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10.3.

1 Introduzione
Lindustria del petrolio e del gas, per la natura stessa delle
sue attivit, incide pesantemente sullambiente. Vari pro-
blemi di carattere ambientale possono insorgere nel corso
dellintero ciclo petrolifero, sia nello stadio upstream
che in quello downstream, anche se pi probabile che
si verifichino nella fase di esplorazione e di produzione
(E&P) e durante il trasporto. Lindustria petrolifera inter-
nazionale sottoposta a una crescente pressione da parte
dei governi e della societ civile, affinch migliori costan-
temente la sua efficienza ambientale, limitando limpatto
negativo delle proprie attivit.
I problemi pi seri che lindustria petrolifera si trova
ad affrontare da questo punto di vista sono: a) le richieste
di una significativa riduzione alla fonte della produzione
di rifiuti pericolosi; b) una regolamentazione pi rigida
degli scarichi e delle emissioni degli impianti di produ-
zione e di raffinazione del petrolio; c) controlli pi rigo-
rosi sul trasporto del petrolio via mare e mediante oleo-
dotti; d) il recupero dei siti produttivi dopo il loro abban-
dono e il miglioramento dellefficienza energetica. Allo
stesso tempo, le compagnie petrolifere internazionali devo-
no fare i conti con la rapida crescita del corpus di regola-
menti, standard e linee guida nazionali e internazionali,
nonch con i rischi associati alle controversie ambientali.
Nella rete complessa e intricata di norme e di stan-
dard ambientali attualmente in vigore, possibile distin-
guere tre livelli di regolamentazione: internazionale (mon-
diale e regionale); nazionale; e autoregolamentazione
industriale, sotto forma di linee guida adottate da tutto il
settore o da una singola azienda. Lequilibrio tra i vari
livelli di regolamentazione e la loro importanza relativa
dipende principalmente dal tipo e dalla natura dellatti-
vit in questione. Il peso del diritto internazionale in
genere tanto pi rilevante, quanto maggiori sono le pos-
sibilit di complicazioni internazionali, sotto forma di in-
quinamento o di qualunque altro effetto transfrontaliero.
Nel complesso, si assiste a una rapida internaziona-
lizzazione dei controlli ambientali e a una progressiva
centralizzazione dellattivit legislativa internazionale
nel campo delle tematiche ambientali, con la conseguente
diminuzione, per i singoli Stati, della possibilit di fis-
sare propri standard in questa materia.
I regolamenti internazionali, principalmente sotto
forma di vari trattati, determinano spesso, direttamente
o indirettamente (attraverso la loro attuazione a livello
nazionale), sia il contenuto dei regolamenti nazionali,
sia il comportamento generale degli Stati e dellindu-
stria. A livello mondiale, esistono molti strumenti vin-
colanti che interessano lindustria petrolifera, a cui si
deve aggiungere un gran numero di strumenti non stret-
tamente vincolanti (detti anche di soft law). Nelle pagi-
ne seguenti saranno esaminati gli esempi pi importan-
ti di queste normative e sar effettuata unanalisi approfon-
dita di alcune aree specifiche dei regolamenti ambientali
internazionali, di particolare interesse per le attivit di
esplorazione e produzione di idrocarburi. Seguir una
panoramica pi ampia dei sistemi giuridici nazionali in
materia ambientale e delle pratiche di gestione dei pro-
blemi ambientali pi diffuse nel settore.
10.3.2 Limpatto ambientale
dellindustria petrolifera
Le attivit dellindustria petrolifera producono sempre
effetti, o impatti, sullambiente, a livello locale, regio-
nale o addirittura mondiale. Tali impatti variano a secon-
da del tipo di attivit (E&P, trasporto via mare o median-
te oleodotti, raffinazione, lavorazione del greggio e del
gas e consumo di combustibili fossili per la produzione
di energia), della scala su cui questa viene condotta, della
collocazione degli impianti (in mare o sulla terraferma),
nonch delle caratteristiche e della fragilit dellambiente
circostante.
507 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
10.3
La protezione ambientale
nellindustria degli idrocarburi
Le attivit di E&P sono accompagnate dalla produ-
zione di una notevole quantit di rifiuti, pi o meno noci-
vi. In questo stadio, limpatto rimane confinato per lo
pi in un ambito locale, ma pu acquisire una dimen-
sione transnazionale nel caso, per esempio, di un pro-
getto offshore. Le operazioni di esplorazione sismica e
la perforazione di pozzi di esplorazione producono gene-
ralmente rumori, vibrazioni, disturbi di vario tipo allam-
biente, comprese la flora e la fauna selvatiche, fenome-
ni di erosione e cambiamenti dellidrologia di superfi-
cie. Le attivit a terra possono comportare la costruzione
di strade e il disboscamento di ampie zone. I materiali
di scarto prodotti durante la perforazione dei pozzi esplo-
rativi sono composti per lo pi da fluidi e da detriti di
perforazione, che possono contenere idrocarburi e ten-
sioattivi chimici. Inoltre, durante la perforazione si pro-
ducono grandi quantit di acqua con gradi diversi di sali-
nit. Lo smaltimento dei rifiuti, delle emissioni di gas e
di liquidi contenenti petrolio, sostanze chimiche o altri
elementi nocivi, rappresenta uno dei problemi ambien-
tali pi frequenti. Nei rifiuti possono essere presenti
anche idrocarburi e residui dei fluidi di trattamento. Seb-
bene in questa fase limpatto ambientale sia in genere
relativamente ridotto e rimanga confinato entro precisi
limiti di spazio e di tempo, gli effetti sugli ecosistemi
pi fragili possono essere devastanti.
Limpatto diventa pi significativo durante le attivit
di produzione, che comportano il recupero attivo degli
idrocarburi dalle formazioni rocciose in cui sono conte-
nuti. Le operazioni condotte durante le fasi di sviluppo
e di coltivazione di un giacimento comportano quasi sem-
pre un aumento degli scarichi industriali. Questa fase
caratterizzata anche da una crescita dei rischi di inqui-
namento casuale da petrolio e di contaminazione del ter-
reno e dellacqua, dovuta a perdite e fuoriuscite.
Il recupero, il restauro, il ripristino, la bonifica dei siti
petroliferi ivi compreso lo smantellamento delle piat-
taforme petrolifere in mare sono, dal punto di vista tec-
nico ed economico, tra i problemi pi gravi che lindu-
stria petrolifera si trova a dover affrontare in una prospet-
tiva a lungo termine. Con lapprossimarsi della conclusione
della vita produttiva di molti campi petroliferi, la que-
stione di cosa fare con le strutture esistenti acquista sem-
pre maggiore urgenza. Con il termine decommissioning
(dismissione) si indicano: a) la cessazione delle opera-
zioni nei pozzi; b) la rimozione di impianti e macchina-
ri; c) la rimozione totale o parziale di qualunque struttu-
ra fissa o galleggiante; d) la rimozione o la stabilizzazio-
ne dei detriti di perforazione; e) lo smantellamento o la
rimozione degli oleodotti; f ) il ripristino del fondo mari-
no, cos come ogni altra attivit analoga a terra (per esem-
pio, il riciclaggio o la stabilizzazione dei materiali di scar-
to). Sebbene le operazioni di dismissione non pongano,
in s, alcuna seria minaccia allambiente, la presenza di
installazioni in mare abbandonate pu ostacolare altre
forme di fruizione del mare, soprattutto la navigazione e
la pesca; ragion per cui, nella maggior parte dei casi,
necessario procedere alla loro completa rimozione.
Nella fase di trasporto del petrolio e dei suoi deriva-
ti, i rischi maggiori per lambiente sono costituiti dal-
linquinamento operativo causato dagli scarichi di acque
oleose e di scolo dalle navi, nonch dalle fuoriuscite di
petrolio in seguito a collisioni o altri incidenti che coin-
volgano le petroliere. La costruzione e la gestione di
oleodotti terrestri o sottomarini possono produrre danni
ambientali di vario tipo, dalla distruzione di habitat e di
ampi tratti della vegetazione nella fase di costruzione, a
perdite e fuoriuscite di petrolio in seguito a rotture delle
condutture dovute a cause naturali o alluomo. La pre-
senza di migliaia di operai, per il tempo necessario alla
realizzazione di un oleodotto, pu avere un impatto rile-
vante sullambiente. Lo scavo di canali per la posa di
condutture sottomarine pu produrre gravi danni allam-
biente bentonico e agli habitat sottomarini. Le aree umide
e gli specchi dacqua sono particolarmente soggetti al
rischio di inquinamento petrolifero.
Nella fase di lavorazione del petrolio e del gas, gli
impianti di raffinazione e i sistemi di distribuzione pro-
ducono una vasta gamma di materiali di scarto perico-
losi. Ogni fase del processo di raffinazione degli idro-
carburi produce le sue scorie: acqua e fanghi contami-
nati da petrolio, rifiuti nocivi inquinati da contaminanti
persistenti e tossici, catalizzatori esausti (spesso conte-
nenti elevate percentuali di metalli pesanti), oltre a emis-
sioni atmosferiche di sostanze inquinanti di vario tipo,
come benzene e toluene.
Infine, il consumo di petrolio e soprattutto luso di
combustibili fossili la fonte principale di inquinanti
atmosferici: particolato (PM, Particulate Matter), bios-
sido di carbonio (CO
2
), ossidi di azoto (NO
x
), monossi-
do di carbonio (CO), solfuro di idrogeno (H
2
S) e biossi-
do di zolfo (SO
2
). I due principali problemi ambientali
causati dalle emissioni di queste sostanze sono: linqui-
namento atmosferico transnazionale ad ampio raggio,
allorigine del fenomeno delle piogge acide; e, ancora
pi grave, il riscaldamento globale risultante dallaccu-
mularsi negli strati alti dellatmosfera dei cosiddetti gas
serra. Questultimo realmente un problema di dimen-
sioni globali, motivo di gravi preoccupazioni per la comu-
nit internazionale e per lindustria petrolifera mondiale.
Le aree maggiormente interessate dalle attivit del-
lindustria petrolifera comprendono quindi latmosfera,
gli ambienti acquatici (di acqua dolce o marini), gli eco-
sistemi terrestri e in particolare quelli pi fragili, compre-
se moltissime specie animali e vegetali. Le fonti pi impor-
tanti di emissioni atmosferiche sono i processi di combu-
stione, compresa la combustione in torcia del gas associato,
le fughe di gas durante le operazioni di carico e il partico-
lato prodotto da altri processi di combustione. Linquina-
mento degli ambienti acquatici causato principalmente
508 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
dallo scarico dei rifiuti delle operazioni di E&P, tra cui
lacqua prodotta, i fluidi di perforazione, lacqua di pro-
cesso e di drenaggio e altre sostanze contaminanti. Lim-
patto sugli ecosistemi terrestri, cio sul terreno, la flora
e la fauna locali, causato in genere dalle attivit di costru-
zione, dalla contaminazione dovuta a perdite di fluidi e
allo smaltimento dei rifiuti solidi e da altri fenomeni per-
turbanti. Di conseguenza, le diverse attivit che costitui-
scono il ciclo completo degli idrocarburi sono soggette a
normative ambientali, sia internazionali sia nazionali,
relative ad aree specifiche dellambiente globale, come
le acque, latmosfera, la biodiversit, e altre.
10.3.3 Il quadro giuridico
internazionale in materia
ambientale relativo
allindustria petrolifera
Principii giuridici internazionali
Il diritto internazionale svolge un ruolo sempre pi
importante nel determinare le risposte dei governi, del-
lindustria e delle istituzioni internazionali, ai problemi
ambientali legati alla produzione energetica. Alcuni con-
cetti fondamentali emersi a livello internazionale, e in
seguito confermati da molti accordi globali o regionali e
accettati a livello nazionale, costituiscono la base legale
cui i singoli paesi e le compagnie petrolifere devono atte-
nersi o riferirsi al momento di emanare, applicare od osser-
vare la relativa legislazione nazionale. Essi si sono cri-
stallizzati in un insieme di principii legali che sovrinten-
dono alle operazioni dellindustria petrolifera mondiale.
