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Un giorno un agricoltore molto bravo e scrupoloso arò del buon terreno, lo


liberò da pietre, lo concimò e lo cosparse di tanti piccoli semi. Una provvidenziale
pioggia, seguita da un tiepido sole fece compiere il miracolo: tanti piccoli steli verdi
cominciarono a spuntare dalla scura terra, tanto che ben presto la trasformarono in
un morbido tappeto verde.
Ogni giorno che passava gli steli si sollevavano sempre più verso il cielo, diventando
allo stesso tempo robusti e più scuri.
Al mattino gli steli erano lucidi di rugiada; quando il sole compariva all’orizzonte si
estasiava ad ammirare quel tappeto di lucidi smeraldi!
Col passare delle ore gli steli restituivano al cielo le goccioline e si trasformavano in
morbido velluto.
A sera, quando il sole lasciava il posto all’oscurità, un leggero velo, quasi a metterli a
dormire, ricopriva i verdi steli facendoli apparire pece, finché una fetta di luna ne
restituiva un po’ di colore.
Il ciclo così continuava, sotto gli occhi attenti e amorosi del bravo agricoltore.
Un giorno si videro spuntare, qua e là, piccoli bocci colorati, uno alla volta si
schiudevano in forme che nessun artista avrebbe potuto meglio immaginare: piccoli
capolavori di mille e più colori.
Spuntavano uno dopo l’altro, sparsi nel tappeto verde, e quando uno era già alto,
l’altro accanto si affacciava alla vita, e l’altro ancora chinava il capo, ritornando da
chi lo aveva generato.
L’estate era appena iniziata, si era a fine giugno. Dal terreno, quando il sole era già
alto, sollevarono il capino due piccoli bocci, uno rosa e uno azzurro. Quel giorno lo
scrupoloso agricoltore aveva in programma di estirpare le erbacce che sempre
tentano di infestare il praticello, ma, tirandone un ciuffo, il fiorellino azzurro fu
strappato via inavvertitamente, fu così che non poté più schiudere la sua corolla.
Il fiorellino rosa era rimasto solo, e dopo un breve momento di smarrimento, alzò il
capino al cielo e godé dei caldi raggi del sole.
Pian piano i petali si aprirono mostrando il loro colore in pieno e spargendo intorno
un lieve profumo. Accanto aveva altri compagni di vari colori, che lo proteggevano
se la brezza diventava vento o se i goccioloni di pioggia estiva rischiavano di
danneggiarlo.
Così protetto crebbe e si irrobustì.
Ogni giorno vedeva spuntare altri piccoli fratelli, vedeva altri chinare il capo per
sempre:”E’ la vita”- pensava, continuando a godere della luce e del caldo del sole, del
fresco del tappeto verde, del riposo della notte, della vita.
Ma ogni essere che nasce ha il suo progetto depositato nel cielo.
Dieci giorni dopo la sua nascita, il piccolo fiore rosa incontrò il suo destino.
Quattro bambini e una bambina erano lì accanto ad organizzare i loro giochi
all’aperto, correvano ridendo su quel prato fiorito, ne percepivano i colori e i
profumi, e ridevano, ridevano, correvano, correvano, in cerca forse di nuove e più
intense emozioni.
Ad un tratto un bambino si ferma, abbassa lo sguardo sul piccolo fiore rosa, non lo
tocca, lo guarda e pensa
Pensa, progetta, guarda, immagina…cosa fa?
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Ora sta chiamando gli altri, così che dieci occhi ora lo guardano dall’alto.
Il piccolo fiore è spaventato, vorrebbe scomparire ma non ha gambe per fuggire, non
ha forza per difendersi, non ha altro che un po’ di colore e un po’ di lieve profumo.
Che fare? Vorrebbe avere voce per chiedere aiuto…ma dov’è il bravo agricoltore?
Come mai ora non sta guardando le sue creature?
Si sarà distratto un attimo, capita.
Il piccolo fiore viene strappato, la sua corolla sciupata, il suo stelo piegato. Perché?
Giochi di bambini che ancora non hanno coscienza del valore di ogni vita.
La luna quella notte non si fece vedere, cosicché non poté vedere lo scempio del fiore
rosa.
“Dov’è il nostro piccolo fiore?”-“Non può essere scomparso!”- “Che ne è stato di lui?”-
queste le voci che si intrecciavano il mattino seguente tra tutti i fiori del prato.
“Eccolo!”- gridò ad un tratto un ciuffo d’erba verde smeraldo, “E’ qui, ma…sembra
diverso…è tutto scolorito…non profuma più…”
Il piccolo fiore rosa era curvo, quasi a voler raggiungere al più presto la madre terra,
e i suoi petali sgualciti ne nascondevano l’anima ferita, chiudendosi quasi a voler
ridiventare boccio.
Nessuno poté far niente per lui, nessuno poté vedere le sue lacrime nascoste, nessuno
capì il suo dolore e la sua forza di vivere, finché il bravo e scrupoloso agricoltore non
lo vide.
Lo sollevò pian piano, con delicatezza interrò nuovamente le piccole radichette
ricoprendole con soffice e fresca terra, gli diede della fresca acqua da bere, lo riparò
con dell’erba perché il sole ormai cocente non lo scottasse.
Ogni giorno era là, parlava al piccolo fiore con voce calda, gli accarezzava l’anima
con dolci parole, gli dava acqua e nutrimento.
Ma il fiore sì cresceva, ma i suoi petali non erano più colorati, e il suo stelo era
rimasto piegato verso la terra alla quale ardiva di tornare.
L’amore di chi gli stava intorno a volte gli dava la forza di sorridere, a volte si sentiva
troppo solo e indifeso, e tornava la paura.
Ma era nato tenace, seppur delicato, e così lentamente tornò a vivere.
Tornò a guardare l’erba, a chiacchierare con i suoi compagni, a godere del caldo sole
e della fresca pioggia, ad essere certo dell’alba dopo il buio, del buio dopo il
tramonto, dell’amore per la vita. Arrivò il freddo inverno, ma neppure la brina riuscì
a togliergli la vita.
Ma la sua testolina rimaneva bassa, protetta dai delicati petali scoloriti.
Tornò nuovamente l’estate, la calda e dolce estate.
Un mattino sentì una voce…
Una morsa gli strinse il cuore, ripensò alle voci dei bambini, ebbe paura…
Rimase impietrito ad ascoltare: una voce calda leggeva delle belle parole da alcuni
fogli, belle al punto che volle ascoltarle bene e sollevò un po’ il capino per riuscirci.
“Sembra un poeta”- pensò “Che belle parole!”.
E la paura lasciò un po’ di posto alla dolcezza di quelle parole, e si addormentò per la
prima volta, dopo tanto tempo, con il cuore sereno.
“Sentirò ancora quelle parole?” pensò al mattino pieno di speranza, e attese.
Passarono alcuni giorni prima che la sua attesa fu ricompensata.

