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ostentazione e di spreco1.
I1 Carnevale è stato regolarmente eletto a modello esemplare del
valore trasgressivo della festa, violando ogni regola di comportamento
abituale per mettere in discussione le norme della comune decenza e le
3
cfr. Freud S., Totem e Tabù, Torino 1975, p.144.
regole sociali. "II carnevale in opposizione alla festa ufficiale era il
trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e
dal regime esistente, I'abolizione provvisoria di tutti i rapporti
gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l'autentica festa
del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento".
Per Caillois la festa rappresenta un "intermezzo di confusione
universale4", "I'istante in cui I'ordine cosmico è soppresso...nell'epoca
mitica il corso del tempo è invertito...cosi vengono violate
sistematicamente tutte le norme che proteggono il giusto ordine
naturale e sociale". In Durkheim e Mauss risulta possibile individuare
gli elementi di una diversa interpretazione del fenomeno festivo, come
occasione di recupero periodico delle origini e radici del gruppo, dove
la comunità rifonda se stessa e recupera la propria identità. Caillois ne
evidenzia invece il valore simbolico, sottolineando come gli eccessi
festivi contribuiscano a ricreare lo stato originario di intermediatezza e
caos da cui si è generato I'ordine, recuperando le origini fondanti e
ripetendo il processo attraverso cui si è costituito I'ordine sociale. Il
recupero del momento primigenio non si esaurisce in sè, ma pare
rifluire in modi e tempi diversi nella realtà economica e sociale da cui
esso sembra astrarsi. "0gni anno, alla fine dell'inverno, quando I'anello
del tempo si chiude, c'è il rischio che il cerchio del tempo si concluda.
Come ricaricare l'energia, l'organismo spento della natura? Come
passare dalla morte alla vita? L'esperienza magico-religiosa nei vari
tempi e presso i popoli più disparati ha risposto in diversi modi a
questo interrogativo. Alcuni tratti comuni a tutti questi modi sono: la
rigenerazione periodica del tempo mediante la ripetizione simbolica
della cosmogonia, la rigenerazione della natura accompagnata dalla
purificazione dei peccati, la rigenerazione attraverso la morte...".
4
Caillois R., Théorie de la fete, in “Nouvelle Revue Francaise” 1940 p.49; Eliade M., Il
mito dell’eterno ritorno, Torino 1968
Risulta possibile ipotizzare che il rito celebrato tenda a proiettare la
vicenda quotidiana del gruppo in una prospettiva storica, in una
dimensione originaria rivissuta attraverso la narrazione mitica. Tale
funzione non deve tendere alla pura astrazione, ma essa consiste nel
5
Lanternari V., La grande festa. Vita, rituale e sistemi di produzione nelle società
tradizionali, Bari 1976
"sentimento di festa", per cui la celebrazione esprime un'atmosfera
intensamente partecipativa, si arricchisce di dense connotazioni
simboliche, mitiche e perfino millenaristiche, svolgendo una funzione
collettivamente catartica. La seconda componente è quella
istituzionale, per cui ogni festa comporta un'organizzazione
comunitaria ed una regolamentazione da parte del gruppo: dalla
famiglia al villaggio, dal gruppo di mestiere, sindacato o partito
politico, all'intero paese o nazione fuori da settorializzazioni di età,
sesso, classe sociale, a seconda dell'occasione e della natura religiosa,
sociale, civile della festa. Nella componente istituzionale rientra come
fattore costitutivo, accanto all'elemento organizzativo-comunitario, il
quadro di riferimento ideologico preposto alla festa che si richiama ad
un mito delle origini simbolicamente ritualizzato, alla leggenda di
fondazione di un culto, alla immagine di un santo cristiano, ad un
momento critico dell'esistenza o ad un evento storico, sociale o
politico, che viene commemorato e celebrativamente rievocato: in
vista di un rinnovato impulso che dall'esperienza festiva verrà
nell'affrontare con riconsolidata coesione, l'altalena di bene e di male
che contraddistingue l'esperienza della quotidianità. Della componente
istituzionale fa parte integrante anche la periodizzazione iterativa del
momento festivo, secondo una ciclicità che varia in rapporto a un
ordine calendariale o a un ordine naturalmente determinato secondo il
ciclo della vita individuale. Da un lato si pensi alle feste stagionali e
annuali legate immediatamente al ciclo di produzione ( Capodanno,
Natale, Pasqua...).E' noto che il calendario ecclesiastico delle feste in
Occidente si è metodicamente adeguato, nei secoli, ad antichi
calendari precristiani fondati sul ciclo agrario e pastorale: e ciò
secondo i principi della politica di adattamento e di sincretismo
trasformatore, perseguita dalla Chiesa fin dai primi secoli. In tutti i
casi, o per la sollecitazione di eventi occasionali pertinenti alla vita
individuale, o seguendo certe regolarità culturalmente precostituite in
base ad un calendario festivo ufficiale, il gruppo o la comunità
procede ad interrompere la sequenza del tempo ordinario per
immergersi collettivamente nella dimensione di un tempo carico
d'implicazioni culturali e di connotazioni psichiche proprie, altre dal
tempo ordinario. I1 tempo festivo si pone, rispetto al tempo ordinario,
come suo completamento dialettico, come l'essere rispetto al fare, e
nelle feste religiose, come il sacro rispetto al profano. Fare festa
consiste nel ricercare se stessi e la propria identità, ritrovare le
garanzie storico-culturali atte a riconfermarla con forza in ambito
comunicativo e comunitario che è conditio sine qua non, e strumento
precipuo del ritrovare se stessi e del recuperare un equilibrio già
sentito come precario.
