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Pino Blasone

Tempo, spazio e narrazione, in tre letture del Novecento


Spazio e tempo, in Hemingway Tempo e memoria, in Proust Kawabata, una poetica del luogo Bibliografia Spazio e tempo, in Hemingway

Il presidente degli U.S.A. John F. Kennedy ebbe a definre Ernest Hemingway cittadino del mondo. La sua narrativa letteralmente ricca di spazialit. Le ambientazioni spaziano dallItalia alla Spagna, dalla Francia a Cuba, fino allAfrica nera e alla Cina. Assumendo in chiave metaforica il titolo di unopera dello scrittore, per lo pi lo spazio della narrazione appare quasi dislocato Di l dal fiume e tra gli alberi Il compimento o meno di questa tensione verso laltrove e loltre pu essere assunto fra i criteri, per giudicare quali narrazioni siano pi o meno riuscite, nellambito della produzione dellautore. In effetti, se la critica letteraria ha ritenuto Di l dal fiume e tra gli alberi unopera relativamente minore, un tale criterio non del tutto estraneo a questopinione negativa. Se si paragona Hemingway a un narratore francese degli inizi del Novecento quale Marcel Proust, la prima probabile impressione sar che difficile immaginare scrittori di
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indirizzo tanto contrario, come gi rilevava Bruce Chatwin. Intanto, risalter una diversit formale tra loro. Vale a dire, una differenza di impostazione, nella sintassi del discorso. Lo stile del primo sintetico, prossimo al parlato, in conformit con la formazione giornalistica dellautore. In particolare per quanto riguarda Di l dal fiume e tra gli alberi, il suo linguaggio stato reputato pi che scarno, addirittura povero. Viceversa il periodare di Proust diffuso e complesso, non di rado il linguaggio suona ricercato, come del resto ci si aspetta da chi si sia dedicato Alla ricerca del tempo perduto. I ritmi sincopati della narrazione di Hemingway richiamano il jazz; quelli di Proust, la musica di Claude Debussy. In seguito, subentrer limpressione che ci che li distingue altro. Hemingway sembra privilegiare la dimensione dello spazio, l dove Proust quella del tempo. Agli ampi e vari spazi del viaggiatore, si contrappongono quelli angusti e ripetitivi, perfino provinciali del sedentario. Qualora ci si concentri sulla percezione del tempo, nel primo caso esso si configura come perenne presente storico, tempo esteriore che si studi di mantenere il sapore del resoconto di cronaca. Nel secondo caso, ci accorgiamo di avere a che fare con un tempo della coscienza, tempo interiore che affonda radici nella memoria personale, nel tentativo di sottrarre i ricordi alloblio o alla rimozione operata dallinconscio. Diversamente che per Hemingway, storia collettiva ed esistenza individuale si divaricano, fino a risultare dimensioni autonome. Eppure, le cose stanno davvero cos? Un particolare bio-bibliografico altrimenti trascurabile una quasi coincidenza, che pu fungere da suggestivo indizio per una visione retrospettiva meno stereotipata. Lultimo romanzo del ciclo di Proust esce nel 1927, postumo, intitolato Il tempo ritrovato. Hemingway pubblica il secondo volume di racconti nel 1925, con titolo Il nostro tempo. Fin dagli esordi, la tematica e la problematica della temporalit evocata esplicitamente dal narratore americano. A differenza che per Proust, la sua una contemporaneit corale: si potuto anzi affermare generazionale, con riguardo alla generazione vissuta fra le due guerre mondiali. Ciononostante entrambi narrano uno spazio-tempo realistico, un vissuto per esperienza diretta, rivissuto grazie alla propria memoria. Mentre il primo ne inscena una privata soggettivit, il secondo ne simula una pubblica oggettivit. *** Si riporta che lultimo Hemingway fosse ossessionato dal timore della perdita della memoria, e della conseguente impossibilit di seguitare a narrare. I ricoveri in clinica psichiatrica per curare lalcolismo e la depressione, in particolare i numerosi elettroshock che vi aveva subito, avrebbero compromesso la rara facolt di rammentare e di trasfigurare i ricordi, la quale era stata il segreto della sua fioritura narrativa e della crescente fortuna di scrittore. Non qui il luogo per valutare quanto tale paura fosse fondata o se, invece, essa costituisse il sintomo di un fenomeno morboso. Basti rilevare che opere uscite postume, quali Festa mobile e Isole nella corrente o Vero allalba, poco tolgono al fascino del narratore della cosiddetta gnration perdue. Semmai, vi aggiungono qualcosa di vibrante e di drammatico, che lo sforzo di coniugare evasione e nostalgia. Allapparenza opposti e contrastanti, in realt tali moti dellanimo cercano un equilibrio o una sintesi: evadere nella memoria. La difficolt sorge quando questultima oppone resistenza alla rappresentazione degli eventi, sottraendoli allorizzonte inventivo del
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senso, riducendoli a puro significato. Cos deprivati, essi possono apparire immeritevoli di venir narrati, cio di essere proiettati dalla sfera personale dei ricordi sul piano letterario della scrittura, mantenendo elevata la carica emotiva. Pi che la tecnica narrativa, ci che rischia di venir meno il filtro di una capacit immaginativa, in grado di ricreare la situazione che ha reso levento degno di essere rammemorato, restituendo agli eventi materia di narrazione la coinvolgente immediatezza della loro vitalit. Circa lessenza di questa vitalit, e sulla modalit del suo emergere nella narrativa di Proust, si interrogato fra gli altri il filosofo Gilles Deleuze. Nel trattato Differenza e ripetizione, la risposta del pensatore francese si articola tramite figure simboliche, riprese dallantica mitologia greca e mediate attraverso la moderna psicoanalisi. Mnemosine, dea della memoria e madre delle Muse, viene qui associata a Eros, dio alato del desiderio e dellamore. Dal punto di vista filologico, il riferimento al mito originario pu risultare alquanto approssimativo o deformante. In compenso, la sua attualizzazione e applicazione pertinente ed efficace, al punto da potersi estendere almeno in parte allultimo Hemingway, nonch al preteso ripiegamento dellautore su se stesso: Il presente esiste, ma solo il passato insiste e fornisce lelemento in cui il presente passa e i presenti si incontrano. Soltanto leco dei due presenti forma uninterrogazione persistente, che si sviluppa nella rappresentazione come un campo problematico, con limperativo rigoroso di cercare, di rispondere e di risolvere. Senonch la risposta viene sempre da altra parte: ogni reminiscenza erotica, si tratti di una citt o di una donna. In ogni caso lEros, il noumeno, a farci penetrare nel passato puro in s, nella ripetizione verginale, Mnemosine. Eros il compagno, il promesso di Mnemosine.