Sviluppo sostenibile. La definizione pi comune di
questo principio : uno sviluppo che soddisfi i bisogni
del presente senza compromettere la capacit delle futu-
re generazioni di soddisfare i propri bisogni. Lo svi-
luppo economico e la conservazione dellambiente dovreb-
bero sostenersi a vicenda ed essere perseguiti a livello
nazionale e internazionale. Il concetto di sviluppo soste-
nibile prevede linserimento di considerazioni di carat-
tere ambientale allinterno delle politiche, dei program-
mi e dei singoli progetti di sviluppo. Lo sfruttamento
delle risorse naturali dovrebbe avvenire in modo saggio
od ottimale. Lo scopo delle politiche di sviluppo soste-
nibile quello di assicurare che le attivit dellindustria
petrolifera procurino vantaggi durevoli alla societ,
aumentando il pi possibile gli effetti positivi e riducendo
al minimo gli impatti negativi di tali attivit, attraverso
unattenta considerazione dei loro aspetti sociali, ambien-
tali, etici ed economici. Sebbene un particolare proget-
to di sviluppo petrolifero possa risultare non sostenibile
a causa del prevedibile esaurimento delle riserve, esso
pu fornire comunque un contributo significativo alla
realizzazione di uno sviluppo socialmente sostenibile,
creando occupazione e generando tasse e royalty che
consentono di migliorare i servizi pubblici. In riferimento
alle risorse naturali non rinnovabili, come il petrolio, che
sono limitate per definizione, stato proposto di utiliz-
zare il concetto di semisostenibilit. In sostanza, ci signi-
fica che le operazioni petrolifere dovrebbero essere mira-
te ad assicurare il massimo recupero del petrolio, ridu-
cendo al minimo gli effetti negativi sullambiente. Pi
in generale, il termine semisostenibilit indica la possi-
bilit di effettuare un investimento compensativo in un
settore alternativo sostenibile, in modo tale da assicura-
re, al momento dellesaurimento delle risorse petrolife-
re, una produzione sostenibile annua pari alla percen-
tuale di reddito formata dalle entrate derivanti dalle risor-
se petrolifere (Gao, 1998). Lobiettivo generale di questo
approccio quello di riservare una quota della ricchez-
za dello Stato alle future generazioni, attraverso la crea-
zione, tra laltro, di fondi fiduciari petroliferi e di ana-
loghi meccanismi finanziari.
Il principio di prevenzione. Il modo migliore di pro-
teggere lambiente quello di prevenire il danno ambien-
tale, anzich correggerlo o compensarlo quando gi
avvenuto. Non solo, infatti, il danno pu essere a volte
irreversibile, ma in genere le misure preventive sono pi
efficaci e meno costose degli interventi ex post facto. La
massima efficienza si ottiene intervenendo alla fonte del-
limpatto ambientale. Lapproccio preventivo dovrebbe
essere applicato a tutti gli operatori e a tutte le attivit che
possono avere effetti dannosi. Questo principio non impli-
ca la prevenzione di qualunque danno possibile, ma sta-
bilisce lobbligo di ridurre al minimo le conseguenze noci-
ve delle attivit ammissibili per mezzo di unidonea rego-
lamentazione. La sua attuazione avviene in genere mediante
lapplicazione di standard minimi (controlli delle emis-
sioni, valori limite delle emissioni, standard e obiettivi
qualitativi ambientali) o il riferimento ad altri parametri,
come il BAT (Best Available Techniques) o il BEP (Best
Environmental Practices). Per BAT si intende lo stadio
pi avanzato di sviluppo dei processi, degli impianti o dei
metodi operativi, che permettono di valutare la possibi-
lit pratica di adottare una particolare misura di conteni-
mento delle emissioni e delle scorie. Il termine tecniche
si riferisce sia alla tecnologia utilizzata, sia al modo in cui
uninstallazione progettata, costruita, mantenuta, gesti-
ta e smantellata. Con BEP si indica invece lapplicazio-
ne della combinazione pi appropriata di misure e di stra-
tegie di controllo ambientale. Un altro strumento molto
diffuso sono le valutazioni di impatto ambientale, che per-
mettono di individuare le potenziali minacce allambien-
te e di adottare misure preventive adeguate.
Il principio precauzionale. Questo principio prevede
ladozione di misure idonee ad anticipare, prevenire e moni-
torare i rischi di danni ambientali gravi e irreversibili cau-
sati dallattivit umana, anche in assenza di una certezza
scientifica a tale riguardo. Lapproccio precauzionale ha
509 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
molti punti di contatto con il principio di prevenzione, ma,
a differenza di questo, viene applicato nelle situazioni di
incertezza scientifica, rovesciando il concetto tradiziona-
le di onere della prova. Esso stabilisce infatti la necessit
di intervenire anche nei casi in cui manchi una completa
ed esatta conoscenza scientifica del livello di rischio di
danni ambientali potenzialmente gravi o irreversibili col-
legato a determinate attivit. Limportanza di tale princi-
pio per lindustria petrolifera evidente.
Il principio chi inquina paga. I costi delle misure
di prevenzione, controllo e riduzione dellinquinamen-
to (danno ambientale) devono essere sopportati intera-
mente dai soggetti responsabili dellinsorgere dei danni
e dei relativi costi. Il principio ha un carattere prevalen-
temente economico ed diretto a trasferire alle imprese
i costi delle misure di controllo, riparazione e protezio-
ne del danno ambientale. Lattuazione di tale principio
avviene generalmente a livello nazionale con il ricorso
a diversi strumenti economici, quali imposte, oneri, assi-
curazioni, responsabilit civile e indennizzi.
Lo spettro degli strumenti di regolamentazione inter-
nazionale applicabili allindustria petrolifera estrema-
mente ampio. La portata e il rilievo di tali strumenti varia-
no a seconda della natura delle attivit regolamentate, delle
caratteristiche ambientali protette, dellambito geografi-
co, del numero dei paesi coinvolti, e cos via. Accanto a
convenzioni veramente globali, soprattutto nel campo della
protezione dellambiente marino, della biodiversit e del-
latmosfera, esistono regimi geograficamente circoscritti
adottati sotto gli auspici delle Nazioni Unite, come la Com-
missione Economica per lEuropa dellONU (UNECE,
United Nations Economic Commission for Europe), o di
organizzazioni volte allintegrazione economica di una
regione, come la Comunit Europea (CE), oppure riguar-
danti aree geografiche particolari (mari regionali o zone
geografiche specifiche, come lAmerica Settentrionale).
Nella seconda parte di questo capitolo saranno esa-
minate in dettaglio quelle parti della regolamentazione
ambientale internazionale che presentano un particola-
re interesse per il settore petrolifero, e in primo luogo
quelle riguardanti la protezione dellambiente marino,
latmosfera e il cambiamento climatico, nonch la con-
servazione della biodiversit. Ma prima pu essere utile
gettare uno sguardo su altri importanti regimi di regola-
mentazione che riguardano le operazioni dellindustria
petrolifera internazionale.
Il Trattato per la Carta dellEnergia (TCE), firmato
nel 1994, uno di questi strumenti e il primo del suo
genere completamente e specificamente incentrato sul
settore dellenergia. Sebbene la sua portata sia attual-
mente limitata per lo pi allEurasia (Europa occidenta-
le e centrale, ex Unione Sovietica, Giappone e Australia),
qualunque Stato, a prescindere dalla sua collocazione
geografica, ha in teoria la possibilit di accedere a que-
sto strumento. Accanto alle disposizioni che regolano il
commercio di prodotti energetici e la protezione e la
promozione degli investimenti, il Trattato contiene norme
riguardanti i problemi ambientali legati allindustria del-
lenergia, incoraggiando in proposito lapplicazione del
principio precauzionale e di quello per cui chi inquina
paga. Uno degli articoli ambientali del TCE sottolinea
la necessit di ridurre al minimo gli impatti nocivi di
tutte le operazioni facenti parte del ciclo dellenergia,
di integrare le tematiche ambientali nella politica del-
lenergia, di includere i costi ambientali nel prezzo del-
lenergia, di armonizzare gli standard ambientali e via
di seguito. Disposizioni pi dettagliate miranti alla ridu-
zione dellimpatto ambientale dei sistemi e delle atti-
vit del settore energetico sono contenute in uno spe-
ciale protocollo sullefficienza energetica e sulle questio-
ni ambientali collegate.
Il quadro delle disposizioni giuridiche emanate dalla
Comunit Europea in materia ambientale rappresenta pro-
babilmente il corpus pi vasto e completo di principii,
norme, standard e procedure ambientali esistente nel
mondo a livello regionale. Mentre gli obiettivi e i princi-
pii generali del diritto comunitario sono esposti nel Trat-
tato della Comunit Europea, la politica ambientale della
Comunit si progressivamente sviluppata attraverso sei
programmi di azione, che affrontano tra laltro le seguen-
ti aree chiave: a) la gestione sostenibile delle risorse natu-
rali; b) il cambiamento climatico; c) lintegrazione delle
misure di controllo dellinquinamento e di prevenzione
della produzione di rifiuti; d) la riduzione del consumo
dellenergia da fonti non rinnovabili. Tali obiettivi poli-
tici si riflettono in oltre 250 direttive, regolamenti e deci-
sioni in materia ambientale, che interessano tutti, diret-
tamente o indirettamente, lindustria petrolifera.
Uno dei pi importanti strumenti della legislazione
comunitaria in questo campo la Direttiva 96/61/CE sul
Controllo e la Prevenzione Integrati dellInquinamento
(IPPC, Integrated Pollution Prevention and Control),
mirante ad attuare un approccio integrato al controllo
dellinquinamento causato da varie attivit, tra cui le cen-
trali termoelettriche, le raffinerie di petrolio e di gas, gli
impianti chimici per la produzione di idrocarburi sem-
plici, idrocarburi ossigenati e idrocarburi solforati e azo-
tati. La Direttiva 96/61/CE stabilisce un meccanismo di
controllo dellinquinamento attuato attraverso un siste-
ma di autorizzazioni e permessi basato sul concetto di
BAT. In base alle direttive sulla valutazione dellimpat-
to ambientale (EIA, Environmental Impact Assessment)
emanate nel 1985 e nel 1997 (Direttive 85/337/CEE e
97/11/CE), tutte le operazioni e gli impianti petroliferi,
sia nella fase upstream che in quella downstream (E&P,
raffinazione del greggio, oleodotti e gasdotti, grandi cen-
trali termoelettriche, impianti di stoccaggio e cos via),
sono soggetti allobbligo di valutazione.
Il problema della protezione e del miglioramento di
diverse componenti ambientali, come laria, le riserve di
510 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
acqua dolce, lambiente marino, le aree naturali, la bio-
diversit, lo strato di ozono e il clima, oggetto di nume-
rosi strumenti legislativi comunitari, che regolano anche
lo svolgimento di specifiche attivit, situazioni o sostan-
ze potenzialmente nocive, come gli impianti industriali,
il biossido di zolfo o il biossido di azoto, lo smaltimen-
to dei rifiuti e delle sostanze pericolose per lambiente
e cos via. Baster a tale proposito menzionare la Diret-
tiva 94/22/CE relativa alle Condizioni di Rilascio e di
Esercizio delle Autorizzazioni alla Prospezione, Ricer-
ca e Coltivazione di Idrocarburi, o la Direttiva 84/360/CEE
sulla Lotta allInquinamento dellAria prodotto dagli
Impianti Industriali.
Protezione internazionale
dellambiente marino
Osservazioni generali
Il problema dellinquinamento da petrolio dellam-
biente marino, prodotto sia dagli scarichi operativi sia da
incidenti occorsi alle petroliere e alle piattaforme in mare,
affrontato da numerose convenzioni internazionali, mon-
diali e regionali. Il regime giuridico internazionale rela-
tivo alla prevenzione dellinquinamento da petrolio e da
altre sostanze pericolose, che pu essere considerato come
il pi sviluppato, basato su: la Convenzione del 1982
delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (nota come Con-
venzione UNCLOS 1982, United Nations Convention on
the Law Of the Sea); la Convenzione Internazionale del
1973-1978 per la Prevenzione dellInquinamento dalle
Navi (nota come Convenzione MARPOL 73/78, da MAR-
ine POLlution); e alcune convenzioni quadro regionali
riguardanti specifiche aree marittime.
La Convenzione UNCLOS 1982 uno strumento lega-
le a ombrello, emanato principalmente allo scopo di crea-
re un regime giuridico globale per tutti i mari e gli ocea-
ni della Terra. Il suo obiettivo quello di ripartire obbli-
ghi e diritti tra le diverse categorie di Stati e di offrire una
base per lulteriore sviluppo di norme e standard speci-
fici per combattere linquinamento marino, compreso
quello causato dalla navigazione e dalle attivit sul fondo.
La Convenzione UNCLOS riconosce agli Stati il diritto
sovrano allo sfruttamento delle risorse naturali presenti
sul proprio territorio, in base alle loro politiche ambien-
tali e nel rispetto dellobbligo di proteggere e preservare
lambiente marino. La sezione XII della Convenzione
UNCLOS affronta in particolare le questioni della pro-
tezione dellambiente marino da diverse fonti potenziali
di inquinamento, tra cui lesplorazione e la produzione
delle risorse minerarie del fondo marino, imponendo agli
Stati ladozione di misure atte a prevenire, ridurre e con-
trollare linquinamento marino di qualsiasi origine, uti-
lizzando i migliori metodi e strumenti disponibili, appli-
cando gli standard e le norme generalmente accettati e
attuando le pratiche e le procedure raccomandate.
Molti di questi standard sono contenuti nella Con-
venzione MARPOL 73/78, elaborata per combattere lin-
quinamento dellambiente marino causato dal rilascio di
sostanze nocive o da flussi di scarico contenenti tali
sostanze, petrolio compreso. Sebbene il suo scopo pri-
mario sia quello di prevenire e controllare linquinamento
marino prodotto dalle navi, essa si applica anche ad alcu-
ni aspetti ambientali delle operazioni E&P in mare.
