch questi in lor luogo erano siati nominati consoli. Si accinsero a simile iniquit anche alcuni altri, e parimenti Gneo Pisone e' Lucio C atilina, uomo audacissimo j mentre anche esso aveva chiesto il consolato , e quindi ne avea concepita dell'ira. Riuscirono per vani i lor tenta tivi, stantcch per tempo le loro insidie scuoprironsi e dal Senato fu assegnata una guardia a Cotta ed a T orquato ; e dal medesimo Senato si sarebbe fatto un dfcreto contro gl insidiatori, se un certo tribuno della plebe non si fosse interposto. Ma poi che vide il Senato , che neppur in tal guisa Pisone desisteva punto dalla sua feroce insolenza , allra ' per tema che non suscitasse un qualche tumulto , lo spedi subitamente con titolo di comandante nella Spagna ^

ia n tu r , eosdem mute dem ente!, ae furiotos voeas y a tin ii ccaiuam affisi de Sextio maU existimas: Bibulum petularuisiimis verbn d ii : laudai Caesarem ; tjuem maxime ocUsti, ei m axinu oisequerit : mliud fta n t , aliud tedent de repubUea sen tili his maledieis , iUos a disti: levisiime T baitsfvoa , nrtjue in h a c , netjue in Ma parta J id cm 'h a h et. Vcggasi anche M a crob io , Satur. iib. 3 , cap. 3.
( 1 ) S 'in ie n d e per cattivarti il fayora icl popol nella d e ll* magitlratura. diuUD<ii

i88
(! costui avendo quivi recata ingiuria ad alcuni ablta n ti, per trucidato dai medesimi.

688
C
a p i t o l o

V.

Come Pompeo vinse Mitridate in una pugna notturna.


Pompeo primieramente mettevasi in ordine per na vigare in C re ta , e l dove slava Metello ; ma poi che seppe quanto eresi decretato, fnse di soffrir ci di mal animo , siccome anche prima aveva fatto , e si lagn de suoi contrarj , che semprs gli davano per forza delle incombenze acci in qualche luogo inciampasse : in sostanza per gli fu tal cosa grata alP eccess , c da quel tempo in poi non datasi pi alcuna premura riguardo alP isola di C re ta , ed agli altri marittimi affari, se pur ve ne restavano alcuni che nn fossero per anche ultimati, tutto era intento a mettersi in ordine per la barbarica guerra : e in questo mentre , per tentar l animo di M itridate, gli spedi Metrofaue , che con lui amichevolmente trat tasse. Mitridate in quel tempo stimava poco Pom peo , perch , essendo morto di. fresco Arsace re dei Pgrti egli si lusingava di tirare dal suo partito il di Ini successore Frante. Ma siccome Pompeo crasi con anticipata prontezza fallo amico il detto Fraatc alle medesime condizioni, ed avea persuaso al medesimo eh egli pel primo entrasse nell Armenia, soggetta a Tigraiic , .'dlora Mitridate, risaputa tal co sa, perdu tosi d 'a n im o , mand subitamente anibascialori a

189 Pom peo, i quali trattassero con lui intorno alle,condizioni di pace. Ma avendo Pompeo ordinato eh egli * < * ' deponesse le armi e restituisse i d isertori, non pot 688 Mitridate abbracciare un simile partito : imperocch appena s'intese tal cosa, nel di lui esercito, i diser tori , il numero de quali era grande, temendo di non essere consegnati, ed i B arbari, per teiijk di non venire forzali a combattere privi dell'ajuto di q u e s ti, eccitarono un tumulto ; e si sarebbero avan< za ti a commettere anche un qualche eccesso contro lo stesso Mitridate , se^egli preso il pretesto che da lui non erano stati spediti gli ambasciatori per chie der la pace , ma bens per ispiare T apparecchio dei B om ani, cos Analmente non gli avesse a stento fre nati. Appena ebbe scrto Pompeo che da lui far si doVea la guerra, oltre le altre cose, che per "intra prenderla esso allestiva, ' un .a se anche le legioni Valeriane (i). Pervenuto che fa in Galazia (a), gli si fece incontro L. Lucullo , aflTermaudo essere interauiente ultimata la guerra , e non esservi bisogno di Veruna militare spedizione , e soggiungendo che a tal effetto erano anche venuti i deputati del Senato per aggiustar quelle cose. Con tutto questo non potendo persuadere a Pompeo di ritornarsi indietro , si volse ad oltraggiarlo , chiam andolo, fralle altre ingiurie , uomo che s ingeriva in molti affari, ed avido di far la guerra e di comandare (3j. Pompeo fece di lui
( i ) Di queste se n ' parlalo di spra a lla p . i5 o . (3) Oggid G bian gare, proTocia d Asia. (3) Si consulli aacbe Vellejo lalerco lo , lib . a , cap, 33.

ig o
ben picciolo c o n to , c pubblicato un editto , cbe nia no per l avvenire obbedisse a L ucullo, and con 688 grande prestezza alla volta di M itridate, per potere quanto prima venire con lui alle mani. Mitridate ^ siccome inferiore nel numero delle truppe , per al cun tratto fuggiva, e nel passare dava il guasto ad una -gualche regione, e andava aggirando qua e l Tdm ico , e Ip poneva in istato di non aver vettovaglie. Subitocb Pompeo fu entrato nell Armenia (i), parte per questi m otivi, e parte per occuparla essendo deserta , allora finalmente ebbe timor Mitridate che quella regione prima del suo arrivo non venisse pre> a , e quindi col portossi ; ed essendosi collocato di rimpetto ai nemici sopra un colle munito dalla natura , ivi si stette fermo con tutto il suo esercito , sperando di rifinire i Romani col far mancr loro le cose necessarie, le quali.a lui stesso, che stava nel proprio p a e se , erano abbondantemente traspor tate da tutte le parti. Giaceva sotto il detto colle lina pianura sgombra di alberi j e nella medesima quando in quando mandava egli de soldati a cavallo p e r danneggiare chiunque si parasse loro dinanzi: dal c h e . ne avvenne che parecchi disertando dal nem ico, dalla sua parte passavano. Pompeo non avendo ardire di attaccar T inimico sopra quel luogo, fiss il campo in altra p a rte , dove la campagna era piena di selve, aiUnch i soldati a cavallo ed i saet(i) In quella ciofe soggetu a M itridate, mentr dellaltra (oggelta Tigcane se ne parla un poco pi sotto.

>9*
tatori nemici potessero nuocergli meno. Poste quivi delle insidie in certi luoghi opportuni ( i ) , in compagnia di pochi si avviciti scopertamente agli allog- 688 giamenti dei nemici e quindi attaccata la m ischia, tir i detti nemici gi posti in disordine al luogo , eh egli aveva prem editato, e ne fece una grandis sima strage. U a tal fatto gli accrebbe tanto il co raggio , che m u d diversi soldati per la regione, chi qua e chi l , acci procacciassero de viveri. A p pena intese Mitridate che il nemico aveva sicuramente avuto un rinforzo di vettovaglia, e che per mezzo di alcuni aveva presa naitica (a) regione di Armenia , sacra alla Dea del medesimo nome , e che quindi parecchi altri univansi a l u i , e che gli s'era unito anche 1 esercit di Marcio (3 ) , postosi in ispavento determin di dovere abbandonare questa regione. Lev adunque di nascosto e di nottetempo subita m ente gli accampamenti , e marciando al favor delle tenebre si port nell A rm enia, eh era soggetta a Tigrane. Pompeo lo insegu mentre si ritirava, de siderando di venire a battaglia; ma ci non ostante non ard di attaccare la mischia o in tempo che i nemici s ndavano fermando negli alloggiamenti, o veramente di notte , per timore di que luoghi, che
( i ) Descrive queste insidie A pp iano , //i M ithridat. (a) E ra qaesU situ ila lungo l ' Eufrate , chiamato dai T u rchi M o r a t e dagli A ra b i , E l - f a r i t , ed era consecrata alla dea A n a itid e , sotto il qual n o p e gl^ Armeni ed i Persiani adoravano Venere. (3) Quinto M arcio r e , che aveva avuta in sort la C ilicia , ed al quale era stato ordinato in fo n a della legge M aalK a, di cedereim provincia e l Mcroito a P o m p e , come i i vedalo d i sopra p . i 8 S.

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* gJ* no" conosceya ; e non venqe alla pugna pi-mc di esser giunto ai coofini. Quivi scorgendo che il ne688 iijico- gli sarebbe sfuggito , fu costretto a tentar la sorte di un notturno combattimento. Stabilito ci , fu egli il primo a muovere il campo , in modo che i Barbari , che sul mezzogiorno stavansi in riposo , non potesser sapere verso qual parte egli, si sarisbbe incamminato. Avendo esso poi ritrovato un luogo con cavo posto fra i m onti, condusse i'soldati nelle alture , ed aspett 1' arrivo de nemici. I Barbari , ai quali nulla di sinistro era Cn qui succeduto , e che si pensavano di accostarsi ormai a luoghi sicuri , maiciavano con franchezza , e senza le debite cau tele j sperando che i Romani avrebbero finalmente desistito dal pi inseguirli. Essi pertanto entrati es sendo nella detta cavit, Pompeo gli assali f-alle te n e b re , perch non avevano alcun altro lu m e , n veruna stella rispLendeva nel cielo. Questo combat timento poi fu fatto nella seguente maniera. Da prim a, tutti insieme i suonatori di tibie , appena n'ebbero un cenno , diedero il segno della battaglia (i), e di poi i soldati e tutta l'a ltra moltitudine alzarono un grido guerriero , ed akri colle aste percossero gli scudi , ed altri con sassi i vasi di bronzo (2). Bimboipbarono quei concavi monti all' intorno d uno spaventosissimo suono, che appena fu inteso dai Barbari in tempo di notte , ed in quei luoghi de. ( i ) Si consulti il L ip s ie , de M'Uit. rtm m o ra m , lib. 4 ia l. ed il a rd elq * io , ad tteUodarum. ( 3 ) VcggSM f l u l a r c o , in Pompejo e F lo ro , lib. i , cap. a 3 . i

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a e rti, essi simmaginarono d essere cadati in una ioevitabile sciagura, mandata loro dal cielo. I Romani dall allo cominciarono a scagliar sopra di essi 688 p ie tre , saette e dardi ; ed attesa la gran moltitu dine non cadeva dardo che non iciisse, per lo che i Barbari si trovarono in sommo pericolo. Ed in fatti essendo costoro disposti non alla p u g n a , ma alla m arcia, e ritrovandosi nel medesimo luogo parecclii cavalli e cammelli, e parimenti uomini e don ne , parte sopra i cavalli ed i cocchj , e parte con fusamente sopra carri falcati e sopra carri semplici, alcuni rimanevano atterriti dalle ferite , che riceve vano , ed altri da quellb , che si aspettavano , e quindi coll' urtarsi a vicenda , tanto pi facilmente perivano. Tali danni adunque essi soiTi-ivano colpiti da lontano. Ma dopo che i Romani , consumati avendo tutti i dardi, si scagliarono addosso ai mede simi Barbari, fu fatta strage di quelli, che attorno at torno erano gli ultimi, c chc per la pi parte erano sena arme , di modo che un sol colpo bastava per ucciderli. Quelli poi che stavano in mezzo, rifuggiendovisi da ogni lato nel presente pericolo tutti co loro f che stavano al di fuon , venivano s tre tti, ed urtandosi e calpestandosi a vicenda restavano m orti, non potendo n difender se stessi , n tentar cosa alcuna a danno deli inimico^ menti-'erano per la pi parte soldali a cavallo ed arcieri i quali nulla veder polendo attese le tenebre , era per conseguenza inu tile e vano ogni loro sforz.o in angustie s giandi. Appena coraiuci a splender la luna, ne furopo lieti ,
V io f t , tamo I ,
li

^Kyi j B arbari, dandosi a crdere di {>oter in quella lace nouj j-ender la pariglia al nemico : e la medesima poteva 688 certamente esser loro giovevole , se i Romttni non r avessero avuta da tergo , e col far impeto ora di^ una paj'te ed ora dall altra non avessero resa vana < la lor vista ed i loro tentativi. Di fatti essendo mol tissimi , tutti insieme ne' luoghi i pi bassi gettavano r ombra , la quale ingannava i Barbari quando venivano attaccati ; imperocch, quasi gi stassero da vicino , la detta ombra invano ferivano ed allorch pi dappresso volevanp venire alle mani nell om bra , inaspettatamente restavano feriti. In tal modo adunque ne perirono mpltissimi, e non pochi ne an darono vivi in potest de nemici j e molti si salva rono con la fuga , fra i quali vi fu anche Mitridate. \ o le a costui in allora portarsi da Tigrane, ma aven dogli spediti innanzi degli ambasciatori, non n ' ebbe alcuna amichevole risposta , perch oragli caduto in sospetto che il costui avo Mitridate avesse indotto il suo proprio figliuolo Tignane a suscitargli contro una sedizione. Per la qual cosa tanto fu lungi dal dar ricetto a Mitridate , che anzi fattine arrestare gli ambasciatori , li mise in prigione. Essendogli adun que andate a vuoto le sue speranze, Mitridate se le .andii verso la Colchide (i) ; e quindi per te r r a , con gente, parte della quale se lera attirata, e parte ve r avea costretta per forza, giunse alla palude Meotide (a) ed al )}oi>foro , e fece sua tutta quella
( i) Adesso chiamasi U Mlgrelia.

Gian golfo, o mare tu lEuropa e I

chianulo n u c

ip S costa. Era signore in allora di tai luogii Macare fi* gliuolo di questo Mitridate , ed afTezioaato ai Romani. 11 medesimo Mitridate dopo averlo atterrito ia 688 maniera , eh egli neppur ebbe il coraggio di venire alla presenza di lui suo genitore, e dopo avergli promessa per mezzo de suoi confidenti sicurezza e danari , lo uccise fi). In tempo che tali cose acca devano , Pompeo mand fuori della gente ad inse* guir Mitridate j ma costui passato il fiume Fasi (2), crasi posto in salvo. Pompeo dunque fabbric una citt nel luogo stesso , dove avea vinto , e la diede ai suoi soldati o feriti o d et avanzata. Molti cir convicini si portarono spontaneamente ad abitare col , e vi sono anche al di d' o g g i, e cliiamansi Nicopoliti (3) , che sono arrolati alla provincia di Cappadocia. queste sono le c o se , che in allora facevansi da Pompeo.
delle Z a b ic c b e , dalla parte leUentrionale del m ar n e ro , col qaala la delia palude Meotide ba eomimicMioDe per meiso di u n 'im b o c calo ra chiam ata a u tic a n e a lt il Bosforo C im m erio , ed in oggi io S tretto di C a fb . ( I ) Appiano racconta diTcrsamente no lai fa tto , poich d i c e , d i e M acare, dopo avere scorto l animo inesorabile d i M itridate ino p a d r e , *i diede da per a i itMO la a o r t e . (3 ) In o ^ i si chiama R io n e , e dai T urchi Fach*. (3) Cioi della citt di Micopoli, che adMO vieu delta Giaaicb 4 o v e il tarco m anda na govcroatorf.

*9
C apitolo

VI.

Tigraie il padre si arrende , ed il figliuolo vien posto in ceppi.


In questo mezzo Tigrane figliuolo di Tigrane ti rati dal suo partito alcuni dei principali , eh' erano mal contenti deHimpero del vecchio Tigrane , crasi rifuggilo presso Fraate ( i ) , il quale quantunque an dasse pensando ci che far si dovesse , a riguardo deir alleanza contratta con Pompeo (a), contuttoci fu da lui persuaso ad entrare ostilmente nell'Arme* D ia. Pervennero adunque fino alla citt di Artassata (3 ) , e si disponevano a prenderla , dopo essersi resi soggetti tutti i luoghi , pe^ quali erano passati ; perch Tigrane il vecchio per timore di costoro erasi ritirato nei monti. Fraate immaginatosi che rassedio sarebbe andato in lungo , lasci una porzio ne di gente al (gliuol di Tigrane , ed esso ritornossene a casa. Allora il padre postosi in marcia colle bandreie rivolte contro il proprio suo figlio, che solo era rimasto , lo vinse in battaglia- Costui fug gendo si port primieramente dal suo avo Mitrida te ; ma dipoi avendo saputo che anch'esso era stato superato in battaglia, e che , in vece di podere aju( i ) Costai era dei re elei P a r t i, e foocero d i Tigrane il g iu v ia e , come i T ed ri al lil>. 3 7 . ( 3 ) Veggasi alla pag. 1 8 8 . (3) Capitale d e ll' A rm euia, le di cui m ine chiamansi in oggi T a c V T a r d a i , ciok irono d i Tiridaie.

197
te r gli a ltri, avea per se medesimo bisogno dell al- '"J" trui soccorso , si uni coi Rormani ; e Pompeo serTeodosi di lui per d u c e , guid lesercito in Arme- 688 sia , e contro il di lui padre. Saputa tal cosa Tigrane , si spavent, e mand subito un araldo a Pompeo , dandogli in mano anche gli ambasciatori di Mitridate. Ma il di lui figliuolo opponendosi a non fargli ottener nulla di comportabile, e Pompeo, passato il fiume Arasse (i) , avvicinandosi ad Arias* sata, allora finalmente Tigrane gU consegn la citt, ed esso spontaneamente si port nel campo del me> desimo Pompeo. Ma per comparire a Pompeo pi degno di riverenza, ed insieme di compassione , crasi composto in guisa , che preso aveva un orna mento di mezzo fra la sua primiera dignit e la bas sezza presente. In fatti erasi dispogliato della sua tonaca punteggiata di bianco, e della sua so p ra v v e sta , chiamata il cand , tulla di porpora , e solo portava la tiara con una fascia (a). Pompeo per mezzo d un littore gl impose di scendere da caval lo t sopra il quale , secondo 1 uso della sua patria , sarebbe entrato fin nella stessa trincea. Ma il mede*
( i ) Adesto chiamasi Aras. (u) Aveva in costume Tigrane d i po nar nna tonaca , e opra <|nesla il c a n d , o sia una ctam ida reale d i porpora. V rggasi O t tavio F e rra ri, da re vetuaria Hi. 3 , cap, i . Intorno al can d i p*i ai coDsalli lo Jungtrm anno ad PuHuceni, e lo Spanhemio , dova ono due medaglie di due re paraiaui col candi posto sopra nna tonaca m et f>ianca a m e li d ' oro , o di porpora. Finalmente r i guardo alle tiare , ii eoluuUi il d itt Spaubunio , da Utu tOfn , d iu tr t. S.

19^ . . simo Pompeo veggendolo entrare a p ie d i, e gettato il diadema prostrarsi a terra innanzi a l u i , ed ado688 r a r lo , penetrato da compassione sbalz dxlla sua sedia , ed alzollo. Dipoi rimessogli il diadema , Io colloc in un seggio prossimo al s u o , e lo consol con molte altre parole, e specialmente col dirgli, eh' esso non solo non era deraduto dal regno d ' Avmenia . ma che di pi avea fatto acquisto dell ami cizia de Romani; e dopo avello sollevato con que ste espressioni, lo invit seco a cena. Il figliuolo di T ig ra n e , eh erasi seduto dall altro lato di Pom peo , n s'ale in piedi in faccia del suo genitore, n Io ricev con verun altro segno di cortesia, e di pi quantunque invitato, non intervenne alla cena ; per lo che principalmente s inimic Pompeo. II di vegnente il medesimo Pompeo, udite le loro contro* Tersie , restitu al padre tutto il regno , eh era stato de suoi maggiori: imperocch quanto alle cose che egli stesso aveva conquistate, cio , oltre al resto j alcune parti della Cappadocia e della Siria, e simiU mente la Fenicia (i) e Sofanene (a), regione contnaote coll A rm enia, tutte queste gliele ritolse , e di pi gl impose un tributo in danaro. Assegn al figliuolo Tigrane la sola Sofanene , dov erano riposti i te sori , intorno ai quali avendo mossa lite il giovine, ed essendogli andate a vuoto le sue speranze ( mea( i) DTtlfs! in oftRi la Soria ia tre goTerni, cioi di AIrppo , d i Trpoli e d i Damasco ; e questi d ue uUtmi abbracciano l aulica Fenicia..

3) F id . Steph, B y t.

*99
tre in altra guisa P o m ^ o non avrebbe potuto avere il danaro convenuto ) sdegnatosi medit di fuggire. S accorse di ci a tempo Pompeo , e quindi lo fece 688 liberamente guardare , mandando alcuni de suoi a coloro , che avevano in custodia il danaro , con or bine che lo dassero tutto a Tigrane il padre. Ma ricusando quelli di far ci , col dire che non da al tri dovea venire un tal cenno , se non da quel T i grane , a cui si giudicava che in allora appartenesse quella regione, Pompeo spedi a quella fortezza que sto stesso Tigrane , la quale essendo stata da lui ritrovata chiusa , le si fece egli pi vicino, e quan> tunque suo m algrado, ei non ostante ottenne che fosse aperta. Con tutto questo per quei custodi non erano pi obbedienti di prima , allegando che non di sua volont, ma forzato dava un tal ordine Ti grane. Pompeo soffrendo ci di mal anim o, fece mettere in ceppi lo stesso Tigrane , e cosi finalmente il vecchio ebbe il tesoro. Dopo ci Pompeo diviso in tre parti il suo esercito, piant gli alloggiamenti d inverno nella regione naitica , e presso il fiume Cimo (i). Ebbe poi da Tigrane moltissime altre cose^ ed una quantit di danaro di gran lunga maggiore di quella di cui erasi convenuto. Molto tempo dopo egli stesso la port in Roma assai opportunamente ; ,ed in oltre vi annunzi Tigrane come amico del po polo romano , ed alleato di g u e rra , e condusse a jRoma il costai figliuolo ben custodito. Egli poi
(i). Cristophor. C tt. Ort. Jtu ig ,

aoo
non pass in quiete gli accampamenti d' inverao. Rom a TcnevB Oresc il regno degli A lbanesi, che abitano 688 di l dal fiume Girne. Costui anche in crto modo per rendere servigio al giovine Tigrane suo amico , ma specialmente per timore che i Romani non en* trassero parimenti neirA lbania, condusse il suo eser cito contro di loro , essendo prossime le feste in onor di Saturno (i), colla speranza che se gli avesse attaccati alla sprovvista in tempo d'inverno, e quando non stavano tutti accampati nel medesimo luogo, gli sarebbe senza dubbio riuscita F impresa. Aveva dis posto in maniera T attacco , d i osso medesimo do* veva dar l assalto a Metello Celere , che avea seco Tigrane (a); ed altri portar si doveano contro Pom< peo , ed altri conti-o L. Fiacco , che presiedeva alla terza p a rte , afiiuch , essendo tutti posti in terrore nel medesimo tempo , non potessero aj utarsi a vi cenda. Ma nulla gli riusc ; imperocch Metello rispinse valorosamente Orese; e Fiacco , essendo tanto grande il giro della fossa de' suoi accampamenti, che per la sua ampiezza non poteva esser difesa, ne scav un' altra al di dentro, e tir nella detta fossa esteriore i nem ici, che si credevano che ci fosse stato eseguito per timore ^ e quindi fatto impeto so( i ) Qae*te u celebravano dai Romaal alla m eli di d e c e m b re , duravano per tre giorni. Veggansi g l interpreti ad M acrobiw n, d il l ilisco, iMcieon Antiquitalam rnmanarwn. (3 ) P arlati qui di Tigrane p a d re , che m iliu va con P o m p e o : impcrocoh Tigrane il figliuolo , non essendosi acquietalo al giudixio del medesimo P o m peo , fu posto da lui iu ce^ipi, poscia fu cou 4otto ia uio o fo f Appian- et PtulariJt.,

301
pra I medesimi quando meno se 1 aspettavano , molti ne uccise nello stesso combattimento, e molti quan* do fuggivano. Intanto aveva a tempo risaputi Pom- 688 peo i tentativi de Barbari contro 1 altra sua gente j per lo che fu egli il primo a correre improvvisa mente ad incontrare quelli che si movevano conti'o di lui j e vinti che gli ebbe, marci a dirittura coni tro lo stesso Orese , ma non per lo raggiunse ; im perocch costui rispinto da Celere, dopo aver intesa la rotta anche degli altri suoi, erasi c o n ia fuga sot tratto. Uccise per molti Albanesi colti da lui nel passaggio del fiume Cimo ; e q u in d i, poich la ri chiesero , accord loro la pace. Egli per altro avea grandissimo desiderio di fare anch esso a vicenda una scorreria nel loro territorio j ma a motivo delV inverno differ di buon grado la guerra. E tali fu rono le imprese da Pompeo in quel tempo eseguite.

aoa
DELLA

STORIA

ROMANA
S I

D I ON E
L I B R O XXXVII. (0

C apitolo

P riuo.

Come Pompeo guerreggi contro g f Iberi e di varie altre imprese fa tte da lui.

anno seguente y essendo consoli L. Cotta e L. Torquato , fece Pompeo la guerra contro gli AI6^ 9 banesi e contro gl' Iberi j e primieramente fu co*
( i ) Comprentle qnetto libro la Moria d i te i a n n i, net q u a li vi furono i srgueDli consoli.

A n . prima d i G . C.
65.

A n . di R.
68g.

L . Anrelio Cotta F . di M -, e L . M anlio F . di L .

2o3 stretto, anche contro quel che sera proposto nell'a n im o , di venire alle mani co'medesimi Iberi. Soggiornano costoro dall' una e dall' altra parte del 689 Cimo , confnando da un lato con gli Albanesi, e dall'altro con gli Armeni. Il loro re Artoce tem endo, che Pompeo non si portasse anche contro di l u i , gli aveva spediti degli ambasciadori ad oggetto di procacciarsi la sua amicizia; e intanto andava pr&* parando il tutto , per attaccarlo alla sprovvista , ed in tempo che a tale ambasceria stava affidato. Ma avendone avuto sentore Pom peo, prima che qnel ro p er tal cosa si fosse allestito , e prima che avesse occupato r ingresso della regione difficilissimo a su p e ra rsi, entr nel di lui paese j n Artoce seppe cosa alcuna del suo arrivo , perfino a tanto che non fu egli giunto alla citt chiamata Acropoli (i). Era questa situata precisamente sul luogo s tre tto , ed a n g u s to , di dove si estende il Caucaso (a)j e quivi
L . C e ta r e , e C . Mario F igaia F . d i C . M . Tullio Cicerone F . di M . e C . Ionio , F . di M . Decimo Giunio Silano F . di M. e L . L i Sa. 6 ga. cinio Murena F . di L . 01. H . Pupio Pitone F . di M . a M . Valeri* 9 3 . Messala Kegro F . di M. 6^. <So. L . Afranio F . di L . e Q . Cecil. M etel, Celere F . di Q . ( i ) Antica c il t i dell Iberia a siatica , c io i della G io rgia, la qoala f o o|tgi k d istratta. (q) Queste sono le fiimose porte c a o c a te e , per le qnali anche S t r a b e n e , Itb. 10 dice che pass Pom peo. Locano ti6. 8 , (' 3 3 9 | chiama Ca$pia d a u stra , pel qual nome ne vien ripreso da Teo filo Siegrdo B c / r a , in d i t u n . trudit d t muro Caueatto, Cem~
64

. 63.

690.

6 9 *-

2o4

era stata 'munita a difesa del pasco. Artdce adanque m oua postosi d ispavento , noa ebbe pi tempo di fare i 689 suoi preparativi, ma passato il fiume , incendi il poute : e quelli , che stavano a guardia della citt, pereb anche furono vinti in un combattimento, si arresi ro. Impadronitosi Pompeo del passo, vi pose delle guardie ^ e poscia andando innanzi, assoggett latta la regione di qua dal fiume. Stando ormai Pompeo in prociato di passare il Cimo , Artoce per via di messaggi addimandogli la pace , e gli pr* mise che spontaneamente gli avrebbe rifatto il ponte, e somministrata ogni altra cosa necessaria j e per ot tener la detta pace, esegu il tutto. Ma appena Pom peo ebbe passalo il Cimo , il detto re pieno di ti more riparossi a Peloro ( i) , fiume che parimenti scorre per la di lui regione, c guadagnati tutti quei Romani , ai quali avea potuto contendere il passo , fugg. Vista una tal cosa Pompo incalz il fuggi tivo, e raggiuntolo, lo vinse; imperocch prima che gli arcieri di quel re potessero mettere in uso la lor arte , egli assalitolo , in brevissimo spazio di tempo lo disperse. Dopo ci Artoce , passato il P e lo ro , ed arso il ponte anche di questo fiume , si diede alla fuga ; c gli altri , parte nel combattimento e parte nel tentar di passare a piedi per mezzo al
m enlnr. radcm . Imperatoria! Pelropnilanae. Il C iu ca io poi ia oggi viro Hetio C o c a s ,.o Cochia , o Additar, o \ l b s u r , m ouie di Circassia u e l l 'Aia, che divide la Scizia dall l u d ie , al qual fingoao i poeti essere sialo auaccalo P rom eteo.

(1) Mod s i a tcoTii falla oiasiou da alcua altro aulora..

2 o5

fiume, perirono. Parecchj dispersi qua e l per le selve, passarono alquanti giorni a tirar dardi dagli alberi i pi alti ; ma dipoi anche q uesti , essendo 689 stati tagliati i detti alberi , furono uccisi. Per taltf evento Artoce sped novamente dei messaggj eoa doni a Pompeo a fine dimpetrare la pace. Pompeo quantunque ricevesse i donativi, acci il re colla speranza di far poscia Taccordo, cessasse dal fug- gire pi o ltre , contuttoci neg di accordargli la p a c e , se prima non gli avesse mandali come ostaggj. i suoi proprj figliuoli. Artoce per buona pezza tenne in sospeso 1 aiTare 3 ma finalmente avendo i Romani senza difficolt , e senza che niuno loro Io coutra'* stasse, passato il fiume , che attesa I estate poteva per sorte guadarsi, allora mand i figli in ostaggioj e dipoi stabil la pace con Pompeo. In seguilo avendo saputo Pom peo, che il fiume Fasi non era molto dista n te , ed avendo stabilito di passar lungo quello nella Colchide , e quindi portarsi nel Bosforo contro M itiid ate, postosi in camm ino, scorse per mezzo ai C olchi , siccome avea determinata di fa re , ed anche per mezzo ai popoli lor confinanti, e se li concili, parte col persuaderli e parte coll atterrirli. Quivi fatto certo , che il cammino per terra sarebbe stalo dilficolloso a motivo di molte sconosciute e belli cose nazioni, e che il viaggio per mare sarebbe stato anche pi incomodo, a cagione del paese senza porti , ed a cagione altres degli abitanti, diede or dine , che l armata navale stando nel suo posto te nesse di mira M ilrdate, acci da qualche parte ftoa

2o6

Antt potesse navigando sottrarsi, e non gli fosser portati dei viveri. Esso poi rivolse la marcia contro gli Al 68g b a n esi, non per dritto sentiero, ma ritornando in Armenia j per opprimerli al suo a rrivo, al qiiale essi non pensavano, mentre stavano sicuri attesa la fatta convenzione ; e pass il Cimo a p ied i, l dove le* tate avealo reso atto a guadarsi. In primo luogo comand , che passasse la cavallera a traverso del fium e, dipoi i giumenti, ed in ultimo la fanteria j acci i cavalli coi lor corpi rompessero la forza del detto fiume, ed afTnch, se mai dalla violenza del l'acqua fosse portata via qualche cosa ai giumenti carichi delle bagaglie , s'incontrasse da qu elli, che dall uDa parie e dalPaltra venivano accompagnando, n fosse trasportata pi oltre. Di qui and al fiume Cambise ( i) , senza esser molestato dai nem ici, ma tormentato alP eccesso egli , e tutto il suo esercito dal caldo , e quindi dalla sete , quantunque per lo pi camminasse in tempo di notte; mentre le guide del viaggio , che erano prigionieri , li condussero per strade non troppo comode. Oltre a ci anclie il fiume recava poco vantaggio , mentre la sua acqua freschissima copiosamente bevuta nuoceva a parec* chj. !Neppur qui essetido loro fatta resistenza da al> cuno , si avanzarono al fiume Abante (a) , non por* tnudo con s altro che ac(jua, mentre le altre cose venivano ad essi cortesemente somministrate dagli
( i ) Adesxo cIiiamaM il fiume Scliansia. (a) Veggasi P l u t a r c o , in Pomprjo.

ib7

bitanti , per Io clic si astennero anche dal fare a questi alcun danno. Quando furono di l dal Gume Tenne l avviso che Orese giungeva j e Pompeo per 689 allettarlo a Combattere, prima che si accorgesse, che V * era una si gran moltitudine di Romani , e primach addietro tornasse , situ in primo hiogo i soldati a cavallo, avvertendoli anticipatamente di quanto doveano eseguire ; dopo questi colloc laltr moltitudine in ginocchio, e coperta sotto gli scudij ed a costoro im pose, che non si movessero. l a questa maniera Orese non si accorse , che essi vi e ra n o , se non quando si venne alle mani. Costui pertanto non fece gran conto dei soldati a cavallo, che credeva esser s o li, e diede loro l assalto ; ed in u n momento li Tolse in fu g a, mentr' essi ci a bella posta facevano, e con tutto calore si mise ad incalzarli. Ma allora levatisi d'improvviso i soldati a p i e d i , e fatto uno spazio tra lo ro , acci sicura* m ente vi potessero esser ricevuti in mezzo quelli a cavallo , fecero fronte ai nem ici, che temerariamente davano la caccia, ed attorniatane una gran moltitu dine , e presili in mezzo , li tagliarono a pezzi. Con tro q u e lli, che non erano stati circondati, portatasi la cavalleria, parte a destra e parte a sinistra , im petuosamente gli assal 5 e da una banda e dall'altra fu fatta una grandissima strage dei nemici j e quelli che sottrattisi da questo doppio macello eransi ri parati fuggendo dentro alle selve, incendiate queste, perirono -, e frattanto i Komani andavano ad alta voce gridando : evviva i satninali, evviva i satur*

2 o8 naii " perch circa quel tempo gli Albanesi aveanli da prima usidiosameate attaccali. Dopo aver fatte 68 g queste cote Pompeo , e dopo avere scorsa tutta quella regione , lasci in pace gli Albanesi , e fece accur<li, poich gli ebbero spediti ambasciatori, an che con alcuni altri , i quali abitavano dal monte Caucaso Gno al mar Caspio ( i ) , nei qual mare ter mina il detto m onte , che dal Ponto (3} incomincia. Anche Fraate mand a lui ambasciadori, desiderando di rinnovar 1' alleanza j imperocch veggcndo, che Pompeo andava innanzi con tanto impeto, e che le altre parti dell'Armenia e del Ponto , che fin l si estentifvauo , erano state dome da legati di l u i , e che anche Gabiuio era gi penetrato di l dall Eu frate (3) lino al Tigi'i (4) , fu preso dallo spavento in m aniera, che risolv di ratificar coi Romani la gi incominciata alle&nza : raa nulla per ottcaue con simile anihasccna. Di fritti Pompeo conGdaudo nel prospero successo delle sue imprese presenti, e nella speranza di quelle avvenire , faceva di lui pochissi mo conto; e fralle altre superbo risposte, che dava alli costui ambasciatori, addimandava anche la i-egiouc Gordiene (5), intorno alia quale il detto Fraat
( i) G ran mare fra la Ru!iia , la Persia e la T arla rla . (ji l'roviiiria della Basa Miiia , love fu relegato il imcla Ovidio. (3) Gian fiume d 'A s ia chiamalo <lal T u rch i M o r s i, ed El-fart dapli Arabi. (4)i In ugf;i chiamasi Tcgil , o T ig i!. (5) Gli ah'ianti di questa regione chinmasi al presente C iir.li, G o rd ia n i, o Cardtieni nell' .\im eoia maggiore , in confioe detta Mas o p o ta m is, ira'm o Q ii.

20Q
era in disputa con Tigraue. Nulla rispondendo gli ambasciatori su questo particolare (mentre non ne arcano ricevuta commissione veruna) egli allora scrisse 689 alcune cose a Fraate ; ma senza aspettarne la rispo sta , mand subito Afranio in quella regione , ed occupatala senza il menomo contrasto , la diede a Tigranc. 11 medesimo Afrani per la Mesopotamia (i) passato in Siria contro la convenzione fatta con F raate, fall il sentiero, e soiTrl molti incomodi at tesa la tempestosa stagione , e la scarsezza dei vi veri ; e sarebbe perito con tutti i su o i, se i Garrensi (a) che sono una colonia di M acedoni, e che abitano intorno a quei luoghi, non gli avessero ac colti e guidati. Tali cose esegu in allora contro Fraate Pompeo conQdato nella sua propria possanza, avendo dato un chiarissimo insegnamento a quelli, che macchinano d invader le terre a ltru i, che tutto dipende dall' a rm i, nelle quali chi superiore trova tutti necessariamente obbedienti alle sue leggi. Si ff^ce beffe altres dei titoli di Fraate , dei quali co stui gloravasi presso tutti gli altri, ed anche presso gli stessi R om ani, e coi quali questi lo aveano sem pre trattato. Infatti chiamandosi Fraate re dei re (3), Pom peo, tolto via il vocabolo dei r e , per lettera
( i ) Questo aome tignifica una regione posta in m e n o a due fam i; e di b u i la Mesopolamia sta fra il Tigri e l Eofrate,, ed ora 'vien della dagli Arabi Al-Gexirah. - ( 2 ) Veggasi Tommaso litigio , in exerciut. ad opuscubtm Theo^ dori A bucarae, 5 ( (3) Si consulti lo Spanliem io, d iu e rt. 8 de usu nurnism. Jione, Umo I . ili

2 10
cliiamollo semplicemente r e , quantunque dasse un xoMj |;,i nome , fuor dei R om ani, anche al prigioniero 689 Tigrane , quando per Roma lo conducev in trionfo. Fraate , sebbene temesse Pompeo e si studiasse di renderselo benevolo , con tulio ci sofifii tal cosa di m al. animo , quasi come c o lu i, che del suo proprio regno Tenisse privato j laonde per mezzo di ambasciatori lagnossi di tutte le ingiurie ricevute, e gli proib di non passar T Eufrate. Ma non avendone ricevuta alcuna mite risposta, subitamente sul cominciar della primavera , essendo consoli in Roma Lucio Cesare e G. Figulo, inti'aprese la spedizione contro T ig ran e, servendosi a ci del costui figliuolo, eh' era suo genero; e vinto da prima in un combattimento , re* st egli poscia a vicenda superiore al nemico. Ma implorando Tigrane l ajuto di Pompeo , che stava in Siria , Fraate mand nuovamente degli ambascia tori a Pompeo , condannando lui stesso per molte cose, ed accusando i Romani a segno che fece ar rossire e temer Pompeo medesimo. Esso adunque e non rec soccorso a Tigrane , e non esercit in se guito veruna ostilit contro Fraate , adducendo que ste ragioni, cio , che slmile spedizione non gli era stala comandata dal popolo romano, c che Mitridate stava per anche sull armi ; ed in oltre che esso era contento delle cose gi fatte , n voleva iiilraprcnderne altre , acci , mentre bramava da vantaggio , non provasse la fortuna contraria , come Lucullo. Cos andava egli discorrendo , e diceva esser cosa perniciosa i desiderj soverclii , e Cnalmente couchiu-

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deva che contr ogni giustizia si desideravano le altrui sostanze j ma per diceva questo quando pi non poteva ottenerle. Di fatti temendo egli le truppe 689 di quel P a r to , e dubitando della incostanza delle umane co se, non intraprese quella guerra j quan tunque molti lo instigassero a farla. Minorava poi a forza di belle parole le accuse dategli dal Barbaro , non gi col far vedere il contrari, ma semplicemente col dire che v era con costui e Tgrane una lite rispetto a certi conGai, e eh egli avrebbe spe diti tre uomini per deciderla. Li mand adunque , e quei re aggiustarono ogni diiTerenza che aveano tra loro per mezzo di questi, come se in realt gli aves sero richiesti per arbitri : e Tigrane s'indusse a ci mosso da sdegno, perch non aveva ricevuti i soc corsi ; e Fraate , perch voleva che anche Tigrane fosse salvo, dell'ajuto del q uale, se il bisogno lo avesse richiesto , egli si sarebbe potuto servire cn tro i Romani. Era bea noto ad amendue che qua lunque di essi fosse rimasto superiore all' altro , e si fosse impadronito del tutto , avrebbe avuti con trari i Romani , e pi facilmente in loro potere sa rebbe stato ridotto. Persuasi adunque da questi mo tivi , ritornarono amici a vicenda. Pompeo in quel tempo stava ne'quartieri d'inverno in spide (1) , e non solo si rend soggette alcune parti di quella re gione , che sin qui erangli state contrarie ; ma prese anche il castello Siuforio (2) per tradimento di Stra(*) (3 ) I Orlelio. P lu ia rc o , n Appiano iono meazioac d i qaeslo castello.

a 12

tonica. Era questa Stratonica moglie di M itrid ate, contro del quale essendo ella piena di rabbia, perch 689 da lai era stata abbandonata, avendo mandate fuori alcune guardie sotto pretesto di andare a cercare delle vettovaglie, ricev dentro i R om ani, quan< tunque il di lei figliuolo (i) ** *** n per questo solo Cesare fu lodato in tempo cb' era Edile (2) j ma ancbe per aver fatti in una son tuosissima maniera i giuochi romani ed i giuochi megalensi (3) ; e perch con grandissima magniGcenza avea dato lo spettacolo d un combattimento di gla diatori in onore del defunto suo padre. (4). Le spese per simili cose aveanle contribuite in comune, parte esso ed il suo collega M. Bibulo , e parte esso solo privatamente: ma egli in tutto questo spicc a segno che appropriossi la gloria anche dell' altro , e fu ere*
( i ) Mancano in questo luogo non tanto qaetle c o s e , che Ap p ia n o , racconta di Sifare figliuolo di Stratonica e d i M iird a te, quanto alcune a ltre . (a) Le parole in carattere corsivo tono stata aggiunte per mag giore intelligenia del lesto , che anche in questo luogo i mancante. Si parla qui di C e sa re , quando era e d ile , c io i quando aveva il governo dei pubblici e d ifij. Intorno alle stupende opere fatte fiir d a lui per ornamento della citt j si legga S v e to n io , in C aesart ,

cap. IO.
(3) I giuochi ro m a n i, delti anche giuochi g r a n d i, ludi m agni, furono instituiti d a T arqainio Prisco , e si celebravano per tre giorni, cominciando dal di 4 settem bre, in onore di Giove e di Minerva. J giuochi megalensi poi si facevano il d'i 4 aprile in onore della gran madre degl iddii Cibele portata da Pessinunie l anno di Ru ma 5 4 9 - Pighii annales ad A . 549 Pitisc. in L udi. ( 4 ) F la ta r c o , d ic e , che vi furono 33o coppie di gladiatori.

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cluto che esso solo avesse iutta tutta la spesa. In questa occasione Bibulo disse scherzando eh era a " ' lui intervenuto come a Polluce , il quale quantun- tSg que avesse un tempio comune con Castore , contutleci soleva qnesto chiamarsi solamente di Castore. Tali cose , a dir vero , tenevano in allegria i Ro mani ^ ma dall' altro canto venivano anche grande mente atterriti dai prodigj j imperocch sul campidoglio molte statue erano state liquefatte da un colpo di fulmine ( i ) , e fra gli altri simulacri, an che quello di Giove , che stava sopra una colonna j ed in oltre l effigie della lupa con Remo e Ro molo , quantunque ben ferm ata, ra caduta ; e di pi eransi confuse ed oscurate le lettere delle co lonne, sopra le quali si scrivevano le leggi. Riguardo agli altri prodigj fu posto in esecuzione tutto quello che prescrissero gli Aruspici 5 ma fu dato ordine che si erigesse a Giove una statua pi grande , rivolta al Sole nascente ed al F o ro , acci si scoprissero le congiure , per timor delle quali si stava in agita zione. queste cose furono falle in quell'anno. In oltre i censori (2), che contrastavano fra loro in torno a quelli, i quali abitano di l dal P (mentre 1' uno decretava che si dovesse accordare ad essi il dritto della cittadinanza , e 1 altro lo negava ) non fecero cosa alcuna neppure nel resto , ma rinunziai-ono la carica. Per tal motivo anche i loro succes(i) Julius O hsftjuens, eap. m ap, 30 et Catilinaria 3 ) $ 8

C ie. da Diviiialione, H i.

^3) Questi erano M . Cras>o e Q . L uU to Caiulo.

2 i4

AfK, jQpj 3QQQ seguente nulla fecero , mentre i triKom della plebe impedivano loro di far la scelta del 689 Senato, per timore di non decadere essi medesimi dalla dignit senatoria. In questo mezzo tutti i forestieri, c te soggiornavano in Roma , all" eccezione degli abi tanti di quel paese , che adesso chiamasi Italia , fu rono cacciati dalla c itt , essendosi promulgata a quest effetto una legge (i) da un certo Cajo Papio' tribuno della plebe , perch erano in troppo nume ro , e non pareva che fossero atti a' coabitar coi Romani.
C apitolo II.

Della morte di Mitridate.


690 Nel seguente anno , essendo consoli Figulo e L. Cesare , accaddero , vero , poche cose , ma per degne che se ne faccia menzione , per gl' inopinati eventi delle cose umane. In fatti e c o lu i, che per commissione di Siila avea messo a morte Lucrezio (2), ed un altro uccisore di molti proscritti da Siila , chiamati in giudizio come rei di commessi omicidj , n ebbero il meritato supplizio , essendone il promo( 1 ) Diaapprova Cicerone questa legge, IH - 3 de O fjlc is, eap. a. (a) Questi Lucretio Ofelia m edesim o, per opera del quale principalmeoie Siila areva espugnata Prencste ( oggi Palestrioa ) , e &uperatio Mario : e fu fatto uccider da S iila , p e rc h i coolro la stia T o l o D l avea avuto ardire d i chiedere il consolato, T ito L tio E p i tom e 89 .

2 i5

tore in ispecial modo Giulio Cesare. la tal guisa senza dubbio quando le cose si cangiano , restano privi il pili delle volte di ogni possanza coloro , clic 690 per qualche tempo poterono mollissimo. N sola mente accadde questo oltre T espettazione di m o lti, ma altres che Catilina accusato per la stessa causa, mentre ancor egli aveva uccisi molli proscritti, fosse assoluto in giudizio. Costui per essendo divenuto quindi pili scellerato e malvagio , questo finalmente fu il motivo , per cui and a perire. In fatti essen do consoli M. Cicerone e C. Antonio , nel qual Qqi tempo ai Romani nou sovrastava pii alcun pericolo per parte di Mitridate , mcntr erasi data da per se. stesso la m orte, Catilina si accinse a mutar lo sldto della repubblica e suscitati contro di essa i confe derati, pose i Homani in terrore di una non piccala guerra. Queste cose adunque in tal guisa passarono. Mitridate poi non cedendo ancora ai sinistri acci denti , e guardando pi a compire i proprj disegni , che alle sue forze e ci per molti motivi , ma spe cialmente perch Pompeo stava nella S iria , avea determinato di andar per gli Sciti all'Itro (i) 'e di qui fare un'irruzione in Italia. Era costui un nomo, nato per far cose grandi, il quale avendo spessissime volte provata la prospera e la contraria fortuna, giu dicava , che tutto tentar si dovesse e non disperar mai 5 ed in oltre era d avviso , quando dall esito fosse rimasto deluso , di dover piullosto perire in(1) Fiume giaadMin di Earopa, ohe in oggi chiamati il Danobia.

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sieme col regno , mentr era per anclie d animo iaRoud v itto, che decaduto dal regno vivere in .u n o stato 691 abbietto e nella ignominia. Si conferm adunque in questo proposito; imperocch quanto pi era rifinito per la debolezza del corpo , tanto pi forte compa riva per la robustezza dell animo , dimodoch col consiglio di questo soccorreva l'impotenza del corpo. Ma coloro, chegli avea seco, corroborandosi sempre pi le cose dei R om ani, ed indebolendosi quelle di JMitriclate, al quale anche , oltre le altre disgrazie , erano state ruinate molte citt da un terrem oto il pi forte che a memoria d' uomini fosse mai stato , si separarono dal re-, ed in oltre i soldati si levarono a tumulto e certi di essi presi alcuni figli reali ( i ) , portaronli a Pompeo. Mitridate fatti arrestare alcuni autori di smili attentati, li pun coll' ultimo suppli* c i , dopo averne pien d'ira tolti altri di mezzo per solo sospetto, imperocch pi non si fidava di chic* chessia, di modo che trucid perfino alcuni de' suoi rimanenti figliuoli, che, gli erano divenuti sospetti. Vegseudo tali cose Farnace , figliuolo anch' esso di M itridate, tram insidie al proprio suo padre, parte perch ne aveva timore riguardo a se stesso, e parte perch sperava di ottenere egli medesimo il regno , essendo ormai alla virile et pervenuto. Ma siccome molti e alla scoperta, e di furto cercavano di saper
( i) A p p ia n o , racconta , che Artaferne, C ir o . D a r io , S e rse ,' ed Ossatre figliuoli di M itridate, ed Orsabari ed E upatra di lui 6 glie si diedero in mano dei n em ici, e furono condotte a P o m p e o , ed egli se ne se rti per accrescer la pompa del suo carro trionfale.

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quelle cose , cbe la lui venivano fa tte , quindi scprissi il delittoj e subito ne avrebbe pagate le pene, se le guardie avessero avuto pure il menomo avanzo 691 di benevolenza verso il vecchio. E qui Mitridate , quantunque sapientissimo in tutte le parti coucer nenti T arte del regnare , non rflett nondim eno, cbe a nulla servono n le a rm i, n la moltitudine de sudditi senza la loro benevolenza \ e che anzi queste medesime c o s e , se manca la fed elt, pi sono , pi riescno perniciose. Farnace adunque es sendosi con grandissima facilit guadagnati gli animi di coloro, che il padre avea mandati per arrestarlo, si port in compagnia di questi e di quelli che gi prima avea messi in ordin , dirittamente contro il suo medesimo padre. Egli in allora stava presso i Panticapei (i) ; ed intesa una tal cosa , mand fuori alcimi soldati ad opporsi al figliuolo , con animo di seguirli quanto prima egli stesso: ma questi ancora, siccome non avevano maggior affetto per Mitridate , furono da Fam ace senza difficolt sovvertiti; e costui avendo occupata la citt, che era daccordo, uccise il padre (2), che nella sua reggia erasi rifuggito. Avea fatta ogni sforzo Mitridate, onde privar di vita se stesso ; e fatte prima morir di veleno le sue mogli e gli altri suoi figliuoli, esso avea tracannato il resto;
( 1) Abiliinii d Doa citl del ChersonneM T a a r i c o , cbe c b ia n a Tosi Pao ticap ea , e cbe ia oggi , seooodo il N e g ro , viea detta Vo*pero. (a) C idi fu cagioo* della ana morta , come si tilcTa da c i , cb egua.

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ma n col veleno , n col ferro che s immerse nel se n o , pot egli morire : imperocch colla sua so6 9 ' verchia cautela, e coll'uso quotidiano ch'egli faceva dei rimedj contro i veleni, avea fatto si , che quel veleno, quantunque m ortifero, per lui non fosse fatale (), ed il colpo datosi col ferro non era stato molto forte , attesa la debolezza della mano attratta dall'et e dai sofferti disastri , come anche dall'uso che in ultimo faceva di qualunque veleno. Non avendo egli adunque potuto darsi da per se stesso la morte e sembrando , che pi del prescritto tempo sopravvivesse , quei medesimi , eh' egli avea mandati contro il fighuolo , entrati dentro impetuosamente con ferri e con lance , gli accelerarono la morte. In tal guisa M itridate, che sempre aveva avuta la fortuna ora prospera , ed ora contraria , ed in am bedue gli aspetti in sommo grado , non fu tolto di vita da una morte sbiplice : imperocch egli contro sua voglia si' approssim alla medesima , e quando volle darsela da per se stesso, non pot 3 ma peri parte di veleno e parte di ferro , con cui fu ferito e dalle sue proprie mani , e da quelle degl' inimici. Farnace mand a Pompeo il corpo di Mitridate im balsamato , in prova del fatto (2) : dando al tempo
(i) yenenum metunns , antidata socpiii biht, et Un sf aiurrsus insidias eiquisilis tuliniibus remedit stagnava , ut ne voUns qui dem senex veneno mnri polu erit, Justin. U. Z"] , cap. a . Intoroo poi agli anlidoli ili M iuid ale veggnsi C cU o, lib. 5 , eap. a3 ed il P . Ariiuino, ad PU h - Itb. a3 , eap. 8 et lib. u5 , cap. a . (aj Veggati IM uU rco, iti Pompeja. I l medesimo f l u U r c o rifc

219 stesso nelle di lui mani e la sua propria persona, ed il regno. Non fece alcuna ingiuria Pompeo al cadavere di M itridate: ma ordin, che nel sepolcro de suoi 6 9 1 maggiori fosse riposto 5 imperocch , siccome credeva che insieme colla vita fosse rimasto spento anche il di lui animo ostile , cos fu anche d avviso , che non convenisse adirarsi inutilmente contro di ua morto. In premio per del parricidio diede a Farnace il regno del Bosforo (i) e lo annover fra gli amici ed alleati dei popolo romano. Cosi adunque fu tolto di vita Mitridate e tutti i luoghi del suo reame , al1 eccezione di p o c h i, furono presi. I governatori poi di certi castelli situati al di l del Bosforo non s erano per anche a rre si, e ci avevano fatto non per volont di far resistenza , ma per timore , che , se altri avesse rubato il d an a ro , di custodire il quale era stata data loro la cura , essi medesimi non ne venissero incolpati. Mossi adunque da tali cagioni stimarono bene di aspettar Pompeo e di consegnare a lui tutte le cose.
r i s c e , che Pompee non volle vedere il cadavere di M itrid ate, sic com e Cesare ioseguiio ooD volle veder qnello del medesimo Pompeo. ( i ) lotendasi del Bosforo C im m eria, come si vedi altrove. Q u e sto Bosforo in oggi rbiamasi lo stretto di C a fla , o Becca di s. G io v a o n i, tra il M ar Maggiore , ed il mar della T an a.

220

C a p i t o l o III.
Della guerra giudaica , e dei Giudei,
Pom peo, dopo avere ultimati gli afTar di <pelle regioni , e poi che si stava quieto Fraate , e la Siria e la Fenicia erqno ben stabilite e consolidate , si volse contro di Areta (i). Teneva costui il regno di queir A rabia, che adesso sei^e ai R oniani, (Ino al Mar Fvosso ; ed avendo negli scorsi tempi vessata frequentemente la Siria, era stato vinto dai Rom ani, j quali eransi portati a difender I9 medesima Siria ; ma nondimeno faceva per anche la guerra. Pom peo intrapresa la spedizione contro di l u i , ed i suoi confinanti, con non molta fatica li ridusse tu tti in proprio potere e li fece guardare. Di qui se n and nella Siria Palestina , perch gli abitanti di questa regione aveano infestata la Fenicia. Erano al comando di quella Ircano , ed Aristobulo , fratelli : m a ib al lora essendo per caso in disscnzione tra loro a ri guardo del sommo Sacerdozio (a) concernente il loro Dioj qualunque egli fosse (3 ) , tenevano con sedizioni

( i ) Costui era re dell Arabia P e lre a , e ne parlano R aniero Rei n e cc io , //ist. Jul. ioin. 3 e Crisloforo Sigismondo L ie b e , in Gotha

tmmmaria.
^ a ) Secondo P insliinlo mosaico il sommo Sacerdote e ra soggetto al principe, E xod. lib. 4> 'I ' m antenne a n c h e salto i re : ma dal tempo de Maccabei il principato si uu'i col sacerdozio, Joseph, de bello Judaico, U t. i , cap. 3. ( 3 ) 8i*avTerU essere un gentile che parla.

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le citt agitate e sconvolte (i). iPompeo ridusse subito in suo potere Ircano senza combattere , non avendo costui sufficienti milizie ; Aristobulo p o i, as> 691 sediatolo dentro una certa fortezza, lo costrinse a ricevere le condizioni di pace. Ma siccome esso non consegnava n i d enari, n la delta fortezza, quindi lo pose in ceppi ; ed in questa maniera assoggett agevolmente anche gli altri. L'oppugnazione poi di Gerosolima gli cost non poca fatica. Ricevuto egli dai partigiani d Ircano ottenne , a dir vero , facil mente la stessa citt ; ma il Tempio , cb' era stato occupato dalla gente delP altra fazione, fa da lui preso non senza stento e travaglio. Era esso situato sopra un luogo eminente (a ), munito di sue mura glie ; n se 1 avessero in tutti i giorni convenevol mente difeso , sarebbe stato espugnato giammai ; ma siccome nei giorni che essi chiamano di S atu rn o , nei qLali si astengono da ogni opera , ne tralascia vano la difesa, diedero agio ai Romani in quel libero spazio di abbattere il muro (3 ). Avendo questi fatta attenzione ad una tal costumanza , che avevano gli inim ici, negli altri giorni non fecero daddovero azione -veruna ; ma quando poi fattosi il giro della settim ana, ritorn il giorno di Saturpo , allora eoa
( i ) Lo tesso G io ie p p a , Anliq. lib. , cap. 8 ( da iella Jitnon n e g a , che il reciproco idegao di questi d u e fratelli ridasse i Giudei in poter dei fiom aai. (a) Si riscontri anche S tr a b e n e , lib. 16. ( 3) Ci vien confermato auche da (Giuseppe U b> i 4 i eap. 4 e < 1* F lu tarc o , lib, de Supertlitione.

iaico, lib. I, eap. 5

a22 tutto lo sforzo diedero al Tempio T assalto. E cos finalmente i Giudei , nel giorno stesso di Saturno , 691 non facendo alcuna difesa, vennero in potest dei nemici (i). Allora, dopo essersi depredato il danaro, fu dato il regno ad Ircaao e venne condotto via Aristobulo. Queste cose si fecero in quel tempo nella Palestina , col qual nome anticamente cfaia* mavasi tutta quella regione, cbe dalla Fenicia si estende fino all Egitto lungo il mare Mediterraneo. Ha per la medesima un altro nome straniero ; im perocch la stessa regione chiamasi Giudea , ed i popoli portano il nome di Giudei j n io so donde avesse principio un simil cognome {a) , che lo por tano anche altri uomini , i quali vivono secondo la loro legge, quantunque stranieri. Tal razza d'uom ini ti'ovasi anche fra i Romani 5 e bench spessissime volte sia stata scem ata, ci non ostante si accre sciuta a segno , che giunta alla libert d far uso de proprj suor riti. Sono differenti dal resto degli uomini quasi in tutte le altre cose , che riguardano la maniera del vivere, ma principalmente in q u e s to , che non venerano alcuno degli altri iddii , m entre uno solo con somma divozione ne adorano. N eppure ebbero essi giammai in Gerosolima alcun sim ula( ') l U jerio, ad an. 4C5i t'tff ante Chrulum n a tu m 6 a. ( 3 ) Mou dft tlupirsi , se ci non fu nolo a D io n e , m e u ire a n c h t g\i altri scrittori romaoi narrano osciitamenle le cose g iu d a ic h e . Si deve perb ammirare il nostro istorico che iogenuam eaie coiifessa | a sua igaorauza iu quel cbe non sa.

