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FACOLTÀ DI AGRARIA
INDICE
1. Definizione ed ambiti del corso pag. 3
2. Diffusione del verde “ 6
3. Le tipologie di spazi a verde “ 8
3.1. Evoluzione del verde pubblico “ 8
3.2. Criteri di classificazione “ 11
3.3. Profilo tecnico e funzionale delle tipologie più rappresentative “ 12
3.4. Il giardino privato nel XX secolo “ 36
3.5. I giardini tradizionali siciliani “ 53
4. Funzioni della vegetazione “ 58
5. La progettazione del verde “ 68
5.1. Studi preliminari “ 69
5.1.1. Individuazione dell’area “ 69
5.1.2. Analisi del paesaggio “ 69
5.1.3. Analisi del clima “ 77
5.1.4. Analisi dell’ambiente geopedologico “ 78
5.1.5. Analisi della vegetazione “ 78
5.2. Piante ornamentali per gli spazi a verde in ambiente mediterraneo “ 80
5.2.1. Premesse “ 80
5.2.2. Scelta della specie “ 82
5.2.2.1. Considerazioni generali “ 82
5.2.2.2. Caratteristiche dell’ambiente mediterraneo “ 86
5.2.2.3. Criteri e parametri di scelta “ 89
5.2.2.4. Fasi della scelta “ 93
5.2.2.5. Principali gruppi di piante “ 94
5.2.2.6.Caratteristiche dei principali gruppi di piante “ 96
5.2.2.7. Il contributo delle specie esotiche “ 108
5.2.2.8. Il ruolo delle specie autoctone “ 110
5.3. Disposizione delle componenti vegetali “ 112
5.4. Le specificità del giardino “ 113
5.5. Tecniche e soluzioni progettuali per l’ambiente mediterraneo ..” 118
5.6. Redazione del progetto “ 122
5.6.1. Elaborati grafici “ 122
5.6.2. Relazione esplicativa “ 123
5.6.3. Computo metrico estimativo dei lavori “ 123
5.6.4. Capitolati generale e speciale “ 124
5.6.5. Vincoli ed opportunità di carattere normativo “ 125
6. L’impianto del verde “ 127
6.1. Sistemazione e preparazione dell’area “ 127
6.2. Messa a dimora delle componenti vegetali “ 130
6.3. Esecuzione di opere strutturali ed accessorie “ 133
6.4. Un caso particolare di impianto del verde: i giardini pensili “ 136
7. La gestione del verde “ 146
7.1. L’organizzazione delle attività “ 146
7.2. Il censimento del verde “ 148
7.3. La manutenzione “ 152
7.3.1. Pulizia “ 153
7.3.2. Controllo delle infestanti “ 153
7.3.3. Irrigazione “ 155
7.3.4. Fertilizzazione “ 156
7.3.5. Difesa fitosanitaria “ 157
7.3.6. Trattamenti endoterapici “ 158
7.3.7. Potatura “ 159
7.3.8. Dendrochirurgia “ 162
7.3.9. Gli interventi di manutenzione nel verde storico “ 162
7.3.10. Best Management Practice “ 164
ALLEGATI “ 166
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Definizioni ed ambiti del corso
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A differenza dell’italiano, dove di fatto non si assiste ad una terminologia ben definita e da tutti accettata,
Pagina 3 nelle altre lingue europee esistono termini univoci per indicare quest’ambito della manutenzione del verde
(es. in tedesco Parkpflegewerk, in francese Directives d’entretien des parcs, in inglese The park scheme).
Definizioni ed ambiti del corso
pubblico, in una città, l’insieme delle aree destinate a parco o giardino dal piano
regolatore / Verde attrezzato, nei giardini e nei parchi pubblici, area fornita di attrezzature
fisse per attività sportive e ricreative, specialmente di bambini.
Se invece analizziamo la definizione di verde che si ritrova nella trattatistica specialistica ci
rendiamo conto come il termine venga spesso utilizzato con diverso significato. Così per gli
architetti che intervengono nella questione, il verde è “qualsiasi spazio aperto progettato - in
tutto o in parte - da aspetti vegetazionali” (Zoppi, 1988) o, con riferimento a quello pubblico,
è un “sistema di spazi urbani, non privati, percorribili e consumabili da
chiunque” (Vercelloni, 1989). Come è chiaro intuire è la visione “urbanistica” a prevalere: il
verde ed in particolare quello pubblico è la “porzione del territorio che lo strumento
urbanistico sottrae all’edificazione” (Bertolini, 1988). Il ruolo della pianta in questo contesto
può diventare addirittura secondario: “il verde .... può essere “di pietra” come le piazze e le
vie pedonali o “d’acqua” nel caso di una canale o di un fiume, quando questi ambiti siano
progettati con l’intento di supplire o integrare ruoli specifici delle aree verdi: passeggiare,
giocare, trascorrere il proprio tempo libero, incontrarsi o fare sport all’aria aperta” (Zoppi,
1988).
Per Porcinai (1965), il più famoso architetto paesaggista italiano, il giardino è una “zona di
verde generalmente recinta, costituita da piante ed altri elementi naturali o manufatti,
combinati ad arte dall’uomo, avente la funzione di riconciliare perennemente la creatura
umana con il circostante mondo naturale”; anche in questo caso il riferimento alla presenza
di elementi architettonici (manufatti) è molto forte.
Per la componente agronomica la presenza ed il ruolo delle piante è invece centrale: il
verde è “una necessità di vita e non un lusso, in quanto alle zone verdi sono demandate
vitali funzioni” (Chiusoli, 1985).
In questa logica si pone l’espressione anglosassone urban forestry che serve a designare
la disciplina che si occupa di verde urbano e che pone in primo piano i problemi
dell’inserimento della componente vegetale all’interno delle città.
Nell’ambito del corso, in particolare, come già ricordato, cercheremo di definire le questioni
ambientali e territoriali connessi con il verde stesso. Anche per tali motivi proveremo di
seguito di definire i due termini che talvolta, erroneamente, vengono utilizzati come
sinonimi.
L’ambiente, come ci ricorda lo stesso dizionario della Zanichelli, è quel “complesso delle
condizioni esterne all’organismo in cui si svolge la vita vegetale e animale”; il termine deriva
dal latino ambire = andare intorno ed indica l’insieme degli elementi fisici, biotici e abiotici
che circondano uno o più esseri viventi, popolazioni, specie, comunità biologiche in
rapporto interattivo con essi. Un aspetto da sottolineare è la multidimensionalità del termine
stesso. Esso, infatti, da una parte può essere inteso in una accezione ecologica, intesa
come scienza che si occupa delle relazioni fra gli organismi viventi e il loro ambiente. In altri
casi l’accezione è lievemente differente e l’ambiente è definito non in rapporto a organismi
bensì per determinati caratteri che accomunano aree più o meno ampie del paesaggio
terrestre in cui vivono popolazioni e comunità diverse di organismi (es. ambiente forestale,
ambiente oceanico, ecc.). Quando nel linguaggio corrente il termine viene usato
antonomasticamente, senza specificare quali siano gli esseri viventi (o le aree) cui ci si
riferisce, è sottinteso che esso indica l’ambiente in cui vivono gli uomini nel loro insieme,
ossia in pratica (dato il carattere ubiquitario della nostra specie) l’intera superficie terrestre.
Il territorio, invece, termine che per il dizionario della Zanichelli sta a indicare la “porzione
definita di terra”, viene concepito come uno spazio fisico organizzato mediante strutture
politico-amministrative e socio-economiche espresse dalla sua popolazione; esso appare
molto più come il prodotto dell’attività umana, suscettibile di essere modellato con un ampio
margine di libertà, piuttosto che come espressione della natura, subordinato alle sue leggi.
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Definizioni ed ambiti del corso
Inoltre tradizionalmente, nella teoria economica, il territorio viene concepito come superficie
omogenea.
L’analisi penetrante – che dobbiamo all’ecologia come scienza – della struttura e dei
rapporti estremamente complessi tra le componenti biotiche ed abiotiche del territorio su cui
l’uomo ha stabilito il suo dominio non poteva non rimettere in discussione il concetto stesso
di territorio, la cui accezione tradizionale appare oggi eccessivamente semplicistica.
Dal punto di vista dell’ecologia, il territorio è un insieme di ecosistemi, che possono essere
sovraccaricati solo entro certi limiti, pena la rottura dei meccanismi di equilibrio, con gravi
danno alle stesse possibilità di fruizione da parte dell’uomo. A questo punto riteniamo
opportuno ricordare che il “coniatore” della parola “ecologia” è stato il famoso biologo di
Jena E. Haeckel che nel 1866 usò per primo il termine oekologie. L’introduzione di questa
parola in Italia non fu immediata; fu il valente biologo Girolamo Azzi (un agronomo) che
contribuì a divulgare il termine. Egli fu il primo a ricoprire una cattedra dal nome di Ecologia
agraria ed a scrivere l’omonimo trattato.
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Diffusione del verde
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Il decreto 2 aprile 1968, n. 1444 prevede che “gli spazi per le attrezzature pubbliche di interesse genera-
le – quando risulti l’esigenza di prevedere le attrezzature stesse – debbono essere previsti in misura non
inferiore a quella appresso indicata in rapporto alla popolazione del territorio servito: ….. 15 mq/abitante Pagina 6
per i parchi pubblici urbani e territoriali”.
Diffusione del verde
operazioni di manutenzione.
In ogni caso è indubbio che una più funzionale gestione del verde pubblico è possibile solo
grazie ad una adeguata conoscenza del patrimonio di “verde” di cui ogni città dispone e
delle esigenze espresse a livello sia di singolo spazio che di ciascuna specie. La puntuale
ricognizione del patrimonio vegetazionale della città è quindi un momento ineludibile della
gestione razionale degli spazi a verde.
Fonte: Legambiente, Ecosistema Urbano 2006 (Comuni, dati 2004). Elaborazione: Istituto di Ricerche Am-
biente Italia.
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
della pianificazione dell’ambiente e delle risorse per il tempo libero. Per Le Corbusier “il
tessuto urbano dovrà cambiare struttura; gli agglomerati tenderanno a divenire città verdi.
Contrariamente a quanto avviene nelle città giardino, le superfici verdi non saranno
suddivise in piccoli compartimenti d’uso privato, ma consacrati alla realizzazione delle
diverse attività comuni che formano il prolungamento dell’abitazione” (Panzini, 1993).
Tale centralità del verde viene anche ribadita nell’organizzazione urbanistica del secondo
dopoguerra di diverse capitali europee. Un esempio famoso è quello di Londra e dei suoi
four rings; il terzo anello è proprio quello della green belt, della cosiddetta cintura verde, che
rappresenta il polmone della metropoli e soprattutto il suo grande sistema ricreativo.
In Italia invece il dibattito, sviluppato nel secondo dopoguerra, ha riguardato soprattutto i
temi legati alla funzione “utilitaristica” del verde all’interno delle città, temi che sono diventati
sempre più prevalenti rispetto alle funzioni estetiche che il verde può a buon diritto
esercitare. Prodotto di questo modo di intendere la questione può essere considerata la
cosiddetta “linea dello standard”, ufficialmente recepita nella legislazione italiana sul finire
degli anni Sessanta (Bruschi e Di Giovine, 1988). Tale “linea” prevede che venga destinata
una porzione del territorio a verde pubblico, senza imporre ulteriori vincoli per quanto
attiene alla “qualità” di questo.
L’introduzione degli standard urbanistici nella legislazione italiana costituisce il
riconoscimento ufficiale del principio che i problemi della residenza non si esauriscono nella
cellula abitativa individuale ma debbono essere guardati in rapporto a un sistema più
complesso costituito da abitazioni, infrastrutture, attrezzature, servizi pubblici e privati. A
questi elementi occorre applicare, quindi, norme e requisiti in analogia a quelli utilizzati per
dimensionare e organizzare la cellula abitativa: appunto, gli standard. Uno di questi è lo
standard di verde pubblico, cioè la quantità minima di spazio da riservare a verde in
proporzione al numero di abitanti.
Nel 1968 tale istanza viene accolta dal punto di vista legislativo con l’emanazione di un
Decreto Interministeriale, il 1444 del 2/4/1968, che definisce gli standard minimi di aree per
servizi pubblici, tra i quali il verde da rispettare obbligatoriamente nella stesura dei piani
urbanistici. Gli standard fissati da tale decreto sono pari a 9 m2 di verde residenziale di
quartiere (aree pubbliche attrezzate a parco per il gioco e lo sport effettivamente utilizzabili)
e 15 m2 per i parchi pubblici urbani e territoriali. Con tali norme, almeno all’epoca, l’Italia si
poneva tra i paesi più civili d’Europa avendo garantito a tutti i cittadini, almeno nelle
intenzioni, una qualità urbana paragonabile a quella dei Paesi più progrediti. Nei fatti le
cose sono andate in modo alquanto diverso, dato che, come abbiamo già ricordato, tali
norme sono state disattese nella sostanza. Del resto, anche se fosse stato rispettato, tale
standard è ben lontano da quello attuale di alcune grandi città europee.
A questo si aggiunga che lo stesso concetto di “standard”, espresso in termini quantitativi, è
riduttivo, poiché, al di là dell’area impegnata, quello che rende veramente fruibile dai
cittadini un servizio pubblico è il rispetto di alcuni parametri quali la collocazione,
l’accessibilità, la funzionalità delle attrezzature e, nel caso particolare del verde, la qualità
dello spazio. Questi limiti, impliciti in un approccio quantitativo, erano indubbiamente
presenti a coloro che, negli anni Cinquanta e Sessanta, reclamavano che il processo
disordinato di urbanizzazione fosse quantomeno regolato da norme e criteri di proporzione
tra spazi pubblici e privati, tra spazi liberi e costruiti. La qualità sembrava allora
rappresentare l’obiettivo successivo, da raggiungere una volta assicurato almeno il rispetto
dello standard quantitativo o meglio del “minimo inderogabile” per usare le parole della
legge che lo introdusse.
Il contenuto innovativo della linea di pensiero espressa dalla 1444 era infatti l’obbligo a
considerare le parti residenziali della città come un insieme organico e indivisibile di
abitazioni e di servizi da progettare contestualmente e da realizzare in uno stesso
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Le tipologie di spazi a verde
momento. Salvo poche eccezioni, questo contenuto innovativo non è stato, però, recepito.
In molti casi, purtroppo, il rispetto dello standard è stato solo formalmente garantito
vincolando a verde pubblico nei piani urbanistici le aree più periferiche e meno appetibili,
per le loro caratteristiche fisiche, per la speculazione edilizia; salvo poi modificare
successivamente la loro destinazione con una variante e spostare ancora più all’esterno
l’elastica “cintura verde”. Peraltro anche dove, come nei casi dei quartieri di edilizia
popolare, le abitazioni e i servizi hanno costituito oggetto di un unico impegno progettuale,
la realizzazione di questi ultimi è stata posticipata nel tempo o addirittura non ha mai avuto
luogo.
Davanti a questa situazione gli urbanisti più sensibili hanno reagito con due atteggiamenti
apparentemente antitetici. Il primo tenta di superare l’inefficienza dello standard quantitativo
a trasformarsi in garanzia di qualità urbana, ampliandone e dettagliandone al massimo i
contenuti. A questo atteggiamento vanno ricondotte le proposte di articolazione del concetto
di verde pubblico in sub-insiemi funzionali distinti in base alla loro accessibilità (verde di
vicinato, di quartiere, urbano, territoriale, ecc.) o alle modalità d’uso (verde attrezzato, verde
di rispetto, verde archeologico, verde sportivo, verde di salvaguardia ambientale, ecc.). A
partire da queste sub-classificazioni sono state poi indicate ulteriori suddivisioni dello
standard urbanistico, precisando, in relazione alle caratteristiche della prevedibile utenza, le
esatte percentuali degli spazi da destinare alle diverse attività all’interno della particolare
tipologia di verde pubblico considerato, fino a determinare, già in sede di piano urbanistico,
la natura, il numero ed il dimensionamento delle singole attrezzature. Questa impostazione
ha il pregio di fornire un efficace strumento per verificare un astratto standard rispetto ai
concreti bisogni di uno specifico gruppo di utenti, ma può presentare l’inconveniente di
vincolare eccessivamente la progettazione di dettaglio, con la conseguenza di limitare
l’effettiva fruibilità delle attrezzature al mutare, nel tempo e nello spazio, della composizione
dell’utenza ipotizzata nel piano urbanistico.
L’altro approccio ha puntato invece sulla destinazione a verde pubblico di aree di particolare
pregio ambientale o in grado di evitare l’espansione delle città a macchia d’olio e di
indirizzarne lo sviluppo secondo un disegno organico. Questo atteggiamento è rispettato in
molte proposte urbanistiche elaborate negli ultimi anni per alcune città italiane, nelle quali si
attribuisce alla continuità ed al disegno di grandi spazi il valore di elemento strutturale del
recinto urbano. Espressioni di tale concezione sono le locuzioni di “sistema del verde”,
“cunei di verde”, “cintura verde”, “sistema dei parchi”, “corridoi verdi” che sempre più si
affermano nella moderna urbanistica.
Nonostante sul piano concettuale e problematico le questioni attinenti al verde pubblico
siano al vaglio dell’attento dibattito che coinvolge figure professionali diverse, la storia del
verde urbano è ancora una storia che si deve scrivere. Essa comunque dovrà forse
muoversi lungo linee direttrici innovative, vuoi per la difficoltà di recuperare spazi liberi da
destinare al verde all’interno del perimetro urbano, vuoi per gli accresciuti e rilevantissimi
oneri che l’impianto e soprattutto la manutenzione del verde comportano.
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Le tipologie di spazi a verde
Uno schema di classificazione che abbia significato da un punto di vista didattico deve, a
nostro avviso, tenere conto di tutti questi criteri. Quello che di seguito proponiamo per lo
studio delle diverse tipologie di verde, che ha il solo pregio di essere quanto più completo
possibile e funzionale ai nostri scopi, è stato in parte mutuato da quanto proposto da
Agostoni e Marinoni (1987), Castiglioni (1985) e dalla classificazione adottata dal comune di
Bologna per la gestione del verde urbano. Tale schema suddivide gli spazi a verde in:
∗ Porzioni privilegiate del territorio;
∗ Parchi urbani e suburbani;
∗ Giardini storici;
∗ Piccoli spazi;
∗ Spazi attrezzati;
∗ Piante in contenitori;
∗ Giardini pensili;
∗ Alberature stradali e verde stradale;
∗ Giardini specialistici;
∗ Orti urbani;
∗ Impianti sportivi e per gli spettacoli;
∗ Verde cimiteriale;
∗ Aree degradate;
∗ Parchi agricoli;
∗ Parchi zoo.
Per ciascuna delle tipologie così individuate sarà fornita nel successivo paragrafo una breve
descrizione del profilo biologico-tecnico e funzionale. Una avvertenza necessaria è che dal
punto di vista terminologico non vi è concordanza di opinioni fra i diversi Autori e quindi
spesso vengono utilizzati termini o Attitudine dei popolamenti vegetali a svolgere funzioni di-
locuzioni diverse per riferirsi alla verse (Susmel, 1972).
medesima tipologia di verde. L’assenza
di riferimenti certi, anche di natura
normativa, ha determinato questa
“confusione”, ma ciò non pregiudica
certamente l’interesse di tratteggiare il
profilo delle diverse tipologie in cui il
“sistema del verde” oggi si esprime.
Prima di entrare nel dettaglio delle
diverse tipologie occorre sottolineare
come tutte le tipologie di verde
rappresentino un insieme indivisibile; i
diversi “popolamenti vegetali”, al di là
della loro estensione e naturalità, sono in
grado, infatti, di soddisfare esigenze
primarie dell’uomo, così come è stato
efficacemente schematizzato da Susmel,
elevata; buona; sufficiente; - nessuna
già nel lontano 1972.
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Le tipologie di spazi a verde
fruizione. Occorre infatti ricordare che quando il valore naturalistico dell’area è molto
elevato la necessità di protezione prevale sulla possibilità di uso da parte dell’uomo; per
questo motivo alcune aree possono essere vietate al pubblico. Le zone previste dalla CEE
sono:
A - riserva naturale integrata
B - riserva naturale
C - parco naturale
D - paesaggio naturale e seminaturale protetto
E - paesaggio rurale protetto
F - monumento o sito naturale protetto
G - zone protette specifiche
H - cinture verdi
In atto le principali tipologie di zone protette previste in Italia sono:
∗ Riserve naturali: sono territori di dimensioni da medie a piccole, considerati prioritari per
la difesa della natura e per tale motivo sottoposti ad uno specifico regime giuridico di
tutela.
∗ Riserve naturali integrali: sono istituite con lo scopo di proteggere e conservare in modo
assoluto l’ambiente naturale in tutte le sue parti, vietando ogni alterazione ed ogni attività
umana, ad eccezione della ricerca scientifica; sono zone non abitate e vietate al
pubblico.
∗ Riserve naturali orientate: richiedono invece una certa manutenzione per il loro
mantenimento. In tal modo l’ecosistema viene orientato, mediante una stabilizzazione
artificiale, ad un livello evolutivo che si ritiene più utile per l’equilibrio ecologico
complessivo del territorio.
∗ Riserve naturali parziali: quando si tenta di salvaguardare soprattutto una componente
ambientale (flora, fauna, ecc.); in base a tale componente le riserve vengono denominate
come botaniche, zoologiche, forestali, geografico-geologiche, ecc.
∗ Parchi naturali nazionali e regionali: sono aree di grandi dimensioni, nelle quali si cerca
di effettuare una efficace tutela della natura e del paesaggio in forme compatibili con la
civilizzazione moderna.
Parchi urbani e suburbani
Si tratta di aree a verde molto ampie, inserite nel tessuto urbano o, caso più frequente, ai
margini della città. Il connotato
principale è costituito
dall’elevata estensione; tali
spazi devono ispirarsi alla
natura ma devono essere
finalizzati alla fruizione diretta.
A causa della elevata
estensione sono spesso
collocati in periferia dove
sovente coesistono funzioni
residenziali e produttive (ad
esempio l’agricoltura) con
ambienti naturali, nonché con
grandi attrezzature per lo
sport, lo spettacolo, la cultura
e la ricreazione. In questo
caso (proprio per le
dimensioni del parco e per
l’eterogeneità dell’utenza) Central Park a New York, uno dei più famosi parchi urbani del mondo.
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Le tipologie di spazi a verde
Giardini storici
L’idea di giardino storico e lo stesso termine appartengono al nostro secolo e per questo
motivo si possono considerare acquisizioni moderne della cultura del restauro. Da qui
deriva che il problema della conservazione del patrimonio storico artistico è anch’esso
recente.
La problematica relativa ai giardini storici ha cominciato in Italia ad essere percepita ed
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
Piccoli spazi
Si tratta spesso di aree di risulta da altre destinazioni del territorio, di modeste dimensioni,
di forma non sempre regolare, situate ai margini di piazze, strade, edifici, svincoli stradali.
La loro limitata ampiezza ne impedisce talora una fruizione diretta ed impone una
sistemazione a verde piuttosto accurata secondo modelli a carattere intensivo, con specie
di modesto sviluppo. La manutenzione deve essere accurata; in mancanza di cure queste
aree perdono quell’effetto estetico cui si fa affidamento per dare un’immagine adeguata
della città e dell’attenzione posta verso il verde. Caratteristiche e funzioni analoghe
presentano gli spazi a verde pubblico prospicienti i singoli edifici, che vengono talvolta
denominati verde di pertinenza.
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Le tipologie di spazi a verde
Spazi attrezzati
Comprendono quelle superfici più o meno estese
che dispongono in qualche misura di attrezzature
ricreative che ne favoriscono la fruizione. In tale
tipologia rientrano le aree a verde realizzate
spesso a livello di quartiere e sistemate sulla
base di schemi piuttosto estensivi in rapporto
anche all’uso cui sono destinate. Pur se rivolti alla
fruizione privata, possono rientrare in questa
categoria gli spazi a verde condominiali o privati.
Piante in contenitore
Sono sicuramente un elemento importante del
“sistema del verde” e spesso rappresentano
l’unica possibilità di inserire la vegetazione
all’interno delle città e quindi di rispondere alle
esigenze che promanano dai cittadini. Al di là
dell’effetto estetico che può essere talora
gradevole occorre sottolineare che le piante in
vaso pongono specifici problemi che attengono
da una parte alla compatibilità spaziale fra
esemplare e contenitore e dall’altra
all’obbligatorietà di un’attenta ed onerosa
La manutenzione dei piccoli spazi deve essere
manutenzione; in mancanza di tali attenzioni accurata; in mancanza di cure queste aree per-
dopo l’impianto tali contenitori perdono dono quell’effetto estetico cui si fa affidamento
completamente quelle caratteristiche di pregio per dare un’immagine adeguata della città e della
estetico per le quali sono utilizzati nell’arredo a attenzione posta verso il verde.
verde.
Giardini pensili
La sistemazione a verde dei tetti e delle terrazze ha
assunto negli ultimi anni un crescente interesse,
dovuto da una parte alle difficoltà di reperire spazi in
ambito urbano da destinare alle piante e dall’altra
alla maggiore consapevolezza del ruolo che la
vegetazione può assicurare ai fini del miglioramento
di alcuni parametri ambientali. Il crescente interesse,
però, non deve fare dimenticare che tali tipologie di
verde, oltre ad essere fra le espressioni più moderne
ed attuali, sono al contempo la forma più antica di
giardino di cui abbiamo memoria storica.