Uno strumento ampiamente diffuso per affrontare i
problemi ambientali di comune interesse, oltre alla coo-
perazione a livello mondiale, quello degli accordi regio-
nali. In molti casi, infatti, il livello pi appropriato per
condurre unazione di protezione dellambiente pro-
prio quello regionale, in parte perch questo tipo di
approccio offre lopportunit di adottare regimi giuridi-
ci pi specifici e standard legislativi pi rigorosi, dato
che un numero limitato dei partecipanti consente in gene-
re lidentificazione di un denominatore comune pi ele-
vato. Limportanza degli accordi regionali riconosciu-
ta, ovviamente, dallo stesso diritto del mare. La Con-
venzione UNCLOS, pur essendo diretta principalmente
alla creazione di un quadro giuridico globale in grado di
regolare tutti gli aspetti delluso umano degli oceani, fa
espresso riferimento alla necessit di norme, program-
mi e forme di cooperazione a livello regionale.
A partire dai primi anni Settanta, sono apparsi cos
numerosi trattati regionali e protocolli riguardanti spe-
cifiche aree marittime, per contrastare varie forme di
inquinamento marino, compreso quello causato dalle
attivit di E&P in mare. Le convenzioni regionali per la
difesa dellambiente marino attualmente esistenti sono
una ventina. Un approccio regionale stato adottato, tra
laltro, dai paesi che si affacciano sullAtlantico nordo-
rientale, sul Baltico, sul Mediterraneo e sul Mar Nero,
sul Golfo Persico (Arabico), sul Mar Rosso e sul Golfo
di Aden, nonch in Africa centroccidentale, in Africa
orientale, in Asia orientale, nel Pacifico meridionale e
in quello sudorientale, nellAtlantico sudoccidentale e
in altre aree del pianeta. Il Programma Ambientale delle
Nazioni Unite (UNEP, United Nations Environment Pro-
gramme), in particolare, ha svolto un ruolo fondamen-
tale nel promuovere la formazione di identit regionali
nellambito della lotta allinquinamento marino, attra-
verso il suo Programma per i Mari Regionali.
Linquinamento operativo dalle attivit
di esplorazione e produzione petrolifere
La Convenzione UNCLOS 1982 il principale stru-
mento di prevenzione e controllo a livello mondiale del-
linquinamento marino, compreso quello causato da fonti
inquinanti situate sulla terraferma o da operazioni petro-
lifere in mare. Gli artt. 208 e 214 comprendono entram-
bi gli aspetti delle misure antinquinamento, cio la rego-
lamentazione e limplementazione. In particolare, si
richiede agli Stati costieri di adottare e applicare una
511 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
serie di leggi e regolamenti atti a contrastare linquina-
mento marino derivante dalle attivit sul fondo. Tali leggi
e regolamenti non devono avere unefficacia inferiore a
quella delle norme e degli standard internazionali o delle
pratiche e delle procedure raccomandate a livello inter-
nazionale. Inoltre, gli Stati sono invitati ad armonizzare
le loro politiche al livello regionale pi appropriato e ad
adottare norme regionali e globali di controllo e pre-
venzione dellinquinamento marino proveniente dalle
installazioni petrolifere in mare.
Nella sua Agenda 21, la Conferenza delle Nazioni
Unite sullAmbiente e lo Sviluppo, svoltasi a Rio nel
1992 (UNCED, United Nations Conference on Environ-
ment and Development), fa esplicito riferimento alla
necessit di adottare misure ulteriori per contrastare il
degrado dellambiente marino causato dalle emissioni e
dagli scarichi prodotti dalle attivit petrolifere in mare.
La Convenzione MARPOL 73/78 si applica agli sca-
richi provenienti sia dalle navi, sia dalle piattaforme in
mare, con riferimento a qualunque rilascio di sostanze
inquinanti causato da fughe, smaltimento, fuoriuscite,
perdite, emissione o svuotamento. Non si applica per
allinquinamento marino derivante direttamente dalle
operazioni in mare, come, per esempio, linquinamento
collegato alluso di fanghi di perforazione a base di petro-
lio o alle perdite di petrolio che si verifichino durante il
collaudo dei pozzi.
LAnnesso I della Convenzione MARPOL, che si
occupa in particolare dellinquinamento da petrolio, fa
riferimento agli scarichi prodotti dai macchinari delle
piattaforme di perforazione o di altro tipo. Per quanto
riguarda gli scarichi delle lavorazioni in mare, lo smal-
timento dellacqua prodotta e gli scarichi di dislocamento,
non vi sono attualmente norme o standard mondiali ap-
plicabili a questo tipo di scarichi; questi sono regolati in
parte dalle convenzioni regionali e in parte dalle legisla-
zioni nazionali, che spesso adottano standard differenti.
LAnnesso V si occupa della protezione dellambiente
marino dallinquinamento causato dai rifiuti prodotti
dalle navi o dalle installazioni in mare. In esso sono con-
tenute alcune disposizioni specifiche riguardanti le piat-
taforme fisse o galleggianti impegnate nelle attivit di
esplorazione, sfruttamento e trattamento delle risorse
minerarie presenti nel fondo marino.
Infine, lAnnesso VI, dedicato allinquinamento atmo-
sferico, stabilisce limiti alle emissioni di ossido di zolfo
e di ossido di azoto nei gas di scarico di navi e piattaforme
e proibisce lemissione consapevole di sostanze suscet-
tibili di danneggiare lo strato di ozono.
Sebbene quasi tutte le convenzioni regionali conten-
gano disposizioni di carattere generale riguardanti lin-
quinamento prodotto dalle attivit sul fondo marino, o a
esse connesso, in alcuni casi stato necessario integrarle
con protocolli o altri strumenti subordinati che affronta-
no in modo specifico le attivit di E&P petrolifere in mare.
Certi regimi giuridici regionali, e in particolare quelli rela-
tivi ai mari dove si svolge unintensa attivit (effettiva o
potenziale) legata agli idrocarburi, contengono forme di
regolamentazione specifiche. Tra le zone di questo tipo,
le pi importanti sono il Mar Baltico, lAtlantico nordo-
rientale, il Golfo Persico (Arabico) e il Mediterraneo.
Nella Convenzione per la Protezione dellAmbiente
Marino nella Regione del Baltico del 1992 (nota come
Convenzione di Helsinki), lobbligo generale di assu-
mere tutte le misure atte a prevenire linquinamento del-
lambiente marino, risultante dallesplorazione e dallo
sfruttamento del fondo e del sottosuolo marino o da qua-
lunque attivit associata alle precedenti, maggiormen-
te articolato nellAnnesso VI, che fa parte integrante
della Convenzione. In esso vengono stabilite procedure
e misure relativamente dettagliate, che gli Stati devono
attuare nei riguardi delle operazioni petrolifere condot-
te nelle aree marine poste sotto la loro giurisdizione. Tali
procedure si applicano a problematiche di vario tipo, che
comprendono lutilizzo dei parametri BAT e BEP, la valu-
tazione dellimpatto ambientale e il monitoraggio, gli
scarichi nella fase di E&P, la presentazione di rapporti e
lo scambio di informazioni, nonch la pianificazione
degli imprevisti e dellabbandono delle installazioni.
LAnnesso VI contiene un certo numero di disposizioni
che regolano gli scarichi operativi dalle piattaforme in
mare sia nella fase di esplorazione che in quella di pro-
duzione e riguardano principalmente agli scarichi con-
tenenti petrolio. Le disposizioni dellAnnesso IV, che
riguardano gli scarichi di rifiuti e di liquami, si applica-
no anche alle piattaforme in mare.
La Convenzione per la Protezione dellAmbiente Ma-
rino nellAtlantico nordorientale del 1992 (nota come
Convenzione OSPAR, dalle iniziali OSlo e PARigi) af-
fronta, nellAnnesso III, il problema specifico della pre-
venzione e delleliminazione dellinquinamento prove-
niente da fonti situate in mare. Tuttavia, a differenza di
altri strumenti regionali analoghi, non fornisce standard
e requisiti tecnici, ma si limita a esporre norme e concet-
ti piuttosto generici che, a quanto pare, spetter alla Com-
missione OSPAR, incaricata di elaborare programmi e
misure per la riduzione e leliminazione dellinquina-
mento marino, sviluppare ulteriormente con una serie di
decisioni e raccomandazioni. Il regolamento adottato dalla
Commissione copre la maggior parte delle forme principa-
li di inquinamento operativo diretto: produzione di acque
oleose, di fanghi e detriti di perforazione. Buona parte del
lavoro di regolamentazione della Commissione, relativa-
mente agli scarichi di petrolio dalle installazioni in mare,
stato condotto dallOffshore Industry Committee.
LAnnesso III della Convenzione OSPAR del 1992
proibisce labbandono di rifiuti o di altri materiali dalle
installazioni in mare, ma non si applica agli scarichi e
alle emissioni. previsto, invece, che luso nelle in-
stallazioni in mare, o lo scarico o lemissione da esse, di
512 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
sostanze in grado di contaminare e danneggiare larea
marittima circostante, possano avvenire solo ed esclusi-
vamente sulla base di unautorizzazione o di una rego-
lamentazione emesse dalle competenti autorit degli Stati
interessati. evidente che la Commissione OSPAR con-
tinuer a svolgere un ruolo della massima importanza
nellelaborazione di standard e regolamenti idonei nel
campo delle attivit in mare.
La Convenzione Regionale per la Cooperazione nella
Protezione dellAmbiente Marino, sottoscritta in Kuwait
nel 1976 (nota come Convenzione del Kuwait del 1976),
contiene disposizioni di carattere generale riguardanti
linquinamento causato dalle attivit di esplorazione e
sfruttamento della piattaforma continentale, e un proto-
collo speciale dedicato allinquinamento marino prodot-
to dalle attivit di esplorazione e sfruttamento della piat-
taforma continentale (Protocollo 1989). Questultimo sta-
bilisce che le misure contro linquinamento marino
prodotto dalle attivit in mare dovrebbero essere adotta-
te utilizzando la migliore tecnologia disponibile, purch
economicamente valida. Il Protocollo descrive una vasta
gamma di misure per la prevenzione dellinquinamento,
dal sistema di autorizzazioni e dalle valutazioni di impat-
to ambientale, fino alla regolamentazione specifica degli
scarichi di petrolio e di acque oleose, di fluidi di perfo-
razione a base di petrolio, di fanghi di perforazione a base
dacqua, di sostanze chimiche, di immondizie e liquami.
Il documento pi evoluto in questo campo il Pro-
tocollo del 1994 per la Protezione del Mar Mediterra-
neo dallInquinamento causato dallEsplorazione e dallo
Sfruttamento della Piattaforma Continentale e del Fondo
e del Sottosuolo marini. Il Protocollo del 1994 contiene
disposizioni dettagliate riguardanti lautorizzazione delle
attivit di esplorazione e di sfruttamento in mare, la rego-
lamentazione dellinquinamento operativo, le misure di
sicurezza e le situazioni di emergenza, la rimozione delle
installazioni, le aree protette e molto altro ancora.
Riassumendo, nonostante limportanza delle riserve
di idrocarburi in mare e la crescente preoccupazione per
limpatto ambientale delle attivit di E&P, soprattutto in
relazione alla gestione dei materiali di scarto, non esiste
attualmente a livello mondiale un regime di regolamen-
tazione dellintero spettro dellinquinamento operativo
prodotto dalle attivit petrolifere in mare. Al suo posto,
troviamo una combinazione di strumenti di carattere
generale, sia nella forma di hard law sia in quella di soft
law, e di norme e standard tecnici, integrata a livello
regionale da alcuni strumenti pi specifici, che costitui-
sce un quadro giuridico in costante evoluzione a cui fanno
riferimento le iniziative di controllo e di riduzione di
questo tipo di inquinamento marino.
Inquinamento accidentale da petrolio
Gli strumenti legali che governano le azioni di rispo-
sta e le forme di cooperazione nei casi di inquinamento
accidentale da petrolio non distinguono, di norma, tra i
vari tipi di attivit potenzialmente pericolose e le situa-
zioni di emergenza. Con il termine emergenza si indica
in genere qualunque situazione che causi, o che minac-
ci di causare, un danno grave e imminente allambiente
o ad altri interessi legittimi di Stati o aree al di l della
legislazione nazionale. Negli ultimi decenni si conso-
lidata una prassi legale internazionale molto efficiente
per i casi di inquinamento accidentale. Lobiettivo prin-
cipale di molti degli strumenti legali internazionali uti-
lizzati larmonizzazione delle politiche e delle proce-
dure nazionali di risposta allinquinamento petrolifero,
principalmente attraverso lunificazione dei piani di emer-
genza nazionali e il miglioramento della capacit di rea-
zione degli Stati nelle situazioni di questo tipo.
La Convenzione UNCLOS del 1982 affronta la que-
stione dellinquinamento accidentale connesso alle atti-
vit in mare da un punto di vista molto generale. Gli Stati
sono invitati ad assumere le misure necessarie allo scopo
di ridurre al minimo, nel modo pi completo possibile,
linquinamento prodotto dalle installazioni in mare, con
unattenzione particolare verso le misure atte a preve-
nire gli incidenti e a gestire le emergenze. Nellarea a
rischio o gi danneggiata, i diversi Stati dovrebbero coo-
perare per eliminare gli effetti dellinquinamento e pre-
venire, o ridurre al minimo, il danno ambientale, median-
te la promozione e lelaborazione comune di adeguati
piani di emergenza. Questo giudicato attualmente il
mezzo pi efficace per combattere gli episodi di inqui-
namento accidentale.