223 ero (i) ; e giudicando quel loro Dio , ineffabile (2) e privo di forma visibile , nel cullo religioso che gli prestano , superano tulli gli altri mortali. Fabbrica- 691 Tono al medesimo un Tempio di mole smisurata e bellissimo , ma per scoperto e senz alcun tetto (3 ) ; e gli dedicarono il giorno , che chiamasi di Satur> no (4), nel qual fralle cose che essi fanuo , ve no sono molte di singolari, ma in isperinl modo que> sta , cio , che da qualunque opera assolutamete si astengono. E qual sia questo loro Dio, donde abbia comincialo a venerarsi in tal guisa e quanto sia teliiuto da loro , stato detto da molti e non ap par tiene a ir istoria presente. Rispetto poi al riferirsi i giorni a quelle sette stelle , che si chiamarono pia neti , ci fu d istituzione egiziana (5 ) , e si spai-se poscia fra tutti gli uomini e gi da antichissimo
(1) T a c ilo , Uh. S. Ilist. cap. g cos dice: Bomannrum primus Cn. Pompejus Judaeos domuh , templumque jure uicloriae in^rcisus e$t. Inde vul^atum , nulla iiitus Drum effigie , 'vacuam sedem, et inanit arcana-, ed al lib. S, cap. 5 : NuUa simulacra urhibus iuii, nedum templi tunt. L u c a n o , lih. v. 691. Dedita saoris in certi Juduea Dei.... Si possono anche, riscontrare lictio F a b r o , lib. 3 Semestrium, c G io . S e ld e o o , de Jure Nat. Uh. 1, e. 6 . 7 8 . Vengasi Pietro Galatlno , lib. 1 arcan. Calholicae veritalis, eap. I O , e G io. Drusio , in telrogrammalo, cap. J et srqq.

in IH. l y e non del m e , Fior. lib. 3 , cap. 5 .

(3 ) Questo pi deve iutendersi dell a t i i o , come noia Procopio S a n tu a rio , le di cui volle erano do

( ) ) Si esprime Oioue in una maniera conforme all opiulone ed I l o stile d e suoi tem pi. Ma egli certo p e r , cbe Saturno uoa a v e a che far nulla col cullo d e G iiidei, e che con lal nome presso lo ro 1100 chiamasi il S a b a to , l hilo lib. de Si-plenario. ( 5 ) Veggasi tanasio K itkcr , in Prodromo Copio.

2^4

tem po, coni io vado congetturando ; imperoccb p e r quanto io s o , un tal costume non fu noto agli 691 antichissimi GrecL Ma giacch il medesimo i-egna adesso generalmente presso tutti gli altri uomini, ed in particolar modo presso i Rom ani, i quali lo cisguardano ormai come di lor patria , esporr i a poche parole , in qual maniera fu esso introdotto. Due sono le maniere, che io ne ho intese dire, p e r altro non tanto diiBcili a comprendersi , ma che, per vogliono essere appoggiate ad una tal qual ri flessione. E d infatti se taluno trasferir quell' armo nia-, che chiamasi diatessaron ( 1), la qual si crede y che abbia il principal luogtp nella m usica, la trasfe rir , dico, anche a questi pianeti (de'quali si form a tutto r ornamento del cielo ) in modo , e come r i chiede r ordine dell avvolgimento e giro di ciascuno di essi j e principiando dall ultimo cerchio, che a t tribuiscono a Saturno (a ), e dipoi passando i d u e ' cerchi che segnono pi prossimi a questo , c o n te r la sostanza che presiede al quarto e di nuovo d a questo , lasciati i due pi prossimi al medesimo y verr al settimo cerchio e nello stesso modo p e rc o r rendo gli altri, assegner per ordine a ciascun g io rn o le sostanze regolatrici di quelli, costui trover, c h e
( 1) C io t U coDionauxa di quarta. Egli certo , che i p i tl a g o r ic ilribuivano ai cerclii celedi un' a rm o na, ed ud c o o ce o to , c io k dire uu ordine metodico di moti e di d iita n x e , y ic to rin . iib . 1 . A n i Grammaticae. JYieomaeh. Geraten. Uh' a harmonicorum. ( a ) Conreogono gli E gixiani, i pittagorici, P la to n e , T o lo m m e o , ed anche i pi m o d ern i, che Saturno sia il pianeta il pi d i t n l c dalla T erra.

22 5 ttilli i giorni con una certa musica legge corrispondono a ir elegantissimo ordine celeste ; e questa la prima maniera che si dice (i). L' altra poi la se- 691 guente : numera le ore tanto 5 el giorno , quanto della n o tte , cominciando dalla prima {a) ; assegna questa a S atu rn o , la seconda a Giove , la terza a Marte , la quarta al S o le , la quinta a Venere , la est a Mercurio e la settima alla Luna , secondo l ordine dei cerchj, che danno, si d dagli Egiziani nel modo che da me stato esposto. Fatto ci per alqaante volte , finito che avrai il giro delle ventiquattr o r e , troverai, che la prima ora del giorno seguente tocca al Sole -, e cos se regolerai nella stessa guisa anche le ventiquattr' ore di questo gior n o , riferirai alla Luna l'ora prima del terzo giorno; e se al medesimo modo percorrerai similmente gli altri giorni, ogni giorno avr la sua corrispondente sostanza {3). tali cose in s fatto modo si dicono.
( 1 ) Per iatelligenza di qaanto qui viea detto dal nostro IstoricOj d uopo oouoepir situali i pianeti coll ordine seguente, cio Satu rno . Venere. Giove. M ercurio. M arte. L una. Sole. F a tto questo , ognun veda , che incomiocianda da S a tu r n o , e sal ta n d o successivamente due in term edj , il primo giorno dies Solis D o m e n ic a , il secondo dies Lwiae - L u n e d i , il terzo diet M u n ii M arted ec. (a) Intorno alla dottrina egiilana di far presiedere i pianeti ai giorni ed alle o r e , si cimsulti Paolo Alessandrino, Jtagoge in jtpotelr.tmaiicen Gratee et Latine edita Vitebergoe 15 8 7 4 (3) Si concepiscano imilmente i pianeti situati c o ll'o rd in e g ii d e tto alla nota i .
D io s s , tomo I . i5

226
Capitolo
JO M .I

IV.

691

Del ritomo di Pompeo a Roma.


Ultimate eh'ebbe Pompeo tutte queste cose, se ne torn nel Ponto , e ricuperati i castelli, si trasfer in A sia, e quindi per la Grecia in Italia. Egli cer tamente riport vittoria di parecchie battaglie j e dei sovrani e dei re , parte ne debell, e parte a certe condizioni se li fece alleati ; accrebbe di coloni otto citt ; procur molte rendite al popolo romano ) co stitu la maggior parte di quelle nazioni , che per r Asia erano dei Rom ani, ciascuna colle sue leggi, ed in forma di repubblica , dimodoch anche in oggi vivono con gli stessi statuti. Tutte queste cose p er , quantunque grandissime , e non fatte da vem n' altro Romano prima di lu i, le attribuisca pure taluno alla fortuna , ed a quelli, che militarono sotto di lui. Ma io dir adesso una cosa , eh' tutta propria di Pompeo , e degna al tempo stesso di grandissima ammirazione. Di fatti avendo egli il supremo co mando per terra e per mare , ricavala avendo dai prigionieri immensa quantit di danaro , essendo suoi amici molti sovrani e re , cd attaccati a lui pe' beneficj loro compartiti, ed afiezionati a se stesso tutti generalmente i popoli, sopra i quali aveva avuto do minio , e potendo assoggettarsi l Italia , e far sua la somma delle cose romane , mentre la maggior parte dei cittadini lo avrebbero di buon grado accolto , e quelli che si fossero opposti, avrebbero ceduto at-

227 tesa la lor debolezza, contiittoci si prefisse di non fare alcuna di queste cose; ma anzi appena fu giunto a Brindisi , licenzi spontaneamente tutte le tru p p e, 6^i senza cbe n dal Senato , n dal popolo si fosse ci decretato ; e stim bene di non servirsene neppure pel suo trionfo: imperocch sapendo egli in quanto abbominio avevano i cittadini le cose fatte da Ma rio e da Siila , non voleva dal canto suo produrre in essi il timore nemmeno di pochi giorni, ne' quali avessero tremato di dover soffrire le medesime cose. In oltre egli stesso, quantunque avesse potuto pren* dere molti cognomi (i) di tante imprese fette , contuttoci non se ne prese alcano. Accett per il trionfo magnificentissimo, secondo il solito, che gli fi d ec re tato , quantunque dalle leggi dei maggiori gi fosse stato stabilito che ntuno trionfasse senza coloro , che in sua compagnia avevano riportata la vittoria (a) ; e fece un solo trionfo per tutte insieme

( i ) C o m e , S ira c a , P o n lic o , C o lch ic o , Ibcrco, o rmenico ec. (a ) Pumpeo aveva gi licenaialc l 'e i e r c i t o ; del reato era stile , c h e i a d d a t i aacb esM corooati d a llo ro , e adorni d e premj mili ta r i accompagoaiisero in trionfo il lor com aod am e, cantando le di lui l o d i , Sigoa. M . a de Jure fromucianun ^ ctp . lo . Trionf Pofqpeo per dua giorni , e u eo d o in el di anni 35 e conduMB le gati a l su o carro i satrapi dei r e , i d a c i , i figliuoli ( o come pri gionieri , o come ostaggi che tutti ascendevano al numero d i 3 io . V i c o n d u sse anche T ig ra n r, il figliaolo , con la sua aioglie, figlie, e a a d r c chiamala Zosime ec. Plutarch . i/t Pomprjo, E questo fu fl te rs o trionfo di P o m p eo, mentre aveva gi trionito altre due v o lte : la prima , in tempo e h era per anche cavaliere, quando ri~ (o rn d a iP frica n t!l anno d i fioma 6 7 S ; e i a se co nd a, q u tn d *

228
le guerre, nel qiiale vi fece entrare e molti altri trofei adorni in bella maniera per ogni sua bench 691 menoma impresa , ed uno pi grande di tutti gli al> trij preparato con sommo dispendio, che aveva que sta iscrizione d e ll' umvERSO. ^ o a prese verun altro cognome, ma fu conten to del cognome di Gran de ( i ) , che prima di queste imprese erasi di gi ac quistato : e di pi non si maneggi eccessivamente , p er procurarsi alcun altro onore soverchio ; ed una sol volta in tutto fece uso di quelli , che a lui in tempo eh era assente furono accordati (2). Erasi fatto decreto che in tutte le feste solenni egli avesse la corona d 'a llo ro , e che portasse il paludamento (3 in queste e la veste trionfale ne giuochi equestri. E simili cose gli venivano accordate per opera spe> cialmente di Cesare anche contro il sentimento di M. Catone (4). Di Cesare gi si detto chi egli

rilom dalla Spagna , eueodo similmeule aacor cavaliere, un giorno prim a di esser fallo consolo alle calende di gennaro , 1 anno d i fioma 6 8 4 ( I ) Il cognome di Grande fu dato a Pompe da S iila , dopo av er debellato Domiiio nell Africa, come raccoula P l u t a r c o , il qoale aggiunge ancora , che esso cominci a fam e uso dopo la v itto rik epagnuola. (a) ^bsente C n. Pompejo, T . A m piut, et T . LaUenus trihuni plebit iegeni tulerunt , ut it ludis Cireeruibus corona laurea , et om ni cu/tu triumfhantium uleretur , tcenicii itiUem pratexla , eoriy~

naqua aurea. JJ Ma non pliu tjuam te m e i, et hoc sane nim iw n f u t i , uturpare suitinutt, Vellejas li6. a , eap. 4*(3) Sorta di veste , con cui i comandanti andavano alla guerra , ^ ie u p o o r , /{il. Rnm. irei. 6 , eap. I , 3. (4) Era questi M . Catone it m inore, la di cui vita staM scritta da P lu ta rc o , siccome anche quella del d ilui bisavolo M . P o rc i*

229 fosse , come favorisse la plebe , e come , quantuaque per altro si fosse preGsso tli rovinar Pompeo , coututtoci se r obbligasse ia quelle cose, le quali 691 contribuivano a guadagnarsi il favore del popolo e ad accrescere il suo potere. Cotesto Catone poi era della famiglia de' Porcj , imitatore in tutte le cose di quel gran Catone , se non che lo super nella pratica della greca letteratm-a (1). Intento egli a pro muovere con tutto r impegno il popolare governo , non ammirava giammai un uomo solo , amava mol tissimo la repubblica j e per lo contrario odiava tutti q u e lli, i quali primeggiavano sopra gli altri , sospet tando che costoro volessero dominare. Mosso dalla compassione della debolezza si compiaceva di tutto ci che era popolare e superava o^ni altro nell af fetto che aveva pel popolo , e contrastava libera m ente per la giustizia anche con suo proprio peri colo. tutte queste cQse le faceva egli non per b ram a di acquistarsi potere , gloria, o qualche altro o n o r e , ma solamente per trarre una vita libera e
C a to n e , il maggiore. Veggasi il grande e bellissimo elogia , rhe ne ia V e l le j o , Uh. a , oap. 35. Nel celebrare il medesimo gareggiarono m o lti iugegoi , come Cicriuue , a cui Cetare oppoiie i suoi A ulicato n i , e il di lui genero M Bruio , contro il quale scrisse Augusto. I n to r n o poi alla famiglia Porcia vengasi Gi- Gtaudorpiu , che eoa o m m a diligeata ne ba sc ritto , in romitno Onomastico. ( i ) C ic e r o n e , Cai. iHaj. ca p . i e< 8 , et Lucul. sive jtcndem. lib . Q , Cornelio Ncpote , l 'i t Cai. cap. 3 , V alerio , M a ss im o /ib. B, cap. 7 , Pl.utarco , Qiiiuliliano , L/i la , cap 1 1 , ed A urelio Viuoro , dn i^iris iH uH rihui, cap 47 , tulli coufioidem e n te a tte s ta n o , d ie Catone il maggioce i diede nella veccbiaja a llo s tu d io (iella ln.gua greca.

a3o
icura dalla tirannia. Fornito di tali costumi venne in allora per la prima volta nella repubblica, e parl contro il sopraddetto decreto, non gi perch avesse inimicizia con Pompeo , ma solamente perch quello era contrario agli antichi statuti. Tali cose adunque furono accordate a Pompeo in tempo della sua as senza , e nulla gli fu aggiunto alla sua venuta ^ il che per non v' ha dubbio che i Romani lo avreb* bero fatto , se esso avesse voluto. Di fatti anche ad a ltr i, i quali avevano avuto un comando di gran lun ga pi picciolo di quel di Pompeo , avevano spesse volte accordati mojli e strabocchevoli onori ; quan tunque si sa di certo che ci lo fecero loro malgradp. Non era ignoto a Pompeo che tutte quelle cose, che dal popolo si accordavano ai potenti ed a quelli eh' erano in supremo comando, quantunque venissero decretate dal generale consenso, coututtoci facevano sospettare che fossero state estorte dalla forza e dall artificio dei polenti medesimi : e sapeva molto pi che le medesime non recavano alcuna gloria a quegli cui conferivausi , quando da tali venivano , che non di proprio volere, ma per forza le davano, e quando si vedeva^ che erano offerte non per benevolenza , ma per adulazione. Egli pertanto non diede assolu tamente il permesso ad alcuno di proporre cose di simile sorta , dicendo esser meglio di cos fare che non sarebbe s egli ripudiasse gli onori , che gli ve nissero decretati : imperocch il ricusar quelle c o s e , che dai superiori o dagli uguali vengono oHerte , va unito con V odio di quel magisCrato che ha fal'.o il

a3i
decreto , ed anche coll orgoglio e col dispregio ; laddove per lo contrario nell altra maniera di condursi h avvi, non per ostentazione, ma realmente , il ere- 691 dito e la sostanza di un animo popolare. Quantun que pertanto avess egli ottenute le magistrature ed i comandi quasi tutti per modi diversi da q u elli, che portavano le leggi ricevute dagli antenati, contuttoci non accett quest altre cose , con le quali non faceva giovamento n agli a ltri, n a se mede simo ; ma anzi v era apparenza di credere che si sarebbe tirato addosso l odio ed anche l invidia di quegli stessi, che gliele avessero ofierte. E cosi passarono in allora queste cose. Nel resto dell anno i Romani respirarono dalle guerre , dimodo che ri peterono 1 augurio di Salute, che per molto tempo e ra stato intermesso. questa una specie di divina zione , con cui si tenta di sapere se Dio conceda di chieder la salute pel popolo, quasich fosse empiet il dimandarla primach venga accordata. Una simile divinazione celebravasi ogni anno ia un tal giorno , n e l quale niun esercito fosse partito per la guerra, e niuno avesse schierate contro Roma le truppe , o com battuto contro la medesima j e per questo mo tivo non celebravasi nei pericoli imminenti , e prin cipalm ente in quelli di citt (i): era per altro diffi cilissimo pe Romani il m.inlenersi un sol giorno esen ti da simili cose ; ed inoltre era molto assurdo e ridicolo che dimandar volessero al Dio con tanta
( i ) Si rifcoDUi il P itiic o , in fo c . augurium et<

232 istanza la salute , quando nelle sedizioni si aOliggeiioM A vano fra ]oi<o a vie enda d'indicibili m ali, di modo 6 9 1 che o fossero vinti o vincessero , si sarebbero tro vati sempre nelle miserie. Ma in allora pareva che prender si potesse un tal augurio ; e ci non ostante non fu schiettamente com pito, imperocch alcuni uccelli fuor delle lor sedi volarono (1); e quindi si dov replicar l'augurio. Vi furono in olti'e anche al tri segni contrarj , menti'e caddero molti fulmini a cielo sereno , con tremito grande si scosse la tetra, in molti luoghi apparvero degli s p e ttri, e da occi dente s' alzarono in alto verso il cielo delle strisce di fuoco, in modo che anche gli uomini i pi voi- gari anticipatamente presagivano quanto da simili se gni era pronosticato. In fatti i tribuni della plebe si unirono col consolo Antonio , che coi lor caratteri benissimo si accordava , e T uno di essi promosse alle cariche i figliuoli di quelli, che sotto Siila erano stati cacciati dalla citt , e T altro accord a P. Pe to cd a Cornelio Siila, che insieme erano stati con vinti d Ambito j di potere entrar nell ordine S e n a torio, e nelle cariche; l uno macchinava di fere nuove tavole, e Faltro di venire ad una divisione d i campi non solo in Italia , ma anche nelle regioni soggette alla potenza romana. Tali cose per furono quietate da Cicerone , e da altri che erano del m e desimo sentimento , scopertele in tempo e prim ach
( i) S intendeva cIir gli uccelli fnor delle lor sedi v o lasse ro , qiiiiiiilu paiiivano dalla iuistra alla dritia e ci era iiif^iislo s e ^ o , Vot. a d CatuUiutt, et E io c k . S p a a h e m . a d C allim ach.

233

avessero effetto. Tito Labieno poi col chiamare in giudizio C. Rabirio (i) per T uccisione di Saturni* n o (a) eccit in Roma un grandissimo tamulto>: im- 691 perocch era morto il detto Saturnino trentasei anni prima (3) , e per ordine del Senato erasi contro co stui intrapresa dai consoli la guerra (4). Con si fatto giudizio pertanto si toglieva al Senato ogni autorit di decretare, e si turbava tutto l'ordine della rep(ib> blica. Rabirio poi non confessava un tal omicidio , ma anzi costantemente. Io negava ; ed i tribuni alr incontro in ogni modo si adoperavano , affinch, tolto via tutto il potere e T autorit del Senato, essi si procacciassero un pienissimo arbitrio di poter fare ogni osa a loro talento. Difatti con lo stesso chie dere ragione dei decreti del Senato e delle cose fatte tant' anni prima da quell' ordine , veniva a conce dersi una tal qual sicurezza a chi avesse tentato al trettanto , e se ne diminuivano le pene. Ma il Se nato non solo riputava cosa iniqua ed ingiusta che
(0 8! consulti r orazinne di Cirprone , pr C. Rabirio. (a) Cooie fu ucciso costui e qual scdiiioue s u s c it , Tea co piosamcnte descritto da Appiaaa Aleoundriao , lib. i . Ma u questo a u tsre, n Pluiarco , in Mario, n i Floro , Ub. 3 , cap. 17 , incol pano il dello Rabirio di tale omicidio. (3) giustissimo il computo del nostro A uto re, m entre Satam ino m ori nell* anno di Roma 655 (4 ) Dk il nostro Isinrico il nome di guerra alle armi impugnate contro i seditiosi ; e da Tullio -vien ci confermalo , allorch in to rno alla morte di Tiberio G racco , cosi dice : quia non sotum ex dnmettica sunt rnlione , $ed aCU'/igunt eliam beUicam , quoniam v i,
nanuque eanficiuntur.

234
un uomo , quaP era Rabirio, illustre per la dignit senatoria ^ e di s gran nascita , per niun misfatto 691 morisse ; ma anche molto pi si sdegnava, perch il principal ordine della repubblica soffiiva ignominia, ed il supremo potere cadeva nelle mani di scellera tissimi uomini. Vi furono adunque per questo giu> dizio delle torbide fazioni , e delle contese da una parte e dall' altra ; mentre gli uni insistevano che non si facesse, c gli altri al contrario, che si fa cesse. Tosto che quella p a r te , la quale voleva che u tal fatto si giudicasse , trionf specialmente per via di C esare, e di alcuni a ltri, fu di nuovo Rabi* rio citato a comparire in giudizio. Era giudice lo stesso C. Cesare in compagnia di L. Cesare , e Ra birio veniva citato non gi per lieve delitto , ma co me reo di omicidio. I giudici lo condannarono^ quan tunque questi fossero stati costituiti non dal popolo, giusta r antica consuetudine, ma bens dal pretore fuor di proposito. Rabirio appell al popolo^ma qui ancora sarebbe senz' alcun dubbio andata male la causa , se Metello C elere, che in quel tempo era augure e pretore , ci non avesse impedito. Esso in fa tti, mentre il popolo non gli obbediva, e non ri fletteva che un tal giudizio non era stato fatto legit timamente , vol sul Gianicolo , prima che il mede simo popolo facesse alcun decreto per mezzo dei sufTragj , e tolse via il militar vessillo ; e quindi il popolo non aveva pi facolt di decictar cosa ve runa. Riguardo al da me indicato vessillo, ecco co me sta il fatto. Siccome anticamente molti nemici

23 5 intorno a Roma abilavano , i Romani per timore che in tempo che essi facevano i comizj centuriali, i medesimi nemici attaccata insidiosamente la citt , non 691 occupassero il Gianicolo , stabilirono di non andare tutti insieme a dare i sufTragj , ma che sempre al cuni armati a vicenda un tal luogo guardassero (1). Sopra il Gianicolo adunque vi stavano le guardie fino a tantoch durava 1 adunanza^ e quando doveva disciogliersi , rimoveasi dal Gianicolo il detto ves sillo , e le guardie partivano. Non era poi lecito di far pi alcun decreto , rimosse che s erano le guar die da quella fortezza. Osservava una tale costu manza nei soli comizj centuriali per la ragione che si doveva intervenire ai medesimi fuori di citt (?.) , e ci si doveva necessariamente intervenire da tutti quelli, che stavano in arme (3); e questo anche in oggi per apparenza si osserva. In tal modo adunque si sciolse in allora P a d u n a n ^ col rimuoversi di quel vessillo , e cosi fu liberato Rabirio ; imperocch quantunque fosse stato in facolt di Labieno di attitar quella causa , contuttoci tralasci di farlo.
(i) Si consulti il Gronovio , Obtervat. Uh. i> cap. i , e Pietro Veseliiigio , in ih. probahiliam , cap. 3g , ed aache Lelio Felice, t p . Geltiwn Uh. i5 , eap. 0 7 . ( 3 ) Cioi nel caai|>o m arto . (3) EfTetlIvaineDle ia tempo di qaesti com iij c en tu riali, si ordi nava all eierciio di venire ; e siccnme non era lecilo d iatio d urle in c i l l , enti faceTanai nel campo m a n o . Si consultino gli autori citati alla nota 1 , ed anche Livio , Uh. 3g, cap. i5 .

a36
Dt XOMA

C a p ito lo

V.

691

Come tent Catilina di rovinar la repubblica.


Gatilina poi and a perire nel modo che io espor r , e pei seguenti motivi. Chiedendo esso anche ia quel tempo il consolato, e facendo ogni tentativo per ottenerlo , fu stabilito dal Senato, essendo autore di ci specialmente Cicerone, che chi si trovasse reo di ambito , oltre le parecchie altre pene gi Gssate , si punisse anche con Tesiglio di dieci anni. Catilina giudicando , che in tal guisa decretato si fosse per di lui cagione, siccom' era in effetto , tent eoa gente , che avea preparata , di trucidar Cicerone , e gli altri pi'incipali soggetti negli stessi comizj , per essere subitamente creato consolo ; ma per noa pot effettuare il suo disegno: imperocch Cicerone, venuto in chiaro delle di lui insidie , le manifest al Senato , ed accus gravemente lo stesso Catilina. Ma non polendo egli persuadere il medesimo Senato a far s i , che decretasse quanto da lui si sarebbe vohito ( mentre sembrava che non avesse riferite cose prob.ibili , e che per sue inimicizie private accusati avesse falsamente coloro ) gli entr addosso il timo re , come colui che aveva Calilina soverchiamente irritato. Non si arrischi dunque ad andar pi solo all adunanza , com era stato solito di fare altre vol te ; ma condusse i suoi familiari , che erano appa recchiati a far fronte contro qualunque violenza 5 e per difesa di se medesimo, e per rendere vie p i

aSj
odioii coloro , cominci a portare una corazza sotto la sua veste , in modo per che a bella posta la faceva vedere. Per tal cosa, ed anche perch erasi 691 altronde sparsa la voce , che si tendessero insidie a Cicerone, fu commosso il popolo da fortissimo sde gno ; per timor del quale coloro , che assieme con Catilina aveano fatta la congiura , si stettero quieti. Essendo quindi stati nominati altri consoli, Catilina non pi occultamente, n contro il solo Cicerone , e i di lui seguaci, ma contro tutta la repubblica macchin delle insidie ; imperocch aveva egli rac colti gli uomini i pi scellerati , ed i pi amanti di novit , ed in seguito anche moltissimi degli alleati de' Rom ani, promettendo ai medesimi le nuove ta vole (1), le divisioni dei cam pi, ed altre cose, che potessero sommamente allettarli. Costrinse ad obbligarsi con lui per mezzo di empio giuramento i principali di essi , ed i pi po'tenti, fra i quali, ol* tre agli altri (2), eravi anche Io stesso Antonio con(t) Queste d o o tb tavo le, delle quali ti faua m eniione aoobe di sopra , coniitlcTaao D a l l indurre 1 aannllam enla dei debili , coma ir voile io cguito M . Celio e come si dir da Oioue al libro 43*' In vigore di queste nuove (avole nessuno era pi tenuto a pagare i suoi debiti : ti cotisulti lo Schefero , j4gripp. Liberai, tiv e DitierUU. d e ta b u i n w i s , nel tomo 3 . T h e t. Greev. Le dette Uvole per non furono in tro d o tte; ed in {atti C icerone, C alilin. a , 8, d ic e : errant qui tabulai nova a C alilna expectant. Mr.n beneficio ta b u la novae p ro fe re n ta r , tr.d auctionaria. Queste la Tole auiionarie p o i , che prom ette C icerone, ordinavano, che qualora taluno avesse cessalo di pagare i d e b ili, i suoi beni dovessero esporsi all incanto Dei prossimi I d i , come not il Murclo , ad T u li, i C alilin. eap. 6. (3) Quarania in circa sodo i nomi d e congiarati n o b ili, ricavali

238

solo (i). In fati! avendo scannalo un fanciullo, c sopra le di lui viscere recitato il giuramento , dopo 691 ci egli stesso le mangi assieme con gli altri (2). In Roma lo ajutarono principalmente il consolo Aa* Ionio e P. Lentulo , quello stesso , che dopo avere esercitata la carica di consolo, era decaduto dal Senato , ed in allora esercitava la pretura per ria* cquistare la dignit senatoria (3): in Fiesole poi (4 ), dove i congiurati si radunavano, lo ajutava un certo Cajo Manlio (5 ) , uomo pratichissimo della m ilizia,
dall e\rgaulsinao Mureto dagli anlicfii scrittori , Adnotal. in Tuli. Catiltii- I , cap- I . ( 1 ) S i riscontri S a llu itio , cap. a a . (a) Floro al lik. 4 t cap. 1 , cosi dice : additwn etl pignui c o n juralionin, sanguit huniiiims, </uem circwnlatum paltrit Ubere : surnmurn nejas , nisi amplius esset propter /jriod biberunt. E 8 alIustio eap. a3. Fuer ea lempetlale qui dieerent , CatUiaam oralione habiia , cunt ad jutjurandam popuiaret teeltrit fui adigeret, hw nani

corpari$ tanguine vino permixtum in paterit circumtuline , iada cunt post extcrationem omnes deffutlaviiseiit , sicut in sotemnibu tacris Jteri cnniuevit , operuiise eonsiliwn tuurn. (3) E ra quetti P. Cornelio Lentulo Sura , il quale fa consola
nell anno di Aoma 683 in compagnia di Gneo Aufdio O reste. da sapersi . che non tntli q u e lli , i quali a reau o e serciuie le magi strature caroli , ed anche lo stessa cousolato , erano senatori , se dai censori non venTano confermati e prescelti. Finito adunque it ' tem po della loro magistratura , non si dim andava pib ad essi il lor sentim ento. Gel. Uh. J^eap. 1 8 . Il detto Lentulo p o i , quantnnqoo fosse stato consolo, siccome non era s e n a to re , ricnperara nella pretura il dritto di proporre il suo parere in Senato. (4) Citt di Toscana non molto distante da Firenze alle rad ici del monte Appennino,fabbricata sulle rovine dell'a n tic a F ie so le , d i Cai anche al presente si Teggono gli a v a n ti, L cand. A lbert, in

descript. Italue.
(5) Di costui parla Sallustio , eap. a 8 , Cicerone , 9 P lu ta r c o , in Cicerone.

Calilin. a ,

e cbe sotto Siila avea condotte le truppe ; ma al tempo stesso graodissimo scialacquatore, il quale ** avendo dissipati tutti gli acquisti da lui fatti, quan- 691 tunque abbondantissimi, andava cercando in allora altre simili occasioni. Nel mentre adunque che co storo s fatte cose allestivano, Cicerone prmieramenlc fu fatto consapevole di quanto eseguivasi nella citt, per mezzo di lettere, le quali non indicavano il nome di chi le m andava, ma che per erano stale recapitate da Grasso , e da alcuni altri nobili. In vista delle medesime fu decretato, che un simile aliare apparteneva a congiura, e che quindi doveano farsi delle ricerche per rinvenirne gli autori. In se condo luogo poi fu riferito quanto trama vasi nellEtru ria , e per , secondo lo stile , venne aflldata ai consoli la custodia della c itt , e la somma delle cose. Questo decreto del Senato era concepito nei term ini seguenti j cio , che i consoli badassero a f a r s j che la repubblica non soffrisse alcun dan n o . (1). Fatto c i , ed essendo state poste delle guardie in molti luoghi, non si tentarono pi novit n e lla c itt , di modo che si cominci anche a dire , c h e Cicerone avesse mentito. Ma da quanto veniva rip o rta to dall' Etruria (a) accadde , che si prestasse fede a tal fa tto , e che Catiliua fosse accusato di violenza (3). Il medesimo Catilina sulle prime , qua( I ) S i m c o n tri Cicerone, Calili. t, cap. a , e Sallud io , 3 o. (a ) V e n n e la DuoTa , cbe vi era C . M a n lio , il qnale m andatovi d a C a iilin a co ll'eteroiio , instigava la plebe a so lle v a rti, Sallust. cap. ag . V i Veggaji S a llu s tio , cap. 3 a .

34 sich nulla avesse da rimproverare a se stesso , si noM A mostr prontissimo a subire il giudizio , si prepar 691 a difendere la causa p ro p ria, e si esib ad essere custodito dal medesimo Cicerone ( i ) , acci non po tesse fuggire ; ma ricusando questi di addossarsi un simile incarico, esso allora si diede a praticar famigliarmente col pretore Metello , acci meno si so spettasse di lui che tentar volesse delle novit , fin ch in questo frattempo avesse un qualche rinforzo dai complici della congiura. Ma non facendo egli veruno avanzamento , mentre Antonio preso dal ti more erasi sbigottito, e Lentulo non era atto ad eseguire cosa alcuna, intim loro di radunarsi di nottetempo in una certa casa , dove portatosi occul tamente Metello , rinfacci ai medesimi la loro vilt e la loro debolezza e fecp, ad essi vedere , quali danni avrebbero soiferti, se si fosse scoperta la tra ma , e di quanti beni sarebbero venuti al possesso , se fosse bene riuscita. In tal modo corrobor i loro anim i , e li risvegli in guisa , che due di essi (2)
( 1) Quid qiutd tu te pse in euitadiam dedisti ? Quid quod v i tanda suspcionis causta . . . ad Q. MeteUum Praetorem ven u ti? eie, Cic. in CatiUh. 5, cap. 8 . (a) Reperti tunt duo equitet Romani , qui seie Ula ipta noete ante lueem me in meo eetuto Interfecluros poUicerentur ; C ic . Ca lili ii. a , eap. 4 - U no di questi due caviilieri ^ien chiam ato C Coroelio dallo tesso CiceroDe , Orat. pr. P . SjrUa , eap. 6 , S a llu stio , cap. * 9 ia compagno di c o stu i, o sa an cavaliere , m a Lt. VarguDtejo seoatore. Taluno adunque creder meno a P lu ta rc o , che in Cicerone nomina o a certo Marcio , ed un tal Cetego ; a creder similmente meno ad A p p ia n o , Civil. lib. 1 , che n o m in due pretori , P . Lentulo e Cetego.

a4i
]>romUero, che sarebbero andati di buon' ora alla caaa di Cicerone , e quivi lo avrebbero trafitto. Ma anche questa cosa fu scoperta in tempo per raer.zo 691 d 'u n o ( i ) , che dennuziolla ; imperocch avendo Ci cerone un grandissimo potere , siccome colui eh erasi obbligati molti col difenderli, ed altri ne aveva a tte rrili, aveva altres parecchie persone , che gli ri ferivano il tutto. 11 Senato adunque ordin a Catilina di andarsene via da Roma (a) ; ed egli con tal pretesto part volontieri , e portatosi a Fiesole in traprese apertamente la guerra. Preso adunque it n o m e , ed il vestimento di consolo , prima di tutto schier in ordine di battaglia la gente raccolta da Manlio; ed in questo mezzo un alle sue ti'uppe an-' che alcuni altri , non ammettendo da principio che le sole persone lib ere, e di poi anche i servi. Com mossi da s fatte cose i Rom ani, giudicarono, che costui fosse reo di violenza contro la patria, e mai^darono alla guerra A ntonio, eh essi ignoravano es sere complice di simile congiura, mutandogli i ve stirne u ti (3). Per la stessa ragione si trattene in Ro( 1 ) Q . Curio la (vel a F u W ia, c h eriTsua a m ic a , e questa a C ice ro u c . Saliust. eap- ag. (3) Dalla prima Catilinaria , che predente Catilina recit Cieerooa agl* Idi (li Novembre al Senato , e h crasi radunalo nel Ifiqpio di Giove Statore , chiaramente rile v a ti, che per niun decrcio del m ed e d m o Senato fu costretto il detto Caliliua a .partirtene , e che n e p p u r lo. stesso consolo Cicerone gV impose di andare in esilio . m a solamente glielo c o nsig li , eup. 5 8 . Cicerone poi subito il giorno dopo recit l'a l t r a C atilinaria, nella qaale diede parte della Alga di C a tilin a , eap. 3 e 6 . (3) Costuma-vano i Romani nelle puliblicbe , ed ancha n tlle p r t DiOMt, tomo l .
(4

243
ma Cicerone , al quale essendo toccata in aorte la Macedonia , la ced al suo collega , per poter esso ^91 attendere ai giudizj ; ed in vece di quella si prese per se la Gallia vicina , cos richiedendo lo stato delle cose presenti (i)- Ma non and neppure in questa provincia, e fermatosi a guardia della citt , mand nella Gallia Metello , acci Catilina non ri ducesse anche questa in suo proprio potere. L es* Sersi egli .trattenuto in Roma fu molto vantaggioso ai Romani ; imperocch Lentulo gi s era disposto ad incendiare la citt in alcuni luoghi., ed a fare delle uccisioni con l ajuto di altri congiurati, e de* gli ambasciatori degli Allohrogi (a), ai quali aveva persuaso di accordarsi con lui nella medesima scelleratezza * * * (3) e presi quelli che per tale efietta
T ite calamit di mel(ersi ini]o.sso delle Tetti lortlide e la c e re , d e porta-la. toga , O clav. Ferrar, iib. i , de re vesliar. cap, v ] ,

tom. 6 , T h et. Grcev. pag. 6 6 8 et teqq. (i) jEgo provnciam ' GaUiant, Senatut aacterilale , exerciiu , et pecunia intiruetain et ornatam , qunm eum A nlnnio communicoi , gund ita existimabam tempora reipuhlicae ferre, in conciane depoittif reclamante poputo romano^ in Pitonem , eap- a .
( 1 ) P o po li, che com praodeTaD o ilV ie o u e ae , il ducalo d i SaToja , G inevra, lo 8 cible&e e il Fossigai. (3J- Le cose che qui inancauo nel nostro'A utora aona beo p o c h e , possono facilmente supplirsi da S a llu stio , cap. i 4 , d a P lu ta r c o , in Cic. , e d a A ppiano, C ifil. H i. a , i qaaU concordemente af ferm ano, che gli ambasciatori degli Allobrogi comunicarono tu tto il fallo a Fabio Sanga lor protettore iu R o m a , e che esso poi lo T el a C icerone, il quale si adoper in maniera , che dai preto ri L . Fiacco e C . Pontino fossero arrestali i detti a m b a sc iato ri, orpresi con lettere scritte dai co dgiurati, C ic. CatUin. 3 , to p . 7^^ n S tM u t. cap, 4 6 .

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erano stati m andati, gl introdusse con le lettere in O Senato (i) : e proposta loro T impunit scopr in tal modo coloro che entravano nella congiura. Laonde 691 fu costretto Lentulo dal Senato a dimettere la magi stratura , e messo in carcere insieme con gli altri eh erano stati arrestati, si fece ogni diligenza per rintracciare anche i rimanenti. S fatta maniera di procedere veniva approvata pure dal popolo , spe> cialmente perch , in tempo che Cicerone ne par lava all adunanza , in mezzo del suo ragionamento fu nuovamente collocalo in Campidoglio il simulacro di Giove , e per comando degli aruspici fu posto in m odo, che guardasse il sole nascente ed il foro (a). E di fatti sicconie gl indovini aveano detto, che per essere caduto il detto simulacro si sarebbe scoperta nna congiura, e siccome il collocamento del mede simo accadde precisamente in tempo che si scopri- TOno i congiurati, cosi il popolo cominci ad enco miare la maest del n m e , e ad essere pi contra rio ai colpevoli. Correva voce, che anche Crasso fosse nel numero dei complici, e di ci aveano dato indizio alcuni di quelli eh erano stati presi ; ma po( 1) Il q u a le , c o n e rileTati da S allo siio, eap. 47 e da Ciceiyte, CatUin. 3 , cap. 9 , erasi radunato oel tempio della Concordia. (3) llu d vero nonne ila praetent e s t, ut nula Jovit Optimi htaxim i factum esse videatur, ut curn iodierna die mane per forum meo jtt$su et eonjurati, et eorum indices , in yEdem Cohcordiae daeereatur , eo ipso tempore litfnum Jov'u .statueretur ? t/ua collocata atque ad vos , Senatuntque converso , omnia et Senatut , et tng , quae erant cantra salulem omnium eogitala , ilbutrala, etpatefacta n d i i t i s , C ie. CatU. 3 , cap. g .

2^4
prestarono fedej mentre alnani non ammettevano riguardo a tal uomo neppure il sospetto, 691 ed altri andavano dicendo, che ci (ngevasi dai ne mici j peich in tal maniera speravano un qualche ajuto da un u o m o , che aveva un sommo potere. vi mancavano di quelli, i q u a li, quantunque sembrasse loro credibile la c o sa , con tutto ci non volevano, che un uomo cosi distinto p erisse, n che si eccitassero pi tumulti nella repubblica j onde nna simil voce interamente si dissip. Molti poi e ervi, e liberi, parte per tim ore, parte mossi da compassione per Lentulo e per gli altri, si accinsero a procurare a tutti lo scam po, acci non fossero condotti alla morte: ma Cicerone, vertutone in chiaro, occup di nottetempo il Campidoglio ed il Foro , e vi pose le guardie, Sul far dell aurora veggendo che gli veniva annunziata dal cielo una buona speranza, mentre fattosi in sua casa il sacrificio dalle Vestali per la salvezza del popolo romano (1), la fiamma crasi molto pi del solito sollevata, ordin a tu tti di giurare presso i pretori , e di dare i proprj lo ro n o m i, se mai per avventura vi fosse stato bisogno di soldati ; ed egli stesso , fatto adunare il Senato , gli mise terrore e spavento , e per sua cagione fu rono d'opinione i senatori , che q u elli, i quali si ritenevano nelle ca rc e ri, venissero capitalmente p u niti. Discordavano per ne' loro pareri, e poco m anc
( i ) L a yargni Tettali andavano a far tacrificj per la (a lre sz a d d popolo nelle caie dei co oto li, ed anche in ^ e l l a dei p r e to r i, L ip i^ d e y e * ta 'U F itta lib u ^ cap, 1 0 , (ora. 5 , T e t- G ra er..

2 45 be non li rilasciassero : ed in fatti Cesare , poi che tutti quelli ^ dai quali prima di lui era stat detto il proprio sentimento , aveano pronunziato , che do- 691 veano essere puniti di m o rte , fu del seguente av viso j cio , che spogliati dei b e n i, e legati si do> vesser consegnare qua e l alle differenti c itt , con patto ) che uiuno per T avvenire proponesse al popolo di accordare loro il perdono * , e se taluno fosse fuggito, si tenesse per nemica quella citt ^ dalla quale il medesimo si fosse involato. Gli altri ^ eh' erano suoi seguaci, e perBno Catone , furono dello stesso avviso, di modo che anche tind parte di quelli, che prima di Cesare lo aveano esposto, rivocarono il loro sentimento. Ma poi che Catone tesso condannolli alla morte , e tir tutti gli altri nella sua medesima opinione, quelli allora dalla sen tenza che avea trionfato, vennero strascinati al sup plizio ; ed in tale occasione fu decretato, che si fa cessero de' sacrificj e delle puLbIicbe preghiere , il che per simil cosa non erasi per Taddietro praticato giammai ( 1). Si fece ricei ca anche degli a ltr i, dei quali aveasi avuto un qualunque indizio ) e similmente ne furono tratti in giudizio alcuni a ltr i, dei quali erasi sospettato che si sarebbero uniti con con* giurati. E tali cose si farevano dai consoli. Aulo jFulvio poi senatore fu dal proprio suo padre am

( 1 ) 3/ih toruiili mpptieatlo, nttllit arms sumptis,. non nt> raedem hnttiw n , sed oh comervatonem Civiuni, nor 9 t t inaudito gem r ^ 'd e w e u M , Cie. PIdlip. >4 t eap- < > > ,

24^
mazzato (i); n quantunque fosae persona privata effettu ci senza esempio , come sembra a taluno j 691 imperocch anche parecchj altri , non solo consoli , ma semplicemente uomini privati uccisero i lor proprj figliuoli. In quel tempo , oltre le cose che ab< biarao riferite, la plebe , facendone la proposta La bieuo (2), ed unendovisi l'im pegno di Cesare, fece contro la le"ge di Siila ricadere al popolo l'elezione dei pontefici, rimettendo in vigore la legge di Do* inizio (3 ) : imperocch essendo morto Metello P i o , chiedeva il pontificato C esare, ancor giovine, che non avea per anche esercitata la pretura ^ e ri poneva grandissima speranza nella plebe per molte altre ragioni , e principalmente per avere ajujato Labieno contro R abirio, e per aver pronunciata la sentenza, che Lentulo non fosse capitalmente pu nito. Mand adunque ad effetto il praprio disegno, e fu creato pontefice m assim o, quantunque molti a lt r i , e specialmente C atu lo , aspirassero a simile onore. In fatti era Cesare prontissimo a rendersi be nevolo e ad adulare qualunque uomo anche il pi vile ; e per ottenere quanto bram ava, tutto diceva
( 1) Si ritcontri Valerio M asnim o, lib. !> , eap. 8, n . 5> () Er costui T . Alio Labieno tribuno della plebe. (3) Anticamente il pontefice Massima veniva eleiio dai pontefici ; ma Gneo Dnm uio Rnobarbo , terzavolo dell impcraioro N erone , e tribnoo della plebe nell' anno di Rum^ 65o fece una legge, c h e il detto pontefice si creasse dai tribuni della plebe , la qual legge d i poi fu abolita da Siila , rimettendo una tale elexione oellu alato prim iero. 4ndr. B ot. de Ponti/. M a x. Roma irei, Cap. 3 , tom . i . T h e t. G ratv. pag. s45.

34?
fkceva , poco ctirandosi di quella bassezza , alla quale di presnte umiliavasi, purch per mezzo di questa avesse in seguito acquistato il supremo po- 691 tere. Siccome adunque per questo la moltitudine de> siderava ogni bene a Cesare , cosi la medesima di Tenuta nemica di Cicerone per gli uccisi citta d in i, e per altre cose , l odiava ; ed avendo egli determi nato nell ultimo giorno -della sua magistratura di difendersi, e di riferire quanto avea fatto in tempo del suo consolato ( mentre non solo dagli altri gli Tenivano date delle lodi j che a lui facevano piace* r e , ma anche da per se stesso volentieri lodavasi ) la stessa moltitudine gli ordin di tacersi, e non gli permise di proferire dal giuramento in fuori verunaltra parola ; e per far tal cosa la detta plebe serviTasi deir appoggio di Metello Nepote , tribuno della plebe. Ma Cicerone indotto da uno spirito di contrasto aggiunse al giuramento , che da lui era stata salvata la citt, per lo che si tir addosso anche un odio pi forte.
C apito lo

VI.

Della morte di CaUlineL


Catilina poi subito nel principio di quell' anno , 693 nel quale furOno consoli Giunio Silano e L. Licinio j and a perire. Aspettava egli ancora il buon successo di Lentulo, quantunque per se medesimo avesse non poche loldatescbe , frapponendo 0 D4 tal dim ora ,

^4^
perch sperava, che se prima fosse stato ucciso CIJtojw cerone insieme co suoi partigiani, esso senza dffi692 colt avrebbe comp tp il cesto. Ma poi che intese la morte "di Lentulo e senti , che per tal caso molti disertavano da lu i, tanto pi che Antonio e Metello C elere , postisi intorno a Fiesole , non gli davano campo di avanzarsi pi oltre; allorg finalmente veggendosi costretto a venire a decisiva battaglia , si volse ad attaccare Antonio ; <juantunque costui fosse pi potente di Metello , ed avesse un miglior appa> . recchio di soldatesche. Gatilina poi fu mosso a far ci dalla speranza , che c o stu i, siccome partecipe della congiura,, avrebbe appostatamente eseguita male r impresa. Ma Antonio formato avendo il sospetto , che con tal disegno operasse Gatilina , a cui esso , iccome ad uomo gi abbattuto pi non desiderava alcun bene ( mentre la maggior parte degli uomini jdiventano am ici, o nemici degli altri a proporzione della costoro possanza , o degli utili che per se stessi ne ritraggono ) ed oltre a ci tem endo, che il medesimo G atilina, nel vederlo valorosamente com battere, non gli facesse un qualche rimprovero e cos manifestasse l ' arcano , si finse am m alato, ed afSd la pugna a Marco Petrejo. Questo Petrejo at taccata la mischia , riport una sanguinosa vittoria y e mise a morte Gatilina e con lui ti-emila uomini, i quali acerrimamente combattevano; ed in falli niuao dei nemici fugg e tutti perirono nel p o s to , che da principio aveano preso. Una tal cosa fece s , che nch gli tessi vincitori a riguardo deila repubbltc

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deplorarono luttuosamente la morte di tali e tanti uomini, i quali , quantunque 1 avessero meritata ^ erano ci non ostante loro concittadini e compagni. 692 Antonio mand in Roma la testa di Catilina aftncli i Romani avendo un s forte argomento della di lui uccisione, pi non ne s tasser in timore : ed esso medesimo per cagione di simil vittoria fu chiamato imperatore, quantunque il numero degli uccisi fosse minore di quello gi stabilito (1). In oltre fu decre tato , che si facessero dei sacrifizj ; ed i Romani , siccome coloro che da ogni calamit erano stati li berati , ripresero i soliti lor vestimentL Quei con* giurati p o i, i quali ancor vi restavano del partito della fazione catilinaria, non per anche si stettero quieti ed anzi per timor del supplicio si levarono a tumulto : ma esseudosi mandati i pretori contro ciascun di eostoro. i quali in certo modo gi erana dissipati e dispersi , l soVpresero e fecero pagare ad essi le pene. Altri poi , i quali erano occulti, furono convinti e giustiziati per indizio datone da L. Vezio cavaliere (3) , il quale essendo anch' esso complice della congiura, dopo che fu accordata r impunit, aveali denunziati. Ma finalmente costui ^
( 1 ) R igom am etitc il titolo d im peratore, o ia grao generale aeco rd av asi quando si era riportala la Tittoria con l'uccisione di dieci m ila , o di pib di cimila nemici , come lo afferma Appiano C M l. U t. a> Ma ci aoo ostanta C k eron e, Philipp. 14 t emp. S , d ic e , elle p e r decreto del Senato si accord un u l onore, <]nanlunqaa n o n si fossero uccisi cbe duemila , ed anche mille nemici. (a) D i costui parla Cicerone, i/t-f'm litt. sap. 1 1 , ex wl J u ie u n , H i. 9 , epiu. 9 4 .

a5o

1 * messi ia nota alcaut, i nomi dri ^ a li si registrarono sopra una tabella , volle seri692 vcme nella medesima anche molti altri. Allora il Senato venuto in sospetto , che esso di mala fedeoperasse , non gli rend la detta tabella , acci non ve ne cassasse qualcuno e gli ordin di nominare a voce (piclli, i quali ei stesso diceva di aver lasciati: e cosi essendo rimasto confuso dalla vergogna e dal timore, non dinunzionne pi molti. Essendo poi nato del tumulto nella citt e presso gli alleati, perch non si sapevano i nomi di quelli , eh' erano stati denunziati, ed altri aveano un vano timore riguardo a se stessi, ed altri gravavano gP innocenti di un' i-. uiquo sospetto , allora parve bene al Senato- di espone al pubblico i nomi; e cosi finalmente si cal marono i buoni, e de rei chiamati in giudizio, parte ne furono condannati , essendosi presentati, e parte per non esser comparsi. Si fatte cose adunque tent' .Gatiiina e per tal motivo rimase distrutto ; uomo che certamente s'acquist un nome maggiore per la gloria di Cicerone e per le orazioni recitate contro di lu i, di quel che meritassero le sue imprese. Ri> spetto a Cicerone poi, poco manc , che pel sup plizio dato a Lcntulo, ed agli alti'i posti in carcere^ non fosse subitamente citato in giudizio : ma una tale accusa, quantunque a parole s'intentasse contro Io stesso Cicerone, in sostanza per feriva il Senato. Metello Nepote(i)pI dogni altro calunni con forti
( 1) E ra costui frslello di Q . MclcIIo C e le re , e d e r a trib n oo de'Ia plebe ; e Cicerone lb. 5 , epUt. a , se ne lag n a , perch in tem po del suo tribuaato Tea fau ogni forio per reoargli d a n ao .

aSr
parole quell' orctine presso la plebe, spacciando, che non era lecito ai padri di condannare senza il popolo alcun cittadino alla morte. Una tale accusa non 692 norque punto per allora a Cicerone; imperocch ac cordando il Senato l'impunit a tutti coloro, i (piali in quel tempo erano stati nella congiura 3 e di pi pubblicando , che chi avesse avuto nuovamente ar dire di accusar alcuuo di quelli per simil motivo , dovea tenersi per contrario e per nemico, allorfi Nepote postosi in timore non tent pi cosa veruna. In tal fatto adunque prevalse il Senato; come anche in quest' altro, quando proponendo Nepote , che si nchiamasse Pompeo coll esercito , i padri si oppo sero a non far approvare un tal sentimento. In tempo che Pompeo stava per anco nell'Asia, Nepote s'andava figurando di dover esso governar la repul blica , mentre realmente sperava , di poter per di lui mezzo, siccom' era ben affezionato al popolo , mandare ad eiTetto i suoi turbolenti disegni. Sul principio contraddissero alla detta proposta i tribuni della plebe M. Catone (1) e Q. Minuci , e fecer tacere lo scrivano (2), che la recitava : d avendo il detto Nepote presa la tabella , per leggerla egli stesso, quelli gliela strapparono di mano*, e ci non ostante tentando egli di parlare, essi allora gli ser rarono la bocca. Per tal cosa essendo sopraggiunti degli ajuti dall' una parte e dall' altra, ed essendosi
( i ) VcRgii 1*elogio che ne fa C iceron e, pr Sexilo , eap. a g . ( a ) G li icriT an i, S cribae, leorvano il primo luogo fra i m ia iilti m a g iilc a ii, N itu p o a r ^ R it . R o m , sa p , iS .

i5 a
m omj

fatta zuffa con bastoni i: sassi i ed alla fine acbo . (.qq piignali, i padri nel giorno stesso si radunarono 692 nella curia e presero i vestimenti lugubri , ed afii darono ai consoli la custodia della citt , acci ba dassero , che la medesima non patisse alcun datino. Ifepote adunque atterritosi nuovamente, si tolse bea tosto di mezzo, e dopo aver proposta la sua legge contro il Senato , si port a Pompeo, quantunque nessuna notte potesse star egli legittimamente lontano dalla citt (i). Dopo questi fatti neppur Cesare (a), che in allora era pretore , tent pi alcuna novit. Bisso poi nvcva operato in modo , che si togliesse il nome di Catulo (3) dal tempio di Giove Capitolino (imperocch lo accusava come reo di peculato e gli chiedeva conto del danaro da lui speso ) e che si accoinlasse a Pompeo la facolt di ultimare il rima nenie di quella fabbrica j mentre vi restavano ancora alcune cose imperfette , siccome suole accadere ia tali e s grandi opere ; 0 certamente fingeva Cesare che vi restassero, acci Pompeo riportasse la gloria di aver termiuato quell'edifizio, ed in vece di quello di Catulo vi ponesse il suo nome. Non voleva per Cesare per far cosa grata a Pompeo giungere al segno d tirarsi addosso per tal motivo un decreto
Pf

(1) Si rincontri Aulo Celilo , li 6 . 3 , ea p . a , e M acrobio , S a turn a l. Uh. ( , ca p . 3 . (a) Si consulti anche Svetonio in Caeimre cap. 6. ( 3 ) T a c ito , H itt. lib . 3 , cap. ya, cosi d ic e : L uta til C a ttd i n o n u n ia trr tot Caetaram oprra usqtte ad yilelU w n m a tu it. S e U * iQuckt* imperator* poi il delt tempio timaM incendiate.

a53
simile a quello cV era stato formato contro Nepote; ***> imperocch ei medesimo neppur facera tali cose in < > * riguardo di Pompeo , ma bens per guadagnarsi in 699 tal guisa r animo delia plebe. veano tutti in al lora un tal timore e rispetto per lo stesso Pompeo ( mentre non pareva che fosse per licenziare l eser cito) che avendo esso mandato innanzi il suo legato M. Pisone (1) a chiedere il consolata, non solamente differirono i comizj fino al di lui arrivo} ma quando fu presente , tutti di unanime consenso lo nomina* rono consolo ; imperocch non solo agli amici, ma perfino ai suoi nemici lo aveva raccomandato Pompeo.
C a pit o l o VIL

Deir infame ardimento d Clodio , e della venuta di Pompeo in Italia.


In questo mezzo P. Glodio ebbe che fare con la moglie di. Cesare (2), nella di lei casa, in tempo dei sacrifici (3), che le Vestali celebrar solcano nelle abitazioni -dei consoli e dei pretori, dove per antico instituto intervenir non potevano gli uomini. Cesare
( i ) 11 crauere di qusto M . P ukio C ilpnrnio Pisooe vienf t m p iam en te descrtto da. C icero n e, Uh. i a d A u ie u m , E pisi, i3 e i4> (3) Costei chiamaTasi Pom pea , figliuola di Q . Pompeo e nipote d i Siila , S v e to n , in C u ri. eap. 6 . (3) Simili tacrfiii fcevanai ogni anno per la cootervaiioDe del p o p o lo in onor della buona d e a , la quale da alcuni ti pretende che fosM Cibele e da altri Cerere o Proserpioa. Q u m u buona dea b iao u tT a anche F a o n a , Fatua a Senta.