[1] Per la precisione, piuttosto che a Eros nel mito Mnemosine era abbinata a Zeus re degli dei; con lui ella avrebbe concepito le Muse, protettrici delle arti e ispiratrici della poesia. Ma una cosa certa: il maggior rivale di Eros era Thanatos, dio della morte. Nella sua meta-psicologia, Sigmund Freud riprender lantitesi, adattandola alle esigenze della psicoanalisi. Ebbene, in maniera specifica tutta la narrativa di Hemingway rappresenta una sfida contro la morte; e leros ne unarma, sia pure impiegata con discrezione. Dopo la svolta costituita da Di l dal fiume e tra gli alberi, romanzo della crisi, questa sfida diviene confronto con leternit. Ci traspare specialmente in Il vecchio e il mare, narrazione che valse allautore il premio Nobel per la letteratura nel 1954. Oltre che erotico quello di Hemingway era stato un tempo etico-politico, in romanzi quali Addio alle armi e Per chi suona la campana, e nel meno famoso Avere e non avere, dove il tema della critica sociale affiora con forza. Nellultima produzione del narratore, sulla passione amorosa o su quella civile prende il sopravvento il rimpianto di un tempo perduto, tempo dellinnocenza che pu essere a stento ricordato e idealizzato, mai pi recuperato nella sua edenica interezza. Utopia personale, esso stato dissolto dalla furia demolitrice di un secolo ottuso. In Isole nella corrente lautore a suggerirlo, con insoliti accenti proustiani. Il brano rievoca la giovent trascorsa a Parigi, motivo qui ricorrente, che pervade lestrema prosa memorialistica di Festa mobile: Quali sono stati i momenti pi felici? pens. Erano tutti felici, in realt, nel tempo dellinnocenza e della mancanza dellinutile denaro e quando, tuttavia, riuscivi ugualmente
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a lavorare e a mangiare. Una bicicletta era pi divertente di unautomobile. Si vedevano meglio le cose e ti teneva in forma e tornando a casa dopo aver fatto un giro nel Bois potevi scendere a ruota libera per gli Champs Elyses fin dopo la Rond-Point e quando ti voltavi indietro per vedere cosa cera alle tue spalle, col traffico diviso in due correnti, ecco lalta mole grigia dellarco che spiccava contro il cielo allimbrunire. Gli ippocastani erano in fiore. [] Poi facevamo quattro passi per le strade buie della Montagne Sainte-Genevive, dove le case vecchie non erano state ancora demolite, e cercavamo ogni notte di tornare a casa per una strada diversa.[2] Nuova coincidenza non del tutto fortuita, la Parigi qui esaltata la stessa del dopoguerra che il parigino Proust descrive in Le temps retrouv, dove egli muore nel 1922. Magnetico crocevia culturale a oltranza, il giovane espatriato e reduce Hemingway vi aveva incontrato altri letterati di lingua inglese quali Gertrude Stein, Ezra Pound, Scott Fitzgerald e James Joyce. In una prefazione a Festa mobile stesa a Cuba nel 1960, lautore dichiara: Se il lettore lo preferisce, questo libro pu essere considerato opera di fantasia. Ma esiste sempre la possibilit che unopera di fantasia come questa getti un po di luce su ci che andato sotto il nome di realt.[3] In altri termini, perch esso in qualche modo si realizzi, non c ricordo che non venga sublimato dallimmaginazione. TORNA ALLINDICE Tempo e memoria, in Proust

Molto si discusso, sullispirazione che Proust avrebbe tratto dalla filosofia del compatriota Henri Bergson. Effettivamente, gli scritti di questultimo sulla natura della temporalit vanno dal Saggio sui dati immediati della coscienza del 1889 a Materia e memoria del 1896, a Durata e simultaneit nel 1922. La contrapposizione fra estensione spaziale e tempo in quanto durata tipica di tale pensiero. Non ci sarebbe passato, presente o futuro, senza la funzione ordinatrice della memoria. Per la coscienza opera in maniera simultanea rispetto ai suoi dati, che le si offrono come immediati. Walter Benjamin rilevava che per Bergson tale operazione intenzionale, mentre per Proust involontaria. Intuizione di Proust di un tempo predisposto di per s alla narrazione, ancor prima della deliberazione e delle scelte da parte di un narratore. La durata temporale trova comunque una scansione privilegiata nel racconto, nella riflessione che accompagna la scrittura. Col trascorrere degli anni, attraverso lattivit selettiva della memoria, particolari dimenticati o che sembravano insignificanti riaffiorano e si caricano di un significato inedito. In realt, essi recuperano un senso nascosto che gi avevano, prestandosi a nuove associazioni mentali, in base alle esperienze acquisite nel vissuto posteriore. evidente la valenza narrativa di tale lavorio, in cui Proust arbitro e maestro fin dal celebre esordio della Recherche, nel libro Du ct de chez Swann. Ivi lintera narrazione prende il via dal ricordo della degustazione, nella prima adolescenza, di un dolce dal nome femminile e conturbante: madeleine. Grazie a una reminiscenza erotica, per dirla con Deleuze, da un