Adottata nel 1990 sotto gli auspici dellOrganizza-
zione Marittima Internazionale (OMI), la Convenzione
Internazionale sulla Preparazione, la Reazione e la Coo-
perazione nei casi di Inquinamento Petrolifero (Con-
venzione OPRC, Oil pollution Preparedness, Response
and Cooperation), lunico strumento legale del suo
genere riconosciuto a livello mondiale. Nellinsieme,
essa intende fornire una base legale alla cooperazione
internazionale nelle situazioni di emergenza ambienta-
le, migliorare la preparazione e la capacit di risposta
allinquinamento esistenti a livello nazionale, regionale
e mondiale, facilitare lassistenza reciproca, sviluppare
e mantenere infrastrutture tecniche e organizzative appro-
priate. La Convenzione si occupa esclusivamente delle
emergenze causate dallinquinamento da petrolio in tutte
le sue forme, compreso il greggio, lolio combustibile,
la morchia, gli scarti e i prodotti raffinati. La Conven-
zione si applica alle piattaforme petrolifere in mare, non-
ch alle navi-cisterna e agli altri impianti petroliferi.
La Convenzione stabilisce che gli Stati debbano, in
base alle loro capacit e alla disponibilit delle risorse
necessarie, cooperare tra loro e fornire assistenza agli Stati
aderenti che ne facciano richiesta in caso di inquinamen-
to accidentale. In base alla Convenzione, gli Stati ade-
renti devono approntare a livello nazionale un sistema di
513 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
contromisure da attuare nei casi di inquinamento acci-
dentale da petrolio, che comprenda, come minimo: un
piano di emergenza nazionale; la designazione di auto-
rit nazionali; la creazione di punti di contatto operativi
responsabili dellazione di risposta allinquinamento. Gli
Stati aderenti, sia individualmente, sia in cooperazione
con altri Stati e, se lo ritengono opportuno, con altre entit,
comprese le industrie petrolifere, sono tenuti ad allestire:
un minimo di apparecchiature predisposte allo scopo
di contrastare le dispersioni di petrolio nellambien-
te, in misura adeguata al rischio potenziale, e i pro-
grammi necessari per il loro uso;
programmi di esercitazioni per le organizzazioni inca-
ricate di proteggere lambiente dallinquinamento
petrolifero e corsi di addestramento per il personale
addetto;
piani di intervento dettagliati e sistemi di comunica-
zione in grado di rispondere efficacemente alle emer-
genze causate da dispersioni accidentali di petrolio;
un meccanismo o un accordo mirante a coordinare
le risposte alle emergenze causate da dispersioni acci-
dentali di petrolio che preveda, se necessario, la pos-
sibilit di mobilitare le risorse adeguate.
Inoltre, la Convenzione prevede che gli operatori delle
unit in mare si dotino di propri piani di emergenza con-
tro linquinamento petrolifero, che devono essere coor-
dinati con il sistema nazionale di preparazione e rispo-
sta, e approvati seguendo le procedure prestabilite. I
responsabili delle installazioni in mare sono tenuti a rife-
rire senza indugio allo Stato costiero, sotto la cui giuri-
sdizione posta linstallazione, qualunque incidente
avvenuto sulla loro unit o in mare, che comporti la
dispersione di petrolio o la presenza di petrolio in mare.
La Convenzione affida un ruolo di particolare impor-
tanza alla OMI. LOMI offre un orientamento di carat-
tere generale agli Stati, alle industrie petrolifere e alle
compagnie di navigazione, aiutandoli a creare una strut-
tura organizzativa e a preparare piani di emergenza a
livello locale, nazionale e internazionale. La condizione
pi importante per la realizzazione e il corretto funzio-
namento di un efficace sistema di risposta alle emer-
genze causate dallinquinamento petrolifero la stretta
collaborazione tra le industrie petrolifere, le compagnie
di navigazione e i governi. Tale relazione reciproca si
manifesta nei due approcci di pianificazione che coesi-
stono attualmente nellarena internazionale: il concetto
di risposta a scalini, sostenuto dallindustria interna-
zionale; gli accordi governativi stabiliti a livello locale,
nazionale e internazionale.
Il principio della risposta graduale stato general-
mente accettato come concetto operativo che consente
diversi livelli di risposta, proporzionati alla gravit del-
lincidente, e offre una base pratica per la pianificazio-
ne delle emergenze. Anche le misure governative riguar-
danti i preparativi e lazione di risposta sono divisibili
in gruppi: il gruppo 1 comprende normalmente lintero
sistema di risposta nazionale e il documento che defini-
sce la politica nazionale di risposta alle emergenze il
piano di emergenza nazionale. Il gruppo 2 comprende i
piani di risposta bilaterali o multilaterali o gli accordi
con altri paesi e con gli organi regionali competenti.
Accordi multilaterali di questo tipo sono gi stati stabi-
liti per il Mar Baltico e il Mare del Nord, e per alcune
regioni marittime coperte dal Programma per i Mari
Regionali UNEP. Infine, il gruppo 3 costituito dalla
rete di piani o accordi interregionali, e include le attivit
del Centro di Coordinamento per lInquinamento Petro-
lifero della OMI e i rapporti, formali e informali, tra i
diversi organi regionali a livello mondiale.
Nei casi di inquinamento accidentale, limportanza
di accordi e sistemi di risposta regionali efficaci evi-
dente, dato che le conseguenze di questo tipo di incidenti
si estendono di solito a pi di uno Stato costiero. Nes-
sun paese, per quanto grandi siano le risorse di cui dispo-
ne, pu sostenere da solo limpegno richiesto, in termi-
ni di personale e attrezzature, dai casi pi gravi di inqui-
namento. Questi accordi presentano molti aspetti simili.
Gli accordi di emergenza del Mare del Nord e dellA-
tlantico nordorientale, le misure di emergenza per il Bal-
tico, le convenzioni quadro e i protocolli supplementari
UNEP per i mari regionali sono esempi particolarmen-
te istruttivi da questo punto di vista.
LAccordo per la Cooperazione nella Gestione del-
lInquinamento del Mare del Nord in seguito a Perdite
di Petrolio o di Altre Sostanze Nocive, sottoscritto a Bonn
nel 1983, in sostituzione del precedente Accordo di Bonn
del 1969, riguarda linquinamento accidentale causato
dalle installazioni in mare, che costituisca un pericolo
grave e imminente per la costa e per gli interessi a essa
collegati. Laccordo promuove la cooperazione attiva tra
le parti interessate, attraverso un duplice approccio, che
combina la cooperazione nel campo dei preparativi e del-
lorganizzazione alla cooperazione nellazione di rispo-
sta alle emergenze. Fu il primo accordo a introdurre il
principio dellassegnazione di zone di responsabilit,
incorporato successivamente in altri accordi analoghi.
Le misure adottate per migliorare la preparazione e la
capacit di risposta nelle situazioni di emergenza ambien-
tale, applicabili nel Baltico, sono molto simili a quelle
relative al Mare del Nord, tranne in un punto: esse fanno
parte integrante di uno strumento completo di lotta allin-
quinamento la Convenzione di Helsinki per la Prote-
zione dellAmbiente Marino del 1992. Le numerose con-
venzioni adottate nellambito del programma UNEP per
i mari regionali sono caratterizzate da un approccio alle
situazioni di emergenza ambientale quasi identico.
I protocolli supplementari dedicati al problema del-
linquinamento accidentale sono molto simili, sia in ter-
mini di struttura, sia per il contenuto sostanziale delle loro
disposizioni. Oltre a definire le procedure che regolano
514 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
lo scambio di informazioni e la presentazione di rappor-
ti nei casi di emergenza ambientale, nonch fornire linee
guida per la stesura dei relativi rapporti, i protocolli auspi-
cano il mantenimento e il varo di piani di emergenza
nazionali e, se necessario, regionali e subregionali, pre-
vedono lobbligo di mutua assistenza tra le parti interes-
sate e, in alcuni casi, stabiliscono come e a quali condi-
zioni tale assistenza dovr essere assicurata. Infine, i pro-
tocolli sanciscono alcuni accordi istituzionali, tra cui la
creazione di apposite strutture regionali incaricate delle
comunicazioni di emergenza, della raccolta e della dif-
fusione di informazioni, del coordinamento delle inizia-
tive di contrasto nazionali e, in alcuni casi, dellavvio
delle operazioni di pulitura a livello regionale.
Infine, il corpus della legislazione internazionale in
materia di emergenza ambientale si considerevolmen-
te arricchito in seguito allapprovazione di due protocolli
regionali riguardanti le attivit sul fondo marino: il Pro-
tocollo Kuwait del 1989 e il Protocollo Mediterraneo del
1994. Tra le altre disposizioni, i Protocolli contengono
alcune norme studiate appositamente per facilitare la pre-
venzione e il contrasto delle emergenze ambientali cau-
sate da installazioni in mare. Gli Stati partecipanti sono
tenuti, inter alia, a provvedere affinch la sicurezza di
tutte le installazioni in mare, destinate a essere utilizza-
te nella loro giurisdizione, sia adeguatamente certifica-
ta, per assicurare la protezione dellambiente marino dal
rischio di possibili incidenti. Lavvio di qualunque ope-
razione in mare non pu verificarsi senza un piano di
emergenza approvato dalle competenti autorit nazionali
e coordinato con i piani di emergenza nazionali o loca-
li gi esistenti. La divisione di ruoli e di poteri tra lin-
dustria e lautorit pubblica dovrebbe essere chiaramente
definita prima dellinsorgere di unemergenza ambien-
tale e riportata esplicitamente nel piano di emergenza
delloperatore, come nei piani di emergenza locali e
nazionali. Gli operatori in mare hanno lobbligo di tene-
re in qualsiasi momento a propria disposizione, e in per-
fetto stato di funzionamento, le attrezzature e gli stru-
menti necessari per ridurre al minimo i rischi di inqui-
namento accidentale e facilitare una risposta sollecita
alle emergenze ambientali, conformemente alla buona
pratica dellindustria petrolifera.
Oltre agli accordi sulle emergenze globali e regio-
nali, per alcune aree marittime sono stati approntati piani
di emergenza bilaterali, sulla base di accordi tra due Stati
costieri interessati, come quelli conclusi tra Stati Uniti
e Canada nel 1974 e nel 1977, e tra Stati Uniti e Messi-
co nel 1980. Gli accordi bilaterali esistenti sono relati-
vamente pochi e riguardano prevalentemente le aree pi
fragili, come lArtico, o quelle intensamente utilizzate
per la navigazione internazionale o la produzione petro-
lifera in mare. Come si pu immaginare, tali piani di
emergenza sono pi completi e dettagliati dei loro equi-
valenti regionali, essendo pi semplice coordinare in
modo efficace lazione di due paesi, piuttosto che quel-
la di molti.
Di questi piani di emergenza bilaterali fanno parte,
inter alia, NorBritPlan, tra Regno Unito e Norvegia in
relazione al Mare del Nord, DenGer, tra Danimarca e
Germania, ManchePlan, tra Regno Unito e Francia, e il
Piano di emergenza per il Mare di Beaufort, tra Stati
Uniti e Canada. Pur riguardando aree geografiche dif-
ferenti, questi accordi presentano obiettivi e caratteristi-
che simili.
Dismissione delle installazioni petrolifere in mare
La questione dellabbandono/rimozione delle instal-
lazioni in mare dismesse divenuta un problema di attua-
lit con lesaurimento di una parte dei primi campi per
la produzione petrolifera offshore. Il modo in cui tale
problema sar risolto dipender per molti aspetti dal qua-
dro giuridico internazionale applicabile, basato su nume-
rosi accordi globali e regionali, su vari strumenti di soft
law e sulla prassi prevalente negli Stati interessati.
La Convenzione di Ginevra sulla Piattaforma Con-
tinentale (1958) fu il primo strumento internazionale a
occuparsi del problema dellabbandono degli impianti
in mare. In generale, essa stabilisce che lesplorazione e
lo sfruttamento della piattaforma continentale non devo-
no causare alcuna interferenza ingiustificabile con le
altre attivit marittime. Mentre la costruzione e il fun-
zionamento degli impianti sono soggetti a questa dispo-
sizione di carattere generale, il tema del loro abbando-
no affrontato in modo specifico nellart. 5.5, in cui si
stabilisce che tutte le installazioni abbandonate o in
disuso devono essere interamente
1
rimosse.