Senza volere, infatti, considerare che già nella
preistoria erano utilizzate piote erbose per la sistemazione dei tetti (tecnica fra l’altro di
recente enfaticamente riproposta), dato che tali soluzioni erano utilizzate solo a scopi
utilitaristici e quindi erano prive di qualsiasi significato ornamentale, non possiamo
dimenticare i celebri giardini di Babilonia. Tali giardini, infatti, oltre ad avere assunto un
rilevante ruolo presso gli antichi, che li collocavano fra le sette meraviglie del mondo, hanno
continuato ad esercitare fino ai nostri giorni una forte influenza nell’immaginifico collettivo,
come espressione del valore “estetico” e “sacrale” del giardino stesso.
Nel corso degli ultimi anni, sulla spinta anche di specifiche esperienze estere, si è
moltiplicato l’interesse nei confronti delle sistemazioni a verde dei tetti e dei terrazzi e sono
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Le tipologie di spazi a verde
aumentate le informazioni su tali soluzioni progettuali, oltre che sulla messa a punto di
specifiche tecniche costruttive. Si tratta di un ambito che vede impegnate diverse ditte
specializzate, molto attive sul mercato, che continuamente propongono soluzioni “nuove”
per consentire l’insediamento del verde nei contesti i più disparati. Numerose sono anche le
informazioni in merito alla scelta della specie ed alle cure colturali da utilizzare in queste
particolari sistemazioni a verde. Tali informazioni, numerosissime, sono state, però, spesso
elaborate con riferimento a realtà del centro Europa o del Nord Italia e quindi debbono
essere calibrate alle condizioni dell’Italia meridionale ed in particolare della Sicilia. Questo
appare ancor più valido per quanto riguarda le scelte biologiche e la manutenzione che
devono essere meglio finalizzate alla realtà meridionale.
Prima di entrare nel merito del dettaglio tecnico occorre ricordare come il termine “verde
pensile” potrebbe trarre in inganno se si evocano unicamente immagini di lussureggianti
giardini collocati sui tetti dei palazzi. Questo termine, in realtà, raggruppa l’enorme campo
applicativo rappresentato dalla realizzazione di coperture vegetali su “soletta” e non in
piena terra. Tale “modo” di realizzare il verde costituisce una soluzione utile per ricoprire
volumi abitativi (terrazzi, coperture di edifici e garage di complessi residenziali), produttivi
(uffici, industrie e centri commerciali) o altri elementi che, in contesto urbano, si preferisce
occultare. In tutti questi casi l’area esplorata dagli apparati radicali delle piante è fortemente
limitata dalla ristrettezza degli spazi disponibili, in particolare in profondità.
L’approccio utilizzato per il verde pensile, inoltre, potrebbe essere correttamente applicato,
data la similitudine delle condizioni, con molte situazioni di verde urbano, quali ad esempio
le stesse alberature stradali nelle quali la parte ipogea delle piante subisce analoghe
limitazioni nello sviluppo.
Le conseguenze principali determinate da questo fattore critico sono differenti, tra le più
influenti occorre ricordare:
∗ la limitazione della crescita della vegetazione, determinata dalla ridotta disponibilità di
substrato colturale e dalla rapida perdita di umidità;
∗ la difficoltà di ancoraggio delle piante di una certa dimensione causata dalla ridotta
espansione degli apparati radicali;
∗ l’inefficienza del drenaggio determinata dalla costipazione del substrato.
I vincoli esistenti nelle realizzazioni del verde su soletta non riguardano esclusivamente
l’habitat delle piante; esiste infatti un problema di compatibilità tra l’elemento costruito e la
presenza dello “strato verde” ad esso sovrapposto che può essere così schematizzato:
∗ il peso esercitato sulla soletta dal substrato colturale e dall’acqua in esso trattenuta;
∗ la presenza stabile dell’acqua o di uno strato di umidità permanente che costituisce una
potenziale fonte d’infiltrazione nella soletta.
La capacità di affrontare e risolvere i limiti e i problemi sopraelencati attraverso tecnologie
valide può trasformare il rinverdimento delle coperture in un’importante risorsa per
fronteggiare tematiche di tipo urbanistico, contribuire alla soluzione di problemi architettonici
e soprattutto migliorare la qualità della vita ottenendo benefici estetici ed ecologici.
Il sempre maggiore interesse verso i rinverdimenti pensili e la loro diffusione hanno favorito
la ricerca di nuove tecnologie di realizzazione; in questo modo si sono ampliate anche le
possibilità di utilizzare il rinverdimento su buona parte delle coperture esistenti sugli edifici.
Attualmente sono presenti sul mercato numerose ditte specializzate in questo settore,
ognuna delle quali offre tecniche d’impianto che generalmente si differenziano da quelle
adottate dalle altre imprese per uno o più particolari costruttivi. Esiste però la possibilità di
raggruppare le tipologie dei rinverdimenti pensili, così come ha fatto la FLL
(Forschungsgesellschaft Landschaftsentwiklung Lanschaftsbau, Associazione tedesca per
lo sviluppo e la Costruzione del Paesaggio) la quale ha individuato tre tipi principali di
rinverdimento:
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Le tipologie di spazi a verde
∗ rinverdimento estensivo;
∗ rinverdimento intensivo semplice;
∗ rinverdimento intensivo complesso.
Questa distinzione, oggi comunemente accettata e diffusa, è stata formulata in base
all’utilizzo di tali sistemazioni, alle caratteristiche progettuali/strutturali, al tipo di vegetazione
impiegata ed al tipo di manutenzione richiesta.
Nella realtà spesso queste tre
diverse “tipologie” possono essere
presenti contemporaneamente nello
stesso impianto.
Negli ultimi anni, inoltre, viene
anche indicata, soprattutto dalle
ditte specializzate nella fornitura di
materiali costruttivi, la tipologia di
verde estensivo “inclinato”, nella
quale vi ene reso possibile
l’inserimento del verde con
pendenze elevate fino a 30° e
talvolta, con adeguati interventi, a
45°.
Secondo alcuni Autori potrebbe
essere fatta un’ulteriore distinzione
in base al sistema di irrigazione Esempio di verde pensile estensivo.
adottato: se tradizionale o a falda. In
questo ultimo caso si parla spesso del sistema Optima-Optigrün dal nome del brevetto della
ditta che per prima e comunque in maniera più diffusa ha adottato tale sistema di copertura
per i tetti verdi.
In realtà attualmente sono diversi i sistemi brevettati presenti sul mercato italiano, fra i quali
possiamo ricordare il Daku della Roof Garden Program di San Donà di Piave (VE), il
Perligarden della Perlite Italiana di Carsico (MI), il Floradrain, il Florate, il Floratherm e
l’Elostodrain, tutte proposte dal Tetto Verde di Mompiano (BS), lo Xero Floor, per
rivestimenti estensivi di piccolo spessore della Italdreni di Reggio Emilia, sistemi che si
affiancano al più famoso Optima-Optigrün della Optigrün di Legnano (MI).
Un’ulteriore classificazione del verde pensile può essere effettuata in base alla “estensione”
del rinverdimento stesso; sulla base di questo parametro possiamo individuare le seguenti
categorie:
∗ verde continuo;
∗ verde localizzato.
Un’altra tipologia di verde assimilabile a quella verde pensile è il cosiddetto “verde verticale”
che riguarda, soprattutto grazie all’ausilio di piante rampicanti e ricadenti, la copertura
“verde” delle pareti verticali degli edifici. Negli ultimi anni, grazie a specifiche soluzioni
costruttive sono stati realizzati, soprattutto all’estero, esempi spettacolari di questa tipologia
di verde.
Al di là delle tipologie, il verde pensile è realizzabile con diverse tecniche di impianto,
basandosi su differenti configurazioni vegetazionali e/o su criteri di tipo funzionale e
compositivo. A seconda della finalità del giardino pensile e delle variabili compositive e
funzionali che lo caratterizzano si possono impiegare diversi gruppi di piante, dalle erbacee
da tappeto erboso fino ai piccoli alberi. In alcune tipologie ed in specifici contesti ambientali
possono essere utilizzati anche i muschi.
La scelta è ovviamente limitata a specie che, oltre ad essere adatte alle condizioni
ambientali, sono idonee a vivere sui tetti. Si tratta in genere di piante resistenti alle
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Le tipologie di spazi a verde
Rinverdimento estensivo
Si tratta di una tipologia che determina un minore costo di impianto ed un basso onere di
manutenzione. Può essere realizzata sia su coperture piane che su quelle inclinate, in
quanto richiede normalmente spessori di substrato di coltivazione alquanto limitati (in
genere inferiori ai 10 cm). Ciò determina che il peso della struttura si aggiri intorno a 50-100
kg m-2. Questa tipologia è indicata per coprire qualsiasi struttura e, grazie al basso peso, si
presta a ricoprire anche solai con limitata capacità di carico.
Tale tipologia di rinverdimento non è comunque strettamente legata allo spessore del
substrato, in quanto se il solaio lo consente si possono realizzare ricoprimenti con spessori
superiori ai 10 cm, in grado di accogliere piante di maggiori dimensioni. Gli oneri di
manutenzione sono generalmente molto ridotti; i relativi interventi si limitano infatti
all’asportazione delle parti epigee appassite o all’eliminazione di specie non desiderate o
sviluppatesi oltre misura. In ogni caso sono esclusi gli interventi di concimazione e di
irrigazione ad eccezione della fase di impianto, il che rende difficile proporre tali
sistemazioni a verde negli ambienti più meridionali d’Italia, dove il lungo periodo siccitoso di
fatto non consentirebbe la sopravvivenza delle piante.
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Le tipologie di spazi a verde
Giardini specialistici
All’interno di tale categoria possono essere compresi i giardini botanici, quelli scolastici,
ecc. Si tratta di spazi che rispondono ad esigenze specifiche, prevalentemente didattiche,
ma che possono assolvere ad alcune delle funzioni degli spazi a verde, quali quelle
educative e ricreazionali. I giardini o orti botanici, in particolare, sorti inizialmente (alla fine
del XVI secolo) per la coltivazione di piante officinali da utilizzare per le esercitazioni degli
studenti di medicina e in seguito sviluppati per rispondere meglio ad attività di ricerca e di
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Le tipologie di spazi a verde
Orti urbani
È questa una struttura spesso ancora da ipotizzare - anche se già esistono esempi di
realizzazioni (soprattutto nel Nord Italia) - che potrebbe essere inserita all’interno dei parchi
zonali o urbani oppure in apposite aree destinate allo scopo. Si tratta in buona sostanza di
assegnare dei piccoli spazi (nell’ordine di 50-100 m2) in gestione gratuita (o a canone
simbolico) a persone che ne facciano richiesta (ad esempio anziani e pensionati).
Tale tipologia di verde, se inserita all’interno di un parco, potrebbe stimolare ed accrescere
il senso di responsabilità del cittadino verso il verde e quindi ottenere una azione di
maggiore vigilanza nei confronti dei vandalismi. L’importante è coniugare le esigenze
dell’utenza con le necessità che l’insieme presenti un gradevole effetto estetico, anche per
favorire la fruizione di tali luoghi.
Per chiarire meglio il significato di questi spazi a verde occorre, però, fare qualche richiamo
alle cosiddette orticoltura sociale e orticoltura terapeutica. In entrambi i casi viene
assegnato al termine “orticoltura” il significato, non tanto di coltivazione a fini di lucro per
ottenere dei prodotti alimentari, gli ortaggi appunto, quanto di possibilità di contatto diretto
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Le tipologie di spazi a verde
Orticoltura terapeutica
Il riconoscimento del valore “terapeutico” degli spazi a verde ha una radice molto antica. Da
sempre il “giardino” ha rappresentato un luogo di serenità e benessere: si pensi alla
favolosa “età dell’oro” o al biblico “paradiso terrestre”. Non deve quindi stupire che
nell’antico Egitto alcuni dottori di corte prescrivessero ai loro pazienti, malati di mente, delle
lunghe passeggiate nei giardini del palazzo del faraone. Anche nell’Apocalisse di Giovanni
si legge “in mezzo ... c’è l’albero della vita che fa dodici frutti, dando ogni mese il suo frutto,
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Le tipologie di spazi a verde
Orticoltura sociale
La nascita dell’orticoltura a scopo sociale si può fare risalire al XIX secolo in Francia. Nel
1893, infatti, un gruppo di intellettuali e di parlamentari liberal-cristiani si impegnano nella
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Le tipologie di spazi a verde
approvazione della legge Siegfried, che riconosceva agli operai la possibilità di diventare
proprietari di un lotto di terra. Qualche anno dopo l’abate Lemire (1896) fonda la “Ligue du
coin de Terre et de Foyer”.
L’idea di mettere gratuitamente a disposizione degli operai lotti di terreno era stato oggetto
di diverse iniziative filantropiche, ma la sua estensione sistematica e la sua stessa
denominazione “giardini aperti” datano a partire da questo periodo storico (1893-1896). Al
giardino si riconosceva quindi non solo un ruolo economico, poiché l’orto assicurava il
minimo vitale alimentare, ma anche un ruolo igienico e morale, in quanto spazio alternativo
ai modi e ai ritmi imposti dal vivere cittadino e/o industriale.
In Italia nel corso della seconda guerra mondiale, alla periferia di Roma, senza alcun
intervento da parte dello Stato, si registra la nascita degli “orti di guerra”, costituiti da ampi
appezzamenti di terreni, divisi in piccolissimi lotti in cui si svolge un’intensa attività orticola.
La loro ubicazione è nelle immediate vicinanze delle strade di grande traffico, alla periferia
delle città o nei tratti urbani e suburbani, possibilmente vicini ai fiumi.
In Francia, dove le espressioni dell’orticoltura sono molto articolate, con la legge del 26
luglio 1952 si elimina, almeno dal punto di vista legislativo, la distinzione tra le quattro
categorie preesistenti – giardini aperti, industriali, rurali e familiari – che vengono inglobate
sotto l’unica denominazione di “organismi dei giardini familiari”. Un ulteriore passo, sul
piano legislativo, è la promulgazione della legge del 10/IX/1976 (legge Royer) con la quale
si sancisce che il giardino familiare è “ogni particella di terreno che il suo conduttore coltiva
personalmente in vista di provvedere ai bisogni della famiglia con l’esclusione di ogni
beneficio commerciale”. Tale legge mira in particolare a fornire ai proprietari degli orti
familiari garanzie contro i rischi di espropriazione, assimilando tali spazi a quelli a verde già
oggetto di protezione. Numerose sono in Francia le associazioni che, nei loro statuti,
riprendono le motivazioni che stanno alla base della legge Royer: l’attività di “giardinaggio”
è fonte di salute fisica e morale, di salvaguardia della natura e della pace sociale.
In Svezia ed in Danimarca, invece, si cerca di rendere la residenza secondaria con orto/
giardino alla portata delle classi meno abbienti. In queste nazioni alcune municipalità hanno
preso l’iniziativa, nel contesto della lottizzazione, di costituire una nuova tipologia di spazio,
dove i giardini sono essenzialmente di diporto e in essi è possibile costruire, con costi
contentuti, delle abitazioni per le vacanze. Dette realizzazioni sono previste nei piani di
urbanizzazione e sono ubicate ad una certa distanza dal centro urbano: il villaggio di
Ekedal, destinato a tale scopo è, ad esempio, ubicato a circa 30 Km da Stoccolma.
In Italia tra le più significative esperienze va ricordata quella di Torino dove orti urbani,
istituiti a partire dal secondo dopoguerra sul modello di quelli francesi ed estesi negli anni
’70 su circa 200 ettari, hanno rappresentato per gli immigrati un elemento di continuità
ideale con le loro radici contadine. Altra esperienza significativa in tema di orti urbani sociali
è quella di Parma, dove l’impianto si inquadra nell’ambito del processo di qualificazione del
verde urbano anche attraverso attività produttive in grado di valorizzare energie ed
esperienze di persone anziane. A criteri e finalità analoghe sono informate le iniziative
attivate in altre città, tra cui Ancona, Bologna, Bergamo e Bolzano. Le corrispondenti
Amministrazioni operano quasi sempre sulla base di appositi regolamenti, i cui contenuti
riguardano aspetti giuridici della concessione (generalmente affitto con canone simbolico),
ampiezza dei lotti, vincoli e divieti in tema di utilizzazione della superficie e di vendita dei
prodotti, criteri per la conduzione dell’orto e segnatamente per l’uso dei prodotti
antiparassitari.
Gli orti urbani, anche al di fuori del nostro Paese, sono stati spesso realizzati in aree di
risulta, degradate o emarginate, o veri e propri spazi sparsi, integrati nel tessuto urbano.
Essi possono essere suddivisi in:
∗ orto urbano privato: un appezzamento di terreno recintato e comprendente un capanno;
è una scelta per chi non ha forti relazioni sociali;
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Le tipologie di spazi a verde
Verde cimiteriale
I cimiteri, al di là delle funzioni specifiche, possono essere integrati nel sistema del verde;
questo è soprattutto vero in alcuni Paesi esteri in cui si tende ad affidare ai cimiteri anche
una funzione paesaggistica. In passato i cimiteri avevano in genere dimensioni limitate,
mentre nel XIX secolo sono state create delle soluzioni grandiose, destinate a servire
l’intera città, che facevano riferimento ai modelli del giardino italiano o inglese. Nel primo
caso si tratta di strutture rigidamente geometriche, con un asse centrale (spesso recante al
centro una cappella) e assi laterali; nel secondo caso, i sentieri sono ondulati e lo spazio è
articolato mediante gruppi di alberi e/o cespugli, creando in alcuni casi addirittura dei
boschetti, con un fabbisogno in superficie piuttosto elevato.
Recentemente, riprendendo in forme più semplificate la concezione del cimitero paesistico,
in Germania ed in Inghilterra si è sviluppato un movimento a favore di strutture in cui
l’elemento vegetale predomina su quello costruito; esso trova la sua espressione più
compiuta nei cosiddetti “cimiteri-prato”, in cui le tombe, senza cordonature e sentieri
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Le tipologie di spazi a verde
intermedi pavimentati, sono immerse in una superficie a prato, restando escluse le lapidi e
un piccolo riquadro con fiori.
La dimensione ottimale di tali cimiteri viene stimata tra i 20 e gli 80 ha, che rispettivamente
rappresentano la superficie minima, affinché la manutenzione meccanizzata del prato sia
economica, e quella massima che consente il collegamento delle tombe ad un’unica
cappella. Quali elementi vegetali si possono utilizzare, oltre alle essenze prative, anche
arbusti, con funzione ricoprente.
Aree degradate
Tale tipologia non presenta differenze
per quanto riguarda funzioni e/o
destinazione rispetto ad altre in
precedenza analizzate; essa si può infatti
assimilare, in base alle dimensioni, ai
parchi o ai piccoli spazi a verde. La
differenza sostanziale è legata alle
condizioni di partenza: si cerca di
destinare a verde pubblico cave o
discariche, cioè aree degradate da un
precedente intervento antropico.
Specifiche sono le tecniche da adottare
per il recupero, che fanno spesso
riferimento alla cosiddetta “ingegneria Le cave così come le discariche pongono gravi problemi
naturalistica”. tecnici per il loro recupero dopo l’uso.
Parco agricolo
Visto l’interesse che assume questa tipologia di verde dal punto di vista ambientale e
territoriale, abbiamo ritenuto opportuno analizzare con maggiore dettaglio gli aspetti
coinvolti.
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
Pur considerato in termini geografici il territorio ha, tuttavia, un limite fisico che si è reso
particolarmente evidente nei paesi fortemente industrializzati, volti al perseguimento di
obiettivi di sviluppo strettamente legati ad un forte aumento delle varie utilizzazioni
socioeconomiche del territorio. Tali attività sviluppandosi rapidamente e caoticamente
hanno reso evidente l’impossibilità di convivere armoniosamente negli stessi spazi
territoriali limitati.
La crescita economica e sociale è stata, come è noto, perseguita attraverso la
differenziazione delle attività economiche e la ripartizione del lavoro; tale crescita ha avuto
quindi bisogno di una intensa suddivisione del territorio che ha causato evidenti disparità tra
le varie porzioni (città, campagna). Ciò ha avuto come conseguenza un forte sviluppo delle
aree urbano-industriali ed un depauperamento di quelle agricole.
La moderna politica di pianificazione territoriale si è posta il problema di un riequilibrio del
territorio, cercando di accelerare lo sviluppo socioeconomico degli spazi rurali mediante la
creazione di infrastrutture, servizi ed insediamenti industriali e di migliorare, dall’altra, le
condizioni ambientali dei centri urbani con misure di carattere igienico ricreativo (es. spazi
verdi urbani).
Fino agli anni ’70 la pianificazione territoriale ha operato, infatti, considerando le aree
esterne alla città come aree da utilizzare quale riserva per gli insediamenti e le
infrastrutture, su cui spostare il potenziale di sviluppo economico eccedente e la
popolazione, quando il tasso di urbanizzazione dei più importanti centri urbani diveniva
eccessivo.
La consapevolezza, che si è fatta via via più forte, dell’importanza di considerare il territorio
nel suo insieme e soprattutto di preservare alcuni dei valori ecologici che le aree rurali
rivestono ha fatto sì che l’attenzione si spostasse sul rapporto e sullo scambio di prestazioni
tra i diversi comprensori specializzati. Si sono tenute inoltre sempre più in considerazione
talune funzioni ecologiche dei comprensori agro-pastorali, in precedenza poco considerate,
avendo dovuto constatare, tra l’altro, che il processo di urbanizzazione ed
industrializzazione indifferenziata negli ultimi decenni aveva compromesso gravemente il
territorio e le sue indispensabili funzioni di compensazione ecologica e ricreativa.
Sono state messe in evidenza alcune funzioni ecologiche caratteristiche dei comprensori
agro-silvo-pastorali, in precedenza trascurate. Si è avvertito che la prevalenza accordata
alla difesa dell’ambiente con mezzi tecnici nascondeva il pericolo di trascurare e
sottovalutare la connessione ecologica dei fattori naturali. Si è affacciato quindi il concetto
che possano esistere zone prioritarie per l’assicurazione dei fattori naturali necessari allo
stesso sviluppo socioeconomico.
Questa evoluzione è stata favorita anche da una radicale contestazione della politica di
livellamento territoriale da parte degli ambientalisti, i quali sostengono che l’obiettivo politico
che essa sottende non è possibile nell’attuale stato di crisi ecologica. Il processo di
urbanizzazione e industrializzazione indifferenziata degli ultimi decenni ha compromesso
gravemente territori indispensabili per le loro funzioni di compensazione ecologica e
ricreativa.
Se i singoli comprensori debbono essere uguali, ciò può condurre a trascurare
ulteriormente le esigenze ecologiche a favore di quelle economiche e sociali. L’eguaglianza
delle condizioni di vita e la difesa dell’ambiente appaiono conflittuali.
In questo modo gli ambientalisti hanno sanzionato come ecologicamente non più tollerabile
una politica territoriale basata sulla differenziazione delle funzioni delle varie aree e quindi
anche dei ruoli delle popolazioni in esse residenti, sia pure secondo una logica diversa da
quella del passato, ossia saldamente ancorata alla teoria ecologica. Dal punto di vista
dell’ecologia, infatti, un territorio è un insieme di ecosistemi, che possono essere
sovraccaricati solo entro certi limiti, pena la rottura dei meccanismi di equilibrio, con gravi
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
Lo spazio pubblico (e cioè la sede più intensa e diretta della fruizione sociale del parco) per
poter essere compatibile con la piattaforma produttiva deve assumere forme non
deostruenti né competitive rispetto all’esercizio dell’agricoltura, non deve coprire o invadere
eccessivamente lo spazio agricolo e deve piuttosto consentire la continuità e l’estensione
degli ambiti di questa funzione produttiva.
Possono essere destinate alla realizzazione di parchi agricoli aree produttive caratterizzate
da diverse vitalità dell’esercizio dell’agricoltura e struttura morfologica del territorio.
Da questo punto di vista si possono distinguere aree agricole consolidate, nelle quali
l’attività agricola è vitale ed estesa e non è sostanzialmente influenzata dall’espansione
della città e in cui gli ambiti territoriali sono estesi e compatti.
Vi sono poi ambiti agricoli da consolidare nei quali la destinazione agricola produttiva, per
quanto indebolita, persiste ed è quindi recuperabile attraverso interventi di risanamento e
innovazione: gli ambiti debbono però essere sufficientemente accorpati (o accorpabili), di
dimensioni economicamente fruibili.
Esistono anche aree collocate ai margini del degrado urbano periferico che possono essere
compattate in micro (o macro) sistemi di verde e spazi liberi, utili ai fini dell’incremento dello
standard urbano e per la formazione futura di nuovi parchi: questi sistemi possono essere
definiti, secondo Ferraresi e Rossi (1993), come parco rado. Si tratta cioè dell’ipotesi di
recupero di risorse/territorio dimesse, di conservazione di queste risorse, proponendo dei
“parchi” senza che ciò dia necessariamente luogo a progetti impegnativi di “verde costruito”.