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tempo frammentario si sviluppa la complessit della vicenda. Proust stesso ad attestare una dinamica simile, in una lettera ad Andr Gide del gennaio 1914: Sapete, quando dopo molte indecisioni si decide di partire per un viaggio, il piacere che ci ha fatto decidere, la cui immagine fissa ha finito col trionfare sul fastidio di lasciare la propria casa, ecc., spesso un piacere assai piccolo, arbitrariamente scelto dalla memoria fra i ricordi del passato... mangiare un grappolo d'uva a quell'ora, a quel tempo. [] Sotto questa forma, ho ritrovato il Tempo perduto.[4] C del vero nella leggenda di un Proust isolato nel suo studio dalle pareti rivestite di sughero, vittima consenziente di una nevrosi agorafobica, assorbito dalla composizione della Recherche e calato nel suo protagonista narrante. Tuttavia, non va trascurato il Proust analista raffinato ma ironico della buona societ dellepoca. N va dimenticato quello che aveva preso posizione a proposito dellaffare Dreyfus, assumendo la difesa morale dellaccusato in base a precoci pregiudizi razziali antisemiti. Unita a unacuta sensibilit, lesperienza di vita lasciava presagire allautore lo sviluppo ipertrofico delle contraddizioni del Novecento, il loro recidivo esplodere in iperboliche conflagrazioni. Il rifugio nella scrittura fu una reazione preventiva, ma anche lintento di contribuire alla maturazione di unumanit consapevole dei propri difetti. Il pi giovane e intraprendente Hemingway ebbe maggiori occasioni di assistere o di partecipare ai drammi e ai fallimenti del secolo, di condividerne illusioni, delusioni e qualche contraddizione. La sua narrativa caleidoscopica rispecchia levoluzione o linvoluzione e la dissoluzione del proprio tempo, ne fa anzi loggetto principale di analisi e di narrazione. Sia Proust sia Hemingway continuano a fornire modelli non tanto alternativi quanto complementari, a chi voglia narrare le vicende di un altro tempo, prendendo le mosse o le distanze dal passato senza misconoscerne lo spirito. Per cos dire, il contrasto fra un Proust introspettivo e un Hemingway estroverso un clich il quale ha ormai lasciato il tempo che ha trovato o, meglio, ritrovato. *** Ogni cosa a suo tempo e luogo, recita un detto popolare, allusivo alle coordinate della nostra civilt. Da quando questa ha partorito un progresso storico, ha prevalso la preoccupazione di un fondamento temporale. Per essere meno incomplete, le presenti annotazioni richiedono che si accenni allaspetto della spazialit, sebbene intesa in senso lato. In che misura Proust pu reggere il confronto con il cosmopolitismo, attribuito a Hemingway? Una questione contigua stata affrontata dalla psicoanalista franco-bulgara Julia Kristeva, in un articolo intitolato Marcel Proust, in cerca didentit, poi ripreso in un saggio specifico e in unintervista rilasciata a una studiosa australiana. La Kristeva parte dalle origini familiari dello scrittore, di padre cattolico e di madre ebrea, per giungere a una intrigante conclusione: A Proust le cose furono rese un po pi facili o pi intense dal non appartenere di fatto a nessun luogo. Ci gli permise di attestare ma anche di creare unit altamente contraddittorie: ogni fiore sia bello sia brutto; ogni chiesa insieme elevata e in rovina; ogni cosa duplice o almeno ambigua. Tale la combinazione, da cui scaturisce il sublime.[5] Confortata dallargomento che la personalit
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dello scrittore sfugge a ogni luogo comune di appartenenza, la psicologa allude a un nonluogo metaforico. Esso si converte in una perdita di identit (per un filosofo come Theodor W. Adorno, narratori quali Proust e Joyce avrebbero avviato un processo di dissoluzione storica dell'unit del soggetto nella cultura europea contemporanea). Elemento importante per uno psicologo, perfino lidentit sessuale di Proust, omosessuale nel privato ed eterosessuale nella sua proiezione-finzione narrativa, rientra in una tale ambiguit. Ma qui il punto un altro: il nesso che sussiste fra identit personale, temporalit e localizzazione. Le temps retrouv unidentit riscoperta, per ambigua o univoca che essa possa apparire. Lungo questo percorso esistenziale e narrativo, la ricerca del tempo perduto di Proust si sovrappone a una del luogo perduto, da parte di Hemingway. Senza contare che le localit di Combray o di Balbec, oleografie di sfondo nella Recherche di Proust, corrispondono in tono minore alla Parigi di Hemingway. Ciononostante, anche per lui la citt permane il luogo di unintima contraddizione: Parigi non sarebbe mai pi stata la stessa anche se era sempre Parigi e tu cambiavi mentre cambiava lei. [] Per Parigi non ci sar mai fine e i ricordi di chi ci ha vissuto differiscono tutti gli uni dagli altri. Si finiva sempre per tornarci, a Parigi, chiunque fossimo, comunque essa fosse cambiata o quali fossero le difficolt, o la facilit con cui si poteva raggiungerla. Parigi ne valeva sempre la pena e qualsiasi dono tu le portassi ne ricevevi qualcosa in cambio. Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici.[6] Tale, il finale di Festa mobile. Questultima e Isole nella corrente sono opere non rifinite dallautore, suicida nel 1961 (il titolo Festa mobile unaggiunta altrui, dedotta da una lettera di Hemingway del 1950, in cui gi occhieggia il mito parigino). Nel passo appena riportato, traspare un tema caro a Proust: quello dei segni impressi dal tempo nei luoghi, nelle cose, nelle persone. Non necessariamente essi hanno una valenza negativa. A volte ingentiliscono i ricordi, proiettandoli in un sogno a occhi aperti. La dissoluzione operata dal tempo si ricompone in unaltra trama di segni, la scrittura narrativa. Ma difficilmente lidea del sogno pu essere disgiunta da quella del risveglio. Improntato alle divagazioni del risveglio, Vero allalba un romanzo di Hemingway formalmente incompiuto, non abbastanza da dare limpressione di essere incompleto nella sostanza. La composizione risale agli anni fra il 1954 e il 1956. Bench la vicenda autobiografica sia ambientata in Africa, alcune pagine sono dedicate alle memorie di Parigi. Nella vita del narratore, la mitizzazione della citt ha attraversato una decina danni. Quasi per dar ragione a Deleuze qui sopra citato, nel passato puro in s essa questa volta associata a una figura di donna. Lanonima presenza ha qualcosa dellinsinuante fragranza di Albertine, tra le fanciulle in fiore di Proust: in quel periodo la notte mi sentivo solo, e la prima volta che lei era salita ed entrata dalla porta, che aveva la chiave dentro, e poi era venuta su per la scaletta di legno che portava al soppalco dove dal letto vicino alla finestra si godeva di una splendida vista del Cimitero di Montparnasse e si era tolta le scarpe dalla suola di feltro e si era sdraiata accanto a me e mi aveva chiesto se lamavo, io avevo risposto, lealmente: Naturale. [] Visto? esclam G. C. Lho sempre detto che ha un lato pieno di delicatezza. Salta fuori
