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VEZIO DE LUCIA A MIRANDOLA (4.5.

2014)

La tutela come cardine delle politiche relative alle citt storiche lunico contributo che la
cultura italiana ha dato allurbanistica contemporanea. Questo vanto dellItalia ebbe inizio
con la Carta di Gubbio, carta scritta da Antonio Cederna e da Mario Manieri Elia nel 1960,
appunto a Gubbio, a un convegno dellAssociazione Nazionale dei Centri Storici.
Questa carta dice che i centri storici vanno considerati sempre nella loro inscindibile
unitariet. Cio, in sostanza, che lintero centro storico si deve considerare un unico
monumento. Prima non era cos, prima si riteneva che si dovessero tutelare gli edifici
monumentali - le chiese, i palazzi, le torri, i castelli - tutto quanto veniva riconosciuto
come di valore storico artistico. Il resto delle citt storiche, il tessuto ordinario, anodino, o
le residenze della stragrande maggioranza dei cittadini erano ritenute disponibili per ogni
tipo di interventi: potevano essere sostituite con architetture moderne oppure potevano
essere sventrate, per malintese ragioni di traffico, o di igiene, o cose del genere.

A quel tempo io me lo ricordo bene - quando studiavo alla facolt di architettura si
parlava di necessit dellambientamento; io non ho mai capito francamente che cosa
fosse lambientamento. Era una specie di mimetizzazione dellarchitettura moderna nei
centri storici che doveva tener conto di doversi mimetizzare facendo ricorso agli stili
dellarchitettura del passato. E si insegnava ancora nelle facolt di architettura il
diradamento, cio bisognava dare aria ai centri storici - era la teoria, che credo molti di voi
sappiano - che Gustavo Giovannoni aveva teorizzato in un suo famoso libro allinizio degli
anni 30.

Non molti sanno che la Carta di Gubbio stata ripresa dalla cosiddetta Legge Ponte, del
1967, la legge promossa dal ministro Giacomo Mancini che segu i suggerimenti di
Antonio Cederna, legge che segu di poco la frana di Agrigento del 1966. Una legge che
stata molto importante. Ma la cosa che vorrei innanzitutto sottolineare come a quel
tempo governo e parlamento raccogliessero, dopo pochi anni, i contributi che erano stati
sniluppati sul piano teorico e che assumevano forza di legge. E ora mi chiedo se non
dobbiamo avere nostalgia del primo centro-sinistra rispetto ai centri-sinistra ai quali ci
stiamo abituando.
La Legge Ponte nota soprattutto per gli standard urbanistici che sono un fondamentale
diritto di cittadinanza, contro i quali ormai da tempo si sono scatenati quelli che Cederna
chiamava gli energumeni del cemento armato; fra questi per primo lattuale ministro dei
lavori pubblici, Maurizio Lupi, autore della famigerata Legge Lupi, della met degli anni
90, che prevedeva appunto di abrogare del tutto gli standard urbanistici.
Laltro contenuto di fondamentale importanza della legge riguarda gli argomenti dei quali
trattiamo oggi, perch introduceva fra i contenuti fondamentali del piano regolatore anche
la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e archeologici;
tenendo conto che per la prima volta la parola paesaggio, che era stata usata - come ha
ricordato Settis - nellarticolo 9 della Costituzione, viene recuperata in una legge ordinaria.

Che cosa dice la Legge Ponte a proposito dei centri storici? Dice una cosa allapparenza
molto rudimentale: che gli interventi nei centri storici devono essere subordinati ad
appositi piani particolareggiati. Una norma apparentemente rudimentale che per ha
avuto unimportanza fondamentale perch, alla fine, stato grazie a questa norma che
lItalia i centri storici, nel bene e nel male, pi nel male che ne bene, per almeno nei loro
contenuti fisici, nelle pietre, li ha conservati, a differenza degli altri paesi europei.
Comunque c una differenza fortissima fra quello che succedeva prima della Legge
Ponte e quello che successo dopo. Credo che molti di voi sappiano che la citt di Milano
nellimmediato dopoguerra cominci a radere al suolo il suo centro storico, tant vero che
Milano il centro storico non ce lha pi. Le citt che non erano state cos sollecite a
manomettere i centri storici, nel bene o nel male li hanno conservati. Per la prima
esperienza operativa, concreta, di intervento di tutela urbanistica in un centro storico
stata quella praticata nel comune di Bologna per iniziativa dellassessore allEdilizia
Pubblica Pier Luigi Cervellati. Il suo piano per il centro storico di Bologna era un PEP, cio
un piano per ledilizio economica popolare (siamo nei primissimi anni 70); venne
applicata, in forma evolutiva rispetto alle leggi, la possibilit di realizzare edilizia popolare
anche attraverso interventi di recupero. Liniziativa raccontata molto bene in una
recentissima intervista di Ilaria Agostini a Pier Luigi Cervellati, che trovate credo nel sito di
Italia Nostra.