354

non tir a forza Clodio in giudizio, mentre sapeva benissimo, che per impegno de' suoi partigiani non ^ 9 ^ sarebbe stato condannato ; ripudi per la moglie , dicendo, che veramente non credeva quanto di lei si vociferava , ma che non poteva aver tal donna per moglie, su cui anche una volta sola caduto fosse sospetto di aver commesso adulterio: imperoc* ch da donna-onesta non solo il non fare alcun mancamento, ma anche il non dare intorno a se stessa alcun cattivo sospetto. Oltre queste cose, che in tal tempo intervennero , si costru parimente un ponte di pietra per passare all' isola, che sta nel Tevere e fu chiamato Fabricio (i). Nell'anno se693 guente , essendo consoli M. Pisone e M. Messala, i principali della citt sforzarono a venire in giudizio Clodio che gi prima avevano in abbominio e la di cui scelleraggine voleane he fosse punita, tanto pi che i pontefici aveano decretalo, che si rinnovassero i detti sacrifici, per essere stati illegittimamente ce* lebrati: laonde venne accusato parte per 1' adulterio, quantunque Cesare tacesse e parte per la ribellione ascitata a M isU>i (a), ed ia oltre perch avea avuto
( 1) P rim a era di legno e chiamaTasi T a r p e jo , ed al presente rien d e llo Ponte quattro capi. Vrggasi ci che h anno detto douitsimi inierpreti opra il vers 3 7 di Oraaio , Salir. 3 , lib . i , atqm m Fabricio min irttiem ponte reverli. Si riscontri anche il Fabhretli , ebe ne riporla l ite r in o n e , e lo S m e iio , ed il G ru iero - H a acrilta benitsim o sopra i pom i auticbi e nuovi nn c e n o M r. G aulier in libretto in 8 , stampato in Parigi L anno 1 3 1 6 . (a) Veggaai alla pagina i5.

a55
'enimercio con la sna propria sorella (i). Ma venue assoluto dalle sentenze c Im giudici , quantunque essi avesser chieste delle guardie al Senato , ed avessero GgS ottenuto , che loro non fosse fatta violenza da Ci* dio. A questo proposito Catulo us contro quelli il seguente concetto, cio , che non aveano chieste al Senato le guardie per potere senza lor riscliio con dannar Clodio , ma sibbene perch non fossero loro ritolti i danari, coi quali erano stati subordinati. 11 medesimo Catulo non mollo tempo dipoi cess di vivere, uomo che sempre , pi oh altri mai, avea fermamente preferita la repubblica a tutte le cose. Nel medesimo anno tutti quelli, i quali aveano eser citate le magistrature, furono dai censori ascritti nel numero dei senatori, quantunque col far ci se ne oltrepassasse il numero gi stabilito (a). Il popolo ancora, che fino a questi ^tempi erasi trattenuto allo spettacolo dei giuochi gladiatorj , senza lasciarli a mezzo giammai, allora per la prima volta neirazione
(i) Costei era moglie di Lucullo , Cicerone , pr Sext. cap. 5.| et eap. 7 , lo chiama sororiis sluprit insanw n, et in Pisoli. <ap. l i , *l pr doma , cap. 34 i torot is adutierum . ( a ) Ciofc il num ero di 3eo , ovvero di 4o , secoodo I ' accresciumoIo fa llo ai tempi di S iila , Sam . Pilisa, Lexicon, A n liq . liom. to m . a . Cicerone p e r . O rai. post. rrH. eap. i o , a fferm a, chs qoaDdo ai propose in Senato di farlo ritornare intervennero 4>7 se u a te ri : ( cosi >i lg|; nei migliori codici , mentre negli altri si U o v a il num ero di 4<(0). Similmente presso A p piano , Civil. lib. a , d ied e rb i voti intorno a lom pno, ed a Cesare 3 9 0 senaiori. Furono poscia i- senatori accresctnti da Cesare fiuo al tiumero di 9 0 0 , ed a n c h e d i 1 0 0 0 , come affirrma il nutro Isto rico , tib. 4^ e 5 3 , e i A u gu sto futoBO riduiii a Coe come si vedr 1 libro 5 4 .

a56

si alz, e si pose a desinare (1)3 e tal costumanza


comiDciata ia allora si osserva anche in oggi ogni

6g3 volta che an comandante d i giuochi. Cos passa* vano in Roma le cose. Devastando poi gli llobrgi la Gllia Narbonese, C. Pontino (2) pretore di quella provincia mand i suoi legati contro i nemici j ed esso accanipatosi in un luogo vantaggioso osserv r esito delle cose, per poter in tempo opportuno provvedere, e recar soccorso ai suoi, secondo che le circostanze lo avessero richiesto. Manlio Lentino portatosi a dar lassalto alla citt di Venzia (3), atteiT di maniera gl inimici, che molti ne fuggirono dalla citt , e gli altri per. mezzo d ambasciatori chieser la pace. In questo mentre accorrendo pei della ampagna in difesa della detta citt, e facendo una irruzione improvvisa, esso allora fu allontanato vero dalle muraj ma diede il guasto con sicurezza a tutto il territorio, fintantoch di l a non molto sopraggiunse in ajuto deHa regione Gatugnato, duce di tutto quel popolo , in compagnia di alcuni alti che abitavano presso al fiume Isara (4). Lentino non os di vietar loro il passfiggio del fiume, mentre avevano moltissime navi; ed al tempo stesso temendo che i Barbari in un sol corpo non si adunassero, se
( i) Q iied o accadOe net ginochi, che diede L . Dom itio Eloobarim edile c iiru le , Pigh. Annoi, to/it. 3 . S i coDwitino gli Gspo*itoti al verso 4? di Oraitio , Epi$t. jg , li6 . i , Ditplicet iste lo c u , clamo f et ditudia pasco. (a) Veggisi C icero ne, de Trovinciis ContularHuf , iB . (3) r.redesi che adesso sia la c ilt di Vena* in Pcovenaa.

(4) Oggi ti chiama lOiae.

aS']
vedessero lu andare contro se stessi con l'esercito D t ordinato in battaglia , pose degli aguati nei luoglii prossimi al Gume, i quali erano sparsi di selve , e 698 come quelli ad uno ad uno avevano passato il Gume, esso li sorprendeva, e mettevali a morte. Ma nel mentre che egli si pose a dare la caccia ad alcuni che fuggivano, questi lo tirarono ad abbattersi nello stesso Catugnato , ed allora sarebbe rimasto interamente distrutto , se un fierissimo temporale insorto improvvisamente non avesse distolti i Barbari dal perseguire il nemico. Dopo queste cose si port Ca tugnato in luoghi lontani, ed allora Manlio fece una seconda scon-eria in queUa regione, e prese per forza la citt, presso la quale aveva da prima avuta la sorte contraria. L. Mario poi e Sei-vio Galba, passato il Rodano , e dato il guasto al dominio de gli Allobrogi j giunsero finalmente alla citt chiamata Solonio (1), e dopo avere espugnato un fortissimo castello posto sopra la medesima, vinsero in battaglia i nemici che facevano resistenza ^ ed incendiarono una certa parte della stessa citt eh era fabbricata di legno , e dall arrivo di Catugnato ' fu ad essi im pedito di non prenderla interamente. Pontino risa puta tal cosa , si volse con tutto l esercito contro "Catugnato , e lo assedi, e tranne il medesimo Ca tugnato , fece prigionieri tutti i nemici ; e dopo di aver ci eseguilo gli fu facile di ridurre poscia an che il resto in suo proprio potere. In questo fatf i ) Adesso pi& no a e*5 te. Dioyst
-f* >7

258
akki tempo venne in Italia Pompeo e fece si che L. Rom a Afranio e Metello Celere fossero nominati consoli, 694 sperando, ma invano , di poter egli effettuare per mezzo di costoro quanto aveva nell animo ( fra le altre cose poi desiderava in ispecial modo che si assegnassero i campi a qpiei che avevano militato con lui (1), e che si ratiGcassero tutte le cose da esso fatte ) ma una tale speranza di Pompeo and per allora a vuoto. Ed in fatti i principali della cit> t , dai quali gi anche prima veniva poco commen* dato ) si opposero , acci co suffrag) non fossero confermati i di lui disegni: e l'uno dei consoli, franio j non gli fu di veruno ajuto , mentre costai era un uomo pi atto a dansare che a trattare degli affari (2) ; e Metello sdegnato contro Pompeo , per aver ripadiata la di lui sorella (3) eh esso aveva in moglie , quantunque ne avesse avuti de Ggliuoli, gli fu in tutto conti-ario. In oltre L. Lucullo , che da Pompeo era stato con alterigia trattato (4), in tempo oh era venuto a parlamento con lui in Galazia , eoa
( 1) Questo h a rapporto alla legge agraria , che fu gagliardam eato promossa da L . Flavio tribuno della p le b e , esseodooe autore P * a i p eo. Ad una tal legge per era contrario il Sanato , sospettando , che quindi non si accrescesse il poter d i Pom peo , come riferisca C ic tro n e , E p itt. 1 9 , ad A a c u m , lib . i . Intorno alla detta legge agraria si consulti anche il Pighio , /in n a l. tom. 3. (a) L o stesso vien confermalo da C icerone, Uh. t , ad A tticum p E pitt. 1 9 . (3) Chiamavasi costei M ucia e fu ripudiata da Pom peo , p e r c h in tempo della di lui assenta non aveva dato buon saggio della s u a nesta condoU a, P lutarch. in Pompejo. Questo faUo viea ampiamente riferito da Platare*, in L hcuU ,

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tutto lo sfoiT C O tentava d opprimere lo slesso Ponipeo, e glimponeva di esporre separatameate ad una ad una le su azioni, e di non -chiedere che tutte 694 insieme venissero approvate ; imperocch non era giusto altrimenti, che cos alla buona si ratificassero tutte le sue imprese, come se fossero state eseguile da un loro padrone , quando eglino non sapevano quali erano le medesime: ed avendo egli stesso fatta anche una scelta di alcune delle asioni di Lucullo, fece istanza, che tanto le une , quanto le altre si esaminassero nel Senato, e quelle che pi piacessero ai padri venissero confermate. Catone , Metello , ed altri che erano del medesimo sentimento, difende^ vano Lucullo con tutto limpegno : per la qual cosa quel tribuno della plebe, il quale proponeva che distribuire si dovessero i campi ai soldati pompejani, avendo aggiunto -anche, che per tal divisione doveano tirarsi a sorte tutti i cittadini, per far s che la sua proposta fosse pi facilmente approvata, e si dichiarasse fermo e stabile quanto avea fatto Pom* p e o , Metello impugn con tal contrasto tutte le co se, che fu da colui condotto in prigione (1), il quale determin di radunar quivi il Senato. Allora adun que L. Flavio ( tal era il nome di questo tribuno ) situ suir ingresso della carcere la sedia tribunizia ,
( i ) Esempio tenibile della grandissima potett del tribuno delia p le b e , che per oon unico , come Tedremo in *egaito e come si pub risconirare dal T iraq u ello , che gli ha raccoUi , ad AU xaiidrun ah A ttxandro h i . i , ganialium dierum , cap. 3 . Veggasi ancbe C ice ro n e , lib. a , ad Auicunt^ E p iit. i .

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e seduto sulla medesima impediva che nuno potesse entrare; comand che si gettasse gi la parete della 694 medesima carcere, acci entrar vi potesse il Senatoj ed egli quivi si accomod, come se in tal luogo passar avesse dovuto la notte. Pompeo, vedute que ste cose, confuso da una parte per la vergogna, e dall'altra temendo l'indegnazione dei popolo, ordin a Flavio di farsi indietro , dicendo , che ci gli era stato richisto da Metello. Non per gli fu creduto, mentre era notissima a tutti la magnanimit di Me tello , il; quale anzi , quando gli altri tribuni vollero liberarlo dalla prigione , non aveva a ci acconsen* tito. Per la qual cosa anche dipoi minacciandolo Flavio, che non avrebbe permesso, che andasse nella provincia, che gli era toccata in sorte (i) , se prima non gli avesse data licenza di promulgar la sua legge, Metello non si rimosse punto dalla sua opinione ; ma volontieri nella citt si rimase. Pom> peo adunque nulla ottener potendo per via di Me> tello e degli altri, disse, che da costoro esso veniva invidiato, e che avrebbe riferita al popolo una tal cosa : ma per temendo di non andar qui pure al di sotto rispetto a quanto bramava, e di non pro curarsi quindi un maggior disonore, desist dalla sua dimanda. Siccome adunque venne finalmente in chia ro , che cosi com' e ra , egli nulla poteva j ma che crasi acquistato nome ed invidia presso quelli, fra i quali una volta aveva avuto grandissimo potere , e
( i ) Ecco un altro eiempio deU'ccccMTO potere dei tr ib n i.

aC i che in nulla veniva ajutato, si pent, di essersi espolo, col licenziar l esercito, alle ingiurie de suoi nemici. Glodio poi, per lodio che gli portavano 694 le persone le pi autorevoli riguardo al suo giudi zio (i), aspirava alla dignit tribunizia 3 e,mand sotto mano alcuni tribuni ( 2 ) , che proponessero la legge di render comune il tribunato anche ai patrizj. Ma non potendo persuadere ci, esso allora, rinun ciando alla nobilt, e portatosi alla turba de plebei, si fece partecipe de loro diritti ; e poco dopo pro cur di ottener la dignit tribunizia : ma opponendovisi Metello, non fu nominato. Era costui, vero, unito in parentela con Glodio, ma siccome non ap provava le di lui scelleratezze , quindi lo incolpava di essersi allenato dalla nobilt, in una maniera con trria air antica costumanza , mentre non permettevasi di farlo senza il decreto del popolo radunato per curie (3). Accadute che furono queste cose , sic come le gabelle erano insopportabili a Roma, ed al rimanente dell'Italia, fu promulgata una legge a (ine di abolirle , la quale riusc a tutti gratissima (4). Ma essendo contrarj i senatori al pretore che l avea
( 1 3 Nel qual* era stato assoluto per aver corrotti i g iu dici, come si d e tto . (a) C . E r e n n io , M . Servilio ec. (3) T utto il popolo era diviso in trenta c u r ie , onde sn b ilo ch i va n erano tedici dello stesso sentim ento, i Com iij erano te rm iu a tf, l igh. A n n a l. Ioni. 3 , Aul. Gel. h b . 5 , eap. 1 9 , Nieupoor , R ii- Barn. cap. 6 . (4) Intoruo alle gabelle veggasi la dissertaiioae di Francesco Bur* n a n n o , d Pop. R n n . cap. 5.

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jixm promulgata (esso era Metello Ncpote) vollero togliere il di lui nome dalla detta legge , ed ia vece por 694 vene un altro : ed una tal cosa quantunque non avesse eiTetto fece per manifesto a tutti, che nep pure i beneCcj , quando venivano da uomini malva> gj , erano ricevuti di buon grado dai padri. Circa il medesimo tempo Fausto figliuolo di Siila diede lo spettacolo di un combattimento di gladiatori in onore del padre (i), e fece un lauto convito al popolo, e gli oiTr gratuitamente i bagni e T olio. tali cosa facevansi iJlora nella citt.

C a p i t o l o VIIL
D i Cesare, Pompeo e Crasso ; e della loro congiura.

Cesare poi dopo aver esercitata la pretura, ebbe il comando della Lusitania ; e quantunque potesse con poca fatica troncare la strada a quegli abitanti di pi fare delle ruberie , alle quali erano del con tinuo usati, esso ci non ostante non volle darsi alla quiele. d infatti essendo egli un uomo avido di gloria , ed emulo di Pompeo , e degli altri , che innanzi a lui erano pervenuti al supremo potere , non volgeva nell'animo picciole cose ; ma sperava
(i) Il deUo Fausto diede qncsto spettacolo in f o n a del testam ento p a te rn o , come rilevasi da Cicerone, Orat. pr P . Syfla cap. 1 9 . 11 primo p o i, che diede in Boma s fallo speuacoio , fu D . G iun to Bruto , L t . Epitome Ub, aG.

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011 eseguir qualche impresa, di venir quanto prima "**' al possesso del consolato, e di far vedere in tal guisa cose grandi ; e si diede a creder ci per molte altre ^94 ragioni, ma specialmente perch in tempo della sua questura, stando in Gade (i) eragli parso in sogno davere avuto commercio con la madre (a), e rice vuto aveva in risposta dagl indovini che ottenuta avrebbe una somma potenza. Avendo in oltre veduta nel medesimo luogo la statua di Alessandro, che stava nel tempio d Ercole , pianse, e si dolse di non avere sino allora eseguita veruna segnalata im presa. Mosso da questi motivi, potendo far la pace, siccome ho detto, and alla volta del monte Ermi nio (3) , ed impose agli abitanti di scender gi nella pianura , acci non si abusassero di quel luogo per sua natura sicuro , onde far delle prede. Si servi egli di simil pretesto , non essendogli ignoto che co loro avrebbero ricusato di far ci , e quindi avrebb egli presa occasione di far la guerra. Cos avven ne , per lo che egli fu loro addosso quando pren devano l armi.- Da questo fatto alcuni vicini postisi in spavento che non si andasse anche contro di loro, e trasportando di l dal fiume Durio (4) i figliuoli, le mogli, e tutto ci che avevano di pi prezioso,
( i ) Adeiso si chiama C a d ic e , piccola isola di Spagna , nell O ea o o . ( 3 ) Veggasi Svetonio , in Ctri- cap- 7 . 43) Oggi si chiama m onte Armino o monle della Strella , in F o ttogallo. (4) AI prtsen ie tie n detto fiu ne D o e ro , aelta Spagna.

264 Cesare , in tempo che tali cose facevano , occup le noMj Jqpq ^ g dipoi venne anche con essi a battaglia. 694 I Barbari si mandarono innanzi le greggie , per in calzar quindi i Romani dispersi nel derubarle ma Cesare , lasciate da banda le dette greggie , assali gli stessi nemici, e li vinse. In tal punto appena seppe che gli abitanti del monte Erminio se gli erano ribellati, e che insidiosamente aspettavano il suo ri torno , per quella volta preso un altro sentiero , ri volse nuovamente le armi contro di loro , e vinci tore gl insegui fuggitivi ' Gno all oceano. Lasciatasi da costoro la terra-ferma, e passati essendo in una certa isola, esso costretto a ci dalla scarsezza delle navi , rimase in terra : ma poscia legati insieme dei travi fece passare una parte delle soldatesche, ed in tale occasione perd molti de suoi j imperocch colui, che guidavali, passato essendo sopra una terra contigua alla detta isola, ed ivi avendo fatto fare acala ai soldati , esso poi portato via dal riflusso del mare , ivi lasciolli. Tutti gli altri valorosamente pu gnando caddero estinti ; ma P. Scevio rimasto solo in mezzo ai nemici, perduto lo scudo e coperto di molte ferite , salt nell acqua, e si mise a nuoto. Dopo queste cose Cesare , fatte venire le navi da Cade , pass tutte le truppe nella sopraddetta isola, e con niuna fatica assoggett i nemici, dalla scar sezza dei viveri ormai ridotti all estremo. Trasferi tosi quindi a Briganzio citt di Calecia (i)ne ridusse
( 1) Vegga il C e lla rio , Geogr. ji n t. Ii6. 4 , cap- i -

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in suo potere gli abitanti, i quali non avendo veduta prima dallora verun armata navale, rimasero atterriti dal forte strepito di quei, cbe navigavano ^9^ per mezzo ai flutti squarciati ed infranti. Compita questa impresa , dandosi a credere di essersi bastan temente spianata la via al consolato , senz' aspettare larrivo del suo successore , con grandissima fretta parti per trovarsi presente ai comizj consolari. Aveva egli determinato di chiedere il consolato , prima di celebrare il trionfo , mentre la strettezza del tempo 10 escludeva per allora dalla pompa trionfale. Non avendo potuto ottenere il detto trionfo, specialmente per l opposizione di Catone (i), ne depose il pen siero , sulla speranza che se fosse stato creato con solo , avrebbe fat*o delle imprese maggiori ^ e quindi di gran lunga pi sontuosi sarebbero stati i suoi trionG. Oltre le cose gi da me riferite ( i) , che gli avevano empita I* anima , eragli nato anche un ca vallo colle unghie dinanzi spaccate in due parti (3), 11 quale portava con festa il solo Cesare , n si la sciava montare da alcun altro (4)- Laonde Cesare aspettandosi quindi delle cose ben alte, pass di buon grado sopra il trionfo. Giunto che fu in Bo( i) Coloro , che rhi^derano il trionfo , dovevano rimanersi fuor d i c itt : e qu elli, che dimandavano il consolato, dovevano licenziar I* esercito e venire io c it t . Catone pertanto d i s s e , che si doveva s s e rv a r questa legge e questa coslnmanM , P lo taro h . i n Coesore , ^ Catotif minore. (a) Intorno ciofe al sogno ec. (3) Si riscontri S v e to n io , in Corsare^ cap. 6 i . {4} Veggasi P lu U rc o , de tolUrtia *nimaiiwn.

266
Vt

ma /, nel dimandare il consolato si cattY in tala

guisa gli altri, ma specialmente Pompeo e Crasso, 694 che laddove costoro sioo a qui gli erano stati ne mici , e cospirato avevano contro di lu i, e sempre luno con l'altro eransi distrutti idiscoperti disegni, allora gli divennero aiTezionati, e col consenso di tutti fu nominato consolo. Questo fatto poi dimo stra in singoiar modo il di lui sapere, con cui scorse il tempo e la maniera di obbligarsi coloro j e con dusse in guisa r affare , che tutti due, quantunque contrarj a vicenda , li tir egli dal suo partito. Non contentossi per d aver fatto questo j ma gl' indusse anche a rientrare in grazia fira loro ; non perch vo lesse ridurli a concordia , ma perch vedeva che avevano una grandissima autorit e sapeva di certo che senza T ajuto di ambedue, coll avere solamente quello o dell uno o dell altro non poteva giungere giammai ad alcun supremo potere^ e che per quanto avesse tirato dalla sua parte un solo di essi , 1' altro gli sarebbe stato contrario , e pi danno avrebbe ri portato-da costui , che vantaggio da quello , che lo assisteva. Di fatti egli pensava che generalmente gli uomini si oppongono con maggior impegno agli av versar] , di quel che ajulino gli amici, non tanto perch dall ira e dall odio nascono degli sforzi mag giori, che da qualsivoglia amiciziaj ma anche per ch colui, che fa qualche cosa per se stesso , e co lui , che la fa per altri, non provano o lo stesso piacere, in caso che ben succeda , o la stessa afllizione, mal riuscendo. In oltre molto pi natui-ale

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d opporsi a taluno , ed impedirae Tavanzameuto che "^*** di promuoverlo ad una somma grandezza ; e ci per molti altri motivi, ma specialmente perch chi -osta 6g4 all aumento di chicchessia trova gratitudine presso gli altri, e provvede a se stesso ; e per lo contrario chi innalza un altro se lo rende grave e molesto a e medesimo , ed al rimanente degli uomini. Questi motivi adunque ebbe Cesare , onde adular coloro , e ridurli poscia a ritornare in reciproca grazia 5 im perocch come vedeva che egli senza di essi non sarebbe giammai stato j<otente , cosi era d avviso che in tal moHo non sarebbe caduto in disgrazia n deir uno n dell altro. N gi aveva egli timore che costoro essendo d accordo prevalessero a lu i, men< tre comprendeva benissimo che per allora coir ajuto della loro amicizia sarebbe rimasto superiore agli al tri , e non molto dipoi anche ad essi medesimi, vincendo P uno per mezzo delP altro : e cos avven ne. Cesare pertanto se gli uni per riconciliarli fra loro. Pompeo e Crasso (1) mossi anche a vicenda dalle loro proprie ragioni , si trovarono prestamente insieme , e deposte le inimicizie riceverono Cesare nella lega per le cose, che doveano mandarsi ad ef fetto. Pompeo dal suo canto non sperava pi di aver tanta possanza , mentre vedeva che Crasso po teva mollissimo , e che gli affari di Cesare prospe( i ) E rano costoro nemici fra loro fin dall anno di Roma 6 3 4 , io e u i erano siati consoli isicm , Appian. Cwil- et P lulaicli. in Pm prjo , ( in Crosto,

268 sere interamente oppresso da loro ; ed all' incontro lusingavasi ancora che se avesse comunicate ai me694 desimi le sue presenti intenzioni, per mezzo di loro avrebbe potuto ricuperare il suo pnmiero potere. Grasso poi tanto per la nascita quanto per le ric chezze desiderava di andare innanzi a tutti ; ed es sendo molto inferiore a Pompeo , e scorgendo che Cesare ad un sommo grado si sarebbe innalzato, determin di metterli in gara (k-a loro , acci in tal guisa n F uno n 1 ' altro primeggiasse. Di fatti egli 8 dava a credere che sino a tantoch avesser eglino jcontrastato a forze uguali , esso frattanto carpito avrebbe il frutto della loro amicizia, e pi di tutti due sarebbe stato onorato : imperocch nella repub blica nulla intraprendeva esso o per la plebe o pel Senato ; ma faceva tutto per acquistarsi possanza. vea stabilito pertanto d'insinuarsi ugualmente nella benevolenza di ambedue questi ordini, di schivarne le inimicizie , e di rendere dei servigi all' uno ed all altro ; ma in maniera per che, sembrasse che egli fosse stato T autore di quelle cose , che ad am bedue fossero accettissime , n di avere avuto parte alcuna nelle contrarie. In tal modo adunque , e per gli anzidetti motivi strinsero tali tre uomini amicizia fra loro ; e dopo averla consolidata col giuramento, governarono la repubblica a proprio talento; ed ia seguito si conferirono da per se stessi a vicenda , e riceverono 1 uno dall altro quelle cose, che pi sod disfacevano il lor desiderio, e che pi ad essi sem brava poter contribuire allo stabilimento del governo

presente. Avendo i medesimi fktta questa congiura, anche i loro partigiani stabilirono delle reciproche i^ om j convenzioni, e fecero ogni cosa a capriccio, avendo 694 costoro per duci. Nel solo Catone pertanto (1), ed in coloro , che parer voleano del suo medesimo av viso , risiedeva quella piccioUssima parte d'integrit, che vi restava ; imperocch tutti gli altri , tranne il solo Catone, nulla eseguivano nella repubblica schiet tamente , e senza avarizia : sebbene per alcuni per noja di quanto facevasi, ed alcuni altri per brama d' imitar Catone entrarono anch' essi negli ailkri, e fecero delle azioni simili a quelle dello stesso Catone. Ma non furono per insieme costanti, mentre aveano preso queir impeto non dalla virt che in loro fosse radicata, ma bens da un' affettata passione. A simil termine adunque furono da tali uomini ridotte in quel tempo le cose di Roma, tenendo essi occultissi* m a , quanto pi potevano, la loro congiura. d in fatti nel mentre che operavano nel modo fra essi convenuto, mostravano in apparenza di far tutto all opposto, affinch il loro progetto restasse oc culto per lunghissimo tempo , perfino a tanto cio che a tutte le cose non si fossero a sufficienza pre> parati. Ma il nume celeste per non ignorava quanto essi facevano, e quindi intorno a loro diede subito quegl'indizj ( che in seguito anche da loro medesimi si sariano potuti aspettare ) a tali uomini, eh' erano capaci di scorgere qualche cosa in simili affari ; im
(> ) Vegga! come parla di costui Cioeroae , M i. a , ept. 1 .

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'iu*' perocch suscitossi improvvisamente nella citt e nei contorni un temporale-s impetuoso, che molti alberi 694 furono svelti dalle radici, molti ediGzj rovesciati ^ le navi y che stavano nel Tevere presso la citt, e quelle che stavano all'ancora alla foce del Gume re starono sommerse j e finalmente un ponte di legno rimase abbattuto e disfatto (1). In oltre rovin anche un certo teatro fabbricato di legno per le rappresen tazioni; e nluna delle dette mine accadde senza che molti uomini ne perissero. Questi segni adunque fu* rono mostrati dal cielo , come per figura di quanto e per terra e per mare intervenir doveva ai Romani.
(i) Ja iitu Obstt/ueru ad hutio a nniun, cap, 133.

271

DELLA

STORIA

ROMANA
D I

DI ONE
LIBRO XXXVUI. (I)

C apitolo

P rimo.

Delle differenze insorte fr a Cesare e Bibulo.

JN Fell' anno seguente Cesare attese con sommo ca< lore a conciliarsi il favore di tutto il popolo , ed a
(i) Cotaprende questo libro la storia di due anni , ne quali t furono i srgaeoli consoli. A n r prima A n . di R. d i G. C. 59. ^ 5. C. Giulio Cesare F . di P . e M.i Caipnrnto Bibulo. 58 . . 9 6. L . Calpumio Pisene F . di L . d A . Gi^inio F . di A.

roLa

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renderselo pi strettamente obbligato. Ma volendo xoM* far vedere di favorire anche il partito dei nobili , 695 per non averli nemici, diceva loro spessissimo , che non avrebb'egli promulgata cosa veruna , che non fosse stata anche di loro vantaggio. Pubblic adun que una legge di doversi dividere i campi a tatto il popolo, scritta in tali termini, che nulla fosse nella medesima da biasimare ^ e fece al tempo stesso ve dere , che non T avrebbe emanata, se i nobili non avessero voluto che ci si facesse. Rispetto poi a questa legge non poteva da alcuno esser egli incol pato; imperocch la moltitudine dei cittadini ch'erasi a dismisura accresciuta , e che gi spessissime volte avea somministrata materia alle sedizioni, veniva in s fatto modo a rivolgersi al lavoro ed all' agricoltu ra ; ed i luoghi deserti, dei quali in quel tempo ve n erano moltissimi in Italia, si sarebbero popolali di nuovo , di modo che non solo quelli eh' erano esenti dalla milizia , ma tutti gli altri ancora avreb bero avuto il vitto necessario, senza che la repub blica erogasse in ci nulla del proprio, e senza che i ricchi vi facessero perdita , mentre anzi a molti di loro ne derivava onore e grandezza. Egli pertanto divise tutta la regione , eh' era d' uso pubblico del popolo romano, tranne il territorio della Campa nia (4), il quale avandolo esso eccettuato per la sua
( i ) L antica Campania comprinde in oggi per la maggior p a rte Si vedr poi pi so tto come anche il territorio campano fu distribuito per logge di C esare a quelli che avevano i r e , o piit figlinoli. Si consultino gl* in te r-.
la terra di LaToro nel regno di Napoli.

273 MelIezza, fu d^avriso elie lasciar si dovsse per la repubblica. II resto poi n esso lo ritolse contro lor voglia ai proprj padroni, n stabil il prezzo ad 6g5 arbitrio dei partitori ; ma ordin che si comprasse da chi lo voleva, pnrch dasse qael prezzo che era stato fissato nell' estimo. Soggiunse in oltre , che vi era una gran quantit di danaro, parte ritratto dalle prede fatte da Pompeo, e parte rimasto dai tributi, e dalle imposizioni messe gi prima, che era giusto che si spendesse a pr di quei cittadini, col rischio dei quali era stato acquistato. Deput poscia i di visori dei campi ; e questi non erano n pochi di numero, affinch una tal cosa non avesse a{^a> renza di una certa sovranit} n di qoeUi lacinorosi e malvagi, affinch ci non dispiacesse a taluno j ma sulle prime elesse venti soggetti, pereh piik se venissero a parte di un simile onore, e specialmente quelli che,per fare tal cosa erano sommamente ca paci. Dal numero di questi egli lev se medesimo , ' come gi prima se n era pi volte protestato j per non far comparire ch'ei decretasse alcuna cosa a suo proprio riguardo ; dicendo, che quanto a s gli ba* stava, di essere Tinventore e l'autore di una tal legge : e cos manifestamente obbligavasi Pompeo, Crasso, e gli altri. Esso adunque non poteva per simile legge essere accusato, s fu pur ubo dei
p r e t i , aJ Siteto. capi. 9 0 , et nd V e lltj. Uh. , <m^. 44 e s tuilo Pellegrina, DUt. ^ ^ de Felice C'npnHia in 1'. i x , P . u ^ Thetauri rer, Italie, finalmcBle ti ritc u u tri Cicr<uit O rat. a Ili Jtu/lum, cp. 3 9 .

m oM f, ma l .

il

a?4
suoi' avversar), cbe ardisse d aprir bocca contro di lui. Laveva egli recitata prima in Senato, e ad uno C95 ad uno chiamatili a nome interrogati aveva tutti i senatori, se vi trovavano niente da biasimare ; pro mettendo , che se da taluno alcuna cosa fosse stata disapprovata, egli o emendata o cancellata Tavrebbe. Con tutto questo per in generale tutti i nobili , i quali non entravano in simile unione, n erano gran dissimamente disgustati ) e ci che sopra tutto di mala voglia essi soffrivano , si era , che colui avea composta in maniera quella legge, con la quale era per abbassar tutto il loro ceto, che la medesima non porgeva motivo di attaccarla. Sospettavano essi che C(fsare, in riguardo del quale erasi intrapreso un si mile affare, si sarebbe obbligato il popolo con que ste leggi, e presso tutti gli uomini ottenuto avrebbe nome e possanza j e per t;il motivo, quantunque niuno contraddicesse, non per quelli approvavano quanto veniva eseguito. Altri poi si contentavano di promet tere , che in seguito avrebbero approvata la detta, legge; ma per nulP altro facevano, se non che an dar frapponendo , le une dopo le altre, delle di more e delle inutili dilazioni. M. Catone poi ( era costui a dir vero un uomo dabbene, e cbe non amava le novit, ma che per non avev? n per natura, n per studio la forza deUa persuasiva ) quantunque neppur egli riprendesse la detta legge, ci non ostante era d'avviso che lasciar si dovessero le cose nel loro stato presente, e che nulla in oltre Capgiar si dovesse. A queste parole gi av^va d^tq

275 ordine Cesare, clie Catone dal Senato si strascinasse amki in carcere j e Catone medesimo essendosi con som- houa ma prontezza lasciato condur via, molti fra gli altri lo seguirono, ed uno di essi fu M. Petrejo, il quale essendo, stato sgidato da Cesare, perch si partiva prima che si sciogliesse il Senato , rispose , che vo leva piuttosto stare con Catone in carcere, che 11 con Cesare ; per la qual cosa Cesare stesso copei tosi di rossore, pose in libert Catone , e licenzi il Senato, questo solo aggiungendo: io per verit aveva commesso a voi il giudicar della legge, e la potest di disporne , perch neppure fosse riferita i popo lo, qualora a voi in alcuna cosa non fosse piaciuta^ adesso poi , siccome non voleste fare alcun decreto intorno alla medesima , lo stesso popolo la promul* gher. In seguito Cesare in tempo del suo consolato non comunic pi veruna cosa al Senato , ma rifcii direttamente al popolo quanto egli voleva. Ci non ostante per , a fino di avere alcuni dei primi nel->' r adunanza , che concorressero nella sua opinione ( mentie sperava che si sarebbero cangiati d avviso , e che avrebbero avuto un qualche timore del po polo) cominciando dal suo collega, lo interrog, se nella detta legge avea da disapprovar qualche cosa. Bibulo nuiraltro rispose, se non che in tempo della sua magistratura non avrebbe ammessa veruna no vit} ed egli allora, insist a pregarlo, e persuase alla plebe di unirsi con lui a scongiurarlo, dicen do : otterrete la legge, se Bibulo ceder. Allora Bibulo ad alia voce rispose : io quest anno non /

In S 'vn avrete la detta legge , neppar se tutti foste d a o cordo a voleriay e ci detto parti. Cesare non inter95 rog pi oltre vemno di quelli che erano in carica, per timore di non trovare anche fra questi chi gli s opponesse j e fatti venire Pompeo e Crasso, quan' tunque essi in allora fissero privati, comand ai medesimi di dire il loro sentimento intorno alla sua proposta ; e ci fece , non gi perch ignorasse di qual sentimento essi erano ( mentre facevano tutte le cose di comune accordo) ma per far loro pi ono ve, col servirsi in tal legge del loro consiglio, quando Bon esercitavano alcun^ magistratura , e per metter timore agli altri, laddove aderissero alla sua opi nione coloro, i quali per confession e di tutti erano i primi' nella, citt, e al di sopra degli altri pot* vano moltissimo j cd in oltre per obbligarsi il pepo* lo , col fargli vedere a manifestissimi segni , che da lui non si chiedeva una cosa assurda , n ingiusta, quando da si grandi uomini veniva approvata e comendata. A queste parole avendo Pompeo presa volontierssimo occasione di ragionare , disse : non ap provo io solo , o Quiriti, una tale promulgazione, ma approvoUa anche tutto il Senato in quel tempo, in cui decret che si dividessero i campi non sola mente ai miei, ma anche ai soldati di Metello (1). Ed in allora, a dir vero , attesa la miseria, dalla quale era oppressa la repubblica, quella donazione fu a buon dritto dififerita : ma abbondando adesso

(t) Pari**! qui della legge di P. Scrrflio Rollo , cooUo la ^al vi tpD O la orasioni di CiperoiM ^

la dedesimft per pra mia li riccliezze, ben gi* to che si mantengano le promesse a quei soldati , e che anche agli altri pervengano i fratti delle co 6^5 muni fatiche. Dette queste cose, percorse tptti i capi della legge , lodandoli con sommo piacer delU plebe, Cesare, visto ci , dimandogU se prestar gli voleva prontamente a)uto contro di quelli che si opponevano alla medesima legge; ed al tempo stesso comand al popolo di scongiurarlo intensamente d questo. Insuperbitosi Pompeo , che il consolo ed il popolo implorata avessero la di lui assistenza f. che era in allora persona priyata , dopo aver lodato ed innalzato se stesso , prorappe finalmente in queste parole : Se alcuno ardir d'impugnare un ferro , io prender lo scudo. Grasso ancora comend quanto disse Pompeo ; dal che ne avvenne , che anche gU a ltri , ai quali non piaceva quella legge, inclinarono iid approvai'la, perch vedevano che a ci erano confortati da costoro , che daltronde venivano ripu tati uomini dabbene, e nemici di Cesare ; mentre per anche non crasi scoperto che ritornati fossero ia reciproca grazia. Bibulo per non cede neppure in questa maniera ; ma presi in suo ajuto tre tribuni della plebe , si oppose alla promulgazione della Ieg> ge ; ed alP ultimo non restandogli alcun altra ra gione per escludere uua simile proposta , intim le ferie per tutti i rimanenti giorni di quell anno , it^ tempo delle quali non si permette dalle leggi al po polo di fare adunanza. Ma Cesare, sftiza badar -molto a Bibulo} avendo stabilito a determinato

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giorno a promulgare -la legge ed avendo la plebe di nottetempo occupato il Foro , Bibulo accompa695 guato da' suoi , cbe per tale effetto aveva allestiti , si po.rt anch' esso nel medesimo luogo ; e and al tempio di Castore (i), dove Cesare teneva il suo ragionamento, dandogli via il popolo, parte per ri* petto , e parte perch stimava che non gli sarebbe tato contrrio. Ma dopo che postosi in un luogo eminente cominci a contraddire alla legge , esso fa gettato gi dai gradini, e gli furono rotU i fasci j e date delle percosse, e delle ferite non solo agli al tri j ma anche ai tribuni della plebe. Cos essendosi promulgata la legge, Bibulo, che in allora ben pago di esser rimasto salvo erasi partito, il giorno dopo fece ogni sforzo in Senato per rescinderla ; ma non gli riusc, perch tutti gli altri venduti a favore del popolo stavansi quieti. Esso adunque si ritir in ua casa , n per l'avvenire comparve pi in pub> blico fino all ultimo giorno dell anno ; ma standosi nella sua abitazione , per mezzo dei littori fece dire a Cesare, c h e , qualora avesse macchinato di far qualche novit, era giorno feriato , nel quale dll^ leggi non gli veniva permesso di eseguire cosa alcu na. Per tal motivo un certo tribuno della p lebe, chiamato P. Yatinio , si accinse a spingere in car cere Bibulo; ma lasci di far ci essendosi interposti i colleghi. Bibulo poi cess dall amministrare la re pubblica ; e quei tribuni della plebe , che per lui si rano adoperati, non. ebbero pi il maneggio di al(1) Veggati il Nardi;, fi*. 5, cap. 5. '

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enn pubblico affare. Metello Celere poi , e Catone , ed in riguardo di questo anche un certo Favonio (i), cbe imitava moltissimo Catone, non aveano per an* 695 che giurato di osservar quella legge : il quale co stume essendosi una volta introdotto , siccome ho detto , solea praticarsi poscia anche nelle cose le pi assurde. Costoro adunque , e principalmente Metello (2), cbe ripeteva la sua origine da Metello ^'umidico (3), fortemente negarono di approvar giam> mai una legge s fatta. Ma poi che venne il giorno, in cui sarebbero stati costretti a subire la imposta pena, giurarono; e ci deve ascriversi o alla umana debolezza, per cui addiviene, che il pi delle volte aiano gli uomini pi pronti a promettere , ed a far minacce , che ad effettuare qualche cosa j o vera* mente all esser eglino d avviso , che pagata avreb* bero inutilmente la m ulta, e che la repubblica ri> cavato non avrebbe alcun frutto dalla loro costanza. Cos finalmente ebbe vigore la detta legge; ed iuol> tre fu decretato , che il territorio Campano si divi desse fra quelli, i quali avessero tre figliuoli o pi(4): e cos allora per la prima volta fu annoverata Ca< pua fra le colonie dei Romani. Con tal mezzo per> tanto si cattiv Cesare il popolo j i cavalieri poi s
f i ) E r a costui il senatore M . F a v o a io , che S T etoaio, in Augiuto oop. i 5 , chiama Catonit aemulum. ( 3 ) C io i Metello C elere, che Dell anno aotecedente in tempo dei HO coniolato avea dato prove di tom m a c o tta a ta , lib. 3 7 . (3) Veggasi il G laod orpio , Onomast. Roman.' (4 ) Ci confroM i n d ie d a Ville)g PU tcgl f tib , 9 f t a f .

uSo li concili col rilasciar loro la ter** parte delle ga belle che aveano tolte in.afutto : imperocch da costoro si soleva preodere lappalto di tutte le gabelle} e quantunque spesse volte chiesta avessero al Se nato una qualche diminuzione, nulla aveano otte* nuto , per esservisi opposti molti altri, e singoiar* mente Catone. Dopo che adunque si obblig e^li anche quest' ordine , non contraddicendo veruno , prima di tutto ratiGc quanto avea fatto Pompeo ; n Lucullo, n alcun altro si oppose} ed in seguito promulg ancora molte altre leggi, senza che niuao gli ostasse , neppur lo stesso Catone : sebbene per questi nella sua pretura, che esercit poco dopo (i), non fece alcuna menzione del cognome di queste leggi di Cesare , che si chiamavano Giulie (2), e se* condo le quali si regolavano in allora a sorte i giudizj ; ma con grandissimo scorno il di lui nome ne tacque. Queste leggi poi, siccome sono moltissime, n filano punto al nostr' uopo , quindi , che io otto silenzio le passo.
CiriTOLO II.

Come Cicerone and in estglio. il pretore poi Q. FuGo Caleno (3) avendo ner( 1 ) Qqm Io a r r e a n e negli u>d di Roma 7 0 0 , Pigh. Annoi, tom . S. ( a ) Q v n t e sono rip o ru ie da A aioaio Agoitiao ; i i i . da L tg , Suom. tom a , Thetaur. Graev.

Questi fa pasci owisol iasioiM M Vmu

ano i,

a8 t
vato, clie ndle controrersie si confondTano prmi> Guarnente suiTragj di ta tti , e che quindi ogni trib appropriava a s stssa le cose miglior , rigettando 6 gS sopra gli altri le assurde , promulg una legge , in vigor della quale ordin , che ciascuna separatamente dasse il suo votO} affinch in tal modo si rendesse manifesto, se non il sentimento di ognuno in parti* colare ( mentre ci segretamente facevasi ) quello al* meno di cadauna trib. Quanto al resto , Cesare olo nella citt e introdusse , e consigli , e decret generalmente tutte le cose, non altrimenli che s egli soltanto avesse in Roma comandato : per lo che alcuni tacquero facetamente il nome di Bibulo , ed in vece di due consoli nominarono e registrarono Cesare, dicendo, che G. Cesare e Giulio Cesare sercitavano il consolato. Ma Cesare per mezzo d altri mand ad effetto le cose appartenenti a si stesso ; imperocch con somma cautela guardavasi di BOB far vedere, che egli conferiva qualche cesa a t medesimo, questo fece s i, ch'egli pi faciU mente conseguisse quanto voleva. Esso adunque fin* geva, di non aver alcun desiderio, e di essere ab> bondevolmente contento della sua condizione pre ente^ ma gli altri, come se Cesare fosse necessario, ed utile in tut^ gli affari , riferivano le cose eh' egli voleva j e facevano s , che venissero decretate non aolamente dal popolo , ma perfino* dallo stesso Se nato. d in fatti la plebe destin a Cesare l ' lilirco
K on 7 0 7 . Veggai Cicerone, M . t , in F ^ r n m i t Pruet. arfam*
M p. 1 8 P i |b i e , IM I. 3 f A n tu ^ y .

8a e la Gallia Cisalpina ( i) , con che vi avesse a comando per l ' intero spazio di cinqtie anni ^ con tre 695 legioni ; ed il fenato ci aggiunse la Gallia di l dalle Alpi (2), ed una legione. Temendo per Ce sare , che stando egli assente , e dovendo esser con* solo A. Gabinio non macchinasse Pompeo delle no vit , stim cosa necessaria di unirsi in parentela con costui e con l'altro consolo L. Pisone. Diede egli pertanto in moglie a Pompeo la sua figliuola. (3), quantunque gi promesaa ad un altro (4)> e si prese per s la figliuola di Pisone (5) j ed in tal guisa consolid da ogni parte il suo potere. Cicerone e Lucullo j ai quali s fatte cose non piacevano , per mezzo di un certo L. Vezio tramarono a Cesare ed a Pompeo la morte : ma ci non ebbe il suo ef fetto : anzi poco manc, che non recasse loro una irreparabil rovina; Imperocch essendo stato denun ziato e preso Vezio innanzi che commettesse il de litto , nomin gli autori di quello y e se egli non avesse accusato anche Bibulo come complice della tram a, coloro certamente passata a\Td>beEO Qna somma sciagura. Ed in fatti venendo incolpato il detto Vezio in quel punto , che avesse voluto ven dicarsi di Bibulo, perch avea svelato il tutto a
( 1 ) E ra (petlB ana parte d l u l i a tra il V aro , le Alpi , 1' A m t . 1 Arsa. (3 ) Ciok U vera F rancia. (3) Costei rbiamavasi Giulia , S v e t. cap. a i . (4) Cio a Srrvlio 0pioDe , S v r t. loc. c k . (5) 11 nome di quasta era C a lp a rn ia, S v e t. loc. eli.

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Pompeo , cadde io sospetto, che non avesse riferito ^* 1' il vero neppure degli altri, ma cbe a bella posta fosse stato mandato sotto mano a gravar di calunnia ^9^ quegli avversar). Intorno a costoro adunque varie voci correvano; ma nulla si rinveniva di certo; e Vezio condotto alla presetita del popolo, avendo no> Bdinati soltanto quelli, che gi ho detto, fu chiuso in prigione , dove poco tempo dopo gli fu segretamente data la morte. Cicerone p o i, che per tal causa erasi reso sospetto a Cesare ed a Pompeo, conferm co< atoi^ nella lor sospezione col difendere Antonio (i). Questo Antonio avea recati molti danni alla Mace< donia, ch era soggetta ai Romani, e della quale egli lera stato al governo, e molti ne aveva recati anche ai confederati, e parecchi anch' esso aveane ricevuti. d in fatto dando egli il guasto alle cam pagne dei Dardani, ed a quelle dei lor confinanti, non os poi di resistere a coloro, che gli venivano contro ; ma quasich andar dovesse ad eseguir altre imprese, si ritir con la cavalleria, e fuggi ; ed in tal guisa quelli posta in mezzo la fanteria , e priva tala della preda , la cacciarono a forza dalla lor
(i> Ciok C . Antonio , collega di Cicerone nel consolato , come l i veduto al libro x x x t i i . Costui qiiaatuoque uccidesse C jililina, D o a p o l f c per sfaggir la taccia di etisere stato sul priucipio complica, ld ia congiura ; e quiodi ritornato dalla Macedonia fu accusato d a M . Celio Rnfe , C ic. O rai, pr Calia eap, a i , e fu difeso d Cicerone. Non esiste per questa difesa i ma della medeiinia fa menzione il detto Cicerone, pr domo sua, cap. i 6 , liora fortaise

sexta diei quesius tum in Judiai , ewn. C, mcwti drfenderem, . .

JntQniwn CuUe^ant

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propria regione. Trattando egli all mauiera stessa quegli alleati dei Romani, cbe nella Misia soggior nano , vinto dai Bastami Sciti (i), che in ajuto dei Misi erano venuti, fuggi ad una citt degl' Istriani. Per queste cose per non fu egli citato in giudizio; ma essendo poscia accusato come complice della Catilinaria congiura, fu punito anche per quelle j e gli accadde, che essendo condannato per delitti, dei quali non era convinto, pag le pene anche per quelli, di cui non era stato accusato. E cosi .uto* nio and in esiglio ; e Cicerone che in quel tempo parl iu di lui favore y siccome quegli che una volta era stato suo collega, attacc con moltissime parole Cesare autore di questo giudizio , e gli disse alcuno ingiurie. Ma Cesare , quantunque senza dubbio ci di mal grado soffrsse, e fosse consolo, non rend per la pariglia a Cicerone , n lo maltratt o ia parole , o in fatti ^ perch diceva, esservi molti, che a bella posta scagliano frequenti e false villanie con** ir i pi buoni, per incitarli a contesa , e per farli passare per simili a s stessi, se mai questi ridicano loro le medesime ingiurie. Per tal motivo adunque fu egli d'avviso di non dover venire a conti^sto con chicchessia ; ed in tal guisa si regol non solo eoa gli altri f dai quali era ingiuriato , ma anche eoa Cicerone. In fatti scorgendo egli, che costui noa tanto faceva ogni sforzo per abbassarlo , quanto per embrar suo pari , laddove da lui fosse stato a vi*
( i) S i m om U U . S p r a e f i fieiynan. U t. eap.

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ieimda 'ngiariato, non ne fece alcnn conto ; ma dissimulando i di lui oltraggi ; g^ invidi che koua cesse nso liberamente- di villanie, come se fossero 695 state sue lodi ; quantunque per al tempo stesso non lo tenesse totalmente in non cale. Era Cesare di sua natura placido, e non iracondo ; per lo che quando puniva molti, siccome in tanti affari le circostanze chiedevano , non lo faceva per rabbia, n subito , metftre non si abbandonava alla coIl*?ra, ma aspet> tendo r occasione, cos vendicavasi di parecchj, senza che se ne accorgessero ; e ci eseguiva , non tanto per far vedere di aver puniti i colpevoli, quanto per ordinar tutte le cose a proprio vantaggio, sicurissimo dallinvidia. Egli adunque gastigar soleva i suoi contrarj segretamente, e per tali cose , per cui ninno saspettava desser nunito; parte per prov vedere al suo buon nome, C : I non essere stimato iracondo, e parte perch i coi.svoli avendone sen> tore non si mettessero in salvo, o tentassero ai fiar anale innan di riceverlo. Non badava pi egli alle cose passate , se non quanto era necessario perch non avessero effetto. Perdon adunque a molti grai* vissime offese, e fu contento di una ben leggera Tendetta , perch cosi credeva , che per 1 *avvenire ai sarebbero astenuti dal fai- male ; e pel contrario a fine di provvedere alla sua sicurezza fece vendetta di alcuni acerba pi del dovere': dicendo non esser possibile invero, che non fosse fatto quel eh' erasi fiitto ; ma che assolutamente colla severit delia pena avrebbe ottenuto j <;hc non gli accadesse pi in s*

286 jinni g^j^o alcana cosa grve e molesta. Mosso pertanto Cesare da tali peQsieri, nulla invero tram egli stesso 695 contro di .Cicerone; ma essendosi, accorto che Clodio voleva rendergli un contraccambio, perch non avealo accusato di adulterio (1), lo dispose occultamente ontro, il medesimo Cieeronef e prima di tutto lo fece passar nuovamente ai dritti de'plebei ( 3 ) , ajutandolo anche Pom[>eo a far si che ci legittimamente si ese guisse; e poscia lo cre subito tribuno allor quando sul terminar del suo consolato portatoci airadunan'* xa, ayea deliberato con aggiungervi il giuramento di voler parlare del pfe.sene stato delle cose : il me desimo tese delle insidie anc^e a Cicerone , e veg gendo che costui attesa la sua eloquenza avea gran dissimo potere nella repubblica , e che quindi non poteva opprimersi cosi di leggieri, rivolse P animo a concimarsi il favore non solamente del popolo, ma snc^ji de' cavalieri e dello stesso Senato , appresso i quali ordini era Cicerone celebratissimo ; sperando che dopo. essersi cattivati costoro^ con maggior fa cilit rovinato lo avrebbe , tanto pi che la paura eh' egli aveva , . superava T amore che gli portavano gli altri. Infatti avea Cicerone ofTest moltissimi colle, sue orazioni ; n tanto erano addetti a favorirlo oo loro , ai quali aveva egli giovato , quanto alienati d lui gli animi di quelli, eh'esso aveva oltraggiati. E di pi olb-e che gli uomini per la pi parte sono
( i ) Vfgpasi al lib. x v t t . S i consulti Svetoio , eap,

(a)

3>

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p ii fcili a sdegnarsi per le oflese , che a rimanere obbligali pe beneBc], ed oltrech pensano di avere data la sua mercede a chi gli ha patrocinati, e 69$ quindi si prefiggono nell'animo di vendicarsi in qua lunque modo de loro avversai^ \ Cicerone erasi fatti anche de' fierissimi nemici, mentre procurava sem pre di anteporsi ai pi degni, e faceva uso duna eccessiva libert di parlare contro tutti sino a fare nausea ^ siccome colui, che anzi aspirava ad aver il nome di pi intendente e d> pi facondo degli al tri , che d uomo dabbenci Per tali motivi adunque, perch nel millantarsi soverchiava tutti, e non cre deva che alcuno potesse stargli al paro , ma anzi nel suo pensiero , e nella maniera di vivere sprez zava chiunque a suo confironto , n si adattava ad alcun metodo di vita j quindi alla maggior parte era grave e molesto a segno, che anche' quegli stessi , dai quali per altro veniva approvato , gli portavano odio ed invidia. Per s fatte ragioni sperando Glodio: di poterlo opprimere con tutta sollecitudine , se pri ma guadagnato si fosse il Senato , i cavalieri e la plebe , ordin che si dasse loro gratuitamente il fru mento per la seconda volta (mentre anche essendo consoli Gabinio e Pisone , avea gi egli fatta la pro posta di distribuire il grano ai poveri ) j e ristabil quelle societ , che dai Romani si chiamano Gollegj (4), e che dopo la loro antica istituzione erano
(1) Q oM ti collegj o aduDDi di artigiani e di operaj intiiluiia 0 i d a Numa e d a Servio Tullio e permesse da una legge delle z i ta v o le , ticcam e c o ir andar dei le n p o etanai a d ita tita ra .a c c te fc iu ie .

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^d !"

tempo rimaste soppresse; e proib ai censori di non rimuovere alcuno dalla magistratura , e d i 69^ non infamare chicchessia, se non restasse convinto in giudizio dair no e dall' altro censore. Poich in tal guisa ebbe adescati coloro ^ promulg un' ^ tra legge , la quale , ;^mch generalmente possa essere meglio intesa , d'uopo che da me si spieghi con molte parole. Quando i Romani prendevano degli auspici pubblici dal cielo e da certe altre cose, co ine gi prima ho detto (i) , gli augurj celesti venivano reputati di grandissimo momento " , di modo che quantunque gli altri si ripetessero molte volte ed in gni azione, questi si prendevano una volta sola ia tutto il gioi-no (a). G ohe aveva specialmente di proprio questa sorta di ai^gurj si era che o permet tevano che si fcessa alcuna co^r. a preferenza di tutte le altre , ed in tal caao non si pigliava .pi in seguito in qualunque azione veruno augurio ; o lo proibivano, e lo impedivano, ed allora restava Bato anche il partito del popolo. -Il cielo poi si os servava sempre prima che si dassero i voti, o riae d e rm o frequentale d a aom iai t c d i t io t i , quindi -il raTVaroiM come paricoloiie alla repubblica e fivono tolte va da molte leggi pecialmeule da un decritto fatto dal Senato nell' anno 6 8 6 , essendo cousoli L . Cecilio e Q . Marcio. Ascoo. i n O rat. ' 1 , pr C .

Cornelio
( 1 ) Non Mst* nei libri , che ci sono rim a sti, questo luogo , n e l qu a'e aveva esposti D iuns i varj generi di aiignrj e di a u sp irj , opra i qnali si consnili N iccoli G m cb io , tib. 1 , cf C omiiim
B o n ia ii. ea p .

( 3) V edasi il PilMO, in ttr y v .

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scisse favoreTole o contrarlo ua tale augurio : ed io non 80 dire il motivo di un tale instituto -, ma serivo soltanto ci che comunemente se ne dice , cio 69^ che molti per impedire le pubblicazioni delle leggi e le costituzioni de' magistrati, delle quali se ne fa ceva al popolo la proposta, soleyano annunziare di avere osservato il cii>o, di modo che allora pi non poteva il popolo deliberare cosa alcuna. Clodio per tanto temendo che, se avesse chiamato Cicerone in giudizio , alcuni non intromettessero in tale maniera procrastinazione e dimora al detto giudizio, espose una legge che niuno , il qual fosse in magistratura, osservasse il cielo in que' giorni, ne' quali il popolo doveva fare alcun decreto. Poi eh ebbe in tal modo contro di Cicerone pubblicate Clodio simili leggi, Cicerone medesimo avendolo saputo , suborn L. Ninnio Quadrato tribuno della plebe , acci si op ponesse a tutto. Ma Clodio temendo che da ci non nascesse un qualche tumulto , o che si frapponesse dimora alla cosa, si mise blandamente attorno a Ci cerone , promettendogli che , se non si fosse oppo sto alle sue leggi, non avrebbe intentata contro di lai azione veruna. Quietatisi in tal modo Cicerone e Ninnio, colui promulg quelle leggi, e poscia at tacc anche lo stesso Cicerone, il quale , quantun que passar volesse per uomo sommamente avveduto ed accorto , ci non ostante allora fu deluso da Clo dio ; seppur ci devesi ascrivere a Clodio c non pi tosto a Cesare ed agli altri , che col medesimo Clo dio avevano cospirato. Quella legge per altro , che
ViOMtf tomo / .
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poscia fu pubblicata da Glodio , a prima vista non sembrava che andasse a ferir Cicerone , mentre non 695 conteneva il nome di Cicerone ^ ma era stabilita in generale contro tutti quelli , i quali uccidevano , o avessero ucciso un cittadino non condannato dal po polo ^ in sostanza per era stata scritta principal mente contro lo stesso Cicerone. Feriva in oltre an che tutto il Senato, che aveva affidata ai consoli la custodia della citt ( il che porta seco il poter fare simili uccisioni ) e quindi avea condannato Lentulo, ed altri, i quali in quel tempo erano stati condotti al supplzio. Ma Cicerone , che gli aveva accusati, e dei quali ne aveva data parte al Senato , e ne^ avea fatto il decreto, e finalmente aveali fatti giustiziare dai h'ttori, o solo, o pi di tutti gli altri ne aveva la colpa. Besist adunque a Clodio con tutto lo sforzo, e gettata via la veste senatoria (1), e presa quella da cavaliere , se ne and attorno , scongiu rando rispettosamente a proprio favore i pi ptenti, n quelli soltanto che gli erano amici, ma anche i contrarj , ed in ispeciale modo Pompeo e Cesare ( mentre costui non mostrava giammai sul suo volto alcuna inimicizia ) girando per tale effetto di notte e di giorno. Facendo questi sembiante che Clodio non fosse stato subornato da loro , e che ad es si dispiacessero le sue leggi, immaginarono con( i ) CO& la tunica laticlania, che iT c ra u a grosso nodo d i p o r p o ra , o d oro in forma di lesta di c h io d o , a differeoia della tu n ic a angusticlavia, che aveva il detto nodo pi piccolo, N ie u p o o r, R it, Barn. Stct> 6 , eap. i , a .

agi tro Cicerone un inganno, che non potesse esser conosciuto (la lui , e che non fosse di disonore a loro medesimi. In fatti Cesare consigli Cicerone a set- 6^5 trarsi, per non cadere in qualche rovina, restando in citt ; e per dargli a divedere maggiormente, die per benevolenza gli porgeva un simil consiglio, disse, che lo avrebbe spedito in qualit di legato , acci non s'involasse da Clodio ignominiosamentc come reoj ma col comando e con onore. Pompeo all' in contro distolse Cicerone dall' abbracciare un simile consiglio , chiamando fuga una s fatta risoluzione , e facendo cenno che Cesare lo aveva consigliato da nemico e fuor di proposito ; ed egli stesso lo con fortava a rimanersi in citt , ed a fare liberamente ogni sforzo in suo proprio favore , ed in favore del Senato , vendicandosi a fronte scoperta di Clodio , il quale , essendo egli presente , ed a lui opponen dosi , nulla avrebbe conseguito , e cos avrebbe sce mato il suo impeto : e mentre cos gli diceva, promettevagli ancora che per tal elTetto Io avrebbe in qualche parte ajutato. Tali e cos opposti consigli davano Cesare e Pompeo non gi perch fosser tra loro di sentimento diverso , ma per tirare nell in ganno Cicerone , che di ci non stava in sospetto, te che accostossi a Pompeo, del quale interamente fidavasi, ed in cui riposta aveva una certa speranza delia propria salvezza ; tanto pi che molli altri an cora lo riverivano , e gli rendevano onore , perch di parecchi > trovavano in sommo pericolo , parte ne aveva ritolti ai giudici, e parte agli acca-

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satori. A tallo questo aggiungevasi che v era appa< rensa di credere che Clodio , il quale gi era unito 695 in parentela con Pompeo (i), e che lungamente avea militato sotto di lu i, nulla avrebbe eseguito contro r avviso dello stesso Pompeo. In oltre sperava che senza dubbio Gabinio sarebbe stalo ligio di Pompeo^ al quale interamente era addetto (a) ^ e lo stesso avrebbe fatto anche Pisone , non tanto per la sua giustizia , quanto per T afllnit , eh egli avea con tratta con Cesare (3). Su queste ragioni fondava la sua vittoria Cicerone, uomo , che non meno era inti'cpido con temerit j di quel che fosse inconside ratamente timido e pauroso. Dubitando altres di non comparir colpevole di una qualche mancanza, se altrove si fosse portato , si protest che rendeva grazie a Cesare j ma segu il parer di Pompeo ; e cos Cicerone caduto in simile inganno si regolava in maniera che gi avea fiducia di dover essere di gran lunga superiore ai suoi avversar). In fatti si radunarono poscia i cavalieri sul Campidoglio, e mandarono ai consoli ed al Senato a favor di Cice rone dei legati presi dal lor ordine, e di pi anche i senatori Q. Ortensio e C. Curione, uomini di di gnit senatoria. Minnio parimente assist Cicerone,
( 1 ) Clodio era parente di Pmpeu a cagione di Em ilia , fe co n d a moglie di euo Pompeo, e figliuolo di Meiella e di Scauro. (3 ) Questo G abioio, che nel presente anno era consolo , avcTa in tempo eh era tribuno dato a Pompeo il comando della spiaggia m arittim a . U. 36.