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del tutto inaspettatamente. il suo lato proustiano. Ma dimmi, era molto attraente? Mi sforzo di avere la mente aperta. Papa e Proust hanno vissuto nello stesso albergo disse Miss Mary Ma Papa sostiene che ci hanno vissuto in periodi diversi.[7] Papa altri non se non Hemingway. Parigi pi un Proust contiguo ma mai incontrato di persona, pi una giovane donna forse amata ma senza farne il nome: ecco la formula che fa della citt il luogo in grado di assorbirne in s ogni altro e di precedere la dissoluzione di ogni identit, da parte di Hemingway stesso. Viene infatti da chiedersi perch Parigi e non altri luoghi prediletti dallautore, quali Madrid, Venezia, LAvana o lAfrica, che ricompare nel romanzo pure apparso postumo e incompiuto Il giardino dellEden. Ci si pu domandare perch mai non una localit americana. A questo quesito, in Vero allalba lo scrittore americano d una risposta trasversale. Nel paradosso, generalizzabile una dislocazione dinamica della personalit del narratore: Tutti quelli che scrivono dovrebbero essere capaci di scrivere sullItalia. Dovrebbero, s. Ma difficile perfino per gli italiani. Pi difficile per loro che per gli altri. Se un italiano scrive bene parlando dellItalia un fenomeno. Le migliori cose su Milano le ha scritte Stendhal.[8] TORNA ALLINDICE Kawabata, una poetica del luogo

Se la temporalit viene privilegiata nella civilt occidentale moderna, a suo modo la spazialit lo in quella estremo-orientale. La stessa letteratura contemporanea ne viene influenzata, prestando una maggiore attenzione alla dimensione spaziale. A differenza della nostra, questa percezione dello spazio ha poco di geografico, tuttal pi una localizzazione topografica. Piuttosto, essa esprime una diversa visione del mondo: almeno in origine, ha a che vedere con il sacro, in unaccezione pi generica eppure radicale di quella da noi attribuita ai cosiddetti luoghi santi. Scendendo nello specifico, il luogo s uno spazio fisico delimitato ma anche un campo determinato, di solito, dalla relazione fra un soggetto e un oggetto. La problematica concernente il rapporto fra soggettivit e oggettivit non unesclusiva della mentalit e della filosofia occidentali. Essa ricorre altres nel pensiero buddista, il quale cerca in vari modi di risolvere quella che viene considerata una dicotomia. La vecchia questione riemerge nel buddismo di scuola Chan ovvero Zen, malgrado una pi volte dichiarata riluttanza a esplicitarla in termini astratti. Ad esempio, la troviamo gi espressa nello scritto Mumon-kan del cinese Ekai, detto Mumon e vissuto dal 1183 al 1260. Il monaco descrive la condizione di chi abbia raggiunto uno stato di illuminazione, vale a dire di estinzione del senso limitato e limitativo della propria identit individuale, senza che ci comporti tuttavia gli inconvenienti di una spersonalizzazione:
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Allora la minore conoscenza che avevate prima scompare. Come un frutto che matura al tempo giusto, la vostra soggettivit e la vostra oggettivit diventano naturalmente una cosa sola. come un muto che abbia fatto un sogno. Lui sa che cosa ha sognato, ma non pu raccontarlo. Quando egli entra in questa condizione, il guscio del suo io si spacca, e lui pu scuotere il cielo e muovere la terra.[9] Pur accettando il punto di vista del buddismo Mah-yna che nulla esiste se non nei suoi rapporti di soggettivit e di oggettivit, la meditazione Zen non esita a sorridere su chi assuma il principio in senso categorico, trascurandone il carattere relativo e a sua volta precario. Ci emerge in una tradizione aneddotica, con finalit divulgativa ed edificante, i cui tratti talora favolosi si sposano col gusto provocatorio per il paradosso. Uno di questi apologhi, intitolato La mente di pietra, compreso in 101 storie Zen trascritte da Nyogen Senzaki e Paul Reps. Esso narra di bonzi itineranti, i quali vennero un tempo ospitati da un saggio cinese di nome Hogen: Hogen li sent discutere sulla soggettivit e sulloggettivit. And loro accanto e disse: Ecco questa grossa pietra. Secondo voi, dentro o fuori della vostra mente?. Uno dei monaci rispose: Dal punto di vista del Buddismo, tutto unoggettivazione della mente, perci direi che la pietra nella mia mente. Devi sentirti la testa molto pesante, osserv Hogen se te ne vai in giro portandoti nella mente una pietra come questa.[10] La tendenza a-dottrinale e anti-dogmatica non ha trovato applicazione solo in campo religioso o in una prospettiva etica, volta a sfatare pregiudizi e ipocrisie. A lungo andare, essa ha prodotto unestetica e una poetica. Qualche volta sfociata in un antiintellettualismo di maniera, esemplarmente reso da Shinkichi Takahashi nella lirica Volo del passero: Senza discernimento, il passero non pensa,/ non fa filosofia, eppure ogni cosa sta sotto le sue ali./ Cos lo Zen? Il pensiero dicono i maestri/ rende sciocchi. Com libero il passero/ che non ha cervello!. Un tale lirismo pu risultare ingenuo o arcaico. N esente da pericoli di venire frainteso, se preso alla lettera e assunto a sua volta in quanto precetto. Lintento anzitutto di evitare forzature di pensiero, che allontanino dalla sostanza per quanto insostanziale possa rivelarsi delle cose, anzich avvicinare a essa. Altro lasciarsi andare a una riflessione che non si fondi nella supponenza o nellarroganza, ma che si ponga in rispettoso ascolto della realt. Una forma particolare e assai discreta, di adaequatio rei et intellectus. Altrove, il poeta giapponese del Novecento agli elementi della natura non disdegna di affiancare o di sostituire quelli della tecnica moderna. il caso della prima parte del componimento dal titolo Stazione ferroviaria: Una stazione ferroviaria,/ passeggeri che entrano, escono,/ un chiosco chiuso sul marciapiede./ l o nella mia testa/ fluttuando tra le pieghe del mio cervello? Non serve restare/ o partire, un posto cos tranquillo:/ sportello per i biglietti, cancello, impiegati nessuno.[11] Questa poetica si fonda in una liberatoria identificazione del soggetto meditante nelloggetto meditato, tentativo di superare la barriera che sussiste fra soggettivit e oggettivit, ovvero di risalire a ununit originaria. ci che il filosofo giapponese Kitaro