In essi l’agricoltura può giocare un ruolo di “mantenimento delle risorse” e dall’altra parte
può dare luogo a sperimentazioni colturali; possono essere previsti orti urbani e riutilizzati
dei fabbricati ex agricoli a fini sociali o per attività legate all’ambiente e allo svago.
In ogni caso l’attenzione all’interno di un parco agricolo deve essere posta nei confronti dei
diversi “servizi ambientali” che a buon diritto tale tipologia di verde può assolvere.
In base ai vincoli posti all’esercizio dell’attività agricola si possono delineare diversi tipi di
servizio ambientale (vedi tabella). Il verde produttivo rappresenta l’agricoltura tradizionale
volta all’ottenimento di beni primari. Questa attività è ovviamente sottoposta ai vincoli che la
legislazione comunitaria e nazionale pongono al settore primario. All’agricoltura produttiva
Classificazione dei tipi di servizio ambientale forniti da differenti “forme” di agricoltura e le loro
caratteristiche essenziali (Fonte: Ferraresi e Rossi, 1993, con modifiche).
DENOMINAZIONE DESCRIZIONE SINTETICA
Verde produttivo Esercizio normale dell’attività agricola
Esercizio normale dell’attività agricola con imposizione di vincoli
Verde produttivo con connotati
paesaggistici (es., mantenimento di impianto alberato, di frangiventi,
paesaggistici
ecc.)
Verde produttivo con obbligo col- Esercizio attività agricola con colture o allevamenti imposti
ture imposte dall’Ente gestore del parco
Verde produttivo con connotati Esercizio attività agricola con vincoli all’impiego di determinati mezzi
“biologici” chimici (quantità/tipo)
Attività semi-estensiva; impiego di tecnologie biologiche per la sal-
Agricoltura naturistica
vaguardia di fauna e flora
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Le tipologie di spazi a verde
possono venire imposti vincoli di carattere paesaggistico nel senso percettivo del termine.
Simili a quelli paesaggistici sono i vincoli di carattere strutturale con obblighi specifici ai
miglioramenti fondiari. Mantenere tipologie costruttive acquisite, di carattere utile alla
memoria storica, ha vantaggi per la collettività, anche se di frequente comporta ostacoli a
una moderna organizzazione produttiva.
Simile è pure il vincolo di colture imposte, di norma legate a problematiche conservative e
didattiche. Un esempio pregnante relativo all’ambito siciliano e del suo paesaggio agrario, è
quello dei vigneti o degli agrumeti posti su terreni terrazzati, che determinano un paesaggio
a sua volta utile per altri scopi e che vanno “pagati” per le esternalità che comportano.
In alternativa o in via congiunta possono essere richiesti limiti all’impiego di mezzi chimici di
sintesi, specie in aree fragili sotto l’aspetto ambientale (terreni pericolanti, prossimi alle città,
ai fiumi), per le quali le normali cure colturali possono creare modifiche pericolose in termini
di accumulo di prodotti nocivi nei terreni e nelle acque.
A un grado di vincolo più spinto si pone l’agricoltura naturistica, con diversi livelli impositivi,
che può giungere a forme semi-estensive, con presenza di fauna selvatica e di solito
connessa ad areali protetti in via totale. Si tratta di una esperienza già ampiamente
consolidata all’estero e che nei Paesi Bassi si sviluppa ormai per circa 200.000 ha.
Oltre si arriva all’oasi naturistica, nella quale continua qualche attività agricola, ma solo in
funzione di attività “naturali” prevalenti.
Il caso limite è il parco naturale negli spazi aperti o pubblico negli agglomerati urbani, nel
quale l’uomo opera a fini puramente di mantenimento o di impianto e manutenzione, con
qualifiche che si distaccano da quelle dell’agricoltura tradizionale.
All’interno del parco agricolo può anche essere prevista la presenza di verde agricolo a
carattere didattico, volto a fornire servizi a cittadini che vogliono conoscere la struttura
operativa del settore e che, in prossimità dei centri urbani, può svolgere un’utile funzione,
anche per una conoscenza delle operazioni agricole che si svincoli da luoghi comuni,
spesso non veritieri.
In alcuni casi si può pensare ad una agricoltura museale, con la quale si amplifica la
valenza culturale, etno-antropologica dell’esercizio dell’attività agricola tradizionale.
Naturalmente, affinché lo spazio possa svolgere al meglio la propria funzione di servizio
ambientale deve essere sottoposto a vincoli più o meno pregnanti.
In particolare nell’agricoltura didattica con visitatori si determinano, per effetto dell’obbligo
delle colture imposte, maggiori costi e minori ricavi rispetto ad un esercizio dell’attività
agricola totalmente esente da vincoli di questo genere. A tali imposizioni si aggiungono
costi extragricoli dovuti alla creazione di appositi percorsi, alla presenza di visitatori, singoli
o a gruppi e in particolare di scolaresche.
Ciò implica perdite di tempo, costi aggiuntivi di pulizia, di protezione da vandalismi, furti e
dalla stessa incuria dei possibili visitatori, elementi tutti di turbativa del normale esercizio
dell’attività produttiva.
Questi aspetti si accentuano nell’agricoltura museale che implica un maggiore onere
connesso proprio all’esigenza di presentare un’attività agricola di fatto non più praticata e
che quindi richiede speciali soluzioni per poter essere attuata.
Rispetto alla precedente tipologia bisogna altresì considerare che qui siamo in presenza di
un afflusso di visitatori potenzialmente più intenso e più concentrato in determinate
occasioni e che quindi presenta un potenziale maggiore problema di adattamento per le
imprese agricole che debbono necessariamente organizzarsi per far fronte alle esigenze
connesse alla funzione museale rivestita dall’azienda agricola.
Oltre ai vincoli qui illustrati, il servizio ambientale può comportare, per le attività elencate,
anche una serie di opportunità da non trascurare e che possono costituire potenziali
incentivi per le aziende agricole ad accettare le regole volute dal parco.
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Le tipologie di spazi a verde
Schema dei rapporti fra servizio ambientale e opportunità per l’agricoltore (Fonte: Ferraresi e Rossi, 1993,
con modifiche).
Le aree in arancio indicano il rapporto esistente fra servizio ambientale offerto e le opportunità per
l’agricoltura; i punti interrogativi esprimono ipotesi possibili seppure dubbie.
Ciò comporta la volontà delle parti di instaurare rapporti di tipo contrattuale grazie ai quali
sia possibile, con il consenso reciproco, giungere a conciliare le opposte esigenze.
Le opportunità offerte agli agricoltori per il fatto di svolgere la loro attività produttiva nell’area
del parco sono di diversa natura e sono state sommariamente schematizzate in tabella.
Vi è innanzitutto una serie di vantaggi per essere collocati nel parco che possono
esprimersi in più elevati valori fondiari, nelle condizioni di vita e di lavoro meno minacciate
da inquinamento e da altre attività produttive, nelle possibilità di avvalersi di una serie di
strutture e supporti pubblici legati all’esistenza del parco.
Ovviamente si possono ipotizzare, sempre nel quadro di ben definiti rapporti contrattuali,
una serie di misure indennizzatici degli obblighi imposti all’agricoltura.
Fra queste si possono citare indennizzi in moneta per gli obblighi imposti e che sono
facilmente ipotizzabili per i casi di agricoltura produttiva con vincoli di tipo paesaggistico, di
tipo strutturale, di tipo legato all’imposizione di determinare colture ritenute antieconomiche
e, nel caso dell’agricoltura museale, laddove questa costringa ad utilizzare tecnologie
superate e più costose di quelle normalmente adoperate.
Un’altra categoria può essere costituita da compensazioni non di tipo monetario ma legate
ad atti rientranti nelle facoltà discrezionali delle pubbliche amministrazioni, come la
concessione di licenze di vendita di prodotti vari, di licenze per l’esercizio di attività
agrituristiche, di licenze edilizie legate esclusivamente a precisi rapporti contrattuali (purché
compatibili con la generale destinazione dell’area).
Infine si potrebbero ipotizzare contributi ad hoc nei casi di agricoltura didattica, museale,
naturalistica, di oasi naturalistica e di gestione di aree aziendali a parco pubblico proprio per
consentire questo tipo di utilizzo e invogliare i produttori a destinare ad essi, in parte o in
toto, le loro superfici aziendali.
Da ultimo, per le forme di utilizzo non più strettamente agricole, come oasi naturistiche e
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Le tipologie di spazi a verde
parchi pubblici, si può pensare a compensi diretti in denaro volti a controbilanciare servizi
effettivamente resi dai produttori agricoli, come pulizia del terreno, sfalcio dei prati,
manutenzione delle strade, cura delle alberature, ecc.
Parco zoo
A differenza dei giardini botanici, i giardini zoologici si sono sviluppati inizialmente più con
carattere popolare che didattico-scientifico; le funzioni ornamentali e di svago venivano
soddisfatte esibendo animali, in gran parte esotici, in gabbie anguste. Oggi si tende invece
al concetto di parco zoo, cioè collocare gli animali in spazi più ampi, con presenza di
vegetazione, per favorire la conoscenza degli animali in ambienti il più possibile simili a
quelli naturali. La vegetazione in questi parchi svolge la funzione di arredo e serve anche a
mascherare eventuali infrastrutture utili per l’allevamento degli animali ma esteticamente
sgradevoli.
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Le tipologie di spazi a verde
Giardini d’autore
All’interno di questa categoria una classificazione, anche se talvolta impropria e fittizia,
consiste nel distinguere i giardini degli architetti da quelli dei paesaggisti. Tale suddivisione
trova ragion d’essere nella metodologia e nei mezzi usati nella progettazione stessa, anche
se spesso, pur partendo da premesse estremamente lontane fra loro, si giunge a
conclusioni ed esiti molto simili.
La differenza sostanziale fra queste due categorie di professionisti è che mentre i primi si
pongono nei confronti del giardino il solo problema di armonizzare gli spazi rispetto alle
abitazioni, senza arrivare a determinare nel dettaglio la specie utilizzata, i progettisti del
paesaggio specificano sempre il tipo di pianta impiegata. Inoltre gli architetti progettano il
giardino, lo spazio esterno in rapporto all’abitazione di cui sono progettisti e quindi
affrontano il tema del giardino come relazione spazio-volume con l’edificio da loro
immaginato. I paesaggisti, invece, non sono quasi mai, e soprattutto in Italia, i progettisti
dell’edificio e sono chiamati ad operare spesso dopo che l’edificio è già stato realizzato.
Il problema di fondo rimane comunque simile per entrambi: occorre concepire e progettare
lo spazio aperto in stretta relazione con il costruito e con la sua destinazione d’uso.
Il progettista di un giardino privato ha, in genere, una libertà di azione ed una disponibilità
finanziaria maggiore rispetto a quello di uno spazio pubblico. In ogni caso nella
realizzazione di un giardino privato, come già stabilito nel lontano 1937 da Tunnard, occorre
operare in modo da “formare con la casa una relazione diretta, facilitando gli accessi
dall’uno all’altro. Il giardino diventa così una parte dell’abitazione”. Da questa dichiarazione
si può dedurre che una delle caratteristiche del giardino moderno è proprio il suo stretto
legame con l’abitazione.
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
Per la Jekyll la chiave del giardino è la composizione: “Possedere una grande quantità di
piante, per quanto belle, non equivale ad avere un giardino, ma solo una collezione. Ciò
che importa è l’uso che si fa’ delle piante, lo sceglierle accuratamente con un intento
preciso”.
In uno dei suoi libri più famosi, “Colour schemes for the flower garden” (1908), definisce il
suo procedere per quadri e così come gli effetti floreali in un bosco nel mese di marzo
diventano l’incanto di una lunga striscia (pennellata e non macchia come precisa la Jekyll),
cui fa seguito il tenue celeste della Puschkinia, ed ancora l’azzurro della Chionodoxa che si
staglia contro i giacinti bianchi. Sono piani di colore, distesi sul paesaggio chiuso del bosco,
fatto di luci filtrate, di mobili ombre e di colori netti dei fiori. Una sequenza dunque di luci e
colori, che hanno fatto definire impressionista la Jekyll e che tendono ad annullare lo
spazio, che tuttavia resta costruito su di una, sia pure sempre più frantumata,
geometrizzazione. Nelle schematizzazioni culturali l’opera della Jekyll resta legata alla
definizione del bordo fiorito, in cui è possibile armonizzare il colore e le masse fiorite
creando suggestioni dall’apparenza spontanea. In realtà, come scrive lei stessa
nell’introduzione a Colour in the flower garden “piantare e mantenere un bordo fiorito, con
un buon schema di colori, è cosa più difficile di quanto non si pensi”. Alla grande sensibilità
cromatica si unisce un’altrettanta grande conoscenza e curiosità botanica che le
permettono di scoprire sempre nuovi accostamenti di piante.
Geoffrey A. Jellicoe è una figura centrale fra gli architetti del paesaggio: le sue opere, le sue
pubblicazioni e il suo
impegno nelle istituzioni
sono testimonianza di una
formazione culturale
complessa ed articolata,
tutta improntata sulla
centralità del tema
paesaggio sia come
conservazione di ambienti
naturali sia come
riprogettazione di luoghi a
seguito di mutate richieste
d ’ u s o o d e l
soddisfacimento di nuove
esigenze da parte dei
committenti. Ne è
testimonianza il più
famoso dei suoi lavori,
Sutton Place nel Surrey, in
cui Jellicoe, in collaborazione con la moglie Susan e con lo stesso proprietario, ha creato un
“giardino non solo per gli occhi, ma anche per lo spirito”, dove su un impianto di tipo
classico, basato su un’asse centrale e due giardini bilanciati, rispettoso dello antico edificio
Tudor di cui fa da sfondo è stato sovrapposto un “piano simbolico” che vuole rappresentare
le inquietudini dell’uomo. Nascono così una serie di “stanze” e “passaggi” che introducono
ai misteri e alla ricerca della serenità: il fossato di ninfee sottolinea con i blocchi di pietra
l’introduzione al giardino del Paradiso, dove tutto è godimento estetico e piacere. Più
rigoroso e arioso è il giardino della piscina, segnato dal muro di mattoni, dalle pietre del
bordo del piano dell’acqua e dalla profusione di fiori giocati sui toni chiari e su foglie quasi
argentee.
Fare un elenco dei suoi lavori, anche solo dei più famosi, sarebbe arduo, come altrettanto
arduo sarebbe parlare della molteplicità dei suoi interventi che vanno dagli ambienti
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Le tipologie di spazi a verde
acquatici, ai roof-garden, dai parchi ai giardini privati (che più ci interessano), fino ai piani
urbanistici. A tutti i livelli in cui interviene Jellicoe ripropone i canoni generali del rapporto
arte-natura, con il quale egli identifica l’architettura del paesaggio, come la forma più antica
e forse più completa, in quanto in essa è possibile riconoscere “il fluire continuo di spazio e
tempo”, ovvero l’essenza stessa delle mutazioni della natura.
In maniera non dissimile Sylvia Crowe ripropone il tema arte-giardino. “Realizzare un
giardino – scrive infatti nell’introduzione al suo libro Il progetto del giardino (1989) – esige la
stessa comprensione delle leggi di armonia e di composizione che accompagnano la
creazione di una
qualsiasi opera d’arte
(…). Alla base di tutti i
giardini vi sono
determinati principi di
composizione che
res tano i mmutati
perché radicate nelle
leggi naturali
dell’universo, quelle
stesse leggi
misteriose che si
rivelano nel rapporto
matematico fra
armonia cromatica e
musica”.
Il giardino resta,
dunque, per la Crowe,
una ricerca continua
fra i sentimenti, le intuizioni, l’aspirazione umana alla comprensione delle forze della natura
e la progettualità creativa insita nello uomo. La risposta è nella semplicità della
composizione e nella conquista della tranquillità. Nella sua ricerca “ideologica” la Crowe
giunge fra gli anni ’50-’60 all’adesione di quello che viene definito lo “stile astratto”, ovvero
di uno stile quasi architettonico, bilanciato nelle sue parti e negli elementi della sua
composizione, rivolto alla ricerca dell’equilibrio, ovvero della “tranquillità”.
Una figura singolare, di grande rilievo nel panorama mondiale, è quella di Lawrence
Halprin. Americano è forse il paesaggista contemporaneo più prossimo al senso della
costruzione architettonica: la manipolazione degli elementi naturali, la mimetizzazione o
l’esaltazione delle architetture del paesaggio urbano o naturale diventano in Halprin
strutture definite e controllate, volte a determinare spazi d’uso o di suggestione. La sua
formazione paesaggistica e botanica, la sua prima giovinezza trascorsa in un kibbutz si
confrontano con la cultura architettonica di Harvard. Dopo la guerra Halprin inizia la sua
attività professionale in California dove realizza alcune delle sue opere migliori, quale, ad
esempio, il giardino di villa McIntyre nel 1960, in cui ha ricreato una serie di stanze
all’aperto che si susseguono legate da trame di acqua corrente.
Quasi all’opposto delle concezioni architettoniche di Halprin troviamo Roberto Burle Marx
che è considerato - ed a ragione - l’inventore di un nuovo stile di giardino, colui che ha
riscoperto ed introdotto, nel recinto dell’abitazione, i colori e la forza della natura.
Nonostante Burle Marx abbia rifiutato questo titolo è indubbio che egli rappresenta un vero
e proprio capo scuola: non si potrebbe, infatti, capire l’opera di altri grandi paesaggisti,
quale Luis Barraggàn, senza conoscere la sua opera. Tuttavia il suo percorso culturale è
così specifico e personale che si comprende come mai Burle Marx abbia rifiutato
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
Rispetto al problema dell’estensione, Forestier propone tutta una sequenza di progetti che
vanno dai piccoli spazi di 650 m2 ai veri e propri parchi di 5000 m2. Per quanto riguarda lo
stile, Forestier affronta sia i temi della composizione geometrica che quelli della tradizione
romantica. Per questo paesaggista il giardino è “poesia ed architettura, associa l’arte alla
naturalezza, riunisce i contrari, combina la delicatezza con l’audacia, la semplicità con
l’ingegno, la regolarità con la fantasia, il rigore degli occhi con l’abbandono della
mente” (Zoppi, 1990). La sua attività di pubblicista e l’intenso lavoro sviluppato fanno di
Forestier una delle figure più interessanti fra i progettisti di giardini ed il volume da lui
pubblicato “Jardins, carnet de plants et dessins” rappresenta uno dei primi, ma ancora
validi, manuali di progettazione del giardino.
L’opera di Forestier ha gettato i semi di una nuova cultura del verde, che si è caratterizzata,
soprattutto in Catalogna, come ricerca di una identità progettuale, che ha avuto come
interprete significativo Nicolau M. Rubiò (Barcellona 1891-1981). Nel giardino Rubiò non
vede solo gli aspetti della composizione, dell’utilità, del legame con l’abitazione e del
rapporto fra arte e tecnica, ma ne cerca un profondo senso di identità e di attualità culturale,
perduta nel tempo. Nasce così il concetto di Giardino Meridionale o Latino, un giardino in
grado di comprendere e trasmettere il linguaggio ed i messaggi di tutte le civiltà che su esso
si sono affacciate e sviluppate. La centralità del Mediterraneo nel mondo antico è la
riaffermazione della severa “autorità” del classicismo contrapposta alla spontanea e troppo
seducente “anarchia” del Romanticismo.
In opposizione alle teorie del modernismo, che
proponevano una rivitalizzazione del
romanticismo, Rubiò si pone in diretto rapporto
con il mondo antico ed il Mediterraneo gli
fornisce una base di riferimento concreta. Egli
può così plasmare una natura manipolata, ma
in perfetta armonia con la sensibilità e i limiti
dell’uomo.
Tipico nei suoi progetti è la capacità di creare
una sintonia fra il paesaggismo di tipo inglese
con stilemi classici del giardino formale: così su
un tappeto verde (d’erba o di edera) egli
dispone pittoricamente le specie vegetali che
sono spesso modellate con l’arte topiaria.
Frequente è l’impiego dei cipressi, piante
naturalmente topiarie. I fiori presenti, ma non
dominanti, sono spesso scelti con criteri di
uniformità cromatica; lo scopo è quello di
ricomporre i contrasti naturali e di creare
un’atmosfera che, non a torto, è stata definita
come “un dialogo calmo e sereno nello spirito
dei migliori pittori del rinascimento
fiorentino” (Zoppi, 1990).
In Italia figura emblematica e centrale del
Novecento è quella di Pietro Porcinai (1910-
1986), che resta il maggiore degli architetti
paesaggisti del nostro paese ed è certamente
uno dei pochissimi italiani (forse il solo) che ha
operato in modo continuo e coerente all’interno della difficile cultura del verde. Con oltre 50
anni di lavoro, più di 200 opere sparse in tutto il mondo, una personalità professionale non
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Le tipologie di spazi a verde
Giardini condominiali
La progettazione del verde per la residenza richiama spesso l’idea del giardino privato di
ville costose o, nell’ipotesi più modesta, rimanda alle sistemazioni del “front garden” o del
“back garden” delle case unifamiliari a schiera, molto diffuse nei paesi anglosassoni, ma
difficilmente richiama gli spazi di pertinenza delle abitazioni condominiali.
La scarsa attenzione nei confronti del verde residenziale scaturisce dall’uso distorto che la
speculazione edilizia ha fatto dell’urbanistica razionale costruendo case/alveari e riuscendo
quasi ad azzerare gli spazi a verde. Non è però alla scelta di edificare “a condominio” che
va addebitata la colpa della scarsa attenzione data agli spazi verdi, ma al modo scorretto e
spesso superficiale con il quale è stato affrontato e risolto il tema del rapporto tra edifici
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Le tipologie di spazi a verde
Edifici a schiera
Fra gli esempi più significativi di progettazione degli edifici a schiera possiamo ricordare il
Married Officers’ Quarters. Si tratta di un piccolo insediamento residenziale realizzato tra
1964 e 1965 in uno dei quartieri più periferici di Londra. L’obiettivo primario dei progettisti è
stato quello di salvaguardare i valori paesaggistici presenti, limitando al massimo
l’abbattimento degli alberi e cercando anzi di integrarli al meglio nell’impianto generale e
nella distribuzione degli alloggi.
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
l’atmosfera della campagna toscana riproducendola fra questi edifici urbani sorti proprio ai
confini dell’area rurale, di alto valore ambientale. La scelta del progettista è stata quella di
far sentire il meno possibile l’intervento, come verde progettato, ma di contro, utilizzando
piante “povere”, autoctone, quali l’ulivo, il cipresso, la salvia, il timo, il rosmarino, di ricreare
suggestioni dei campi coltivati limitrofi.
In provincia di Novara, a Belgirate, è stato realizzato negli anni ’80 un complesso che
intercetta 4 ettari. Si tratta di un gruppo di 12 appartamenti articolati su due nuovi edifici.
L’intervento di sistemazione paesaggistica di Gilberto Oneto è consistito nella ricreazione di
terrazzamenti in pietra a secco, secondo modelli locali tradizionali; tutte le opere
architettoniche sono state realizzate in pietra. Il complesso, esposto a sud-est sul versante
collinare prospiciente il Lago Maggiore, gode di una vista e di esposizione estremamente
favorevoli. Le peculiari caratteristiche climatiche hanno consentito l’uso di diverse specie,
fra le quali particolare rilievo è stato dato alle acidofile.
Edifici in linea
L’iterazione degli elementi architettonici, tipica quando si adottano modelli costruttivi “in
linea”, rende complessa la progettazione del verde; ciononostante sono numerosi gli
esempi in cui i progettisti sono riusciti a rendere l’insieme originale, funzionale e gradevole
sotto il profilo estetico. Michael Brown nella realizzazione di Brunel Estate a Londra ha
scelto di realizzare un paesaggio molto costruito ed artificiale. La scelta era dettata dalla
necessità di coniugare l’aspetto estetico con l’elevata densità abitativa non solo del
complesso, ma dell’intera area, il che comportava una forte utilizzazione dell’area a verde.
Per tale motivo la soluzione è stata quella di coniugare il tipico “paesaggio all’inglese”, fatto
di prati di forma irregolare con la rigidità geometrica dei percorsi pedonali e dei campi
giochi, realizzati in mattoni, per salvaguardare l’impianto da una rapida usura.
Nel grande complesso residenziale di Chanteloup Les Vignes a Parigi gli edifici fanno da
quinte alla sistemazione a verde e vivacizzano, con i brillanti colori delle facciate, l’insieme.
Qui l’uso delle prospettive, il senso del ritmo, il gioco dei materiali e le illusioni ottiche sono
elementi importanti della progettazione. Ogni singola “isola abitativa” assume un carattere
autonomo, pur restando integrata al percorso che collega spazi a verde e residenza. Le
sculture anche di grandi dimensioni cercano di caratterizzare un ambiente che si cerca di
rendere “unico” in contrasto all’anonimato che spesso contrassegna i nuovi quartieri.