(3) Cesata aveva testi presa pet moglie la figUaoIa di Fifone.

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ed esort il popolo a mutarsi i vestimenti come in una puLbltca calamit j e ci fecero anche molti se* natori ; n prima cessarono che non ne venisse la 6 qS proibizione da un editto dei consoli. Ma i nemici di Cicerone potevano molto di pij imperocch n per mise Glodio a Ninnio di potere trattare col popolo intorno allo stesso Cicerone, n Gabinio diede ai cavaL'eri P adito in Senato, e costui cacci via dalla citt uno di quelli, che volle entrarvi per forza , e chiam in giudizio Ortensio e Curione, perch aveano aderito ai cavalieri radunatisi insieme, ed eransi ad dossata una simile ambasceria-, e condottili alla pre senza della plebe, Clodio medesimo li fece battere per causa di questa stessa ambasceria da certi- uo mini , che per tale effetto egli avea preparati. Dopo queste cose, quantunque Pisone sembrasse che fosse bene affetto inverso di Cicerone , e dato gli avesse il consiglio di prevenire con la fuga la sua morte , mentre in altra guisa non poteva salvarsi , ci non ostante lo stesso Cicerone mosso da sdegno , subitoch gli fu permesso dalla sua salute , che per so lito r avea cattiva , si port all' adunanza , ed inter rogato da Clodio che pensasse egli della legge , ri spose che non avrebbe approvato giammai un atto di tal natura, cos inumano e crudele. Interrogato poi della medesima cosa Gabinio, non solo non lo d Cicerone , ma accus anche la condotta de ca valieri. Aveva ormai Cesare in campagna i soldati fuori di citt ] e perci da Clodio erasi convocata r adunanza fuor delle mura , per avere in lui un ap-

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provatore della sua legge. Cesare riprov tutte quelle cose, eh eransi fatte contro Leiitulo (i), come non 6g5 conformi alle leggi, disapprov la pena , che impo neva la legge a simile azione, soggiungendo che tutti sapevano qual fosse stato il suo sentimento intorno a simile affare ( mentre avea sentenziato che fossero salvi) j ma che intanto non conveniva il far ora una legge sopra le cose passate. E questa fu V opinione di Cesare. Crasso poi a)ut un poco Cicerone per mezzo del suo figliuolo; ma quanto a se stesso egli segu r aura popolare ; e Pompeo, il quale avevagli promesso di assisterlo , adducendo ora una ed ora un'altra scusa , ed anche intrapresi avendo a bella posta de frequenti viaggi in paesi lontani, abban don Cicerone. Avendo compreso ci il medesimo Cicerone, e temendo per se stesso, si rivolse a pren dere nuovamente le armi , ed in oltre lacer alla scoperta di villanie Pompeo. Ma essendo tenuto a freno da Catone e da Ortensio , acci un tal fatto non accendesse una guerra intestina , allora final mente suo malgrado se n and via dalla citt, con disonore, e non senza macchia della sua riputazione, quasich avesse preso un volontario esiglio, vinto dai rimorsi della sua propria coscienza. Prima per di partire , salito in Campidoglio consacr una certa statua di Minerva , eh esso chiamava custode (a). Si
( i) Lealulo per decreto del Senato era slato messo a m ofle i a carcere, assieme eoa gli altri coaguraii, essendo consolo C icero n e, Uh. 3 7 . (a> Questa M inerra ritroTasi fra le medaglie di Cicerone, ra cc o lte dal L am becio, tom . 3 .

port poi in Sicilia, al gorerno della quale esso gi un tempo. era stato ed aveva molta speranza e nei popoli e nelle parsone private, ed anche nello stesso ^9^ pretore (i),onde star quivi con suo decoro. Andato che fu Cicerone in esilio, subitamente senza che al* cnno vi si opponesse, ma con sommo impegno fu da tutti confermata la legge j e quelli ancora, che prima pareva che fossero in ispecial modo d'accordo con Cicerone, dopo che si fu partito, approvarono la medesima. I di lui beni adunque furono confi scali, e la sua casa fu al suolo abbattuta, quasich fosse stata di un nemico , e nel luogo dov essa era vi si consacr un tempio alla libert. Cicerone po> scia rest condannato all esilio , e gli fu negato di trattenersi in Sicilia, ed ebbe ordine di andar lon tano da Roma pi di tremila settecento cinquanta stadj (a) f ed inoltre si fece un editto che se osse enuto al di qua di questi confini a lui assegnati, tanto esso, quanto coloro che gli avessero dato ri cetto , potessero esser da chicchessia impunemente ammazzati. C apitolo III.

Jn qual modo F esule Cicerone f u consolato da Filisco.

Cicerone pertanto pass nella Macedonia, e vi


( i ) Q u fiti chiamaTasi C . Vergini.

(a) Cioi 466 miglia in circa.

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condusse la vita nella desolazione e nel lutto. Quivi essendo venuto a parlamento con lui un cei*to Fi695 lisco, bhe anche in Atene aveva avuta eoa esso della famigliarit , e che in allora per caso erasi in lui abbattuto ; non ti vergogni, gli disse, o Cice rone , di lagnarti in tal guisa , e di esser cosi fem minilmente abbattuto ? dirti il vero , io non avrei creduto giammai, che tu fossi per ridurti a tanta vilt d'anim o, tu , che eri ammaestrato , in molte, e varie discipline , ed. avevi ajutati pareccbj co' tuoi consigli. A tali detti rispose Cicerone ; assai di verso , o Filisco , il parlar per gli altri, e il dar consiglio a s stesso ; imperocch quelle cose, che diciamo per gli altri, siccome partono da una retta ed intera ragione , il pi delle volte sono dette op portunamente ; ma subitoch l'animo preso da c[ualche male, si turba, e si offusca di densa cali gine , sicch non pu immaginar nulla di adatto , e di buono y per lo che verissimo quell' aulico detto, che pi facile il confortar gli altri, che tollerar per s stesso con pazienza le contrarie vicende. T u , riprese Filisco , dici delle cose conformi alla umana natura ; ma io non mi sarei giammai aspettato, che tu fornito di tanta prudenza , ed esercitalo a tal segno nella sapienza, fossi poi s poco preparato agli umani eventi di qualunque sperie , di sortech se ti fosse accaduto qualche impensato acciJenle , dovesse questo ritrovarti in modo , che non ti ci fossi anlicipatamenle preparato. Essendo tu dunque al presente in simile stato, ch non poss io, dispu-

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tando teco di (pelle cose, che siano a proposito, recarti un qualche vantaggio ; e sull esempio di coloro , che a)utando gli altri a portare i pesi li sol* 695 levano , renderti ancor io al modo stesso piii lieve la tua sciagura ? Ed io posso far ci tanto pi fa cilmente , quanto che non sono per risentir di quella una bench menoma parte ) n t u , io mi penso ^ sdegnerai, che altri ti consoli : imperocch se tu solo a questo bastassi, a te certamente non farebbe di mestieii il mio discorso " , ma tu sei nel caso di Ippocrate , o di Democede (i), o di alcun altro dei medici i pi rinomati, che presi essendo da una malattia difficile a sanarsi, abbisognassero per gua> rime dell altrui assistenza. S bene, ripigli Cice rone , se tu hai alcuna ragione , onde dissipar dal1 animo mio la caligine che T ingombra , e richia marmi alla luce primiera, sono dispostissimo ad ascoltarti; imperocch siccome grande la difTerenza, e varia 1 cfGcacia dei medicamenti, cos lo stesso delle ragioni ; di modo che non da stupirsi, che anche sopra di me , il quale sono stato insigne nel Senato , nelle adunanze e nei giudizj , si spanda un qualche raggio della tua sapienza. E Filisco a lui ; O rs , giacch tu sei disposto ad udirmi, conside* riamo da prima , se verameute sono mali questi che ti circondano ; e dipoi in qual maniera si possa ai medesimi porger rimedio. In primo luogo io ti vedo sano di corpo, e dotato di una robusta salute ( e
( 1) Parla di qoeslo celebre medico d i C ro to n e E ro d o to al lib. 3.

298 questo il principal bene, che ha l uomo dalla naxoMj ^ (.], tu hai in oltre abbondantemente le 695 cose necessarie al sostentamento della vita, di modo che non sei in necessit di soffrir per mancanza delle medesime n la fame, n la sete, n il freddo, n verun altro male ; e questo al certo pu taluno chiamarlo il secondo bene, che luomo ha dalla natura; imperocch se v' chi abbia un corpo bene organizzato e ben sano, e che possa mantener la vita senza cure e travagli, costui percepisce i frutti di tutte quelle cose, che conducono alla felicit. Ma p e r i, r interruppe Cicerone , tutte queste medesime cose a nulla servono, quando l ' auimo di chicchessia venga afflitto eiacerato da qualche interna molestia; mentre le afllizioi dell animo recano all uomo ua dolore di gran lunga pi forte , di quel che sia it diletto cagionato dai piaceri del corpo; come son'io al presente, che non faccio gran stima n della sa late del corpo , quando soffro nell animo, n dell abbondanza delle cose necessarie , quando di mol tissime altre sono stato spogliato. E questo , riprese Filisco, questo ti affligge ? Se tu dovessi per l av venire restar privo di quanto necessario alla vita , ti dorresti con ragione di una tal perdita ; ma poi ch tu r hai in abbondanza , qual altra cosa pu recarti afflizione ? Forse il non possedere molti altri beni Ma tutto ci che noi possediamo oltre il bi sognevole , superfluo, e dobbiamo essere indiffe renti, che vi sia o n. Tu adunque , siccome neppur da prima facesti uso di ci , che non t'era ne-

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cessano, cos devi figurarti essere lo stesso cte tu non avessi allora quelle cose, delle quali senza difficolta potevi far senza , o che tu possegga al presente SgS quelle, di cui non hai di bisogno. Tu non eredita sti da tuoi genitori parecchie sostanze, talmentech tu debba tenerne maggior conto ; ma con la lingua, e con le orazioni te le sei procacciate, e cos l hai perdute (i); per lo che non devi avere a male, che ti siano mancate nel modo stesso, con cui ne avevi fatto acquisto. d in fatti i padroni di nave , allor> cli fanno una perdita grande, non se ne afTIiggono poi air eccesso , riflettendo , com io mi do a cre dere, prudentemente, che sono state ritolte loro le merci da quel mare medesimo che prima le aveva ad essi somministrate. intorno a ci sia detto ab bastanza ; imperocch io tengo per fermo che basti all uomo , per esser felice , di possedere qiianto bi sogna onde vivere , e di non esser privo di cosa alicuna necessaria al suo corpoj c quanto al superfluo io sono d avviso, che questo porti con se afilizioni, brighe ed invidia. Rispetto poi a quel che tu dici,
( i ) Vellejo , H i. a , cap. 34 , co'i dice i ( Cicero ) vir novilaiii ftobilitsimce, qui omnia incrementa sua sili debuit. l a fatli egli cblia noU issiini o n o ri, del che esso medesimo se ne T an ta, Pison, c. i ; e finalmente colla soa eloquenza si eccit contro I odio fatale di m o lt i , come anticamente avea fatto Demostene ; onde Giovenale , S a t- X , veri. 9 8 , cosi ti esprime : Eloquio sed utr.rque periti Oratar : ulrumque

Largut , et exundans letho dedit ingenii fo iu . Iiigenio manui e s t, et eervix casa : nee unquan Sanguine causidici madnermit roslra putiUi.

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che a nulla gioTno i beni del corpo, se anche l a* nimo non sta bene, sono io pure del medesimo 695 sentimento mentre non pu essere a meno, che sofirendo T animo , non patisca insieme con lui an< che il corpo : ma io sono di parere , che sia pi facile la maniera di far si, che noi stiamo bene d'a nimo che di corpo. Di fatti il corpo , siccome com posto di carne , per se stesso soggetto a parecchj incomodi, ed ha mollo bisogno dell' ajuto e dell'as sistenza divina ; laddove per Io contrario all animo che ha ima pi alta natura, si pu con assai minor fatica dar regola e disciplina. Vediamo adunque, se ti piace, quali beni d'animo tu hai, o qual male siasi cos radicato nel medesimo , che da noi non possa levarsi. Io a dir vero scorgo , che tu pi di tutti i mortali dotato sei di prudenza e di senno ; del che ho io queste prove , che tu il pi delle volte persuadesti o al Senato, o al popolo d'ab bracciare i tuoi consigli, e spessissime fiate ajutasti i privati colle tue difese. Oltre a ci io ti reputo giustissimo , siccome colui, che sempre ti mostrasti pronto a muoverti con tutto l ' impegno a pr della patria e degli amici contro quelli, che loro trama vano insidie : e queste medesime traversie , che hai test sofferte , non ti sono accadute per altro mo tivo , se non perch perseverasti a dire, ed a far tutto per le leggi e per la repubblica. Che poi tu sia fornito anche di somma temperanza , n' prova il tuo stesso modo di vita ; imperocch non pos sibile , che chi schiavo de' piaceri del corpo , si

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lasci veder sempre in pubblico, e s'aggiri pel Foro, e nelle sue azioni del giorno dia un attestato dello studio, e delle composizioni notturne. Oltre ^ e ste 695 cose , che cosi sono, io t ho reputato ancora un uomo fortissimo, mentre tu hai sempre fatto uso di tanta forza d'anim o, e di tanta robustezza di di< scorso. Ma tu avvilito , perch fuor della tua espet fazione, e contro quello che meritavi, sei stato op presso , ti credi anche , che la tua stessa fortezza siasi in qualche parte scemata , la quale per tu riacquisterai quanto prima. In somma andando cos le tue cose, ed avendo tu il corpo sano e T animo incorrotto, io a dir vero non veggo, che sia ci, che a te rechi cordoglio. A tali parole rispose Cice< rone; Non ti sembra dunque un gran male il vivere in ignominia ed in esilio , lo star privo della casa e della pratica degli amici , l ' esser cacciato villana* mente dalla patria, Tandar ramingo, l'errare attorno con la taccia di esule , ed il dar materia di riso ai nemici, e di disonore a suoi ? A me certo , riprese Filisco, in verun conto non sembra, che in tutto questo vi sia un gran male: imperocch essendo noi composti di queste due parli soltanto ^ di anima cio e di corpo, ed essendosi assegnati ad ambedue dalla natura certi beni, e similmente certi mali, se per parte nostra vi si aggiunger qualche vizio, avremo ben ragione di rcputai-lo pernicioso e turpe ; ma se tanto r una, come l'altro si conserveranno senza di fetto , dovremo credere di essere stati ben trattati. In oltre questi mali che tu dici, si chiamano cosi

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per usanza , mentre le ignominie, e qaant' altro v *" mai di simil genere, apportano vergogna , e sono 69^ mali che dipendono solo dal costume e dall'opinione degli uomini, di modo che non fanno il menomo detrimento n al corpo , n all' animo. In fatti qual corpo puoi dirmi che sia caduto ammalato o mor to , o qual animo , che sia divenuto pi ingiusto o pi incolto per una ignominia , per un esilio, o per alcun' altra cosa si fatta 7 Io per me non so assolu tamente vedrlo ; e quindi , che niuna di queste cose di sua natura male , al modo stesso , che di loro natura non sono beni n gli onori, n lo stare in patria ma son tali, quali ciascun di noi se li fi gura. N tutti gli uomini poi stimano alla maniera medesima o F infamia , o gli onori * , ma ci che si critica da alcuni, vien lodato da altri, e quelli met tono la pena di morte a quelle cose stesse , per le quali questi compartono dei grancissimi onori. Vi sono taluni, i quali non conoscono il nome d infa mia , e fanno benissimo 3 imperocch costoro sono d' avviso , che tutto ci , che non seconda i beni dati air uomo dalla natura , neppur s'appartenga al l'uomo medesimo. In somma, siccome sarebbe senza dubbio cosa molto ridicola, se si formasse un giu dizio o un decreto , in vigof di cui si prescrvesse , che un tal uomo cadesse infermo , o diventasse in giusto , cos deve dirsi lo stesso rapporto alla igno minia ] e la stessa regola si deve tenere riguardo al tuo esilio : imperocch 1' esilio non altro che un pellegrinaggio, che va unito eoa rignominia j da che

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ne nasce, che qaando rignominia non in'se stessa un male , neppur coll esilio si pu ricevere danno veruno. Oltre di questo poi vi un gran numero di 69^ quelli che per moltissimo, tempo vanno pellegrinan* do, parte contro lor voglia, e parte di propria spon^ tanea volont ; n vi mancano di coloro, che F in tera vita consumano errando qua e l , come se da tutti i luoghi fossero espulsi, n per credono che ci ridondi in lor danno ; e tanto che uno lo fac> eia spontaneamente , quanto che suo malgrado ; ed in fatti chi non volendo si d all esercizio del cor po, non acquister minor robustezza di chi lo fa di proprio piacimento ; e colui che naviga contro suo genio non ne trae quindi minor frutto di colui, che fa ci di suo Cipresso volere. Io per non intendo, come intervenir possa ad un uomo prudente di far qualche cosa contro sua voglia : imperocch se la differenza della felicit , e della infelicit consiste in questo, cio, che noi facciamo volontieri quelle cose che vogliamo , e con dispiacere quelle che non vo gliamo , vi un pronto rimedio. Di fatti se noi vo lontariamente ci accingeremo a mandare ad esecu zione tutte quelle cose, dalle quali impossibile il dispensarsi, e non soccomberemo ad alcuna neces sit , in questa classe rimarranno comprese anche quelle, le quali da noi si pensa, che accadano con tro la nostra volont. Per vi quell antico, ed al tempo stesso verissimo detto, che noi desiderar non dobbiamo, che si faccia quanto da noi si vuole} ma bens voler quelle cose , che necessariamente ci ac

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cadono; hientre noi non scegliamo un genere di vita a nostro talento, n siamo di noi stessi padroni ; 6g5 ma necessario che viviamo, come pi sar piaciuto alia fortuna , e come ci sar stato concesso dalla sorte , che a ciascuno di noi toccata. In somma tutte le cose , o vogliamo , o non vogliamo, acca dono alla stessa maniera. Che se poi non gi que> sta iguominia, n questo esilio ti affligge, ma duolti piuttosto, che tu senza aver fatta ingiuria alcuna alla patria , anzi coll' averla sommamente beneficata , ne riceva poi un tanto obbrobrio, e ne sii discacciato, in questo caso rifletti, che quando il tuo fato por tava, che tu in queste cose sofli-issi, nulla accadere ti poteva di meglio , e di pi onorevole, che essere oltraggiato seuza meritarlo. Tu a no-.ma del tuo do* vere provvedesti, ed eseguisti tutto a pr de tuoi concittadini, e non gi da privato, ma da consolo, ingerendoti negli affari non come uomo che far vo' lesse ogni cosa, ma seguendo il decreto del Senato; e non per suscitar sedizione, ma per provvedere nel miglior modo possibile alla repubblica : ed al* l incontro alcuni uomini indotti a ci dalla intensa brama di usar prepotenza, e di offendere , tese ti hanno tutte le dette trame ed insidie. Dal che ne risulta, che ad essi a cagione della loro ingiustizia tocca a dolersi ed a piangere; e per te cosa ono revole e necessaria il tollerare intrepidamente quanto la fortuna ti ha destinato. N tu, piuttosto che sce gliere di andare in esilio, oprando bene, eleggeresti di rimanerti colpevole nella patria , come esecutore

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dei disegni di Caliliaa , o come compagno di Leutulo nella coDgiuia, o come tale ctic ooasigliatc avessi tulle le cose contrarie alla stabilitii delia rc> 695 puLblica , e non arenisi fatto quanta dalla medesima ti veniva ordiuato. Se fai peitauto ritlesjiione anche sulla stima , molto meglio per te T essere 'jartito dalla patria senz' aver commesso alcun delitto , clic se vi fossi l'imiasto dopo aver mandata ad effello una qualche azione malvagia : imperocch, per uon dir. nulla del resto , il disonore ridonda non in co* lui, che coutr'ogni giustizia vien mandato in esilio^ ma sibbeu in quelli, che indebitamente lo cacciauo. lo per sento d ire , che tu non per forza, n conddnnalo in giudizio; ma che spouta^neamentc tc ne <ei partito , perch .ti rincuesceva di ^iveie pi & lungo con tali uom ini, che tu non potevi rendere migliori, e coi quali tu uon volevi perire. T u dun que fasciasti non gi la patria , ma i di lei insidia tori , che certameute or sono fuorusciti, e ricoperti d'ignominia , mentre hanno dissipati e dispersi tulli i beni deir animo j quaiido tu pel contrario, sei ono ralo e felice , mentre non servi con disonore ad al d i n o , ed hai in abbondanza le csc ueccisaiie alla vita , o ti sii prefisso di vivere in Macedonia , o in qualche altro pese. N sono gi y luoshi che re cano all'uom o o la felicit, l infelici l j mf cia,si;nn di noi da per s stesso in'Ogni teppo , cd in ^ualuuque ]>arte si foriia la pa tria , ed uua vita beata. Comprendndosi questo molto bene da Ca
t9*no I.

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millo , nop gli racrebbe di abitare in Ardea (i); e riflettendo a questo anche Scipione . visse senza di6()5 piacete in Literno (a). Che dir io di Aristide, che di Temistocle, la gloria dei quali si accrebbe con r esilio ? Che dir d'Annio (3) , cbe di Solone j il qUiale a bella posta per lo spazio di dieci anni stette dalla patria lontano (4)i Or dunque tu ancora guar dati bene dal giudicar grave e molesta alcuna di queste cose , che non toccano la natura del corpo, n dell' animo , e dal sofTrire con rincrescimento i tuoi casi ; giacch, come ho detto, non a noi concessa |a scelta di vivere a nostro arbitrio j ma egli- necessario il tollerare quanto dalla fortuna ci stato fissato. Lo che se noi faremo di buonanime, saremo "escfti da ogni afflizione ; e se di mala vo glia , ci non Astante non potrei^io sfuggire le cose destinateci dal fato, e ci dorremo inutilmente ; e questo Uu male grandissimo. Di quanto io dico n' prova, che alcuni col sofTrire in buona parte anche le pi sinistre vicende, stimano di non essere afflitti yda male vei'uno ; ed altri col lieve peso di picciole disgrazie , credono di avere tutti i m ali, a cui pu esser T uomo soggetto : ed altri similmente
( i ) Intorno H* etiglio di Camillo si m c o n l(i TilO L iv io , L i. 5 ,

pop. 3a e 4 ^ , e Plutarco , in Camit. (3) lterno o Linterna h ittto chiam ai! T orre di

P a t r i a , ed k n n villaggio in l e n a di L avoro. Vgga Valerio M atiim o , Ub. 5 , eap. , (3) Mon ti sa chr fosse costui , veggasi Pllarch. de exUio. (4y Si Tiscooiri il M eursioivi Solone eap. a5 , tom. F , The-~ tauri G ro/iow anii

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regolandosi male ;icl fvorevoli eventi, ed a]tr! bene />/ ' nei. conlrarj j fanno s ic h e l una e l altra fortuna no-u sembri loro tal quale se l erano ideata. Tu pure ri- 6 g 5 flettendo a tutto questo , non soffrirai di mal animo il tuo stato presente , n ti rincrescer^ , qualora tu s e n ta , che quelli, i quali ti hanno cacciato dalla c itt , godano di una prospera sorte : imperocch la umana felicit generalmente incostante, e dura ap* pena un sol giorno ; n^a in ispecial modo nelle se dizioni quanto pi uno cresce in fortuna, tanto pii facilmente si disperde a guisa di vento. Ih fatti gli uomini, i quali si trovano in mezzo ad affari torbidi e tempestosi, poco o niente sono diversi da qulli, che vengono agitati da una fiera burrasca ; mentre allo stesso modo di sopra e di sotto , di qua e di l sono sospinti, e se fanno anche il menomo sba glio, restano interamente sommersi. E per' non met terli innanzi agli occhi gli esempii di Uruso <i), di Scipione (ot) , dei Gracchi (3) , o di altri , tu hai a memoria in qual guisa Camillo una vlta esule ces-i di vivere pi illustre e pi distinto di L. Apulejo (4); ti ricordi , ' quanto Aristide dopo il suo eiglio fu
( i) Livio Draso , del quale parla Senaca , de revit. T l. eap. 6. (a) [*. Sci|iioiie Afiicauo , il quale esuemlni oppnsle ai liiuntlii eccitati dalla legge a graria, fu ritrovato m o no nel tu o le llu , A u n a l. P ig h . a d . A . V - C. 6 i 4 > tom. 3 . Il Xilaiidro per c <l avviso, che qui si parli di Scipione Nasica , clic per i v c r /uccito TilTeiia G racco , peri in miglio. (3) 'l'il>erio Gracco e C. Gracco fratelli, nerissimi promotori dull^ teglie a g raria, d i e furono uccisi in,una SLtliiinue. (4) 'Iriliuno della p leb e , d ie lu aveva iiccusalo di furto.

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preferito a Temistcle (i^ Laonde - tu ancora deW singolarmente sperare, di esser rtitutio alla patria, 695 mentre non ne sei stato espulso per qualche ini quo ! misfatto ) e per quanto ae sento a dire sarai licbies^to da quei medesimi che ti hanno discacciato; e sarai desiderato da tutti : ma quando anche tu dovessi restare nello stato', m cui adesso ti trovi, con tutto questo non avresti motivo di affliggerti. d in fa tti, se farai a mio modo , tu contento di scegh'erti per ttio soggiorno una qualche possessione posta al m are, appartata dal concorso degli uomini, ti darai quivi all' agricoltura , e ti rivolgerai a ^cri* vere ad imitazione di Senofonte e di Tucidide (a) j imperocch questo genere di filosofia di lunghis* 8ma durata , e conviene mollissimo all' uo m o , e ad ogni pubblica amministrazione ; e T csiglio d como dissimo agio di badare alla detta filosofia. Se bram i adunque di renderti veramente immortale-, siccome si sono resi costro, imitali ; conciossiach non ti manca veruna cosa necessaria , n di alcun onore abbisogni ; e se anche in questi un qualche bene riposto , tu esercitasti il consolato j bench l essei-e consolo per la seconda, per la terza, e per la < p arta
( t) Tem ittocle , cka av era a c o a u to A ristide, f a poscia c a c c i a to ' d a Alene come Iraditor della patria , si d o v i rifuggir tra i P e r i ia ai : ed Aristide dopo il suo esiglio fu onorato nella sua p a t r i a fino alla m orte. ( 3 ) Plutarco , de exilin , attesta , che Tucidide scrisse l a s o a toria in .Tracia ; in te m p o ch ' era esule dalla patria ; e ch e S e n o fonte dopo quella famosa spcdixioae compose In uit in {lU4 a' e ' inTcccki^. I

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volta altro non porta seco, *e on una quan* tit d'iouili lettere , che non recapo ^ u a vantaggio n ai v iri, n ai m o rti, se mai tu volessi' esser 6 q 5 Corvino (1 )^ 0 quel Mario famoso per sette conso^ la t i , piuttosto che Cicerone. Quanto al resto poi ^ io mi ilo a credere , che tu neppur desideri alcuna provincia, mentre ripudiasti, quella che^ti fu asse gnata ( 3 ) , non curando queir emolumento che po* teva ricavarsene , e dispregiando quel breve potere f che esposto alle calunnie di qualsivoglia persona. Si sono da me annoverate queste cose, non gi per ch se ne richiegga alcuna di esse per la felicit, ma aflfjDch-apparisse , che tu ancora , quando cos port il caso , ti trovasti bastantemente al man^^gio della repubblica^ ed aiUnch dall uso pure e dalr esercizio di simili affari' scorgessi la diffi^renza' dei diversi 'm etodi di vita , e scegliessi F uno , e ripa* diassi r altro, e seguitasti q uello, e questo fuggissL Di fatti breve la nostra vita , n bisogna che la consumi totalmente 'per gli altri , ma che ne spenda anche una qualche* parte per te medesimo j ed in oltre rifletti, quanto sia miglior cosa la tranquillit, della perturbazione, la quiete del tumulto, la libert della servit , la sicurezza dei pericoli, per abbrac* ciare pi ardentemente quel genere di vita, al quale io ti esorto -, poich cosi e t sarai b o a to , e sar grande il tuo nome , mentre vivrai in tal guisa, ed (i) M- Valerio C o ito o C orT tuo , il qnale fu aei Tolte Slgon. md A . V. C . 3o5 , ^07 , e teqq. 646 , 6 4 9 j (a) Cioi la Macedonia la Gallia , U t. ij. consolo | .

3io
<<' aache dopo la morte. Cbe se poi ila te si faranno impegni pel^tuo ritorno, ed aspirerai . il aver lu 695 slro e splendore nella repuLLlica , in questo caso non vorrei dirti cosa che dispiacer ti dovesse , m a riguardando io nella, natura degli a^ari , e conside rando ta tua libert nel ragionare, ed in oltre veg> gendo la possanza e la moltitudine de' tuoi vver* sarj , temo che tu novamente non ti riti'ovi in pe rico lo , ed allora , se verrai costretto a ritornare in esigilo, sarai preso dal peatimeito, e se incoaUerai la. morte , non vi sar luogo neppure a pentirtL chi non reputer obbrobrioso ed orrendo, che a taluno sia troncata la testa, ed esposta nel fo rc a g li in su ltifo rs e di uomini e donne ? Guardati per di porgermi orecchio come a tale, che ti faccia dei si nistri prognostici ^ mentre anzi riguardar devi in me uno che li predice le cose dichiarate dai celcsii <iugiuj. N t inganni l idea di aver per amici alcuni che sono potenti , imperocch costoro, che adesso ti pajono amici, tiinn soccorsb ti porgeranno contro i tuoi avversar) j e questo gi. lo hai provalo. l a fatti coloro , che aspirano ad avei*e autorit e pos sanza,, pospongono tut(e le alti-e cose alla loro cu pidigia , di modo che spesse volte sacrincano alla vendetta anche i loro pi intimi am ici, ed i pi strelli parenti , quasi che fossero i loro pi grandi avversar}. Udito, eh ebbe un tal ragionamento Cice rone , si sollev uu poco dal suo cordoglio. Esso per non stelle lungo ilenlpo iu esiglio ; ma fu ri chiamato dallo stesso Pom peo, per opera dei quale

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era stalo cacciato ; f e lietlero motivo al di lai ,ri- IM tom o le iniquit di Gldio j il quale coirotto cn danaro avea levato di carcere , e posto in libert 695 Tigrane il giovine, ch era per anche ritenuto ia ceppi sotto la cur di L. Flavio ( i) ; ed aveva detto villaiSe a Pompeo c G abinio, i' quali per un tal iatto eransi sdegnati j battendo ancora e maltrattando con ferite I costoro seguaci, avendo rotti in oltre i fasci del consolo , e comandato che le di lui so stanze fossero confiscate, i-ritatosi per s fatte cose Pompeo , ed in ispecial modo perch Glodio fa c e ^ uso contro lui stesso di quell' autorit eh' egli avea fatta restituire ai tribuni delia plbe (a ), deterrainossi di far ritornar Cicerone, e subitamente per mezzo di Ninnio cominci a dimandar con istanza il di lui ritorno. C ostui, aspettato il tempo che Clodio non vera, fece una proposta io Senato a favore di Cicerone j ma essendosi opposto un altro tribuno J e lla p leb e, esso allora 'propose pubblicamente la sua richiesta, dicendo , che sopra qaelja doveva de liberarsi dal popolo; e si oppose in tutte quante le ose a Clodio , per lo che ne nacquero d'am be le p^rti delle dispute, e dei sanguinosi contrasti. Prima per che sr venisse a questo, Clodio, per poter pi facilmente eseguire i suoi tentativi , stabili rii allunta n t'd a Roma Catone (3) , e di vendicarsi al tempo
(1) E ra questi L . Flavio IMepole, p r e to r e , dal quale si doTcya v e r cura itei deLenuli arile carceri pubbliche. ( 2 ) Vegeasi al libro x x x t i .

(3) V tllejo, lib. 3 , cap- { 5 , coli Uicc : ad spoUandum rtgno

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^vjri Tneileaimo <!i Tlommeo re Cipro , perch noti Koxi avca riscattato, lui stesso, quandq fu preso dai C o r - 6 q 5 sari. Dicfaiai' adunque, ' che T isola di Cipro fosse pubblica del popolo, romano , e per dare a questo effetto le necessarie disposiziooi, vi piaud C a to n e , quiintitnquc costui mal volontieri assolutamente vi andasse. E queste cose cos accaddero in citt. C a p it o l o IV.

Come guareggi Cesare contro gli Elvezj e contro di Ariovisto.


Non trov Cesare nella Gallia guerra di aorta al cuna; ma tutte le cose ia grandissima quiete; non per si stett> egli in ozio s fatto ; ma subitoch gli 6 present un occasione di far la ^ e r r a , dopo questa ne fece un altra , acci potesse, a seconda di quanto egli principalmente desiderava, riempir tutti i-luoghL di combattimenti e di pugne, e dopo aver eseguite felicemente le im prese, rimaner vinci tore. Essendosi gli Elrezj a dismisura aum entati, e possedendo un territorio poco suflGcirtite in confronto (Iella lor m oltitudine, non stimavano per ottimo consiglio il mandarne una parte ad abitare altrove , acci cos dispersi non rimanessero pi esposti alle insidie di coloro , che essi aveano offesi. Poi chebPtolemaeuni , suh hnnnrifictnlistim o m inisteri titulo , M . C atonen d o d a u a re/iubbtita rtl*gat>L Veggati aach* P lu U tc o , in Cai. M in .

3 i3
bero adunqne concordemente stabilito di uscir tutti dalle toro abitazioni , e di passape' in una migluM-e o- e pi vasta regione, incendiarono tutti i loi; casali , 695 ed i loro villaggj , acci taluno non potesse cam biarsi di sentimento lispetto alla partebza, e sotto la condotta di Orgetorige, invitati con loro anche altri p opoli, che m trovavano nella medesima n> cessit, si accinsero a passare il Rodnno , e- ad oc cupare un qualche paese p o sto , presso le Alpi. In questo mezzo , in tempo che C esare, dopo afier ta> gliato il ponte del fium e, a%stiva anche le' altre cose per impedir loro il passaggio , gli Elvezj B en darono a lui degli ambasciatori, per pregarlo a voler ad essi permettere di passare , prom ettendogli, %he senza farvi alcun danno incamminati si sarebbero p er le canipagne appartenenti ai Romani. Quantun que Cesare non prestasse fede a costoro , n fosse p er concedere ai m edesimi, che in qualche luogo si avanzassero , contuttoci siccome non era' per an- . che abbastanza in ordine , rispose , che avrebbe de liberato con gli ambasciatori intorno alle'loro richie s te , e fiss il giorno,, in cui avrebbero avuta la , risposta j e di pi li raiser anche in una qualche spe ranza di ottenere il passo. Intanto fortific, con ti rarvi delle fosse , e dei m u ri, i luoghi i pi van taggiosi , per chiudere a quelli il sentiero. I Barbari p er qualche tempo si stettero fermi ; ma poi eh in tesero , che non si manteneva loro alcuna di quelle c o s e , delle quali erasi convenuto, postisi in,ctmOiino , andarono da prima per gli llobrogi l dov9

3i4 s erano prefissi , m poscia gianti che furono agti opposti rip a ri, ^i Tolsero verso i i^equani (i), e viag-* 6 i)5 giarouo per la regione di'questi', e per quella degli E dai (2) y concedcad ad ess(i questi popoli della Gallia volentieri il passo , perch i medesimi Elvezj promisero di astenersi dal fare alcun dnho. Ma o o a stando coslorp ai p a tti, e di pi daudo il guasto ai ioro paese , i Scquani, e gli Edui spacciarono ambasciatori a Cesare , a dimandargli ajuto , ed a chiedere che non Tolcsser permettere che essi p e rissero : e t^uantunque^il loro discorso poco si accor asse coi fa tti, coutulbci impetrarono quanto chie -devano': mentre temendo Cesare , che alla volta di Tofosa non marciassero gli E lvezj, determin di unirsi piuttosto coi Seqnani, e con gli E dui-per ripingere i detti Elveej , che essere obbligato a far contro tutti insieme la g u e r r a n e l caso che quelli con questi avessero conspirato ; il, che senza dubbio sarebbe accaduto. Avehdo adunque dato T assalto agli Elvezj, che passavano il (lume Arari (3) , tagli a pezzi quei eh' erano gli ultimi nel passaggio del medesimo fium e, e quelli che gi s'tirano avanzati o ltre , improvvisamente, e con soiuna prontezza esso raggiuntili , in tempo che gi aveano saputa la strage th 'c ra s i fatta dei loro , li spavent di ma niera , che venne desiderio ai medesimi di patteggiar , con Cesare per avere una qualche regione. M a non
( 1 ) In ogc;i O D O gli ab itiaii Jclla Franca Contea. (j) A .I preaeule sono i popoli del Ju c a U d i Borgogna. (3) AIcko chiamasi la Sona.

3i5
ai accbrdarohO, imperoccli essendo loro ricliie^ti dallo stesso Cesare degli ostqggj , sdegnatisi , non tanto perch non erano cre d u ti, quanto perch re* 695 putavatao indegna cosa il dare i de^ti ostagpj , non fecero pi conto di verun accorda j ma pi oltre avanzandosi con la loro cavalleria incontrarono.^ e vinsero quella di Cesare , che di lungo tratto era andata innansi alla fanteria, e di gi area passate le guardie deirultimo squadrone degli Elvezj. Costoro insuperbitisi per tal combattimento , e giudicando, che Cesare fuggisse, parte perch era rimasto per ditore , e parte perch , a motivo della scarsezza <]e' viveri, era andato alla volta di una citt fuori di str<ada, pensarono di non pi continuar la loro m arcia , ina s bene d'inseguirlo. Cesare avendo re dato ci , ed essendosi posto in timore dcH'impeto, e della moltitudine de'neraici , fece salir la gente a p ied i sopra un certo luogo elevato , e pose innanzi i soldati a cavallo , che sostenessero 1 primi 1 ' urto d e g l inim ici, finch esso avesse schierate in ordine d i battaglia le truppe in un sito opportuno. Gli EI> v e z j , avendo novamente i-ispinta la cavalleria ro< m a n a , e di gi incamminandosi audacemente verso il detto luogo elevato, furono d'improvviso investiti d a Cesare in compagnia della sua gente ; la quale in ordine di battaglia assalitili d a ll'a lto , menti essi confusam ente venivano, li rispinse con non molta fatica. Costoro postisi in fu^a furono insegnili dai R o m a n !, e questi fnrono improvvisamente assaliti a lle spalle ^ e messi in qualche coufusioae e dIsor>

3 i6

rf"* dine d alcuni altji ElreEj, i qnali si p er la lof moltitudine , come per la fretta degli altri non eransi 695 ritrovati al combattimento. Questi Elvezj per noa ne riportarono un gran vantaggio, perch Cesare ordin ai soldati ai cavallo di dar la caccia a quelli elle gi fuggivano , ed esso coi suoi armati lancia tosi sopra il nemico , Io sbaragli * , e quindi avendo incalvata fin' ai, carri (1) l'u n a e l'a ltra porzion fuggitiva di e ssi, li super tu tti, quantunque ivi novamente si difendessero con sommo valore. Rice< vuta i Barbari una tale sconfitta ji divisero in due p n r ii, e gli uni essendosi soggettati alle condizioni prescritte da Cesare , ritornarono nel loro p a e se , dond eransi partiti , ed abitarono di nuovo quelle citt dopo averle rifabbricate j gli altri ricusando di ceder le armi , i portarono alla volta del R eno, dal qual luogo potevano restituirsi alle antiche lor edi; ma costoro siccome ridotti a poco num ero , o ' rovinati dalia battaglia, furono senza contrasto ta< gliati a pezzi dai confederati dei Rom ani, pel territnrio dei quali essi eransi incamminati. Ed id tal guisa ultim Cesare la prima guerra. Ma qui non f(>rmossi dopo aver egli incominciato ; e quindi segni la intrapresa carriera, e fece cosa grata agli alleati; jmperocch i Sequani, e gli Edui scorgendo le di liii b ra m e , e veggendo , che 1 esito cprrisptmdeva alle sue speranze, vollero fare un beneficio a Ce
fi) Tmomo al costonie Hi servirsi li carri per far valli e Iriocecj v e d a t i I Sch cfero, de re yehieularia t lib . a , cap. a 8 .

Si7
arcj < < 1 ietnpo stesso vendicarsi dei Gennani loro viciai, questi passato gi prima il R eno, *o^ aveano '^ssi ritolta una parte del lor territorio ^ 696 . e se gli p^'^io &lti tributar) con averne ricevuti degli Ostaggj. - ^ - ^ i a^evol cosa ai medesimi il persua dere a C e ^ , che si portasse in loro soccorso , m entre l ]>regavano di ci che egli sommamenta desiderava. Comandava a quei Germani riovisto y che ricevuta aveva' dai Romani la conferma nel re gno f e ohe dallo stesso C esare, allora consolo y era stato annoverato ira gli aniici , e gli alleati dei Romani. Cesare badava poco a questo , rispctto alla gloria che riportar doveva dalla g u e rra , ed alla possanza ^ che acquistar doveva sopra i Germani j procurando soltanto di aver motivo di dissensione d a qufl b a rb a ro , e di non comparire di essere il prim o a 4 attaccarlo. Chiam adunque a- se il detto Ariovisfo ; dicendo, che aveva da trattar di alcuni affari con lui ; ma riovisto non obbed, imponendo a Cesane di andarlo -a ti'ovare, se voleva qualche c o s a , p sggiuugendo , che sso non ra da meno d e l medesimo Cesare j . e che colui che ha bisogno d i un altro conveniente che vada a trovarla ~Ii> rita to Cesare da simil risposta, che sembrava diretta a d oltragg!aie il nome rom ano, chiese da lui subito i detti ostaggi dei confederati; e gl^intim in oltre, d i non entrar nel lor territorio , e di non far venire maggior rinfono di gente dalla su^ citt. Cesare p e r agiva in tal guisa , non perch sperasse di at terrire Anovisto f qia per muoyerlo a sdegno , affla

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rf''' ch in tal 'modo avesse tyi forte , ed. insieme ginsto XoM j pretesto di far la guerra ; n rest d e lu s? , giacch 695 Aiiovist9 soffr di mal animo si fatti comandi , e diede una fierissima risposta j per lo che Cesare non tratt pi col medesimo per messo di amba sciatori, ina occup immantinente Yeson/one (1), citt dei Seguani, prima cbc alcuno ne avesse avuto sentore. In questo mentre i soldati, essendo venuta la nuva, che Ariovisto con grandissimo sforzo si preparava aila guerra, e che molti altri G erm ani, i quali in di l^ii ajnto venivano , parte aveano gi passato il R en o , e parte eransi fermati in agnato presso il fiume medesimo, per potere improvvisa* mente lanciaj'si sopra i Rom ani, si avvilirono allec cesso. di (kfti tanto gli aveva atterriti la grandetza dei corpi degl inim ici, e la lor moltitudine , come anche la loro audacia . e le pi'onte minacce ^ che si Credevano d'averi a fare non gi con uom ini, ma bens con orrende crudelissime fi^re ; e quindi spar gevano voce, che la .intrapresa guerra non era gid8ta , n era stata pubblicamente d ecretata-, ma che ki faceva soltanto pler privata ambizione di Cesare ^ e minacciavano anche di abbandonarlo, qualora nou avesc^ mutato consiglio. C esare, intesa tal c o sa , non couvt^c perci tutti i isuldati , mentre non era davviso , che fosse vanlaggioso il tenere un ragioBfimento a tufta l moltitudine , principalmente per* ch poteva risapersi dai nemici , ed anche percli /"
( 1) Adesso chiamati Besanioae c iu della F ta ac a C ooia.

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tem eva, che i solilati ricusando di obbedire non si Aumt levassero a tum^Uo^ e trascorressero io qualche grave misfatto. Convoc adunque i suoi legati, e gli 6gS alti-i duci m inori, e parl ai medesimi nei. termini seguenti.
C a p it o l o

V.

fiagionamento di Cesare.
|o non credo , o am ici, ch si debbano prender da noi le stesse risoluzioni riguardo alle nostre dose private , e riguardo alle pubbliche ; mentre veggo , che quelle non hanno il medesimo scop di queste. Conviene cei;tamente ^ ^he noi scegliamo , e man diamo ad effetto tutto ci che jiommamente giusto e sicuro j ed il popolo quello d i' ottimo; e quan> tunqne nei privati affali sia necessario essere attivi, p erch senza questo non possibile mantenersi in u n o stato conveniente , contuttoci chi Ha meno af fari sembra che sia pi sicuro. questa la ra< gione , per cui una citt, specialmente se acquister u n a qiialche .possanza , se n andr prcstissimamente in rovina ; e tal cosa non gi stabilita dgli^ uominij. m a decretata da una legge della natura mcdesilua a l a t a , a a c o ia , e sar sempr* c o s , finch durer il genere umano. Ci posto , non conviene , che ta lu n o 'd i voi adesso provveda piuttosto al suo piacere, e d alla sua propria salvezza , che a guanto pu esser 4 ' onore ; e d'uUle a tutli i Romani: e fralle cose ,

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che voi doTcte considerare, esaminate principalaieiito q uesta, che n o i, i quali siamo tanti , e s grandi uomini decorali di dignit s e n a t o r i a e d equestre , e forniti di una imn^ensa quantit di soldati e di danaro j qua non ci porta^umo per stare in osio , o per vivere senea pensieri, ma per dai-e un retto stabilimento agli affari dei sudditi, per m antener sicui*e le sostanze dei confederati, per, rintuzzar la violenza di coloro che tentassero di rapirle, b laal* mente per accrescer anche le nostre fortune. Di fatti se noi venuti non siamo con tale intenzione, a <;he pr s{ falUt una simile spedizione? perch non siamo in vece rimasti in patria presso i n o stri Dei Lari a qualunque condizione ? certo sarebbe stalo meglio il non esser venuti giammai a q^u<esta guerra, che abbandonarla quando ci stato dato 1 assunto di iaiJa. Se noi non stiamo q u i , verranno altri ob bligati dalle leggi ad eseguir gli ordini della patria, per la pi parte spontaneam ente, in vista degli onori e dei vantaggi, che si ritraggono dalla milizia; ed in tal caso come potr parerci di avere onesta mente santamente operato, col deludere le spe ranze tli quelli , che qua ci spedirono^ e le nosli'e ? )i fatti niun privato pu godere dei* prosperi eventi in m odo, cli.esso pur non perisca y se la repubblica va in ruina ; ma perdio contrario, se la repubblica tessa iia dei ferlubati successi , pu anclie^ da tutte ' Jc_ calamit sollevare i privati. O miei amioi e com pagni nella guerra, che qui vi trovate p resen ti, non 4^icu io queste cose coutro di v o i, mentie gi mi

3ai
noto , non aver to bisogno , che io ve ne dia discipiina quasich le ignoraste , o che vi ammonisca, come se foste negligenti j ma siccome ho scorto , 695 che vi sono alcuni tra i so ld ati , i quali spargono v o c e , che da noi stata intrapresa una guerra in giusta , e muovono gli altri ad eccitar sedizione e tumulto , quindi ho creduto bene di arrecarvi le mie rag io n i, onde far che rimaneste pi che mai fermi nella premura che avete per la vostra p a tria , ed insegnaste a coloro i proprj doveri ; imperocch pos sono essi far frutto maggiore col sentir da voi p r i vatamente , e parecchie fiate queste cose , che colr intenderle da me una volta soltanto. Dite adunque ai m edesim i, che i nostri maggiori non collo stare a casa , non coll' aver paura di andar* alla guerra, non col fuggire le p u g n e , n col seguir la pigrizia hanno ingrandita la citt nostra a tal segno ; ma coir esser pronti a tentar tutto ci che faceva di m estieri, ed a mandare ad eiletto quanto si era p rescritto , esponendo sempre a rischio le proprie sostanze, come se fosser d'altrui j cd assoggettan dosi senza dimora i dominj degli a ltri, come se a lor medesimi appartenessero j non facendo consistere in altra cosa la felicit se non nell'adem pire.al pro prio dovere , e stimando , che l ' unica infelicit fosse il vivere in ozio , anche quando aveano la fortuna propizia. Regolatisi quelli con s\ fatto consiglio, quantunque da principio fosser pochissimi , ed aves sero una citt la pi piccola di t u tt e , ci non ostante ridussero in lor potere i L a tiu i , vinsero i
D ioxe, tomo I . Il

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S abini , assoggettarono i T irre n i, V olsci, gli O *> * pici, i Lucani, i Sanniti; debellarono in breve spa695 zio di tempo tutto quel paese , che giace di qua dalle Alpi ; e rispinsero tutte le straniere nazioni, dalle quali vennero attaccati. d imitazion di costoro i Rom ani, che sono venuti dopo , ed i nostri padri non contenti di quanto gi possedevano , n postisi in riposo riguardo a quello, che ricevuto avevano dai loro m aggiori, ravvisarono nella pigrizia la loro certa ro v in a , e nei travagli la loro non dubbia sal vezza. In fatti temendo e s si, che le citt e le terre comprese nei loro confini non patissero d a n n o , e p er cosi dire non andassero a rifinirsi di vecchiezza ; e recandosi a disonore, se e s si, ai quali erano state lasciate cose s grandi dagli a n ten ati, non avessero fatto alcun acquisto, ne aggiunsero alle medesime molte p i , e molto pi grandi di quelle che aveano per lo passato. F a egli forse di m estieri, che io vi ricordi separatamente la S ardegna, la Sicilia, la Macedonia , rilliqico , la Grecia , T Asia che giace intorno alla Ionia, la Bitinta, la Spagna e l'A fnca? Egli c e rto , che i Cartaginesi avrebbero dato loro moltissimo d a n a ro , purch non navigassero in quelle parti ; moltissimo ne avrebbe dato altres F ilip p o , e P erseo, per non venir da essi attaccati in guerraj e molto ne avrebbe somministrato A ntioco, i di lui figliuoli e discendenti, acci essi medesimi non ol trepassassero i confini delF Europa. Ma eglino non anteposero alla gloria, ed all ingrandimento delFim' pero un ozio ignobile , e delle ricchezze, quantnu>

323 que sicure ; n ve l anteposero q u elli, che si ritrovano fra noi in et avanzata, e che sono ancor vivi, m entre anzi non ignorando, che bisognava fare al- 6^5 trettanto per acquistar delie terre , e mantenerne il possesso, consolidarono anch'essi molti degli acquisti gi fa tti, e ne fecero parecchj di nuovi. E qui si milmente fa egli forsb di mestieri , che io ve li an noveri ad uno ad uno f L isola di G re ta , il P o n to , ] isola di Cipro , l Iberia , 1 Asia , 1 Albania quivi situ a ta , r una e l'a ltra Siria ( i) , le due A rm enie, l'A rabia, la Palestina, le quali regioni da prima nepp u r per nome da voi si conoscevano, adesso stanno in parte al nostro impero soggette , ed in parte le abbiam o date in dono ad a ltru i, in modo per che ricavate ne abbiamo delle rendite , delie tru p p e , d e g li onori e dei compagni nelle guerre. Servendovi a d u n q u e voi di simili esempj , non vogliale oscurar le imprese dei vostri m aggiori, O' abbandonare un im p e r o , che al presente grandissimo. N dobbiamo g i noi prender le medesime risoluzioni, che pren d erebbero quelli, i quali non posseggono un dominio sim ile al nostro ; mentre per questi basta il darsi a ll' ozio , ed obbedire agli altri senza propi'io peri c o lo ; ma a noi necessario il travagliare , il com b a tte r e f ed il difendere coll affrontare i pericoli la p re s e n te felicit, che da molti tenuta di mira ; giacch tutto ci che innalza gli uomini sopra la lor s o r t e comune , esposto alla emulazione , ed all in(i) C io i U S iria sop eto re, ed io feti re, pedi T h e ta u r. O rte lii-

3a4
yjjia jggi; altri} e quindi coloro, che nelle loro so noM A stanze sono risb'etti , guerreggiano perpetuamente 6p 5 contro chi sembra ad essi superiore per qualche ri guardo. L ao n d e, o noi dovevamo desiderare di non ingrandirci tanto da principio sopra la comune con* dizione degli uom ini, o giacch saliti siamo a s grande altezza e dom inio, e cosi porla il nostro destino , che o da noi si ritengano con sommo po> tere soggetti gli altri, ovvero che restiamo noi stssi interamente distrutti ( mentre non possibile che q u elli, i quali son giunti a tanta maest e possanza, conducano una vita quieta e privata senza pericolo) su via mettiamoci in braccio della ibrtuna , e giac ch stata di suo buon grado propizia ai nostri m aggiori, ed rimasta con n o i , non la discacciamo. P er ritener la medesima n o n si devono deporre le armi , n abbandonar le ordinanze , n perdere inu tilmente il tempo stando oziosi in patria , n andar vagando dagli alleati del nome romano ] ma bisogna tener continuamente in mano le a rm i, che questo r unico mezzo di conservare la pace j ed eseguir con rischio le militari imprese, mentre sar questa r unica m aniera, onde far si , che da noi star non si debba in continue guerre ] e soccorrere senza scusa i nostri confederati bisognosi d' ajuto , ch in tal guisa operando ce ne acquisteremo molli di pi} e finalmente non dar agio ai nemici di macchinar cose nuove, dal che ne avverr, che niun di costoro darassi a credere per Pavvcaire, che noi siam tali da essere provocati con ingiurie. Se un qualche Dio

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c impromettesse , che anche senza questo nostro travaglio non sarebbe per succeJcr giammai, che alcuno ci tendesse insidie, e che godremmo sempre 69$ con sicurezza di tutti i nostri b e n i, saria certamente vergogna il dire , che noi dovessimo vivere oziosi 3 ma pure avrebbero una onesta scusa coloVo , chc ricusano, di fare il proprio dovere. Se poi non pu essere a meno , che quelli , i quali posseggono qual che c o s a , non siano insidiati da m o lti, conviene certam ente , che essi si adoprino a prevenirne T as salto ; m entre chi guarda neghittosamente le prqprie sostanze, il pi delle volte va a rischio di perderlej e chi ha tanto potere davanzo , onde occupare in guerra le cose a ltru i, difende , e conserva agevol m ente le sue. Chi teme pe' beni propi*) , non fa dei disegni sopra quelli degli a ltr i, perch quello stesso tim ore che ha de s u o i, lo distoglie assolutamente dal pensare agli altrui. Perch dunque dir taluno , n o n esser necessario, che noi facciamo continua* n ien te acquisti maggiori P Vi son forse uscite di m en te le cose che voi in parte avete sentite, ed in p a rte vedute , cio , come ninna nazione di quelle c h e furono in Ita lia , cess dal tramar la rovina d e lla nostra p a tria , prima che dai nostri maggiori n el costoro paese non si portasse la guerra? Non fin iro n o d ingiuriarci gli E p iro ti, se non dopo che i n stri passarono in Grecia ; n se ne astenne F i lip p o ( d ie gi meditava di fare una spedizione in Ita lia ) se non a llo ra , che prevenendolo i nostri en tr a ti n e lla di lai regione, gli fecero pagare le pene j

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n Perse , n Antioco , n Mitridate , se non dopo che i Romani punirono anche questi alla stessa ma niera. E per lasciare ogni altro esempio , i Cartagi^ n e s i, prima di soffrire per parte nostra alcun trattaaiento nemico nell' Africa , passarono in Ita lia , diedero il guasto alle cam pagne, depredarono le citt , e manc poco , che non prendessero la stessa Roma ma appena si rivolsero contro di loro le ar mi , fuggirono tutti dal nostro territorio ; ed il medesimo pu dirsi dei Galli e dei Celti. E d in fatti iDcb i Romani si tennero di qua dalle Alpi, i Galli moltissime volte scesero gi dalle medesime , e de vastarono diverse parti d 'Ita lia ; ma poi eh' ebbimo il coraggio di portar finalmente le armi fuori dei nostri confini, e di dar T assalto a coloro , ritolta mi essi una porzione del lor territorio, si vide dopo in Italia una guerra sola mossa dai Galli. E cosi stando le cose , se taluno dir, che da noi guerreg giar non si deve , lo stesso che dica, che noi non dobbiamo essere op u len ti, n comandare agli altri , n goder della libert, n essere in somma Romani. L a o n d e , siccome non soffrireste u n o ,'c h e tali cose affermasse, o miei compagni nella g u e rra , ma subi tamente lo uccidereste ; cos anche al presente dalla passione istessa esser dovete animati contro coloro , che simili detti vanno spacciando , a fine di scanda gliar la vostra intenzione, non tanto con le parole j quanto coi fatti; ed in tal modo io son di p a re r e , che niuno vi conlradir, si che giudichi di dover essere d 'u a avviso differente dal vostro. Che ee poi

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vi fosse mai chi pensasse , che non dobbiamo esser p rontf a far questa guerra , sul riflesso che intorno alla medesima non si fatta deliberazione alcuna in 6 gS Senato , n verun decreto dal popolo , costui consi deri , che di quante guerre abbiamo f a tte , parte sono venute in modo che ci siamo potuti preparare alle medesime , e che sono state intimate ; e parte son nate improvvisamente. Se pertanto a noi vien mossa una qualche guerra in tempo che ci stiamo quieti nella p a tria , in modo che essa incominci dalle lagnanze, che si sogliono esporre per via di amba sciatori , allora certo necessario deliberare , e de cretare sopra la m edesim a, e dipoi deputar per quella i consoli, o i pretori, e cosi mandar fuori le truppe. Ma quelle guerre , che ci si offrono in tempo che gi siamo fu o ri, ed abbiamo in campagna 1 e< sercito, non devono esser da noi messe a delibera zione ; ma ' prima che pii gravi diventino, bisogna intraprenderle, cos come la stessa necessit appro v a, e prescrive. E qual fu il motivo , per cui il po> polo romano mand voi q u a , e sped me subito dopo il mio consolato col comando per cinque anni ( cosa che a memoria d' uomini .adesso per la prima volta succeduta ) e colPapparecchio di quattro le gioni , se non cred, che da noi guerreggiar si do* vesse ? N potr gi d irs i, che lo abbia fa tto , per alimentarci inutilm ente, o perch andiamo vagando per le citt degli alleali, e per le regioni soggette, e siamo loro d aggravio pi degli stessi nemici ^ m a bens per essere di difesa al nostro dominio, e dare

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il guasto a quello dei uostr avversar) , e fare in somma qualche impresa , che sia degna della nostra 695 m olliludiue, e che ripari alle spese della guerra. la tal guisa pertanto sono state affidate a noi , ed in* giunte s questa , come anche tutte le altre guerre j e con molto discernimeuto il Senato, ed il popolo romano lasci a noi la libert di decidere contro chi doveasi intraprender la spedizione, senza Gssarci guen-a veruna * , mentre stando essi cos lontani, non sarebbe possibile , che esattamente pesassero le forze degli alleati, n che cos a tempo e luogo facessero assalir gl' inim ici, sapendo questi la spedizione da fa rs i, ed essendosi a ci preparati. Ma noi che siamo fatti giudici e ministri di questa g u e rra , se specialmente porteremo subito le armi contro i nemici da noi colti sul fatto , regoleremo benissimo la presente guerra , , dopo averla intrapresa con tutta delibera zione , cautela e giustizia. Che se taluno' di voi di mander a s stesso, qual gran delitto di riovisto abbia potuto contribuire a far s , eh egli di amico cd alleato che c' era , diventasse nostro nemico ; ri fletta costui, che noi dobbiamo opporci non solo ai fatti di ( p e lli, i qu^li tentano di recarci oltraggio j m a anche ai pensieri ed ai consiglij e fa d 'u o p o il prevenirli, innanzi che a nosti'o danno si facciano maggiori, per non esser nel caso di vendicarsi final mente dopo aver ricevuta Tingiuria. Quanto ad Ariovisto non si pu con altro che co'suoi fatti mede simi dimostrar meglio, di qual animo fiero ed ostilo 6a egli verso di noi j imperocch avendogli io ami-

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cbevolmeule mandato a dire , che si portasse da noi, p er deliberar di comun sentimento sopra gli affari ftom p rese n ti, esso non venne e di venir non promise. 69^ E qual atto ingiusto , iniquo , ed arrogante ho io commesso . coll' aver mandato a chiamar lui come amico e confederato ? E di qual disprezzo e petu lanza non si fece egli reo , subitoch ricus di ve nire ? cosa forse da mettersi in dubbio , eh' egli opr in .ta l g u isa , o perch aveva sospetto di r i portar da noi alcun danno , o perch ne teneva in dispregio ? S ei form dunque di noi un 'sinistro concetto . d a diveder chiaramente , eh egli c insi dia ; ed in fatti noi non viviamo in sospetto di chi non abbiamo offeso, n il sospettare da animo schietto e sincero: ma coloro, che preparati si sono a fare ingiuria ad a lcu n o , sono portati dalla co scienza a sospettar del medesimo. Se poi non v ha luogo ad alcuno di questi motivi , ma piuttosto ci dispi-ezz "e con superbe risposte tratt con noi ol traggiosamente , che ci dovremo aspettare da lui , appena avr cominciato ad agire ? E d in fatti chi ia una cosa , dalla quale non v' era da sperare alcun lucro , fuce uso di tanta alterigia , a certi segni di m ostra , che gi da un pezzo egli non volge cose giuste nell' animo e che rettamente non opera. N fu contento solamente di questo , ma. di pii m im pose d 'a n d a r' io da lui , se qualche cos avessi vo luto. INon vogliate darvi a credere , che una tale aggiunta sia di picciol momento j mentre ha tutta r efficacia per discoprire l ' animo suo. Riguardo al

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non aver egli voluto venir da noi, se taluno perorar volesse in di lui favore, potrebbe attribuir ci a pi< 69^ grizia , a poca salute , o a timore ; ma T invito che mi fa di andar da lui non ammette scusa veruna e ne convince, ch'egli opr in-tal guisa non per altro motivo , se non perch si prefisso di non volerci giammai obbedire , ed anzi di voler comandare a noi stessi. non v' in tutto questo il colmo del disprezzo e della ingiuria Un proconsolo romano cliiama taluno al suo cospetto', ed ei non compa risce ! E d un barbaro impone ad un proconsolo ro> mano di andar da lui! N dovete gi riputar cosa piccola , o da n u lla , che costui non abbia obbedito a me come jllesare, e che m abbia invitato ad andar <la lui , come Cesare j imperocch non fui gi io j che gl'imposi di venire da m e, ma glielo impose un romano , un proconsolo , i fasci e l a u to rit , T esercito j e pel contrario non son io quello , che da lui sono stato chiamato , ma bens tutte le dette cose. In fatti non passa fra me e lui privatamente alcun maneggio j ma tutti in comune abbiamo par lato , trattato e ricevuta la risposta e T ingiuria. Per la qual cosa quanto pi taluno dir , che costui nel numero dei nostri amici e confederati, tanto pi lo far comparire degno di odio. perch ? perch quelle cose, che non fece gianomai alcuno di quelli, che protestati si sono di esser nostri capitali nemici, esso le esegui sotto i nomi di confederazione e di amiczia ^ quasich si fosse preparato e disposto a poterci offendere impunemente. Noi per in quel

33i
tempo non stringemmo alleanza col medesimo per soffrir d lui oltraggj ed insidie j n si potr d ire , che noi abbiamo disciolta una tal confederazione , 6 q 5 mentre dal canto nostro spedimmo a lui ambascia tori , siccome nostro amico per a n c b e , ed alleato : m a voi vedete come siasi portato con noi. Laonde siccome qiiando volle benefcarci, ed a vicenda esser benefcato da noi, ottenne a buon diitto quei nomij cosi ora , facendo esso tutte le cose all opposto , giustissimo, che lo teniamo per inimico: n vi deve recar m eraviglia, che i o , il quale una volta ho pe l'oralo in di lui favore in Senato e presso il po polo ( I ) , adesso in si fatto modo ne parli ; mentre bo seguita sempre la medesima opinione, della quale sono al presente , ed in nulla mi cangio. E qual ? di onorare i buoni , ed i fedeli amici e di contrac cambiarli , e di rendere ignominiosi i cattivi , ed i perfdi, e di farne vendetta. Si mutato costui, che non fa buon uso dei nostri doni , come conviensi f e perci io penso , che niuno di voi metter in dubbio , che con tutta ragione da noi non s 'in tra prenda contro di esso la guerra. Che poi non sia inespugnabile, n insuperabile nelle battaglie, voi potete arguirlo parte dalP esempio di altri uomini della stessa nazione, i quali gi prim a spesse volte, ed anche non ha. mollo vincemmo con grandissima facilit; e parte si pu raccorre da quelle cose, che <li lui si raccontano. d in fatti oltrech non ha
( ' ) Vfggaw alla pagina
317 .