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Nishida chiama esperienza pura e che pone alla base tanto della sua etica quanto della sua estetica, in opere quali Zen no kenky (Meditazione sul bene, 1911) e Geijutsu to dtoku (Arte e morale, 1923). In effetti arduo comprendere il pensiero di Nishida e della sua rinomata scuola di Kyoto, astraendolo da una cultura a lungo influenzata dallo Zen, ivi inclusa la letteratura del Giappone contemporaneo. *** Della narrativa giapponese del Novecento Yasunari Kawabata lesponente pi noto, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1968. Nella sua arte, la lezione del realismo europeo ottocentesco si fonde con quella novecentesca di Proust e di Joyce. Daltra parte la scuola delle nuove sensazioni, movimento letterario da lui promosso, non si discosta molto dalle idee estetiche di Nishida cui si appena accennato, risentendo del clima culturale rinnovato ma senza disconoscere la tradizione locale e gli antichi influssi provenienti dal continente asiatico. Fra la teoria di Nishida e la narrativa di Kawabata, pi che un parallelismo si avverte una consonanza. Non senza qualche somiglianza con Proust, nei romanzi di Kawabata la vicenda narrata scaturisce volentieri dalla descrizione di un paesaggio, in cui essa tende prima o poi a venire riassorbita. In almeno due occasioni, gli esordi di Yukiguni (Il paese delle nevi, 1936 e 1947) e di Niji ikutabi (Arcobaleni, 1950), si tratta di un luogo in apparente movimento, visto da un treno in corsa. In particolare nel primo caso oggettivit e soggettivit, fuori e dentro, trovano un piano di incontro nella superficie trasparente e insieme riflettente del vetro al finestrino. Questo assurge a generale metafora di unambigua coscienza della realt, bench il passeggero si limiti a chiedersi se il fuggevole paesaggio non si potesse intendere come un simbolo del trascorrere del tempo: La luce allinterno del treno non era forte. Il riflesso non era chiaro come avrebbe potuto essere in uno specchio. Poich non vi era bagliore, Shimamura fin per dimenticare che stava guardando in un vetro. La faccia della ragazza pareva scorrere fuori, tra le scure montagne. Allora una luce brill in quella faccia. Il riflesso nel vetro non era abbastanza forte da cancellare la luce esterna, n la luce cos forte da cancellare il riflesso. La luce si muoveva attraverso la faccia, senza per illuminarla. Una luce fredda, distante. Appena essa attravers col suo piccolo raggio la pupilla della ragazza, quando locchio e la luce si furono sovrapposti luno allaltra, locchio divent una particella fosforescente, misteriosamente bella sulla nera distesa delle montagne.[12] In veste letteraria, la simbologia ferroviaria di Kawabata ricorda da vicino quella anti-soggettivistica di Nishida, per cui non sono io che vedo lalbero tuttal pi, posso sforzarmi di guardarlo bens lalbero che si offre alla vista. In questo offrirsi della realt circostante allo sguardo, gi contenuto ogni possibile fenomeno o ulteriore predicato. A maggior ragione colpisce il sovrapporsi di un volto femminile al paesaggio, al punto da confondersi con esso o da dare limpressione che il primo sorga dal secondo. Qui non solo in gioco la soggettivit dellosservatore. Un altro soggetto si impone alla sua coscienza. In lui, si fa spazio la consapevolezza di unalterit, che sembra procedere da un a priori della coscienza stessa.
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In chiave psicologica lecito replicare che questo luogo a priori, quasi forma vuota che attende di essere empita dallimmagine di un volto, altro non se non linconscio del personaggio. Si pu altres insinuare che quellimmagine presenta connotati materni. Quanto al contesto, resta nondimeno da spiegare che cosa si intenda per personale e perch quellinconscio debba definirsi tale: individuale, collettivo, o piuttosto naturale come quello teorizzato da Friedrich Schelling? Se poi si volesse convenire, con la riflessione buddista, che quella dimensione impersonale, occorrerebbe ammettere che il solo pronunciare questultimo termine evoca una proiezione della personalit. Schiude ad essa le porte, nel momento stesso in cui la sconfessa. un rischio logico a volte, si fa per dire, provvidenziale delle negazioni perentorie il promuovere, anche non volendo, quanto esse escludono. Per la verit va dato atto al pensiero buddista di aver tenuto sempre presente questa riserva nei riguardi del principio di non contraddizione, tanto da farne uno dei suoi discussi cardini. Un merito di Nishida di averla applicata alla soggettivit moderna, nonch alla critica di ogni chiusura individualistica. Suonano indicativi perfino i titoli di saggi composti fra gli anni Trenta e Quaranta: Zettai mujun-teki jikoditsu (Unauto-identit assolutamente contraddittoria), Jikaku ni tsuite (Circa lauto-consapevolezza), Dekaruto tetsugaku ni tsuite (Sulla filosofia di Descartes).