Il quartiere di Wandsworth a Londra è un esempio di riqualificazione di quartiere
residenziale, destinato a famiglie meno abbienti. La struttura edilizia era composta da
abitazioni costruite a cavallo dell’ultima guerra, la densità abitativa era molto alta e
scarseggiavano campi gioco, parcheggi, aree a verde. Per cercare di risolvere tali problemi
i progettisti hanno creato una gerarchia di spazi. Nelle “aree pubbliche” sono state adottate
soluzioni per arginare il vandalismo; in quelle “semi-pubbliche” è stato realizzato uno spazio
a verde più aperto ed un ambiente più lussureggiante facendo uso di arbusti, piante
erbacee a delimitare piccole aree per il gioco e per il riposo. Le “aree private”, a contatto
diretto con le abitazioni, sono state date in gestione agli abitanti, ricreando i “front garden” o
“back garden”, tanto cari alla mentalità inglese.
Il complesso residenziale, progettato dagli architetti Gabetti ed Isola ad Ivrea, si trova
immerso in una grande conca verde confinante con un parco privato: qui i progettisti sono
riusciti a realizzare un gran numero di alloggi senza snaturare l’ambiente che è sottoposto a
tutela. La soluzione adottata, alquanto originale, prevede le abitazioni disposte ad arco. Le
unità residenziali sono totalmente aperte a contatto diretto con il parco davanti e, sul retro,
sono servite da una strada completamente interrata che serve da accesso alla casa e come
area parcheggio.
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Le tipologie di spazi a verde
Edifici a corte
Uno degli esempi più celebri di questa tipologia abitativa è il Water Garden, ovvero il
“giardino d’acqua”, che si trova a Londra. In questo caso il progettista del giardino ha
collaborato sin dall’inizio nella realizzazione del complesso residenziale. L’idea di dar vita
ad una corte dominata dall’uso dell’acqua è nata da tre considerazioni:
∗ la corte così fortemente caratterizzata si contrappone al traffico ed ai rumori delle aree
vicine per il senso di pace che è tipico della presenza di acqua;
∗ il gioco delle vasche è stato realizzato in gran parte in quanto queste vasche
costituiscono la copertura impermeabilizzata dei garage sottostanti;
∗ la presenza dell’acqua offre una vista gradevole dai piani alti.
Alla base dei laghetti, profondi non più di 45 cm, sono stati posti dei ciottoli che, oltre a
coprire il cemento, danno la sensazione di un ambiente “naturale”. In cinque contenitori, di
1,5 m di lato collocati in corrispondenza dei pilastri, sono stati piantati degli alberi e degli
arbusti. L’intero sistema di vasche è percorribile all’interno grazie a dei piccoli ponti; il tutto è
inoltre animato da un ricco gioco di zampilli che muovono l’acqua stagnate.
In ogni caso i maggiori problemi che scaturiscono dal destinare a verde uno spazio
rinserrato tra gli edifici sono connessi alle forti modificazioni microclimatiche che si
verificano ed ai coni d’ombra delle abitazioni che possono determinare problemi per
l’inserimento di alcune specie.
Un esempio di sistemazione a verde di un edificio a corte che si differenzia nettamente
dagli altri è il Rozzol Malara a Trieste, caratterizzato soprattutto dal gigantismo
dell’architettura: un unico blocco a forma quadrata per 648 alloggi con edifici da 7 a 12
piani. L’area a verde, rinserrata tra le abitazioni, piuttosto ingombranti, è di ben 4 ettari. La
scelta progettuale, operata da Guido Ferrara e Giuliana Campioni, è stata quella di cercare
di attutire la presenza del costruito. Così si esprimevano i progettisti: “La sfida verde è
quella di un pigmeo contro un gigante e la realizzazione del giardino, pur con i correttivi che
devono essere attribuiti al tempo occorrente per la crescita degli alberi, è stata fortemente
penalizzata dal rapporto di scala con l’architettura”. Le caratteristiche generali del progetto
sono scaturite da due considerazioni di fondo. La prima è stata quella di individuare i
principali fruitori del verde nei bambini e negli anziani, la seconda nel rifiuto sia delle
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Le tipologie di spazi a verde
soluzioni formali all’italiana, in cui negli spazi a verde si svolgono solo attività sedentarie,
che del dotare gli spazi di un’offerta fruitiva “programmata”, che deprime la fantasia e la
creatività associativa.
Per tali motivi lo spazio è stato arricchito di numerose attrezzature per il gioco per
soddisfare le esigenze dei più piccoli ma al tempo stesso si è puntato sulla possibilità di
sviluppare negli stessi spazi la vita associativa e di relazione.
Case a torre
Con questa tipologia abitativa il problema che si pone è quello di coniugare la struttura
abitativa che si sviluppa fortemente in verticale con la presenza di vegetazione. Se lo
spazio di pertinenza degli edifici raggiunge dimensioni adeguate vi è la possibilità di
ottenere soluzioni molto valide dal punto
di vista formale ma anche funzionale.
In caso contrario si tratta di un’area
asfittica che subisce le conseguenze
negative, non solo estetiche ma
soprattutto ambientali, della presenza
incombente del costruito. Fra i numerosi
esempi possiamo citare quello del
quartiere Heiligfeld III a Zurigo,
caratterizzato dalla presenza di
un’edilizia privata (case a “j”) e case a
torre (ad opera di cooperative).
Complessivamente sono 192 alloggi che
si affacciano su un’area dotata di un
gruppo di fabbricati per negozi aperti
sulla strada. La realizzazione a verde ha
previsto la creazione di piacevoli percorsi
che consentono di raggiungere angoli
appartati tra gli alberi o accanto alle
abitazioni per il relax; nella parte
centrale, quale fulcro visivo è stata
realizzata una collinetta artificiale dotata di una tenda-scultura destinata al riposo, attorno
alla quale sono stati piantati dei rampicanti.
Tipologia mista
In questo caso grazie alla presenza contemporanea di molte tipologie di abitazioni si ha
l’assenza di monotonia, il che in genere è positivo dal punto di vista estetico, ma si potrebbe
avere di contro un eccesso di variabilità che nuoce all’insieme. Solo la sapiente unione di
abitazioni diverse ed un’idonea sistemazione a verde possono consentire alla struttura di
assumere notevole valenza ornamentale.
Un esempio italiano che possiamo citare è il complesso residenziale in via della
Cammilluccia a Roma formato da tre edifici di 3-4 piani collegati da corpi più bassi. Scopo
della sistemazione paesaggistica, curata da Valeria de Folly, è stato quello di dotare il
comprensorio di un ambiente di elevate valenze paesaggistiche e rispondente al contempo
a molteplici esigenze funzionali. Particolare attenzione è stata posta nell’analisi delle
potenzialità del luogo e delle presenze vegetazionali nelle zone limitrofe. I forti dislivelli
hanno imposto la necessità di uno studio paesaggistico molto dettagliato per la soluzione
dei salti di quota, a volte assai rilevanti e tali da restringere drasticamente le aree facilmente
fruibili. È sorta così l’esigenza di introdurre muri di contenimento e scarpate anche rigide.
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Le tipologie di spazi a verde
Giardini monofamiliari
Il giardino monofamiliare nasce dall’esigenza, non solo di ampliare gli spazi abitativi
dilatandoli all’esterno, ma anche di godere di un più stretto rapporto con la natura.
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Le tipologie di spazi a verde
Giardino di rappresentanza
Si ha questa tipologia di giardino quando lo spazio destinato al verde deve rappresentare il
corollario di uno status economico-sociale e se la sua bellezza è ricercata in relazione
all’impressione che può suscitare nei visitatori. È il giardino dove l’interesse del committente
è focalizzato alla realizzazione di un insieme ad alto livello estetico e dove le considerazioni
d’ordine scenografico prendono il sopravvento sulle altre. Il giardino di rappresentanza è
quello che deve rendersi indimenticabile e che è considerato soprattutto come un ulteriore
ornamento della dimora e del potere raggiunto dal suo proprietario. È inutile ricordare che i
grandi giardini storici sono riconducibili a questa tipologia, anche se negli ultimi anni la
grandiosità dell’insieme, per ovvie considerazioni, è venuta in parte meno.
Gli aspetti di maggiore interesse possono essere identificati nello studio compositivo e
volumetrico e nella reinterpretazione della natura. Spesso è anche un giardino d’autore, in
cui si riconosce l’apporto del progettista.
Tuttavia l’epoca contemporanea non ha ancora espresso una nuova concezione del
giardino privato ma, ispirandosi a modelli affermati, quali il formale, il paesistico, il
romantico, il giapponese, rielabora schemi e realizzazioni del passato, riproponendoli
spesso ecletticamente. Non solo, ma stile formale e informale, non più considerati antitetici,
sono spesso usati nella stessa opera per ottenere scenografie sempre dissimili. Si assiste
così alla progettazione di alto valore estetico che si presentano come collage di stili diversi.
La necessità di offrire in tempi brevi il massimo della godibilità estetica impone talvolta una
certa povertà progettuale e la mancanza di “sorpresa” che ormai ingenerano i prati ben
curati circondati da una corona di arbusti.
Lo studio di effetti scenografici e la preferenza nei confronti di piante spettacolari sono i due
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Le tipologie di spazi a verde
poli della progettazione dei giardini di rappresentanza, dove con movimenti di terra e con il
saggio inserimento di manufatti si cerca di ottenere un gradevole effetto estetico. La scelta
delle specie viene ristretta a quelle a rapida crescita o agli esemplari già “di grandi
dimensioni”, talvolta prelevati dall’ambiente rurale (quale è il caso di olivo e carrubo
nell’ambiente mediterraneo), in quanto il committente vuole un giardino più da esibire che
da seguire personalmente.
Questo determina una certa monotonia sotto il profilo biologico: palme, yucche e più
recentemente i melograni, assieme ai già citati olivo e carrubo, sono diventati elementi forti
e spesso costanti del giardino di rappresentanza, in quanto sono gli esemplari di grandi
dimensioni più facilmente disponibili nei vivai ed in grado di creare un giardino di pronto
effetto. Si assiste inoltre alla generale necessità di far apparire uno spazio limitato come un
paesaggio, dove la singola pianta può diventare punto di interesse. A volte il giardino di
rappresentanza, proprio perché ha la funzione di rendere evidente il decoro del suo
proprietario, è antistante alla abitazione.
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Le tipologie di spazi a verde
Terrazze
Il terrazzo è il più diffuso degli spazi attigui all’abitazione e viene spesso trasformato,
soprattutto nelle città, dove maggiore è la richiesta di giardini pensili. Le prime proposte per
una nuova funzione dei tetti risalgono, invero, al secolo scorso, ma solo in seguito, con Le
Corbusier, sarà definito il concetto di “tetto-giardino” nella città moderna, come espansione
della abitazione ed elemento per la sua qualificazione. La sistemazione di qualsiasi terrazzo
è conseguente soprattutto alla sua forma e dimensione. Nei piccoli spazi diventa
maggiormente evidente la funzione decorativa, di arredo che verrà privilegiata nella scelta
delle piante, quale elemento caratterizzante degli spazi. I risultati migliori si sono ottenuti
attraverso una distribuzione delle piante erbacee ed arbustive ordinata e ben definita in
modo da valorizzare la varietà di forme e colori delle piante stesse. Soluzioni molto più
fruibili offrono i terrazzi di maggiori dimensioni; in questo caso è possibile suddividerli in
zone con funzioni diverse. La caratterizzazione degli spazi, l’eventuale suddivisione in parti
aperte e chiuse, coperte e scoperte renderà più confortevole il terrazzo stesso. La copertura
vegetale degli edifici consente di creare spazi verdi che, oltre a consentire risparmi
energetici, offrono interessanti soluzioni di inserimento paesaggistico, contribuendo a
migliorare la qualità dell’ambiente urbano. Si cerca così di evitare, attraverso una corretta
progettazione del giardino pensile lo squallore di vaste superfici di copertura lastricata.
Balconi
Il balcone, elemento importante nei prospetti degli edifici, è una struttura piana,
generalmente di piccole dimensioni, aggettante (l’aggetto non supera 1-1,2 m) o meno dal
muro di facciata, posto in
corrispondenza degli elementi
orizzontali di struttura e costituisce uno
spazio praticabile esterno. Più protetto
di una terrazza, in quanto in genere
sormontato da un altro sovrastante, che
impedisce alla pioggia di battere, è
usato di solito nei luoghi a forte densità
abitativa. La presenza di piante in
contenitore, nonostante le dimensioni in
genere modeste, è elemento importante
di qualificazione. Le piante prescelte
debbono essere in grado di superare
stress di notevole intensità, anche
meccanici. I contenitori dovrebbero
essere collocati in luoghi riparati e facilmente accessibili per agevolarne le cure colturali. Va
ricordato che la fruizione del balcone è anche visiva e quindi è importante pensare al colpo
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Le tipologie di spazi a verde
d’occhio che si ha dall’interno della casa che resta il punto privilegiato di osservazione. Non
va sottovalutata infine l’illuminazione ed il raccordo fra gli spazi interni ed esterni.
Cortili
In alcuni edifici i cortili rappresentano parte integrante del progetto: si creano in questo
modo spazi destinati allo svolgimento di funzioni particolari riguardanti la destinazione d’uso
dell’edificio stesso. Nelle case unifamiliari il cortile trova larga applicazione e si presenta
con le soluzioni più varie, dimostrandosi un valido elemento a completamento
dell’abitazione. Il problema principale di questi spazi è che spesso sono in ombra, per cui è
necessario selezionare una vegetazione sciafila, in grado di valorizzare tali spazi. D’altra
parte il microclima che si determina può talvolta essere favorevole e consentire la
coltivazione di specie che in un luogo aperto non potrebbero svilupparsi.
La sistemazione del cortile comporta l’impiego di molti elementi tra i quali, pergole, vasche
per acqua e piante, statue, ecc. Nelle aree molto ampie i contenitori e i vasi sono utilizzati
per suddividere le diverse zone e possono essere disposti in maniera da movimentare la
composizione. Nei casi in cui lo spazio sia limitato può essere valorizzato al massimo quello
prossimo ai muri, attraverso un saggio impiego di rampicanti. Da un punto di vista biologico,
non possiamo tralasciare di ricordare come in questi spazi minimali disposti attorno alla
casa, tipici degli ambienti meridionali soprattutto nel passato e negli ambiti più rurali, sia
possibile rinvenire alcune specie tradizionali, molto rustiche, che dovrebbero forse essere
oggetto di una nuova attenzione per le pregevoli caratteristiche estetiche ma soprattutto per
la facilità della loro coltivazione. Anche i contenitori tradizionalmente usati nascevano dal
riciclaggio di materiali poveri, latte, piccole botti, il che accresceva il “fascino” di questi
ambienti, rendendoli unici.
Finestre
La sistemazione delle finestre può contribuire a migliorare il prospetto della casa,
sottolineandone una caratteristica rilevante oppure diminuendone una imperfezione.
Davanzali stretti o grandi finestre, aperture poste su seminterrati o su cortili soleggiati sono
tutti spazi che offrono molte possibilità alla decorazione con piante. In questo caso è
possibile collocare le piante sia all’esterno che all’interno rispetto all’apertura. Contenitori e
vasi di tutte le forme e dimensioni possono essere utilizzati per la coltivazione delle piante.
Le soluzioni per allestire la parte interna delle finestre sono molte, dalla più semplice, quella
di sistemare con vasi il vano stesso, creando così un contatto immediato con l’interno, alla
realizzazione di vani attrezzati con fioriere ma separati con vetrate dallo spazio interno.
Davanti alle vetrate le piante godono delle migliori condizioni di illuminazione, ma è
opportuno anche in questo caso una idonea scelta della specie, una conoscenza
approfondita delle esigenze delle stesse e l’adozione delle corrette operazioni di
coltivazione.
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Le tipologie di spazi a verde
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Le tipologie di spazi a verde
possono essere assimilate alcune ornamentali eduli, qual è il caso ad esempio di Ruscus
hypoglossum, Monstera deliciosa e lo stesso Arbutus unedo. Un altro elemento importante
per capire le scelte biologiche presenti negli spazi a verde di interesse storico è la moda del
giardino di acclimatazione
che sicuramente stimolò il
collezionismo botanico.
Infatti, nonostante in genere
lo spazio destinato alla
vegetazione sia piuttosto
contenuto, una nostra
indagine, che ha riguardato
20 giardini privati in provincia
di Catania, 14 dei quali
presenti nel recinto urbano, ci
ha consentito di rilevare 265
specie diverse appartenenti a
188 generi e 81 famiglie
botaniche diverse. Si tratta
spesso di piante esotiche: le
specie provenienti dall’area
del Mediterraneo
ragguagliano nel complesso La presenza di piante utilitaristiche, quali gli agrumi, è un carattere ricor-
solo il 10%. Sulla base dei rente del giardino siciliano
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Le tipologie di spazi a verde
Alcune delle piante censite: 1) Holmskioldia sanguinea Retz.; 2) Monstera deliciosa Liebm.; 3) Iochroma cya-
neum (Lindl.) Green; 4) Calycanthus floridus L.; 5 e 6) Dracunculus vulgaris Shott.; 7) Eucalyptus citriodora
Hook.
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Le tipologie di spazi a verde
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Funzioni della vegetazione
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Funzioni della vegetazione
Roma, ad esempio, l’aumento del valori delle temperature minime medie raggiunge i 4,3°C
in luglio e i 2,5°C in gennaio, valore quest’ultimo molto simile a quello riscontrato (2,4°C) nel
trimestre invernale per Milano (Pagliari, 1989). Relativamente alla temperatura media
dell’aria si riferisce di valori più elevati da 1,5 a 2,5°C, con punte superiori a 5°C ed in
condizioni particolari ai 15°C (Lanphear, 1971). Naturalmente le differenze ed il decorso dei
valori termici risultano influenzati anche dalla presenza e dalla esposizione degli edifici;
studi al riguardo, effettuati nel
mese di agosto nella Columbus
Avenue di New York, hanno fatto
registrare differenze nella
temperatura massima fino a 20°C
(22 contro 42°C) tra lato est ed
ovest (Bassuk e Witlow, 1987).
Sempre nell’ambiente urbano le
precipitazioni, a motivo della
maggiore presenza di nuclei di
condensazione, superano in media
quelle delle aree rurali circostanti
del 10%; l’umidità relativa risulta
comunque più contenuta in quanto
le superfici impermeabili sono
assai estese per cui le acque
meteoriche evaporano più o meno
rapidamente o sono smaltite
attraverso il sistema fognario.
Sempre negli studi prima citati è stato accertato che sulla Columbus Avenue l’umidità
relativa oscilla nelle giornate estive tra il 10 ed il 20% contro il 40% registrato a Central
Park, il grande polmone verde della metropoli statunitense (Bassuk e Witlow, 1987).
L’inquinamento acustico è altra condizione dell’ambiente urbano frequentemente non
favorevole; nelle città il rumore supera ordinariamente la soglia di nocività a livello fisico ed
anche psichico. Così nel centro cittadino di Milano è stato accertato che per gran parte del
giorno il rumore si attesta sui valori nocivi di 80-90 decibel (Arpini, 1990).
La concentrazione di particolati e gas rappresenta un’ulteriore modificazione negativa della
qualità dell’aria in ambiente urbano sostenuta dagli impianti di riscaldamento, dal traffico
veicolare, dalle attività artigianali ed industriali. Il livello di inquinamento che ne risulta
dipende dal bilancio tra l’immissione di pollutanti ed il loro allontanamento con la
circolazione dell’aria. In città quest’ultima avviene con difficoltà per cui si determinano gravi
rischi per la salute umana e per la stessa funzionalità e sopravvivenza delle piante. A New
York è stato calcolato che il 50% degli esemplari di specie arboree ornamentali impiantati
annualmente muore nei primi dieci anni, proprio a causa delle condizioni ambientali cui le
piante restano sottoposte (Bassuk e Witlow, 1987).
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Funzioni della vegetazione
si può ricordare che un ettaro di foresta possa liberare annualmente 4.400 kg di ossigeno
(Zipoli, 1994). Altrettanto favorevoli risultano gli effetti della vegetazione sui parametri
climatici nonché l’azione di controllo che essa, se opportunamente disposta, esercita sulla
diffusione della luce, sulla propagazione delle onde sonore e sui movimenti di aria. Nel loro
complesso le funzioni del verde, soprattutto nei contesti più antropizzati, possono essere
sintetizzate in:
- estetico-paesaggistica;
- ricreativa;
- di biomitigazione.
Funzione estetico-paesaggistica
Il ruolo estetico assegnato da sempre alle piante si coglie pienamente dalla storia dei
giardini: sin dall’antichità più remota, l’uomo ha sentito la necessità di circondarsi di piante
per abbellire i luoghi in cui viveva o gli ambienti più o meno ampi che li circondavano.
Questo ruolo è stato assegnato nel tempo a piante diverse a seconda delle “mode” o delle
opportunità di approvvigionamento del relativo materiale di propagazione. La più o meno
frequente utilizzazione di queste piante nelle sistemazioni a verde contrassegna il
paesaggio nel suo complesso: per quanto attiene all’ambiente mediterraneo esemplare è il
caso di alcune piante esotiche ornamentali (es. palme, buganvillea, agave, fico d’india,
ecc.) che, introdotte nel tempo, contrassegnano oggi il territorio mescolandosi a specie di
interesse agrario (agrumi, olivi, mandorli, vite, ecc.).
Funzione ricreativa
Tale funzione è ancorata, oltre che alle caratteristiche estetiche delle piante e/o delle
formazioni a verde cui esse danno luogo, alla gratificazione che si prova attraverso la
realizzazione e/o utilizzazione di spazi a verde (Driver e Rosenthal, 1978). Alle funzioni
ricreative possono essere ricondotte anche le finalità sociale e/o terapeutica sempre più
assegnate ad alcune tipologie di verde. In termini generali, il riferimento è al tema assai
attuale della “Sociohorticulture”, cioè ad un ambito disciplinare e professionale che riguarda
le attività legate alla utilizzazione delle piante per dare riscontro a esigenze di carattere non
materiale, attinenti alla vita culturale e spirituale dell’uomo (Zhou, 1995). Fra i settori della
“Sociohorticulture” vi è anche l’orticoltura sociale o quella terapeutica, basata quest’ultima
sul riconoscimento dell’azione curativa che il “contatto” con le piante può esercitare nei
confronti di persone affette da disturbi nervosi o portatrici di handicap fisici. Il verde in tale
visione consente di riproporre, anche ai nostri giorni, l’antico e vivificatore rapporto fra uomo
e pianta, spesso compromesso o addirittura distrutto non solo dalla urbanizzazione, ma
anche dai collegati modelli di vita. Si tratta di un rapporto che, se può essere ricostruito
facilmente da alcune categorie sociali più favorite (va letta in questa chiave la propensione
per una edilizia residenziale in cui sono presenti spazi a verde), risulta precluso per quelle
categorie svantaggiate o socialmente (es. anziani) o fisicamente (es. non deambulanti), che
invece potrebbero acquisire i maggiori vantaggi dalla ricostruzione di questo rapporto
(Dwyer, 1982).
La presenza delle piante può rendere più salubre l’ambiente di lavoro: recentemente Field
(2000), in un complesso studio, ha accertato che vi è una riduzione del 23% delle affezioni
che colpiscono i lavoratori, quando questi possono vivere in un ambiente arredato con un
congruo numero (10÷20) di piante da interno. I vantaggi sono relativi alla riduzione (fino al
30%) dei disturbi neuropsichici (fatica, mal di testa, problemi di concentrazione) e delle
affezioni a carico delle mucose (tosse, irritazioni agli occhi, ecc.). Studi più dettagliati in
questa direzione sono auspicabili (Pearson-Mims e Lohr, 2000) per potere meglio
comprendere i meccanismi di causa e di effetto.
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Funzioni della vegetazione
Funzione di biomitigazione
Le piante superiori, come già detto, svolgono un ruolo insostituibile ai fini del mantenimento
della funzionalità degli ecosistemi attraverso le modificazioni delle condizioni fisiche,
chimiche e biologiche dell’ambiente in cui esse stesse e gli altri organismi viventi svolgono il
loro ciclo biologico. Tale ruolo si esercita attraverso:
a) modificazioni del microclima;
b) isolamento acustico e visivo;
c) controllo dei fattori dell’inquinamento.
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Funzioni della vegetazione
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Funzioni della vegetazione
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Funzioni della vegetazione
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Funzioni della vegetazione
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Funzioni della vegetazione
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Funzioni della vegetazione
questi casi, infatti, le azioni di autodepurazione dell’acqua stessa non sono sufficienti a far
fronte al danno. Dagli anni ’70 in poi è stata studiata la possibilità di utilizzare le piante
superiori per la rimozione di sostanze inquinanti, quali azoto e fosforo responsabili,
soprattutto il primo, dell’eutrofizzazione delle acque. La capacità delle diverse piante di
“depurare” l’acqua è ovviamente diversa. L’interesse di tali forme di depurazione ha portato
già negli anni 70 alla costruzione di un impianto pilota, per la depurazione delle acque reflue
di una piccola cittadina del Mississippi, Lucedale, con una popolazione di circa 2500
abitanti.
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
Paesaggio naturale
È dominato dalla presenza della vegetazione naturale che rappresenta un importante
elemento da tenere in considerazione per le informazioni preziose che possiamo acquisire
in tema di progettazione degli spazi a verde. La distribuzione delle piante sulla terra, come
è noto, è regolata da tre grandi fattori:
1) storia;
2) terreno;
3) clima.