La festa, sia di carattere religioso, sociale, civile, sia che assommi più
di uno di tali caratteri, contiene costitutivamente sempre richiami
indiretti o diretti, simbolici o espliciti, a quanto di negativo, nefasto,
rischioso, calamitoso l'esperienza ordinaria realmente nei vari contesti
comporta e si vorrebbe stornare. Esprime attraverso richiami, formule,
gesti, comportamenti simbolici, l'insieme delle realtà collettivamente
auspicate, ambite, invocate per annullare quel negativo e realizzare il
suo "totalmente opposto".
La festa instaura un processo di socializzazione, da cui promana la sua
efficacia catartica. Nella prospettiva seguita dai fenomenologi la
dimensione sociale comunitaria viene obliterata a favore di
un'interpretazione induttivamente psicologica, che isola l’individuo
dal mondo sociale nel quale vive la propria esperienza. Eliade
considera la festa in una prospettiva fenomenologico-religiosa
orientata in senso spiritualista. Nel sottolineare la contrapposizione del
tempo sacro (festivo) e del tempo profano (ordinario), assolutizza il
valore del tempo sacro come occasione suprema di liberazione, da
parte dell'uomo, dai limiti della condizione esistenziale, per fare un
salto di livello ontologico verso l’assoluto. Dunque anche Eliade
astrae il fenomeno festa dal contesto storico globale entro cui si
manifesta e a cui si lega funzionalmente. La sua è una visuale
dinamica, idealistica, spiritualista che pur muovendo da un'importante
scoperta, il rapporto ascendente del profano verso il sacro, finisce col
perdere di vista il momento discendente che porta dal sacro al profano
e la variabilità dinamica dei significati e delle funzioni del "festivo",
in rapporto ai processi di trasformazione della società nel suo sviluppo
storico. Quanto alla dinamica storica delle feste e delle società che le
producono, vi sono fasi in cui la festa più direttamente rispecchia lo
spirito popolare fatto di satira dissacratrice, di critica diretta 9"contro
tutto ciò che è superiore" (come dice Bachtin delle feste carnevalesche
medievali) e fasi in cui la festa si snatura perdendo l'afflato espressivo
più spontaneo, sotto la direzione di organismi, per esempio la Chiesa,
secondo Bachtin, con le sue feste ufficiali, che nella festa
"convalidano la stabilità, l’immutabilità e l’eternità dell'ordine
esistente". Secondo Lanternari dove esiste partecipazione di massa, la
festa non è mai scevra di quella componente spontanea e popolare che
Bachtin chiama carnevalesca, oltre e contro ogni finale significato
gerarchico e riconfermatore dell'ordine esistente. In realtà, fuori dai
casi più moderni di routinizzazione del "tempo festivo" e di
borghesizzazione individualista dell'esperienza festiva, non esiste festa
9
Bachtin M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1979, pp. 12-13
IX
popolare e tradizionale che non rappresenti un "mondo alla rovescia",
una uguaglianza temporanea contrapposta all'ineguaglianza ufficiale.
In questo senso la dicotomia ideologico- sociologica di festa
carnevalesca e ufficiale sostenuta da Bachtin, sembra procedere da
un'assolutizzazione idealistica del carnevalesco, oltre la dialettica che
investe tutte le feste popolari e tradizionali in quanto tali. Esse, nel
negare il presente e le forme varie del potere, rendono il presente
vivibile attribuendo nuovo valore al potere. Tutte le feste di massa
hanno un potenziale “nello stesso tempo abbassante e rigeneratore".
Esse rivelano sempre un "mondo bicorporeo che morendo da la vita".