[13] Sta di fatto che sia nella narrativa di Kawabata sia nella filosofia di Nishida, specialmente in Hataraku mono kara miru mono e (Dalla cosa agente alla cosa vedente, 1927) e in Basho-teki ronri to shky-teki sekaikan (La logica del luogo e la visione religiosa del mondo, 1945), laltro e laltrove trasmutano di continuo luno nellaltro. Poco manca che essi si compenetrino. Da un lato questaltrove si dilata fino a sfumare nel vuoto o nel nulla, concetti i quali nella sensibilit buddista godono di qualche accezione positiva, al contrario che in quella occidentale. In direzione opposta, esso tende a configurarsi, assumendo un sembiante e uno sguardo eminentemente umani. Il luogo prediletto dalla religiosit buddista e il volto contemplato da quella giudaico-cristiana non paiono in s idee cos antitetiche, da non potersi inserire in uno stesso quadro interpretativo. Cambia la cornice metafisica, cio una concezione ancorata alla trascendenza nel primo caso, una visione adagiata nellimmanenza nel secondo. Daltro canto, tutto ci non implica che manchino agganci al contesto del tempo storico, tanto nella narrativa di Kawabata quanto nella filosofia di Nishida. Nel su citato La logica del luogo, anzi il pensatore annota: Non che la nostra mente esista e quindi il mondo esista, come se osservassimo il mondo a partire dal s: il s, piuttosto, qualcosa che pu essere pensato dentro questo mondo storico. Il mondo del s cosciente [] si costituisce come autodeterminazione del mondo storico nel suo aspetto temporale.[14] *** Attendibilmente, gli eventi storici pi traumatici nellesistenza di Kawabata sono stati la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale, la distruzione delle citt di Hiroshima e Nagasaki per mezzo delle bombe atomiche, la forzosa irruzione della cultura di massa nord-americana nel Paese del Sol Levante. Se le rovine di Hiroshima e Nagasaki si affacciano con sconsolata angoscia fra le righe del gi citato Arcobaleni, allultima
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circostanza il narratore reagir in maniera trasparente, schierandosi a difesa di certi valori tradizionali a rischio di venir sommersi da una malintesa modernit, in altri romanzi quali Yama no oto (Il suono della montagna, 1954) e Koto (Kyto, 1962). Ironia della sorte, un destino amaro accomuna un perdente come il giapponese Kawabata e un vincente come lamericano Hemingway. Nati nello stesso 1899, i due premi Nobel per la letteratura andranno incontro al suicidio, sia pure a undici anni di distanza il primo dal secondo. Sebbene per motivi diversi, in entrambi i casi non si pu respingere lipotesi di una scelta deliberata. Di fronte alla sfida di Hemingway contro la morte, sconcerta laccettazione dellevento da parte di Kawabata, quale delineata nel racconto Kini (Uccelli e altri animali, 1963-64): Il suo tass doveva a un certo punto essersi inserito in un corteo funebre. [] Voltandosi verso il ciglio della strada, lui vide un monastero Zen sul cui portale era apposta una lapide a ricordo della sepoltura di Shundai Dazai. Sul cancello del tempio era affisso un avviso: Lutto del tempio. Funerale in corso. Era a met di una discesa. In basso, a un quadrivio, un vigile regolava il traffico. Vi si erano riversate una trentina di automobili in una volta ed era difficile sgomberare lincrocio. Guardando la grande gabbia da cui avrebbero messo in libert gli uccelli al funerale, si sent impaziente. [] Ah. A liberare tutti quegli uccelli, chiss quanto ci vorr. proprio vero che imbattersi in un funerale porta male, eh? Si sent un gran sbattere dali. Gli uccelli si erano agitati per il sobbalzo dellautocarro nel mettersi in moto. Porta bene! Nulla di meglio, si dice.[15] Il non-luogo della morte, il nulla che attraversa la banalit del quotidiano, qui ritratto senza effetti devastanti o terrifici ma anche senza vani slanci eroici, ingentilito da un volo liberatorio di uccelli e sullo sfondo rassicurante della facciata di un monastero Zen. Ci che si verifica di rado in Hemingway, nella prosa di Kawabata altrove una costante: il realismo descrittivo raggiunge unintensit tale, da sconfinare nel surreale o nellonirico, da caricarsi di sensi metaforici mentre si anticipano esiti tragici. quanto accade in Il paese delle nevi, stazione termale e ingannevole paradiso terrestre, e a maggior ragione in Nemureru bijo (La casa delle belle addormentate, 1960-61), bordello o castello stregato da un decadente erotismo: rovina umana che va oltre ogni possibile descrizione, stando a un commento dellHemingway del Giappone, Yukio Mishima. Pur dimorando i personaggi nel tempo, di Kawabata restano magistrali le descrizioni fuori dello stesso, ricavate in un puro spazio indifferente ai casi umani. Proprio per ci, essi risaltano in tutta la loro effimera drammaticit, sia questa potenziale o in atto. In realt la vicenda narrata si gi svolta una volta per tutte, se non altro nella mente dellautore. Passato e presente, tanto pi il futuro, sono simultanei in unottica buddista: al massimo si tratta di contingenze, cos come suggerisce lallusione al Sutra del Karma passato e presente, nel cuore della narrazione di Arcobaleni. Questi ultimi spiegher poi un dialogo fra personaggi della storia, affacciati su un giardino di sassi alluso Zen rappresentano le relazioni tra persone, ponti evanescenti nonostante i vivaci colori delle emozioni, dei sentimenti e passioni che le accompagnano o le compongono. Ma la portata simbolica si dilata oltre tale interpretazione. Forse addirittura dei bambini potrebbero meglio recepirla, poich non sono ancora dotati del senso della