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'o**' verane soldatesche nazionali , che stiano sempre armate e che gi siano state messe insieme da l u i , ri 6 g 5 si aggiunge ancora , che non aspettando verun at tacco nem ico , del tutto sprovristo y per lo che ' neppure i vicini vorranno di buon grado aju tarlo , quantunque glielo promettano ; mentre chi vorr in riguardo della sua confederazione intrapfendere la guerra contro di noi , senz averne ricevuto alcun danno ? E perch anzi non brameranno tu tti, unen dosi a noi piuttosto che a l u i , di distruggere un ti ranno lor confinante, e ricever da noi una qualche parte della di lui regione. Ma quantunque si ritro vino alcuni, che col medesimo si uniscano , con tuttoci non ci supereranno giammai \ imperocch per non dir nulla di tutto il resto , cio della mol titudine del nostro esercito, dell'et, dell'esperienza e delle imprese eseguite , chi non sa , che noi an diamo tutti ricoperti d armature , e che quelli nella maggior parte del corpo son nudi (i): che noi m ar ciamo con ordine e disciplina, e che quelli corrono disordinatamente trasportati dall ira a tutte le guer re ? N voi dovete aver terrore o del loro impeto o della grandezza dei loro corpi o dei loro gridi (a) j
(i) L e arm atore dei soldati romani , ciot gH e lm i. le coraxxe, i c a ix a ri, gli scudi si vedono nella colonna trajana , ed ia a ltri a n i i i . a . In tichi m onum enti, Montfaucon A n tiq . Elxplio. tom. torno poi ai corpi seminudi degli anliohi Germ ani si c o n sa lti F i lippo Cluvcrio , in Gtrmania anliqua. (a) Veggasi il CluTerlo, German. an tiq . Uh. i , eap. 5 i , e gU interpreti a quelle parolq d i Tacilo , <U morilnu Crenna/i. cap, 3 *

333

mentre la semplice voce non ha ucciso alcuno giammai. In oltre i loro corpi non sono pi atti ad agire o<r^ dei n o s tri, avendo essi le stesse mani che abbiamo 6 gS noi : ed anzi saranno di gran lunga pi esposti ai cimenti , attesa la lor mole e la lor nudit. Quanto al resto poi egli vero , che un impeto eccessivo e precipitoso sul cominciare , si riduce facilmente a nulla ; ed ha per poco tempo vigore, lo rammento simili cose a v o i, che gi le avete provate , e siete stati vincitori di s fatti uomini ; affinch non pen siate d'esser tratti in errore dal mio ragionamento , ed acci dalle intraprese gi fatte concepiate uoa positiva e sicurissima speranza della vittoria. Star al certo contro di noi a battaglia anche una gran moltitudine di Galli , che sono simili a questi ne< mici ( i ) , sicch finalmente se tali genti avranno qualche cosa di orribile , noi provar lo dovremo ; giacch v'avete da figurare, e potete pur dirlo ezian dio agli altri , che quando anche alcuni di voi da me discordino , ci non ostante io combatter ; n lascer mai quelle file , nelle quali mi ha collocato la p a tr ia , contento io di aver meco soltanto la de cima legione, la quale so che sar pronta a caminar nuda anche in mezzo al fuoco , qualora la necessit
te rren i, trepidantve prout lonuit aeie$ , nec lam voce* iUae , quam viriutii caneentttt vdentur. (t) Che i Galli foMcro simili ai Germani nella granileiia dei loro co rp i, lo afferma Cesare stesso, lib. a , da Bello G allica, cap. a . pleritifu hominihuB G allit prae omgnitudUu erporuoi tuorum n a s tra brevit! eonum uii est.

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lo richiegga. Tutti gli altri si tolgano pur quiadi eoa jioMJ somitta prestezza , n pi stiano qui inutilmente a G95 recarmi del dispiacere , coir accrescer le spese della repubblica , coll' q>proprarsi il frutto delle altrui fatiche , e coll' entrar a parte del bottino e delle terre conquistate da^li altri. Parlato ch'ebbe in tal guisa C e sa re , quantunque vi fossero alcuni , che molto diversamente opinassero , con tuttoci non solo non vi fu pur uno che conti-adicesse ma anzi tutti approvarono ] ed in ispecial modo q u e lli, dei quali Cesare aveva sospetto, siccome autori di quelle voci sp arse , delle quali esso aveva parlato. Ottenne facilmente , che i soldati gli obbedissero , mentre avendone egli posti alcuni innanzi ad a ltr i, aveano essi acquistato coraggio , e gli altri con un certo impegno emulavano la costoro prontezza. La de cima legione ( cosi chiamavansi secondo 1' ordine delle leve le legioni romane (i) ^ e quelle che in oggi vi sono , hanno collo stesso metodo le mede sime denominaziom* ) se la scelse Cesare per sua principal compagnia e difesa , m entr' essa era stata sempre molto affezionata verso di lui. Aggiunto che ebbe ai suoi bastante coraggio , pens bene di non fermarsi pi a lungo in quel luogo, acci coi perder tempo non venisse a languire la loro prontezza^ ma
( 1) Cio Irgione prima , legione sacoada e c. Ogni legione p o i era compusia di dieci coorti ; la coorle ti divideva in cinquanta c o m pagoie , ed ogoi compagnia com prendeva Tenticinque oldati. S i consalli il Vcgciio ^ da R e rniUl. Ub. a , eap. a , e , e W o liangio L az io , Commentar, Jleip. Kont, i/j cxUris P ro vin o iu , Ub, 5.

335

levati gli alloggiamenti marci contro di Ariovislo ; e col suo arrivo improvviso lo atterr di m aniera, che r obblig perfino a venir con lui a parlamento 695 intorno alla pace Pfon si accordarono per fra di loro , perch Cesare addimandava tutte le cose con impero , ed Ariovislo in nulla voleva obbedire. F u pertanto intimata la guerra j e quindi rimasero so> spesi , ed incerti gli animi non solo di loro stessi, m a anche di tutti gli alleati e di tutti i nemici, che per una parte e per P altra erano in quei luoghi : m entre pensavano , che quanto prima si sarebbe pugnato, e che tutti sarebbero rimasti servi di quella parte , che avesse vinto. Erano superiori i barbari p e r la moltitudine e per la grandezza dei loro corpi ; e d i Romani lo erano per la pratica della milizia e p e r la loro arm atura : ed anche scorgevasi , che la grandezza d'anim o che aveva Cesare era di ugual p e so della furia e dell impeto sconsigliato e teme* ra rio dei Germani. Equilibrate adunque in tal guisa am bedue le parti davano quasi ugualmente speranza e coraggio. Ma essendosi finalmente tutti due i campi p o s ti r uno incontro alP a ltr o , fu vietato ai barbari d a lle lor d o n n e , le quali vaticinavano col prendere gli augurj ( i ) , di non far la battaglia prima della n u o v a luna. P er lo che Ariovisto , che in tal cosa credeva moltissimo a quelle , quantunque fosse dai B o m an i provocato alla pu g n a, non per attacc su* b i tem ente la mischia con tutte le sue forze j ma
(i) legga la dottissima dissertazione d i Giorgio K e l le r intorno a BotiU d o n n e , J n tiq u it. leU ct. Septenirional. et CeUic.

336

avendo fatta avanzare la ola cavalleria, ed i soldati a p ie d i, che alla medesima andavano xiniti, molest 695 grandemente i Romani. Dipoi in loro disprezzo si accinse ad occupare un certo luogo ^ che stava sopra le loro trincee, e se ne impadron^ ed allincontro avendo anche i Romani occupato un altro luogo si mile , e Cesare avendo tenuti fuor degli alloggia menti i suoi soldati schierati in battaglia, con tuttoci riovisto non venne a combatterej ma assaliti d'im provviso i Romani sul far della s e r a , mentre si ri tiravano , prese quasi tutta la loro trincea. Insuper bitosi per tal prospero successo riovisto, non bad pi molto a quelle donne ^ ma il di seguente, dopo che i Romani ebbero messa la lor gente in ordine di battaglia ( il che facevano essi tutti i giorni ) aneh' egli mand fuori i suoi soldati. Vistosi dal Ro mani , che costoro si avanzavano fuor delle te n d e , non pi si stettero ferm i, ma postisi in m a rc ia , prima che quelli si mettessero in ordine , si avven tarono con urli e grida contro i m edesim i, e pre vennero la tempesta dei loro dai-di, nella quale prin cipalmente confidavano i Barbari. Costoro adunque vennero da vicino alle mani , s che non potevano far uso n delle lunghe lor aste, n delle spade j e quindi i medesimi Barbari cominciarono a fare ogni sforzo coi co rp i , ed a pugnar con q u e lli, piuttostoch con le armi , ed a fare il combattimento a tte r rando chiunque si parava loro dinanzi , cd abbat tendo chiunque resisteva. Molti di essi parim ente impediti dal potersi servire de' loro p ugnali, adope-

337
ravano in vece di questi le mani e la bocca, ed afferrati gli avversar] , che essi superavano colla mole del c o rp o , li stramazzavano, li mordevano e li la- SgS ceravano. Ma per col pugnare in tal modo non fe cero gran danno ai R om ani, mentre anzi questi nel calor della mischia colla loro armatura , e colla lor arte agguagliarono la forza dei B arbari, e dopo es sersi combattuto buona pezza in s fatta guisa^ finitU iiieuie li vinsero. 1 pugnali dei R om ani, che erano pi corti di quelli dei Galli (i) , e che avevano le punte fatte di acciajo , furono ai Romani stessi di sommo vantaggio j ed oltre a ci , attesa la lor fer< mezza , con cui tolleravano costantemente lo stesso travaglio , erano nel resistere superiori ai Barbari, i quali si dimostravano pi fieri nel principiare T at tacco, che nel proseguirlo. Per s fatti motivi adun que divenuti inferiori i Germani , non si diedero per alla fuga^ non gi perch non ne avessero vo lont , ma perch lo impediva loro la stanchezza, e il non saper pi a qual partito appigliarsi. Riunitisi insieme , a trecento a trecento , dove pi , e dove meno , si coprirono da ogni lato di scudi , e stavauo in piedi 3 ed in tal guisa potevano bens essere atta c ca ti, siccome distribuiti in tanti battaglioni^ ma non era possibile per di abbatterli a motivo della loro strettissima unione. Costoro adunque stavano cos senza far niente , e senza soffrire alcun danno. I Romani , poi che videro , che costoro non usci( 0 Vegga! il M oD lftaooD ,
D ioue , tomo I,

A nti^, Expiq. coni. 4>

*4 47*
*>

338
Axk! Yano fuori a battaglia, n alla fnga si davano , ma che ristretti insieme in un sol luogo stavansi fermi Gg5 come dentro a t o m , al primo attacco scagliarono da se lungi i d a rd i, de quali allora non potevano iare alcun uso : e neppure essendo loro possibile di pugnar da vicino con le sp a d e , o ferir le teste dei nem ici, nella qual parte soltanto erano soggetti ad essere feriti, mentre combattevano a capo scoperto, gettati via gli scudi , parte si avventarono di tutto corso contro i B arbari, e parte avendoli assalili da vicino, li scompigliarono non poco e li ferirono. Molli adunque subitamente caddero estinti , perch ad un sol colpo potevano uccidersi , e parecclij morirono prima di cadere , mentre a cagione della strettezza con cui stavano serrati fra loro i medesimi Barbari , quantunque gi fosser traftli, ci non ostante rima nevano in piedi. In s fatta maniera la maggior parte della fanteria peri in questo luogo j e tutti quelli, i quali nel fuggire vennero incalzati fino ai carri ( i ) , a motivo di questi furono tagliati a pezzi con le lor mogli insieme e coi lor figliuoli. Ariovisto poi eoa la cavalleria si ritir in fretta da quella regione , e preso il cammino alla volta dei Reno , scamp dai Romani che lo inseguivano , avendo per sorte ritro vato un picciol naviglio ; c gli a ltr i, parte dopo es( i ) Aveva circondalo ArioTisIn di cocchj e di carri lutto il in o esercito , acci i soldali non isperassero di po>,ersi dare alla fuga , e inlorno e sopra i medesimi carri aveva poste le donne , le q u a li poi capelli sparsi scongiuravano piangendo i detti soldati a non Gu (4>e esse diyeu iuero tckiave dei f to m a D , Ju t. Cne$. eap.

339
sere entrati nel fiume furono uccisi dai R om ani, e parte li rapi seco la corrente del medesimo fiume. In tal guisa adunque anche queste guerre restarono 695 ultimate.

34o
DELLA

STORIA

ROMANA
D I

D I O N E

L I B R O

X X X IX . (I)

C apitolo

P k im o .

Come Cesare guerreggi contro i B elgi. jliitii


IH
JtO M

opo

tutte queste cose , verso la fiae d i

queln e i quali

^97

( 0 Comprende questo l ibro la n o ria d i a an i q u a ttro ,


Ti furono i seguenti coiisoli.

A n n i prima d i C . C.
57.

A n . di R697-

P . Coruelio L enlulo S p i n t e r e F . di P . , c Q . Cccillo M c l e l l o Nepote F . di Q . G n. Cornelio L en lu lo M a r c e l l i n o F. di P . , e L . M a r c io Filippo F . di L ,

56.

698.

34i
r inverno, quando entrarono nel consolato Cornelio Spintcre e Metello N epote, si suscit una terza guerra, hom a Abitavano presso il Reao varie nazioai mescolate in- 697 sieme colle f^tmiglie de' Belgi ( i) , e si estendevano fino a ir Oceano Brittanico (a). Parte di quelle nei tempi passati erano confederate dei Rom ani, e parte non facevano de' medesimi conto veruno ; ma scor gendo in allora che Cesare prendeva baldanza dalr esito felice delle sue imprese , e temendo di non venirne ancb essi attaccati, cospirarono insieme , e di unanime accordo, tranne i soli Remi (3) , tutti vennero a consiglio, ed a congiura contro i Romani, eletto Adra per comandante supremo. Fatto consa pevole Cesare Jai delti Remi di un tal operato, diede a questi un rinforzo di gente , e piantati gK accampamenti presso il fiume Assona (4) , e radunati i soldati tutti in un luogo stesso, fece fare ai me desimi i militari esercizi j n os di venire alle mani cogr inimici , quantunque dassero il guasto al terri torio dei R em i, prima cbe essi, non curandosi molto
G n . Pompeo Magno I I . F . d i G a . , e M. Lieinio G ra n o II. F . di P . 54. 700. L . Domixio Eiiobardo F . di G a. , e A|ipio C laudia Pulcro F . di Appio. ( i ) Popoli deir antica Gallia Belgi<!a , ia oggi S a n a Germania , P a e si B assi, F ian dra. ( 1 ) lu oggi t i chiama la Manica , m are Ira la Francia e l I n ghiUerra. (3) Mei lu o g o , dov essi abitavano , adesso vi U oiU& di B lieim s. ' 55.
699.

('1) il sno nome modecae fc Aitqc.,

3^2 <li Cesare quasich per se stesso tem esse, non s accinsero ad occupare il p onte , e J a vietare che il me697 desimo Cesare non avesse le vettovaglie, che pel detto ponte riceveva dai confederati. Istruito Ce sare da' disertori che cos sarebbe accaduto, mand di nottetempo addosso ai nemici i soldati armati alla leggera , ed i soldati a cavallo , i quali avendo im provvisamente assaliti i Barbari , fecero de' medesimi una grandissima sUage. Nella seguente notte pertanto lutti cominciarono a ritornare alle loro abitazioni, tanto pi che venuta era la nuova d aver gli Edui fatta una irruzione nel loro jiaese. Seppe Cesare eh essi se ne partivano, ma a motivo che non ave va pratica di quei luoghi, non os di dar loro su bitamente la caccia : ci non ostante per tolta con se la cavalleria , e dato ordine alla fanteria di se guitarlo , raggiunse i nemici, ed avendo questi nvuta la temerit di venire alle m a n i, raenti-e si pensa vano che fosse in compagnia di Cesare la sola ca valleria , esso allora gli and tenendo a bada . per fino a tantoch non arriv anche la fanteria. Appena fu giunta , schier egli alP intorno tutto l esercito , uccise la maggior parte degl'inim ici, ed agli altri diede le condizioni di pace ; e poscia di tutte quelle nazioni , alcune te le rese sogjetle a forza di a n n i, ed altre senza combattere. Ma i Ncrvj (1), i quali non potevano sostenere il comballimento , cederono spontaneamente a Cesare tutta la pianura , e si ri( ) Vfggasi il C t l l a r i o , Geogr. y liit. U h. a , cap. 3. lor capitala eia duvc *ia ailisso C a m b ia i , Cunteiucwn.

Forse la

343
pararono sopra i tnOnti ripieni di ioltlssidii boschi ; e quindi si lanciai'ono addosso alle soldatesche di Cesare , clic tal cosa non si aspettavano : ed essen- 697 do stati rispinti e posti in fuga da quella parte dot era Cesare , restarono superiori dell altra maggior porzione del suo esercito , ed al primo grido che alzarono , rimasero padroni dello stesso campo dei Komani. C esare, che nell' incalzare i fuggitivi era andato innanzi, scorgendo ci , ritorn indietro , e colti nel detto suo campo i nem ici, che stavano in tenti alla preda , li pose in mezzo , e gli uccise ; e fatto questo gli fu facile di assoggettare anche gli al tri Nervj. In questo frattempo gli duatici(i)^ i quali per razza e per coraggio erano Cim bri, portatisi In ajuto de Ncrvj loro vicini,poi che intesero che per costoro era finita , alle loro case tornarono ; ed ab bandonate tutte le proprie loro citt , trasferirono le sostanze in un castello, ch era il pi forte che aves*ero 5 e per pi giorni rispinsero Cesare , che volea prenderlo per assalto, e che finalmente risolv di far costruir delle macchine. Perfino a tanto che coloro videro i Romani , che tagliavano i legnami , e che fab bricavano le dette macchine , non sapendo qual ne fosse l uso , li burlarono; ma quando furono termi nate , e che sopra le medesime da ogni lato i sol dati in arme s accostavano al detto castello, gli Aduatici allora colpiti a tal vista, nuova per loro
( i ) Alcuni prelcadoiio , ctic la lor capitale fosse la moderna N a m u r , altri BeamnuDi, ed altri Douai. riscouui il C e lla rio , /oc> c - < AUciauo do Valoit^ iVout. GuU.

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ed insolita,m andarono ambasciatori a Cesare a cImcM om .i der la p a c e , somministrarono ai soldati le cose ne> 6 gy cessane , e gettarono una porzione delle proprie loc armi gi dalle mura. Ma poi che videro essere di Qiiovo le dette macchine sgombre di uom ini, ed i Romani in seno dell' allegria per la riportata vitto ria si pentirono, e ripreso ardire , uscirono di not tetempo dal castello , per far strage di quelli quando meno se l aspettavano; ma essendosi abbattuti nelle sentinelle ( mentre Cesare provvedeva sempre esatta mente a tutte le cose ) non poterono eseguire quan to si erano proposti, e tutti furono presi e venduti, senza che neppur un solo di essi ottenesse il per dono. C esare, dopo aver soggiogati in tal guisa cost(M'o , ridusse anche in suo potere molti altri po poli , pnrte da per se stesso , e parte per mezzo dei suoi it'j>ati;ed essendo gi vicina la fredda stagione, si ritir ne quartieri d inverno. I Romani , ricevuta tal nuova , rimasero attoniti che Cesare avesse do mati popoli, dei quali prima appena se ne sapevano i nomi ; e ordinarono delle preghiere pubbliche per lo spazio di quindici giorni, il che prima d allora non era giammai accaduto. Nel tempo medesimo Ser vio G alb a, legato di Cesare ^ nella e sta te , e prima di racrorre l esercito ne quartieri d 'in v ern o , erasi reu'liiti obbc'licnli , parte per forza e parte a certe condizioni di p a c e ,i V eragri(i), i quali soggiornano presso il Iago Lemano (a), vicino agli Allobrogi fino
( i ) La lor cftpiUiU adesso cliimnasi lV1arti);n o M arltgaac. (ai \iet<io vicn crollo lago d i G iu e v ia , cd h a quesi d i paiiicoURe , che uen ti gela mal.

345
alle Alpi ; di modo che determin di svernare in qnesti luoghi. Ma siccome alcuni de' suoi soldati erano usciti fuori del campo senza sua licenza, mentre non 69^ erano molto distanti dall Italia , ed altri per loro privati bisogni in varj luoghi se n' erano andati j quindi gli abitanti di quella regione , afferrata questa opportuna occasione , diedero a Serrio on assalto improvviso : e costui dalla disperazione passato es sendo al fu ro re , fece una istantanea sortita da quar< tieri d in verno, e con simile ardire superiore alla um ana credenza pose in costernazione i nemici, che assediato lo avevano j e passando per mezzo ai me desimi j si salv sopra un luogo eminente ] e quivi posto in sic u ro , fece vendetta di un tale attentato ; e ridusse in servit gl' inimici. Non tenne pi in se guito i quartieri d'inverno in quel medesimo luogo, m a si trasfer agli AUobrogi.
C a p i t o l o

II.

Del ritorno di Cicerone.


In tempo che nella Gallia si fatte cose eseguiv a n s i , Pompeo opr in maniera che decretato ve n isse il ritorno di Cicerone , richiamandolo cos con t r o quel Clodio stesso , coll ajuto del quale lo avea cacciato. Con tanta facilit da un momento all al tro , si cangia la mente degli uomini j e d' ordinario avviene che ben diversi trovi taluno quegli uomini s t e s s i , dai quali crasi immaginato di dover essere

ajiilato , o offeso ! Atlerivano a Pompeo in tal cosa noM .t alcuni pretori e tribuni della p leb e, ed in ispecial modo Tito Annio Milone 5 e tutti questi ne fecero la proposta anche al popolo ; ed oltre a costoro eravi anche il consolo Spintere , parte per far cosa grata a Pompeo , parte per vendicarsi di Clodio , eh egli odiava , per lo che lo aveva altres condan nato nel giudizio di adulterio. Aderivano pel coatra'* rio a Clodio molti a ltr i, eh erano ia carica , e spe cialmente il sjio fratello Appio Claudio , pretore , ed il consolo Nepote , che per inimicizia privata era contrario a Cicerone. Costoro adunque pi anche di prima . mentre avevano alla testa un consolo stesso; similmente anche gli altri cittadini divisi in due fazioni facevano tumulto ; e di fatti oltre parecchie cose , che con poco onore si fecero , Clodio , nelJ'atto che si raccomandava la causa, scorgendo che ^a moltitudine sarebbe stata a favore di Cicerone, jiresi con se i gladiatori . che il suo fratello aveva allestiti per far i giuochi funebri (1) al suo parente M arco, si lanci d un salto in mezzo alF adunanza, d avendo lirrisi molti , e molli feriti, viet che si pronmlgasse il decreto ; e poscia col portar seco si* riili guardie , recava a tutti generalmente spavento. Ksso ])0 chiedeva di essere fatto edile , mentre se fi avesse ottenuto , si pensava di potersi sottraiT* ni giudizio di violenza usata: perch gi Milone avea deiiunzialo il suo nome , senza che per Io avesse (i) Si lisconlri il Lipsio,
/ti.

i,

Satiirnai. cap. ft.

347
accusato , non essendosi per anche fssati i questori, elai quali si dovevano eleggere a sorte i giudici ( i) , ed avendo Nepole intimato al pretore di non accet- 697 tare alcuna causa , prima dell elezione de detti giu dici. Dovevano poi crearsi gli edili innanzi dei que> stori (2)j e per tal motivo principalmente s'interponeva nna simil dimora. Ma opponendosi a tutto questo il detto Milone , ed essendosi suscitati perci non po* d ii tumulti , alla fine anch' esso , raccolta una truppa di gladiatori , e di altri nomini che erano del suo medesimo sentimento , si batt varie volte con Cidio , e quasi per tutta la citt imperversavano le uc cisioni e le stragi ; per lo che JN'epote avendo per ae stesso timore del suo collega , di Pompeo e de gli altri nobili, cangi di parere. Dopo questo il Se nato , facendone la proposta Lentulo , decret che si facesse ritornar Cicerone , ed il popolo veggendo che 1 uno e 1 altro consolo erano d accordo , con ferm la medesima cosa; e quantunque Clodio gridas se contro , contuttoci siccome gli si oppose Milone ( di modo che non pot usare alcuna violenza ) ed an c h e Pompeo e gli altri , che favorivano una tal leg g e ; quindi la costoro fazione rest superiore. Ritorn adunque in Roma Cicerone, ed avendo ottenuta dai consoli la permissione di p a rla re , ringrazi <il Se-

( i ) E bb ero questo diiU o i ijucslori di ciu lino ad u g u ito , S T C to u in Anj^uU. cap. 36. f a ) Purch la dignii dcijli edili eia lua^giure di quella dei q u e s to r i,.

348

nato nella Cutia , ed il popolo nelP adunanza ( i ) ; e Aovj si riconcili con Pompeo , posta da canto l ' inimici* G97 zia , che presa avea contro di lui a motivo del suo esigilo * , e subito lo ricompens del benefcio , che aveagli fatto : imperocch essendo la citt afflitta da una gran carestia, e tutta la plebe, prima in teatro, tal quale in quel tempo lo aveano per farvi le rap presentazioni (2), e di poi in Campidoglio avendo fatto impeto contro il S e n a to , che quivi stavasi, e minacciato avendo ora di dare ai senatori la mor te , ed ora di arderli co Tempj stessi, Cicerone con fort il medesimo Senato ad afGdare a Pompeo la cura deir an nona, c di conferirgli per cinque anni r impero proconsolare tanto in Italia come fuori dI talia. Ed in tal guisa ne sarebbe avvenuto che come prima in occasione de c o rsa ri, cos anche adesso p er sollievo della detta annona ottenuto avrebbe il comando in tutte quelle parti del mondo , dove si estendeva il dominio romano. Ma Cesare e Crasso , quantunque odiassero Cicerone , contuttoci , sicco> me era fuor di dubbio che ritornava , si diedero una qualche premura a di lui riguardo j e Cesare bench lontano dimostr della benevolenza verso Cicerone : ma dallo stesso Cicerone per non ne fu professata loro bbbligazionc veruna. Egli sapeva benissimo che
( i ) Rrcit Cicerone in qaesla occaiicne qurlle due celebri o r a ainni , d ie peraoohe esimono , I iidr delle quali ialito iala : P o ti redilwn in S e n a tu , 1 allra : A d Quirites. (?) Innanzi che si fabbricasse il teatro di Pom peo , si serTvaao iKooiftiii di teatri di le g n o , liia. U. iV. Ub. 3 6 , top. iS .

349
quelli non lo faceano di cnore , e t e n rifletteva che da loro principalmente era stato rovinato ) ma ci koua non ostante non ardi di proferire alla scoperta nep* 69^ pur un sol motto insolente contro di e s si, mentre avea test provato i frutti della eccessiva libert del parlare; scrsse per segretamente un libro ( i) , che intitol ^ Difesa delle ragioni de suoi consigli. In questo riun molte acerbe ingiurie contro Cesare e C rasso, e contro alcuni altri 5 e per timore che vi vente esso non si pubblicasse , lo consegn sigillato al suo figliuolo con ordine di non leggerlo , mentre egli stesso viveva, e di non mostrarlo ad alcuno. Riprese pertanto Cicerone un nuovo vigore , e ricu per non solo tutti gli altri suoi b e n i , ma anche il suolo , dove stava fabbricata la sua casa , quantun que il medesimo fosso stato dedicato alla libert (a), e Clodio non solo l avesse consacrato, ma ne avesse fatta fare anche una legge a motivo di religione. Di fatti Cicerone stesso condannando la promulgazione della legge curiata (3) , in virt della quale Clodio per adozione era da patrizj passato alla p leb e , e so stenendo che la medesima non era stata proposta nel tempo fissato dalle leggi de Maggiori , gett a terra tutto il di lui tribunato , durante il quale erasi
( 1) P a rla Cicerone di questo uo lib r o , li&, a , ad Auicm n 17. (a) Veggasi il libro 38. (3) E ra cosi detta dalle c a r i e , nelle qaali le trib erano divise , si faceva uso della medesima specialmente nelle adosioni, Appian. Cw. Ub. 3.

g 't t . 6 , e H i. i 4 , E p u .

35o
fatto il decreto anche alla propria saa casa : e di* Jc-A ij mostr che siccome contro quel che portavano le 697 leggi era passato alla plebe , cos non dovea tenersi per legittima neppure una di quelle cose , eh esso area fatte ; e perci persuase ai pontefici di restituir gli il suolo suddetto, che non era divenuto n puh* blico , n sacro. In tal maniera Cicerone ottenne ed il suolo della sua casa ed i denari per rifabbricai .a, e per riparare a tutti gli altri suoi beni, ai quali ncr caso fosse stato (atto alcun danno. C apitolo III.

Come Tolomeo cacciato d a lt Egitto vewie m Roma.


698 furono in seguito delle altre turbolenze a ca gione del re Tolomeo : imperocch c o stu i, regalata avendo ad alcuni Romani una gran somma di da naro , parte ricavato dalle sue sostanze e parte preso in prestito (1), per essere da questi confermato nel regno , e per essere chiamato amico e confederato , dopo che cominci ad esiger dagli Egiziani quell'im mensa quantit di danaro, incorse nel loro odio poo tanto per questo motivo, quanto anche perch avuto
( i ) Iniorno al d a n a r o , cbe Tolomeo Aulete prese in prestit (la Rahirin P o su im o , ricco cavaliere romano , veggasi C ic e r o n e , iit K ih ir. O ra'. Iniorno poi u n to jueslo fatto di Tolom eo si uoraliino Raniero Rcinneccio , ffis t. J u l. lom. 3 , 1 Usscrio , in jinitalih-.is , e G io. V a illa o t, in H i t l . Ptolontaeor, ex iiumim UUulrqta. '

351
ordine di ridomandar Cipro ai Romani (i) ^ o veramente di rinunziare alla di loro amicizia non obbe Rou* diva. Non potendo esso pertanto persuadere a costoro di starsi quieti , n potendo indurveli a forza ( mentre non aveva egli delle truppe stipendiate ) si fugg dall'Egitto, e si port a Roma^ dove lagnatosi di essere stato da' suoi espulso dal reg n o , ottenne di esservi rimesso dal consolo Spintere, al quale era stata assegnata la provincia della Cilicia. In que sto mezzo gli Alessandrini (a), ignorando che esso venuto fosse in Italia , e giudicando che avesse in* centrata la m o rte, diedero il governo del regno alla di lui figliuola Berenice ; ma poich seppero , come etava la cosa , spedirono a Roma cento uom ini, i quali difendessero la loro causa contro le di lui ac cuse , ed a vicenda accusassero lui stesso per le in giurie ad essi arrecate. T olom eo, che stava per anche in Roma , informato di ci , e mandati fuori alcuni uomini da tutte le parti , tese insidie ai delti ambasciatori prima che entrassero nella citt e molti n e uccise per viaggio, e rispetto agli altri, parte ne ammazz dentro Roma medesima, e parte ne atterii o ne suborn a forza di danaro , sicch gl' indusse a non intentare presso i magistrati quel giudizio , p e r cagione del quale erano venuti , ed a non far m enzione alcuna di c oloro, che erano stati ammaz( i ) I Romani arcano per m e u o di Catone lolla l isola di Cipr*
p i giovine T o l o m e o , fralello di qn pslo T o lom e o A ulete, Uh. 38.

(3 ) Abitanti d'.^letsam lria , citt d E g itto , picssa '4*1 Q i l o , fabbricata da Alessandro re di Macedonia.

a lle bocchn

352

zati. Un tal (atto per andava generalmente per le xoM A bocche di tutti di modo che se ne irrit grandemente 698 il Senato ad istigazione principalmenle di Marco F a v o n io , si perch pareccbj ambasciatori di quei confederati erano stati violentemente privati di vita, perch una quantit grande di Romani erasi la sciata corrompere dai donativi. I senatori adunque chiamarono Dione , capo di quell ambasceria , che era scampato da tal percolo , per essere informati da lui della verit. Ma Tolomeo era per anche tanto forte in d a n a ro , che n Dione si present in Senato ; n fu parlato in alcuna maniera della strage di quegli uccisi, fintantoch lo stesso re si trattenne in Roma ; mentre anzi , quantunque in seguito il medesimo Dione fosse insidiosamente ucciso , ci nonostante neppur per questo pag Tolomeo pena veruna. Im perocch, per non dir nulla del r e s to , Pompeo lo aveva ricevuto in sua casa e lo ajutava con tutto r impegno. In fine molti Alessandrini fu rono costretti a comparire in giudizio per essersi la sciati subornare dai donativi ; ma pochi per ne ri maser convinti, mentre essendo parecchj colpevoli dello stesso delitto, ciascuno di essi stava in timore e quindi 1 un l altro ajutavansi. Tali cose si face vano in allora dagli uomini per soverchia brama d i danaro. Ma quanto al r e s to , subito sul principio deir auno seguente , essendo stata colpita da u n fulmine la statua di Giove posta sul monte A lba no ( ) , ci fece ritardare un poco il ristabilimento Era qaeslo ano dei forli inalivi di consulure i Liili Sibiltini

353
di Tolomeo nel proprio suo regno ; imperocch avendo i Romani consultati i libri sibillini; cos tro> yarono scritto nei medesimi; se verr il re d'E gitto, 698 che abbia bisogno di un qualche a ju to , non gli negate la vostra amicizia, ma non lo soccorrete di verune soldatesche ; perch diversamente facendo, avrete a subire deUe fatiche e dei rischi (i). Stupi tisi , chc un tal oracolo combinasse benssimo colra ita re presente, annullarono quanti decreti aveano fatti intorno a colui seguendo lavviso di G. Catone tribuno della plebe , per opera del quale questo medesimo oracolo si sparse tra il popolo , non es sendo per lecito di manifestare al volgo alcun ora colo sibillino senza un decreto del Senato. Il detto Catone adunque appena fu letto in Senato secondo il solito il senso dell' oracolo sibillino, temendo che non si occultasse, condusse i ponteBci alla presenza del p o p o lo , e prima che il Senato venisse a far qualche deliberazione intorno al medesimo oracolo , li costrinse a palesarlo alla plebe, la quale , quanto pi awedevasi che ad essi ci non era lecito, tanto pi insisteva perch lo facessero. Essendo tale adun que il senso dell oracolo, fu tradotto in latino e fu ' pubblicato ; e rispetto al medesimo nacque una diJ u l. Caet. BiUenger, lib, b , iU terrae m olu, et fulgaribus. tom. 5. 7hes. Graer-' 4 1 ) Parla di quest oracolo Cioerona H i. i , Epist. 7 , a<i Len~ ttUum , ma lo ch iam a ^ c ta m Religionem, E pist. 4> onde m olla
Tcrisimile che foste imiaagiualo d a a lc u n i, i quaU temevano, e non senxa ragione, 4]el (uTcrchio poter di Pompeo.
T)ioyc, tnmo I . 5

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versit di opinioni , mentre alcuni volevano , cbe Komj Tolomeo si restituisse nel suo regno da Spintere 698 senza esercito, ed altri , che ci si eseguisse da Pompeo in compagnia di due littori j e Tolomeo stesso essendo giunto a sua notizia P oracolo , cliie> deva che cosi si facesse, ed A. Plauzio tribuno della plebe lesse pubblicamente le di lui lettere. Ma i se* natori per tim o re, che questa cosa medesima non ktgrandisse davvantaggio Pompeo , gli si opposero col pretesto di essergli stata data la cura dell' an nona. tutto questo accadde sotto il consolato di L. Filippo e di Gn. M arcellino, del che essendone giunta notizia a Tolom eo, perd la speranza del suo rito rn o , e portatosi in E feso, si ferm presso la dea (i).

Capitolo IV .
Come Catone ristabil gli affari i Cipro.
Nellanno antecedente poi accadde un certo fatto, privato vero , ma che appartiene per alla nostra istoria. La legge chiaramente proibiva , che due per sone di una stessa famiglia non avessero la medesi ma dignit sacerdotale (a) ; per la qual cosa volendo il consolo Spintere metter fra gli auguri il suo fi( 1 ) lato m o all asilo del oelebre ta n p io d i Diana E fe iia , al quale ta tti aveano dritto , si coDsalti Strabooa , li6. 1 4 .

(a) f'id . Jae. (iiahtr. de Jure Poraificio , Uh. 1 , eo f. lem. 5 , Thet. Graei>.

17 ,

355
glinolo Comelu Spintere, abbeoch vedesse ascritto a quel ceto gi prima Fausto Ggliuolo di Siila, che parimenti era della famiglia C o m d ia , diede i^ ado> 698 sione il detto suo proprio figlio nella famiglia di Manlio Torqnato ; ed in tal guisa fu certamente a parole osservata la legge, ma in sostanza fu concuU cata. Dopo queste cose G lodio , appena sotto i con* soli Filippo e Marcellino ebbe ottenuta la carica di edile , la quale eragli stata conferita per cospirazio'^ ne , affine di sottrarsi egli stesso al giudizio cit Milone , percb aveva messa insiane una truppa di gladiatori; incolpando in tal guisa il detto Milone di quelle cose, che egli stesso avea mandate ad effetto, e per le quali avrebbe dovuto essere accusato , non perch si pensava di poterlo convincere ( giaceh aveva de validi difensori, i primi tra' quali erano Pompeo e Cicerone ) ma per potere con questo mezzo mettere in imbarazzo Milone , e caricar d'in giurie coloro. Oltre a ci macchin anche quest'altra astuzia. Avverti ai suoi amici , che quando avesse dimandato nelle adunanze, chi era che faceva, o diceva slmili cose, essi tutti ad una voce gridassero: Pompeo. Il medesimo Clodio poi faceva improvvise interrogazioni sopra certe c o se , c h e , o rispetto ai corpo , o rispetto ad a ltr o , potevano a Pompeo at tribuirsi a difetto , e ne dimandava d tutte separa tam ente, quasich esso non avesse di mira Pompeo; e cos col mandar egli innanzi alc u n i, i quali no minassero il detto Pompeo j e con questi ripetendo anche a ltri, siccome suole accadere , il medesimo

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nome , ne deriv quindi un s fatto scherno e lu* dibrio contro lo stesso Pompeo , che non potendo 698 egli in pace soffrirlo, n risponder volendo a Clodio con ugnai derisione, ne prov grandissima rabbia e confusione. In apparenza adunque veniva riprovato Milone , ma in sostanza si censurava Pompeo , in modo che neppure ardiva difendersi. Glodic inoltre, per poter meglio eseguire il suo intento , non per mise che si facesse la promulgazione della legge cu* riata ( i ) , prima di emanar la quale non era lecito n di accingersi ad alcuna cosa seria nella repub b lic a , n di esaminar nei giudizj causa veruna. E fin qui Milone porse a costoro un pretesto onde imperversare colle villanie e colle stragi. Ma in que sto frattempo avvennero alcuni prodigj ; e di fatti un picciol tabernacolo di Giunone, il quale collocato sopra un ara stava rivolto sul monte Albano al sole nascente, si volt a settentrione j e fu vista una fiaccola , che venendo fuori da mezzogiorno , si estendeva fino a tramontana * , ed entr un lupo in citt ; vi fu il terremoto ; alcuni cittadini restarono colpiti dal fulmine j e si sent un rumore , ed uno strepito sotterraneo in un monte del Lazio (a). s* endosi accinti gl indovini ad interpretar questi se gai , dissero, che una qualche deit stava adirata
( i ) In viri di qaesU si destinaTano i comandi militari delle proTacie, Sigoa. IH. de, a nliq . jure Provine, eap. 8 , tom, a ,

Thes. Graeu.
(a) D i qael ullimo solamente fra U nii prodigj (a menzione Ci cerone , de harusp, retpon. cap. 1 0 .

357
contro il popolo , a motivo che si erano fabbricate delle case in alcuni luoghi, i quali erano di s a c ra , < e non di privata ragione. Su tal punto prese Glodio 698 occasione di attaccar Cicerone, perch aveva fab bricato sul suolo consacralo alla libert ; e si port quivi egli stesso ( una sol volta per ) per abbatter di nuovo la casa dai fondamenti ma di far ci fu egli impedito da Milone. Cicerone , non altrimenti che se Clodio commesso avesse un tale attentato , mosso dair ira lo accus gravemente , ed al Gne presi con se Milone , ed i tribuni della p leb e , sali sopra il Campidoglio , vi lev le tabelle indicanti il suo esiglio (1), che v'erano state messe da Clo dio , le quali per gli furono ritolte dallo stesso Clodio dopo che sopraggiunse col suo fratello Cajo, eh era pretore. Ma in seguito Cicerone , avendo aspettato il tempo , in cui Clodio se n ' era andato fuori di Roma , ascese di nuovo in Campidoglio, e port nella sua propria casa le dette tabelle. Dopo questo fatto, pi non vi fu alcuna azione, o detto^ che loro sembrasse vergognoso a vicenda ; ma anzi quanto pi potevano si laceravano di villanie, e neppur si astennero dalla pi turpe infamia. Ripren deva Cicerone il tribunato di Clodio , come eserc" tato da lui contro le leggi, sostenendo esser nulli tutti i suoi alti e Clodio asseriva , che T esigilo di
( i ) Aveano in costume i Komaoi d'D cidfre lopra colonna o ta belle di bronzo le leggi confermate dal decreto della plebe , e di collocarle o sull Avenlino o sai C am pidoglio, o ia qualoba altra luogo cclebro, D ionys. H alicar. ii6. i* .

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Gicerooe era alato decretato eoa tutta ragione y c che illegittimamente se nera prescritto il ritorno. l a 698 tal contrasto essendo Gldio molto inferiore a ca gione di parecchi tu m u lti , che s' erano suscitati, ri torn M. Catone in c itt , e gli agguagli nuova mente ; mentre oltrech il detto Catone era nemico di Cicerone, avendo anche timore che non venissero annullate le cose fatte da lui in Cipro , perch vi era stato mandato da Clodio come tribuno della plebe , si mosse prontamente in costui soccorso. Andava superbo Catone delle sue imprese, n v'era c o sa , che tanto gli stasse a cuore , quanto che le medesime venissero ratificate. Era Tolomeo in quel tempo signore delP isola di Cipro , il quale quando intese c i , eh' erasi decretato , non avendo avuto ardire d'im pugnar l ' armi contro i Romani , e sti mando di non dover pi sopravvivere spogliato del regnilo, tracann il veleno , e si diede da per se stesso la morte. I Ciprj poi avevano ricevuto volon* tieri Catone , sperando , che in vece di esser servi y sarebbero stati amici e confederati del popolo ro mano. Rispetto a tal cosa per non aveva certamente Catone motivo di andar superbo; ma siccome aveva dato nn ottimo regolamento a tutti gli altri affiuri ; e siccom e, quantunque avesse ritratti molti schiavi e denari dalle sostarne di quel r e , contuttoci non aveva lasciato campo ad essere redarguito ; ma anzi senza la menoma fraude aveva liberamente conse gnate tutte quelle cose ai Rom ani, con ci sandava non nvnor lode acquistando, che se fosse ritornato

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vittorioso delia gaeri-a ; imperocch aiccome la mag gior parte degli nomini lasciavansi corrompere dai don ativ i, quindi passava per virt pi rara il di 698 sprezzo , in che taluno teneva il danaro , che il su perar gP inimici. Catone adunque fece formar di se stesso un ottimo concetto , di modo che per tale impresa venne riputato meritevole d un conveniente trionfo y ed i consoli in Senato gli decretarono l p re tu ra , che dalle leggi non gli sarel>be stata per anche concessa (i). Con tutto questo per non fu la medesima conferita a Catone, perch esso vi si op pose : e d anche per s fatta cosa si acquist una gloria maggiore. Venne poi in testa a Clodio di chiamar Clodj i servi trasportati a Roma da Cipro , perch ei medesimo aveva spedito col il detto Ca tone j ma siccome questi si oppose, colui non o ^ tenne l'intento; e quindi fu dato loro il cognome di Ciprj. Similmente non permise Catone , che fossero cognominati Porcj , come taluno aveva incominciato a denominarli. Ma Clodio irritato contro Catone , perch gli si era opposto, attacc con calunnie la di lui amministrazione , e gli chiese conto di tutte le cose, eh'esso avea fatte, non perch fosse persuaso, 9he rinfacciar gli si potesse alcun atto ingiusto ; ma perch per un soOrto naufragio eransi perduti quasi tutti i libri, nei quali teneva Catone registrati i suoi conti j e quindi Clodio davasi a credere, che ci
( 1) Mentre aspettar si d o re T t il tem po dei com iij per T eletione ^ i m ag iitra ti.

36o
^nm farebbe stato molto vantaggioso per lui. . Anche Ce> sare quantunque lontano ajut Clodo in simile af 698 fare ) e come dicono alcuni , gli mand per lettere le accuse contro C atone, al quale fralle altre cose s'imputava a delitto d'aver persuaso ai consoli, cbe facessero la proposta intorno alla pretura da conferirglisi e di aver egli poscia fatto veder che la ri pudiava , acci non sembrasse , che la medesima contro sua volont gli fosse mancata.
C a p it o l o

V.

In qual modo Pompeo e Crasso furono fa tti consoli.


Mentre costoro in s fatta gtdsa erano in vicendevol contrasto. Pompeo fu alquanto occupato dalla distribuzione del frumento: imperocch essendo stati manomessi molti se rv i . i quali speravano di ricever da lui il detto frumento , esso pensava di segnarli nei respettivi registri , acci convenevolmente e con un certo ordine venisse loro somministrato. Si di sbrig egli con facilit da simile affare ajutato dal suo sapere e dall abbondanza del grano ; ma nel chiedere il consolato ebbe maggior briga , e fu sog getto ad essere redarguito. Lo inquietavano simil mente i maneggi di Ciodio , ed in ispecial modo lo molestava il vedersi dispregiato anche dagli altri, dei quali esso era superiore a riguardo della d ig n it , ed a motivo della speranza, che di lui erasi conce pita ; ed il sentirsi oltraggiare con villanie da quei

36i
m edesim i, dei quali, quantunque fosse stato un semplice privato, si lusingava esso d'esser pi degno di onore. Ma qualche volta non fitceva verun caso 698 di tutte queste cose ; imperocch sul momento era solito di provar dispiacere, se taluno diceva male di lui; ma passato poscia alcun tempo, riflettendo seco stesso alle sue proprie virt , ed alla malvagit dei suoi avversar) , teneva per cosa da nulla le lor vil lanie. Quello per che gli dava grandissima passione, si e r a , che Cesare facesse simili progressi, e che il popolo ammirasse tanto le di lui imprese sino a mandargli un ambasceria di senatori, siccome a co lu i, che aveva ridotti interamente in servit i Galli; ed infine che il popolo formasse tali speranze in torno allo stesso Cesare, che decretasse che gli fosse somministrata una gran quantit di danaro. Pompeo adunque faceva ogni sforzo onde persuadere ai con soli di non legger subito le lettere di Cesare * , ma di tenerle occulte quanto pi si poteva , persino a tantoch non si spargesse da per se stessa la fama delle di lui imprese; e di mandare un successore al detto Cesare anche prima del tempo prefisso. Tanta era l ambizione di un tal u o m o , che invidiava e tentava di ritorre a Cesare quelle stesse cose , a conseguir le quali egli medesimo lo aveva ajutato; e mirava con suo rincrescimento co lu i, il quale esso scorgeva eh era sommamente onorato , e che oscu rava le sue militari intraprese; e finalmente accusava il popolo , perch non curato lui stesso, dimostrava tanta premura per Cesare. Fralle altre cose sdegna-

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Aum vasi ancora, perch osservava, che il popolo esa Rom a gerava tanto alcune cose conquistate di fresco, come 698 nuli altro fosse da agguagliarsi alle medesime ; e perch scorgeva , che Io stesso popolo aveva conti* nuamente un trasporto pi grande per gli acquisti recentemente fatti ; quantunque minori dei passati, per la ragione eh era sazio delle solite cose , ed amante delle nuove 5 e finalmente perch vedeva , che il medesimo popolo mosso da iavidia abbassava tutti quelli, che prima erano stati in grandissimo credito , e pel vantaggio che ne sperava, innalzava quelli che di presente si mostravano. Sopportando adunque Pompeo di mala voglia simili c o se , e noa potendo neppur per mezzo dei consoli ottener nulla, e sentendo che Cesare erasi ormai fatto pi grande, di modo che non si sarebbe prestato fede a quanto avesse egli detto contro di l u i , fu di parere di non doversi prender poco pensiero intorno a simile af fare. Rifletteva egli in se stesso , esser due le cose , che rompono le amicizie , la paura cio e l invidia j e che ci finalmente 'succede l dove la gloria e la potenza prepondera pi da una parte che dallaltra. In fatti quando le dette cose sono quinci e quindi u g u a li, anche l amicizia sta nel suo vigore ; ma quando 1 uno divien pi potente dell altro , l infe* riorc animato dall invidia odia colui eh rimasto superiore ; ed il pi frte fondando il suo orgoglio sul dispregio del pi debole , s avanza anche a maltiattarlo di villanie e d ingiurie ; e quindi ne succede , che sdegnandosi l uno d essere inferiore ,

363
e vantandosi l ' altro delle tue forze m aggiori , passano entrambi dalla primiera amicizia alle discordie, ed alle guerre. Su tali riflessi armatosi Pompeo con 6g8 tro Cesare , e giudicato avendo al tempo medesimo di non esser da per se solo bastante a rovinarlo, si uni molto pi di prima a Crasso , per tentare as> sieme con lui una simile impresa. Dopo aver cospi* rato ira loro , fecero le seguenti riflessioni ; che re stando eglino in condizione p riv ata, non< v era spe> ranza che potessero eseguir cosa alcuna ; e che pel contrario se avessero preso il consolato , e fattisi emuli di Cesare si fossero dati anch essi al governo della repubblica , potevano non solo agguagliarlo, m a anche tutti due uniti insieme superar quanto prima lui Ch era solo. Kicoprivano poi in tal guisa tutti i loro disegni, che non era fcile a taluno di accorgersene j e giunsero fino a questo, che aven> doli uno dei loro amici commendati , siccome degni e meritevoli di quella m agistratura, essi dissero di non voler pi nel tempo avvenire esercitare il con* solalo , che aveano deposto pubblicamente , quan tunque essi medesimi per 1' addietro avessero coope* rato a farlo ottenere agli altri. Ma siccome chiede vano il detto consolato fuori del tempo stabilito dalle leggi ( i) , e quindi era ben chiaro, che gli altri non solo, ma anche gli stessi consoli, fra i quali Marcellino aveva non poca possanza, si sarebbero o p p o sti, acci non fossero nominati consoli } eglino
( t ) Cioi fuori del tempo dei cooiiij.

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allora fecero si che per quell* u no no si tenessero r-oM j i comizj (i), avendo anche fra gli altri mandato a 698 questo effetto C. Catone, onde eletto un interr essi potessero e chiedere , ed ottener la magistratura a tenor delle leggi. Si eseguiva ci in apparenza da quelli, che gi erano informati di tutto il maneggio, per uno o per un altro Gne ; ma in sostanza si fa ceva ogni cosa da Pompeo e da G rasso, e certa mente si mostravano alla scoperta nemici di quelli, che loro oppotaevansi. Se ne sdegn soprammodo il Senato , ed alzatisi i senatori giunsero perfino ad andarsene, in tempo che costoro altercavano tra loro , sicch in tal guisa termin il contrasto. Ma essendovi state di nuovo le medesime dispute, allora decretarono i detti senatori di cambiarsi i vestimenti, come si suol fare nelle pubbliche calam it, quan* tunque Catone, dopo aver parlato invano contro tal c o sa , tentasse di uscir dall adunanza , acci non si potesse venire ad alcuna risoluzione ] imperocch se vi mancava alcun senatore, non era lecito il far de creto veruno. Ma essendo stato prevenuto Catone dagli altri tribuni della plebe, essi impedirono a lui di uscire ^ e cos fu promulgato il detto decreto del Senato: ed inoltre fu proibito ai senatori di non in tervenire ai pubblici spettacoli , che in quel tempo
( i ) Q uando non ti celebravano i com j consolari , non t erano consoli nell anno avvenire : ma acci la repabblica n on istasse te n ta questo supremo m agistrato , dai p a iritj convocali dal Seuato elc(^ gevasi un interr , il quale nello spazio di cinque giorni doveva creare i consoli.