Con il primo si intende non
solo i grandi eventi geologici
che hanno influenzato la
distribuzione della
vegetazione in base ai
periodi di glaciazione e di
disgelo che si sono succeduti
nel tempo, ma soprattutto
l’azione attiva dell’uomo che,
sin da epoche antichissime,
ha trasportato piante da una
parte all’altra del globo,
modificando il paesaggio
naturale.
Per quanto riguarda il terreno
occorre ricordare l’influenza
che le caratteristiche del
substrato hanno sulla
presenza di determinate
specie, caratteristiche che
sono anche il frutto
dell’intensa azione che i
fattori climatici esercitano sul
substrato pedogenetico. Il
terreno è infatti spesso
definito “figlio del clima”.
Per quanto attiene ai
parametri climatici, quelli che maggiormente influenzano la vegetazione sono:
∗ radiazione luminosa;
∗ temperatura;
∗ precipitazioni.
Il condizionamento imposto dal clima nella distribuzione degli esseri viventi fa sì che si
possa parlare di bioclima (se ci si riferisce a tutti gli esseri viventi) o di fitoclima (il
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La progettazione del verde
riferimento è solo alla vegetazione). In base alla presenza di particolari tipi di vegetazione, il
fitoclima italiano si presenta articolato nei seguenti tipi elementari o biocore climatiche
(Giacobbe, 1949):
∗ mediterranea sempreverde;
∗ montana mediterranea;
∗ sub-mediterranea;
∗ subcontinentale o continentale;
∗ montana alpina;
∗ cacuminale.
I caratteri distintivi di queste biocore, con l’indicazione delle specie a valenza ecologica
compatibile sono riportati nello schema allegato.
Paesaggio agrario
È quella forma che l’uomo, nel corso dei secoli ed ai fini delle sue attività produttive
agricole, coscientemente e sistematicamente, imprime al paesaggio naturale (Sereni,
1961).
L’interesse di studiare tale paesaggio, non solo attuale ma anche nella sua evoluzione
“storica”, discende direttamente dalla constatazione che gran parte (circa il 50%) della
superficie territoriale del nostro Paese (che è di circa 33 milioni di ettari) è occupata da
attività agricola.
Anche se nell’ultimo secolo l’importanza, in termini di impiego di mano d’opera ma anche di
utilizzazione del suolo da parte dell’agricoltura, è certamente diminuita, resta il fatto che fino
alle soglie del ’900 l’attività agricola è stata quella in grado, più di tutte le altre, di lasciare
dei segni sul nostro territorio. Le tracce che spesso ancora oggi ritroviamo e che
caratterizzano il paesaggio rurale sono molto antiche e possono risalire fino al periodo
greco o etrusco. Per questo motivo si è ritenuto opportuno riportare brevi cenni
sull’evoluzione storica del paesaggio agrario.
Periodo etrusco: l’elemento che permane fino ai nostri giorni, anche se ormai sporadico, è
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La progettazione del verde
quello della vite maritata al pioppo, all’acero, all’olmo e consociata con le colture dei cereali.
Periodo medievale ed età feudale: è un periodo in cui notevole è stata la degradazione del
paesaggio; in tale epoca, anche per i limiti temporali nei quali si poteva esercitare
l’agricoltura, si preferiva la coltivazione dei cereali minori, che avevano un ciclo colturale più
breve e si prestavano meglio al sistema dei campi aperti. Un altro elemento costitutivo di
quel periodo è quello del borgo arroccato sulle alture e del sistema dei campi chiusi per la
coltivazione di vite e di piante da orto.
Periodo arabo: è questo un periodo le cui influenze, soprattutto sul paesaggio siciliano,
permangono fino ai nostri giorni: a tale epoca risalgono, infatti, tutte le sistemazioni
idrauliche e le opere di adduzione delle acque che consentirono l’insediamento delle colture
irrigue quali riso, carrubo, pistacchio, cotone, melanzana, spinaci, canna da zucchero,
cotone, gelsi, agrumi, alcune delle quali connotano fortemente il nostro attuale paesaggio.
Gli esempi degli agrumi, del carrubo e, fra le piante ornamentali collocate in ambito rurale,
della palma da datteri (Phoenix dactylifera), che presso gli arabi rivestiva significati del tutto
peculiari, sono sicuramente fra i più significativi.
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La progettazione del verde
Seicento: è il periodo delle dominazioni straniere e del degrado del paesaggio agrario.
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La progettazione del verde
Paesaggio urbano
Nell’ultimo mezzo secolo il fenomeno dell’urbanizzazione ha avuto uno sviluppo
rapidissimo. L’indice di urbanizzazione, cioè la percentuale di popolazione che vive in
agglomerati con più di 20.000 abitanti, che si era mantenuto sotto il 10% fino al 1920, ha
raggiunto alla fine degli anni ’80 il 55% in Italia ed il 75% in USA; stime ONU indicano che
nel 2050 il 90% della popolazione vivrà in agglomerati urbani.
Anche non considerando le estrapolazioni nel lungo periodo, già oggi oltre la metà della
popolazione italiana vive in un ambiente, quale quello urbano, profondamente modificato
dalle attività umane; da questo fatto discende la necessità di conoscere bene le
modificazioni che comunemente si verificano all’interno delle nostre città, in modo da tenere
conto nelle progettazioni degli spazi a verde nel recinto urbano.
Le modificazioni che più frequentemente si verificano per effetto dell’urbanizzazione sono
quelle relative al clima ed all’inquinamento. Spesso in città si verifica la cosiddetta “isola di
calore”, cioè la differenza, positiva, che si ha tra la temperatura del centro cittadino e quella
della campagna circostante. La formazione dell’isola di calore è dovuta in parte al bilancio
radiativo alterato, ma soprattutto alla presenza nel bilancio energetico di un ulteriore
termine rappresentato dagli apporti di energia dovuti ad alcune delle attività umane, quali il
riscaldamento di ambienti, il traffico veicolare, le stesse attività industriali, ecc.
Per quanto attiene al bilancio radiativo possiamo ricordare come l’atmosfera urbana sia
molto più torbida rispetto a quella circostante dato che contiene una quantità di particolati
fino a 10 volte superiore; di conseguenza è minore la radiazione totale che raggiunge la
superficie orizzontale, fino al 20% in meno. Nella banda dell’ultravioletto, invece, la
diminuzione è solo del 5% in estate, ma può raggiungere il 30% in inverno ed anche questo
ha un effetto negativo sulla salubrità dell’aria.
L’albedo per radiazioni a lunghezza d’onda corta delle superficie che compongono la città è
molto variabile, bassa per l’asfalto e per la vegetazione dei parchi; alta per il calcestruzzo;
in genere è comunque più elevata di quella di una campagna ben coltivata.
Tuttavia la maggiore albedo e la minore radiazione totale non comportano una
corrispondente diminuzione del bilancio radiativo, anche perché le strade fiancheggiate da
edifici costituiscono una vera e propria “trappola per radiazioni” a causa delle riflessioni
multiple cui danno luogo.
Un altro fattore che determina una maggiore incidenza dell’isola di calore è quello legato
all’assenza di vento, almeno in quota, il che determina la permanenza sul recinto urbano di
una sorta di cupola dove si accumulano gli inquinanti sia particolati che gassosi.
Questi fenomeni si traducono in buona sostanza in un aumento della temperatura della
città, variabile con le stagioni e con l’ora del giorno, che è nell’ordine di alcuni gradi. Con
riferimento alle temperature minime medie, ad esempio, per Roma si ha una differenza di
4,3°C in luglio e 2,5 °C in gennaio, valore molto simile (2,4°C) a quello riscontrato nel
trimestre invernale per Milano (Pagliari, 1989). Secondo Lanphear (1971) la temperatura
media delle città è da 1,5 a 2,5°C superiore a quella dell’ambiente circostante ma può
arrivare anche a 5°C ed in condizioni particolari può superare i 15°C. Per cercare di
rendersi conto del significato di tale incremento della temperatura, possiamo ricordare
come, analizzando le isoterme relative al nostro Paese, si possa rilevare un incremento per
stazioni di tipo continentale di 1°C andando dal Nord verso il Sud al crescere di 1° e 20’ di
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La progettazione del verde
*
***
Prima di chiudere il paragrafo dedicato al paesaggio non possiamo fare a meno di
richiamare la Convenzione europea sul paesaggio, riportata negli allegati, che costituisce
ormai un importante punto di riferimento. Particolarmente importante nella carta è la visione
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La progettazione del verde
“unitaria” del paesaggio stesso che supera la logica di protezione “a macchia di leopardo”
del passato per pervenire ad una visione complessiva dei problemi connessi con la
protezione di tutto il paesaggio che ci circonda. Come ricorda infatti la convenzione, il
paesaggio «designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle
popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro
interrelazioni»; la Convenzione, infatti, si applica «a tutto il territorio delle Parti e riguarda gli
spazi naturali, rurali, urbani e periurbani. Essa comprende i paesaggi terrestri, le acque
interne e marine. Concerne sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che
i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati.».
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La progettazione del verde
precipitazione per quel mese, espresso in mm, è inferiore o uguale al doppio del valore
della temperatura media, espressa in °C. Durante questo periodo è opportuno fornire acqua
attraverso l’irrigazione per consentire la sopravvivenza delle piante. Altre forme grafiche
(vedi tavola) possono essere utilmente impiegate al fine di illustrare i risultati dell’indagine
climatica.
È utile ricordare come informazioni climatiche, relative soprattutto alla Sicilia, possano
essere acquisite mediante la consultazione di:
∗ Annuario di statiche meteorologiche dell’ISTAT;
∗ Annali idrologici della Regione Siciliana.
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La progettazione del verde
quantitativi relativi alle singole specie. Si è giunti così al concetto di vegetazione che, nel
modo più elementare viene descritta mediante un elenco di specie, per ciascuna delle quali
è indicata la quantità relativa all’area occupata. Qui sta la differenza sostanziale tra i
concetti di flora e
vegetazione: il primo è
privo di nozioni quantitative,
quindi ogni specie vale in
quanto tale ed è del tutto
indifferente che essa sia
comune oppure rara (anzi
spesso sono maggiormente
le specie rare quelle che
risultano interessanti, vedi il
caso delle endemiche);
invece nella vegetazione
ogni specie viene
considerata sulla base della
sua quantità: specie molto
abbondanti hanno grande
importanza, specie rare ne
hanno poca o nessuna.
L’analisi della vegetazione,
che si serve della rilevazione delle diverse associazioni vegetali anche per individuare la
vicinanza o meno all’equilibrio naturale (climax), assume particolare interesse e notevole
validità quando occorre realizzare degli spazi a verde pubblico in aree non vicine ai centri
urbani e più o meno prossime a porzioni privilegiate di territorio.
In tali ambiti, infatti, l’analisi delle specie in atto presenti e delle loro associazioni può fornire
preziosi riferimenti progettuali per cercare di creare un “verde” che resti in sintonia con
l’ambiente naturale e per la cui manutenzione non siano necessari onerosi interventi.
La vegetazione di un determinato ambiente infatti non si trova in uno stato casuale né
definitivo ed immutabile. Esiste
sempre una storia precedente
ed un’evoluzione futura in atto.
Da una puntuale “lettura” della
vegetazione è possibile trarre
quindi molte utili informazioni.
Lo studio della vegetazione
assume un’importanza
applicativa fondamentale ai fini
degli interventi di recupero
ambientale in quanto fornisce
elementi di base per la
ricostruzione del manto
vegetale di aree degradate. Lo
studio richiede indagini
preliminari sia sotto l’aspetto
t i p o l o gi c o ( a t t r a ve rs o i
rilevamenti fitosociologici) sia sotto l’aspetto dinamico (mediante lo studio dell’evoluzione
della vegetazione).
Per effettuare i rilievi di tipo fitosociologico ci si basa su una metodologia di rilevamento
consolidata che prevede la compilazione di una scheda contenente diversi dati.
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La progettazione del verde
Grazie a tali rilievi è possibile procedere alla ricostruzione delle modalità di aggregazione
della vegetazione. A questo fine in fitosociologia vengono utilizzate delle categorie di tipo
sistematico più o meno ampie, la cui l’unità base è rappresentata dall’associazione che è un
aggruppamento vegetale stabile, statisticamente omogeneo ed in equilibrio con l’ambiente,
caratterizzato da una data composizione floristica, dove certi elementi quasi esclusivi (le
cosiddette specie caratteristiche) pongono in rilievo un’ecologia particolare. Oggi si tende
anche a dare importanza alle specie molto frequenti, anche se non caratteristiche, quali
piante indice dell’ambiente.
Diverso è invece il caso del verde inserito nel contesto urbano: come abbiamo già
evidenziato le modificazioni antropiche sull’ambiente rendono poco utili le indicazioni di
un’analisi vegetazionale compiuta in zone che, anche se prossime alla città, sono
caratterizzate da un diverso andamento termo-udometrico e da un più basso livello di
inquinanti.
Per tale motivi anche se si tratta di dati solo puntiformi può risultare utile il “censimento”
della flora ornamentale utilizzata in ambito urbano e soprattutto dello stato “sanitario” di
questa per trarre utili indicazioni sulle specie che è possibile inserire nell’ambiente urbano
stesso.
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
soluzioni progettuali, di tenere conto degli stress idrici, più o meno intensi, cui le piante
vanno incontro. Le sistemazioni a verde in ambiente mediterraneo possono, infatti, essere
considerate come una forma particolare di “xeriscaping”, cioè di quelle tecniche messe in
atto per realizzare spazi a verde dove vi è carenza di acqua. Un’altra peculiarità, di cui si è
detto, è connessa alle scelte biologiche: soprattutto negli spazi più antropizzati, l’ambiente
mediterraneo è caratterizzato dall’utilizzo, oltre che di piante autoctone, di piante esotiche,
in gran parte provenienti da zone a clima tropicale e subtropicale (Huxley et al., 1999).
Questa compresenza di piante esotiche ed autoctone costituisce il motivo fondamentale del
fascino di questo ambiente. Si tratta, come ricorda lo scrittore catalano Manuel Vázquez
Montalbán (1996) di «un microclima» in grado di giustificare «il miracolo delle jacarande,
degli alti ficus e di ibischi e banani». La specificità di questo ambiente, sempre per
Montalban, è da ricercare nella presenza di specie diverse, «eppure il Mediterraneo è lì,
nelle pinete, nei carrubi e negli aranci, e negli allori alti come torrioni e negli oleandri,
talvolta in forma di possenti siepi, talvolta in snelli alberi dal cocuzzolo fiorito». Spesso sono
le piante di origine esotica quelle che rappresentano un elemento di estremo interesse dei
giardini mediterranei soprattutto agli occhi dei visitatori del nord Europa. Un esempio fra tutti
è dato dalla descrizione del giardino di Villa Giulia a Palermo fatta da Goethe in occasione
del suo viaggio in Italia nel 1787: «È il luogo più stupendo del mondo. Nonostante la
regolarità del disegno ha un che di fatato (…) Vedi aiuole che circondano piante esotiche,
spalliere di limoni che s’incurvano in eleganti pergolati, alte palizzate di oleandri screziati di
mille fiori rossi, simili a garofani, avvincono lo sguardo. Alberi esotici, a me sconosciuti, (e
ricordiamo che Goethe era un appassionato di botanica) ancora privi di foglie,
probabilmente di origine tropicale si espandono in bizzarre ramature (…) Molte piante,
ch’ero abituato a vedere in cassette o in vasi, o addirittura chiuse entro i vetri di una serra
per la maggior parte dell’anno, crescono qui felici sotto il libero cielo…».
La realizzazione di spazi a verde in ambiente mediterraneo presuppone la soluzione di
diversi problemi, primo fra tutti la necessità di individuare specie e/o tecniche idonee ad
aumentare la compatibilità del verde ornamentale con le specifiche condizioni ambientali.
Sicuramente la scelta della specie rappresenta il punto nodale, da cui dipende la possibilità
di realizzare un verde non solo dotato di idonei caratteri estetici ma anche in grado di
resistere nel tempo. Per potere operare scelte idonee occorre, però, una conoscenza
approfondita delle caratteristiche pedologiche e climatiche dell’ambiente in cui si opera, ma
soprattutto delle «prestazioni morfofunzionali» delle piante utilizzate e dei criteri di
utilizzazione delle stesse e quindi delle soluzioni progettuali e delle tecniche colturali in
grado di minimizzare l’influenza negativa di alcuni parametri ambientali.
La possibilità di inserire stabilmente della vegetazione in ambiente mediterraneo e
soprattutto in ambito urbano consente, inoltre, di usufruire della capacità della vegetazione
stessa di modificare positivamente il microclima e di esercitare un controllo nei confronti di
alcuni fattori dell’inquinamento. Si tratta di funzioni che, se pur non specifiche, assumono
precipuo interesse in ambiente mediterraneo. Ed è in questi ambiti che si inquadra il
presente contributo.
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La progettazione del verde
l’acquisto delle piante rappresenta un’aliquota modesta (intorno al 10-12%) del costo della
realizzazione di un’area a verde non si presta adeguata attenzione ad un aspetto che si
riflette fortemente sugli esiti dell’impianto stesso.
I criteri cui ancorare la scelta sono molteplici (Serra, 1993). Occorre infatti contemperare
esigenze connesse con la varietà di tipologie di verde da realizzare, con le specificità di
funzioni assegnate o richieste a ciascuna di queste, con le particolari condizioni ambientali
in cui le piante sono chiamate a vivere, piuttosto avverse sotto il profilo delle caratteristiche
fisiche e chimiche dell’aria e del substrato. Vi sono poi aspetti di carattere sociale,
economico ed organizzativo che, pur se esulano dalle competenze più squisitamente
tecniche, occorre sempre tenere come punti di riferimento, poiché ad essi sono legate, non
tanto la progettazione o la realizzazione del verde - operazioni tutto sommato relativamente
fattibili - quanto la manutenzione e quindi la conservazione nel tempo del verde stesso. La
necessità di individuare soluzioni non onerose sotto il profilo finanziario è, soprattutto
nell’attuale fase congiunturale, uno degli imperativi dai quali non ci si può discostare.
Circa i vincoli e le opportunità legate
alla scelta della specie in funzione
della tipologia di verde possono
essere ricordate a titolo
esemplificativo, nel caso dei parchi
urbani, la necessità di una puntuale
conoscenza delle condizioni
pedoclimatiche naturali e l’esigenza di
tenere conto del preesistente
paesaggio naturale e/o antropizzato.
Un aspetto fondamentale, tenuto
conto delle notevoli dimensioni di
questi spazi, è quello della
manutenzione. Per evitare infatti che
le spese di manutenzione risultino
troppo onerose occorre scegliere
specie per le quali gli interventi dopo
l’impianto possano essere trascurati o
ridotti al minimo. Man mano che le
dimensioni delle tipologie di verde
diventano sempre più modeste (dagli
spazi attrezzati ai piccoli spazi, alle
alberature stradali) bisogna sempre
più considerare le rilevanti
modificazioni determinate
dall’urbanizzazione e, in particolare, le
temperature elevate, i bassi valori di
umidità relativa, la presenza di
inquinanti (tab. 1). In funzione della
tipologia di verde si modificano quindi i
gruppi di piante cui si può fare
riferimento (tab. 2).
Un altro importante vincolo è dato dalla
compatibilità delle piante in termini di
sviluppo al tipo di funzione ed anche
allo spazio, talvolta angusto, in cui le
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La progettazione del verde
piante stesse sono collocate. Sono ben noti i problemi posti, sotto il profilo della
manutenzione ed estetico, da esemplari che raggiungono allo stato adulto notevoli
dimensioni (platani, ficus, magnolie, ecc.) allorché utilizzati in spazi angusti. I drastici
interventi cesori che si rendono necessari pregiudicano sia il valore ornamentale che la
sopravvivenza della pianta stessa.
I vincoli legati alle condizioni ambientali riguardano in maniera più o meno accentuata tutte
le tipologie di verde, anche se quelli più difficili da superare sono legati al fatto che spesso
si opera all’interno del recinto urbano, dove le condizioni per le piante sono sfavorevoli. Un
aspetto da tenere in debita considerazione è anche l’impossibilità dopo l’impianto di
modificare le condizioni del terreno per renderlo più consono alle esigenze delle piante:
tutto o quasi tutto deve essere previsto al momento dell’impianto.
Un elemento che richiede sempre maggiore attenzione è dato dal comportamento delle
specie rispetto ai diversi inquinanti presenti nell’atmosfera. Sotto questo profilo sono
disponibili dati di riferimento che, sia pure con i limiti presentati (mancanza spesso del
valore soglia in corrispondenza del quale si verifica il danno, assenza di indicazioni sullo
stato sanitario della pianta, sulla sua età o sulla sua fase fenologica), possono essere
utilizzati per una più mirata scelta della specie. La scelta di essenze vegetali in grado di
resistere ad elevati livelli di inquinamento potrebbe forse consentire di ottenere meglio quel
«disinquinamento» dell’ambiente urbano di cui si dirà in prosieguo, oltre ovviamente a
permettere una presenza più duratura delle piante nelle città.
I problemi brevemente delineati debbono venire risolti sempre alla luce del valore
ornamentale richiesto alla specie nonché a quei vincoli sociali, organizzativi ed economici di
cui si è detto. Tali vincoli sono più facilmente superabili attraverso l’impiego di specie più
rustiche ed adattabili, dotate di un apprezzabile effetto ornamentale. Le piante
caratterizzate da maggiore adattabilità sono in genere le piante autoctone le quali, però,
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La progettazione del verde
non sempre manifestano quel requisito di ornamentalità che talvolta poggia proprio sulla
esoticità. La scelta fra piante autoctone ed alloctone va quindi spesso valutata alla luce
della tipologia di verde: quando la pianta deve essere inserita all’interno di un piccolo spazio
in area urbana l’aspetto fondamentale è l’ornamentalità e quindi possono trovare posto
specie alloctone a condizione che siano dotate di una buona capacità di adattamento
ecologico (specie euriecie). Un ruolo importante possono poi svolgere le specie a valenza
ecologica compatibile, specie cioè che, pur se non originarie dell’area oggetto di
intervento, trovano in essa soddisfatte le proprie esigenze. In tutti i casi nella scelta tra
piante autoctone ed alloctone non si potrà operare per dicotomie o secondo schemi
preclusivi. Del resto il paesaggio vegetazionale mediterraneo, per finalità agricole o
ornamentali, è caratterizzato da specie alloctone: fico d’India, agave, palme, ficus, robinia,
jacaranda, agrumi, bignonie, buganvillee sono ormai da tempo parte integrante del
paesaggio. Lucien Febvre in un saggio dal titolo “Le sorprese di Erodoto e le conquiste
dell’agricoltura mediterranea”, scritto nel lontano 1940, ha colto bene il problema della
trasformazione del paesaggio sotto l’aspetto vegetazionale. Lo storico francese offre la
traccia di un percorso a partire da una constatazione: Erodoto non riconoscerebbe i «suoi»
paesaggi, se oggi dovesse ripercorrere lo stesso itinerario dei viaggi da lui compiuti nel V
secolo a.C.: «Immaginiamo il buon Erodoto mentre rifà oggi il suo periplo del Mediterraneo
orientale. Quali stupori. Questi frutti d’oro entro gli arbusti verde scuro, considerati
«caratteristici del paesaggio mediterraneo», aranci, limoni, mandarini: non si ricorda affatto
di aver visto nulla di simile in vita sua … Perbacco! Sono frutti dell’Estremo Oriente, portati
dagli arabi. Queste piante bizzarre dalle sagome insolite, aculee, lance fiorite, nomi strani,
cactus, agavi, aloe; come sono diffuse! Mai viste in vita sua … Perbacco! Sono americane.
Questi grandi alberi dal fogliame pallido che, tuttavia, portano un nome greco, Eucalipto: in
nessun posto ne ha mai visti di simili, in contrade conosciute, il Padre della Storia … -
Perbacco! Sono australiani. E queste palme? Erodoto le ha viste una volta nelle oasi in
Egitto, ma mai sui bordi del mare azzurro. Mai, neppure i cipressi, questi persiani» (Venturi
Ferriolo, 1996). Questa presenza radicata nel paesaggio di piante esotiche ha fatto sì che la
stessa locuzione di «specie mediterranea» sottenda almeno quattro diversi significati:
∗ endemica;
∗ originaria di ambienti a clima mediterraneo: stenomediterranea o eumediterranea;
∗ originaria di altri ambienti ma ormai naturalizzata;
∗ di origine esotica ma adattabile alle condizioni dell’ambiente mediterraneo.
Il primo attiene alla accezione più restrittiva dell’espressione, nel senso che fa riferimento
solo alle specie endemiche, cioè esclusive di areali più o meno ristretti nell’ambito del
bacino del Mediterraneo. Si tratta in realtà di un gruppo di piante piuttosto esiguo e che non
sempre trovano un ruolo dal punto di vista ornamentale. Una seconda accezione è quella
che qualifica come mediterranee le specie originarie del bacino del Mediterraneo e quindi
rappresentative della omonima zona di vegetazione. A motivo della stessa difficoltà di dare
un significato rigoroso all’attributo «mediterraneo» riferito alle specie, va subito ricordato
che mancano riferimenti precisi circa la vegetazione mediterranea di più diretto interesse
ornamentale. Un lavoro «classico» al riguardo è quello di Role e Jacamon (1968) intitolato
agli alberi, arbusti e suffrutici (ad eccezione quindi delle erbacee) della regione
mediterranea. In tale testo, con più specifico riferimento alla Francia meridionale, i due
Autori elencano e descrivono, sia pure con qualche «licenza» in ordine a piante
naturalizzate ma originarie da Paesi non mediterranei (es. la canna, detta di Provenza, ma
in realtà originaria dell’Oriente), le più rappresentative specie ornamentali della flora
mediterranea.