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distanza, n temporale n spaziale. Il tutto viene condensato e prefigurato, in uno dei passi pi esoterici il termine ancora di Mishima della narrativa del Novecento. Invece del maturo passeggero Shimamura nel Paese delle nevi, in una situazione per pi versi analoga, qui protagonista la giovane Asako. Il fantomatico paese degli arcobaleni, che compare al di l di un lago (si rammenti la visione di Venezia in Di l dal fiume e tra gli alberi, di Hemingway) inversamente speculare del paese delle nevi. Sono facce della stessa misteriosa medaglia, lo stupore e langoscia dellesistenza: Asako vide un arcobaleno formarsi sulla sponda opposta del lago Biwa. Il treno aveva superato Hikone e stava avvicinandosi a Maibara. Come sovente accade a fine danno, era semivuoto. Quando si era formato larcobaleno? Intenta a contemplare la superficie del lago dal finestrino, Asako ebbe limpressione che fosse apparso allimprovviso. [] Da quando aveva visto larcobaleno si sentiva lanimo attratto verso la sponda opposta del lago. Sarebbe stato meraviglioso visitare da riva il paese degli arcobaleni. O, pi realisticamente, viaggiare lungo la riva che ne ospitava uno in quel momento. [] Fissandolo attentamente si aveva limpressione che emergesse dallacqua, ora vicino alla sponda prossima, ora presso quella lontana. Non si capiva se la sua sommit fosse celata dalle nuvole o se le sovrastasse. [] Le nuvole, che si distendevano cupe nel cielo, gravavano oscure e immobili pi in basso sulla riva opposta, pronte a turbinare. Larcobaleno scomparve prima che giungessero a Maibara.[16] Piuttosto che un viaggiatore della cosmopoli come per Hemingway o della memoria come per Proust, il protagonista di Kawabata un passeggero: sia il veicolo un treno o un tass, altre volte un battello o un autobus. La circostanza non ha solo valore simbolico, di una visione transitoria e pessimistica dellesistenza. Essa serve a introdurre nella narrazione veri e propri co-protagonisti, quali i paesaggi naturali o urbani. Pi che unindifferenza nei confronti dei casi umani, la loro uninterferenza, che risponde a una logica diversa: una logica del luogo cos come la chiamava Nishida o, meglio, una poetica del luogo. Una logica delle cose, pi che soggettiva, cui tocca prima o poi rassegnarsi o adeguarsi. Sono per tutte vie differenti, che tendono alla meta del sublime. *** La relazione esistente tra il pensiero di Nishida e larte narrativa di Kawabata pu essere meglio chiarita leggendo un commento di Kenjiro Yoshioka, docente di estetica presso lUniversit giapponese di Kyto, in un saggio dedicato a La visione artistica di Nishida Kitar: Lio come soggetto forma lambiente e al tempo stesso riceve da esso la propria forma, crea nel contempo un nuovo ambiente. Come essere creato, lio appartiene al passato, ma poich capace di creare egli appartiene al futuro. Nellio, passato e futuro coesistono. [] Se lattivit dellartista pu essere definita azione espressiva, rispetto ad essa i contrasti del passato e del futuro, dellattivit e della passivit, coesistendo, costituiscono un mondo individuale unico e originale. Lattimo presente e lattimo corporeo dellespressione contengono in s una profonda contraddizione. Sulla natura di tale contraddizione o, di riflesso, sul suo venire alla luce nellopera letteraria e artistica, si riconosce quindi il peso che ha il tempo storico. Ci che alla mentalit occidentale si imputa una sottovalutazione dello spazio, ridotto per lo pi a
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entit fisica, l dove la sensibilit orientale lo considera unestensione spirituale: La consapevolezza profonda di questa contraddizione nasce nel mondo storico, sicch le forme concrete della consapevolezza si diversificano naturalmente a seconda dei luoghi concreti in cui sono venute in essere. [] I modi di consapevolizzare le contraddizioni fra luomo e lambiente sono diversi. Per esempio, il concetto di spazio importante per larte, ma le nozioni occidentale e orientale di spazio non sono le stesse.[17] Ancor prima che in una prospettiva buddista di superamento della contraddizione, il fondamento della visione orientale del mondo che i nostri io competano al tempo, mentre sullo sfondo sussiste un s che uno spazio a-temporale (nella religiosit induista originaria, esso pu dilatarsi fino a coincidere con lo spazio cosmico, assumendo connotati divini). La novit condivisa dalla narrativa di Kawabata e dal pensiero di Nishida che questantica concezione viene non solo a confrontarsi con la cultura occidentale, ma anche e di conseguenza a incontrarsi con la modernit. Un risvolto persistente limportanza attribuita da entrambi allo spirito del luogo, senza possibilit di paragoni adeguati nelle letterature e nella filosofia occidentali. Se non una lezione, pu essere unindicazione utile, per chi voglia sperimentare un modo alternativo di narrare. Non si tratta di ambientare una storia, bens di lasciare che il paesaggio incontrato o il luogo ritrovato esercitino una suggestione narrante, e che questo spazio maturi in un campo di interazione per i personaggi della vicenda. Nel nostro contesto culturale, al massimo loperazione accostabile a quella tentata dalla scuola dello sguardo nel Nouveau Roman francese. Nella narrativa giapponese del Novecento, non mancano indirizzi e generi diversi, dal romanzo storico al racconto autobiografico o romanzo dellio (watakushi shsetsu). Ma la tendenza pi originale rimane quella che va da Soseki Natsume a Junichiro Tanizaki e a Kawabata: una narrativa ricca di pervadente spazialit, propensa allintrospezione senza essere egocentrica, sia aperta ai modelli letterari occidentali sia legata agli influssi della tradizione Zen e della poesia lirica a essa ispirata. Prima di applicarsi a una lettura attenta di tale produzione, forse una buona precauzione rammentare come la nostra mentalit permanga vincolata e condizionata da un ordine del tempo. Questordine ha assunto una connotazione gerarchica nei riguardi di altre culture dopo lavvento della modernit, con il conseguente incremento di consapevolezza del proprio progresso storico. Valga per una certa narrativa giapponese un po quanto per la Cina, condensato ironicamente da Michel Foucault nella prefazione a Le parole e le cose, sulla scorta della citazione di un racconto surreale di Jorge L. Borges. Letero-topia della Cina diventa qui un esempio negativo di alcune tenaci, talora perfino inconsce, prevenzioni nei confronti delle civilt orientali nel loro complesso: La Cina, nel nostro sogno, non appunto il luogo privilegiato dello spazio? Per il nostro sistema immaginario la cultura cinese la pi meticolosa, la pi gerarchizzata, la pi sorda agli eventi del tempo, la pi legata al puro svolgersi dellestensione; pensiamo ad essa come ad una civilt di dighe e di sbarramenti sotto il volto eterno del cielo; la vediamo diffusa e rappresa sullintera superficie dun continente cinto di muraglie.[18] TORNA ALLINDICE