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si davano. Si oppose anche a questo Catone, ed allora i senatori uscirono fuori in folla, e dopo essersi cambiati i vestimenti tornarono , per ispaventarlo 6g8 anche in questa maniera ; e poich neppur cosi mostrossi egli pi m oderato, tutti andarono nel foro, posero il popolo, che quivi aflbIlaTasi, in una grave afflizione , mentre Marcellino tenne un pubblico ra-gionamento deplorando la condizione delle cose pce s e n ti , e lagrimando gli altri e piangendo , di modo che alcuno non ardiva dir contro una sola parola. Fatto ci ritornarono nella curia, avendo determi nato di rivolgere il loro sdegno contro gli autori di mali si grandi. In questo mezzo Glodio si accost nuovamente a Pompeo , e prese a seguir le di lui p a rti, sperando, che se egli avesse ajutato lo stesso Pompeo a conseguir quanto macchinava , per 1' av venire sarebbe stato suo amico. Portatosi adunque alla presenza del popolo col suo solito vestimento , senza esserselo cam biato, siccome avrebbe dovuto fare a seconda dell'emanato decreto, tenne un lungo discorso contro di Marcellino e contro di altri sog getti. Ma essendosene mosso a forte sdegno il Se n a to , Clodio troncato a mezzo il suo ragionamento, lasci la plebe; e portatosi nella curia poco m anc, che non vi perisse. Imperocch venutigli allincontro i senatori lo tenner lontano s che non entrasse; ed intanto attorniato dai cavalieri sarebbe rimasto senza dubbio trucidato, se ad alta voce non avesse chia m ata in ajuto la plebe, la quale accorrendo con dei fuochi alla mano , minacci di ^ a n d a r li a fiamme

366
<* insieme con la c a ria , avesser fatta a Glodio ana tu bench menoma violenza j e cosi fu salvato Glodio 698 stesso f che era stato sul punto di morire. Ma Pom< peo non sbigottito da tali cose entr alla fine in S en ato , e gagliardamente si oppose al decreto , che gi stava per farsi, e ne imped P esecuzione. Dopo ci lo interrog Marcellino pubblicamente , se in realt desiderava il consolato , sperando , che non sarebbe stato s facile a confessare , eh' egli facesse tanti impegni per conseguir le magistrature , ed e! rispose : rispetto alle persone dabbene no^ neces sario che io entri in carica 3 ma a motivo degli spi* riti amanti di turbolenze ora pi che mai dimando il consolato. Pompeo adunque agiva alla scoperta in simile affare ; ed essendosi poscia interrogato anche Crasso intorno alla medesima c o s a , esso non con fess , n disse di n } ma secoudo il suo solito presa la strada di mezzo, afferm, che avrebbe fatto tutto ci , che fosse stato utile alla repubblica. Al lora Marcellino, ed i di lui seguaci postisi in timore a cagione de'preparativi e dellopposizion di costoro, si astennero in seguito dall' intervenir nella curia. Non radunandosi un legittimo numero di quelli che doveano eleggere i magistrati , non si pot fare al cuna proposta intorno ai m edesimi, e cos termin r anno. Non deposero per i vestimenti lu g u b ri, o intervennero ai solenni spettacoli , o al convito di Giove (i) in Campidoglio ; n andarono sul monte
-(i) Si faceva, questo laoto banchetto nel mese di noTem}>r. VeggaiMi g rialerp reii ad A rnobm , Ub, 7 .

36']
Albano alle ferie latine (i) , le quali in allora per la seconda fiata si celebravano, attesoch la prima boma volta non eransi religiosamente compite (2), ma pas> 698 sarono T altra parte dell anno come se fossero stati ridotti in servit , n pi avessero la facolt di en trar nelle cariche , o di trattar gli affari della citt. Capitolo VI.

D i d che facevo i consoli Pompeo e Crasso ; e della dedicazione del teatro d i Pompeo.
Dopo queste cose Pompeo e Crasso furono creati 699 consoli in virt dell' interregno, non comparendo alcuno di q u e lli , i quali da prima aveano aspirato a tal carica. v e ro , che L. Domizio , il quale in simile inchiesta aveva perseverato fino all ultimo g io rn o , anche allora sull imbrunire nscitd di casa andava all adunanza * , ma atterritosi a cagion del suo servo j che portavagli innanzi la lanterna , e che fu ucciso , non si avanz pi oltre. Non essendovi per tanto alcuno , che facesse ai medesimi resistenza , e di pi eonducendosi per tale effetto a Roma delle
(i) Si celebrarano qnette o ^ i anno per quattro giorni di leguito, insieme coi magistrati delle citt latine, e con totto il popolo Ia lino, e ti facevano dei sacrfizj a Uotc L aiiale, Pitiac. in Feriae. ( 1 ) S nella ceSebraiione delle dette fisrie Ialine li fotte Citta male nna qualche cerimonia, o accadalo fosse qoalche in b a tto accidente, bitognava per decreto dei pontefici oelebrarle nnovam ente, Li. Ui. 3a , cap. 1 , Hi. , eap. 3 , IH. 4 > cap. , e Uh. Si sap. 1 6 .

368
truppe da P. Crasso , figliuolo di M. Crasso , e legato in quel tempo di Cesare , fu molto facile per G99 essi r esser creati consoli. Dopo aver ottenuto in tal guisa il supremo p o te re , procurarono a n c o ra , che le altre magistrature si conferissero a q u e lli, eh essi conoscevano essere addetti a loro medesimi 5 ed impedirono , che non avesse la pretura Marco Catone , il quale da essi si sospettava, che tollerato non avrebbe quanto imprendevano j e quindi non Toleano, che in virt di tal carica si riunisse in lui una legittima facolt di contraddire , e di opporsi. I comiz) poi , ne quali doveano crearsi i p re to ri, andarono q u ie ti, perch il sentimento di Catone era di non tentar cosa veruna per mezzo della forza j ma in q u e lli, ne quali doveano crearsi gli edili cum li ( i ) , vi successero delle strag i, a segno che an che Pompeo rimase asperso di molto sangue. Ma finam ente il detto Pompeo e Crasso ( mentr essi tenevano i comizj ) ammisero alla edilit e gli altri, e q u elli, i quali erano stati creati dal popolo, dopo che si furono ad essi umiliati in atto di suppliche voli ; e si fecero amici e compagni tutti gli e d ili, e la maggior parte dei tribuni della p leb e, fi-a i quali i soli C. tejo C apitone, e P. Aquilio Gallo si di mostrarono alla scoperta loro conti'arj ( 3 ). Dopo la creazione de magistrati Pompeo e Crasso si acciasero con tutto l impegno a mandare ad effetto quanto
(i) Veggati il Micnpoor , Rit. Rom. seei. i , eap. 5.

(3) lotorne qnesli dna ttibuai i tiicontrino gli Aoaali del Pi


gbio , tom. 3.

369
bramavano. Essi per altro lanto in Senato , quanto alla presenza del popolo di nulla parlarono , e fecer sembiante di non aver bisogno di cosa alcuna : ma 699 C. Trebonio tribuno della plebe promulg una legge, in vigor della quale per lo spazio di cinque anni assegnavasi all' ano la Siria con le circouvicine re gioni , ed all' altro la Spagna , nella quale recente* mente v erano state delle sollevazioni j con chc po tessero anche prendere quante milizie volevano dalla citt e dagli alleati e far la guerra e la pace con chiunque fosse pi loro piaciuto. Dispiacque ci sommamente a pareccbj, ed in special modo agli amici di Cesare , mentre ben si vedeva , che se co storo avessero ottenuto l intento , avrebber costretto Cesare a non restare per pi lungo tempo in co mando. Per la qual cosa alcuni si accinsero ad im pugnar quella legge ; ed allora i consoli, per timore che non andasse a vuota quant' essi tramavano , li rappaciGcarono col dire , che per un triennio (tanto da me realmente si trova ) avrebbero anche a Ce sare prorogato il comando (i). Non per diedero parte di questo al popolo , prima d' aver bene assi curate le cose riguardo a s stessi j imperocch quelli che favorivano C esare, adescati nell' anzidctta ma niera stavansi q u ieti, e gli altri per la pi parte presi dal timore si reprimevano , bastando loro di 'poter essere anche in tal modo esenti da ogni pe(i) Svelonio dice per cioque anni , in Caesare , cap. 9 \ , e lo m i o dicono Plutarco in Caesare , et in Fompejo, ed Appiaao , Civil- Uh. a , et Purthic.
D w h e , toma r .
*4

370

ricolo. M. Catone p o i , e Favonio ( i ) , ajutali fra gli altri da due tribuni della plebe , impugnavano tutte 699 le c o se , che da costoro si eseguivano ; ma senza frutto fecero uso essi nel ragionare della lor libert^ mentre erano pochi contro molti. Era stata accor data da Trebonio una solfora a Favonio per esporre il suo sentimento contrario : ma esso la consum inutilmente nel lagnarsi della strettezza del tempo. A Catone poi erano toccate due ore per parlare al popolo ma avendo incominciato a condannar le cose presen ti, e tutto il governo della repubblica, com era solito di f a r e , perd il tempo prima di esporre una bench menoma cosa che appartenesse alla causa j non perch mancasse materia da ragio nare intorno alla medesimaj ma affinch, se si fosse veduto , eh egli parlar voleva su di quella pi del tempo assegnato, e quindi da Trebonio gli fosse stato intimato il silenzio , egli medesimo potesse a costui ascrivere a colpa ancor questo r imperciocch d'altronde sapeva benissimo Catone , che neppure se perorato avesse tutto quel giorno, avrebbe otte nuto che si decretassero quelle co se, eh ei voleva. Gli fu imposto pertanto di tacersi ] ma egli ci non ostante non pose fine subito al suo ragionam ento, ed anzi quantunque venisse rimosso , e tirato a foraa gi dalla ringhiera , non ostante vi risali ^ e final mente contuttoch uscisse T ordine , che fosse con(i) Di questo Favonio im iutor di Catone c n t parlato al li bro X X X T I I f .

^71
dotto in carcere , non per egli punto si tacque (i). l a tal guisa pertanto fin quel giorno , senza che i tribuni avessero campo di parlare j imperocch in 699 tutti i comizj , quando rappresentar si doveva qual che cosa al popolo , si dava la facolt'i di aringare ai privati prima che a quelli , i quali stavano in carica , acci taluno prevenuto ( come per solito ac cade ) dal sentimento del pi potente , non si aste nesse dal manifestare il proprio ; giacch si voleva , che ognuno con piena libert il suo parere espo nesse. Gallo adunque temendo , che il di vegnente non gli si vietasse l'accesso nel F o r o , o che non gli fosse fatto un qualche altro affronto pi grave , entr sul far della sera nella curia , ed ivi pernott, s perch in quel luogo si teneva sicu ro , come an che per potere di buon mattino intervenire all adu nanza. Ma avendo chiuse Trcbonio tutte le port della detta curia , fece s , che colui pass col inu tilmente la notte e la maggior parte del giorno. Al cuni altri poi , avendo di nottetempo occupato quel luogo , vietarono d'intervenire alPadunanza ad Atejo, a Catone , a Favonio , ed a tutti quelli, i quali erano in compagnia di costoro. Favonio p e r , e Ninaio entrarono col occultamente ; e C ato n e , ed Atejo fecero grandissime istanze ad alcuni circostanti, dai quali essendo stati levati in alto , dissero di aver fatte delle osservazioni nel cielo, per cagion delle
(i) Pluiarco p oi, racconta, cba Trehonio lo fece metter di naoTo in libert, temendo per se medesimo, perch la plebe segui Catone, che rsgiooaT* ancora iacammioandosi verso U carcere-

quali l adunanza si doveva discogliere (i), ma amen* duf furono cacciati via dai servi dei tribuni ; c gli ^99 siili 7 > quali erano in lor compagnia , rimasero fe riti dai medesimi servi ; ed alcuni ne furono anche uccisi. Dopo che fu promulgata la legge , uscendo il popolo dall' adunanza, tejo port al cospetto di quelli che per anche vi erano , e mostr loro Gallo asperso di sangue, mentre costui cacciato a forza dall adunanza era stalo ferito ; ed avendo dette al cune cose, eh erano molto adattate alla circostanza, eccit un non lieve tumulto. Accortisi di questo i consoli , che non molto lungi di l stavano ad os> servare quanto accadeva , sopraggiunsero con pron tezza grandissima con una truppa di loro a d e ren ti, dei quali non pochi seco nc avevano ; e posti tutti in tim ore, convocarono di nuovo T adunanza j e quivi fecero un decreto intorno agli affari di Cesare, enza che tentassero di opporvisi quei medesimi , i quali anche prima erano stati contrarj. Stabilite queste cose fissarono una pena pi grave di quella che gi v era contro quelli , che avesser fatti dei regali (2) ; quasich fossero stati meno colpevoli co loro , che non col danaro , ma colla forza avessero occupate le cariche. Tentarono similmente di porre
Catone non era cli ao privalo ; ma Atcjo ra tribuno della p leb e, il quale siccome gli altri magistrali minori , aveva il dritto di osservare il cielo e di riferir gli augurj j vedi Paulum Manutium ad Epst. 3 , lib. 4 t od yitliciim. (a) Delle pene clabilite dalla legge calpomia contro i rei di Am bilo ne ha fua meoiiooe il notlro Istorico al libro xzxvi..

373 un freno (i) alle sp ese, clic riguardo al vitlo giorm lero eransi a tlismisura accresciute , quantunque essi fossero giunti ad un estremo lusso , e ad une- 699 strema mollezza | il che fu anche cagione , che una tal legge non fosse promulgata. In fatti O rtensio, il qual godeva di far delle spese al di sopra di tutti gli altri , avendo messa in vista la grandezza della c itt , e lodati i consoli per la loro splendidezza dom estica, e grandiosa liberalit inverso degli altri, ed avendo citata come per appoggio del suo discorso )a lor maniera di vivere, fece s , che si dipartissero dal concepito disegno : imperocch mossi dal rossore che provarono per simile opposizione , e non volendo che sembrasse , che eglino per invidia vietassero agli altri quelle medesime cose , delle quali essi facevano u s o , lasciarono ben volontieri di fare una simil proposta. In quei medesimi giorni Pompeo dedic il suo teatro (2) , che anche al presente si tiene per cosa insigue , e diede nel medesimo rappresentazioni in musica , e giuochi gianici (3) ; e nel circo corse di cavalli e caccie di fiere , che erano m o lte , e dr specie diversa. Di fatti nello spazio di cinque gior ni furono uccisi cinquecento leoni j e diciotto eie* fanti (/{), contro dei quali giostrarono uomini ar(i) Si riicontri Aulo Gelilo, lib. a , eap. o}. (a) V edasi Alesiamlru Donato, de Urbe Roma, Uh, 3 , cap. 8 , tom. 3 , Thet. Orarv, t Tertulliano, eap. }, de ipectaculis. (3)^ Ne <juali gli alleli nudi lotUTano, Cic. lib, 7 , Eptst. 1 , a i

JUarwn.
M i s i , N a l . lib. S , cap.

(4) Si riscontri Seneca, de hrevitale Ptue eap. i3 , e P lin io , 7.

374
m a ti , una parte ne mor nella stessa giostra , ed Rom a parte di l a uon molto. Ebbe compassione il ^99 popolo di alcuni di questi elefanti anche a dispetto di Pompeo , allorquando essi rimasti feriti cessarono di giostrare , e andando attorno colle proboscidi al zate verso il cielo, si lamentarono in guisa, che diedero occasione che si dicesse , che ci non si faceva da loro a caso , e senza ragione ; ma che col lor grido contestar volevano il giuramento , in forza del quale erano stati trasportati dall'A frica, od implorar la vendetta del nume (i) : imperocch voce, che non entrarono nelle navi , prima che coloro che li guidavano non ebber giurato, che non, si sarebbe fatto ad essi alcun danno. Io non so, se questo sia vero o n ; ma da alcuni si d ci per certo , come altres , che gli elefanti medesimi capi* scano il linguaggio del paese ove nascono (2), e che abbiano anche la cognizione delle cose celesti ; e che perci' in tempo dei novilunj , prima che la luna si vegga dagli uomini, all'acqua chiara si accostano, ed in essa si astergono e si mondano (3). Io tali cose le ho intese raccontare in questa maniera j co(i) Mon si lasci di leggere a questo proposito Pliuio , loc. clt(2) P lin io, //isl. Nat. lib. 9 , cap. i , cosi d ic e : intellectut illis scrmonis putrii , et imperiorum obedientia. Si riftcoalri anclie Pietro Gillio , in Elrphanli descriplione. (3) Religio quoque ittis sidcrum , tolitque, ae .lunae veneralio. Auctnres. sunt, in Mauritaniae saitibas , ad quen am aimiem , cui nomen est Amilo , nitcscente luna nova , gregei eorum dcsoendere ; V'ique se purificaiUes solemniter aqaa circwtupergi ; alque ita talucaco tidcre in silvas referti} Plin. toc. cit.

3'j5
me a ltre s, che il sopraddetto teatro non fu fabbri* cato da Pompeo , ma che lo edific Demeti-io suo liberto coi danari , i quali esso militando sotto di 699 lui erasi guadagnati (i)^ e che con somma accor tezza lasci che Pompeo dasse il cognome ad un s grande edifizio, affinch cio non si spargesse la non buona fam a, che un liberto avesse ammassata tal quantit di danaro , da poter fare delle spese si grandi. Pompeo a dir vero con questi spettacoli si acquist non poco la grazia ed il favore del po polo ; ma se lo disgust grandemente nell arrolare l esercito insieme con Grasso , del quale servir si doveano ambedue per eseguir le imprese alla lor cura commesse : ed il detto popolo allora si pent , e commend C ato n e, e gli altri. Laonde i consoli, non tanto per questo motivo, quanto perch da ccrti tribuni della plebe s'intentava un giudizio , in appa renza contro i loro legati, ma in sostanza contro essi medesimi , eh erano consoli, e contro tutto quello che avevano o p erato , presero ( menti-e non osavano di oprar coMa forza) il vestimento lugubre, come nelle pubbliche calam it, in compagnia dei senatori della loro fazione " , il qual vestimento per lo deposero di l a non molto , avendo mutato di avviso , senza servirsi neppure di un qualche pre testo. Opponendo poi i tribuni della p le b e , che
( i ) Si fiscoDtri Plutarco , in Pompejo , et in Catone minore , e Pielro A^iilorio, in Uh. 4 f od Attieum Epitt. 11 , ed il Lipsio , ad Senecan de tranquiUitala animi, cap, 8 > e Uta*eppe F s t io ^ de Belio Judaico , iib. i , cap. 7 -.

376
rti non era lecito ai consoli Tarrolar soldati, ' e facendo Roah (jggl tentativo, a fine di dichiarar nulle le spedi699 zioni, che per via di decreto erano state loro ad dossate, Pompeo non mostr in ci dispiacere. Esso in fatti aveva mandati fuori subito i suoi legali , e quantunque spontaneamente fosse rimasto in citt , contuttoci vi stava^ come se gli fosse vietato di nsnirne, c ci faceva perch era necessaria la sua presenza nellamministrazione dell'annona (1), e per ch eseguiva le imprese della Spagna per mezzo dei suoi legati , e finalmente perch governava da per s stesso le altre cose in Roma , ed in tutta lItalia. Crasso dall' altra parte , al quale niente di questo era toccato, si rivolse ad acquistar possanza per mezzo dell armi (a) ; ed i tribuni della plebe (i) , perche scorgevano , che la sua libert di parlare , siccome inerm e, era debolissima ad impedir quanto faceva Pom peo, si astennero dal rispondergli 5 ma gli scagliarono contro molte terribili im precazioni, quasich maledicendo l u i , non avessero esecrata anche la repubblica. In fatti essendo egli salito ia Campidoglio a far le solite preghiere per simile spe dizione , essi gli annunziarono degli auspicj e dei prodigi contraij e nell atto che partiva lo accom pagnarono con molte e gravissime esecrazioni. Atejo giunse perfino a segno di volerlo far metter prigione ;
( 1) Vfgga! alla pagina 348. (a) lutrapreodrndo nna pcdixione contro il pae*e dei P arli, della quale parler pi ditTurameale Diooe al libro 4<>' (3} QuMli furono C . Atejo Capiloa* e Q . Cecilio Metello.

377
ma essendovisi iaterposti gli altri tribnni della plebe, questo coatrato mand in lungo 1' affare , e Grasso frattanto usci fuor del Pomerio (i) * , ed il medesimo, 699 o ci accadesse per c a so , o in forza delie impreca* zioni, non molto dopo mori. C r 1 T o L o VII.

Coi^e Decimo Bruto vim e i V eneti, e P . Crasso combatt contro gli Aquilani.
Cesare , essendo consoli Marcellino e Filippo , 698 intraprese la spedizione contro i Y raeti (a). Abitano costoro air Oceano ; ed avevano presi alcuni soldati romani spediti col per far provvisione di grano ; e poscia avevano ritenuti gli ambasciatori mandati A cagione dei detti soldati; e ci da coloro erasi fatto j>er ricuperare in luogo di questi i lor proprj ostaggj. Cesare per non restitu loro i medesimi ostaggj ; ma spediti qua e l alcuni de' suoi a dare il guasto ai paesi di quelli, i quali avevano ajutati i Veneti a rbellarsi , acci questi ajuti non potessero insieme riunirsi j e mandatine altri , che stassero attenti a coloro , che erano alleati dei Romani , acci non
( 1 ) Pomerio diccvasi dai Romani uno spazio luogo le m u ra, s a) di fu o ri, come al di dentro , consecralo,dalla relifjiooe, io cut non era lecito nfc fabbricare, n i abitare, n arare. (a) SoggiornavaDo essi io quel luogo della Gallia , dove in oggi sla Vennes nella Brettagna minore. Oa questi Veneti crede S tra b e n e , che traggano origine gli a ltri, che stanno in Italia j Hi. 4 > Si riscontri Cesare, de Bello Gallico, lib. 3 , cap, 7 , s teqq.

3^8 facessero alcun tnovtmenlo , si port egli stesso in persona contro i detti V en eti, dopo aver messa in 6g8 ordine ne'paesi posti dentro terra una certa spe cie di navigli j i quali aveva inteso dire , eh' erano molto atti a sostenere il turbamento del mare. Egli pertanto condusse questi navigli gi pel fiume Ligeri ( i ) , e cos pass quasi tutta 1 estate senza far niente , imperocch le citt dei Veneti erano poste in luoghi fortificati dalla natura e per inaccessibili, c quasi tutte venivano bagnate dall'Oceano, dimodo ch non era facile l andarvi n colia gente a piedi, n colle navi pel moto alternativo del mare , sia quando si ritirava dal lid o , sia quando sul mede simo si rompeva. Prov adunque Cesare u n a.g ran dissima difficolt , perfino a tantoch Decimo Bruto non fu giunto dalla parte pi interna del mare con delle navi agili al eorso; e neppure con questa flotta pareva a lui di poter riuscire in qualche cosa; ma quei Barbari nel mentre che non facevano gran conto di quelle navi , che loro sembravano assai piccole e deboli, restarono vinti. Le navi dei Romani erano s ta te , sccoado lo stile della nostra navigaeione , co struite in m odo, che fossero leggiere e veloci ; quelle dei Barbari poi erano di maggior mole e pi gros solane, p ^ c h atteso il continuo moto del mare doveano lasciarsi spesse volte allasciutto; e cos erano a bella posta costruite, acci fossero atte a reggere al flusso ed al riflusso. Avvenne p e rta n to , che i
(i) Adesso si cliiama ta Loira.

3?9
B arbari, i quali per 1 addietro non avevano sperimentalo giammai un s fatto apparecchio nav ale, dopo avere osservate le navi dei Romani , a prima 698 vista ne dispregiarono 1 uso , e di subito quasi insi diosamente condussero fuori le loro all' incontro', giudicando facilissima cosa il cacciarle sott' acqua a forza di pertiche feiTate. Essi poi venivano spinti da molto vento e gagliardo , perch in vece di vele si servivano di pelli , che ricevevano in copia tutta la foraa e l'im peto del medesimo vento (i). Bruto pr fino a tanto che il vento gonfi le lor vele, avendo avuto timore delia quantit e della grandezza delle navi nem iche, e dell' impeto di esso vento , che coi loro sforzi accordavasi, non ardi di portarsi contra dei medesimi che gii stavano dirimpetto : ma si di spose a lasciar le navi, ed a riutuzzar da terra l'im< peto dei nemici. Ma essendo improvvisamente cessata la forza del v e n to , e divenuto il mare tranquillo , le navi dei detti nemici non potevano pi a forza di remi spingersi innanzi con tanta veemenza, ma a cagion del lor peso stavano in certo modo immobili j e qui Bruto , ripreso avendo coraggio, fece avanzar le sue navi contro il nem ico, ed attaccata la zuffa, ridusse i Barbali in estremo pericolo j imperocch andava navigando all'intorno, e si portava in mezzo alle lor navi senza differenza alc u n a , ora dando 1' assalto , ed ora ritirandosi dove e quando gli pia ceva j e qua con molte attorniando una sola nave, (1) Si contalli il Fabbreui, a Cl. Tnj,

38o
e l pugnando conb'o n numero uguale , e talvolta anche minre , sicuramente combatteva contro di 698 molte. Quando poi capiva di poter essere vincitore , incalzava il nemico e ne sommergeva le lacere navi, o veramente fatti salire i soldati da ogni Iato sopra le medesime, questi venivano alle mani coi marinari e ne uccidevano molli; e ae poi in qualche parte si scorgeva inferiore , con somma facilit ritiravasi , talmentech aveva sempre in suo poter la vittoria. I Barbari essendosi figurati, che non vi sarebbe stato ]>isogao di lanciar n saette , n sassi, non ne ave vano preparati; e quindi ne avveniva, che potevano in qualche modo ri&pinger quelli che gli attaccavano da vicino , ma quando gli assalitori eransi ritirati anche di brevissimo intervallo , pi non sapevano essi che farsi. In tal guisa pertanto 0 restavano fe> r i t i , o m orivano , senza che facessero il menomo danno agli avversar) ; e delle navi altre n erano ur tate e rompevansi , ed altre ne rimanevano preda delle fiamme ; ed alcune , che pure avrebber voluto retrocedere , venivano a forza tirate innanzi , come se fossero state vuote d uomini. Ci visto gli altri soldati di nave , per non esser fatti prigionieri dai nemici , parte colle lor mani si uccisero , e parte saltati in mare furono messi a morte dai R om ani, o in tempo che sforzavansi di salir sopra le navi nemiche , o in qualunque altra maniera. Costoro adunque , i quali non la cedevano ad alcuno in co raggio ed audacia , traditi dalle loro navi che non si movevano , furouo ridotti ad una estrema sciagu*

381
ra : ed ia fatti acci il vento levatosi per avventura un altra volta non potesse muovere le dette n a v i, i Komani di lontano con lunghe pertiche , alle quali 698 aveano attaccate delle falci ne tagliaron le funi e ne lacerarono le vele. E cos i Veneti costretti a soste ner dalle lor navi un combattimento quasi terrestre Contro i Romani , che potevano servirsi delle n a v i, perirono per la pi parte nella stessa azione e tutti gli altri furono presi ; e Cesare , poscia , fatti uccidere i principali di essi , espose il restante in ven dita (1). Dopo questo egli rivolse le armi contro i Morini (2) , e contro i Menapj (3 ) lor confinanti , dandosi a credere di atterrirli colla fama delle sue imprese , e di facilmente espugnarli. Ma per non assoggett alcuni di essi , imperocch siccome abita vano non dentro a c itt , ma dentro a tugurj , tra sportate avendo le cose le pii preziose in foltissime selve poste sopra i monti , recarono pi danno ai Romani , che andarono ad attaccarli, di quel che da questi ne ricevessero. Pensava Cesare di portarsi sopra gli stessi monti e tagliarvi le selve , ma a
(1) Q uesta m aniera di veodere diccTasi dai Latini vendere sub c o ro n a , perch i prigionieri si esponevano alla vendila coronati di ghirlande di fiori. (a) SoggiornaTano questi popoli nei lu o g h i , dove sono al presente S a n t O tn e ro , e Y p re f; S am son, Rem artjaet tu r la Carte d e f an cienne Gaule. \ P ) Occupavano questi la parte la pi meridionale d e ll antica Dio cesi di U ire c h e , ed i p a e s i, nei quali si fondarono nel tSSg , i vescovati d i M iddelbcorg , di Anversa ec. , e nei quali il d u calo d i C le v e s, S a m s o a , loc- c it.

382 motivo della lor vastit , e dell inverno clic gi era imminente , depose la speranza di poter ci fare , e parti. In tempo che Cesare stava per anche nel paese dei V eneti, avea spedito il legato Q. Titurio Sabino contro gli lineili (i) , ai quali comandava Yiridovice. Era sulle prime entrato addosso al detto Titurio un grandissimo timore a motivo della im mensa moltitudine di quei p o p o li, di modo che sti mava di far assai, se avesse potuto difendere i suoi accampamenti. Ma dopo che scorse , che da questo suo timore crasi in loro accresciuto il coraggio , mentre in sostanza non erano formidabili (e cosi di lor natura sono tutti i Barbari , che non fanno mo stra di ci che incuter possa spavento , se non con vane minacce ) riprese ardimento : bench neppure in questa guisa os di combattere apertamente colr inim ico, perch si atterriva di quella gran molti tudine ; ma allatt i Barbari, si che con somma im prudenza risolverono di dar l assalto ai suoi allog giamenti posti sopra un luogo eminente. Esso allora accord un certo uomo di quelli che seco aveva per ajuto del campo , e che parlava il medesimo lin guaggio degli UnelH, dicendogli di passare sul far delia sera dalla parte dei nemici , come disertore , e di persuadere ai B arbari, che Cesare aveva avuta una grandissima rotta. Effettivamente fu ci creduto dai detti B arbari, i quali ripieni di cibo c di vino non fecero sopra tal cosa riflessione veruna 3 ed im( i ) Veggasi Giulio C esare, lib. 3 , cap.

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raantinenlc si portarono ad opprimere i Romani , dicendo , che non si sarebbe salvato pur uno , che * recasse la nuova della loro sconfitta. Raccolsero dei 698 serm enti, svelsero delle le g n a , quasich volessero arderli tutti j e poscia s'incam minarono su per la collina e con prestezza grandissima , non essendovi alcuno che loro Io contrastasse , vi salirono. Sabino poi non usci fuor del suo campo , prima che non si fu accorto di avere in mano la maggior parte di essi , ed allora finalmente diede da tutte le parti addosso ai. nemici , e spaventati i p rim i, li rovin tutti gi per la detta collina * , ed al tempo stesso nel mentre che precipitavano a basso , parte intri* gandosi a vicenda , e parte impacciati essendo dai fasci dei sermenti , li distrusse egli in maniera , che n costoro, n gli altri ebbero pi ardire in seguito di muover le armi contro i Romani, I Galli tutti quanto inconsideratamente corrono a qualunque cosa con eccessivo tra sp o rto , altrettanto non conoscano regola o nell audacia nel timore 5 e quindi da un sommo ardire cadono in un improvviso spavento, e da questo passano a un temerario ardimento. Circa i medesimi giorni P. Crasso figlio di M. assoggett quasi tutta TAquitania (1), la quale anch'essa una parte della G allia, che confina coi Celti (2) e al di
(1) Adesso chiam ici la Gbienna , o Gaienna. (a) Discordano gli Autori nel fissar precisamente la regione abi ta la da questi popoli , come si pu veder d a ll' O rtelio , dal C in verio e da, a ltri. Quello che fc certo p er iatoroo alla Celtica , si h cbe la Gallia al di l dalle Alpi era divisa io tre parli ; cio ,

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bomj Crasso

l dei monti Pireaei (i) si estende fino all Oceano. portatosi col con I esercito , super iu 698 un combattimento gli piati (2), espugn la loro c it t , non avendo perduti che pochi de' suoi ia tempo della resa , per frode degl inimici. Mentr egli stava intento a vendicarsi acremente di costoro per s fatta ribalderia , intese , che altri popoli erano venuti alle arm i, cio i soldati sertoriani (3 ) chia mati da costoro dalla S pagna, i quali facevano l gueiTa pi con arte e pratica militare , che con te merit ; e si davano a credere , che certamente i Romani partiti sarebbero dai loro confini per man canza di frumento. Crasso adunque fingendo di aver paura^ quantunque ne fosse dispregiato dai nemici, ci non ostante si contenne in maniera da non far nascere in essi desiderio di venir seco alle m a n i, per lo che gli attacc alP improvviso iu tempo che costoro non si aspettavano dai Romani alcuno as salto. Da quella parte , da cui egli assali gli allog giamenti, nulla guadagn, essendone usciti fuori eoa impeto i Barbari , e con sommo vigore facendo re sistenza e difesa; ma avendo essi ridotto tutto il lor esercito in quel medesimo luogo, Grasso ordin ad

r Aqulaaia fino alta L oira , la Celtica dalla Loira fino alla Senna , la Belgica dalla Senna fino al Reno. (1) Questi moni separano la Francia dalla S p a g n a , ed hanno diversi nom i secondo i la o g h i, ai quali sono vicini , come Monte* C a u igo , Sierra de Guara . montagne d i Z acca di s. C risiina. (a) S 'ig n o ra il vero laogo di questi popoli. ( 3) Cosi detti da S w lo rio , dei quali parla F lo ro , lib. 3 , cap, aa.

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alcuni de suoi di portarsi ia giro dall altra parte dei detti alloggiamenti , ed avendo eglino^ ritrovata tal parte sprovveduta aflatto di uomini , se ne im- 698 padronirono, e pe'medesimi alloggiamenti assalirono i nemici. In simil guisa costoro furono interamente distrutti , e gli altri popoli senza combattere riceve* rono le condizioni di pace. queste cose ci fecero in quella estate. C apitolo VIIL

Delle imprese d i Cesare di l dal R eno, e del suo passaggio nella Brettaffia.
Stando i Romani ne quartieri d inverno presso 699 gli alleati , i Tencteri (1) e gli Usipeti (3), portoli di Germania , si perch erano discacciati dagli 8vevi (3) , come anche perch venivano invitati dai G alli, passato il Reno , fecero impeto sopra i confini dei Treviri (4 ). Quivi avendo essi trovato Cesare , ne rimasero spaventati, e s indussero a spedire a lui am basciatori, i quali facessero alleanza col mede simo , chiedendogli che assegnasse loro una qualche
Tam ari, Teitteridit

(1) Dagli antichi aulori iono chiamati anche

Tingri e Tencateri.
(a) Si coosulli M r. Speaer , Gtrm. ^ n l. Uh. , eap. 3 . (3 ) Questi popoli abitano nella parte meridionale <li Alemagna alle orgenti del D auubio. ( 4 ) Abitavano questi in quel tratto di paese^ dove al presente k l arcivescovado di T rev iri. Bioe, fsan I . *5

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regione , o clic permettesse ai medesimi di occupar sela. Ma ioti avendo ottenuta alciina. di queste due I cose , sulle prime promisero , che di buon grado alle lor case se ne sarebbero ritornati , e addimandarono la tregua ; e poscia vedendo , che Cesare si avvirinava con pochi soldati a cavallo, i quali erano sul fior deir et , non ne fecero essi gran conto , e pentitisi di quanto avevano fatto , sospesero la par tenza , ed all' impensata diedero addosso ai detti cavalieri romani ; e da ci preso coraggio determi narono di fare la guerra. Non fu tal cosa approvata da coloro , eh erano d et pi matura , i quali por tatisi da Cesare conti o la volont de pi giovani , implorarono il p e rd o n o , gettando la colpa sopra pochi. Cesare li trattenne , fingendo , che fra non molto avrebbero ricevuta la risposta j e quindi se n and contro gli a ltr i, che stavano dentro gli al loggiamenti , e diede loro l ' assalto in tempo che dopo il mezzo d se ne stavano in riposo , e n o a si aspettavano veruna ostilit , ' sul riflesso che quei della lor parte erano a trattar con Cesare ; e fatto improvviso impeto sopra i medesimi, uccise una gran quantit di soldati a piedi , i quali oltrech non aveano campo di prender le ai-mi , venivano anche impacciati dalle mogli e dai figliuoli ^ che stavano misti confusamente insieme vicina ai caiT. Era in allora di l distante per caso la cavalleria di essi nemici, la quale ricevuta la nuova di quanto era accaduto, pens di tornarsene subitamente l dond era p a rtita , e gi crasi ritirata presso i

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cambr (i). Ma Cesare avendo spedita col la sua gente , fece dire a coloro che si avrendessero , non perch sprasse , che avrebbe ottenuto quanto chie- 699 deva ( mentre in allora quelli che abitavano di l dal Reno non avevano tanto terrore dei R om ani, che obbedir volessero a simil comandi) ma per potere con tal pretesto passar il Reno. Esso ia fatti arden> temente bramava di far tali imprese , che per 1 addietiO non fossero mai state eseguite da vernn altro comandante romano e sperava , che allontanati avrebbe di lunghissimo tratto dalla Gallia i C e lti, snbitoch fosse entrato nella loro regione. La sud detta cavallera adunque avendo ricusato di arren dersi ; ed esso chiamato essendo dagli Ubj (a ), i quali erano confinanti, e nemici dei Sicambri, fatto un ponte pass il Reno : ma ritrovatosi da lui , cLc i detti Sicambr eransi ricoverati in luoghi sic u ri, e che venivano in folla gli Svevi per ajutar costoro, circa il vigesimo giorno tomotsene indietro. Il Reno poi nasce dalle Alpi celtiche , poco al di sopra dei R e fi, e quindi scorrendo verso occidente, passa a ministra per mezzo alla Gallia ed agli abitanti della medesima , e a destra per i G erm ani, e finalmente sbocca nell' Oceano. tali fino al giorno presente sono i limiti di quelle regioni da quel tem po, in cui presero diverse denominazioni ^ imperocch nel( i ) Abitanti di Sicambria , che io oggi da alcuoi i chiama G b eld ria , da altri il ducato di W eslfalia. ( i) Soggioruavano questi ia una parte del moderno tertitorio di C o lo n ia , ed iu nua p a n e di quello di G iu lin s .

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< ' r et pi remote i due p o p o li, i quali abitavano homj dall una e dall altra parte del R eno, si chiamavano GgQ comunemente Celti (i). Cesare pertanto fu il primo dei Romani , d ie il detto Reno passasse ; e di pi si port in Brettagna, essendo consoli Pompeo e Crasso. distante la Brettagna almeno 5 6 miglia da quella parte della Gallia abitata dai Morini * , ed estendendosi in m are, si piega oltre il restante della G allia, ed oltre quasi tutta la Spagna. Gli antichi Greci e Romani neppur seppero , che ella esistesse ; quei che vennero dopo contrastarono fra loro , se era terraferma , o isola ; e per 1 una e l altra opi nione si scrissero parecchie cose da t a li, che niente ne sapevano di certo ( mentre n essi 1' avevano ve> d u t a , n se n ' erano informati dagli abitanti della medesima ) ma che si appoggiavano a congetture , tanto quanto ciascuno aveva agio e comodit di stu-> diare. Col tratto del tempo , la prima volta sotto il propretore Agricola, ed alla nostra et sotto l imperator Severo si saputo di certo , che quella isola. Allora pertanto venne desiderio a Cesare di portarvisi, dopo aver quietata la Gallia, e dopo a v ^ ridotti anche i Morini in suo potere : e 'quantunque vi si trasferisse con la fantera, siccome assoluta* mente doveva fare , contuttoci non pot accostar la flotta l dove si conveniva; imperocch i Britanni, intesa la nuova della sua venuta , avevano occupati tutti r luoghi vantaggiosi posti dirimptto alla terra>
( i) Vegga! Filippo C laT crio , G erm an. J n t t q , U t. i .

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ferm a, per fare delle sortile ; e cosi Cesare girando attorno ad n a certo promontorio , che si estendeva in m a re , si port da un altra parte. qui sbaragli 69^ i nem ici , i quali vennero ad incontrarlo in tempo che esso faceva discender l'esercito in un lu o g o , dov era il mare s poco profondo che guadar si po teva j e prima che venisse un rinforzo maggigre, prese te r r a , e quindi rispinse i B ritanni, che pur facevano impeto. Quantunque per nou fossero ca duti estinti che pochissimi Barbari ( mentr erano quasi tutti n cavallo, e combattevano dai carri ( i) , e perci colla fuga si sottraevano facilmente dai Ro mani , ai quali non era venuta per anche la caval> leria ) contyttoci colpiti dalla fama di quanto aveano inteso dire che dai Romani facevasi nella terraferm a| e sopraffatti principalmente dalP ardimento , eh' essi avevano .avuto di navigar nel loro paese ^ e dall es sere ai medesimi ruscito di far scala in terra , spe dirono a Cesare alcuni dei M orini, coi quali erano legati in amicizia , e per mezzo di questi gli addimandarono la p a c e , e gli promisero di consegnar nelle sue mani degli ostaggj , qualora esso gli avesse richiesti. Ma in questo mezzo siccome le navi dei R om ani, tanto quelle che quivi si ritrovavano, quanto
( 1 ) B ritanni beliam gerunt non tantum equitatu, vel pedite ^ perurn euarn higis , ciu'ributque fa tc a iis quo$ more vulgati essedat v a c a n ti J o rn a n d ts d e rebus G eticii , cap, a* Si cousuU anche P aolo Manusio 9 a d Cic< lib* ^ ad X rebaiiwn Epi$t 6 , e Dio* nigi Vossio , a d Ccetarem , de Bello Gallico , lib , 4 cap. 3 4 , * G o. Schefro , d e re reh'ivulari^ Uh, ca p .

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quelle, che ci si trasferivano , erano siale malmeRoM d uate dalla tem pesta , quindi , che coloro mutarono 699 avviso. Non ebbero per 1 ardire di attaccare aper tamente i R om ani, mentre il lor campo era ben custodito e difeso 5 ma fecero prigionieri alcuni di q u e sti, i quali ella loro regione erano stati man dati , siccome regione di am ici, a chieder dei viveri^ ed air eccez.ione di p o c h i, ai quali Cesare rec un pronto soccorso, tutti gli uccisero. Avendo poscia tentalo di dar l'assalto allo stesso cam po, ne fu rono scacciali senza che nulla ottenessero con lor gravissimo danno 3 n per vennero ad accettare le condizioni di p a c e , prima che non ebber provata pi volte la fortuna contraria. Non aveva certamente in animo Cesare di accordar loro la detta pace; ma siccome sopraggiungeva l ' inverno, e non aveva seco al presente truppe abbastanza per sostenerla guerra nella fredda stagione , ' e 1' altre , che stavano per arrivare , erano state maltrattate dalla tempesta j ed anche siccome a Cagione della sua assenza erans suscitate nella Gallia nuove turbolenze ; quindi con tro la sua intenzione pose fine alla guerra , col chie der anche pi ostaggj , dei quali per non ne prese che una piccola parte. Ritornato In tal modo Cesare nel continente, sed quei tumulti , che in tempo della sua assenza v erano s ta ti, non avendo ripor tato alcun lucro dalla Bi.etagna n per se , n p e r la repubblica , tranne la gloria delia spedizione in trapresa contro la m edesim a, la quale venfva da lui amplificata meutre ne parlava , cd ammirata gran-

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demente anche da quei Romani , che nella citt erano rimasti. In fatti essi vedendo, che a lui erano noti quei p a e si, dei quali prima uon si aveva alcuna 699 notizia, e che andar poteva in tai luoghi, di cui per ]' addietro non era giunta loro neppure la fam a, gi concepivano delle anticipate speranze, come pre senti , riguardo alle imprese da farsi, ed esultavano per tutto ci che speravano di conquistare, come se gi lo avessero conquistato. A cagione pertanto delle imprese , che s erano eseguite , decretarono , che si facessero delle preghiere per lo spazio di venti giorni. In tempo che queste cose accadevano, anche la Spagna levossi a tum ulto, e per s fatte turbolenze vi fu mandato Pompeo : imperocch al< cuni essendosi ribellati , aveano eletti per capi della sedizione i Vaccei ( i ) , i quali poco prima sorpresi all improvviso da Metello nepote , erano stati da lui in un combattimento sbaragliati e dispersi. Ma medesimi avendo a lui dato T assalto in tempo che stava occupato nella oppugnazione di Clunia (2), lo aveano vinto , ed avevano presa Clunia 5 c poscia in un' altra occasione essendo stati superati a vicen da , non per s erano ridotti in istato da poter es sere in breve d o m ati, mentre per la lor moltitudine erano di gran lunga superiori ai Romani : e per sembrava al detto Nepote di aver fatto abbastanza,
(1) La regione abitata da q n n i i popoli adesso chiamai ia parte il regno di L e o n , c( in parte Castiglia vecchia. (3) Al presente non che un villaggio ia Spagna prtM il fam* D u c ro , che si chiam a Corunna del Cond..

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quando fuor di pericolo avesse potuto goder della JtoHJ quiete. 6 y8 C a p i t o l o IX.

In qual modo Tolomeo fu da Gabinio ricondotto in Egitto; e di ci che avvenne a Gabinio.


In quel tempo medesimo Tolomeo fu ricondotto al possesso del suo regno; e quantunque i Romani, fatto un decreto , avessero ricusato di ajutarlo , e fossero molto irrita ti, eh egli profondesse in tanta copia i regali ; ci non ostante un slmile affare fu mandato ad clTetto da Pompeo e da Gabinio. T anta era in quel tempo la forza dei supremi comandi , e delle riccliezze contro i decreti s del popolo, come del Senato , che quantunque Pompeo ad onta della repubblica , e con dispregio della medesima , e delr oracolo della Sibilla avesse addossata a Gabinio una tale incumbenza , e Gabinio facesse quella spe dizione, cedendo l uno all amicizia, l'altro ai re gali, contutloci quel re venne restituito nel proprio suo regno. Fu citato , v e ro , Gabinio a comparir per tal fatlo in giudizio , ma parte per opera di Pompeo , e parte per mezzo di danaro si fece in modo , che non rest condannato. Erano in quel tempo perturbate e sconvolte a segno le cose di Ro ma , rlie avendo data Gabinio una picciola porzione di danaro, col quale era egli stato corrotto ( i ) , a d
( I ) PloUrop , in Aniono , dice che Gkbinio aveva ricevuti d a T olomeo Aulele Uieciraia talculi.

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aicnni magistrati e giudici, non solamente non si curavano questi di adempire al loro proprio dovere, aojcj m a anche agli altri insegnavano a commettere il 699 medesimo e rro re , sidla speranza del d a n a ro , col quale potevano agevolmente esentarsi da qualunque gastigo. Tali adunque furono i mezzi , colVajuto dei quali fu in allora assoluto Gabinio. 11 medesimo po* jcia non tanto per altre cause , quanto perch ru bato aveva dalla sua provincia quattromila sesterzj (i), fu strascinalo in giudizio, e rest condannato. A Gabinio adunque accadde questo di particolare, che laddove nel primo giudizio era stato assoluto ia grazia del d a n a ro , nel secondo fu condannato di estorsione , e ne fu causa principalmente il. detto primo giudizio: ed a Pompeo avvenne similmente questo di particolare, c h e , laddove stando esso molto lo n ta n o , aveva per mezzo di suoi- am ici, e compagni sottratto Gabinio allo stesso primo giudi zio , ora che stava nei sobborghi, e quasi presente al tribunale medesimo, non fu a colui di alcun gio vamento. Tutto il fatto poi sta nella maniera se guente. G abinio, dopo aver travagliata la Siria con parecchi m a li, e recato quindi pi danno a quella provincia che gli stessi corsari, i quali in quel tempo avevano una possanza graudissima , ci non ostante tenendo per cosa da nulla quel lucr , che da quella, aveva ritratto , prima di tutto rivolse P animo , e si prepar ad intraprender la spedizione contro i Parti,
( 0 Veggasi il Badeo , de A s m m .

^94

<*' e contro le loro sostanze : imperocch a Fraate ucRonj ciso empiamente da sftoi proprj Ggliuoli era succe699 dulo nel regno O ro d e , dopo aver discacciato il suo fratello Mitridate dalla Media , di cui teneva il co mando , il quale ricorso essendo a Gabiiiio lo piegC a procurargli il ritorno nella medesima. Ma al tempo stesso sopraggiunsc Tolomeo con lettere di Pom peo, e promise , che data avrebbe a Gabiuio , ed alP esercito una gran quantit di danaro , parte subito , e parte dopo che fosse stato ristabilito nel regno ; ed immantinente Gabinio , posto da banda T affare di Partia , si port in Egitto , quantunque per legge venisse ordinato in pi imo luogo che nessun gover natore andasse fuor de confini della sua provincia , e secondariamente che non intraprendesse veruna guerra di proprio capriccio; e quantunque il popolo, d anche la Sibilla avessero p roibito, che Tolomeo non si restituisse nel suo regno. Ma quanto pi sa<peva Gabinio , che tal cosa era vietata , a tanto pii caro prezzo ei la vendeva ; e perci lasciato in Siria con pochissimi soldati il suo figliuolo Sisenna , che era in et molto tenera j e quindi esposta tanto pi in simil guisa quella provincia, il governo della quale ad esso era stato affidato , agli oltraggj dei c o rsa ri, egli se n and in Palestina, ed avendo preso Aristobnlo , che quivi fuggitosi da Roma eccitava tu multi , mandollo a Pompeo \ ed imposto un tibuto ai Giudei, si port in Egitto. Teneva in quel tempo Berenice (i) il regno degli Egiziani, la quale quan( 1 ) Era costei fglitiola dell'esule re Tolomeo.
O ra i, pr R a ttirio , cai>. a-

Cicoroae,

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t u n ^ e temesse i Rom ani, ci non ostante si mosU nemica a Gabinio 5 mentre chiamato a se un certo Scleuco, come se fosse stato uno di quella regia ^99 stirpe , che gi una volta avea fiorito iu S iria , se lo elesse per marito , e lo chiam a parte del re gno e della guerra. Ma poi che scorse , che costui non era uomo di alcun pregio , datagli la morte , tir a s con le medesime condizioni Archelao , fi gliuolo di quell Archelap , il quale erasi messo dal partito di S iila , ed uomo capace di eseguir delle im prese, che in allora viveva in Siria. Avra potuto subito da princpio Gabinio reprimere questo male nascente ( mentre aveva arrestato Archelao mediante gl' indizj che a tempo aveane a v u ti, e quindi non gli restava d aver paura per parte di costui ) , ma tem , che non sembrasse , eh egli non avesse poi fatto una gran c o s a , ed in conseguenza di non ri cever da Tolomeo una quantit di danaro minore di quella eh erasi convenuta 5 quando esso per lo contrario sperava, che dargli se ne dovesse una maggioi' som m a, attesoch Archelao aveva nome di essere un uom graude e feroce. Ma finalmente avendo ottenuta dal detto Archelao nna immensa copia di d a n a ri , lo rilasci di buon grado, fingendo, che se ne fosse fuggito. Gabinio p erta n to , non es sendogli fatta resistenza da alcuno , giunse a Pelu8o ( i ) , e di qui postosi in marcia coll'esercito in due squadroni diviso , sbaragli nel giorno stesso gli (i) Adeisto rbiamasi Belbais, 0 6lbe*, ciu in EgiUo Ile CQt del Mare Mediierranco.

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A n t Egiziani, cbe gli erano venuti contro ; e poscia nuovamente riport la vittoria con le navi per fiume , ed in u a terrestre combattimento. Hanno gli Ales sandrini abbastanza coraggio per accingersi a tutto , e sono di lor natura prontissimi a parlar leggermente di quanto vien loro ncH'aiymo; ma poi sono i meno adatti di tutti alla guerra , ed a sostenerne i peri coli ; quantunque nelle sedizioni, che presso di essi sono grandissime , e mollo f^quenti, passano poscia alle stra g i, nulla stimando la vita nel calor della d isp u ta, anzi andando incontro alla m orte, come se quesU in confronto di quella fosse un bene somma* mente desiderabile. Gabinio adunque dopo aver vi^ti costoro, ed uccisi molti altri, ed anche Archelao (i), s'im padron immantinente di tutto P E g itto , e lo restitu a Tolomeo; e costui uccise la sua figliuola, e degli altri coloro , i quali erano i pi nobili ed i pi ricchi, mentre aveva bisogno di moltissimo danaro. Avendo in tal guisa Gabinio restituito T o lomeo nel regno, non diede per avviso a Roma per mezzo di lettere di quanto avea fatto , per non esser egli medesimo l'accusatore delle sue proprie iniquit. Non pot per altro celarsi una cosa s gran de , mentre anzi il popolo quanto prima la seppe ; e siccome anche i S ii j si lagnavano moltissimo di Gabinio per parecchj tltri m otivi, ma specialmente perch a causa della sua assenza erano stati gran demente infestati dai corsari ; e siccome altres gl
(i) Ptrch*ragli andato contro con lotto il popolo, come si ri leva da Valerio Masimo, Uh. 9 , cap, 1 , extern, fi.

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appaltatori delle G abelle , esseudo stati dai detti corsari impediti di esigerle, restavano debitori di Rom a molto alla repubblica, i Romani adirati decretarono, 699 che sopra tal fatto giudicar si dovesse , pronti es< sendo a condannar Gabinio ; poich d'altronde gli istigava grandemente anche Ciceione, e li consigliava a far s , che si leggesser di nuovo gli oracoli sibil lini ; sperando esso , che vi si sarebbe trovata ia iscritto la pena contro chi avesse contravvenuto ai medesimi. Esercitavano per anche il consolato Pom peo e C rasso, l uno dei quali per procurarsi ua a ju to , r altro per far cosa grata al collega ( mentre anche aveva ricevuti i danari mandati da Gabinio ) difese apertamente lo stesso Gabinio , n pei-mise , che si facesse alcun decreto , rinfacciando amiche fralle altre cose l'esilio a Cicerone. Ma dopo che costoro uscirono di caric a , ed in lor luogo succe dettero L. Domizio ed Appio Claudio , furono detti jo o nuovamente da molti i proprj p a re ri, che per la maggior parte erano contrarj a Gabinio. In fatti e Dom izio, perch era nemico di Pompeo pel contra sto avuto con lui nel chiedere il consolato, c per essere entralo in carica a suo dispetto ] ed Appio , quantunque parente di Pom peo, contuttoci siccome veniva spinto dal desiderio di guadagnarsi la plebe , e sperava, che se di presente suscitate avesse delle turbolenze , avrebbe in seguito ricevuto del danaro da Gabinio , macchinavano ambedue insieme tutte le cose contro di esso Gabinio , il quale rimase grave mente oppresso anche da q u e sto , c io , dal non

S9 8
^Kui aver accolto il legalo , cbe da Crasso eragU stato Pi I xow4 inviato per successore j mentre anzi area ritenuta la ^00 carica , come se a vita gli fosse stata concessa. Sti m bene adunque il Senato , che si rileggessero gli oracoli sibillini, quantunque a ci si opponesse Pompeo. In questo mezzo il Tevere ( o ci fosse a motivo delle dirotte pioggie cadute dal cielo fuori di Roma , ovvero da un impetuoso vento di mare , che al letto fiume impedisse il passaggio , o piut tosto, siccome fu generalmente creduto, s fatta cosa accadesse per opra di un qualche Dio ) trabocc improvvisamente in m aniera, che tutti i luoghi piani della citt si riempirono d acqua stagnante, e ne furono allagati anche molti altri, eh'erano pi alti j e quindi le rase , siccome fitte di mattoni , resta rono am m ollate, e ruinarouo , ed inoltre ne rima sero auiicgali tutti i giumenti -, e gli uomini simil mente , che non eransi salvati a tempo sopra le alture , rimasero m o r t i , parte colti nelle proprie abi tazioni , e parte nelle straile ; e le case che in piedi erano restate , guaste poscia a forza della detta inon dazione , che dur per pi giorni, a moltissime p er sone , o su b ito , o dopo alcun tem p o , recarono danno. Da si fatta calamit afflitti i R om ani, e te mendo di peggio, mentre per essersi restituito T o lomeo nel re g n o , credevano, che gli Dei fossero sdegnati contro di loro medesimi, si affrettarono a condannare a morte Gabinio , tuttoch lontano, spe rando , che a minori mali sarebbero stati soggetti , se quanto prima lo avesscr fatto perire. quautua-

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que nulla u tal punto si ritrovasse nell oracolo sibillino , contultoci in s fatta cosa persisterono con tanto intenso c alo re, che i magistrati ed il popolo 700 coll impulso , e coll autorit del Senato decretarono, che dar si dovesse a Gabinio il pi acerbo , ed il pi fiero supplizio. Ma in questo mentre giunsero in Roma i danari mandati innanzi dal dello Gabi nio , i quali fecero s , che il medesimo n in tempo ch fu lontano , n quando si ritrov presente , per tal motivo alcun danno soffrisse. Egli a dir vero era agitato a segno dai rimorsi delle sue pessime azioni, che venne ben tardi in Ita lia , ed entr in citt in tempo di notte , e per molti giorni non ardi uscir di casa , e comparire in pubblico. Eranvi contro di lui molte accuse, e non pochi attori ; e prima di lutto si tenne ragione del ritorno di Tolomeo , sic come questo era il pi grave delitto ; e quasi tutto il popolo si port in folla al tribunale , e pi volte gli venne in pensiero di far a bi-ani Gabinio , tanto pi che Pompeo non si trovava presente , e Cicerone accusava colui con tutta la forza del suo ragionare. Quantunque per fossero in tal guisa disposti gli animi loro contro il dello G abinio, fu ci nono* stante assoluto 5 mentr esso , come colui che doveva esser giudicato di tanti d e litti, aveva regalata una immensa quantit di danaro , ed i compagni di Pom p e o e di Cesare pronlissimamente lo patrocinarono , dicendo , che dalla Sibilla veniva indicato un altro tem po ed un altro re : e lauto pi facevano ogni possibile sforzo, perch Beir oracolo della Sibilla

4oo

non v era aTriina pena imposta a simile aeimie. Poco ailaiique t o h i i c , che il popolo non uccidesse gli ^oo stessi giudici , i quali essendosi sottratti , il detto po|)olo allora postosi ad esaminare gli altri delitti di colui , fece s i , che a cagion dei medesimi pas* sasse per reo : imperocch coloro , ai quali era toc cato in sorte di stradare un simil giudizio , per ti more del p o p o lo , e perch non avevano ricevuto alcun regalo da Gabinio ( mentr egli citato a compa rire per pi lievi motivi non faceva pi alcun dispen dio , tenendo per certo di doVbr trionfare anche iu questa occasione ) lo condannarono come colpevole , quantunque Pompeo fosse poco lontano , e Cicerone parlasse in favor di Gabinio (i). In fatti Pom peo che era uscito di citt per disbrigar gli affari appar tenenti airannona (giacch crasi guasto moltissimo grano per il trabocco del Tevere ) e che in allora per r Italia aggiravasi, si affrett a fine dintervenire al detto giudizio prima della promulgazione della sentenza ; ma troppo lardi essendo egli giunto , n o a si part dai sobboi'ghi, se prima non venne ultimato. E di pi essendosi radunato il popolo fuor del Po* merio , mentre non era lecito^ a Pompeo di venire in citt , quando esercitava per anche il com ando proconsolare (2) , disse egli molte cose in favor d i
(i) Pixk Cicero pr Gahinlo, el P, p'linio , inlmieittimt ante hominibus, el in ijuos oralionet eliam acripseraf, Q u ia til. tib. 1 1 , cap. 1 . (3 ) Traune ai magistrati di c i tt , non era lecito a veruno d i Ilare in Roma col coaiando ; per la qual cosa anche q u elli, d ie

4oi
Gabinio ^ e recit altres le lettere mandategli da Cesare intorno allo scampo di Gabioio j e supplic Rom i giudici, e non solo distolse Cicerone dall' accusar ^oo G abinio, ma lo indusse perCuo a difender la causa del medesimo ; e quindi pi che mai s'accrebbe a Cicerone il n o m e , e la taccia di disertore {i). Ma tutte queste cose non giovarono punto G abinio, il quale in a llo ra , siccome ho detto di sopra fu condannato all' esilio ; e Cesare poscia dopo alena tempo lo fece ritornare. Circa i medesimi tempi la moglie di Pompeo (a) sgravatasi di una ilgliuolina mor \ ed alcu n i, o fossero indotti ad eseguir ci< dagli amici di Pompeo e di C esare, o perch essi medesimi volevano fare a questi una cosa grata ed a ccetta, la presero appena fu compiuto nel foro r onore del funebre elogio (3) , e nel campo Marzo la seppellirono (4) ; quantunque vi si opponesse Do
dovevADo anelare io trionf , bisognava che reitauero fuor -del po> merio perfiuoataatoch in virl delia legga curiata non ti folte dato ai mcJcsimi il comaodo per quel giorno , nel quale dovevano enirac trionfanti : e cib vien cooferinalo pi tolto dal notlro latorico. Si riscontri anche Livio , Uh. 4$ , cap. 55 ( i) Vegga.si il libio xxxvi. (a) Ciot Giulia figliuola di C esare, della quale Lucano, Uh vcrs 5i3 , cosi dice : Alone tua discussa fides , hellumque movere Prrmistum est ducihus . . (3) AT*rano in costume i Romani di lodar dai Aottri ancba la donne nobili, conte dichiarano gl'interpreti ad Velon. Calar,
cap. 6 .