Negli ultimi anni, nell’ambito di una più attenta riconsiderazione della biodiversità presente
nel bacino del Mediterraneo, l’attenzione nei confronti della flora autoctona di interesse
ornamentale si è accresciuta, come attestano anche alcuni convegni svoltosi recentemente
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
seconda (con
temperature medie del
mese più caldo inferiori
a 22°C e spesso a 20°
C) le coste occidentali.
L’escursione annua
rimane di solito
inferiore a 15°C lungo
le zone costiere ed
aumenta verso
l’interno; per quanto
riguarda la Sicilia, ad
esempio, l’escursione
termica raggiunge i 14°
C a Palermo ed i 18,5°
C a Caltanissetta.
Relativamente alle
caratteristiche pluviometriche si può distinguere un «regime mediterraneo di transizione»
tipico delle zone a nord del 41° parallelo, caratterizzato da due picchi di piovosità in autunno
ed in primavera e un «regime mediterraneo tipico» con precipitazioni concentrate nel
periodo autunno-vernino ed un lungo periodo di siccità. La lunga stagione arida rappresenta
il principale fattore limitante per la vegetazione. Altro carattere peculiare del regime
pluviometrico è la notevole variabilità interannuale delle piogge. L’UNESCO e la FAO
(1962) hanno suddiviso il clima mediterraneo in base all’indice xerotermico (x) che si può
definire come il numero di giorni dell’anno che sono secchi ai fini biologici. Un periodo è
definito secco quando la precipitazione (P), espressa in millimetri, è uguale o inferiore al
doppio della temperatura media espressa in gradi centigradi (P<2T); viene invece definito
semi-secco il periodo durante il quale 2T<P<3T e cioè quando il totale delle precipitazioni è
superiore al doppio della temperatura ma inferiore al triplo di questa. In base all’indice
xerotermico il clima mediterraneo viene così suddiviso:
∗ xeromediterraneo 150<x<200
∗ termomediterraneo accentuato 125<x<150
∗ termomediterraneo attenuato 100<x<125
∗ mesomediterraneo accentuato 75<x<100
∗ mesomediterraneo attenuato 40<x< 75
∗ submediterraneo 0<x< 40
La Sicilia meridionale, ad esempio, ricade nella zona a clima termomediterraneo
accentuato; il resto dell’isola nella zona a clima termomediterraneo attenuato o
mesomediterraneo; in alcune zone di montagna si può riscontrare il clima submediterraneo.
Non è, però, facile delimitare esattamente la zona a clima mediterraneo: un metodo ormai
tradizionale, ma ancora in uso, è costituito dal riconoscimento della distribuzione dell’olivo
come «pianta guida» della regione mediterranea (fig. 2); si è così distinto un «clima
dell’olivo» che dovrebbe essere sinonimo della regione mediterranea. L’olivo, però, se
sicuramente è una delle piante che più contribuiscono a caratterizzare il paesaggio delle
coste e delle penisole che si protendono nel Mediterraneo, è anche una pianta coltivata e
come tale soggetta a subire contrazioni ed espansioni di areale, non solo in dipendenza di
fattori fisici, ma anche di fattori umani, economici e storici. Non sempre quindi tale specie è
rappresentativa di condizioni naturali climatiche. Tuttavia nelle grandi linee l’olivo può
costituire un indicatore sintetico di tale clima. Altri Autori invece preferiscono utilizzare quale
indice il leccio (Quercus ilex) una specie spontanea, caratteristica della regione
mediterranea o meglio l’associazione a Quercus ilex, cioè il Quercetum ilicis, insieme
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La progettazione del verde
agli aggruppamenti
più affini. Il limite
anche di tale
metodica è che la
profonda e millenaria
azione dell’uomo ha
modificato la
presenza potenziale o
le tracce di questi tipi
di vegetazione
r i d u c e n d o n e
l ’ e s t e n s i o n e
(Giacomini e Fenaroli,
1958).
Anche se è difficile
disegnare un quadro
di riferimento
omogeneo, le
peculiari condizioni
climatiche che
caratterizzano l’ambiente mediterraneo influiscono su quelle che sono le caratteristiche
morfo-bio-fisiologiche delle diverse piante, per cui esistono dei caratteri comuni che
caratterizzano la vegetazione mediterranea. Un primo aspetto che occorre sottolineare è
che nelle zone meridionali più termofile di fatto si assiste ad una mancanza di riposo
invernale della vegetazione. Le stesse piante legnose caducifoglie non riposano durante
l’inverno più di 2-3 mesi. Già a fine gennaio fioriscono i primi mandorli e gli agrumi, mentre
molte piante sempreverdi sono già fiorite durante l’inverno. Al di là delle piante spontanee e
coltivate sono numerose le specie ornamentali che sono in antesi durante il periodo
invernale (Bougainvillea glabra cv. ‘Sanderana’, Jasminum mesnyi, Senecio scandens,
Calliandra tweedi, Solandra maxima, Pyrostegia venusta, Thunbergia grandiflora, ecc.). Il
massimo rigoglio delle fioriture corrisponde all’aprile-maggio cui segue un periodo
caratterizzato da elevate temperature ed assenza di precipitazioni per cui le piante entrano
in riposo, maturano rapidamente i frutti mentre scompaiono le specie erbacee annuali.
L’autunno, di solito molto piovoso, determina un ritorno alle fioriture ed all’attività vegetativa
di molte specie.
Il clima mediterraneo, soprattutto negli ambienti estremi, più xerofitici, ha selezionato
severamente le forme vegetali (Pignatti, 1994 e 1995). Un carattere assai comune a molte
piante mediterranee, sia arboree che arbustive, è la sclerofillia, cioè l’irrobustimento delle
foglie mediante una cuticola spessa, resistente, spesso lucente. Tale adattamento consente
alle piante sclerofille (leccio, carrubo, olivo, pini, ecc.) una notevole difesa contro l’eccessiva
perdita di acqua per traspirazione. Un altro carattere è la stenofillia (riduzione della
superficie fogliare) di cui esempi sono l’elicriso, l’erica, il rosmarino ed in genere le conifere.
Anche la pelosità abbondante su tutta la pianta, e particolarmente sulla pagina inferiore
delle foglie a protezione degli stomi, è un’efficace difesa contro l’eccessiva traspirazione. La
riduzione delle foglie può portare alla loro trasformazione in piccole squame come nel caso
delle tamerici o alla scomparsa (afillia) nelle ginestre, efedre, osiride. Molte piante
dell’ambiente mediterraneo presentano una pronunciata succulenza, soprattutto quelle
diffuse in luoghi salsi (mesembriantemi, Sedum, Euphorbia). Diffusa è anche la presenza di
spine che caratterizza piante a carattere steppico (Astragalus, Cichorium spinosum,
Poterium spinosum, ecc.). Oltre a modificazioni morfologiche si assiste a diversi
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La progettazione del verde
adattamenti di tipo biologico alle condizioni avverse. Fra questi possiamo citare la
saccarofillia, la scomparsa cioè di amido nelle cellule che si arricchiscono di zuccheri
aumentando quindi la concentrazione osmotica e riducendo la traspirazione. Con l’elevata
concentrazione dei succhi cellulari si spiega la persistenza nella regione mediterranea delle
foglie di alcune piante nonostante la loro struttura come nel caso del timo, del mirto, del
terebinto (malacofillia). Un altro carattere diffuso nella flora spontanea mediterranea, e che
può essere parzialmente legato alla selezione effettuata dal pascolamento del bestiame
avvenuto sin da tempi lontani, è la presenza nei tessuti fogliari di oli eterei volatili (cisti,
rosmarino, elicrisi) o di sostanze tossiche (euforbie, oleandro, ecc.). La lunga stagione
arida estiva fa sì che diffuse nella flora siano le piante bulbose, mentre negli ambienti più
difficili si riscontrano piante a portamento nano, prostrato e pulvinato, oltre che provviste
di glaucescenza delle foglie.
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
Rispondenza morfobiologica
In quest’ambito possono essere riunite tutte quelle informazioni relative allo sviluppo
complessivo, alla durata del ciclo, al portamento, alla forma biologica della piante stesse,
alla caducità o meno delle foglie, alla cadenza temporale ed alla durata delle fenofasi.
Risulta evidente come quasi tutte queste informazioni per essere attendibili debbano essere
il frutto di indagini sperimentali, in quanto non è possibile travasare informazioni, anche
corrette, riferite ad altri ambienti. Per quanto attiene alla successione delle fenofasi, come in
precedenza sottolineato, in ambiente mediterraneo i periodi di fioritura risultano differenti
rispetto a quelli delle stesse specie coltivate in altri ambienti. Così, solo per fare un
esempio, la viola del pensiero (Viola x wittrockiana) in un autorevole testo francese, quale
Le Bon Jardinier (Burte e Cointat, 1992) è indicata a fioritura primaverile estiva, da marzo a
luglio, mentre in ambiente mediterraneo è in antesi a partire dai primi di gennaio.
Valenza estetica
Ci si riferisce a tratti organografici complessivi ed a singoli organi (foglie, fiori, frutti) che
assumono interesse a fini ornamentali, per la loro forma, il loro colore. Anche in questo
caso, però, è necessario disporre di dati “originali” relativi all’ambiente mediterraneo, non
solo per le specificità delle scelte biologiche che qui è possibile effettuare, ma per la stessa
elevata insolazione che caratterizza questo ambiente e che sicuramente modifica le tonalità
cromatiche e favorisce una percezione diversa del colore stesso. Luci ed ombre sono infatti
temi cari a chi si occupa di sistemazioni a verde in ambiente mediterraneo (Paternò e
Paternò, 1992).
Profilo ecologico-naturalistico
Si tratta di criteri che assumono importanza rilevante in rapporto alla tipologia di verde di cui
occorre occuparsi e che sicuramente influenzano la possibilità di impiego delle piante
autoctone o alloctone, in rapporto al diverso grado di naturalità dello spazio stesso.
L’ambiente mediterraneo si contrassegna, come già rilevato, per l’ampia possibilità di scelta
che offre: sono numerose e singolari le specie autoctone ed assieme a queste vi sono
numerose specie alloctone, alcune delle quali ormai da tempo naturalizzate (es. fico d’India,
agave), altre che, invece, esprimono un elevato grado di compatibilità con l’ambiente al
punto da essere considerate, soprattutto nell’immaginario collettivo, come
“mediterranee” (es. palma da dattero, buganvillea, bignonie, ecc.)
Valenza storico-paesaggistica
Negli ultimi anni l’aumentata considerazione del ruolo rivestito dal verde storico ha fatto
crescere gli studi sull’epoca di introduzione delle piante stesse. La fitocronologia assume
interesse precipuo in ambiente mediterraneo in rapporto al rilievo che rivestono sia gli spazi
a verde ereditati dal passato che le introduzioni, talora molto antiche, delle piante stesse.
Compilare elenchi ragionati di piante utilizzate in determinate epoche storiche ed ambiti
geografici assume elevato rilievo nella manutenzione e nel restauro del verde storico.
Spesso, invece, per la malaccorta pretesa di immaginare il paesaggio, anche quello
vegetale, come immutabile non si comprende come questo si sia modificato nel tempo e,
talvolta, nel breve tempo. Non possiamo dimenticare, infatti, che la gran parte delle specie
esotiche sono state introdotte dopo la metà del XIX secolo: solo ad esempio si ricorda come
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La progettazione del verde
la buganvillea più diffusa (Bougainvillea glabra ‘Sanderiana’) sia stata introdotta in coltura
nel 1895; di qualche anno prima (1888) è l’introduzione della palma delle Canarie (Phoenix
canariensis) (Maniero, 2000). Sotto il profilo paesaggistico, si ricorda l’elevato impatto che
hanno alcune colture agrarie, anche alloctone, nel segnare il paesaggio mediterraneo: è
questo il caso di olivo, carrubo e soprattutto agrumi. Questi ultimi sono diventati elementi
identificativi del paesaggio vegetale mediterraneo, al punto che alcune regioni, come la
Sicilia, sono diventate, soprattutto agli occhi dei viaggiatori del Nord Europa, il luogo dove
«fioriscono i limoni» (Sereni, 1961).
Compatibilità climatica
È uno dei vincoli principali cui bisogna sottostare nella scelta della specie. Sotto questo
profilo indicazioni preziose possono essere tratte, per le esigenze termiche, dalle zone
climatiche che fanno riferimento ai ben noti criteri seguiti dall’USDA (1990) per
l’elaborazione di Plant hardiness zone map. Sulla base di tali criteri ciascuna specie viene
ricondotta al valore indice della zona (da 1 ad 11) contrassegnata da temperature minime
assolute che possono risultare pregiudizievoli per l’insediamento e lo sviluppo della specie
stessa. Nell’ambiente mediterraneo possono trovare collocazione le specie fino alla zona 10
ed in particolari aree molto favorite sotto il profilo climatico anche specie della zona 11 in cui
la temperatura non scende mai al disotto di 4,4°C.
Un altro interessante indice indicativo per la scelta delle piante ornamentali è quello relativo
alle esigenze idriche; tale indice, proposto da Burte e Cointat (1992) in Le Bon Jardinier,
prevede l’adozione di 5 classi per l’umidità del substrato: H1 (molto secco), H2 (secco), H3
(medio), H4 (da fresco ad umido), H5 (presenza costante di acqua). Utilizzando quest’indice
su un gruppo di 592 specie appartenenti a 116 famiglie botaniche diverse di largo impiego
nell’ambiente siciliano, è stato rilevato come le piante caratterizzate da esigenze idriche
contrassegnate dalla sigla H1 rappresentino il 4,5% del totale, quelle con H2 il 24,8%, le
specie H3 il 34,8%, mentre H4 e H5 incidano rispettivamente per il 22,5% ed lo 0,8 %
(Romano, dati non pubblicati). Il mancato raggiungimento del valore 100 delle percentuali
sopra riportate è legato al fatto che alcune specie sono state riferite a cavallo di due gruppi
e quindi non conteggiate. In ogni caso emerge come numerose specie siano in grado di
resistere a livelli bassi di umidità nel substrato.
Adattabilità pedologica
Tale criterio assume enfasi diversa in rapporto all’estensione dell’area. Così mentre in
piccoli spazi diviene possibile ipotizzare interventi per modificare le caratteristiche
pedologiche, in ambienti più ampi diventa fondamentale individuare piante che siano
resistenti a caratteristiche dei suoli subottimali. Anche a tal proposito si deve lamentare la
lacunosità delle informazioni relative alle piante di più frequente impiego in ambiente
mediterraneo.
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La progettazione del verde
Peculiarità funzionali
Negli ultimi anni sempre più si guarda al verde per la sua capacità di migliorare alcuni
parametri ambientali, cui è legata la vivibilità dell’ambiente urbano in cui in prevalenza
l’uomo vive. Conoscere il potere ombreggiante, disinquinante, traspirativo, antirumore delle
diverse piante può essere importante nella realizzazione di spazi a verde.
L’argomento è certamente complesso e le informazioni a nostra disposizione non sono
esaurienti: in ogni caso, allo stato delle conoscenze è possibile affermare che una corretta
scelta della specie può certamente aiutare a realizzare un verde in grado di migliorare le
caratteristiche dell’ambiente; anche le condizioni d’impiego delle piante stesse sono
altrettanto importanti: intuitivo rilievo assumono sia il numero di individui che la loro
disposizione.
Così, ad esempio, in rapporto alle possibilità offerte dalle piante di attenuare le temperature
massime, sono stati elaborati, per diverse località residenziali delle zone più calde degli
Stati Uniti, modelli previsionali della diminuzione delle temperature estive in rapporto alla
vegetazione ornamentale (Huang et al., 1987). Attraverso tali modelli è stato calcolato che
ad un aumento del 25% della disponibilità di verde farebbe riscontro in quelle condizioni un
risparmio dell’energia necessaria per il condizionamento termico estivo del 40% a
Sacramento e del 25% a Phoenix; tale risparmio aumenterebbe al 50 e 33% nell’ordine per
effetto di una distribuzione delle piante più favorevole ai fini dell’ombreggiamento degli
stessi edifici (Huang et al., 1987).
Modalità di propagazione
Più che un criterio di scelta è una vera e propria condizione vincolo. Come già ricordato,
l’individuazione della specie più idonea viene il più delle volte frustrata dal fatto che non
disponiamo di adeguati materiali vivaistici. In rapporto all’elevato numero di specie
potenzialmente impiegabili nelle sistemazioni a verde si comprende come si tratti di un
aspetto complesso che meriterebbe l’attenzione continua di ricercatori e di operatori del
settore. Ma questo segmento, come del resto molti altri delle sistemazioni a verde, sconta
pesantemente la marginale attenzione e
l’assenza di risorse destinate alla ricerca.
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La progettazione del verde
di progettazione (soprattutto di
“composizione” vegetale) raggruppare le
diverse specie in base al gruppo di
appartenenza (erbacee, arbustive, ecc.),
di cui si dirà meglio in seguito. Quando si
passa al progetto esecutivo occorre
ulteriormente dettagliare gli aspetti tecnici
specifici, provvedendo anche ad
individuare fornitore e modalità di
approvvigionamento. Se l’iter progettuale
è stato correttamente eseguito bisogna,
infine, in fase di realizzazione, essere
“fedeli a quanto stabilito”. La frase
potrebbe apparire ovvia se non fosse che
molto spesso proprio in tale fase, da parte
della ditta appaltatrice e/o del vivaista che
provvede alla fornitura delle piante
vengono compiute “scelte” che stravolgono completamente quanto stabilito dalla
progettazione stessa.
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
riguarda il substrato sono i seguenti: Natura: TF: terreno franco; TS: terreno sabbioso; TA:
terreno argilloso; TV: terreno vegetale; TB: terreno di brughiera; TO: torba; TO+: torba
ammendata; Sph: sfagno; Edp: corteccia di pino: Sab: sabbia; Tessitura: Sol-: leggera;
sol=: normale; sol+: pesante; pH: <: acido; ≤: da acido a neutro; =: neutro; ≥: da medio ad
alcalino; >: alcalino; Sostanza organica: MO-: livello basso; MO=: normale; MO+: elevato;
Umidità: H1: molto secco; H2: secco; H3: medio; H4 da fresco ad umido; H5 presenza
costante di acqua. La Zona climatica fa riferimento ai ben noti criteri seguiti dall’USDA
(1990) per l’elaborazione di Plant hardiness zone map. Sulla base di tali criteri ciascuna
specie viene ricondotta al valore indice della zona contrassegnata da temperature minime
assolute che possono risultare
pregiudizievoli per l’insediamento e lo Zona °C Zona °C
sviluppo della specie stessa. 1 <-45,5 7 -17,7÷-12,3
Naturalmente tanto più elevata è la
rusticità o la resistenza al freddo di una 2 -45,5÷-40,1 8 -12,2÷-6,7
specie (e quindi tanto più basso è il 3 -40,0÷-35,5 9 -6,6÷-1,2
numero di riferimento) tanto più ampio è
4 -35,4÷-28,9 10 -1,1÷+4,4
l’areale di possibile diffusione della specie
medesima. I livelli estremi delle minime 5 -28,8÷-23,4 11 >+4,4
termiche (°C) per ciascuna zona climatica 6 -23,3÷-17,8
sono a fianco seguito riportati.
Per l’Umidità relativa ci si è basati, invece, sulla simbologia elaborata da Burte et al. (1992):
h1: molto secco; h2: secco; h3: normale; h4: umido; h5: saturazione. Allo stesso modo per
l’Insolazione sono stati previsti i seguenti campi: S: pieno sole; MO: mezz’ombra; O: ombra.
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La progettazione del verde
giardino pubblico, che il modello non ritorni nella stessa località prima di 4-5 anni).
Le piante perennanti pur richiedendo minori oneri di manutenzione appaiono caratterizzate
da un periodo di fioritura piuttosto breve, cui segue una lunga fase in cui la pianta spesso
non presenta caratteri estetici di pregio. D’altro canto anche per queste piante occorre
intervenire con operazioni di manutenzione rivolte all’eliminazione delle parti appassite e
delle malerbe.
Da ricordare come, soprattutto negli ultimi anni, anche in Italia, sulla spinta di quanto
accaduto in Inghilterra e soprattutto in USA, si stia diffondendo l’impiego dei cosiddetti
«wildflower» e cioè di piante spontanee, non sempre autoctone, utilizzate per formare dei
prati fioriti che richiamino composizioni naturali. Il termine wildflower, che il dizionario
Webster definisce come “the flower of a wild or uncultivated plant or the plant bearing it” è
entrato ormai nell’uso comune, anche perché il corrispettivo italiano, che potrebbe essere
quello di “fiori di campo” o “fiori selvatici”, non ne rende completamente il significato. Con
wildflower si intendono le specie erbacee, annuali, biennali e perenni, con fiori evidenti o
molto evidenti, che abbiano una valenza estetico-paesaggistica e naturalistica e che
possano essere impiegate come arredo di spazi verdi per la ricreazione, la socializzazione
e la didattica ambientale.
Questa denominazione non è
stata coniata di recente,
certamente era già entrata
nel vocabolario alla fine del
’700 e veniva utilizzata a
volte nella descrizione del
giardino romantico per
indicare le piante erbacee
spontanee nelle aree
sottochioma, quindi in ombra,
o più in generale, i prati
formati da specie spontanee.
Tuttavia, soltanto
recentemente il termine sta
Le piante spontanee possono rappresentare una risorsa per ottenere un
assumendo una larga
verde più compatibile sotto il profilo ambientale diffusione in virtù dell’azione
d i r e c u p e r o e
rinaturalizzazione di aree degradate e di conservazione della natura.
Il termine è anche adottato dagli operatori del settore sementiero che nei cataloghi delle
aziende alla voce wildflower inseriscono piante erbacee annuali, biennali e perenni che
vengono coltivate in forma naturalistica, ossia seminate in miscuglio e richiedenti una
manutenzione molto ridotta, che prevede la lavorazione minima del suolo, la semina, la
rullatura, il taglio o l’incendio controllato, più simile a quello di un pascolo, che del verde
ornamentale.
L’aspetto più interessante dell’utilizzo dei wildflower nelle sistemazioni a verde confrontando
anche altre esperienze mondiali quali quelle negli Stati Uniti, Australia, Irlanda, Nuova
Zelanda e Gran Bretagna, sembra essere legato all’importanza della tutela ambientale con
il recupero e la rinaturalizzazione di aree degradate quali terreni agricoli abbandonati, cave
dimesse, scarpate stradali, che potrebbero diventare interessanti serbatoi da cui attingere
per rinnovare ed ampliare il panorama colturale nazionale.
Nell’areale mediterraneo si riscontra un alto numero di specie spontanee caratteristiche di
effettiva bellezza e quindi di potenziale valore ornamentale, verso cui sarebbe auspicabile
orientare la produzione. Una volta dimostrata la loro possibile domesticazione e dopo averle
adeguatamente commercializzate, tali specie potrebbero essere valorizzate come
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La progettazione del verde
Bulbose
Con tale termine da un punto di vista agronomico vengono comprese le piante provviste di
parti vegetative ipogee (bulbi, bulbo-tuberi, tuberi, radici tuberose, rizomi, pseudo bulbi) le
quali svolgono principalmente la funzione di riserva per assicurare la sopravvivenza della
pianta in condizioni avverse. Esse sono una esclusiva caratteristica delle specie erbacee
perenni, in cui la parte epigea alla fine della stagione muore, mentre la pianta sopravvive
nel terreno allo stato di organo carnoso in riposo, provvisto di gemme capaci di dare, l’anno
successivo, nuovi germogli. Queste piante sono particolarmente adatte ad affrontare, nel
corso del loro ciclo vegetativo, periodi climatici sfavorevoli alla vegetazione. I due cicli
climatici principali, cui tali organi si adattano, sono il ciclo freddo-caldo della zona temperata
e quello umido-secco delle regioni tropicali e subtropicali, fra cui occorre comprendere
anche la regione mediterranea.
Per quanto riguarda la sistemazione di spazi a verde occorre ricordare come alcune specie,
idonee a superare il periodo di freddo, necessitano di basse temperature per completare il
loro ciclo biologico. Per queste specie l’ambiente mediterraneo non è idoneo e quindi,
qualora utilizzate, tali piante (es. tulipano, giacinto) devono essere considerate come vere e
proprie “annuali”. Maggiore impiego possono trovare, invece, nelle sistemazione a verde le
specie idonee a resistere alla stagione secca: in questo caso l’utilizzazione è quella tipica
delle poliennali (es. agapanto, giaggiolo, ecc.).
Fra i caratteri di pregio delle piante bulbose occorre ricordare le vistose fioriture dai brillanti
colori; in alcuni casi il limite è dato da una stagione di fioritura molto breve, ulteriormente
ridotta dalle elevate temperature primaverili che caratterizzano l’ambiente mediterraneo.