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Finalmente risentì quella voce, quelle parole, e di nuovo provò a sollevare il capino
per sentirle meglio e per cercare di vedere da dove provenissero. Si volse verso sud
ovest e così poté vedere, seduto un po’ più in là, un bimbo che leggeva un libro ad
alta voce. Voleva farsi notare, voleva poter ascoltarlo ancora, per sempre. Alzò la
fragile testolina , aprì anche i petali e scoprì con gioia che essi avevano riacquistato
colore, erano di nuovo di un bel rosa, anzi, ancora più colorati ed emanavano del
buon profumo.
Il bimbo si girò finalmente e lo vide, si alzò e gli si avvicinò, ma questa volta il fiore
non ebbe paura, anzi, ne desiderava la presenza.
Il bimbo lo guardò, ne annusò il profumo e gli si sedette accanto. Gli lesse tutte quelle
bellissime parole, e ogni tanto lo guardava e gli sorrideva con un sorriso speciale che
inteneriva il piccolo fiore.
Ancora adesso sono lì, l’uno accanto all’altro, lui gli racconta la vita che il piccolo
fiore non ha mai potuto vivere, gli parla con voce dolce e gli legge quelle
meravigliose parole, mentre il piccolo fiore rosa lo ascolta felice, e per guardarlo
negli occhi ha dovuto alzare il capino, così ora il sole gli è più vicino, e può ancora
scaldargli il cuore.
Passarono i giorni, i due amici erano sempre vicini, il fiore ascoltava felice quelle
parole, il bimbo si estasiava con il lieve profumo che il suo amichetto emanava.
Si era vicini ormai ad una nuova estate, il piccolo fiore rosa aveva miracolosamente
resistito alle intemperie del lungo inverno, riparato dal suo dolcissimo amico e reso
forte da quelle belle parole.
Una mattina il piccolo fiore si svegliò scosso da un vento gelido, alzò il capino al cielo
e vide solo nuvole, nuvole nere. “Dove sarà il mio sole?”, pensò triste che avrebbe
dovuto attendere molto per rivederlo, o forse non lo avrebbe più rivisto, poiché si sa,
i fiori hanno breve vita.
Nonostante il vento gelido il piccolo fiore rosa aprì i suoi petali e volse il capino verso
il bimbo dalle bellissime parole.
Restò fermo lì, impietrito dal gelo e dalla paura. Il bimbo non c’era.
“Dove sei bimbo!” pensò, poiché non poteva urlare, ma lo avrebbe fatto se solo ne
avesse avuto la capacità, lo avrebbero sentito in tutta la valle, giacché il suo dolore
faceva fatica a restare chiuso in quel piccolissimo cuoricino.
Attese, attese tutto quel freddo giorno e attese anche la notte, e poi il giorno dopo, e
l’altro ancora…
niente.
Il piccolo fiore rosa aveva ormai perso quasi tutto il suo profumo, il suo colore era
stato cancellato dal freddo e dal dolore, tanto che ormai era solo un piccolo
fiore…senza colore, che si chinava sempre più verso la madre terra.
Non rivide più il suo amichetto dei giorni felici, non poté più sentire quelle dolci
parole, quello sguardo su di lui che lo faceva sentire il più bel fiore del prato. Non
visse più se non qualche breve ora ancora, perché il dolore a volte schiaccia anche i
più forti, figurarsi un piccolo tenero fiorellino rosa.

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