Cervellati incontr moltissime difficolt soprattutto perch lui prevedeva giustamente
credo che gli edifici soggetti ad interventi su edilizia storica per essere destinati ad
edilizia popolare dovessero essere espropriati; lesproprio alla fine gli fu impedito.
Per Cervellati illustr la sua proposta in giro per tutta lEuropa, raccogliendo consensi
vastissimi che hanno contribuito al primato delIItalia in questa materia, che ha origine nel
concreto proprio dallesperienza bolognese.
Uno dei contenuti fondamentali del piano di Bologna era dovuta al fatto che si applicava
per la prima volta un altro grande vanto della cultura italiana, cio si adottava il metodo
dellanalisi e della classificazione tipologica, un metodo sul quale non mi posso
soffermare, dovuto a importanti studiosi, a Saverio Muratori e in seguito ai suoi allievi
Gianfranco Paniggia e Paolo Maretto. Questa metodologia consente, molto in sintesi, una
volta classificati gli edifici, di semplificare enormemente le modalit di intervento, che non
devono pi essere edificio per edificio valutate, analizzate e proposte ma basta riferirle
alle categorie. In ogni centro storico le categorie sono sempre molto poche e basta riferirsi
a queste per proporre gli interventi: tu, che hai un edificio che appartiene ad una certa
categoria, devi riportarla ai suoi originari connotati strutturali.

Bologna fece scuola. Dopo Bologna i metodi bolognesi furono applicati a Brescia, poi a
Venezia e a Napoli e in tante altre citt italiane grandi e piccole. Tutto questo successo
prima della controriforma e del revisionismo - come ha gi detto qualcuno che ha
cominciato a stravolgere queste esperienze. LAquila stata la prima citt colpita da
questo revisionismo: pensate che in modo molto molto autorevole, cio da parte del
governo, per il centro storico dellAquila fu proposto di salvare soltanto le facciate degli
edifici; dietro le facciate si poteva sostanzialmente fare quello che pareva pi conveniente.
Ma la cronaca pi dolorosa quella purtroppo che viene, molto recentemente, proprio da
Bologna. Fino pochissimi anni fa, grazie alla presenza che io definisco militante di Pier
Luigi Cervellati, di Andrea Emiliani, di Elio Garzillo che interviene dopo di me, il modello
bolognese si era conservato, aveva retto, sia pure con crescenti difficolt. Ma stato con
lultimo strumento urbanistico di Bologna, col Regolamento Urbano Edilizio del 2009, che
stata messa in discussone la cultura del recupero. Le modalit di intervento nei centri
storici sono regredite, sono tornate indietro di 50 anni. Si passati dalla dimensione
urbanistica che si era conquistata con la Carta di Gubbio, si ritornati alla dimensione
edilizia. Lobiettivo non pi il recupero integrale di un centro storico ma diventa la ricerca
delle soluzioni da adottare, edificio per edificio, dando anche soddisfazione a tanti
architetti che cos possono lasciare il loro segno sulla citt storica.

Il tradimento da Bologna si esteso allEmilia Romagna. La legge regionale per la
ricostruzione dopo il terremoto del maggio 2012, la legge 16 del 2012, una clamorosa
negazione dei principi e delle discipline di tutela e recupero della autenticit dei tessuti
storici. LEmilia Romagna, che per prima aveva definito e praticato il recupero urbanistico
dei centri storici, ha cancellato il concetto stesso di centro storico, limitando la tutela ai
pochi edifici oggetto di riconoscimento di vincolo da parte del Codice dei Beni Culturali.
Secondo Maria Pia Guermandi, che fa da speaker a questa iniziativa, si arrivati a questo
risultato per colpa della perversa alleanza fra la Regione e le Sovrintendenze che proprio
da questa contaminazione fra queste due istituzioni hanno coniato quella sciagurata
parola dordine di cui stiamo discutendo che dovera ma non comera.

Che razza di idea mai questa - ha scritto Maria Pia - se lobiettivo il restauro? E le
Sovrintendenze solo di restauro devono occuparsi. Allora il dovera ma non comera non
deve essere presentato come una mediazione con gli estremisti della conservazione ma
, alla fine, una scelta a favore del piccone demolitore. Infine, per non essere seconda a
nessuno, sulla scia dellAbruzzo anche lEmilia Romagna ha riesumato il piano di
ricostruzione, un infelice strumento utilizzato nel dopoguerra, proprio per mettere da parte
al legge urbanistica. Cio nel 1946 noi disponevamo gi di unottima legge urbanistica, del
42. Quando si messo mano alla ricostruzione del paese devastato dalla guerra si
detto: per non applichiamo la legge urbanistica, applichiamo i piani di ricostruzione.
E sciaguratamente si fatto ricorso proprio a questa stessa definizione per lo strumento
che deve guidare la ricostruzione, prima nellAbruzzo e adesso nellEmilia Romagna.

Lappello con il quale siamo stati convocati oggi qui a Mirandola , invece, comera
dovera. Noi non siamo nostalgici, non siamo passatisti, siamo anzi coloro che si
oppongono alla regressione, allomologazione distruttrice dellautenticit- sono parole di
Pier Paolo Pasolini -. E vogliamo contribuire a ripristinare il primato italiano nella cultura
del recupero.
Io voglio ringraziare Nicoletta Arbizzi, che ci ha splendidamente guidato stamattina nella
visita al centro storico di Mirandola, e Giuseppina Tonet che hanno collaborato alla
straordinaria riuscita di questa bellissima manifestazione. Grazie.

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