Succulente
Le succulente possono essere definite come le piante che sono capaci di superare
condizioni di secco dato che riescono a conservare acqua nei loro tessuti. Costituiscono un
gruppo molto ampio essendo presenti in diverse famiglie sia delle Angiosperme ma anche
delle Gimnosperme (es. Welwitschia mirabilis). Secondo Willert et al. (1992) una succulenta
è una pianta che possiede almeno un tessuto succulento. Un tessuto succulento è un
tessuto vivente che, oltre ad altri obiettivi, serve a garantire una temporanea riserva di
acqua utilizzabile, che rende la pianta temporaneamente indipendente da apporti esterni,
quando le condizioni idriche del terreno non possono supportare le esigenze della pianta
stessa. Tale definizione implica che il tessuto succulento sia presente in uno o più organi
della pianta; la specializzazione di tale organo dipende dalla pressione selettiva
dell’ambiente. Il tessuto succulento può essere rappresentato dalle foglie e questo accade
in diverse famiglie (es. Aizoaceae, Crassulaceae) ed è di solito associato con un ambiente
nel quale la stagione arida non è molto lunga. Lo stelo succulento si ritrova nella famiglia
delle Cactaceae; in questo caso le foglie sono di dimensioni ridotte, fino a diventare spine, o
caduche e la fotosintesi viene svolta dal fusto. Grazie a tali adattamenti, le piante sono in
grado di vivere in ambienti molto aridi: il limite è talvolta dato dalle dimensioni delle piante
stesse; i cactus giganti (es. Cereus spp.) necessitano di maggiori quantità di acqua per il
loro accrescimento. Se l’ambiente diventa più arido le piante riducono fortemente le loro
dimensioni.
Nel caso di radici succulente l’organo di riserva è sotterraneo e quindi può esser protetto,
almeno in natura, dagli stress causati dal vento o dai predatori animali. Le radici succulente
sono spesso associate con uno stelo annuale che dissecca durante la stagione arida. Oltre
a queste modificazioni, le piante succulente presentano alcuni tratti fisiologici che li
avvantaggiano negli ambienti aridi. Il numero e le dimensioni degli stomi sono usualmente
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La progettazione del verde
ridotti; questo non solo riduce la quantità di acqua persa ma anche la quantità di CO2
assorbita. In alcune famiglie è anche presente un particolare tipo di ciclo fotosintetico,
cosiddetto CAM; in tali piante gli stomi si aprono solo di notte, quando la temperatura è più
bassa e l’umidità atmosferica più alta.
Le modificazioni morfologiche conseguenti all’adattamento al secco hanno come
conseguenza che le piante succulente si presentano con forme strane, molto ornamentali.
Inoltre in alcune famiglie (es. Cactaceae) le fioriture sono molto vistose e questo
sicuramente aumenta il valore ornamentale delle piante. La bellezza degli esemplari, la
capacità di tollerare situazioni di stress termo-udometrico molto accentuato, le dimensioni
spesso contenute ed anche la stessa “lentezza” di crescita sono tutti fattori importanti per
l’utilizzazione di tali piante negli spazi a verde.
L’impiego principale è legato alla realizzazione di “composizioni rocciose”, inserite in
particolari angoli del giardino. Fra gli aspetti da richiamare vi è il fatto che le spine,
soprattutto delle cactacee, possono essere pericolose e quindi bisogna stare attenti nel
collocare le piante in posizione marginale nel giardino, ponendo le piante più “pericolose”
lontane dai sentieri per la viabilità. Un altro aspetto da tenere presente è che le esigenze
idriche fra le piante “grasse” sono diverse: di solito quelle che presentano foglie succulente
hanno esigenze idriche più spiccate di quelle in cui è lo stelo a manifestare i caratteri della
“succulenza”. Per tale motivo se la composizione di piante grasse è in un’area in pendio è
bene collocare in basso (dove per percolazione arriva una maggiore quantità di acqua) le
specie più sensibili agli stress idrici e più in alto quelle dotate di più spiccati caratteri
xerofitici.
Acquatiche
Con questo nome e anche con quello di idrofite, vengono indicati i vegetali che vivono
nell’acqua. L’adattamento a tale genere di vita ha determinato particolarità nella struttura di
tali piante, poiché esse assorbono l’acqua ed i sali nutritivi non soltanto con le radici, come
avviene nelle piante terrestri, ma con tutta la superficie del corpo e dall’acqua traggono i
gas (O e CO2) necessari alla loro vita. Spesso mancano le radici o queste servono solo
come mezzo di adesione al suolo. Per sopperire alla mancanza di ossigeno, le foglie
sommerse aumentano la loro superficie suddividendosi in sottili lacinie, mentre quelle
galleggianti o le aeree conservano la struttura tipica; le foglie sommerse, inoltre, presentano
l’epidermide non cuticolarizzata, priva di stomi e generalmente anche di peli; il mesofillo
omogeneo è provvisto di grandi spazi intercellulari. Un’altra caratteristica di tali piante è la
presenza di un parenchima aerifero detto aerenchima che consente il rapido trasporto dei
gas nella pianta.
Le piante acquatiche hanno largo impiego nell’arredo dei giardini, perché servono ad
assicurare la copertura vegetale di vasche, fontane, laghetti, ruscelli ed acquari. A seconda
del modo di risiedere nell’acqua, le piante acquatiche si dicono sommerse, emergenti,
galleggianti, palustri e anfibie.
Le sommerse non comprendono specie propriamente ornamentali anche se possono
modificare il colore dell’acqua e contribuire a migliorare lo stato di salubrità dell’acqua
stessa e cooperare alla formazione di un ambiente favorevole alla vita degli animali
acquatici.
Le emergenti hanno solo la parte basale nell’acqua; tra le numerose specie di questo
gruppo, da considerare il più interessante ai fini ornamentali, sono da ricordare: Cyperus
spp., Nelumbo lutea e N. nucifera, Nymphaea alba, Victoria regia, Sagittaria spp.
Le galleggianti o natanti o fluttuanti sono quelle che sviluppano le foglie e i fiori
sull’acqua senza avere bisogno che le radici si fissino sul terreno. Si possono ricordare:
Alisma natans, Lemna minor (lenticchia d’acqua), Pistia stratiotes, Trapa natans (castagna
d’acqua).
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La progettazione del verde
I generi più importanti delle palustri (piante che crescono nei luoghi paludosi, coperti
d’acqua nell’inverno, spesso asciutti d’estate) sono Cyperus, Thypha, Arundo, Caltha, Iris,
ecc.
Le piante anfibie sono quelle che possono vivere nell’acqua e nelle terra emersa ed umida;
tra queste vi sono sia piante arboree (es. Salix) che erbacee (Alisma, Galium, Juncus).
Il loro impiego nel giardino mediterraneo, anche se di primo acchito potrebbe apparire
insolito, data la forte dipendenza delle piante dall’acqua, è diffuso. Le favorevoli
caratteristiche climatiche di questo ambiente, infatti, consentono l’utilizzazione di specie
caratterizzate da esigenze termiche specifiche (zone climatiche 9 e soprattutto 10) di
indubbio valore estetico, che conferiscono “bellezza” ed “esoticità” ai giardini. Quando la
disponibilità di acqua è sufficiente, l’impiego di piante acquatiche, collocate in vasche, di
dimensioni più o meno ampie, è quindi elemento tipico del giardino mediterraneo, presente
anche in quello di interesse storico.
Arbustive ed arborescenti
Gli arbusti, sotto un profilo generale, presentano caratteristiche morfoanatomiche
intermedie tra quelle delle piante erbacee e degli alberi. Tali caratteristiche comprendono,
tra l’altro, l’habitus e la statura che però possono esprimersi in maniera sostanzialmente
diversa a seconda delle tecniche di allevamento e soprattutto delle condizioni ambientali.
Ne consegue che la stessa specie può assumere più o meno una configurazione di pianta
suffruticosa o arborescente a seconda dell’ambiente e dei criteri d’impiego.
Sotto un profilo biologico, gli arbusti rientrano in genere nel gruppo delle fanerofite o delle
nanofanerofite. Agli arbusti sono funzionalmente riconducibili tuttavia ad alcune camefite ed
in particolare le suffruticose. A parte lo sviluppo, il carattere morfologico che più
frequentemente accomuna gli arbusti è la presenza di gemme non dormienti in prossimità
del colletto, dalle quali prendono origine
diversi rami che conferiscono alla pianta
l’aspetto di cespuglio, ciò che risulta utile per
particolari destinazioni ornamentali.
Le piante arbustive per via della relativa
plasticità e della varietà di forme e
portamento si prestano ad una molteplicità di
utilizzazioni nelle sistemazioni a verde. A
parte il valore ornamentale, tali piante
manifestano rusticità e comunque capacità
notevoli di adattamento alle condizioni
ambientali. Questa ultima è supportata dalla
lignificazione più o meno rapida dei tessuti e
dall’alternanza tra periodi di vegetazione e di
riposo modulata sulla base del decorso
termo-udometrico e non ultimo, con
riferimento alle specie tipiche dei climi caldi e
aridi, dalle variazioni del potenziale osmotico
dei succhi cellulari con conseguente
possibilità di sopportare condizioni difficili
sotto il profilo delle disponibilità idriche.
Negli ambienti a clima mediterraneo il ruolo
delle specie arbustive nelle sistemazioni a Al giorno d’oggi l’arte topiaria è tornata ad essere
verde diventa preminente, non potendosi elemento presente nei giardini, soprattutto quelli pri-
vati e di piccole dimensioni. Essa, infatti, eccelle nel
spesso fare riferimento, come invece in altri disegnare i piccoli spazi
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La progettazione del verde
ambienti caratterizzati da decorso pluviometrico più regolare, alle specie annue o bienni
erbacee o suffruticose. Del resto se si guarda alle specie endemiche, di potenziale
interesse negli ambienti mediterranei, il quadro è molto più articolato per quanto riguarda le
specie arbustive che non per quelle erbacee.
Una rigorosa individuazione ed elencazione delle specie arbustive utilizzabili a fini
ornamentali nelle condizioni di clima mediterraneo è difficile. È certo che l’elenco
comprende specie originarie del bacino del Mediterraneo e numerose altre che, nel tempo,
e soprattutto nei secoli XVIII e XIX, sono state introdotte prevalentemente dai Paesi a clima
subtropicale. In ogni caso un elenco delle specie arbustive ornamentali assume sempre
validità relativamente ad uno specifico contesto ambientale e climatico. Molte specie, come
già detto, a seconda del clima ed in parte delle stesse tecniche di potatura, possono
assumere sviluppo e portamento tali da farle rientrare nel gruppo degli alberi o quanto
meno degli arbusti arborescenti. È il caso ad esempio dell’oleandro, il cui habitus e sviluppo
si modificano sensibilmente a seconda delle condizioni ambientali e delle modalità di
potatura.
Gli elementi descrittivi utilizzabili per la classificazione degli arbusti sono naturalmente
numerosi. Di norma vengono presi in considerazione, in rapporto all’impiego a fini
ornamentali:
∗ la statura;
∗ gli organi di particolare interesse ai fini ornamentali;
∗ la stagione in cui si esprime al massimo l’effetto ornamentale;
∗ le esigenze rispetto al terreno;
∗ le esigenze rispetto ai fattori climatici (luce, temperatura, ecc.);
∗ il metodo di propagazione.
Le specie arbustive maggiormente utilizzate presentano una statura che non supera i 2
metri, affidano ai fiori il maggiore effetto ornamentale e sono propagate prevalentemente
per talea.
Gli arbusti ornamentali, come già detto, trovano un’ampia varietà di utilizzazioni. Alcune
specie, in primo luogo, oltre che per la sistemazione di spazi a verde, possono essere
coltivate come piante ornamentali in vaso. Oleandro, lantana, pittosporo e numerose altre
costituiscono esempi di tale utilizzazione la quale alimenta e sostiene, soprattutto in alcune
regioni, una vasta attività di produzione e di commercializzazione.
Con riferimento alla sistemazione a verde di spazi più o meno estesi, le utilizzazioni più
comuni riguardano:
∗ sistemazioni di aiuole mediante l’inserimento di soggetti singoli o di gruppi;
∗ realizzazione di siepi libere o obbligate;
∗ realizzazione del verde stradale ed autostradale;
∗ ricoprimento di superficie in orizzontale.
La pluralità di utilizzazioni delle specie arbustive, oltre che dalla numerosità, dipende anche
dalla rusticità delle singole essenze. È il caso di alcune specie impiegate nella sistemazione
a verde degli spazi di risulta delle reti viarie stradali ed autostradali, quale ad esempio
l’oleandro, che si lasciano apprezzare proprio per la resistenza a fattori avversi, quali
l’aridità, la marginalità delle condizioni pedologiche, gli eccessi termici, le basse
temperature, i venti anche salsi, la resistenza al fuoco. Un ulteriore elemento che favorisce
la pluralità di utilizzazioni è, in alcuni casi, l’ampia variabilità intraspecifica conseguente al
lavoro di miglioramento genetico. Tale variabilità si manifesta nel colore dei fiori, nello
sviluppo della pianta, nelle esigenze della stessa nei confronti delle condizioni ambientali.
Naturalmente alcune specifiche tipologie di utilizzazione sono legate a peculiari
caratteristiche organografiche e biologiche, altre alle esigenze di ciascuna specie. È il caso
degli arbusti più proficuamente utilizzabili per la realizzazione di siepi o per la sistemazione
di spazi prossimi al mare a motivo di una più o meno spiccata resistenza all’azione dei sali
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La progettazione del verde
Rampicanti e ricadenti
Il gruppo delle piante rampicanti e ricadenti di interesse ornamentale è ricco
complessivamente di circa un migliaio di specie di diversa origine, molte delle quali trovano
condizioni idonee per la loro utilizzazione in pien’aria nell’ambito del nostro Paese. Il clima
mediterraneo che contrassegna le zone costiere e le regioni poste alle latitudini più
meridionali si rivela, infatti, idoneo anche nei confronti delle numerose specie di origine
tropicale caratterizzate da elevate esigenze termiche.
La qualificazione funzionale di questo gruppo di piante è fondamentalmente legata
all’attitudine a ricoprire superfici fortemente inclinate o in verticale; molto articolati appaiono
tuttavia sia il quadro di carattere sistematico che il profilo relativo ai meccanismi che
sostengono tale loro attitudine, ai caratteri di più diretto significato ornamentale, alle
esigenze, alle modalità di utilizzazione.
Le piante rampicanti e ricadenti, tra le quali si riscontrano specie erbacee, suffruticose o
arbustive, annue e polienni, a foglie caduche o persistenti, sono riconducibili ad oltre 70
famiglie, una decina delle quali sono particolarmente ricche di rappresentanti. Le famiglie
cui sono riferibili le specie maggiormente utilizzate in Italia sono: Acanthaceae, Aizoaceae,
Apocynaceae, Araliaceae, Asclepiadaceae, Asteraceae, Bignoniaceae, Convolvulaceae,
Caprifoliaceae, Fabaceae, Nyctaginaceae, Oleaceae, Passifloraceae, Polygonaceae,
Ranunculaceae, Rosaceae, Solanaceae, Vitaceae.
Le caratteristiche morfoanatomiche del fusto rappresentano l’elemento più rispondente ai
fini di una pur difficile distinzione tra piante rampicanti e ricadenti.
Le piante rampicanti sono accomunate dal fatto che il loro fusto per reggersi necessita
dell'ancoraggio ad un sostegno vivo o morto; tale ancoraggio viene assicurato da
adattamenti di natura morfologica e/o funzionale. In mancanza di tale sostegno il fusto, in
genere esile e comunque poco consistente in rapporto alle dimensioni della pianta, tende a
ricadere o a strisciare sul terreno in orizzontale ricoprendolo; è a tale ultima possibilità che
fa riferimento la locuzione piuttosto imprecisa “piante ricoprenti”, talora utilizzata.
I meccanismi sui quali fanno affidamento le piante rampicanti per sostenersi sono numerosi
e consentono una ulteriore suddivisione del composito gruppo in categorie relativamente
più omogenee.
Una prima categoria comprende tutte le piante provviste di specifici organi di ancoraggio
originati dalla trasformazione di foglie e rami in viticci o in cirri, i quali, a loro volta, possono
essere sensibili agli stimoli tattili o provvisti di particolari tessuti a mezzo dei quali
aderiscono alla superficie di appoggio (Passiflora, Parthenocissus, Tetrastigma). La
funzione di sostegno del fusto può essere assicurata anche da radici avventizie (Hedera,
Monstera, Ficus pumila). Le piante provviste di organi specifici per l’ancoraggio
costituiscono le vere e proprie rampicanti (in francese plantes grimpantes; in inglese
climbers o vines che designano in modo generico le rampicanti, mentre si usa la locuzione
self-clingings per indicare le piante che aderiscono più attivamente al sostegno tramite
radici aeree o viticci adesivi).
La seconda categoria è costituita dalle specie cosiddette volubili (twiners in lingua inglese
e volubiles in francese) il cui fusto si regge attorcigliandosi a sostegni grazie a movimenti di
circumnutazione il cui senso rotatorio è specifico. In alcune specie, infatti, la nutazione,
dovuta a stimoli tattili, è destrorsa (Jasminum spp., Wisteria chinensis) in altre sinistrorsa
(Lonicera, Polygonum, Wisteria floribunda).
Una terza categoria fa riferimento alle cosiddette liane (Macuna, Metrosideros carmineus).
Le piante, poco rappresentate nei Paesi extratropicali, si avvolgono a sostegni vivi o morti
(in natura tronchi di alberi) innalzandosi fino ad esporre le strutture fogliari ed
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La progettazione del verde
eventualmente fiorali al di sopra della chioma degli alberi e quindi all’azione della luce.
Le piante ricadenti (ramplings in lingua anglosassone o sarmenteuses in francese) sono in
genere sprovviste degli adattamenti morfofisiologi di cui si è detto a proposito delle
rampicanti. Esse si caratterizzano per l’elevato numero di fusti e rami sarmentosi che, per
quanto relativamente robusti, non riescono a sorreggersi in verticale per cui “ricadono”
verso il basso assumendo forma e portamento particolari. La loro funzione ornamentale è
spesso riconducibile a quella delle rampicanti, soprattutto se la pianta viene sorretta con
idonei sostegni o in qualche maniera ancorata a supporti. Il vero e proprio effetto “ricadente”
si esprime naturalmente appieno o si esalta quando la pianta viene collocata a quota più
elevata rispetto a quella delle superfici o delle strutture che si vogliono ricoprire.
Per analogia di comportamento e di funzioni alle specie rampicanti e ricadenti possono
essere ricondotte le cosiddette piante tappezzanti (inglese=creepings,
francese=tapissantes o rampantes), utilizzate per ricoprire superfici in orizzontale. Il gruppo,
in senso stretto, fa riferimento
alle piante striscianti le quali,
per il loro ancoraggio al
substrato, si avvalgono di radici
avventizie (stoloni, rizomi). La
copertura di superfici in
orizzontale può anche essere
assicurata, come già detto, da
alcune rampicanti o ricadenti
che, in mancanza di sostegni, si
adagiano sulla superficie del
terreno (Hedera, Vinca). Al
gruppo delle tappezzanti
vengono, inoltre, omologate
tutte quelle specie che con la
loro struttura epigea tendono in
qualche modo a “ricoprire” il
terreno.
Da un punto di vista generale le
piante rampicanti e ricadenti
sono particolarmente apprezzate per il notevole e rapido accrescimento dei fusti e delle
foglie e talora per la vistosa fioritura e/o fruttificazione. Esse vengono talvolta classificate
sulla base delle caratteristiche ornamentali che maggiormente esprimono e che risultano
più funzionali alla loro specifica utilizzazione (rampicanti da fogliame, da fiore o da frutto).
Notazioni aggiuntive più specifiche riguardano l’epoca in cui la pianta fiorisce ed
eventualmente il colore dei fiori; la persistenza o meno delle foglie; a quest’ultima
caratteristica si legano sia la durata dell’effetto ornamentale che la modalità di utilizzazione.
Le piante sempreverdi, infatti, determinano un effetto ombreggiante anche nel periodo
invernale; ciò va tenuto in debita considerazione in rapporto a particolari luoghi e modalità
di impiego.
Le conoscenze sulle esigenze delle diverse specie nei confronti del clima, ma anche del
terreno e dell’alimentazione non sono in genere approfondite. I riferimenti di cui si dispone
sono frammentari o generici; le indicazioni più frequenti in merito riguardano le condizioni di
esposizione (ombra, mezz’ombra, pieno sole) e le temperature minime tollerate dalle
singole specie. Prendendo in considerazione le specie rampicanti e ricadenti di maggiore
diffusione nelle regioni costiere del sud d’Italia, oltre il 59%, secondo la classificazione
U.S.D.A., non tollererebbe temperature minime di poco inferiori allo zero rientrando nelle
zone climatiche individuate con i numeri 9 e 10; solo il 10% sopporterebbe minime termiche
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La progettazione del verde
ben al di sotto dello zero (zona 3 e 4); anche queste ultime, però, trovano ampia diffusione
nel nostro Paese il cui territorio comprende aree contrassegnate con i numeri 8, 9 e 10.
Altro aspetto da sottolineare è quello legato alle esigenze idriche, in genere elevate, anche
per via degli intensi ritmi di accrescimento e dell’ampia superficie fogliare, che
caratterizzano le piante rampicanti. Occorre, però, ricordare come tra le numerose
rampicanti ve ne sono anche alcune dotate di meccanismi tali da permettere loro di
resistere a condizioni di stress idrico e di elevata insolazione.
La maggior parte delle specie rampicanti e ricadenti, per le loro caratteristiche ed esigenze,
trovano in generale migliore valorizzazione nelle regioni più calde e luminose, dove peraltro
alcune delle loro funzioni, e soprattutto quella di ombreggiamento, risultano più largamente
ricercate ed apprezzate. A tal riguardo, ad esempio, meritano un richiamo le classiche
pergole del meridione d’Italia ottenute utilizzando specie ornamentali (glicine, Solandra,
Thunbergia, ecc.) o, nelle aree rurali, piante che hanno anche finalità produttive (vite
comune, actinidia, Sechium, Lagenaria, Cucurbita ficifolia).
Le tipologie di utilizzazione delle rampicanti e ricadenti sono molteplici anche per via della
numerosità delle specie e si sono notevolmente ampliate in rapporto all’accresciuta
articolazione delle aree a verde. Le ridotte dimensioni degli spazi destinabili a verde privato
hanno comportato, non fosse altro che per cercare di rivestire i muri di recinzione, un
aumento nell’uso delle rampicanti. Alle tradizionali utilizzazioni di queste piante per il
rivestimento di pilastri, muri, prospetti di edifici, balconi e di strutture atte a creare zone
d’ombra (gazebi, patii, ecc.), particolarmente ricercate negli ambienti più assolati, si sono
aggiunte nuove possibilità di impiego. Nel settore del verde pubblico sono, infatti, aumentati
gli spazi e le superfici in notevole pendenza o in verticale; basti pensare ai muri di
contenimento in cemento ed agli altri manufatti della rete viaria stradale ed autostradale,
dove l’uso di rampicanti o ricadenti potrebbe contribuire a ridurre l’impatto ambientale.
Alcune specie, infine, per tollerare bene gli interventi cesori, si prestano ad essere
modellate e possono pertanto venire utilizzate per creare particolari siepi o pareti divisorie
(Bougainvillea, Lantana).
Un’ulteriore possibilità d’utilizzazione delle specie rampicanti o ricadenti è rappresentata
dalla coltivazione in vaso di alcune specie che, caratterizzate da elevate esigenze termiche,
sono utilizzate come piante da fogliame da interni (Philodendron, Scindapsus, Cissus) o
anche da esterni.
Alla luce di questi brevi richiami, le piante rampicanti e ricadenti rappresentano un valido
strumento per affrontare molti dei problemi legati alla sistemazione a verde. Il potenziale del
gruppo è d’altronde in larga misura inesplorato se si considera che, a fronte di oltre un
migliaio di specie potenzialmente idonee all’ambiente mediterraneo, sono poche quelle
comunemente utilizzate.
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
della “palma di Goethe”, maestoso esemplare di Chamaerops humilis che, messo a dimora
oltre 400 anni fa’, può essere ancora oggi ammirata all’orto botanico di Padova.
Il loro impiego nelle regioni meridionali
è favorito dalle condizioni climatiche
idonee alla crescita in pien’aria di
numerose specie (Noto e Romano,
1987a e 1987b). La temperatura
ottimale per l’accrescimento di molte
palme si aggira, infatti, intorno ai 15-
20°C durante la notte ed ai 20-30°C
durante il giorno. Alcune specie, meno
esigenti, riescono tuttavia a vegetare
bene a temperature comprese tra i 10
ed i 15°C e tollerano ampie escursioni
termiche giornaliere. La resistenza alle
basse temperature è variabile tra le
diverse specie: molte palme impiegate
per l’arredo di spazi esterni riescono a
sopravvivere a temperature inferiori a -
10°C (Chamaerops humilis, Phoenix
canariensis, Trachycarpus fortunei); in
genere la resistenza alle basse
Resistenza al freddo in specie di palme in rapporto all’età della temperature aumenta con l’età della
pianta; LT1 = danni iniziali; LT50 = danni sul 50% della popola-
zione. pianta. Nelle condizioni termiche meno
favorevoli le uniche specie utilizzabili
sono Chamaerops humilis e soprattutto Trachycarpus fortunei. Le palme da esterno
prediligono umidità relativa piuttosto bassa, ma si adattano a condizioni non ottimali, anche
se queste possono compromettere il valore ornamentale.