La Convenzione UNCLOS del 1982 contiene alcu-
ne disposizioni sostanzialmente diverse sulla stessa mate-
ria allart. 60.3. In base alla nuova formulazione il requi-
sito della rimozione completa non ha pi un valore asso-
luto. In alcuni casi consentita una rimozione parziale
delle installazioni, purch venga assicurata unadegua-
ta pubblicit alle informazioni riguardanti la profondit,
la posizione e le dimensioni dei loro resti. I criteri uti-
lizzati per determinare la portata di tale opera di rimo-
zione comprendono lobbligo di garantire la sicurezza
della navigazione e della pesca, la protezione dellam-
biente marino, nonch i diritti e i doveri di altri Stati.
Quanto al possibile conflitto tra gli obblighi legali
derivanti dallart. 60.3 della Convenzione UNCLOS e il
requisito della rimozione completa previsto dalla Con-
venzione di Ginevra del 1958, la questione deve essere
risolta sulla base della posizione di partecipante degli
Stati interessati. Per gli Stati che partecipano alla Con-
venzione UNCLOS, questultima prevale, come tra Stati
contraenti, sulle Convenzioni di Ginevra del 1958 sul
515 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
1
Corsivo dellAutore.
Diritto del Mare. Dato che ormai la stragrande maggio-
ranza degli Stati aderisce alla Convenzione UNCLOS
del 1982, le disposizioni previste dalla Convenzione sulla
Piattaforma Continentale del 1958 si possono conside-
rare in disuso. Lo sviluppo del diritto internazionale nel
periodo successivo alla Convenzione di Ginevra indica
una spiccata tendenza degli Stati a modificare la prati-
ca adottata in relazione allabbandono delle installazio-
ni in mare, passando dallobbligo della rimozione com-
pleta a un approccio pi flessibile.
Questa conclusione avvalorata dallinsieme di Linee
guida e Standard per la Rimozione delle Installazioni in
Mare e delle Strutture sulla Piattaforma Continentale e
nella Zona Economica Esclusiva (ZEE), pubblicati nel
1989 dalla OMI. Anche se non sono vincolanti, le linee
guida e gli standard dellOMI possiedono unautorevo-
lezza che ne fa qualcosa di pi di semplici raccomanda-
zioni. Le Linee guida dellOMI ribadiscono il principio
della rimozione parziale introdotto dalla Convenzione
UNCLOS. Gli Stati sono invitati a rimuovere tutte le
installazioni e le strutture in disuso, tranne nei casi in cui
la mancata rimozione o la rimozione parziale siano com-
patibili con le linee guida e gli standard specificati. I
lavori di rimozione dovrebbero essere eseguiti nel pi
breve tempo possibile dopo labbandono o la cessazio-
ne permanente della produzione, e la presenza di qua-
lunque installazione o struttura non completamente rimos-
sa dovrebbe essere comunicata allOMI.
Le circostanze specifiche che possono consentire di
lasciare in situ uninstallazione o parte di essa devono
essere valutate caso per caso. In particolare, occorre pren-
dere in considerazione i seguenti fattori:
i possibili effetti sulla sicurezza della navigazione di
superficie o sottomarina, o su altri usi del mare;
il tasso di deterioramento del materiale e i suoi effet-
ti presenti e futuri sullambiente marino;
i possibili effetti sullambiente marino, compresi gli
organismi viventi;
il rischio che il materiale possa in futuro spostarsi
dalla sua posizione originale;
i costi, la fattibilit tecnica e i rischi per lincolumit
del personale addetto alla rimozione dellinstalla-
zione o della struttura;
lidentificazione di una nuova destinazione o di un
altro motivo ragionevole che giustifichi la perma-
nenza dellinstallazione o struttura, o di parti di essa,
sul fondo marino.
Le Linee guida dellOMI prevedono la rimozione
completa di tutte le installazioni abbandonate o in disu-
so, collocate in acque profonde meno di 75 metri e pesan-
ti fuori dallacqua meno di 4.000 tonnellate, escludendo
il ponte e le sovrastrutture. Lo stesso requisito si appli-
ca a tutte le installazioni e strutture collocate sul fondo
marino a partire dal 1 gennaio 1998, in acque profonde
meno di 1.000 metri e pesanti meno di 4.000 tonnellate.
Il requisito della rimozione completa modificato
da due clausole esonerative, basate su fattori particolari.
La prima clausola consente a uno Stato costiero di non
rimuovere le installazioni abbandonate quando sia pos-
sibile, lasciandole completamente o in parte sul posto,
destinarle a un nuovo uso. La seconda concede a uno
Stato costiero il diritto di decidere che la rimozione com-
pleta di uninstallazione rappresenterebbe unoperazio-
ne troppo difficile dal punto di vista tecnico, eccessi-
vamente costosa o comportante rischi inaccettabili per
il personale o per lambiente marino. Inoltre, le piat-
taforme collocate in acque profonde pi di 75 metri o
pesanti pi di 4.000 tonnellate possono essere lasciate
interamente o parzialmente sul posto, quando lo Stato
costiero stabilisca che esse non interferiscono in modo
inaccettabile con altri usi del mare. Unimportante novit
contenuta nelle Linee guida dellOMI il requisito che
tutte le installazioni collocate sulla piattaforma conti-
nentale o nella ZEE dopo il 1 gennaio 1998 siano pro-
gettate e costruite in modo da permetterne la rimozio-
ne completa.
Gli obblighi previsti dalle raccomandazioni dellOMI
comprendono inoltre:
unadeguata manutenzione delle installazioni abban-
donate o in disuso o delle loro parti, emergenti dalla
superficie del mare, allo scopo di prevenirne il cedi-
mento strutturale;
la presenza di una colonna dacqua non ostruita e
profonda almeno 55 metri, in grado di garantire la
sicurezza della navigazione al di sopra di qualunque
installazione parzialmente rimossa, che non emerga
dalla superficie del mare;
la rimozione completa (senza alcuna eccezione) di
tutte le installazioni collocate in prossimit o allin-
terno di uno stretto o di una rotta utilizzati per la navi-
gazione internazionale;
lindicazione sulle carte nautiche delle parti abban-
donate e la loro segnalazione, se necessario, median-
te appropriati strumenti di aiuto alla navigazione.
Infine, gli Stati devono assicurare che non vi siano
ambiguit riguardanti la titolarit delle installazioni non
completamente rimosse e che la responsabilit della
manutenzione e la capacit finanziaria necessaria per far
fronte a eventuali richieste di risarcimento siano chiara-
mente stabilite.
Dal punto di vista tecnico, le Linee guida dellOMI
costituiscono un documento ben equilibrato, che rispec-
chia le risposte pi avanzate al problema dellabbando-
no. Ma dal punto di vista legale non sono paragonabili
a norme internazionali, in grado di creare obblighi per
gli Stati. Ovviamente, niente impedisce a uno Stato di
adottare e di dare attuazione alle Linee guida dellOMI
nella prassi e nella legislazione interne. In ogni caso, esse
non possono prevalere sugli obblighi previsti dai tratta-
ti esistenti, a meno che non siano trasformate in legge
516 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
mediante unappropriata procedura legale o accettate
come una norma di diritto internazionale generale dalla
prassi dello Stato.
Oltre a queste convenzioni internazionali, il proble-
ma dellabbandono delle installazioni in mare stato
affrontato anche a livello regionale, soprattutto nelle aree
marittime ricche di petrolio. Tra i molti regimi conven-
zionali esistenti, i pi interessanti da questo punto di vista
sono probabilmente quelli relativi allAtlantico nordo-
rientale, al Mediterraneo e al Golfo Persico (Arabico).
La questione dellabbandono affrontata, insieme ad
altri temi, in vari protocolli integrativi riguardanti le atti-
vit di esplorazione e produzione in mare, come il Pro-
tocollo sul Mediterraneo del 1994.
Il Protocollo del 1994 non prevede la totale rimo-
zione delle installazioni in mare e degli oleodotti abban-
donati o in disuso. La rimozione di qualunque installa-
zione abbandonata o in disuso, richiesta in linea di prin-
cipio alloperatore, legittimata facendo riferimento alle
linee guida e agli standard adottati da unorganizzazio-
ne internazionale competente, come lOMI. Le disposi-
zioni riguardanti gli oleodotti in disuso sono ancora meno
rigorose: consentito infatti lasciarli sul posto, abban-
donati o sepolti, a condizione che non inquinino lam-
biente, n interferiscano con altri usi legittimi del mare.
Il Protocollo del Kuwait del 1989 prevede solo lob-
bligo per le parti contraenti di conferire alle rispettive
autorit nazionali competenti il diritto di pretendere dal-
loperatore di uninstallazione in mare (piattaforma o
altro apparato o struttura collocati sul fondo marino) di
rimuovere linstallazione in toto o in parte, per assicu-
rare la sicurezza della navigazione e gli interessi del-
lindustria della pesca. Nel caso degli oleodotti, gli ope-
ratori possono essere obbligati a lavare e rimuovere tutti
i residui inquinanti dalle condutture e a seppellire lo-
leodotto, o a rimuoverne una parte e seppellire il rima-
nente. Il Protocollo invita gli Stati contraenti ad adotta-
re una politica di rimozione comune, ma solo nel caso
in cui abbiano interessi comuni nelle zone di pesca allin-
terno dellarea coperta dalla Convenzione. Stabilisce
inoltre che gli Stati, nel valutare lopportunit di rimuo-
vere le installazioni, tengano conto di eventuali linee
guida emanate dalla propria organizzazione regionale.
La regolamentazione delleliminazione
delle installazioni in mare considerata
come una forma di scarico di rifiuti
Oltre ai regimi relativi alla rimozione, esiste un cor-
pus di norme e di standard internazionali che regola le-
liminazione delle installazioni offshore considerandola
come una forma di scarico di rifiuti in mare: a que-
ste norme, pi che a quelle sulla rimozione, che occor-
re fare riferimento per valutare la legalit di operazioni
quali leliminazione di piattaforme cementizie effettua-
ta trainandole fino a una discarica in acque profonde, o
la potatura sul posto delle piattaforme di acciaio, in
modo che nessuna delle parti rimanenti si trovi a unal-
tezza dal fondo marino superiore a quella consentita dagli
standard internazionali (Brown, 1992).
La Convenzione UNCLOS del 1982 affronta la que-
stione delleliminazione in mare da una prospettiva molto
generale, prevedendo per gli Stati lobbligo di adottare
le norme, gli standard, le pratiche e le procedure racco-
mandate a livello mondiale e regionale, nonch le leggi
e i regolamenti nazionali atti a prevenire, ridurre e tene-
re sotto controllo linquinamento dellambiente marino
causato dallo scarico di rifiuti e di assumere tutte le misu-
re necessarie a tale riguardo. Lo scarico di rifiuti in mare
non pu essere effettuato senza il permesso delle auto-
rit competenti degli Stati costieri. Per scaricare rifiuti
nel mare territoriale, nella ZEE o sulla piattaforma con-
tinentale di uno Stato costiero, necessaria unautoriz-
zazione esplicita e preventiva da parte di questultimo.
Lo scarico di rifiuti comprende, tra laltro, qualunque
deliberata operazione di eliminazione di piattaforme o
di altre strutture artificiali in mare.
La Convenzione sulla Prevenzione dellInquinamento
Marino causato dallo Scarico di Rifiuti e di Altri Mate-
riali, sottoscritta a Londra nel 1972 (meglio nota come
London Dumping Convention o LDC del 1972), un
altro strumento internazionale direttamente collegato al
problema dellabbandono delle installazioni in mare,
applicabile a tutte le aree marine, a eccezione delle acque
interne di uno Stato costiero. La LDC del 1972 consen-
te lo scarico di rifiuti in mare, a condizione che venga-
no rispettati certi requisiti, la cui severit varia a secon-
da della gravit del rischio ambientale rappresentato dai
diversi materiali. Il documento contiene inoltre una lista
nera di materiali che non possono essere scaricati in
mare in nessun caso.
Sebbene la Convenzione non si applichi allo scarico
di scorie o altri materiali dalle installazioni offshore, lab-
bandono in mare, totale o parziale, delle installazioni rien-
tra pienamente nel suo campo di applicazione. Lelimi-
nazione di una piattaforma richiede uno speciale permesso,
che pu essere rilasciato solo dopo unattenta considera-
zione di tutti i fattori rilevanti, compresi le caratteristiche
della discarica, i possibili effetti prodotti dalloperazione
di scarico sulle attrattive naturali, sulla vita marina e su
altri usi del mare, e la disponibilit concreta di metodi
alternativi di eliminazione a terra delle installazioni.
Il Protocollo di Londra del 1996 sugli Scarichi di
Rifiuti, che dal momento della sua entrata in vigore (mar-
zo 2006) ha sostituito la Convenzione del 1972, modifi-
ca sostanzialmente lapproccio alla questione della rego-
lamentazione delluso del mare come deposito di mate-
riali di scarto. Una delle innovazioni pi interessanti
costituita dallintroduzione del principio dellapproccio
precauzionale. Il Protocollo del 1996 molto pi restrit-
tivo della Convenzione del 1972 e proibisce qualunque
517 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
forma di scarico di rifiuti in mare. Sono previste tutta-
via alcune eccezioni, tra cui leliminazione in mare di
piattaforme o di altre strutture artificiali. Le parti con-
traenti sono invitate a designare una o pi autorit com-
petenti, incaricate di rilasciare i permessi in base alle
condizioni stabilite dal Protocollo. Il documento rico-
nosce limportanza delle procedure di attuazione e di
conformit nei dettagli.