(4) Jutia Ccesaris fiUa , Ponipeji uxor decessit, honosque et a popu.'o habitus H , ut in canipo Martio sepeliretur ; Liv. EpUom*
V ieK , tomo I. Mt

'4 o
mizio ( i) , e fralle altre cose dicesse , che non era lecito di seppellirla in luogo sacro senza uno spe700 cile decreto. Similmente in quel tempo C. Pontino fece il trionfo per aver vinti i Galli (2), di fare il quale non avendone avuta (ino a quel punto la fa colt da alcuno, esso era rimasto fuor del Pomerio : e neppur allora ottenuta l avrebbe , se Servio Galba, il quale era stato suo compagno in quella milizia , cd in allora era pretore , non avesse sul far dellau rora raccolti dei suffragi da alcuni, quantunque per legge fosse proibito , che niun trattato si facesse col popolo innanzi l ora prima j per lo che alquanti tribuni della p le b e , i quali non erano intervenuti all' adunanza, gli diedero molta briga in tempo della stessa pompa trionfale, dimodoch si giunse perGno alle uccisioni. v
Uh. 1 0 6 . S intenda, che farono sepoUi f;Ii OM e le ceneri , dopo Meni abbruciato il corpo. Plutarco poi , in Pumpejn , crede , clia foue fktlo nn u l onore a Giulia a riguardo di Cesare. ( 1 ) Delle ioimiciiie di Domiiio con Pompeo se n parlato di opra. <a) VeggM al libto z x s t ii .

4o3
DELLA

STORIA

ROMANA
ni

D I O N E

L I B R O

XL. (0

a p it o l o

r im o

Cesare va nuovamente in Brettagna, e ritornato dalla medesima guerreg^a per la seconda volta boma contro, i Galli. ^oo

^X^ALi cose si fecero in Roma settecento anni dopo


(i) Comprende qoetto libro il rimiDente deli anno del consolato d i Domiiio e di Appio C laadio; ed io olire anni qaaturo, nei quali T furono i segaenli oonioli. ^ n n i prima A n. di R. d i G . C. 5 }. 701. Gn- Domitio Calvino F . d i M . , a
Valerio M e u a la .

13.

7oa.

G bi Pompeo F. di G n. per la te r u

44
la fondazione della medesima. Cesare poi nella GalIla, essendo consoli gli stessi L. Domizio ed Appio 700 Claudio , fece , olire all' altro marziale apparecchio , costruir delle navi di una forma di mezzo t r a le ve loci romane e quelle da carico di cotesti paesi j af finch fossero agilissime , d al tempo stesso regger potessero alla violenza dei fluiti , e rimaste air a sciatto non sofibisseFO danno veruno (1). Allestite queste, appena venne il tempo proprio per navigare, pass di nuovo in Brettagna, sotto pretesto, che i Britanni non gli aveano mandati tutti gli ostaggi promessi ( mentre coloro , attesoch Cesare lasciata la cosa in sospeso se n' era partito , non pensavano mai , che avesse voluto per la seconda volta tentar contro di essi la sorte della guerra ) ma in sostanza perch ardeva di ^ran desiderio 4' impadronirsi di queir isola ; e senza dubbio , quando mancato gli fosse il pretesto dei nqn mandali ostaggj , un' altra scusa avrebb egli trovata. Approd adunque con la flotta nel medsimo luogo, dove la primci voUa aveva approdato , senza che niuno ardisse di opporglisi , si per la quantit delle sue navi, si perch in molti luoghi erasi tenuto alla spiaggia^ e.subitamente Gsa le stazioni delle medesime navi. 1 Barbari per tali
T olu , e Cecilio Melcllo S c ipiune F . di Nasica. Serwio Sulpizio Rufo F. di Q . , e M. Claudro Marceli^ F . di M . L . Emilio Paolo F . di M. , e C .
Claudio Marcello.

5 l. So.

yo3.
704.

( 1 ) Si cKO)ilri Giolio Cesare, dp B e lh GaUieo, lib. 5, e, - le a .

4o5

tDOtivi non arenclo potuto im pedire, che alla lor volta egli nOD navigasse , e pi che dianzi per se ^stssi temendo mentre aveva condotto Cesare un 700 esercito pi grosso del p rim o , trasportarono le lor cose pi preziose nei luoghi posti all' in torno , pieni di una grandissima quantit di boscaglie e di mac chic. Avendo costoro assicurati tai luoghi , col ta gliarvi attorno attorno gli alberi , e coll' ammontar vene degli altri con ordine, di modo che venivano a stare come in una trin c ea , molestarono i foraggieri dei Romani j ed una volta essendo stati vinti in un luogo aperto, trassero col quelli che gl'inseguivano mentre s erano dati alla fuga , ed anch' essi a vi cenda uccisero moltissimi Romani. Dopo queste cose avendo la furia di una tempesta maltrattato di nuovo la flotta romana , i Britanni, chiamati i loro alleati e conferito il supremo comando a Gassivellano, che era il primo fra i piccoli re di quell isola , si avan zarono fino alla stessa stazione delle nostre navi. I Romani portatisi ad incontrarli furono, posti in di sordine dal primo impeto dei lo r cai'ri (1): ma poscia fatto uno spazio tra le file , e lasciati trapassare i detti c a rri, lanciarono trasversalmente dei dardi so pra il nemico , che oltrepassava, e cosi rimisero in buono stato la pugna. Dopo s itto combattimento gli uni e gli altri si fermarono nel medesimo luogo: ma in un' altra zuifa i B arb ari, quantunque fossero' rimasti superiori della fanteria dei Romani , contut(1) Di qaesti carri, sopr i quali coinbUeTaBo i Brtiimi, tc ' k parlato al libro s u is .

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toci traTftgiiati dalla eavalleria si ripararono presso o., Q fiume Tamesi (i) e chiusone il passo con detravi, alcuni dei quali comparivano sopr' acqua , ed altri stavano piantati sotto ^ qui si fermarono. Ma dopo che C esare, portatosi con grand impeto contro co storo , gli obblig a lasciar la fortificazione dei detti pali , e quindi incalzatili discacciolii anche dai loro accampamenti, che ben muniti essi avevano, e gli altri nostri da un'altra parte sconfissero interamente quei di loro che attaccate avevano le navi in ista> 2one j allora finalmente furono colpiti dallo . spa> Vento, e dati degli ostaggi e fissato un tributo, che pagar dovessero o ^ anno ai Romani , cos riceverono la pace. Fatte queste cose Cesare se ne parti assolutamente dall iso la , non lasciandovi parte al cuna del suo esercito; imperocch ben pensava, che la medesima sarebbe stata in pericolo , dovendo svernare in terra altrui ; n gli pareva ottimo con siglio lo star pi tempo lontano dalla Gallia. Stim bene pertanto d contentarsi delle cose p rese n ti, af^ finch col bramarne di maggiori, non perdesse anche queste. Il fatto poi dimostr che Cesare fece otti mamente i suoi conti \ conciossiach , dopo eh esso risolv di portarsi in Ita lia , per passarvi l inverno , i Galli , quantunque separatamente guardati fossero da copiose guarnigioni contuttoci eransi levati a tumulto , ed alcuni alla scoperta s'erano ribellati ; il che se accaduto fosse nell inverno, in tempo che
( i ) Adesso si chiam a il fiume Tamigi.

4 o7 eMO stava in B rettagna, sicuramente tutta la Calila si sarebbe sollevata. Comiaci la guerra dagli Eburoni (i), i quali avevano per lor duce mbiorige. Il 700 motivo di s fatto movimento dicevasi essere , che costoro chiamavansi aggravati dalla presenza dei Ro> m a n i, ai quali presiedevano i legati Sabino e L. Cotta ma in realt li tenevano in dispregio , come inabili a difendersi, e si davano a credere, che Ge sare non cos presto portate avrebbe le armi contro di Idro. Assalirono adunque aU'impensata i Romani, confidandosi al primo impeto di restar padroni del campo ; il che non essendo ai medesimi riuscito ^ essi allora alla frode si volsero. In fotti mbiorige , lopo aver posti degli agnati nei luoghi i pi op ) o rtu n i, ottenuta udienza per mezzo di un cadu a t o r e , se n and ai Romani , dicendo , che sue mal grado aveva egli contro di loro fatta la guerra'; che quanto a s erasi cangiato d avviso j ma per gli esortava a guardarsi dagli a ltr i, mentre costoro a k i non volevano obbedire , e destinato aveano di attaccarli nella vegnente notte'; e consigliava loro di lasciir E buronia, nella quale con proprio lor rischio sariato rim asti, e di andare colla maggior prontezza possibile ad unirsi ai suoi proprj .soldati, i quali stavan nei quartieri d inverno non molto quindi lontani. Sedotti da tal discorso i R om ani, e tanto pi perch essendo stato mbiorige ricolmo di sommi benefici da Cesare , si pensavano che render gli v&
(i) AI preiente sooo i Liegtti, popoli nel Brabsntt.,

4 o8

m lesse un simile contraccambio , raccolsero in fretta tutti i loro bagagli, e se ne andarono sui far della 700 sera j e caduti nell imboscata ne riportarono una grande strage , essendo stato ucciso subitamente Ck>tta con molti altri. mbiorige poi chiam a se Sabino , quasich volesse salvarlo ; imperocch n esso erasi trovato presente a s fatta ribalderia , e pareva a S abino, che il medesimo meritasse ancora d 'e sse r creduto ^ ma colui fatto arrestare il delta Sabino , e spogliatolo delle armi e del suo vesti mento , lo trafisse con d a rd i , dicendogli fralle altre queste parole : essendo voi cos piccioli, in qual modo comandar volete a n o i, che siamo s grandi f Gli altri sottrattisi da questa strage ritornarono negl' accampamenti , d ond' erano usciti ; e qoivi essendo attaccati dai Barbari , e non avendo maniera n u difendersi ^ n di fuggire , si diedero a vicenda c'a per se stessi la morte. Dopo queste c o s e , anche jli altri popoli confinanti si ribellarono , e specialmeite i Nervj , quantunque fra loro avesse gli accan^amenti inverno Q. Cicerone, fratello di M. Qcerone , e legato di Cesare. mbiorige , unito eie si fu con costoro , venne a giornata con Crceroce , e fu uguale r esito, della pugna d ambe le p a rli , se non che furono presi vivi alcuni Romani. Na. ten tando egli di tirare anche costui nell inganno , n riuscendogli, lo assedi ; e cinse subitamente i ili lui alloggiamenti <li una fossa ^ al che fare lo ajut la moltitudine della g e n te , e la pratica eh erasi acquistata col militar fragli alleati dei Romani ;

4^9
alcnae cose le aveva, ancbe apprese particolarmente da ciascon prigioniero. Si fecero altres alquante scaramuccie, siccome in *l fatti casi suole avvenire; 700 e quantunque i Barbari cadessero estinti in molta Biaggior quantit , m entr' erano superiori di num ero, contuttoci^ essi per essere in tanta abbondanza n e p p ur si accorgevano della perdita che facevano d al cuni dei loro ; e per lo contrario i Romani ^ il nu mero dei quali gi da prima non e r a . stato tanto grande , ed in allora s' andava di giorno in giorno scemando , venivano facilmente tenuti a freno colr assedio. Si correva adunque percolo , cbe non andassero i Romani in poter dei nemici, perch non potevano curarsi le loro ferite per mancanza del bi< sognevole , n avevano vettovaglie a sufficienza per ostenere nn tale assedio da essi non previsto , e perch non si portava ad ajutarli alcuno dei loro , quantunque per la pi parte non molto lungi di l stassero negli alloggiamenti dinverno. In fatti avendo i Barbari chiusi a tempo i passi delle strade , arre stavano tutti quelli che da coloro mandavansi fuor, e su i lor occhj li mettevano a morte. Ma un tal Nervio (i), che per averne ricevuto beneficio portava aPetto ai R om ani, e che in' allora era assediato ia< ieme con C icerone, gli present un certo servo da spedirsi per messaggio , il quale a motivo che aveva il vestim ento, ed il linguaggio dello stesso p a e se , pot con facilit deludere i nemici a segna
(i) Cas(oS biim avaii VorticoM Cai-,

S , cap. 49.

io

' * " di star fra loro come Gallo* e quindi partirsene. In tal modo Cesare , che non aveva per anche toccata 700 lIta lia , seppe la cosa per viaggio, e voltosi indie tro , e presi dei soldati dai quartieri cl inverno , pei quali passava, se q' and col con somma prestezza. Ma in questo mezzo tem endo, che Cicerone prim a del suo arrivo, per non avere speranza di soccorso^ o nou fosse ridotto alP estremo j o non venisse a capitolazione coU' inimico , spedi avanti un soldato a cavallo : imperocch nOn giudicava di doversi fi dare del servo del detto Nervio ( quantunque avesse realmente scorta la di lui buona intenzione ) acci essO per compassione forse di quelli della sua na zione non si lasciasse indurre a recare un grave danno ai Romani. Mand adunque un soldato a ca vallo di quei degli alleati , il quale sapesse il lin guaggio dei nemici, e ne avesse simile il vestimento^ e non lo iucombens di alcuna ambasciata a voce , acci egli o da per se stesso , o sforzato m nifestar non potesse cosa veruna ; ma gli consegn soltanto intorno a quanto voleva delle lettere scritte in gi-eco da recapitarsi a Cicerone , affinch se fossero in te rcette dai B arbari, contuttoci le medesime non sve lassero il suo progetto a costoro, che non sapevano il greco. Ce&are poi anche nel resto era solito , se voleva comunicare a taluno per via di carteggio u a qualche segreto , di metter sempre la lettera dell al fabeto , che secondo l ordine pra la' q u a rta , in v e c e . di quella , che vi si doveva porre (i) , affinch i
(i) SvMonio, in Caetare, a. 5 ^ oo dice: S i qua occulti* ptrfera n d a

4>
no! crtti da nessono potesiero intendersi. Quel foldato a cavallo adunque giunse l dov' erano gli accampamenti dei Romani ; e non potendo farsi piili 700 dappresso ai m edesim i, leg la lettera a un d a rd o , quasich avesse voluto lanciar questo contro i ne m ic i, ed a bella posta lo piant in una torre (i). Fatto in tal guisa consapevole Cicerone della venata di Cesare , riprese coraggio y e con maggiore ilarit stette costante. Non seppro i Barbari per un pezzo, che Cesare veniva a recare ajuto ai suoi , mentre esso viaggiava di notte ; e di giorno fermavasi ia Oscurissimi luoghi , per giunger sopra a i . nennci, quando essi meno se laspettavano. Ma finalmente i Barbari scoprirono una si fatta c o s a , oongettnran dola dalla gioja grnde degli assediati ; ed avendo mandati fuora degli esploratori, seppero, che Cesare gi era vicino , e quindi determinarono di portarn contro di l u i , onde attaccarlo all' impensata. Cesare per accortosi a tempo di questo, pass la notte in quel luogo , nel qua^e allora trovavsi ; e il di ve* gnente di buonissimora fiss gli alloggiamenti in un alto sito forte per natura , ristrettili quanto pi pot in picciolo spazio, acci si credesse eh egli aveva poca gente in sua compagnia , e che era
tr a m , per notai tcrip t , tdett i!c slm cto lUurarwn ordine , ut mtUum verium e(fiei poiiet : q ua quii investigare , et persegui veilet , quartam tlementorrnm lituram , id est b . pr a . I perindm retiquas commiilel. Si riscontri anche AdIo Gelliu, Ub. 1 7 , cap. 9 . ( 1) Ginlio C esare, de Bello Gallico, Hi. 4 8 , d ic e , che non gi bella posta , ma per caso rrsi il detto dardo conficcalo in una U rr j a ck* par due giorai siano si ancone del nudcaiiB*.

4 i2

stanco del Taggio , e che temeva l nlpeto'dei ns# mici, per tirarli in tal guisa sul detto luogo elevato, 700 dov' egli area posto il suo campo , e cos avvenqe } imperocch i Galli fatto picciol conto di Cesare per le anzideIte ragioni, gli si avventarono contro su per la salita, e riceverono ua tale sconfitta, che per l'avvenire pensarono di non doversi ribellare pi mai. In tal guisa pertanto furono- debellati Am lorige e tutti gli altri 3 ma non per si ottenne ^ che restassero affezionati alla romana repubblica. D i fatti i T re v iri, mentrech Cesare chiamati a se gli autori della ribellione destinava a ciascun di loro il supplizio j temerono di non dover pagare anch' essi le pene ; e persuasi da Induziomaro intrapresero contro i Romani nuovamente la guerra; e tirate p er forza ad esser loro compagne nella ribellione anche alcune altre citt , che aveano Io stesso timore y si portarono contro Tito Labieno, che allora stava nel paese dei Remi * , e furono tagliati a pezzi dai Ro mani , i quali fecero una improvvisa sortita. Cesare, dopo aver eseguite queste imprese nella Gallia, quivi si trattenne nei quartieri d'inverno, onde poter me glio acquetare tutte le cose. Capitolo
I

II.

Crasso si porta a fa r la guerra. cotO to i Part.


Crasso p o i, essendo anch esso bramoso di far qualche csa , mentre sperava, che ritratta ne avrebbe

4*3
gloria nsieive e guadagno, visto ch'ebbe non esservi nella Siria da eseguire impresa veruna ( imperocch ed i Sirj stavansi quieti, e coloro che prima ad essi 700 aveano mossa la guerra, attesoch aveva Crasso il comando, non facevano alcun movimento) intraprese la spedizione contro i P a r t i , senza che adducesse alcuna ragione di fare ad essi la guerra , e senza ehe ne avesse avuta commissione. Aveva egli inteso dire , che i Parti erano doviziosissimi ; e sperava, che sarebbe stata agevol cosa il restar superiore di Orode , fatto re di fresco. Allora adunque passato il fiume Eufrate , percorse , dicendovi delle prede y e dandole il guasto , una gran parte della Mesopotamia ; perch un tal passaggio era succeduto oltre P espettazione dei B arbari, e perci non avevano posto col alcun ben fermo presidio. Ma qn certo Talimeno ilace , in allra governatore regio di quel paese, con pochi soldati a cavallo venuto alle mani presso Ionia ( cosi chiamasi un certo castello ) fu vinto , e ricevuta una ferita si rifugg dal suo r e , per renderlo egli stesso consapevole di questa spe* dizione di Crasso. In questo frattempo il medesimo Crasso ricev prestamente sotto la sua fede castelli e c itt , e specialmente quelle eh' erano greche , e fra queste Niccforio (i) ; e di fatti parecchj coloni dei Macedoni e di altri G r ec i , i quali una volta aveano avuti per compagni nelle guerre gli stessi Macedoni , soffrendo di mal animo le violenze dei
(i) Alcuni ToglioDo , che adesto i chiami NaMoancaiit cd altri Ne&ua<

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0 riponendo molta speranza nei Romani amanti dei G re c i, vennero senza difficolt .dalla lor parte. 700 I soli cittadini di Zenodozio ( i ) , invitati avendo al cuni soldati romani sotto sembiante di volersi met> tere sotto la loro fede , dopo averli ricevuti dentro le m ura, coltili alF improvviso li tagliarono a pezzi; e ci fu cagione che la lor citt fosse distrutta. l V eccezione di questa sola , non soflrl Crasso e non fece veruna ostilit. Egli certamente avrebbe potuto prendere tutti i castelli, che al di qua del Tigri aono situati ^ se per es|>ugnare i medesimi avesse posto ih uso un im p eto , ed un terrore uguale a quello dei Barbari; e se in o ltre , piantati i quartieri d'inverno in quella regione, avesse con esatta guar* dia tenute in dovere tutte le cose : ma in allora espugnati egli quei luoghi, che al primo attacca poteva p ren d ere , non fece conto veruno n degli a ltr i, e neppure di quegli stessi, 'che aveva presi ; e mentre gli rincresceva di trattenersi nella Mesopotamia ^ mentre desiderava di godersi in Siria della quiete e dell ozio , diede agio ai Parti di pre* pararsi alla g u e rra , e di opprimere i soldati romani lasciati nella detta Mesopotamia. E questo fu il principio della guerra dei Romani contro i Parti. Abitano costoro di l dal fiume Tigri in rocche e d in castelli, ed anche dentro a varie c itt , e dentro a Gtesifonte (3), che la loro reggia. La costoro razza fu tra i Barbali i pi antichi, e portarono il
| i ) CiU che pi non e*t.

(3) Al preseaM fe duntui..

4*5
nome d Parti anche sotto il regno persiano; ma in quel tempo abitavano essi una ben piccola parte della regione persiana, n esteso avevano l impero 700 al di l dei proprj confini. Rovesciato poi il regno persiano , ed essendo floride le cose dei Macedoni , siccome i successori di Alessandro discordi fra loro toglievano agli altri dei paesi , ed ognuno per se si stabiliva dei re g n i, quindi fii , che allora per la prima volta i Parti eziandio per opera di un certo Arsace cominciarono ad esser distinti ; e i loro se guenti re ebbero il cognome di Arsacidi. Facendo uso poscia della propizia fortuna , occuparono le regioni situate all' intorno , e della Mesopotamia ne formarono un governo di lor proprio diritto ] e fi* nalmente s innalzarono a tanta gloria e possanza, che in quel tempo guerreggiarono contro i R om ani, e fino al presente giorno lor pain si stimano. Sono a dir vero molto potenti in guerra; ci non ostante per acquistati si sono un grandissimo nome., non perch abbiano essi ritolta qualche cosa ai R om ani, mentre anzi hanno fatto dlie perdite intorno ai proprj confini ; ma s bene perch non sono stati ridotti giammai in servit , e fino a qui venuti con noi a giornata in varie guerre , per solito sono ri masti superiori. Intorno poi a questo popolo ed alla sua regione , ed intorno altresi al suo genere , e metodo di vivere molti hanno scritto ; n io penso di parlarne. Mi conviene per , perch ci fa alr uopo , discorrere in questo piccolo libro della costoro a rm atu ra, e della m anieraj con cui fanno

4^6
la g u e rra , ed ecco come ata la cosa. Non soglioaf far uso di scudo ; ma combattono a cavallo armati 700 di dardi e di' aste , e il pi delle volle ancbe di corazza. I soldati a piedi fra loro sono pochissimi e d inferor condizione ; ma per anche questi sono saettatori, al qual genere di esercizio si avvezzano da ragazzi , perch la loro regione, ed al tempo stesso laria della medesima contribuiscono a far s i, eh essi si servano di cavalli e di dardi. Di fatti la regione per la piii parte piana , ed molto a proposito s per mantenere i cavalli , come per ca valcare. Conducono pertanto alle guerre interi ar menti di cavalli, onde potere, mutando di tempo in tempo i detti cavalli, cavalcar subitamente da un luogo lontano, e di nuovo colla stessa prontezza ritornare indietro alia medesima distanza. L aria presso di loro asciuttissima, e non contiene la menoma umidit * , per lo che si rende sommamente rapido il lanciai* delle loro saette , se per eccet tuerai il cuor deir inverno j e quindi essi in quella stagione non vanno in alcun modo alla guerra. M a nelle altre parti dell' anno , o combattano essi nella lor propria terra , o in altra simile alla l o r o , a stento possono superarsi imperocch sono accostu mati a tollerare il pi fervido calore del sole. Hanno poi ritrovati molti rimedj contro la sete laddove siavi scarsezza di acqua, o diiUcolt di aver la m e desima (i) j e questo giova ad essi non poco a rin (1 ) Quali fostero questi rimedj non *i s a , n i pa rilevarsi dagK uiicfai aulgti. Aio medico greco, ti6. 1 1 tetrbiblot tecuiUat

4*7
tnzzar la forza di talano , che entrar volesse nei loro confini. Qualche volta fuori dei lor medesimi confini al di l deli Eufrate hanno avuto un certo 700 valore nelle battaglie e nelle scorrerie improvvise j ma per non sono valevoli a sostenere una vera e continua guerra se non che nel proprio paese : im perocch passando nelle altrui regioni , trovano una qualit di terreno e di aria totalmente diversa dalla loro , e non usano carri per trasportare i viveri e le bagaglie dei soldati. cos sta la cosa riguardo ai Parti. Entrato che fu Crasso nella Mesopotamia , siccome abbiamo d e tto , Orode sped a lui amba'* sciatori nella Siria , i quali gli chiedesser ragione, perch fosse penetrato in quel p a e se , e gli ricercas sero i motivi della guerra. Mand in oltre Surena con un esercito a ricuperar quelle c itt , le quali o erano ^ t e p re s e , o eransi ribellate j ed ei stesso intraprese la spedizione nelFArmenia, che una volta era stata di T ig ra n e , acci rtabaze figliuolo del medesimo Tigrane, che ivi in allora regnava, avendo da pensare al suo regno , non potesse mandare al cun soccorso ai Romani. Crasso poi rispos ad Orode , eh' egli avrebbe manifestati i m otivi, della guerra in Seleucia ( i ) , la quale ima citt della M esopotamia, popolata d Greci anche al tempo
dCsrisce alcuni roodicamcnti per logli er la sete ; ma quelli de' Parti serrir davevano non tol^ per gli uom ini, ma anrke pe cavalli , mentre Properxio dice; Quot sine aqua Parthui iniUiu curr^it eques-. Uh. 4 . Eltg. 3 , I/. 38. ( 1 ) Al pretente chiamati Mosol.
B jojie , toma I. 3-

i8

P i nostro. Allora uno dei Parti battendo coi diti della mano destra la palma della sinistra , gli disse , qui 700 prima nasceranno i p e li, che tu giunga in Seleucia.
C a p i t o l o

III.

Della morte d i Crasso.


yoi Io quell inverno, nel quale furono consoli Gn. Calvino e Valerio Messala , accaddero anche molti prodigi presso la stessa citt di Roma. Di fatti com parvero dei gufi (i) e dei l u p i , e si videro infie rire dei cani arrabbiati ; alcuni simulacri sudarono , ed altri furono tocchi dal fulmine ; e cosi i magi strati , parte a motivo dei contrasti , ma pi ancora a cagione degli auspicj , e dei detti segni, furono creati appena nel settimo mese. Del resto poi n o a 4 rendeva m anifesto, che mai significar volessero questi medesimi segni, perch v erano de tumulti e nella citt , e nella Gallia delle nuove sollevazioni j ed crasi attaccata la guerra coi P a r ti, ignorando i Bomani m edesim i, in qual modo ci fosse accaduto. A Crasso per altro mentre passava 1 ufrate presso Zeugma (2) ( tal nome ebbe questa citt , dopo la spedizione di Alessandro^ che ivi pass il detto fiu( i ) Ignavus Baho cUrwn tnortalibm amen- OiAd. Metamor. Uh. 5 , vrrs. 55o. Tristia miUe loeis Stf^ius ddit onaa Buhn-, Uh. l5 w . j g t. (a) Al presente dittrutl. Si ritconlri il Diiionario Geografico di M r. de la M attiaiere, ed il Cellario, Geegr. Ani. lib. 3 , a. l a .

4i9
Ine ) accaddero dei prodigj c b ia ri, e facili a spiegarsi. Havvi una specie di tabernacolo, nel quale sta collocata un'aquila d 'o ro ( i) ; e la medesima 701 s'inalbera in tutte le legioni romane arrolate per scelta n si mette fuori dei quartieri d 'in v e rn o , se prima non esce in campagna tutto 1' esercito. Porta quell'aquila un tal uomo sopra un'asta assai lunga, la quale termina in acuta p u n ta , onde possa pian tarsi in terra. Una di queste aquile adunque passar non volle 1' Eufrate insieme con Grasso , ma quasi ch fosse nata nella medesima te r r a , vi rest fissa fortemente , sino a che alla fine da molti circostanti oe fu svelta a forza , e quindi suo malgrado accom pagn i suoi (a). In oltre una gran b an d iera, del numero di q u e lle , che sono simili a v e le , e che sono scritte con caratteri xossi (3 ) per contrassegno dell' esercito , e del com andante, rovesciata dalla furia d 'u n vento impetuoso , dal ponte cadde nel fiume. Ma Grasso col tagliare le altre bandiere , le quali erano della medesima lunghezza, acci fossero pi corte j e per conseguenza si potesser meglio portare , aument il numero dei prodigj: imperocch
( 1 ) S i riseoDlri il P i t i i c o , in Aquila^ ed il Monfaucon, AntiqU. 3 , tat. 34 e teqq. (a) Si consulti Servio ad M ntid. Ut. g , ig . Carlo Andrea Dukero t ad Fiori, lib . a , cap. 6 , n. i4 Gaspare Genarcio , tib I , Electorum , cap. a , e Valerio M assim o, lib. t , cap. 6 ,

Expl. tom. 4>

noi. I I .
(3) lulom o a queste famose bandiere, sopra le quali a lettera d oro o rosse scrTevasi il nome del comandante supreme si consolti Servio ad ^n eid . lib. 8 , cap. i . Tristano tom.-3 , ed il Lttmbeci, tom. 3.

420

^rifj

passaggio del fiume si sparse intorno ai soldati una nebbia s grande, che essi urtandosi a vicenda 701 cadevano, n veder poteano la ten-a nemica, prima di porre il piede neUa medesima II passaggio adun que deir Eufrate , e la discesa del ponte si fece con molta difficolt. Dopo ci levossi un vento gagliardo, e caddero dei fulm ini, e si ruppe il ponte innanzi che passassero tutti : le quali cose essendo accadute in tal m o d o , che avriano potuto far conoscere a qualunque uomo anche il pi stu p id o , ed il p i ignorante , che ad essi venivano presagite disgrazie , n si concedeva loro il ritorno ; perci un timore , ed una mestizia grande occup gli animi dei soldati. E Crasso per consolarli, disse ai medesimi, non vogliate atterrirvi , o so ld ati, a motivo del ponte , che si r o tto , n prendete ci per augurio di si nistre vicende; mentre di certo vi confermo con mio giuramento , aver io stabilito di ricondurre le truppe per r Armenia. Dopo aver fatto con tali parole rina* Bcere il coraggio ne' s u o i, ad alta voce esclamando , fralle ^Itre cose soggiunse : State di buon animo , o soldati ; che niuno dei nostri ritorner di qui. Ma i soldati, inteso questo , si pensarono che ci conte nesse un cattivo augurio come tutte le altre cose , e quindi cominciarono ad avvilirsi ; di modo che pii non facevano conto veruno delle di lui esortazioni , il quale ne' suoi discorsi dispregiava i B arbari, e vantava la possanza romana e di pi distribuiva del danaro all* esercito , e gli prometteva dei prem j. !Nullameno per lo seguivano ; n alcuno gli si

421
opponeva o in p a ro le , o in fatti, sia cfie facessero ci per obbedire alla legge ( siccome sembrar poirebbe ) o veramente perch essendo oramai abbat> 701 tuli d 'a n im o , non potevano o deliberar, o eseguir cosa alcuna per lor propria salvezza : ed anzi anche in tutte qaante le altre c o se , quasich da una qual che deit fossero stati destinati al supplizio , soffri' rono aiSizione s d'anim o , come di corpo. La mas sima parte poi di tanta calamit la rec ai medesimi Augaro Osroeno (1). Costui essendo unito gi prima sotto Pompeo in alleanza coi Romani , allora stim migliore il partito dei Barbari j e lo stesso fece an che Alcaudonio a ra b o , che sempre era solito di congiuitgersi col pi potente. Siccome per quest'ul timo erasi afertamente ribellato dai Romani, quindi fu fcile il guardarsi da lui : ma Augaro , nel tempo stesso che favoriva il Parto , si 6nse amico di Crasso, e spendendo largamente del danaro per l u i , ne spi tutti i disegni, e li rifer ,al medesimo Parto. Colui similmente , se mai Crasso avesse presa una qualche vantaggiosa risoluzione . gliela dissuadeva ; e se poi era dannosa , lo confermava nella medesima : e fi nalmente fece questo. Avea stabilito Crasso di an dare in Seleucia , l dov' esso immaginavasi di poter giungere sicuramente col suo esercito , e coi viveri lungo r Eufrate , e al di l del medesimo ; per pas sar poscia con somma facilit alla citt di Ctesifonte
( i) Di O noene , regione della Mesopoiamia. Il Reiuoeccio per U ro , Ht- JiU. tom. 3 , d'opinioae ^che qaeto fciM il coffiome di Augaro.

42 2
dalla detta Seleacia , la qaale siccom abitata da noM A Greci egli sperava , che proBabilmente q di lui po^oi tere sarebbe venuta. Ma Augaro gli persuase di ri gettare una s fatta risoluzione, cbe richiesto avrebbe un tempo assai lu n g o , ed a portarsi piuttosto con tro Surena , il quale si trovava pi dappresso con pochissima gente. Stabilite queste c o s e , ed avendo provveduto a far si , che Crasso perisse, e che Snr e n a , col quale spesso abboccavasi sotto pretesto di andare a far delle scoperte , potesse rimailer supe riore j condusse fuori i R om ani, che di nulla per s stessi temevano, e che anzi speravano d incam minarsi ad una sicurissima vittoria j e nello stesso combattimento gli assal egli medesimo unito ai ne mici. Tutta r azione poi fu eseguita nei modo se guente. I P a r ti, nascosta la pi gran parte delle loro truppe, l dove il paese era montuoso, e pieno di alberi, andarono incontro ai Romani. Crasso (i) figliuolo del comandante , che dalla Gallia era ve nuto a ritrovare il proprio suo padre , avendo os servati c oloro, n facendone verun c o n to , quasi fossero stati s o li, si mosse incontro ai medesimi con la cavalleria j e mentre a bella posta si diedero a fuggire , e sso , quasich gi avesse vinto , grinsegu ; ma per p o c o , giacch essendosi discostato dalla schicra de suoi, fu poscia messo in mezzo dagl' inimici j e cadde estinto. Con tutto questo la fknteria rom ana non si diede alla fuga , ed anzi per far le vendette
( i ) Era qaetti Publio Craaso figlinolo di M . Crasso, JiU. Caa*.

de Bel. Gal, Plutarch. et Oppiati.

42S
di Crasso si mise a pugnar fieramente coi Parti -, ma far non pot cosa a lc u n a , che degna fosse del di lei nome , si per la moltitudine dei nem ici, s per 701 la specie del combattimento , e singolarmeate perch fu sorpresa dagli aguati di ugaro. E di fatti se mai essa risolveva di formare una testuggine ( i ) , onde p o te re , ristrette insieme le file , mettersi al coperto dai dardi dei nem ici , quei P a r ti , eh' erano armati di aste scagliandosi con grandissimo impeto , o ro vesciavano la detta fantera ro m a n a , o almeno la sbaragliavano ; e se poi la medesima per evitare una tal furia si fosse disgiunta , allora restava esposta alle saette dei Parti. In tal guisa adunque molti sol dati perivano rimossi di l dall' impeto di co lo ro , eh' erano armati di a s ta , ed altri posti in mezzo dalla cavalleria venivano uccisi, ed altri con pertiche ferrate restavano atteiT ati, o veramente trafitti da parte a parie erano strascinati. In oltre le saette spessissime , che da ogni lato al tempo stesso cade vano , o mettevano a terra la maggior parte di essi mortalmente fe riti, o li rendevano inutili a combat tere. Finalmente davano a tutti gran briga i dardi che negli occhj volavano , e che dalle ai-mature pe netravano nelle m a n i, ed in tutto il corpo ; e da questi non potevano ormai pi guardarsi i Rom ani, i quali senza difesa rimanevano esposti a continui colpi j imperocch mentre taluno si riparava da una s a e tta . o estraeva quella , da cui era stato trafitto j
( 1 ) Maccbioa militare , o scudo fatto a forma di teitaggine , com i i soUlatj si coprivano.

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riceveva in pi luoghi ferite sopra ferite. Non s&pe* vano adunque i Komani se fosse meglio muoversi 701 dal lor p o sto , o piuttosto rimanervi a pi ferm o, mentre l una e l altra cosa non restava per essi abbastanza sicura , ma era unita col loro esterminio, non venendo concessa la prima a motivo dei nemici j e la seconda facendo s i , che alle ferite pi fosser soggetti. Da tali disastri pertanto venivano travagliati i R om ani, mentrech combattevano per anche sola mente contro i nemici sc o p erti, non avendo Augaro dato ad essi subito l'assalto. Ma dopo che ancora questi gli attacc, allora gli Osroeni ferirono da tergo i Romani che tenevano volle le spalle prive di difese , e fecero s , che pi facilmente potessero es sere uccisi dai Parti. In fatti essendo stati costretti i Romani a rivolger le file contro I detti O sro e n i, avevano da tergo i Parti j e voltatisi per la seconda volta contro i P a r ti, poscia contro gli a ltr i, e quindi opponendosi di nuovo ai prim i, con questo frequente rivolgersi da una parte e dall' altra reca rono ai suoi una grandissima confusione : e siccome si trovavano in necessit di voltar sempre la faccia da quella parte , dalla quale venivano le f e rite , quindi ne avvenne , che molti incontratisi nei fe n dei lor pi'oprj com pagni, si ammazzarono lun l 'a l tro a vicenda. Finalmente furono chiusi in cos p ic colo spazio dal nem ico, che da ogni lato faceva delle so rtite , che ciascuno di essi era costretto a riparare la parte scoperta del proprio corpo s o tto lo scudo di colui il quale gli stava vicino , di m o -

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doch neppnr poteva pi muoversi. E nemmeno star potendo co pi fermi in terra , attesa la quantit dei cadaveri, quindi cadevano : ed in oltre il caldo 701 e la sete ( mentre si pugnava nel cuor della state e sul mezzogiorno ) e la polvere , che dai Barbari col cavalcare all' intorno in gran copia si alzava y tormentava gli altri in m aniera, che molti rifiniti da s fatte cose , senz esser feriti , perivano. E senza dubbio tutti fino ad uno arebbero stati allora arar* m azzati, se le aste dei Barbari in parte non si fos sero spuntate , ed in parte spezzate , e se i nervi degli archi dal continuo dardeggiare non si fossero r o t t i , e se parimente non si fossero consumate le saette , e resi inabili a ferire tutti i f e r r i, e se final mente (ci che pi importava) gli uomini stessi dal tanto uccidere non si fossero stancati. Co3t essendo sopraggiunta la n o tte , i P a r ti, siceonte quindi bea lungi portar si dovevano sopra i loro cavalli, se ne partirono j imperocch lor costume di non piantar mai gli accampamenti presso il nemico , quantunque fosse debolissimo , perch non usano trincee , e quindi se taluno gli assalisce in tempo di n o tte , nulla essi far possono n coi cavalli , n coi dardL !Niun romano per nel detto combattimento fu fatto prigioniero dai nemici ma veggendo i Parti che tutti stavano in armi , e che nessuno le gettava, o si dava alla iu g a, stimarono, che avesser per anche un qualche vigore , e non ardirono di dar loro las salto. Dopo una tal disfatta Crasso , e tutti gli altri

t\iG
che p oterono, si rifuggirono a Carra (i) , la qual citt sicura per essi erasi salvata da quei Romani , 701 che vi erano stati lasciati. Molti di q u elli, i quali erano rimasti feriti , non potendo mettersi in cam'< mino a piedi , e non avendo in pronto n carri, n hi li guidasse ( mentre gli altri erano ben contenti di potersi quindi ssttrarre ) restarono sul cai^po di battaglia, ed alcuni di essi morirono per le ricevute ferite, ed alcuni si diedero da per se stessi la morte e gli altri senza contrasto furono fatti prigionieri^ la maggior parte dei quali per , mancando loro le forze , morirono per viaggio , e molti anche in se guito , non aTendo avuta sidiito una esatta cura. Grasso abbattuto d'anim o, dandosi a credere di non poter restare con sicurezza pi a lungo neppur nella detta citt, medit di fuggirne quanto p rim a ; e sic come non poteva farsi in modo , che fuggendo di giorno non fosse scoperto , tent di andarsene in tetnpo di notte ; ma tradito dalla luna , che eoa pienezza di luce allora splendeva , non pot andar nascosto. Aspettateti pertanto dai Romani di nuovo quelle notti , in cui non vi fosse la luna , se ne p a rtiro n o , e camminando con gran timore fralle te nebre , e per un paese straniero , e nemico , si di spersero ; ed una parte di essi fu presa sul far del <giomo , e fu uccisa ; ed una parte giunse sana e salva nella Siria in compagnia del questore Cassio (i) II nome moJerno di questa citt Ilerea, a dagli Arabi vitn chiamata Harrau o Cbaran.

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Longino (i) : altri poi insieme collo tesso Grasso per le vie dei monti da loro occupati, tentarono di fuggirsene in Armenia. Ma saputosi ci da Surena , 7* e temendo , che , se quindi si fosser partiti , non rinnovassero in seguito la guerra contro i P arti, non os egli a dir vero di attaccare i Romani sopra n a luogo eminente, e mal atto per la cavalleria (perch la fanteria di quelli era bene armata per combatter dalP alto , e perch dalia disperazione sarebbe pas sata ad un certo furore), ma veggendo di non poter dare ad essi P assalto sensa suo proprio risc h io , sped ai medesimi alcuni de s u o i, i quali offrissero loro le condizioni di pace , con che per uscissero da tutto il paese posto al di qua dallEufrate. Crasso , senza punto sospettare , prest fede a Surena ; imperocch ritrovandosi egli pieno di gran timore , e fuor di se stesso dallo spavento della sua propria, e della pubblica dbgrazia ; ed oltre a tali cose ac corgendosi anche , che i sldati ricusavano d intra prendere un cos lungo e scabroso viaggio, e che avevano paura di O rode, non pot prevedere quanto facea di mestieri. Surena quando lo vide disposto ad accettare T accordo , non volle che si ultimasse da altri un simile affare * , ma a fine di poter sor prendere con pochi il medesimo Crasso e farlo pri* gioniero , gli fece vedere , di voler venire a parla m ento con Ini. F u convenuto adunque di ritrovarsi insieme in un luogo posto in mezzo agli alloggia( i) Di costai parta Livio, Epitome i v 8 , PlaUrco , in Craito , Vellejo Palercolo, fc*. -J, ta p . 46.

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menti dell uno e dell altro , con un numero uguale di soldati d ambe le parti. In tal modo Grasso di701 scese nel pian o , e Surena , acci piii presto da lui si portasse, gli mand in dono un cavallo. Mentrech il detto Crasso stava dubbioso , e seco stessa deliberava che far doveva , fu preso dai B arbari , e fu messo a forza sopra il cavallo ; ma qui recandogli ajuto i Romani , si venne da questi e quegli alle mani y ed in tal combattimento avendo per qualche tempo pugnato i Barbari con sorte u g uale, final mente ajutati dal soccorso degli altri restarono vin citori ; imperocch stavano nella p ian u ra , ed a tal cosa si erano preparati^ ^ cos prevennero i Romani, che dall allo venivano in ajuto dei loro. In tale oc casione oltre gli altri Romani cadde estinto anche Crasso , o fosse egli ucciso da alcuni de suoi, acci ' non andasse vivo in mano dei nemici, o dai nemici m edesim i, ricevuta una grave ferita. Tal fine adun que ebbe quest uomo , nella di cui bocca , come da taluni si n a rra , infusero i Parti delloro liquefatto (i), insultandolo iuoltre con parolej imperocch era stata in lui eccessiva la brama di acquistar danaro, quan tunque fosse ricchissimo a segno, che commiserava, quasich fosse stato p o v e ro , chiunque non poteva mantenere una scelta legione a proprie spese. I sol dati poi per la pi parte fuggirono su per li m onti nei paesi degli alleali ed am ici, ed alcuni furono jo a presi dai nemici. 1 Parti per altro in quel te m p o ,
( i ) U t cu fu t aniir.us arterat aturi tup id la le , ejas etiam m ortm unt et exangue corpus auro w eretu r j F i o r . U. , cap- 11.

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dopo aver ricnperato tutto il clommio di qua dal- ''J" r Eufrate , non passarono il medesimo ; ma poscia entrarono anche nella Siria , non per con grande 70% esercito , perch si davano a credere, che la mede sima non avesse , n soldati , n comandante ; e quindi C assio , essendo s pochi , li rispinse agevol* mente. Questo Cassio , essendogli stato conferito il comando nella citt di Carra dai soldati mossi a far ci per 1 odio contro C rasso, ed anche lo stesso Crasso concedendoglielo spontaneamente attesa la gran calamit , in cui si ritrovavano , non Io aveva accettato ; ma in allora poi indotto dalla necessit delle cose, prese il governo della Siria non solo pel tempo presente , ma anche per 1 ' avvenire. In fatti i Barbali non si astennero dall' assalir la medesima ; ma in seguito con maggior quantit di gente , por tando il nome di capitano Pacoro figliuolo di Orode , eh era per anche fanciullo, quando in sostanza Osace era il comandante , andati nella Siria , e ri dotti in lor potere tutti i luoghi posti l d 'o n d e passavano , si avanzarono fino in Antiochia , colla speranza d'impadronirsi anche degli altri , imperoc ch non avevano quivi i Romani delle truppe suffi cienti per far la guerra , ed i popoli di mal grado soffrendo. il dominio degli stessi Romani , aveano della propensione verso i Parti , siccome loro vicini e simili di costumi. Ma perduta avendo la speranza di prendere ntiohia ^ mentre Cassio li rispingeva con gran valore , per non esser eglino in verun conto capaci dell'oppugnazione dei luoghi^ se n'an<

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darono ad ntigonia (i), i sobborghi della qaal citt oM A essendo ripieni di a lb e ri, e perci non osando co^oa loro, n potendo accostarvisi, si accinsero a tagliare i detti alberi , ed a sgombrar della sua boscaglia tutto quel luogo , onde potere audacemente , e con sicurezza dar l assalto a quella citt. Ma neppur questo ben riuscendo ai m edesim i, perch' era un lavoro di gran fatica, e quindi inutilmente da loro perdevasi il tempo , e perch Cassio faceva prigio nieri quei d' e s si, i quali andavano vagando , se ne partirono d A ntigonia, con intenzione di volgere al* trove le armi. Intanto Cassio posti degli aguati per quelle strade, per le quali dovevano passare, si fece veder loro in compagnia di pochi, e cos gl'indusse a dargli la caccia ; e ci fatto colloc i suoi all' in> to m o , ed uccise molti altri P a rti, ea anche lo stesso Osace. Morto c o stu i, Pacoro usc da tutta la Siria, n dopo quel tempo entr pi mai nella medesima. Appena fu ritornato indietro il detto Pacoro, Bibulo venne in S iria , per governare quella regione, quan< tunque per mezzo di un decreto del Senato si fosse stabilito , che niun pretore e niun consolo , n su bito , n prima di cinque anni si portasse nelle straniere provincie, afUnch non vi fossero dei tu multi per parte dei pretendenti alle medesime. Bibulo govern quietamente le citt, che obbedivano ai Aomani ; e provoc gli uni contro gli altri a vicenda gli stessi Parti : imperocch collegatosi con un certo governatore , chiamato Ornodapante , il qual era ne*
( i ) C i t t , che pi non esiste.

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mico di O ro d e , lo indusse per via di meesaggj a stabilir nel regno Pacoro , e col di lui ajuto a far la guerra ad Orode. In tal modo fin la guerra dei 7o3 Romani contro i P a r ti , dopo quattro anni eh erasi incominciata, essendo consoli M. Marcello e Sulpicio Rufo. C
apitolo

IV.

In guai modo Cescwe assoggett tutta la G allia Cisalpina.


In tempo della guerra di Partia Cesare riacquist 700 a forza di combattimenti le parti della Gallia scon volte da nuovi tu m u lti, e fece imprese grandi , si da per se so lo , come per mezzo de suoi legati ; e tcA queste io riferir quelle soltanto , le quali pi di tutte son degne che se ne faccia menzione. mbiorige uniti a se i T re v iri, i quali tolleravano per anche con dispiacere la morte d'Induziom aro (1), erasi preparata in quei luoghi una gran quantit di gente * , ed aveva anche fatti venire dai Germani dei soldati presi a stipendio. Labieno , per combatter con lui prima che si facesse pi forte colle truppe dei detti G erm an i, anticip ad entrare nei confini dei Treviri. Non uscendo i Treviri a difendere il paese, mentre aspettavano ancori gli ajuti; ma con* tentandosi di stare a guardia del fiume, che tra essi, (t) Di oostni si parlato alla pagina 4>

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ed i Romani correva, Labieno convocato l esercito / tenne nn ragionamento, con cui sembrava voler egli 700 aggiugner timore ai suoi, e ferocia ai nemici ; impe rocch disse j che innanzi che gli ajuti dei Germani soccorressero i T re v iri, bisognava ritirarsi presso C esare, ed in luoghi sicuri ; e che quanto prima avrebbe dato il segno di raccorre i bagagli; e senza frapporre una gran dimora, mosse il cam po, avendo disegnato , che sarebbe accaduto ci che realmente avvenne. Ed in fatti i Barbari, scoperta una tal cosa (m entre stavano attentissimi ai disegni dei Romani , e per tal fine aveva Labieno pubblicamente parlato) crederono , eh esso davvero se ne andasse, e che realmente prendesse la fuga j e quindi passato ira mantinente il fiume, inseguirono con quanta maggior prestezza poterono baldanzosamente' i Romani. Ma rivoltosi Labieno contro di loro , che qua e l an davano vagando, e spaventati i prim i, per mezzo di questi stessi pose facilmente in fuga tutto I' esercito ^ ed uccise un gran numero dei medesimi mentre fug givano rotte le file, e s^impedivano a vicenda, aven< doli costretti a ritirarsi verso il fiume. Ma nullameno essendosene sottratti molti con la fuga, Cesare senza darsi alcun pensiero degli a ltri, ebbe molto travaglio nel cercare , e nell inseguire il solo mbiorige , che o r qua, or l fuggendo, nuoceva moltissimo. Ma poi che v ide, non esser possibile di prenderlo in alcuna maniera , rivolse le armi contro i G erm ani, perch aveano voluto porger soccorso ai Treviri. Neppure in tale occasione per fece egli cosa veruna, m entre
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a m i per timor 3 egli Svevi subitamente si ritir ; riportando per^ Ift gloria d aver passato il Reno per la seconda volta: e tagliata soltanto quella parte del 700 ponte , la (juale apparteneva ai Barbari , vi form sopra un castello, per far vedere , ch'egli spesso di l sai'ebbe passato. Dopo queste c o s e , mosso da rabbia che Ambiorige. si fosse salvato, permise a tutti quelli che volevano, di saccheggiare la costui patria, quantunque la medesima non avesse fatta ia allora la menoma sollevazione; ed annunzi ci p u ^ blicamente , ad oggetto che vi accorressero moltissi> me persone. . Parecchj adunque, s G a lli, come Sicambri vennero in folla alla preda.^ I Sicambri per non si contentarono di aver portato via del bottino dagli Eburoni ; ma attaccarono anche gli stessi Ao> m ani, agli alioggramenti dei quali coloro dieder las* salto in tempo che scorsero esser eglino andati a fai' provvisione, di grano j ed Uccisero molti di essi, R om ani, i quali accortisi di tal cosa erano corsi ia difesa dei medesimi alloggiamenti : ma dopo questo > fatto avendo coloro paura di Cesare , con somma prestezza alle lor case tornarono. Cesare , siccome era prossima la fredda stagione, ed in Roma v'erana dei tu m u lti, non pot vendicarsi in alcun modo di costoro ] ma inviati i soldati nei quartieri d inverno, esso se ue venne in Italia , in apparenza per darsi pensiero intorno alla Gallia Cisalpina ; ma in so stanza per stare attento da vicino a quanto nella citt si faceva. In questo mezzo si suscitarono ^01
JJtuKS, tomo I . *S

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nuovi tumulti dai Galli : improcch gli ryemi (i) otto la condotta di Vercingetorige si ribellarono, e 701 trucidarono tutti i Romani , che furono da essi tro> vati nelle loro c itt , e nei loro confini 3 e poscia portatici contro gli alleati dei Romani protessero tutti quelli , clie poterono tirare ad unirsi con loro nella ribellione , ed infestarono tutti gli altri con recar loro dei danni. Sapute Cesare tali cose ritorn nella G allia, e ritrovato avendo, che i nemici erano entrati nei confini dei Biturigi (a) j e non potendo ajutar questi ( mentre non cragli per anche venuto tutto r esercito ) esso all incontro se n' and nella l'egione degli Arverni , e cosi indusse i nemici a tornarsi nelle proprie lor case : ma egli stesso per , perch non aveva sufficienti forze per combattere , se ne part prima del costoro arrivo. Gli Arverni portatisi di nuovo contro i Biturigi, ed occupata la cittA di Avarico (3) vi i trattennero per lungo tem po. E ra molto difficile il poter avvicinarsi alle mura della medesima , cinte da una parte d inaccessibili paludi , e dall* altra da un rapido fiume y e quindi oppugnando i Romani la detta citt, era agevol cosa per quei Barbari , il numero dei quali era immenso, il rintozzarne gli sforu ) e fatte delle sortite, spesso li molestavano. Finalmente incendiati non solo i
( i) Adcsm (ODO i popoli d AItcrnia , proviaoia di Francia. ( 3 ) Alciini di quelli popoli cbiamaTanti Bitnrigi Cubi , ed o ra fono quelli del ducalo di Berty i n Francia; ed altri venivano d e lti Biturigi Vibiaci, cd al presente lonQ i popoli della diocesi di Baurw deaax.

(3) Adetio i Barge, ciui principale della prosTncia 4i Ben/,

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campi ed i casali, ma le cill eziandio , dalle quali giudicavano , che aver, potessero i Romani ajuti di Tettovaglie , predarono anche tutto il frumento , che 701 trasportato veniva ai Romani dai pi remoti confe> d rra tij dimodoch i Romani stessi in tempo che as sediavano erano afflitti dagli stessi m a li, dai -quali sogliono essere oppressi gli assediati. Acadde poi ^ che avvicinandosi alle dette mura i medesimi Ro* m a n i, venne ima dirottissima pioggia con impeto grande di vento ( mentre gi era presso T inverno ) e primieramente dall'assalto costrinscr loro a ritornar negli alloggiamenti j e ritentae poscia anche i Galli Delle lorij proprie abitazioni. Partiti costoro dai ba stioni , immantinente i Romani diedero- ai medesimi l assalto , mentrech non eravi. gente , e presero upa to rr e , prima che alouno si fosse accorto, eh' essi vi erano sopra ; ed occupate avendo anche ^le altre parti con non molta fatica , posero a sacco tutta la citt, ed incitali dall ira pe'disastri sofferti in un si lungo assedio , ne uccisero tutti gli abitanti. Fatto ci, se n'and Cesare coll esercito nei conGni degli rverni, essendo prima stati dagli avanzi dei nemici occupati tutti i ponti, pe'quali esso doveva passare: e non sapendo egli in qnai modo poter fare il pas saggio , cammin per qualche tempo lungo la riva del fiume , e cerc un sito , dove 1 esercito potesse a piedi guadarlo. Dojxo che fu giunto in uu luogo silvestre ed ombroso , mandati innanzi i carriaggj 'con la maggior pare delle sue tro p p e , ed imposto loio di marciare in file stese in lungo quanto pi

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potevano , acci avessero T apparenza d* un esercito intero , esso coi pi forti si ferm , tagli del le701 gnam e, e costru delle z a tte , e con queste pass il fiume j in tempo che i Barbari intenti a q u elli, che andavano avanti , stimavano che in lor compagnia fosse ancor Cesare. Eseguito c i , richiam nella notte quei che s'erano oltre avanzati, e fattili simil* mente passare , occup la regione. Ma gli rverni si ridussero tutti quanti a Gergovia (i) , trasportate avendo quivi le cose le pi preziose; e Cesare fatic moltissimo indarno nell'assedio della detta c itt ; imperocch era pos(a sopra un colle a meraviglia fortiGcato , e da valide mura veniva difesa I Galli altres tenevano dei presidj all' intorno sopra luoghi em inenti, da essi anticipatamente occupati j dimodo ch potevano restare con sicurezza nel lor posto , e facendo qualche- scorreria , il pi delle volte rima nevano superiori. Aveva Cesare gli accampamenti nella pianura , mentre non avea potuto trovare u a luogo elevato , dal ohe ne succedeva , eh egli n o a prevedeva le intenzioni dei nemici. I Barbari p el contrario posti sopra un sito minente , potendo guardare nedi lui accampamenti, da quello calavano a tempo opportuno; e se qualche volta dopo essersi avanzati oltre pi di quello che conveniva frenavano il proprio lor impeto , in un istante mettevausi a l sicuro. N gi potevano in verun conto i Romani accostarsi ai luoghi di coloro a una tal distauza, a (1) Adesso chmasi Clermont, eiui nell'AWroia.