X
PARTE I
ASPETTI ANTROPOLOGICI, PEDAGOGICI E STORICI
DELL’ISTITUTO FESTIVO
Il corso della vita si svolge, per il popolo, secondo una continua e fitta
trama di forme tradizionali che ispirano, determinano e interpretano
via via le azioni e situazioni di cui è intessuta l'esistenza dell'uomo1.
Alla base di tutte queste forme stanno i Cosiddetti riti di passaggio.
Con questo termine s'intende il complesso di cerimonie che si
compiono per indicare le successive fasi per cui l'individuo entra a far
parte di una comunità, secondo i diversi gruppi sociali (famiglia, tribù,
corporazione, ambiente paesano ecc.) e secondo le successive età della
sua vita.
Ogni cerimonia di passaggio si compie a tappe, secondo una
determinata sequenza, in cui è facile distinguere le azioni che ne
indicano l'inizio, quelle intermedie e quelle che ne sanciscono la fine.
Queste tappe sono molto più appariscenti nella vita sociale delle
popolazioni primitive dove i riti di iniziazione dei giovani per il loro
ingresso come uomini adulti nella tribù hanno una complessità e
un'importanza straordinarie; ma anche alcune manifestazioni della vita
tradizionale nei nostri paesi conservano tuttavia assai bene le proprie
caratteristiche. Basti ricordare le usanze relative al matrimonio, dalla
dichiarazione d'amore del giovane all'accettazione da parte della
ragazza, attraverso numerose e precise fasi e forme rituali, fino
all'ingresso della sposa nella casa dello sposo e alla "prima notte".
Le usanze e credenze relative alla vita umana si ispirano anche a
principi magici con un chiaro scopo propiziatorio o profilattico. Ci
sono delle regole da seguire, e dei tabù da rispettare, per far
convergere a proprio vantaggio le forze del bene e allontanare e
distruggere quelle del male.
1
Toschi P., Il folklore, Studium, Roma 1969.
1
Tutte queste forme rituali, connesse con la vita dell'uomo o svolgentisi
lungo il corso dell'anno, rivelano un fondo antichissimo e, se si vuole,
pagano; ma il Cristianesimo in quasi venti secoli e per gran parte del
mondo ha stampato la sua impronta su tutti gli aspetti della vita
individuale e sociale, dando alle forme più importanti una precisa
regola e un nuovo e più alto significato, e strenuamente combattendo
le manifestazioni superstiziose e contrarie alla religione e alla morale.
Il folklore contemporaneo presenta quindi nella realtà quotidiana
questo antico fondo e questa nuova forma in cui esso vive e si attua,
anche se non sempre in perfetta aderenza.
Ci spiegheremo forse meglio quel senso di accettazione serena e di
operosità lieta con cui le classi popolari, vivono la loro pur non
comoda vita, osservando come essa si svolga lungo il succedersi dei
mesi e delle stagioni, secondo uno schema tradizionale di feste e di
usanze che mirabilmente s'accordano col ritmo della natura e delle
opere agresti. (Il calendario del folklore viene così a costituirsi in una
serie di cicli che distinguono i principali momenti ed episodi di questo
eterno ritorno di stagioni e di opere, secondo il corso dell'anno. Per
comprenderlo appieno, occorre tener presenti due cose: la prima è che
il folklore, quale vive oggi, ha un substrato di credenze e usanze
antichissime in cui si rispecchiano forme di cultura e concezioni
magiche e religiose, consone a una vita trascorrente a più immediato
contatto con la natura e, quindi, regolata secondo le sue grandi leggi e
secondo la primitiva interpretazione dei suoi fenomeni; la seconda è
che questo fondo, già in sé differenziato nei secoli e secondo diversi
cicli culturali (intesi non in forma rigida), si è poi modificato
attraverso il tempo per l'influsso dell'evolversi della civiltà, e
soprattutto per l'azione regolatrice e moralizzatrice, esercitata dal
Cristianesimo. Il senso religioso della vita è stato totalmente cambiato
e, possiamo ben dire, portato sopra un piano più alto; ma le usanze,
legate al corso immutabile delle stagioni, sono rimaste, cambiando
significato, è vero, senza però perdere del tutto alcuni dei caratteri ed
aspetti che ne avevano determinato il sorgere e il tramandarsi. Il
calendario ha subito variazioni, specie per la festa di maggiore
importanza, quella d'inizio d'anno, sì che le stesse usanze si sono
trasferite da una data all'altra, ripetendosi o venendo a confluire in un
sol giorno festivo. E di ciò non sempre ci rendiamo conto. Per es., il
Carnevale, per secoli e secoli, ha rappresentato il capo d'anno, e tutte
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le sue manifestazioni sono improntate a questo suo carattere
fondamentale; ma chi lo rileva oggi?