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Bibliografia

AA. VV., La Scuola di Kyto. Kyto-ha, a cura di G. Marchian, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996. Theodor W. Adorno, Note per la letteratura (1943-1961), trad. di E. De Angelis da Noten zur Literatur, Einaudi, Torino 1979. Walter Benjamin, Angelus Novus. Saggi e frammenti (Schriften), a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1995. P. Blasone, Figure del tempo, nella narrativa di genere, in AA. VV., La letteratura nellera dellinformatica. Proposte per il XXI secolo, a cura di Cesare Milanese, Bevivino Editore, Milano-Roma 2007-2008. Gilles Deleuze, Differenza e ripetizione, trad. di G. Guglielmi, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997. G. Deleuze, Marcel Proust e i segni, Einaudi, Torino 1967 e 1986 (trad. di C. Lusignoli e D. de Agostini da Marcel Proust et les signes, Presses Universitaires de France, Parigi 1964, rivisto e ampliato nel 1970 e nel 1976 con titolo Proust et les signes). Michel Foucault, Le parole e le cose. Unarcheologia delle scienze umane, trad. di E. Panaitescu da Le mots et les choses (1966), Rizzoli, Milano 1996. Ernest Hemingway, Di l dal fiume e tra gli alberi, trad. di F. Pivano, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1973. E. Hemingway, Isole nella corrente, trad. di V. Mantovani, Club degli Editori, Milano 1971. E. Hemingway, Festa mobile, trad. di V. Mantovani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001. E. Hemingway, Vero allalba, trad. di L. Grimaldi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2003. Yasunari Kawabata, Il paese delle nevi, trad. di L. Lamberti e S. Nakamura Deangelis, Einaudi, Torino 2002. Y. Kawabata, Uccelli e altri animali, in appendice a La casa delle belle addormentate, trad. di M. Teti, con postfazione di Y. Mishima, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995. Y. Kawabata, Arcobaleni, trad. di L. Origlia, Editori Associati, Milano 1994. Julia Kristeva, Proust: questions d'identit, European Humanities Research Centre Legenda, Oxford 1998. J. Kristeva, Time and Sense: Proust and the Experience of Literature, a cura di R. Guberman, Columbia University Press, 1996. J. Kristeva, Proust and the Sense of Time, a cura di S. Bann, Columbia University Press, 1993. Hisayasu Nakagawa, Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca, trad. di S. Sardi, Bruno Mondadori Editore, Pavia 2006. Kitaro Nishida, La logica del luogo e la visione religiosa del mondo, ed. it. a cura di T. Tosolini, LEPOS, Palermo 2005. Giangiorgio Pasqualotto, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture dOriente, Marsilio Editori, Venezia 2004.
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[1] G. Deleuze, Differenza e ripetizione, Raffaello Cortina Editore, Milano 1997, pp. 114-115 (trad. it. di Giuseppe Guglielmi da Diffrence et rptition, Presses Universitaires de France, Parigi 1968). [2] E. Hemingway, Isole nella corrente, trad. it. di Vincenzo Mantovani, Club degli Editori, Milano 1971, pp. 470-471. [3] E. Hemingway, Festa mobile, trad. it. di V. Mantovani, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, pp. 33-34. [4] In M. Proust, Lettere a Andr Gide. Con cinque lettere e un testo di Andr Gide, a cura di Lucia Corradini, SE Studio Editoriale, Milano 1987 e 2000. [5] J. Kristeva, Senses of Revolt, trad. ingl. di Juliana de Nooy in Foreign Dialogues memories, translations, conversations, a cura di Mary Zournazi, Pluto Press, Annandale, Australia 1998, p. 92. Cfr. J. Kristeva, Marcel Proust: In Search of Identity, in Linda Nochlin e Tamar Garb (curatori), The Jew in the Text, Thames and Hudson, Londra 1995; il testo stato infine ampliato in un libro, della stessa autrice: Proust: questions d'identit, European Humanities Research Centre Legenda, Oxford 1998. [6] E. Hemingway, Festa mobile, trad. cit., p. 242. [7] E. Hemingway, Vero allalba, trad. it. di Laura Grimaldi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2003, pp. 144-146. [8] E. Hemingway, Vero allalba, trad. cit., p. 96. [9] Mumon, La porta senza porta, a cura di N. Senzaki e P. Reps (trad. it. di Adriana Motti da The Gateless Gate, Charles E. Tuttle Company, Tokyo 1957), Adelphi, Milano 1987, p. 20. [10] 101 storie Zen, a cura di N. Senzaki e P. Reps (trad. it. di A. Motti da 101 Zen Stories, Charles E. Tuttle Company, Tokyo 1957), Adelphi, Milano 1982, pp. 50 e 88. [11] Poesie Zen, a cura di Lucien Stryk e Takashi Ikemoto (trad. it. di A. Ziffer Gallo da The Penguin Book of Zen Poetry, Penguin U.S.A., 1977 e 1981), Newton Compton, Roma 1983, pp. 104 e 121. [12] Y. Kawabata, Il paese delle nevi, trad. it. di L. Lamberti e S. Nakamura Deangelis, Einaudi, Torino 2002, pp. 16 e 19. [13] Nelle opere complete di K. Nishida: Nishida Kitar zensh, Iwanami Shoten, Tokyo 1965-66. [14] K. Nishida, La logica del luogo e la visione religiosa del mondo, ed. it. a cura di Tiziano Tosolini, LEPOS, Palermo 2005, pp. 204-205. Cfr. Matteo Cestari, Introduzione al pensiero di Nishida Kitar, e Kenjiro Yoshioka, La visione artistica di Nishida Kitar: in AA. VV., La Scuola di Kyto. Kyto-ha, a cura di Grazia Marchian, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996.

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[15] Y. Kawabata, Uccelli e altri animali, in appendice a La casa delle belle addormentate, trad. it. di Mario Teti, con postfazione di Yukio Mishima, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1995, pp. 129-130. [16] Y. Kawabata, Arcobaleni, trad. it. di Lydia Origlia, Editori Associati, Milano 1994, pp. 5-8. [17] K. Yoshioka, La visione artistica di Nishida Kitar: in AA. VV., La Scuola di Kyto. Kyto-ha, op. cit., pp. 143-144 e 147. [18] M. Foucault, Le parole e le cose. Unarcheologia delle scienze umane, trad. dal francese di Emilio Panaitescu, Rizzoli, Milano 1996, pp. 8-9 e 317.

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