Tra le numerose convenzioni regionali, una delle pi
importanti a tale riguardo la Convenzione del 1992 per
la Protezione dellAmbiente Marino nellAtlantico nor-
dorientale (OSPAR 1992), che sostitu un precedente
accordo sullo scarico di rifiuti, la Convenzione di Oslo
del 1972. La Convenzione OSPAR del 1992 non proibi-
sce completamente lo scarico di rifiuti in mare, ma obbli-
ga le parti ad assumere tutte le misure necessarie per pre-
venire ed eliminare linquinamento causato da questo
tipo di operazioni, compreso lo scarico dei resti di instal-
lazioni e oleodotti offshore. Tuttavia, il concetto di dump-
ing (scarico di rifiuti) non include labbandono in loco,
totale o parziale, di uninstallazione o di un oleodotto
offshore in disuso, purch tale operazione avvenga secon-
do le disposizioni della Convenzione a essa attinenti e
in conformit con quanto disposto in materia dalle altre
leggi internazionali. LAnnesso II, che si applica in par-
ticolare allo scarico di rifiuti e al loro incenerimento,
non si occupa della deliberata eliminazione in unarea
marina di installazioni od oleodotti offshore. La materia
regolata dallAnnesso III, la cui disposizione centrale,
lart. 5, stabilisce inter alia quanto segue:
nessuna installazione od oleodotto offshore in disu-
so pu essere eliminato e nessuna installazione off-
shore in disuso pu essere lasciata sul posto, intera-
mente o parzialmente, nellarea marittima, senza un
permesso rilasciato dallautorit competente della
parte contraente interessata, che ne valuta loppor-
tunit caso per caso;
nessun permesso pu essere rilasciato nel caso in cui
linstallazione offshore in disuso o loleodotto off-
shore in disuso contengano ancora sostanze perico-
lose in grado di causare danni agli organismi viven-
ti e agli ecosistemi marini, ridurre le attrattive natu-
rali o interferire con altri usi legittimi del mare;
qualunque parte contraente intenda assumere la deci-
sione di rilasciare un permesso per leliminazione di
uninstallazione o di un oleodotto offshore in disu-
so, situato nella zona marittima, dopo il 1 gennaio
1998 dovr, tramite la Commissione, informare le
altre parti contraenti delle ragioni che lhanno indot-
ta ad accettare questa operazione, per consentire la
consultazione con le altre parti.
La Convenzione OSPAR distingue dunque tra lelimi-
nazione in mare, in situ o altrove, che viene considerata
una forma di scarico di rifiuti, e labbandono dellinstal-
lazione sul posto. Tuttavia, sebbene sia fatta rientrare
nella categoria dello scarico di rifiuti, leliminazione in
mare esclusa dal campo di applicazione dellAnnesso
sul dumping ed soggetta allo stesso regime dellab-
bandono sul posto. Si registra quindi un allontanamen-
to sintomatico dallapproccio dualistico tradizionale, e
in parte fuorviante, che contrappone la rimozione tota-
le o parziale allo scarico di rifiuti, a favore di un modello
pi comprensivo, concepito chiaramente al fine di evi-
tare possibili conflitti regolamentari.
La Convenzione OSPAR adotta il principio della valu-
tazione caso per caso dellammissibilit delle operazio-
ni di eliminazione, gi introdotto nelle Linee guida del-
lOMI. Altri accordi regionali sul dumping si applicano
anche alleliminazione delle piattaforme e di altre strut-
ture artificiali in mare e dei loro macchinari; tale elimi-
nazione non viene proibita del tutto ma sottoposta al rila-
scio preventivo di unautorizzazione da parte di un orga-
no nazionale responsabile della questione. Il rilascio di
tali permessi avviene sulla base della valutazione di un
insieme di fattori rilevanti, che comprendono le caratte-
ristiche dei materiali, del sito dove verr effettuato lo sca-
rico e dei possibili effetti delloperazione sulle attrattive
naturali, sugli organismi viventi e sugli altri usi del mare.
Protezione dellatmosfera del pianeta
Tra gli impatti ambientali negativi delle attivit del-
lindustria petrolifera vi linquinamento dellatmosfe-
ra causato dalle normali operazioni di esplorazione e pro-
duzione e pi in generale dalluso di combustibili fossi-
li e dalle emissioni di gas di scarico degli automezzi. Un
certo numero di trattati internazionali, sia a livello mon-
diale sia regionale, affrontano tali problemi e interessa-
no di conseguenza lindustria petrolifera. La principale
minaccia per latmosfera del pianeta rappresentata dai
cosiddetti gas serra, ovvero dal biossido di carbonio e
dal metano, che provengono in gran parte dalluso di
combustibili fossili, tra cui i derivati del petrolio. La Con-
venzione Quadro delle Nazioni Unite sul Cambiamento
Climatico del 1992 (FCCC, Framework Convention on
Climate Change) si posta come principale obiettivo la
stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra nel-
latmosfera. La Convenzione ha stabilito una serie di
principii generali sulla protezione dellatmosfera terre-
stre, come lobbligo di assumere adeguate misure pre-
cauzionali per anticipare, prevenire o ridurre al minimo
le cause del cambiamento climatico e mitigarne gli effet-
ti nocivi. La Convenzione impegna ogni partecipante a
redigere un elenco nazionale delle emissioni di gas serra
causate dalle attivit antropiche. Inoltre, tutti i parteci-
panti devono attuare programmi nazionali volti a contra-
stare il cambiamento climatico, diminuendo la quantit
di emissioni di gas serra di origine antropica. Sebbene
non preveda obblighi specifici per le emissioni atmosfe-
riche derivanti dalle attivit petrolifere, la Convenzione
518 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
ha avviato un processo di revisione e di regolamenta-
zione delle emissioni di gas serra prodotte, per esempio,
dalla pratica della combustione del gas in torcia. In alcu-
ni paesi stata introdotta la cosiddetta carbon tax, per
contenere i consumi energetici e le emissioni dalle instal-
lazioni petrolifere.
Nel 1997 la Convenzione sul Cambiamento Clima-
tico stata integrata dal Protocollo di Kyoto, che ha sta-
bilito misure pi rigorose e concrete, soprattutto per i
paesi sviluppati, tra cui la quantificazione degli obietti-
vi per la limitazione delle emissioni di gas serra e la loro
rimozione per mezzo di pozzi, entro precise e definite
scadenze. Lapplicazione di tali misure dovrebbe con-
sentire di ridurre le emissioni totali delle nazioni indu-
strializzate al di sotto dei livelli del 1990 di almeno il
5% nel periodo dal 2008 al 2012.
La Convenzione di Vienna per la Protezione dello
Strato di Ozono (1985) e il Protocollo di Montreal (1987),
che lo completa, sono altri strumenti che regolano la pro-
duzione e, di conseguenza, il rilascio nellatmosfera delle
sostanze dannose per lozono a livello mondiale. Il loro
scopo principale il conseguimento di una riduzione
significativa e, successivamente, della totale elimina-
zione della produzione e delluso delle sostanze sotto-
poste a controllo, mediante la fissazione di precisi obiet-
tivi, di tabelle per la loro messa al bando e di altre misu-
re, come una serie di incentivi tecnici e finanziari.
A livello regionale, il problema della protezione del-
latmosfera stato affrontato nellambito della prevenzio-
ne e della riduzione dellinquinamento atmosferico trans-
frontaliero. La Convenzione sullInquinamento Atmo-
sferico Transfrontaliero a Vasto Raggio dellUNECE
(1979) e i suoi otto Protocolli hanno creato il quadro giu-
ridico essenziale per il controllo e la riduzione dei danni
alla salute umana e allambiente causati dalle emissioni
di unampia gamma di gas inquinanti. Sia la Conven-
zione sia alcuni dei Protocolli presentano un notevole
interesse per lindustria petrolifera. Il Protocollo del 1999
per Combattere lAcidificazione, lEutrofizzazione e la
presenza di Ozono a livello del Suolo fissa tetti di emis-
sione per quattro sostanze inquinanti (zolfo, NO
x
, VOC
e ammoniaca), da raggiungere entro il 2010. Il Proto-
collo stabilisce anche limiti di emissione molto severi
per alcune particolari fonti di emissioni, come gli impian-
ti a combustione, e prescrive luso delle migliori tecni-
che disponibili (BAT) per tenere sotto controllo le emis-
sioni. Il Protocollo del 1998 sui Contaminanti Organici
Persistenti si occupa di 16 sostanze individuate sulla base
di criteri di rischio concordati. Lo scopo finale del Pro-
tocollo leliminazione di tutti gli scarichi, le emissio-
ni e le perdite di contaminanti organici, proibendo com-
pletamente la produzione e luso di alcuni prodotti e pre-
vedendo leliminazione graduale di altri. Il Protocollo
include alcune disposizioni riguardanti lo smaltimento
dei residui dei prodotti che saranno banditi. Il Protocollo
del 1994 sullUlteriore Riduzione delle Emissioni di
Zolfo adotta un approccio basato sullefficacia, il con-
cetto di carico critico, misure di risparmio energetico, il
principio delluso delle BAT e incentivi economici. Infi-
ne, il Protocollo del 1991 sul Controllo delle Emissioni
di Composti Organici Volatili (VOC, Volatile Organic
Compounds, in pratica gli idrocarburi) o dei Loro Flus-
si Transfrontalieri, punta a ridurre le emissioni della
seconda categoria pi importante di inquinanti respon-
sabili della formazione di ozono a livello del suolo.
Ovviamente, il regime legale relativo alla lotta contro
il cambiamento climatico, stabilito dalla Convenzione
delle Nazioni Unite del 1992 e dal Protocollo di Kyoto,
interessa lindustria petrolifera soprattutto per la parte
riguardante lemissione di gas serra, in particolare come
conseguenza della combustione in torcia del gas associa-
to. Oltre a richiedere ladozione di programmi e misure
specifiche, la risoluzione dei problemi legati a questo aspet-
to delle attivit petrolifere potrebbe avere conseguenze
molto pi ampie, aumentando le pressioni per lo svilup-
po di fonti di energia alternative ai combustibili fossili.
Protezione della diversit biologica
La creazione a livello mondiale di un quadro giuri-
dico globale per la protezione della diversit biologica,
degli habitat naturali e delle specie selvatiche potrebbe
avere, come le norme sul cambiamento climatico, con-
seguenze molto serie per lindustria petrolifera, limitan-
do le aree disponibili per le operazioni di esplorazione
e di produzione. I documenti pi interessanti a tali riguar-
do sono la Convenzione dellUNESCO sulla Protezio-
ne del Patrimonio Culturale e Naturale del Mondo (1972),
la Convenzione di Ramsar sulle Zone Umide di Rile-
vanza Internazionale (1971) e, soprattutto, la Conven-
zione delle Nazioni Unite sulla Diversit Biologica (CBD,
Convention on Biological Diversity, del 1992).
I principali obiettivi di questultima sono la conser-
vazione della diversit biologica, luso sostenibile dei
suoi componenti e la ripartizione equa e imparziale dei
benefici derivanti dalluso delle risorse genetiche. I paesi
partecipanti alla Convenzione devono allestire un piano
nazionale di conservazione, che comprenda tutti i com-
ponenti della diversit biologica rilevanti ai fini della sua
conservazione e del suo uso sostenibile. Tutte le attivit
che producono, o possono produrre, un consistente impat-
to negativo sulla conservazione e luso sostenibile della
diversit biologica devono essere adeguatamente moni-
torate. La Convenzione promuove la conservazione in
situ della diversit biologica, attraverso la creazione di
aree protette, la regolamentazione o la gestione delle
risorse biologiche pi importanti e il recupero o il rein-
tegro degli ecosistemi degradati. Le parti contraenti si
impegnano ad assumere le misure necessarie per rispet-
tare gli obblighi relativi alla valutazione dellimpatto
519 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
ambientale, allo scopo di ridurre al minimo gli impatti
negativi. La Convenzione sulla biodiversit interessa lin-
dustria petrolifera principalmente in quanto agisce sul
contesto delle sue operazioni. Tuttavia, pur non conte-
nendo disposizioni operative specifiche, probabile che
contribuisca ad accrescere le pressioni per bandire le atti-
vit di E&P dalle aree sensibili o, quanto meno, per sot-
toporle a una maggiore regolamentazione.
Esistono infine, in varie parti del mondo, diversi
accordi regionali per la conservazione dellambiente
naturale che possono influire sullo svolgimento delle
operazioni petrolifere. Nel contesto europeo, le pi impor-
tanti da questo punto di vista sono la Direttiva 85/337/CEE
sulla valutazione degli effetti ambientali di alcuni pro-
getti pubblici e privati e la Direttiva 92/43/CEE sulla con-
servazione degli habitat naturali, della flora e della fauna
selvatiche (la Direttiva sugli Habitat).