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enJ giugnessero le pietre ed i dardi ; e per Cesare ben vide , che senza frutto consumavasi il tempo. Ed in fatti quantunque col dar l'assalto allo stesso 701 colle , sopra cui stava la citt , se ne fosse impa-' dronito , di modoch fortificato il medesimo poteva pi facilmente oppugnare anche il resto, contuttoci in generale veniva rispinto , non senza perdita di moltissimi soldati. Poi che scorse adunque , che la citt non poteva esser p r e s a , e che gli Edui in questo mentre aveano eccitate nuove turbolenze; ed in ten)po che esso si port a sedarle, il di lui eser* cito rimasto a Gergovla erasi ritrovato in nn estremo pericolo ; stabil di rimuovere il campo dalla detta citt. Gli Edui p o i , i quali da principio avevano erbata fe d e , e mandati ajuti a C esare, in q n d tempo contro lintenzione dellanimo loro gli mosser la gueira per inganno di a ltr i, ma particolarmente di Litavico : imperocch non potendo costui in verun altra maniera indur quelli a violare la fede, gli riusc d'ottenere di condurre egli stesso a Cesare quegli ajuti , che li mandavano gli Edui. In tale occasione postosi in m arcia, ed inviati innanzi i soldati a cavallo , comand ad alcuni di essi di ri> tornar indietro , e di dire , che agli altri mandati avanti con loro , siccome anche a quelli della citt degli Edui che si ritrovavano presso Cesare , erano state messe addosso le mani dai R om ani, e quindi tutti generalmente avevano da essi incontrata la morte. Egli stesso poi tenuto un ragionamento adat tato a si fatta nuo v a, irrit in modo i soldati, che

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essi medesimi si ribellarono dai Romani , e mossero ancbe gli altri a fare altrettanto. Riseppe Cesare 701 quanto prima un tal fatto , e quindi egli mand sU" bitamente agli Edui quegli Edui s te ssi, cbe sec gli avera , e che per suo cenno credevansi uccisi j acci fosser veduti vivi da tutti ^ ed esso, venne dietro con la cavalleria. Cos ne successe , cbe gli Edui presi dal pentimento , allora con esso lui ritornarQno in grazia. Non molto tempo dipoi , es tendo stati maltrattati nell'assenza di Cesare i Ro> inani presso a G ergovia, e dopo questo secondo danno ritirandosi totalmente dall' assedio, quelli cbe erano stati gli autori della ribellione' , e quelli al tres , che prestata avevano la lor opera agli amanti di cose nuove , temendo di non pagar le pene dei loro m isfatti , eccitarono dei nuovi tamulti. La qual osa appena si riseppe da quei d e s s i, che milita vano con C esare, implorarono dal medesimo . che dasse loro la permissione di andarsene alle lor case, prom ettendogli, che acquetate avrebbero tutte le cose. Ottenuto il congedo , si portarono a Novioduno (1) , nella qual citt i Romani aveano messo come in deposito del danaro , del g ra n o , e la m ag gior parte degli ostaggi^ e servitisi dell'ajut d e i Noviodunesi , uccisero d improvviso le guardie , e e'im padranirono di tutte le dette cosej ed incendia rono la stessa citt , acci non l ' avessero i R om aui per asilo in tempo di guerra ; e tirarouo nella le g a
( i ) Al p resen u viu delta IN o/on , itlji mell lM la d i F ra n c ia a l iiunie Vors*^

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della ribellione anche l ahra parte degli Edui. Cesare immaalinente si accinse a portarsi contro i detti Edui ^ ma impedito dal fiume Ligeri , si volse 701 ai Lingoni (i) ; e neppur qui fece egli cosa alcuna. Labieno per altro occup un'isola nel fiume Sequana , vinti coloro , che dentro terra eracsi afibliati a rispingerlo , e condotte le truppe giCi pel fiume in varia maniera , cio ora a seconda della corrente , ed ora contro la m edesim a, onde non poter esser* impedito dai nem ici, se da un sol luogo avess' egli fatti i suoi tentativi. Ma prima che una tal cosa si mandasse ad effetto, Vercingetorige , dispregiato Ce> sare pedanni che questi avea ricevuti, determin di muover guerra agli Allobrogi ; e pose in mezzo lo stesso Cesare , che in ajato di costoro era per portarsi, avendolo sorpreso nel paese dei Sequani. Colui per altro non rec alcun danno ai Romani ^ ma gK obblig piuttosto a dimostrar fortezza postili in di sperazione del loro scampo j ed ei medesimo con la sua tem erit, mentre confidava nella moltitudine dei su o i, and a soccombere. I Germani 'per, che Ce sare aveva chiamati in soccorso , contribuirono non poco, onde riportassero i Romani una simil vittoria: e di fatti coloro nel far impefb corroborando il pro prio ardimento colla gran m oie' dei c o rp i, ruppero le ordinanze dei nemici situa Ir all' intorno. Cesare poi essendo d'avviso di dover proseguire con tutto il calore q u ^ la vittoria , che gli si era p resen tata, Oia iono i popoli della diooM di Lvigres uULiouve.

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chiuse dentro la citt di lesia (i) i fuggitT nemici, e quivi li tenne assediati. Vercingetorige, innanzi che 701 da ogni parte si ultimassero le fortificazioni di Ce aare , licenzi la cavalleria, s perch non v' erano pascoli pe'cavalli, si perch col portarsi ciascuno di quei, soldati nelle rispettive citt se ne recassero ad Alesia dei viveri e dei soccorsi. Andando in lungo rassed io , e gi cominciando a mancare il frum ento, cacci fuori della citt i piccoli figli e le donne , e tutti gli altri inutili per la guerra ; sperando , m a invano , che ne sarebbe avvenuta o I una o l'a ltra 4 i queste due cose, cio, o che tal moltitudine fatta prigioniera dai Romani sarebbe stata salvata, o che quei che restavano avrebbero sostentata piii lunga* mente la vita con li alimenti destinati per la mede sima. Ma neppure lo stesso Cesare abbondava in guisa di grano, che m antener potesse anche gli altri; e giudicando in .o ltre , che col rimandare indietro coloro avrebbe fatto s i , che i nemici consumassero la vettovaglia in pi copia , e tenendo per certo , che sarebbero stati ricev u ti, li discacci tutti lungi da s ; dal che ne avvenne, che tutta questa tu rb a, non accogliendola n gli u n i, n gli altri , per mi seramente fra la citt e gli alloggiamenti. Di li a c o n molto poi vennero presso i Barbari i rinforzi di gente a cavallo, e di> altri da essn condotti; ma ftirono rispiuti dai Romani in un equestre combatti* mento , cooperando principalmente a simil vittoria i
( t ) AdeMo chiamaiii A lis e , n o n k cbe oaio d i Borgogo al fiume Brcim .
ub

piccolo luogo nel lU -

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soldati autiliarj dei Germani, Tentarono poscia di 'J" entrare di nottetempo nella citt per le fortificazioni dei R om ani, e riportarono un gravissimo danno : 701 imperocch in quei lu o g h i, ai quali la cavalleria poteva accostarsi , i Romani fatte ci aveano delle buche f le quali non si vedevano e piantate in quelle delle punte, superficialmente le avevano rico* p e rte , in modo che fossero uguali a ir altro terreno posto a ir intorno j ed i cavalli e gli uomini caduti sconsigliatamente nelle dette fosse, perirono. Con tutto questo per i Galli non cessarono punto dalla loro azione, perfino a tanto che , attaccatasi la mi> schia presso le fortificazioni, e datosi tanto da essi, quanto da quelli che stavano nella c itt , F assalto ai R om ani, vi rimasero perditori. Dopo aver rice'^uta una simile sconfitta Vercingetorige, non essendo stato preso n ferito , poteva fuggire ; ma sperando per essere stato una volta amico di^ C esare, di po tere impetrar da lui il perdono , si port dal mede simo senza implorarne prima la pace per mezzo di un qualche messaggio; e venne improvvisamente alla di lui presenza in tempo che stava in tribunale (i). Una .tal cosa atterr anche gli animi di alcuni ; im perocch VercDgetorige era di alta statura ) e spe cialmente quand' era armato faceva nna maravigliosa comparsa. Intimatosi il silenzio, senza ch'egli dicesse una sola p a ro la , si butt in ginocchio , e ristrette hisieme le mani supplichevolmente preg. A tutti gli . (1) Luogo, donde il comandat luprcm ^udicaTalacau*c lei pldjU , a (juelli parlava.

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altri ana fai 'vista eccit della compassione , mentre pensavano alla passata fortuna di un tal uom o, e si 701 vedevano innanzi agli occhi la sua presente sciagura. Ma Cesare imput in ispecial modo a mancanza a VercDgetorige ci eh' esso aveva sperato dovesse principalmente contribuire alla sua propria salvezza'; e quanto pi il' medesimo avea goduto per Taddieb-o della sua amicizia , di tanto pi grave delitto lo diInostr egli colpevole. E tal motivo ebbe Cesare di non commiscrarlo , e di metterlo subitamente ia c e p p i, ed in seguito di ucciderlo, dopo averlo con dotto in ti'ionfo. Come accadde questo nel tempo avvenire , cos accadde anche, che Cesare si guada gn altre nazioni, imposte loro le condirioni di pa ce , cd altre ne assoggett superatele in battaglia. Imperocch i Belgi confinanti, conferito ad un certo Comio Atrebate il supremo com ando, per buona pezza fecero resistenza , ed in due equestri battaglie vennero a giornata coi Romani, senza che la vittoria rimanesse decisa. Ma venuti alle mani per la terza volta in un pedestre combattim ento , essendosi da prim a pugnato con sorte uguale , furono sbaragliati dalla cavalleria, che diede loro da tergo improvvisa mente l'attacco; e quindi tutti gli altri, abbandonati di nottetempo gli alloggiamenti, si ritirarono in u n a certa selva , e dato fuoco alla medesima , e lasciati i carri soltanto , concepirono la speranza di potersi riparare in luoghi sicuri , meutrech il fuoco , ed i carri facevano tr<^ttenere i nc-mici : ma fu vana u n a tale speranza. Imperocch i Homani appena della loi*

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fuga si furono accorti, gl inseguirono , e giunti l dov era il fuoco , pai'te coll estinguerlo , e pai'te ta- ' gliando degli alberi , ed alcuni camminando anche in mezzo alle fiamme , arrivarono all'im pensata so pra i nemici , e ne fecero una grandissima strage. Dopo un ^tal fatto la maggior parte degli altri accet* tarono le condizioni di p a c e ; ma Comio sottrattosi, neppure in tale stalo si contenne , s che non sta bilisse di assalire insidiosamente Labieno ) ed anche allora superato in battaglia sindusse a venir con lui a pai'lamento j ma prima che di alcuna cosa si con venisse, ferito da un certo Romano, perch pareva^ che esso non avrebbe mantenuta giammai una stabile pace , fugg, e fii nuovamente molesto ai Romani. Ma alla (ine ridotto alla disperazione ottenne per quelli , che aveva seco , una sicurezza perfetta ri guardo alle proprie lor cose j e per s , che non venisse pi mai alla presenza di alcun romano. cos da taluni si narra. In tal guisa pertanto ottea* nero questi la pace , ed in seguito ancor gli alti'i ^ parte volontariam ente, e pai'te vinti in g u e rra , 9 furono ridotti in poter dei Romani : e Cesare col mettere dei p resid j, e coll imporre dei suppliz), e coll ordinare che si pagassero danari ed annui tri b u t i , alti'i ne. abbatt , ed altri ne rend mansueti. E tali cose iif s fatta maniera si liltim arono, es M o d o consoli L. Paolo e C. Marcello.

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G AP I t OL O V .

H O M A Jn qual guisa Clodio f u ucciso da Milane f e come questi f u condannato.


701 Doveva ormai Cesare dalla Gallia ntom arsen' in 110108, perch pi non lo trattenevano i G alli , e perch cos chiedeva la quantit del tem po, che pel supremo comando a Ini era stato concesso (1). E di fatti essendo gi quasi spirato il detto tem p o , e terminata essendo la g u e rra , nob aveva pi egli una legttima causa di non licenziare l'esercito, e di n o a vivere da privato. Y 'erano certamente in Roma delle sedizioni, e Crasso era morto (a ), e Pompeo era pervenuto di nuovo alla primiera potenza j imperoc ch ed era stato consolo per la terza volta, ed avea fatto in m o d o , che per altri cinque anni gli venisse decretata la S pagna, ed aveva incominciato ad esser pili che mai d animo alieno da Cesare , principal mente per esser morta anche quella picciola figlia (3), che sola aveva fatta sussistere la di loro amicizia. Temendo adunque Cesare di non cadere , privandosi delle legioni, in poter di Pompeo de'suoi nemici^ non conged 1 esercito. In fatti in questi anni me desimi imperversato aveano nella citt molte soUe
( 1 ) Vengasi al libro 3p. p. 36g. ( 3 ) Pagina 4 -<8(3) Della mone di Giulia , R^liaola di Cesare, e moglie di Pom peo , ed anche della pncola figlia da essa d a u in luca , tc n* ( p w lalo al libro 3 9 . p- 4i<

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Tazioni, e spe<;ialinente nei com izj, dimodocli Galvino e Messala appena nel settimo mese furonb finalmente creati consoli. neppure allora sarebbero 7^* stati ele tti , se Q. Pompeo Rufo , quantunque tribuno della plebe , e nipote di Siila per parte d' una co> stai figliuola, non fosse stato messo in prigione per ordine del Senato ^ la qual pena medesimamente fu stabilita contro tutti quelli , i quali avessero macchi* nato di fare un qualche iniquo attentato 3 e si diede a Pompeo F autorit di punirli. vero , che ordi nariamente f e spesse volte accadeva , che , siccome gli augelli non davano agl interr segno di buon augui'io j s'im pediva di tenere i comizj a motivo degli auspiz), ma pi di tutti i tribuni della plebe ai opponevano ftlla creazione dei m agistrati, perch cosi si mischiavano in tutti gli affari della citt , a segno che presiedevano anche ai giuochi, in vece dei pretori : e per tal motivo Rufo era stato con> dotto in carcere. Il medesimo poscia mand per lieve causa nella medesima prigione Favonio edile , per aver cio un qualche compagno in quella igno* minia. T utti i tribuni poi mettevano diversi impedi menti ai comizi > ^ procuravano, che in vece dei consoli si creassero i tribuni dei soldati , acci da pi persone la repubblica venisse governata, sic come anticamente era stato stabilito. Ma non po tendo essi persuader ci ad alcuno, sostennero, che Pompeo si doveva assolutamente nominar dittatore , c persisterono a lungo in questa loro " opinione. In allora Pompeo stesso era lontano da !^oma, e quei

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che si trovavano presenti non ardivano di , accoiv komj dargli simile onore , mentre una tal forma di gover* ^01 nar la repubblica era detestata da tutti in abbominio della Sillana crudelt ; e neppure avevano bastevol coraggio di negarglielo per timore delia sua pos>. sanza. Ma finalmente venuto che fu ei medesimo , ripudi la dittatura , eh' eragli offerta , e procur , che si creassero i consoli. 1 consoli per a motivo dei tumulti di c o lo ro , che facevano delle stra g i, non si erano fissati i lor successori, e deposta la veste senatoria , ccome in una grave calam it, ten< nero il Senato con la veste da cavalieri ; e fecero similmente un decreto , che niuno di q u elli, i quali avevano esercitata la pretura , o il consolato , accet tasse alcuna straniera provincia , se prima non erano passati cinque anni ^ per vedere, se mai si fosse Gessato dal brogliare le Qiagistrature sul riflesso, che non subito i otteneva il supremo comando. Impe rocch nulla eseguivasi con saviezza , o con mode razione ; ma fieramente si gareggiava coi donativi j ed anche molto pi coi co n tra sti, a segno che il consolo Calvino una volta fu insino ferito. E cos ne avvenne, che a' consoli non succedeva alcun con solo , n alcun p re to re , o prefetto di citt ) ma nella prima parte dell' anno vivevasi in Roma senza verun magistrato. Una s fatta cosa diede occasione a molti altri m ali, e fece s , che il m ercato, che ogni nove giorai soleva tenersi, si tenesse nelle calende di gennaio (i). N solamente questo, che scm(i^ Era qaesio no-mut ugacio pei Aomani. Quotiti iHcifinu

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brava non essere cos per caso accadnto, m a avere un fondmento di prodigio, atterr i Romani ; ma anche crasi vaduto un gafo nella citt, ed un certo 701 hnulacro per tre giorni intieri aveva sudato, ed una face dalla parte del cielo , che guarda il mezzogior no , trascorsa era all' oriente ; ed erano caduti al tres molti fulmini ; e spesse volte eravi stala pioggia rii z o lle, di p ie tre , di vasi di te r r a , e similmente di sangue (i). A me poi sem bra, che fra i prodig) aver non debba l'ultim o luogo anche quel decreto, che sul Unir dell'anno antecedente fu fatto intorno a Serapide ed Iside : imperocch il Senato aveva ordinato , che si demolissero i tempj di queste divi n i t , i quali privatamente da alcuni erano stati fab bricati , perch tali numi non si stimavano molto ; e quando anche finalmente si o tte n n e , che i mede* simi venissero pubblicamente venerati, contuttoci furono posti fuor del Pomerio. T a le adunque essendo 10 stato delle cose di R om a, e ninno avendone j o% 11 comando , quasi ogni giorno si commettevano
anno die caepit qui adjtetuM est nun dinis, om nit iUe anm u in/auttit etibut luctuosus f i i i t -, M acrob. S alu m a i, l. I , c . l 3 . Si ri scontri lo 8 cali(;ero, De E m end. Temp. t. 5.
. ^ i ) Sono d aTTso douissiini Interpreti che Is dette l o ll e , pietre e vasi di terra colla fossero trasportati d allrondc dalla Tioienza della procella e del Tcnlo ; e che il sangue a ttribuir si debba ai va{K>ri di quei lu o g h i, ne* quali v i i abbondanxa di minio e di terra ro fsa . Veggasi Goffredo W eo d c lin o , de pbivia purpurea BruxeUeiui 1 6 4 6 . Federico Vlciiiwno,, de pluvia tanguinea. Colonia Bran~ deburg. 1 6 7 3 . Araldo Vallerio , f>iss. de pluvit, quam edidit UptoKae 1 7 0 8 , e G iov. CrisloCano Becm anno, D itt. de^ prodigi ta nr

g m n it, c. i .

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(Ielle ueciaioni ; e quantunque moltissimi si sforzas<^ *>*'' sero di occupar le magistrature , e per tal motivo 703 si facessero dei regali e delle stra g i, contuttoci non si tenevano i comizj. In allora anche Milone , il quale chiedeva il consolato , incontrato Glodio nella Via Appia , da principio lo feri leggermente ; ma dipoi temendo , che costui di tal cosa non facesse Ten> delta , lo uccise, sulla speranza, che se egli avesse /ubitamente data la libert a tutti quei servi, i quali aveano fatta una tale uccisione , sarebbe stato pi fecile per se medesimo d'essere assoluto dall' omi cidio , morto Glodio , che dalla data ferita , rima nendo esso tra' vivi. Sentitasi in Roma- una tal cosa sul far della s e ra , ne nacque una gran confusione , essendosi in questa maniera aperto l adito alle di verse fazioni di far delle guerre e dei danni : ed an che c o lo ro , i quali non erano n dell uno n delr altro partito , quantunque odiassero Glodio , con tuttoci richiamandosi alla memoria la condizione umana , e sopra tutto desiderando , che anche Milone con tal pretesto venisse tolto di mezzo , forte mente sdegnavansi. Rufo e Tito Munazio F ian co , i quali in allora erano tribuni della p lebe, avendo ritrovato il popolo disposto in tal guisa , lo irrita rono anche maggiormente col portare sul far del giorno nel Foro il cadavere, e coll'esporlo sopra i rostri^ mentre lo mostravano a tutti , aggiungendovi con atteggiamenti lugubri delle voci, che pi conve nissero alla circostanza presente. La plebe poi e p e r quelle cose che vedeva, e per quelle che i^veva

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u d ite , si sconvolse a segn , che neppure ebbe pi '*' alcun riguardo alla religione ; ma violate tutte le cerimonie del seppellire , avvolte nell' incendio quasi 703 r intera citt. Di fatti avendo tolto di peso il corpo di C lodio, e portatolo nella C uria, dopo averlo de> centemente aggiustato, fatto un rogo dei sedili, lo abbruciarono con la medesima Curia ; il che non fu eseguito per un subitaneo furore , il quale molte volte per solito entra addosso alla plebe; ma si beue con tutta considerazione , in modo che all' ora nona nel medesimo Foro celebrarono altresi il funebre convito ( i) , in tempo che per anche fumava la cu> ria. Volevano perfino incendiar la casa di Milone ^ ma non Tu dato fuoco alla m edesim a, essendovi accorsi molti in difesa. Milone in questo mezzo p er timore del detto omicidio erasi occultato j e non solo aveva attorno T appoggio dei p le b e i, ma anche de cavalieri, e di alcuni senatori : e sperando p o i, che atteso il detto attentato della plebe lo sdegno del Senato pel commesso delitto si sarebbe rivolto contro gli uomini della fazione contraria (mentrech il Senato medesimo per tal motivo erasi verso sera radunato in fretta sul P alatin o , ed aveva o rd in a to , che s i . nominasse un interr , al quale , come anche ai tribuni della p leb e , ed a Pompeo , si dasse incumbenza di prender la difesa della c itt , acci la medesima non patisse alcun danno); anch'esso al*
( 1 ) Vegga G iov. KirmaoDo, de Rom . fu r u r - l . c. 4 e Mg* GagUelmo S lu k io , jUntiguit. Cni>'al. i . 1 c . a5 , e Sertorio U r l a t i , Honamanla P alatina.
D iotie, tomo l .
3

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yfitxt ]q,.j, trattosi in mezzo chiese la magistratnra con Ranj uguaJe ^ o ^Qcora eoa maggior impegno di prima. 703 quindi V aiTare si ridusse di nuovo ai combatti menti , ed alle uccisioni, di modo che il Senato conferm il sopraddetto decreto , e chiam fuor di Roma Pompeo ( i) , e gli concesse la facolt di far nuove leve 5 ed i senatori presero il vestimento lu gubre. Pompeo di l a non molto venne presso la cUt , e poste attorno attorno delle guardie si tenne il Senato fuor del Pomerio vicino al di lui teatro j . e si decret , che si raccogliessero le ossa di Glodio , e che Fausto figliuolo di Siila rimettesse ia piedi la Curia. Era l Ostilia la Curia , che per l in cendio erasi dem olita, fabbricata per in altra ma niera da Siila. Stabilirono adunque , che da colui si rifacesse, e che prendesse il suo nome. Stando so spesi gli animi di tutti ad aspettare chi mai avrebbe avuti i magistrati ; ed altri tumultuosamente gridan do , che si doveva crear dittatore Pom peo, ed altri ^ che bisognava conferire a Cesare il consolato ( il quale in quel tempo per le sue imprese veniva tanto onorato , che in riguardo delle medesime s'intim a rono delle preghiere pubbliche per sessanta giorni) j allora il S e n a to , ed in ispecial. modo Bibulo , chepel primo doveva dire il suo sentim ento, avendo timore di costoro d u e , prevennero gl' impegni della plebe f e diedero il consolato a P om peo , acci
(i) C oloro, che aycTano l impero proconsolare non polevano enlrare ia c itta , /. 3g. Si consolli anche Alessandro D o n alo , I f c Urbe R om a, l. I , c . 8 ( . 3 Thes. G reaf,

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non fosse fatto dittatore : ed a lui solo lo diedero ' , Dt ' acci non fosse suo collega Cesare. Uaa tal cosa quantunque con nuovo esempio da loro si effettuasse, ^oa n per P addietro accaduta fosse giammai ad alcun romano ; ci non ostante non pareva , che da lor medesimi si eseguisse senza ragione : imperocch sic come Pompeo favoriva la plebe meno di Cesare , speravano essi di poterlo distaccare interamente dalla medesima , e dalla lor parte ridurlo. N rimasero eglino delusi da tale speranza, mentre insuperbitosi p er simile onore nuovo ed impensato , non dava pi alcun consiglio in favor della p lebe, ma effet tuava assolutamente tutte le cose secondo l inten zione del Senato. Non volle per altro esercitar da se solo la magistratura , e giudicando , che a lui ne fosse toccata bastevol gloria colP essersi decretato m tal guisa , stim bene di scansar l invidia di un tal fatto ; e siccome tem eva, che , essendovi un posto vacante, non gli si dasse per collega Cesare dall'impegno dei soldati, e della m oltitudine, fece s per mezzo dei tribuni della p le b e , che a lui quan tunque assente fosse lecito di chiedere il consolato nel tempo prefisso dalle leggi , acci non gli sem brasse di essere del tutto tenuto in noa cale, e quindi aver potesse un giusto motivo di sdeguo ; ed egli stesso poi si prese per collega Q. Scipione, suo suo cero , ed in allora reo di ambito. Questo medesimo Scipione, essendo per natura figliuolo di Nasica, per testamento fu adottato nella famiglia e nella eredit di Metello Pio; e cos portando il nome di M etello,

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aveva dato in malrimonio una figliuola a P om peo, e da costui all'incontro aveva ottenuto il consolato, 70a come anche di non esser chiamato in giudizio. Erano moltissimi quelli , ai quali come rei di ambito era stato fissato il giorno a com parire, tanto pi che dalle leggi di Pompeo erasi fatto , che i processi si formassero con maggiore accuratezza di prima : im perocch ei stesso aveva scelti tutti quelli, fra i quali dovevano estrarsi a sorte i giudici, ed aveva desti nato air una ed all' altra parte un certo num ero di avvocati , affinch attesa la moltitudine di costoro i giudici non fossero posti in coufusione e in disordi ne j ed aveva ordinato , che per trattar la causa si concedessero due ore all'attore e tre al reo. Siccome poi pi d' ogni altra cosa per lo passato aveva cor rotti i giud7 .j anche q u esto , cio , che dai rei si ' fermavano delle persone, che li lodassero, ed in tal modo moltissimi lodati da uomini di sotoma autorit ei-ansi sottratti dai giudizj. Pompeo per emendar ci p r o ib , che niuno assolutamente per 1' avvenire in tercedesse a favore d e 're i con la lode giustiziale. SI fatte cose , ed altre simili a queste erano state sta bilite per tutti i giudizj. Contro quelli poi , i quali avessero fatti 'dei regali per procurarsi le magistratu r , fiss che fossero accusatori quei medesimi, che prima per lo stesso motivo erano stati condannati , proposto anche ai medesimi un non picciolo prem io; imperocch a chiunque avesse convinti due del m e desimo , o anche di un minore delitto , o uno solo d 'u n maggiore di quello , pel quale ei stesso e ra

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stato condannato , si dava 1' impunit del proprio suo fallo. E quindi ne avvenne , che v erano molti re i, e vi fu anche Plauzio Ipseo, che nel dimandare 7oa il consolato aveva gareggiato con Milone e co n 'S c i pione ; avvegnach di questi tre rei di ambito , il solo Ipseo fosse condannato. vero, che a Scipione era stato determinato il giorno a comparire da due accusatori; ma a riguardo di Pompeo avea evitato il giudizio. Milone poi non fu per tal delitto strascinato in giudizio, perch era maggiore la colpa, che a lui si d a v a , del commesso omicidio. Allorch adunque si venne a giudicare intorno all' omicidio del detto Milone , per sentimento dei giudici fu condannato ; n poteva far egli alcuna violenza, mentre dopo aver disposte Pompeo delle guardie per tutta la citt, era intervenuto al giudizio con soldati in arme ; e per tal causa essendosi da alcuni fatto tumulto , esso ordin ai detti soldati , che percuotendoli con la parte opposta, e piatta delle loro spade , li caccias sero iria dal foro : ma siccome quelli non cedevano, ed dinA scherzavano , quasi percossi per giuoco , quindi ve ne furono a lc u n i, che restarono fe riti, e taluni anche uccisi. Tenutosi in tal guisa senza tur bolenza il congresso dei giudici , altri furono con dannati per altre cause , e Milone assieme con certi altri per T uccisione di Clodio, quantunque Cicerone difendesse il reo : imperocch queir oratore vedendo Pompeo star presente al giudizio con soldati in arme fuor del costume , si perd d anim o, e fu colpito in guisa dallo spavento , che non disse pur una di

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cose , che aveva prem editate; e pronunziata hom a a stento una breve e fredda orazione, altro non de702 sider che finire di parlare. In fatti quell orazione di Cicerone , che esiste al presente, come se fosse stata recitata in allora a favor di Milone , Cicerone m edesim o, ripreso anim o, dopo alcun tempo a suo agio la scrisse ; e si dice che Milone mandato ia esiglio , quand ebbe letta questa orazione inviatagli da Cicerone, rispose a Cicerone stesso eh era stato bene per lui che non 1 avesse recitata cos in giu dizio , mentre non avrebbe mangiate giammai tante triglie in Massilia (1) ( che quivi erasi egli por tato in esigilo ) se in tal guisa perorato si fosse in suo proprio favore. Cosi fu scritto da. Milone , non perch godesse del suo stato presente ( m entre anzi aveva fatti molti tentativi per impetrare il ritor n o ) ma per redarguir Cicerone, che laddove al tempo della difesa nulla aveva detto di proficuo alla sua ca u sa , componeva poscia delle inutili orazioni, e gliele mandava , quasich potess egli aver dalle me desime un qualche giovamento. Milone p e re n to fu condannato in tal g u isa , ed inoltre anche Rufo e F ia n co , appena furono usciti di c a ric a , e di p i molti altri ancora per l incendio della Curia. N gio v a Fianco 1 aver avuto l impegno di Pompeo , n r essere stato mandato da questo ai giudici un libro, nel quale si conteneva la lode di Fianco , e la su p plica per la sua causa ) imperocch M. Catone , ch e
(t) Adeuo & Martiglia, citt in Provenza alla spiaggia del M ed i terraneo.

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dtveva fare il processo , disse c te non avrebbe anmesso Pompeo per lodatore contro le sue leggi nurlesime. Catone per altro non diede il suo volo in 702 qiesta c a u sa , mentre per una legge dello stesso Ptmpeo era lecito tanto aH' attore , quanto al reo di levar via cinque dal numero de' giudici, quando o i' uno o r altro si fosse anticipatamente immagin ab che alcuni di quelli avrebbero apertamente data conro la lorp sentenza (i) * , c perci Fianco accor* tosi di questo intorno a Catone , lo aveva scartato dai {indici : ma ci non ostante il detto Fianco dalle sentenze degli altri rest condannato. di fatti pa^ reva tosa ingiusta che dopo essersi condannato Ru fo , s assolvesse F ia n c o , la di cui causa era la stessa e quelli appunto perch Fompeo si sforzava a favor? di F ia n c , volevano opporglisi, onde non essere tenuti pubblicamente pi per suoi servi che per giudei. Cicerone per altro anche in questa oC" castone nulla pi destramente accus Fianco (a) di quel che aveva difeso Milone , perch 1' aspetto del giudizio era lo stesso di quello d'aU ora, e n e ll'u n a e nell altra causa vi aveva Fompeo , che a lui eoa espresso volere , e realmente opponevasi ; e quindi nuovamente Cicerone l offendeva non poco. Fompeo adunque non solo ristabil la forma de' giudi/.j ma linnov anche la legge intorno ai comizj , che in certo modo era trasandata, e che ordina che quelli j
( i ) Veggasi Ascouio, in yirgum ento M ilo n ia n u e . ( 3 ) Q uesta orazione di Cicerone contro T . Munaxio PUqc<' *> i p e rd u ta .

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jtFni j quali aspirano ad una qualche m agistratura, si trovino pronti agli stessi comizj , e non si abbia veyoa runa considerazione per chi assente 3 e confern il decreto del Senato fatto poc anzi , cio che do loro , i quali avessero esercitate le magistrature nella c it t , non ottenessero in sorte le straniere provncie , prim a'che spirato non fosse il quinto auao. Con tutto questo per non ebbe rossore Pompeo , che s fatte cose avea prom ulgate, di prendere egli stesso poco teihpo dopo il comando della Spagna per altri cinque anni 5 e di concedere per m etto di un decreto medesimo la facolt di chiedere i? con* solato anche a Cesare assente ( i di cui amici sof> frivano di mal anim o, quanto dir si p o s s a , le so praddette leggi ) j imperocch egli aggiunse questo alla legge , cio che solo a q u e lli, in tempo che stavano assenti, fosse lecito di farne richiesta , ai quali nominatamente ed apertamente si permettesse^ il che non era niente meglio di quel che se neppure si fosse proibito , perch c o lo ro , i quali acquista vano potere , senza dubbio avrebbero fatto in modo che per mezzo di un simile 'decreto si condiscen desse al proprio loro desiderio. E d in tal guisa al lora Pompeo si port nel 'governo della repubblica. Scipione poi non solo non promulg alcuna legge ; ma anzi annull quelle c o se , che da Glodio erano state stabilite intorno ai censori ( i ) , e rend a que sti la lor primiera autorit; il che quantunque sem( 1 ) V<|^2y x xxviii, p. aS8.

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brasse fatto in favor dei medesimi , * ci non ostante D / and tatto al contrario. Di fatti, essendo entrati s nell' ordine equestre , come nel senatorio parecchi 702 uomini di niuno pregio , per tutto quel tetaipo, in cui non era stato permesso ai censori di riQiuovere dal suo grado alcun di costoro o coll' accusrlo , o col condannarlo, neppur si pot imputare a man> canza ai medesimi , se tali uomini malvagi non ve> nivano cassati dal catalogo ; ma dopo che i cen* sori ebbero ricuperato il loro antico potere , in vi gor di cui essi da per s aveano dritto d'informarsi della condotta di chiunque , e di notare d'infam ia chi lo meritava ; allora n avevano coraggio di of fender tante p e rso n e, n volevano incorrere nella critica di non rimuovere dal loro grado i meno ca> paci ; e quindi niuno che avesse prudenza dimand pi la censura. Tali cose adunque furono decretate intorno ai censori. C
apitolo

VI.

D el principio della discordia fr a Cesare e Pompeo.


Catone poi , quantunque per se stesso non bra* ^o 3 masse egli alcuna m agistratura, contuttoci siccome scorgeva , che Cesare e Pompeo eransi fatti grandi pi di quel che portava lo stato di repubblica 3 e siccome congetturava, che ne sarebbe avvenuto, o che uniti insieme sariano entrati nel supremo co mando, o che venati fra loro in discordia avrebbero

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suscitata una grandissima sedizione ; e chi di loro noM A avesse vinto , si sarebbe solo impadronito di tutto j 7o3 stabil di distinigger la loro potenza, prima che vc nisser fra loro a contrasto : e per vedendo che nulla ottenuto avrebbe da privato , chiese di esser fatto consolo con animo avverso e disposto contro costoro. Ma essendo osservato dai partigiani di Ce sare e di P om peo, che da colui una tal cosa si macchinava , egli non ebbe il consolato j e furono creati consoli M. Marcello e Sulpicio Rufo , questi per la pratica che aveva delle leggi , e 1 altro per la sua eloquenza ; e tanto pi perch richiesta ave vano una tal dignit non coi regali e con la forza ; ma col fare i loro ufficj , e col dirigere le lor sup pliche a tutti. Catone poi non avea voluto guada gnarsi la grazia di alcuno , e si astenne poscia dal chiedere il consolato, dicendo, essere da uemo pro bo e dabbene il non esimersi dal governo della re pubblica , qualora alcuni avesser voluto servirsi di lui', ma che per non si doveva bram ar pi del do vere. Marcello per altro , il quale seguiva il partito di Pom peo, tent subitamente ogni ' mezzo onde ab bassar Cesare 3 e rappresent al Senato parecchie altre cose contro il medesimo j ed in ispecial modo fece istanza , che si mandasse a lui un successore prima del tempo prescritto dalle leggi. Marcello si opposero e Sulpicio ed alquanti tribuni 3 questi , perch favorivano C e sare, e quelli non solo p er questa ragione , ma anche perch dalla pi parte non veniva approvato, che si togliesse a chicchessia

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il com ando, prima cbe non ne fosse spirato il tempo , non essendovi alcun delitto. Sapute eh' ebbe queste cose Pompeo ( mentr era partito da Roma 703 come per andarsene coll' esercito nella Spagna, ma. per non era per anche uscito d 'I ta l ia , ed afQdata ai suoi legati tutta T impresa spagnuola , esso erasi tratten u to , a Gne di stare attento a quanto facevasi in Rma ) finse , che neppur da lui si approvasse ^ che Cesare fosse privato del comando : e fece que sto , perch appena spirato il tempo a lui accordato ( e ci dovea succedere non gi molto d ip o i, ma bens quanto prima nell' anno prossimo ) gli venisse imposto di deporre le a rm i, e di tornarsene a casa come privato. P er mandar ci ad effetto innalz al consolato G. Marcello , cugino, ovvero fratello di M. Marcello (m entre l'u n o e l'altro si dice) pai rente vero di Cesare , ma suo nemico j e simil mente promosse al tribunato C. Curione, che gi da un pezzo odiava il medesimo Cesare. Ma Cesare j che anche riguardo a tutto il resto avrebbe sofferto assai male di esser ridotto ad una vita privata dopo un s grande e s lungo comando, temendo in oltre di non andare , seguito ci , in potere de' suoi vversarj , si prepar in maniera da far vedere , che anche contro lor voglia avrebbe egli ritenuto il co mando. Fece pertanto nuove leve .di so ld ati, am mass del danaro , prepar delle armi , e procur , che il suo impero fosse a tutti accetto.' In questo frattempo essendo d' avviso di dover disporre in qualche modo anche le cose di citt a suo proprio

46o

vantaggio, acci potesse sembrare, ch ei non faceva tutte le cose con la forza, ma colla persuasiva, de74 termin di ritornare in grazia con Curione, il quale discendendo dalla razza dei CurJohi era d'anim o perspicace e fornito di grande eloquenza, e molto grato alla moltitudine -, ed era solito di non tratte nersi dal far qualunque profusione di danaro , per ottener egli il primato in qualche cosa, o per ajutar gli altri in simile occasione. Cesare adunque lo tir dal suo partito col dargli grandi speranze , e col 11hexarlo da tutti i debiti , dai quali era gravato alr eccesso attesa la sua immensa prodigalit : impe rocch Cesare per ottenere quanto allora meditava , non guardavasi dallo spendere qualunque somma di danaro ; siccome quegli che ben sapeva, che dopo aver ultimato un simile affare , ne sarebbero a lui tornate bastanti ricchezze : ed in oltre prometteva a parecchj moltissime c o se , delle quali non pensava di darne loro 'una bench menoma parte. Conciliavasi pertanto il favore non solo degli uomini lib e ri, ma ancora dei servi , laddove sapeva esservene al cuno , che qualche cosa potesse presso i suoi pa droni : per lo che moltissimi non solo di equestre , ma anche di dignit senatoria agivano di concerto con Cesare. Curione , quantunque ormai favorisse le parti di Cesare , contuttoci non lo diede subito a divedere , aspettando prima una convenevole occa sione , onde sembrasse che a lui fosse passato , n o a di sua spontanea volont , ma sforzato. d in oltre rifletteva seco stesso anche a questo , che quanto

4 Ci

pi a lungo avesse egli aderito ai nemici di Cesare, come se fosse stato con essi d' accordo , tanto pi ne avrebbe potuto risapere in maggior quantit i 704 pi 'occulti segreti. P er questi motivi ricopr egli per moltissimo tempo la sua intenzione, e per non dare un qualche sospetto di essersi cangiato d' animo col non esser egli dei primi anche allora a pensare , e a dir tutto Conti Cesare , gi fin sul principio del suo tribunato aring contro di lu i, e promulg molte leggi assu rd e , ed alcune anche contro il Senato , contro i pi potenti del Senato medesimo , i quali priudpalmente favorivano Pompeo 3 non perch vo lesse , o giudicasse , che alcuna di quelle sarebbe stata ratificata j ma acci ripudiatesi le medesime , non si decretasse cosa alcuna contro Cesare (mentre gi molte cose gli erano state scritte contro ) ^ ed egli stesso avesse questa occasione di far passaggio al medesimo. Avendo quindi consumato molto tempo nel finger cause una sopra P a ltra , intorno ad alcuna delle quali non si poteva far decreto, egli simulando di soffrir ci con dispiacere, chiese , che si aggiugnesse un altro mese a promulgar finalmente quelle leggi (i). Una tale aggiunta aveva luogo , ogni qual volta gli affari lo richiedevano j ma in allora non vi era bisogno di farlo j e Curione ste sso , siccome
(i) Era in arbitrio dei poatefici ragginngere ( intercalare ) i giorni ' o i m ei , e di tal facaU tpesso li abusavano, come da Censorino e. ae ; da Solino, e. i , da Macrobio, S a t. <. i , c. i3 i e da Ammiano, /. 3 0 , e- 1, ha dimMUal Filippo M unchero, , de IrUerealatioae e . 7 .

462

pontefice, Io sapeva benissimo: ci non ostante per sosteneva , esser necessaria la detta aggiunta 5 ed y o 3 certo , ctie col suo gridare tent di obbligar a ci i pontefici suoi colleglli. Ma non avendo potuto in durre i medesimi a compiacerlo ( e realmente non 10 bramava ) non perm ise, cbe si facesse decreto intorno a verun altra cosa; e difendendo ormai alla scoperta la causa di C esare, per essersi opposto lungo tempo inutilmente contro il m edesim o , mise in campo tutte quelle cose , le quali egli ben s 'im maginava che non sarebbero state approvate j e prin< cipalmente insist a voler questo , cio , o che tutti coloro , i quali stavano in a rm i, deposte le medesi me , licenziassero 1 esercito , o veramente che nepp u r Cesare privato delle sue soldatesche rimanessi esposto alla potenza de' suoi avversar). Egli poi di ceva tal c o s a , non perch b ram asse, che Cesare deponesse le armi ; ma perch eragli bastantemente n o to , che Pompeo non avrebbe obbedito a questa sentenza, per lo cbe anche Cesare avrebbe avuto un legittimo pretesto di non congedare F esercito. Pom* peo a dir vero, non avendo ottenuta cosa alcuna in altra maniera , si rivolse apertamente all' asprezza , dicendo , e al tempo stesso facendo tutto contro Cesare j ma per nulla ottenne , mentre difendevano 11 detto Cesare molti altri e smgolarmente L. P aolo, il quale era collega di Marcello nel consolato , e L . Pifione chera suocero di Cesare (i), e che in allora
( i ) Ayeva C esate presa ia moglie la ooitui figliuola C a lp a r o ia ,

l. 38.

46S

esercitavi la censura. Eransi fissati in quel tempo p er censori ppio Claudio e Pisone , sebbene quest'ultimo Io fosse stato contro sua voglia. Pisone at> 70^ tesa la parentela favoriva Cesare , ed ppio nemico di esso Cesare , ed affezionato verso Pompeo giov molto a C e sare, senza volerlo : imperocch censu rando egli ad onta del suo collega molti cavalieri e sen ato ri, fece s i , che tutti questi in seguito abbrac ciarono il partito di Cesare. Pisone dai suo canto essendo inclinato alla quiete , ed anche in riguardo d e ir amicizia d/el genero ossequiando parecchj, stim bene di non censurar chicchesia j ma per non si oppose al collega , il quale cacci dal Senato tu tti i figliuoli dei liberti j e molti anche fra i nobili , e fra questi similmente Crispo Sallustio, quegli stesso, che scrisse la storia (1) : egli per altro a forza di pregare insieme con Paolo di lui cognato salv C urione , al quale sovrastava la medesima sorte. Ma quantunque ppio non rimovesse per tal motivo Curione dal Senato ; contuttoci manifest pubblica* mente intorno al medesimo il suo sentimento in Se* nato ; e quindi colui inasprito dalP indegnit di un tal fatto ) si lacer il suo proprio vestimento (a).
( i) 11 motivo f a , perch Sallustio avea commesso adulterio con Fausta moglie di Miloue, Marlin. Haock. in SaUust. vita t. i , do Rom . rerum toriptoribut. Sallustio dipoi fu rimesso in Senato da C esare, creato pretore, e (atto goTernatore della Miimidia, come si vedr al lib. x l i i . (>) nolo il costume di lacerarsi i -vestimenti per dolore, o per isdcgno , mentre il nostro autore u fa spesso mcDiirae. Si consulti

464

'* * ' Marcello p o i , avendo preso Curione , e sperando , che il Senato in odio del medesimo avrebbe fatto 7^4 un qualche importante decreto s contro l u i , come contro Cesare , dimand intorno ad esso ai senatori il lor sentimento. Curione sulle prime cominci a dire , che intorno a se stesso non si doveano chie dere gli altrui pareri : ma poi<cia venuto in c h ia ro , che molti dei senatori, i quali in allora si ritrova vano p rese n ti, in parte favorivano assolutamente il partito di Cesare , ed in parte lui stesso grande mente temevano , permise al Senato di formargli il processo , premettendo solo queste parple : io sono consapevole a me medesimo di aver fatte cose otti me e di vantaggio della patria; per Io che d nelle vostre mani la mia persona e la mia v ita , e decre tatene v o i, come pi vi parr. Avendo Marcello ac cusato costui in maniera , che punto non dubitava , che non fosse per restar condannato , dopo che lo vide assoluto dal sentimento dei p i , commise u n 'a zione indegna, e sbalzando fuor di Senato se n'and a Pompeo nei sobborghi , ed a lui esso da per s solo senza che se ne fosse fatto alcun decreto, affid la custodia della citt con due legioni di cittadini j e gi v' erano questi soldati messi in ordine per si mile effetto. Imperocch Pompeo > in tempo che col tivava per anche lamicizia di Cesare gli aveva data ima delle sue scelte legioni, acci se ne servisse j
la diuerlaiione di Critloforo W ichm aiitaaten, de laotraone oetum apud H ehratoi usitaCa , tf^Utehergae 1 7 1 6 , e Pietro Fabro S em etuium , l- a> c . 1 0 .

465
mentre aveva bisogno di soldati ; ed egli stesso non faceva guerra veruna. Ma dopo che cominciarono a venire in discordia fra loro , Pompeo per riavere la 7o3 sua legione , e per ritoglierne un altra di sopra pi a Cesare , invent , che Bibulo avea bisogno di sol dati contro i Parti , ed acci non si facessero delle nuove leve , mentre diceva che in simile affare era necessaria la prontezza , e che i Romani abbonda vano di legioni , opr in guisa , che per mezzo di un decreto venisse imposto all' uno ed all' altro ; ad esso Pompeo cio , ed a C esare , di mandai'e una legione per cadauno a Bbulo. Pompeo p e r . non sped alcuna di quelle legioni , che seco aveva in allora; ma ordin a coloro, i quali sopraintendevauo a simile affare, di richieder da Cesare la legione , che a Cesare stesso egli ayeva data; ed in tal guisa quantunque comparisse, che 1' uno e 1 altro somministrasse la sua legione , contuttoci Cesare le som ministr tutte due. Cesare erasi bene accorto di questo ; ma per non dar luogo ad essere incolpato , quasich non avesse dato esecuzione a quanto gli era stato ordinato , obbed y singolarmente perch in questa occasione erasi prefisso di reclutai-e in luogo di quelli uir molto maggior numero di soldatL Si mettevano adunque all' ordine lo dette due legioni, siccome quelle che spedir si doveano contro i Parli; ma poscia nluno dei sopraddetti essendosene servila p er quella g u e rra , ebbe timore M arcello, che non fossero restituite a Cesare ; e quiiicli ordin , che si trattenessero in Italia ; ed in allora {come ho gi
B ioke , tomo I, Za

466

detto ) le diede a Pompeo. Siccome poi qneite cose eseguivansi sul fibir dell anno , e Marcello vedeva, 7 o3 che non sarebbero state approvate per lungo tem po, non avendole ordinate n il Senato , n il popolo , condusse seco a Pompeo Cornelio Lentulo , e Gajo Claudio nominati consoli, ed opr in m o d o , che ordinassero le medesime cose. E d in fatti stantech in allora era lecito ai magistrati gi destinati di pubv blicar degli editti, e di far aqche altre cose spettanti alla lor carica prima di entrare nella medesima, par e v a , che similmente i consoli avessero una tal fa colt. Ma Pofnpeo , che per altro era un uomo in tutto esattissimo, siccome in allora areva bisogno di soldati, non si dimostr^ curioso di sapere n da c h i, n in qual maniera li riceveva, e gli accett ben volentieri. Non ne avvenne per in seguito cosa ve runa , come taluno si aspettava da un fatto cosi ar dito j ma essendosi palesata soltanto la inimicizia contro Cesare, essi poscia non tentarono oltre a ci alcuna violenza, e somministrarono al medesimo Ce sare un ottimo pretesto di ritenere le sue legioni, Curione poi dopo essersi fermato molto nell accusar per tal cosa i consoli, e Pom peo, appena uscito (I4 cai-ica se n and a dirittura da Cesare.

fIN E

DEL TOMO PRIMO.

467

I N D I C E
DELLE MATERIE CONTENUTE IN QUESTO TOMO

I lipOgraA fratelli Sontogno al benigno

Lettore C .

P ag,

Vita di Dione C a u i o ...................................................................

xt
t

fiAMMEaTi dei primi trenuqoattro l i b r i .............................. ....... FRAMMENTO DEL LIBRO TREN TESIM OQ UINTO. C * r. te

I . Di Tarie imprese a perdile &tte da Lncollo . . n i38 U . Come nacque la editione uel campo di Locnllo, Mitridate ricuper ogni c o s a .........................n i48 LIBRO TREN TESIM OSESTO.

C k t.

i *-

! Metello assoggetta la C reta: e della ibsolensa dei C o r s a r i ................................................................... n 1S4 I I . Ragionamento di Pompeo e di Gabinio ai Ro mani ............................... i63 III. Come parl Catulo ai Romani . . . * . 170 IV . Di varie leggi, che furono promulgate, e della spe> diiiona di Pompeo contro Mitridate . . . i j 8 V . Coma Pompeo finse Mitridate in una pugna n o t turna......................................................................... n 1S8 V I. Tigrane il padre si arrehde, ed il figlinolo riena post in ceppi . , . . . , . , . 9 1 ^

468
LIBRO TRENTESIM OSETTIM O. C ai*. ! Come Pompeo guerreggi coalro gl l'beri j e di y i rie altre imprese fatte da lui . . . . Pag. 3os I I . Della morte d M i t r i d a t e .................................... ti II I . Della guerra giudaica e dei Giudei . . . . a io IV . Del ritorno di Pompeo a R o m a ........................ aa6 V . Come tent Catilina di rovinare la repubblica . a36 V I. Della morte di Catilina . ' ..................................... a4? V II, Dell infame ardimento di Clodio, e della venuta di Pompeo in I t a l i a ................................................. aS3 V ili. Di Cesare , Pompeo e C rau o ; e della loro con giura .............................................................................. . a6a LIBRO TRENTESIMOTTAVO. C ^r. i 1. Delle differenze insorte fra Cesare e Bibulo a ; ! II. Come Cicerone and in e s i l i o ........................ aSa III. In qual modo l asule Cicerone fu consolalo da Filis c o ............................................................................... ag5 IV . Come guerreggi Cesare contro gli Elvexj e centro Ariovisto . , . ' ................................................. 3 i 9 V . Bagionamento di C e s a r e ..................................... ...... 3 ig LIBRO TRE3NTESIM0N0N0. C af . I . Come Cesare guerreggi contro i Belgi . n I I , Del ritorno di C i c e r o n e ..................................... III. Come Tolomeo caccialo dall Egitto venne in Ro ma ......................................................................... IV, Come Catane ristabil gli affari di Cipro , , V , In qual modo Pompeo e Crasso furono falli con soli ....................................................... ... .. . n V I, Di ci che fecero i consoli Pompeo e Crasso; e della dedicazione del teatro di Pompeo . . V II. Come Decimo Bruto vinse i Veneti, e P . Crasso combatti contro gli A q u i t a n i ......................... V ili. Delle imprese di Cesare di l dal R eno, del suo 3^0 345 35o 354 36o 36|
377

passaggi acUa Brelagna ................................... ...... 385

4%
C ip . IX .
Id

qnil modo Tolomeo fii d Gabinio ricondotto in Egitto, e di ci che avveane a Gabaio . P ag . ga LIBRO QUARANTESIMO.

C*i>.

I . Cesare -va Duovameoie in Bretagna : e ritomMo dalla medesima guerreggia per la Seconda volta contro i G a l l i ................................................ ...... 4o3 Crasso s porta a far la guerra contro i Parti . 3 ia III. Della morte di C r a s s o ........................................... 4 1 8 IV . In qual modo Cesare assoggett tatta la Gallia Cialpioa ...................................................................rti 4 3 i V. In qual guisa Clodio fu acciio da Milone, e come questi fu c o n d a n n a t o ..................................... ...... 4 ( 4 VI. Del principio della discordia fra Cesare e Pom -

..................................................

457

rilfB BUL^IBOICS.

INDICE
D E L L E TA V O LE IN RAME E CABTE G EO G R A FIC

contenute in questo tomo.

Tavola I, e II. Medaglie di alcuni uomini illustri menzionati nella presente opera. Carta delF Iberia , p. aoa. n della Belgica, p, 34 o.

D E SC R IZ IO N E delle M edaglie esistenti nella Tavola


Nom. 1.
F ornace l . Medaglia d oro rappresentante la teita di esso re cojla le genda uel tu o roveioio =: B n A i r B anA fw r M f y A v a l i a v o = Regu Epgam Magni Pharnacis ==. L anno espresso dalle tre lettere M corrisponde al 34.5 dellE ra del Ponto j 'jo3 di R o m a , e 5 s avanti lE ra cristiana. In tale epoca Fornace vivea tranquillo nel B osforo, dove presamesi battuta tip o , se d a to , questa cd m edaglia, il che vien po re avvalorato d \ Apollo espresso nel con n n ram o di lanro nella saa d r i t t a , avente la sinistra appoggiata alla lira. Il tripode collocato da* Tanti la fignra simbolo degli oracoli.

W oM . 2.
Arsoce Sonatrco. n Suo busto olTre la imagine d ' un principe attempato con poca barba e con diadema in testa. Leggesi nella posta ^ MiyXv Xatrf*iM .*v parte op St:rT fe Dio ) unito

Mvf f yi r t u =5 jRegis M agni Sanatrici Arsoci* Teopatoris hvergeti* s : L rpiteio di teopatore ( figlio d n n padre al prenom e S a n a tric o , rende sommameote probabile la co n -

gettora c h 'e g li fosse Arsace Sanatrioo figlio di Mitridate I , e fratello di F r a a t e l l , a cni venne im posto, come i ben n oto, il soprannome di teopatore. L a fisonoana del r e , che nel naso e negli occhi molto somiglia a quella vorisce r esposta opinionj. F raate I I , a liai fa

IT o m . 3.
A ltro B u tto iU A n a c e Sanatre, T ale il giudizio fattone dalli periti nella nnm itD iatica,

tutto che la legenda a tergo sia del legoente tenore =: B A im M iycA* Afrm *.tv Q it:rr* f4 * Z v t f y t r t v s R e ^ M a g n i Arsacis Teopatoris E vergetis. Num. i . Tl^rane. M edaglia, per q u an to apparisce dall esame del tip o , battnU in Siria. Soorgesi nel suo dritto la testa del re T igranc ri coperta da una tiara non della forma io uso presso gli altri P rincip i A rm eni. Le falde di essa, fatta orm ai inTsibi)e, te rm iuano con sp illa tu ra a guisa di raggiante coro na: d a e aq u ile ed nna stella s o n o , p er qaauto sem b ra, ricamate sopra l ele vazione cilindrica form ata da esse falde ; n c ii a caso : poi ch l aqnila antico emblema dei re p ersiani, era divenuto pi& partiuolarraente quello dei Strj j e T igrane , a prefcrenia di ogni a l tr o , come conquistatore di quel regno, potcalo far* di sua ragione. I l rovescio rappresenta la citt di A ntiochia personificata , assisa sopra uno scoglio, da oui denudata esc* la n e s z a figura del fiume O ronte. Essa donna allegorica con corona m erlata in lesta , Ha una palma nella mano destra. L O ronte senta b a rb a , e con icapelli pendenti sopra gli omeri. Una ghirlanda di lauro circonda il tipo colle parole ;= B tin A n tf T t y f mr t u ss h'egit Tigrani Si ossenrano nel campo della medaglia, d u e monogrammi, l^ n o composto dalle lettere I ed O , l altro da n n T o X e da un r .

D E SC R IZ IO N E delle M edaglie esistenti nella Tavola II.**


TH vm . 1.
Tolomeo A ulite.
Qaeita medaglia di bromo ha le dimeDiioni d na tetradramma. ^ Dall una parte offre 1* imagine di eso principe ri coperto dairegida e coronato di lauro. Ha ] aquila genda =: s l altra per tipo che tiene il fulmine fra i suoi artiglj , e per leg>

R e^s Ptolomei s

Un cor-

nucopia di abbondauxa d impresso nel suo campo.

Nom. 2.
JUitrdute F I Eupatore, o M in ia te il grande.
Tetradramma di M itridate di bellissimo lavoro, il quale aprirne con diadema , molta industria l energica fisonomia di questo circondangli il co llo , danno un principe: i auoi capelli io disordine, e ohe celano in parte il le cui estremiti moto ad esso ritratto da supporlo copia di statua equestre, o di altra figura posta su d on carro io atto di correre. Il rovescio ha la seguente iscrisione s fi> ZufrT*f*t r i 2 ~ Regi* Mithradatis Eupatoris s La co

rona di edera che circonda il tipo fa allusione a Bacco, divi n iti a cui paragonavausi i conquistatori, e della quale l adu lazione attribuiva a M itridate gli onori ed il nome. Il cervo particolare in Cnraana in sembianza di pascolare , impressovi nel centro , un sim bolo di Diana. Questa Dea avea culto

Bel P en to , ed i ra maoteaevano il suo tem pio, e vi nomi

navano a sacerdoti coloro che reputavauo meriuvoli

di pi&

distinto onore. Il perch iffatto emblema ed alle monete di quel regno fu convenientemente apposto, e vie pi& a quella di M itridate principe appaisionato per la caccia, e che ad un addomesticato cervo avea affidata la castodia della sua perso sa .

V anao n z ,

2 13

dell* Era del P on to ,

eqnivale

all* 8 i

dell*Era cristiana, epoca in coi fa coniata questa m oneta, conchiaso il trattato di pace da M itridate con S iila al oom p ien i probabilmente della na prima guerra contro i Romani-

Num. 3.
A ltra Medaglia di M itridate.
La somiglianza del suo profilo aIl*ateoedente, e la capiglia tura egualmente disposta non permettono di supporla d altrui anzich di Mitridate, sebbene manchi il suo nome nella le genda espressa in questi termini s s: Smymeeorum la magistratora

Bermogenes,

Xfvftmimt Efftyttnt Phrixus ss ConTien

quiudi supporre che la medaglia fosse battnta in Smirne sotto di Ermogene e di F r itto , allorch il re del cui M itridate nella sua Ponto signoreggiava la Jonia. Questa medaglia sarebbe dunque all' altra anteriore, e dell* epoca in prima guerra , invasa tutta TAsia minore , si sforzava di cac ciare i Romani della Grecia. La vittoria , tipo del roreKo, k relativa a queste circostanze.

C ojvi^'

Marnaceli.,

Sanajricif

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Tirrane

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