In realtà, Natale, Capodanno, Epifania, Carnevale, sono tutte feste che
solennizzano la chiusura di un ciclo annuale e l'apertura d'uno nuovo2;
così Calendimarzo, S. Giorgio, Pasqua, Calendimaggio, l'Ascensione,
S. Giovanni, Ferragosto, S. Martino, S. Michele, S Caterina, sono
ugualmente feste di inizio di una stagione, intendendo questo termine
in senso generico, e quindi molti riti e usi di ciascuna di esse sono
uguali o si rassomigliano: e noi li ripetiamo senza accorgercene,
mentre, a fil di logica, basterebbe ricorrervi una sola volta. S'intende
che poi ciascuna di tali feste ha anche le sue manifestazioni particolari
in rapporto alla diversità delle stagioni e al preciso significato che è
venuta assumendo, specialmente nel suo adeguarsi al clima cristiano e
alla liturgia ufficiale. Né dobbiamo dimenticarci la diversità del clima
fisico e delle condizioni generali dei vari ambienti in cui le stesse
usanze si svolgono. Molte cose ci appaiono già chiare, se
consideriamo gli aspetti essenziali delle usanze e feste di inizio d'anno
(o di stagione). Esse si riconducono tutte a due principi fondamentali,
mirano a due scopi precisi: eliminare, cancellare, distruggere tutti i
mali, i guai, i peccati dell'anno che muore; prevedere, predeterminare
e, vorremmo dire, preassicurare l'abbondanza, il benessere, la
prosperità per l'anno che nasce. Per quel principio magico per cui il
simile produce il simile, le varie tradizioni delle feste d'inizio di un
ciclo annuale esaudiscono il desiderio (che una volta era certezza
assoluta) di raggiungere i due scopi sopraccennati. Distruggere il male
passato, male fisico e male morale, infermità e peccato, tristizia e
tristezza, perché soltanto essendo sani e puri si può affrontare il nuovo
corso delle stagioni nel suo perenne ricominciamento; se si entrasse
nel nuovo anno gravati dalle malattie, dai vecchiumi, dalle malvagità
accumulatesi durante dodici mesi, le forze vitali di fecondità; di
produttività, di bene, che come riserva aurea il nuovo anno ci reca,
sarebbero infettate, ammorbate, definitivamente compromesse.
2
Cocchiara G., Storia del Folklore in Europa, Torino 1952; Popolo e letteratura in Italia,
Torino 1959.
3
1.1 Le feste religiose
Il bisogno di protezione e di sostegno per superare le difficoltà ed i
pericoli dell’esistenza è stato sempre vivo negli uomini fin dai tempi
remoti.
Prima del cristianesimo, le divinità pagane erano oggetto di culto. In
Sicilia, durante le persecuzioni di Decio, Diocleziano e massimo
Galerio, furono molti i martiri che vennero proclamati santi.
Durante la dominazione araba vi furono dei divieti e successivamente,
con i Normanni, gli Spagnoli e gli Aragonesi, vi fu libertà di culto.
Ma fu soprattutto durante il periodo normanno che il culto
cristiano crebbe notevolmente perché, oltre ad essere soldati, essi
furono costruttori di chiese e cattedrali.
Col tempo, la libertà di culto favorì l’incontrollata proclamazione di santi
e patroni ed il papa Urbano VII, nel 1630, emise un decreto per
limitare tale fenomeno.
Oggi, la devozione verso i santi patroni rappresenta la forma di culto
più diffusa. Al santo ci si rivolge per qualsiasi richiesta: per far
cessare la siccità, per evitare i pericoli di terremoti, per scongiurare
carestie, per guarire dalle malattie.
I santi vengono raffigurati in immaginette, i cosiddetti “santini”:
queste immaginette vengono distribuite ai fedeli per essere affisse
dietro la porta di casa o si portano nei portafogli o addosso, come
amuleto.
In Sicilia non esiste paese che non festeggi il proprio patrono o non
coltivi propria festa patronale con manifestazioni rituali ed atti
penitenziali, quali le processioni, le novene ed i pellegrinaggi. Inoltre
ogni festa diventa un evento in cui la riproposizione di simboli
manifesta il sentimento di religiosità popolare. Essi sono: le spighe di
grano, i rami di alloro e di ulivo, le palme, il pane, i ceri ed altri.
In Sicilia ogni festa diventa occasione di recupero del passato
attraverso una serie di rituali che, grazie alla profonda religiosità
popolare, sono stati tramandati da un secolo all’altro.
Ancora oggi le tradizioni sono rimaste intatte, legate spesso alle
ricorrenze religiose, come la festa del patrono, i riti della Settimana Santa,
la Pasqua e il Natale.
In questo lavoro mi limiterò a trattare alcune feste ritenute tra le più
importanti e significative.