10.3.4 Strumenti di soft law
riguardanti lindustria
petrolifera
Accanto alle convenzioni e ad altri accordi a livello mon-
diale (hard law), gli strumenti appartenenti alla cosid-
detta soft law svolgono un ruolo sempre pi importante
nella regolamentazione delle attivit nel settore del petro-
lio e del gas. Con il termine soft law si indica linsieme
di strumenti non vincolanti, come le dichiarazioni o le
raccomandazioni internazionali e le linee guida emana-
te dai governi e dallindustria, potenzialmente in grado
di trasformarsi in standard legali vincolanti. Da questo
punto di vista, la soft law costituisce una valida integra-
zione della hard law, soprattutto per la sua capacit di
catturare i concetti emergenti dellordinamento interna-
zionale, contribuendo cos a estendere il campo di legit-
timo interesse internazionale anche ad ambiti preceden-
temente riservati alla giurisdizione nazionale.
La Dichiarazione di Rio sullAmbiente e lo Svilup-
po (1992) rappresenta un tipico strumento di soft law.
Gli strumenti di questo tipo riguardanti le attivit petro-
lifere appartengono a un gruppo relativamente folto di
linee guida e di raccomandazioni emanate dalle diverse
organizzazioni internazionali competenti, tra cui lOMI,
lUNEP, istituti finanziari internazionali come la Banca
Mondiale e una galassia di organizzazioni non governa-
tive, come lorganizzazione internazionale dei Paesi pro-
duttori di petrolio e gas (OGP, Oil and Gas Producers,
un tempo Oil Industry International E&P Forum) e il
World Conservation Union (IUCN, International Union
for the Conservation of Nature and natural resources).
Si vedano per esempio le Linee guida emanate dal-
lUNEP nel 1982 sulle attivit minerarie e petrolifere in
mare, uno strumento non vincolante che stabilisce una
serie di direttive generali a cui gli Stati possono aderire
includendole nella propria legislazione interna o attra-
verso accordi internazionali. Accanto ad alcune dispo-
sizioni di carattere generale, le Linee guida contengono
specifiche raccomandazioni riguardanti lautorizzazio-
ne delle operazioni in mare, la valutazione ambientale e
i sistemi di monitoraggio, i possibili impatti transfron-
talieri e le procedure per linformazione e la consulta-
zione, misure di sicurezza, pianificazione delle emer-
genze, misure attuative, questioni relative alle respon-
sabilit e agli indennizzi.
La Banca Mondiale ha pubblicato un elenco detta-
gliato di requisiti e criteri per la valutazione dellim-
patto ambientale (sotto forma di una Raccolta di Docu-
menti sulla Valutazione Ambientale) per promuovere la
protezione dellambiente in alcuni settori industriali, tra
cui quello delle attivit petrolifere in mare. Il Pollution
prevention and abatement handbook, pubblicato dalla
Banca Mondiale nel 1998, fornisce una serie di linee
guida (Oil and gas development-Onshore) relative alle
operazioni petrolifere a terra (World Bank, 1998), in cui
vengono specificati i livelli massimi accettabili delle
emissioni liquide, gassose e sonore; si descrivono le pra-
tiche e i processi industriali utilizzabili per ridurre e con-
trollare linquinamento; si raccomanda luso di monito-
raggi e di rapporti periodici.
Oltre allUNEP e alla Banca Mondiale, la stessa
industria petrolifera che si preoccupa di fornire indica-
zioni e linee guida ai suoi membri. Tra le diverse asso-
ciazioni internazionali delle industrie petrolifere, la pi
importante lOGP, le cui raccomandazioni sono parti-
colarmente autorevoli. Lorganizzazione rappresenta lin-
dustria internazionale del petrolio e del gas per quanto
riguarda gli aspetti tecnici e regolamentari e ha promosso
ladozione di misure miranti a migliorare il profilo am-
bientale delle sue operazioni. Come parte del suo man-
dato, la OGP diffonde informazioni per una corretta pra-
tica industriale attraverso la pubblicazione di linee guida,
codici di condotta, liste di controllo e altri materiali, ela-
borati in alcuni casi in collaborazione con il World Con-
servation Union e lUNEP.
Sono gi disponibili manuali su numerosi argomen-
ti, come le operazioni nelle foreste tropicali e nei boschi
di mangrovie, la gestione delle scorie, le dismissioni e lo
smaltimento degli scarichi e dellacqua prodotta. La OGP
ha pubblicato una guida sui metodi per valutare le emis-
sioni atmosferiche prodotte dalle attivit petrolifere e dalle
operazioni terrestri e marine nella zona dellArtico. Tali
raccomandazioni puntano a stabilire e a diffondere un
insieme di standard, pratiche e procedure accettabili a
livello internazionale, riguardanti la protezione dellam-
biente nelle attivit petrolifere di E&P. A tal fine, si defi-
niscono i requisiti dei sistemi di gestione e di pianifica-
zione ambientale e si individuano i possibili impatti e le
misure di controllo ambientale necessarie. Per esempio,
si consiglia leffettuazione di una valutazione di impatto
520 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
ambientale prima dellavvio delle operazioni. La OGP
ha pubblicato inoltre diversi rapporti e istruzioni sulle
diverse opzioni di dismissione delle piattaforme in mare,
con una particolare attenzione per gli aspetti legati alla
sicurezza. Ha elaborato inoltre una serie di linee guida
riguardanti i sistemi di gestione della salute, della sicu-
rezza e dellambiente (Health, Safety and Environmen-
tal Management Systems, HSE-MS), in linea con i para-
metri del sistema di gestione ambientale (EMS, Envi-
ronmental Management System) dellorganizzazione
internazionale per la standardizzazione (International
Standard Organization, ISO 14000). Anche queste ulti-
me sono state recepite favorevolmente dallindustria pe-
trolifera internazionale.
ISO 14000 costituito da una serie di standard inter-
nazionali sulla gestione ambientale, che offrono un qua-
dro di riferimento per lo sviluppo di un sistema di gestio-
ne ambientale e del relativo programma di verifica. Le-
laborazione di questo sistema si deve principalmente ai
risultati della Conferenza di Rio del 1992 sullAmbien-
te e lo Sviluppo. La pietra angolare della serie ISO 14000
lo standard ISO 14001, dove si definisce un quadro di
controllo dei sistemi di gestione ambientale, in base al
quale unorganizzazione pu ottenere una certificazio-
ne da parte di un organo indipendente. La serie ISO 14000
non stabilisce standard ambientali vincolanti, ma stata
concepita piuttosto come uno strumento che assicuri la
loro conformit ai requisiti legali.
Le linee guida per la protezione ambientale, pubbli-
cate dallInternational Association of oil Geophysical
Contractors (IAGC), contengono una serie di racco-
mandazioni riguardanti le operazioni in mare.
Anche alcune organizzazioni nazionali delle indu-
strie petrolifere hanno diffuso tra i loro aderenti codici
e manuali di istruzioni, allo scopo di promuovere luso
delle tecniche di gestione ambientale pi avanzate. Tra
queste associazioni, le principali sono: American Petrol-
eum Institute (API); American National Standards Insti-
tute (ANSI); American Society of Mechanical Engineers
(ASME); British Standards Institute (BSI); Catalogue of
European Standards (CEN); Deutsche Institut fr Nor-
mung (DIN); il britannico Institute of Petroleum (IP).
Per esempio, API, attraverso il suo Programma di
Amministrazione Ambientale, ha elaborato una serie di
principii guida riguardanti la protezione dellambiente e
la sicurezza delle operazioni, che tutti i suoi membri
hanno lobbligo di rispettare. Altrettanto importanti sono
le Linee guida per la Protezione Ambientale durante le
Operazioni di Produzione di Petrolio e di Gas a Terra,
pubblicate dallAPI nel 1995.
Non esiste un insieme di standard tecnici o di norme,
accettati a livello internazionale, applicabile alla prote-
zione ambientale nellindustria petrolifera. La maggior
parte degli standard, delle pratiche e delle procedure rac-
comandate viene stabilita e applicata a livello nazionale.
Sebbene in questo campo la pratica internazionale riman-
ga tuttora incoerente, si registra una tendenza verso una
maggiore uniformit, grazie allapprovazione e allap-
plicazione di standard ambientali da parte dellindustria
petrolifera mondiale e dei singoli governi.
Bench gli strumenti di soft law abbiano per lo pi la
forma di raccomandazioni e siano privi di indicazioni di
tipo quantitativo, le linee guida elaborate da diverse orga-
nizzazioni come lUNEP, la Banca Mondiale, la OGP
e la IUCN esercitano uninfluenza crescente sullindu-
stria petrolifera internazionale. Anche se a volte posso-
no essere ignorati dai singoli operatori, gli strumenti di
soft law assumono sempre maggiore importanza a livel-
lo mondiale e sono destinati a trasformarsi, col tempo, in
standard legalmente vincolanti, grazie al loro inserimen-
to nella prassi delle varie nazioni o nei parametri inter-
nazionali ufficiali. Alcuni standard comunemente utiliz-
zati possono essere dichiarati accettabili, o adottati, dai
partecipanti ad accordi internazionali o a singoli proget-
ti. Molti paesi, soprattutto tra quelli in via di sviluppo,
ancora privi di standard e regolamenti industriali ade-
guati, scelgono di adottare gli standard internazionali cor-
renti, inserendoli nella loro legislazione interna.
10.3.5 I quadri giuridici nazionali
Le norme e gli standard ambientali applicabili alle atti-
vit dellindustria del petrolio e del gas sono contenuti
in una molteplicit di leggi nazionali. Da una parte, tutti
i paesi possiedono bene o male una legislazione di carat-
tere generale sulla protezione ambientale che fornisce
unampia base giuridica per la formulazione di norme
pi specifiche su materie come la valutazione di impat-
to ambientale, la pianificazione, linquinamento, la qua-
lit dellaria e dellacqua, la protezione dellambiente
marino, la conservazione della biodiversit, le aree pro-
tette e cos via. Non c dubbio che tali atti normativi
siano rilevanti per le attivit dellindustria petrolifera,
sulle quali in molti casi impongono direttamente o indi-
rettamente condizioni, requisiti e limitazioni specifiche.
Daltra parte, un certo numero di Stati ha promulgato
una legislazione specifica per il settore petrolifero, con-
tenente quasi sempre disposizioni riguardanti questioni
e problemi di carattere ambientale. Se raro che con-
tengano standard ambientali concreti, queste leggi for-
niscono comunque una base per elaborare una regola-
mentazione normativa secondaria.
Nellambito della regolamentazione ambientale delle
attivit dellindustria petrolifera si possono individuare tre
modelli principali: lapproccio legislativo; lapproccio
contrattuale; lapproccio legislativo integrato (Gao, 1998).
Il primo, rappresentato prevalentemente dalla legi-
slazione statunitense e britannica, caratterizzato da un
gran numero di leggi e di altri atti normativi contenenti
521 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
regole, norme e standard in materia ambientale. Il qua-
dro giuridico statunitense relativo agli aspetti ambienta-
li delle attivit petrolifere, di cui lOil Pollution Act del
1990 forse lelemento pi significativo, appare fram-
mentato e non costituisce un corpus uniforme di norme
di regolamentazione ambientale.
Lapproccio contrattuale una forma di regolamen-
tazione ambientale basata sulle condizioni inserite nei
contratti petroliferi, tipica dei paesi in via di sviluppo,
spesso privi di una legislazione ambientale e petrolifera
soddisfacente o di uninfrastruttura giuridica completa.
Questo tipo di approccio stato adottato, con buoni risul-
tati, nellAccordo di Sviluppo Congiunto e di Parteci-
pazione alla Produzione concluso nel 1994 tra la com-
pagnia petrolifera di Stato dellAzerbaigian e un con-
sorzio di compagnie petrolifere internazionali; tale
Accordo venne successivamente approvato dal Parla-
mento dellAzerbaigian, acquisendo dunque lo status di
legge nazionale. Le disposizioni ambientali previste dal-
lAccordo sono molto specifiche e sono dotate in effet-
ti di unefficacia molto superiore a quella della corri-
spondente legislazione nazionale. Esse coprono tutti gli
aspetti ambientali delle operazioni di E&P, indicando sia
i requisiti relativi alla condotta delle operazioni, alle
emergenze, al monitoraggio, al danno ambientale, sia gli
standard ambientali e le procedure operative, fornendo
istruzioni dettagliate per lo smaltimento delle emissio-
ni liquide e gassose, dei fluidi e dei detriti di perfora-
zione, delle scorie e di altri materiali di scarto. Si pu
concludere che, con linserimento del requisito ambien-
tale tra gli obblighi contrattuali, la responsabilit della
tutela ambientale potrebbe ricadere pi su questo tipo di
accordi che sulla legislazione nazionale.
Un terzo modello, descritto come approccio legisla-
tivo integrato o globale (Gao, 1998), emerso in segui-
to alladozione di una legislazione quadro riguardante
specificatamente le attivit petrolifere. La legislazione
di alcuni paesi dellAmerica Latina rappresenta lesem-
pio migliore di tale modello. In qualche caso, questo tipo
di legislazione completa le leggi generali sulla prote-
zione dellambiente e i piani nazionali di intervento
ambientale. Questa nuova generazione di leggi ambien-
tali riguardanti specificatamente il settore petrolifero
include, per esempio, la Risoluzione sulla Protezione
dellAmbiente durante le Operazioni di Esplorazione e
Sfruttamento di Idrocarburi, assunta dal Governo argen-
tino nel 1992; il Regolamento sulla Tutela Ambientale
nel Settore degli Idrocarburi, emanato nel 1993 in Per;
il Decreto presidenziale che ha stabilito nel 1995 un
Regolamento Ambientale relativo alle Attivit Petrolife-
re in Ecuador e il Regolamento Ambientale nel Settore
degli Idrocarburi varato nel 1996 in Bolivia.
Lelemento che accomuna questi regolamenti setto-
riali la definizione dettagliata dei requisiti operativi
richiesti nelle varie fasi delle operazioni di E&P. Questa
nuova generazione di regolamenti ambientali rappresenta
linizio di quella che si presenta come una tendenza sem-
pre pi marcata verso la creazione di un quadro legisla-
tivo integrato e specializzato per il settore dellesplora-
zione e della produzione di idrocarburi (Wagner, 1998).
I quadri giuridici nazionali relativi alle conseguenze
ambientali delle attivit petrolifere, pur con evidenti dif-
ferenze di strutturazione, possiedono molte caratteristi-
che in comune, sia dal punto di vista dei contenuti degli
standard applicabili, sia da quello degli strumenti di rego-
lamentazione e di gestione utilizzati. Questi ultimi saran-
no brevemente esaminati qui di seguito.
10.3.6 Gli strumenti
di gestione ambientale
Se, fino a un recente passato, le disposizioni relative agli
aspetti ambientali delle legislazioni nazionali e degli accor-
di contrattuali si basavano principalmente su concetti tra-
dizionali come, per esempio, prassi consolidata del set-
tore petrolifero, ragionevole diligenza, solidi principii tec-
nici e ingegneristici, negli ultimi tempi si tende sempre
pi spesso a sostituirli con una nuova generazione di mec-
canismi di controllo e di gestione ambientale. Questi nuovi
strumenti di gestione comprendono la fissazione degli
standard e il controllo sul comando delle operazioni, non-
ch una serie di procedure e di pratiche operative.
Gli standard applicabili allindustria petrolifera ven-
gono distinti in genere in diverse categorie di requisiti
tecnici e ambientali. Il primo gruppo comprende gli stan-
dard relativi alle apparecchiature e ai prodotti, come i
parametri obbligatori per la costruzione di piattaforme a
terra e in mare, cisterne di stoccaggio, oleodotti e altri
impianti industriali. I requisiti del secondo gruppo riguar-
dano diversi aspetti dellimpatto ambientale, come i limi-
ti per gli scarichi e le emissioni, i metodi di smaltimen-
to dei rifiuti, la gestione dei prodotti chimici utilizzati
nelle operazioni di esplorazione e produzione, e cos via.
Infine, ci sono gli standard e le procedure utilizzati per
aiutare gli operatori petroliferi a migliorare la loro effi-
cienza ambientale. In questo gruppo vengono raccolti vari
sistemi e procedure di gestione ambientale, come la valu-
tazione di impatto ambientale, i sistemi di gestione ambien-
tale, la valutazione di efficienza ambientale (EPE, Envir-
onmental Performance Evaluation), i piani e i program-
mi ambientali (EMP, Environmental Management Plans
and Programmes), la valutazione e il monitoraggio ambien-
tale (EM&E, Environmental Monitoring and Evaluation),
la certificazione ambientale e le relazioni ambientali,
alcuni dei quali sono brevemente esaminati qui sotto.
Valutazione di impatto ambientale. Questo strumen-
to descritto generalmente come una procedura di valu-
tazione accurata delle conseguenze ambientali delle atti-
vit proposte e delle possibili alternative, allo scopo di
522 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE
orientare i responsabili del processo decisionale. Sem-
pre pi spesso, la procedura di valutazione dellimpatto
ambientale accompagnata da una valutazione delle con-
seguenze socioeconomiche dellattivit in programma,
la cosiddetta valutazione dellimpatto sociale (SIA, Social
Impact Assessment). Gli elementi principali della valu-
tazione di impatto ambientale comprendono uno studio
ambientale di base, una previsione di impatto, misure di
attenuazione, una dichiarazione di impatto ambientale
(EIS, Environmental Impact Statement), o Rapporto IEA
(International Energy Agency), la partecipazione pub-
blica e la raccolta delle rispettive opinioni, lanalisi delle
decisioni e dei risultati a posteriori. I requisiti della valu-
tazione di impatto ambientale sono definiti in molti accor-
di a livello regionale e mondiale, come la Convenzione
sulla Valutazione dellImpatto Ambientale in un Conte-
sto Transfrontaliero della UNECE (1991), nonch rac-
comandati dalla Banca Mondiale, nella sua Raccolta di
Documenti sulla Valutazione Ambientale, e da diverse
organizzazioni dellindustria petrolifera (come i Princi-
pii per la Valutazione di Impatto: la Dimensione Socia-
le e Ambientale, pubblicati dalla OGP).
Piano di gestione ambientale. Si tratta di un altro
importante strumento, basato in genere sulla valutazio-
ne di impatto ambientale. Tra i suoi obiettivi, ci sono li-
dentificazione della politica e degli obiettivi ambienta-
li di unazienda e la raccolta di informazioni dettagliate
sulla capacit e lesperienza di un operatore nel campo
della gestione ambientale. Il piano di gestione ambien-
tale specifica anche le caratteristiche del personale addet-
to alle questioni ambientali, le sue responsabilit, il tipo
di addestramento e il livello di consapevolezza, la pia-
nificazione delle emergenze, le procedure e le apparec-
chiature, lo svolgimento di indagini e rapporti in caso di
incidenti, e lanalisi dellefficienza ambientale.
Sistema di gestione ambientale. Questo strumento
pu essere definito un mezzo per assicurare leffettiva
attuazione di un piano o di una serie di procedure di
gestione ambientale, conformemente agli scopi e agli
obiettivi di politica ambientale. Come strumento di ge-
stione, tale sistema consente a unorganizzazione di indi-
viduare, monitorare e controllare gli aspetti ambientali
delle sue attivit. In sostanza, esso una parte del siste-
ma di gestione complessivo, che include la struttura orga-
nizzativa, le attivit di pianificazione, le responsabilit,
le modalit operative, le procedure, i procedimenti e le
risorse necessarie per sviluppare, attuare, rivedere e por-
tare avanti la politica ambientale.
Il modello HSE-MS nel settore dellesplorazione e
produzione petrolifere, definito dalla OGP, comprende
i seguenti elementi fondamentali:
leadership e impegno (ovvero la disponibilit a impe-
gnarsi a tutti i livelli e la creazione di una corretta
cultura aziendale, indispensabili per il successo del
sistema);
obiettivi politici e strategici (gli indirizzi, i principii
di azione e le aspirazioni dellazienda in rapporto alle
questioni della salute, della sicurezza e dellambiente);
organizzazione, risorse e documentazione (persona-
le, risorse e documentazione necessari per il buon
funzionamento del sistema);
valutazione e gestione dei rischi (individuazione e
valutazione dei rischi HSE, in rapporto ad attivit, pro-
dotti e servizi, e adozione di misure di riduzione del
rischio, come la valutazione di impatto ambientale);
pianificazione (la pianificazione e la conduzione delle
attivit lavorative, comprese la pianificazione dei
cambiamenti e le azioni di risposta alle emergenze);
attuazione e monitoraggio (lo svolgimento e il moni-
toraggio delle attivit, e le azioni correttive da adot-
tare in caso di necessit);
verifica e controllo (la valutazione periodica del-
lefficienza del sistema, della sua capacit di pro-
durre risultati e della sua sostanziale idoneit);
revisione (la revisione del sistema HSE-MS, affida-
ta agli organi dirigenti).
Il modello HSE-MS compatibile con i parametri
della serie ISO 14000, un punto di riferimento per gli
operatori dei sistemi di gestione ambientale di tutti i
paesi, che consente alle societ di affrontare la questio-
ne in modo sistematico ed efficace. Uno strumento di
particolare importanza nel contesto europeo il Rego-
lamento di Gestione e Verifica Ambientali CE del 1993,
che contiene uno schema di gestione e verifica ambien-
tali (EMAS, Eco-Management and Audit Scheme).
Valutazione dellefficienza ambientale. Tra i diversi
strumenti di gestione, questo ha lo scopo di facilitare il
controllo di gestione delle attivit che possono produrre
un impatto negativo sullambiente. utilizzato in tutto il
mondo dagli operatori interessati a migliorare la propria
efficienza ambientale per stabilire i parametri di effi-
cienza, certificare la conformit ai regolamenti e aumen-
tare lefficienza operativa delle proprie attivit. Lo stan-
dard ISO 14031 (1999), Gestione Ambientale Valuta-
zione di Efficienza Ambientale, fornisce le indicazioni
necessarie per lo svolgimento di una EPE. Laspetto essen-
ziale di questo strumento la scelta di una serie di in-
dicatori significativi, come gli indicatori di efficienza
operativa (OPI, Operating Performance Indicator), lin-
dicatore di efficienza di gestione (MPI, Management
Performance Indicator) e lindicatore della condizione
ambientale (ECI, Environmental Condition Indicator).
Valutazione e monitoraggio ambientali. Questo stru-
mento utilizzato per effettuare losservazione e la valu-
tazione continue degli effetti dei progetti e delle attivit
di sviluppo sulle risorse ambientali e per assicurare una
protezione efficace dagli effetti imprevisti di tali attivit,
governare i cambiamenti della politica aziendale o del tipo
di attivit, o verificare i miglioramenti prodotti dalle misu-
re adottate. Limportanza della procedura di valutazione
523 VOLUME IV / ECONOMIA, POLITICA, DIRITTO DEGLI IDROCARBURI
LA PROTEZIONE AMBIENTALE NELLINDUSTRIA DEGLI IDROCARBURI
e monitoraggio consiste nella sua capacit di contribui-
re allo sviluppo e allattuazione delle strategie di con-
trollo dellinquinamento e di stabilirne lefficacia; que-
sta procedura fornisce anche uninformazione di fondo
in rapporto alla quale si possono stimare le conseguenze
ambientali di certi tipi di attivit. Lapplicazione costan-
te di tale procedura per tutta la durata di vita di un pro-
getto consente di assicurarne la conformit ai regolamenti
e ai requisiti ambientali previsti per lo stesso progetto
sulla base della valutazione di impatto ambientale.
Verifica ambientale. Questo strumento, che fa parte
integrante della gestione ambientale, pu essere defini-
to come un processo di valutazione periodica e sistema-
tica dellorganizzazione, del comportamento e dei siste-
mi di unazienda nel campo della tutela ambientale, con-
dotto sulla base di standard predeterminati (Wawryk,
2002). Pur avendo un ruolo importante nel sistema di
gestione ambientale, le sue funzioni non si limitano a
verificarne la conformit con gli standard dei sistemi di
gestione. La verifica del sistema di gestione ambientale
non assimilabile alla verifica di conformit con le dispo-
sizioni legali applicabili. La serie ISO 14000 fornisce gli
standard necessari per lo svolgimento di una verifica
ambientale.
10.3.7 Conclusioni
La rapida espansione della rete di regolamenti ambien-
tali pone una nuova sfida allindustria petrolifera. Il peso
crescente del corpus di norme e standard introdotti a
livello nazionale e internazionale ha gi avuto conse-
guenze di vario tipo sulle attivit del settore del petrolio
e del gas.
Sullindustria petrolifera viene esercitata una pres-
sione legale continua e crescente per indurla a impegnarsi
sul fronte ambientale, migliorando la propria efficienza
in questo campo. Lintroduzione di requisiti ambientali
sempre pi severi ha prodotto significativi cambiamen-
ti nelle condizioni di investimento, nei costi di capitale
e in quelli operativi. Il principio della responsabilit delle
imprese per i danni allambiente tende a evolvere in dire-
zione di una maggiore severit e di plafond di indenniz-
zo sempre pi elevati. Lintroduzione di multe e impo-
ste ambientali aumenta ulteriormente gli oneri finanziari
gravanti sugli operatori del settore petrolifero.
La struttura e la prassi operativa delle aziende devo-
no essere modificate per rispondere alle nuove esigen-
ze di tutela ambientale, attraverso lintroduzione di siste-
mi di gestione ambientale, lassunzione di personale spe-
cializzato e ladozione di nuove procedure di controllo
e riduzione dellinquinamento. La gestione dei rischi
ambientali, e dei conseguenti rischi legali, diventata un
elemento centrale delle strategie aziendali. La prevista
espansione delle operazioni dellindustria del petrolio e
del gas in aree particolarmente fragili dal punto di vista
ambientale, come le acque molto profonde o le regioni
artiche e subartiche, o nei territori tradizionali delle popo-
lazioni indigene, non potr che aumentare tali rischi.
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524 ENCICLOPEDIA DEGLI IDROCARBURI
IL DIRITTO INTERNAZIONALE

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