L’utilizzazione delle palme nelle sistemazioni a verde è favorito dalle modeste esigenze nei
confronti del terreno e dell’alimentazione (Noto e Romano, 1986). Anche le esigenze idriche
sono piuttosto contenute e ben tollerate sono le condizioni di stress, dovute all’eccesso o
alla carenza di acqua. Con riferimento al terreno, le palme possono tollerare, soprattutto ad
insediamento avvenuto, substrati poco profondi, a grana grossolana e con elevata salinità.
Un esempio dell’adattabilità delle palme a condizioni pedologiche marginali è offerto dalla
diffusa presenza allo stato spontaneo di Chamaerops humilis su substrati calcarei, privi o
quasi di terra fine e quindi di elementi minerali e con capacità idrica trascurabile.
La peculiarità dei tratti morfo-funzionali ed estetici di queste piante ha comportato la
collocazione delle palme nei giardini meridionali in posizione privilegiata, spesso prossima
agli affacci degli edifici stessi, ponendo in risalto il maestoso portamento e la signorile
ornamentalità. “… tutte quante formano l’incanto del luogo e del paese che ne vien
decorato” (Cusa, 1873).
Al di là del numero di specie e della modalità di impiego è indubbio che i giardini, i paesaggi
meridionali e siciliani in particolare siano segnati da queste piante. Come ci ricorda De
Santis (2003) con vena poetica: “L’excursus della palma in Sicilia si può leggere nelle opere
dell’uomo, nelle usanze, nei riti e nella lingua ove risuonano radici latine (scupazzu), arabe
(cifagghiuni), arabe (giummara) e nubiane (addummi). E colonne, capitelli, mosaici, templi
si svelano essere giardini di pietra, palme e palmeti che raccontano le parentele dei sogni e
delle aspirazioni delle genti che vivono intorno al nostro mare”.
Il paesaggio siciliano, in particolare, è spesso sintesi di numerosi eventi culturali che ne
hanno segnato la storia; la vegetazione esotica ed in particolare le palme ne rappresentano
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La progettazione del verde
uno dei tratti più peculiari; “… ed in Sicilia non poche se ne osservano sparse per tutte le
coste dell’isola, le quali formano il principale ornamento de’ giardini che ne vengono allietati.
E qui la vedi [la palma], nella città principale Palermo, or solitaria, or unita ad altre della
stessa specie, o della stessa famiglia, in molte ville pubbliche e private occupare il posto più
nobile; …” (Cusa, 1873).
Le palme trovano impiego – possiamo meglio dire che le contrassegnano e caratterizzano –
in diverse tipologie di spazi a verde. Esse, per la loro antica utilizzazione, sono un elemento
estremamente diffuso nei giardini storici ed anche in quasi tutti gli orti botanici italiani e
soprattutto siciliani, che spesso manifestano un grande valore storico-artistico. Sono
numerosissimi anche gli esempi di utilizzazione delle palme nei parchi urbani, dove queste
piante si lasciano apprezzare per la bellezza del fogliame, le vistose strutture carpiche, la
stranezza dello stipite.
Le specie che, anche per la diffusione e le notevoli dimensioni, maggiormente segnano il
paesaggio isolano sono Phoenix dactylifera e P. canariensis. Queste specie, ed in
particolare la prima, oltre ad essere elemento importante degli spazi a verde ornamentali,
connotano anche il paesaggio agrario, dove spesso vengono impiegate in prossimità delle
abitazioni rurali o a formare lunghi viali d’ingresso alle dimore signorili. Del resto in Sicilia la
palma da dattero è la pianta sacra, la palma dell’uomo, la palma piantata davanti al
casolare, simbolo dell’unità familiare: “tante foglie, una sola pianta che cresce con orgoglio
e rigoglio” (De Santis, 1998).
La palma nana è l’unica palma che si trova allo stato spontaneo nell’ambiente
mediterraneo, spesso su substrati calcarei, molto superficiali, privi o quasi di terra fine e
quindi di elementi minerali e con capacità idriche trascurabili. Questa specie negli spazi
naturali più termofili dà luogo assieme al carrubo all’associazione vegetale denominata
C e r a t o n i e t u m . La presenza della palma, talvolta quasi acaule, emergente da
spaccature delle rocce in prossimità del mare, talvolta su suolo calcareo, brullo,
poverissimo, a costituire un’associazione vegetale che ricorda una gariga con caratteri
steppici (Touring Club Italiano, 1958), determina paesaggi naturali di grande suggestione.
Per quanto riguarda gli schemi compositivi, questi dipendono dalle dimensioni raggiunte
dalle singole piante: le specie di maggiore sviluppo (es. Phoenix e Washingtonia) si
prestano a realizzare filari o possono essere collocate come piante singole o talvolta a
coppia; per quelle di più piccole dimensioni si tende a formare dei gruppi, sfruttando la
naturale attitudine della specie (es. Chamaerops humilis) o ponendo vicine le piante (es.
Trachycarpus fortunei).
Circa le palm-like va detto che si tratta di un gruppo molto eterogeneo per quanto riguarda
l’inquadramento botanico, ma che per morfologia e soprattutto per esigenze e tratti
fisiologici ricorda le palme. Anche l’utilizzazione nelle sistemazioni a verde è largamente
sovrapponibile a quello delle stesse palme (Romano, 1995). Le palm-like presentano in
genere spiccate esigenze termiche e sono caratterizzate da notevole valore ornamentale
(Dracaena draco, Strelitzia spp., Nolina recurvata, Yucca spp., Cycas spp.). Si tratta spesso
di piante che connotano fortemente lo spazio e diventano il «punto di attrazione» di un
giardino.
Arboree
Sono piante che, per dimensioni raggiunte e per diffusione, assumono un ruolo centrale
nelle sistemazioni a verde. In ambiente mediterraneo, la possibilità che si ha, grazie
all’adozione degli alberi, di realizzare zone ombrose nel giardino, rende il ruolo di queste
piante molto importante. Nell’elenco predisposto – di cui le schede allegate sono il risultato
– gli alberi sono stati suddivisi in «da fogliame», «da fiore» e «da frutto». Quest’ultimo
gruppo serve anche a sottolineare l’antico ruolo “utilitaristico” che molti alberi rivestono, e
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
verde urbani, le piante più strettamente mediterranee. Con riferimento al primo aspetto
possiamo ricordare il trattato di Bossard e Cuisance (1984) intitolato “Arbres & arbustes
d’ornement des régions tempérées et méditerranéennes” nel quale solo il 6,2% delle specie
è di origine strettamente mediterranea. Ad analoghi risultati sono giunti lavori elaborati con
riferimento all’Italia (Romano e Scrimali, 1995).
Nel testo della Gildemeister su “Mediterranean gardening” (1995), recentemente tradotto in
italiano (Gildemeister, 2000), in atto la fonte più articolata disponibile per le sistemazioni a
verde in ambiente mediterraneo ed in particolare di quello caratterizzato da più spiccati
aspetti termofili e xerofitici, vengono riportate ben 1000 specie. La distribuzione delle specie
per zona di origine mostra come il contributo di Paesi a clima tropicale e subtropicale sia
cospicuo. In particolare il 26% delle essenze è originario degli Stati meridionali degli USA,
del Centro e Sud America, di zone caratterizzate cioè da climi tropicali e subtropicali. Sia
l’Oceania che l’Estremo Oriente partecipano per il 12%, mentre le specie originarie del Sud
Africa ragguagliano il 15% del totale. Il contributo delle specie mediterranee è comunque
rilevante ed è stimato nel 20%
del totale.
In una nostra indagine è stato
notato come le specie ritenute,
da diverse fonti bibliografiche
(Bossard e Cuisance, 1984;
Cocozza Talia, 1979; Latymer,
1990; Le Graverend, 1959;
Lippert e Podlech, 1991;
Taverna, 1982), idonee ad
essere impiegate in ambiente
mediterraneo siano quasi
3500 rappresentanti di tutte le
zone climatiche ed originarie
Distribuzione delle piante utilizzabili in ambiente mediterraneo in base in pratica da tutte le regioni
all’origine. geografiche. Da rilevare la più
elevata frequenza di specie
provenienti da zone climatiche analoghe a quella mediterranea mentre è stata dimostrata la
significativa presenza nel verde delle regioni più meridionali d’Italia di piante provenienti da
zone climatiche molto calde, contrassegnate da spiccati caratteri di tropicalità o
subtropicalità. In particolare le specie cosiddette “esotiche” rappresentano ben il 92% del
totale (fig. 5).
L’assenza di piante mediterranee ornamentali si riscontra anche nel verde pubblico:
elaborando i dati di un’indagine effettuata, anni or sono, nel verde pubblico di Catania si
può osservare, ad esempio, come solo il 4% delle specie presenti sia di origine
mediterranea; dato questo del tutto in sintonia con altri relativi ad altre città italiane per le
Distribuzione in base all’origine delle piante utilizzate in Distribuzione in base all’origine delle piante conteggia-
provincia di Ragusa. te in provincia di Ragusa.
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La progettazione del verde
quali è stato osservato come la presenza di piante mediterranee si attesta intorno al 5%.
In un’indagine, sempre da noi condotta in provincia di Ragusa, in cui è stata rilevata la
presenza delle piante utilizzate nelle sistemazioni a verde, è emerso il modesto contributo
offerto dalle piante di origine mediterranea (15,7% del totale) (fig. 6); l’incidenza si alza di
poco se si fa riferimento al numero di piante complessivamente presenti (fig. 7). Il conteggio
delle piante e l’indicazione dello stato vegetativo delle piante stesse (valori tra 1 = stato
pessimo e 5 = stato ottimo) hanno fornito indicazioni interessanti. In totale nell’indagine
sono state conteggiate oltre 14.000 piante. La media ponderata dello stato sanitario delle
specie raggruppate per zona climatica ha mostrato valori poco variabili (da 4,75 a 4,98) ad
attestazione della capacità dell’ambiente mediterraneo ad “accogliere” piante più diverse
per cui numerose specie hanno trovato condizioni idonee al loro sviluppo. Anche per tale
motivo la maggiore frequenza di alcune piante sembra essere conseguenza più di scelte
arbitrarie, legate talvolta alla mancata disponibilità di materiali vivaistici, che il risultato di
analisi sulle interazioni fra pianta ed ambiente.
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La progettazione del verde
planetario attento osservatore della natura; il giardino che custodisce è il pianeta. Secondo
il famoso paesaggista francese, il movimento, fisico, di specie di per sé predisposte al
vagabondaggio (quali sono le essenze spontanee), deve essere assecondato e si devono
ostacolare il meno possibile le energie in gioco (Clement, 1991).
Al di là delle diverse “filosofie” di approccio, termini come “sustainable landscape”,
“environmental friendly landscape”, “xeriscaping”, “xerogarden” “wild garden” sono ormai
entrati di prepotenza nel dibattito sia scientifico che culturale in senso lato, anche al fine di
realizzare un verde diverso, più rispettoso delle caratteristiche ambientali ed ecologiche di
un dato territorio. In tutte queste modalità di “fare giardino”, per cercare di limitare gli stress
biotici ed abiotici, attenzione particolare viene posta in tutte le fasi del processo, dalla scelta
della specie alle operazioni di impianto, alla manutenzione, a soluzioni in grado di rendere
più compatibile il verde con le condizioni dell’ambiente naturale (Franco et al., 2006).
In questo contesto il ruolo delle piante autoctone diventa fondamentale (Iles, 2003).
Nonostante tradizionalmente queste piante siano state ignorate nella realizzazione del
verde (Romano, 2004), recentemente, soprattutto nell’ambito di modalità di realizzazione di
spazi a verde più rispettose delle condizioni climatiche e rivolte alla ricomposizione
ambientale, l’interesse nei loro confronti è andato crescendo (Zhang et al., 1996; De
Herralde et al., 1998; Sànchez-Blanco et al., 1998; Cabot e Travesa, 2000; Franco et al.,
2001; Martìnez-Sànchez et al., 2003). Molte di queste possono rappresentare una buona
alternativa alle specie tradizionali soprattutto in ecosistemi semi-aridi, qual è quello
mediterraneo, per la loro buona resistenza a malattie ed a elevati livelli salini, per la loro
elevata efficienza nel consumo d’acqua, per le specifiche modalità di crescita (Morales et
al., 2000; Franco et al., 2002; Clary et al., 2004). Le piante autoctone si lasciano
apprezzare, inoltre, per le numerose strategie morfologiche e fisiologiche messe in atto per
superare gli stress abiotici; da ricordare, comunque, che l’adattabilità di queste piante si
modifica fortemente fra le diverse specie ed anche all’interno della specie stessa (Sànchez-
Blanco et al., 2002; Torrecillas et al., 2003).
Il ruolo delle piante autoctone assume potenziale interesse nell’ambiente mediterraneo, in
rapporto all’ampia biodiversità che lo caratterizza. Gli ecosistemi mediterranei sono, infatti,
costituiti da ambienti molto eterogenei e differenziati fra loro per cui sono considerati una
grande riserva di biodiversità vegetale (Schönfelder e Schönfelder, 1996). La flora
mediterranea mostra una quantità estremamente ampia di endemismi, soprattutto nelle
regioni montuose ed insulari (Greuter, 1991; Mèdail e Quèzel, 1997). Le aree con elevata
concentrazione di biodiversità e densità di specie endemiche (superiore al 10%) sono
chiamate “hot spots” (Médail e Quézel 1997). Per capire l’importanza della biodiversità
mediterranea basti pensare che 24.000 specie di piante sono distribuite in una superficie di
circa 2,3 milioni di km² (Greuter 1991), in contrapposizione alle 6.000 specie dell’Europa
non a clima mediterraneo distribuite in circa 9 milioni di km². Da un punto di vista
quantitativo tale flora si colloca al quarto posto a livello mondiale per ricchezza floristica,
dopo Amazzonia, Indonesia e Indocina, Africa sudorientale e Madagascar.
Nel bacino del Mediterraneo, l’Italia è il Paese che presenta la flora più ricca con 5.599
specie (Pignatti, 1982), classificabili come native (cioè spontanee e introdotte dall’uomo ma
inselvatichite), alle quali se ne possono aggiungere almeno altre 500 più comunemente
coltivate o sub-spontanee. Si tratta dunque di oltre la metà della flora dell’intera Europa,
valutata in 11.047 specie (Webb, 1978), e questa metà è diffusa su una superficie che è
solo 1/30 di quella europea. La Sicilia appare caratterizzata da un assetto floristico ricco e
variegato; l’intera superficie regionale è interessata da hot sports (Médail e Quézel 1997) ed
è contrassegnata da una grande diversità floristica (Pignatti, 1994): sono, infatti, oltre 2.500
le specie censite. Da richiamare, inoltre, che la frequente propagazione sessuata di fatto
conduce ad una elevata variabilità delle popolazioni presenti in natura.
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La progettazione del verde
La diretta utilizzazione a fini ornamentali di specie presenti nella flora mediterranea appare
ricca di prospettive soprattutto nel settore delle piante impiegate per la sistemazione di
spazi a verde ed in particolare per il recupero di aree degradate. Per questa ultima
destinazione più conclamata è l’esigenza di disporre di piante dotate di elevata adattabilità
ed in grado di tollerare gli stress biotici e abiotici. L’attenzione può essere rivolta sia al
gruppo degli arbusti o cespugli che, come è noto, sono piante contrassegnate da tratti
morfo-fisiologici che ne rendono idoneo l’inserimento in numerose tipologie di spazi a verde,
sia a quello delle piante erbacee spontanee annuali e perenni (wildflower), che offrono
buoni risultati in suoli di bassa qualità, specialmente in quelli poveri in azoto, rivelando un
elevato valore ornamentale anche in condizioni di bassa manutenzione (Bretzel e
Hitchmough, 2000).
L’introduzione di piante autoctone nelle sistemazioni a verde non è, però, un’operazione
semplice ed immediata; essa presuppone in una prima fase la rassegna delle specie
erbacee e/o arbustive di particolare interesse al fine di definirne preliminarmente le
potenzialità. Naturalmente le informazioni necessarie per una fattiva introduzione sono
molto più ampie e necessitano della messa a punto di adeguati protocolli di propagazione e
di coltivazione e la verifica delle prestazioni delle stesse nelle più comuni modalità di
impiego, spesso in un ambiente urbano, che si presenta molto diverso dagli ambienti
naturali in cui queste piante danno buona prova di adattabilità (Fini e Ferrini, 2007).
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La progettazione del verde
essere prese in considerazione cercando di porre insieme specie che abbiano esigenze
similari o, meglio, complementari, in grado quindi di usufruire al meglio delle sostanze
nutritive presenti nel terreno o somministrate con le concimazioni. Anche le esigenze nei
confronti del pH e della salinità debbono essere tenute in conto nella disposizione delle
piante in modo da porre vicine specie che presentino analoghe esigenze.
Un importante aspetto da considerare, pur se le informazioni in proposito sono
frammentarie, è quello relativo ad eventuali fenomeni allopatici o autopatici che si possono
determinare fra le diverse piante. Si tratta di un tema interessante, ma le indicazioni relative
alle ornamentali non sono numerose: a tal proposito possiamo ricordare l’effetto depressivo
nei confronti della vegetazione e soprattutto a carico della germinazione dei semi esercitato
dagli alcaloidi contenuti nelle foglie di eucalipto, il che determina che siano ben poche le
piante che riescano a sopravvivere nelle immediate vicinanze di questi alberi. Il tema
meriterebbe sicuramente una più attenta ricognizione sperimentale.
Un ultimo aspetto è quello relativo alle conseguenze della disposizione delle piante sulle
successive operazioni di manutenzione: attraverso il raggruppamento corretto delle piante è
possibile semplificare le operazioni di manutenzione stessa, consentendone la
meccanizzazione.
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La progettazione del verde
attraverso l’interazione estetica e funzionale con le altre piante e con gli altri elementi
compositivi abiotici presenti nel giardino stesso.
L’identità di un giardino è quindi intimamente legata alla presenza delle piante. L’elemento
vegetale, materiale vivente in continuo divenire, è caratterizzato da un proprio ciclo vitale
(nascita, crescita, maturità, senescenza e morte), soggetto ad azioni temporali ed
accidentali che sottolineano la necessità di salvaguardare la sua fragile integrità. “Un parco
che di stagione in stagione non sia continuamente creato dalla mano dell’uomo è
condannato a morte. Dopo pochi mesi non ne rimane che un ricordo: la descrizione di un
poeta, il disegno di un pittore o di un incisore” (Grimal, 2000).
La scelta e la collocazione delle piante è perciò pregiudiziale per potere stabilire idonee
premesse alla realizzazione di un impianto a verde di pregevoli caratteristiche estetiche e
destinato a durare nel tempo. La maggiore difficoltà nel raggiungere questi obiettivi risiede
proprio nella capacità di immaginare il risultato della dinamica stagionale ed ontogenetica di
ciascuna e di tutte le piante in quell’ambiente specifico. Questa dinamica è determinata da
due componenti: una anelastica e connaturata alla pianta, cioè il suo genotipo, l’altra
elastica generata dall’interazione dell’ambiente nel quale la pianta stessa viene inserita con
la componente precedente.
Il ruolo della gestione agronomica è quello di esaltare o di mitigare gli effetti dell’ambiente
sulla pianta, in modo da metterla in grado di assolvere le funzioni alle quali è destinata: nel
caso del giardino, prevalentemente se non esclusivamente, quelle estetiche. Un malinteso
spirito ambientalistico tende talvolta a sottovalutare, se non addirittura a negare, un ruolo
attivo e positivo dell’uomo sugli spazi a verde nonostante che lo stesso giardino dell’Eden,
secondo le scritture, è stato consegnato agli uomini con due imperativi: custoditelo e
coltivatelo.
Il giardino è, infatti, tra le opere più complesse progettate e realizzate dall’uomo; come
ricorda bene Grimal (2000) “è il recinto meraviglioso nel quale si impara a barare con le
leggi della natura”. Esso, nella sua più comune accezione e configurazione strutturale e
funzionale, è basato sull’utilizzazione, quanto più armonica possibile, di un certo numero di
componenti. Queste fanno riferimento sostanziale a tutto ciò che viene realizzato da un lato
con materiali inorganici, spesso di natura lapidea, e dall’altro con materiali viventi
rappresentati dagli elementi vegetali che, a loro volta, esprimono delle caratteristiche
biologiche e morfofunzionali diverse.
La singolarità del giardino come manufatto è connessa alla differente natura delle due
componenti principali: una risulta poco modificabile nel tempo e connotata da una
obsolescenza fisica assai lenta, la seconda esprime una configurazione morfofunzionale, e
quindi anche estetica, che si modifica, in funzione delle caratteristiche biologiche della
pianta, con il ciclico succedersi delle stagioni e con altri eventi e condizioni che modificano
l’ambiente nel quale la pianta stessa insiste e svolge le proprie funzioni.
Tali differenze nella natura delle componenti e soprattutto la loro diversa obsolescenza
temporale sostengono le problematiche più rilevanti che riguardano la progettazione del
giardino, la sua realizzazione e soprattutto la sua manutenzione nel tempo che è mirata a
far sì che esso possa conservare, in maniera funzionale e dinamica, quei segni stilistici cui
si è ispirato chi ha progettato e realizzato il giardino stesso.
Se questo è il primum movens delle differenze tra il giardino e un qualunque altro manufatto
costruito dall’uomo, si comprendono subito o, meglio, si dovrebbero comprendere, le
questioni legate alla natura delle competenze fondamentali – che non possono essere
esclusive – riguardanti la gestione di un giardino, la quale è più rigidamente vincolata al
continuo divenire delle componenti viventi rispetto alle più modeste variazioni degli elementi
inorganici.
In questo contesto nella gestione del giardino il primo e più rilevante obiettivo è la ricerca e
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
o dalle stesse caratteristiche costruttive dei fabbricati o di altre opere murarie presenti;
∗ la rilevanza in termini quantitativi dei manufatti inseriti nel giardino che creano ostacolo
allo sviluppo dell’apparato radicale quando non subiscono essi stessi le conseguenze di
tale sviluppo;
∗ l’impossibilità operativa di assicurare alle piante appropriate condizioni fisiche del
substrato, non essendo spesso possibile l’esecuzione di interventi idonei sotto questo
profilo dopo la messa a dimora;
∗ il difficile controllo dei parassiti per la difficoltà, proprio a causa della fruizione da parte
dell’uomo, di somministrare i necessari pesticidi, dato che la materia soggiace ad una
normativa sempre più stringente.
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La progettazione del verde
eccessi termici e dalla carenza idrica. Si tratta quindi di condizioni frequenti in ambiente
mediterraneo, per cui proprio in questo diventa opportuno ricorrere ad alcuni degli interventi
e/o soluzioni progettuali previsti dallo “xeriscaping”.
Tale modalità di realizzare il verde rientra a buon diritto all’interno del “dry gardening”,
termine già da tempo utilizzato per descrivere la coltivazione di piante diverse (alberi,
arbusti, erbacee, bulbose) utilizzando piccole quantità di acqua per l’irrigazione. La
differenza sostanziale sta nel fatto che il dry gardening può essere adottato sia in luoghi
dotati di un buon andamento pluviometrico nel corso dell’anno, sia in luoghi dove le
precipitazioni sono basse e/o mal distribuite e l’ambiente è arido e caratterizzato da forte
insolazione giornaliera.
Nel primo caso si ricorre a queste tecniche per ridurre i costi e/o per la difficoltà di reperire
l’acqua in ambiente urbano; nel secondo, invece, si entra nell’ambito specifico dello
xeriscaping, cioè nell’utilizzazione di piante xerofitiche e nell’adozione di specifiche
soluzioni progettuali e tecniche agronomiche di cui si dirà in prosieguo.
Lo xeriscaping è quindi una forma di “costruzione e gestione dello spazio a verde” che
cerca di limitare al massimo l’uso dell’acqua al fine anche di proteggere l’ambiente. Per la
sua realizzazione ci si avvale soprattutto di specie dette “xerofitiche”, cioè adatte a lunghi
periodi di siccità, come i cactus o altre piante succulente. Uno spazio a verde impostato
secondo questi principi ha lo scopo di limitare l’uso dell’acqua per irrigare solo ai lunghi
periodi di siccità o addirittura di non irrigare affatto.
Lo xeriscaping permette di creare o di riadattare uno spazio a verde in modo semplice ma
armonioso nei colori, nelle forme e nella trama grazie all’uso di numerose specie, molte
delle quali sono autoctone. Inoltre, permette di risparmiare anche nelle operazioni di
manutenzione rendendo più economica la gestione del verde.
Fra le strategie adottate nello xeriscaping, possiamo ricordare:
1) Organizzazione degli spazi;
2) Analisi del terreno;
3) Scelta delle piante;
4) Tappeto erboso funzionale;
5) Irrigazione efficiente;
6) Pacciamatura;
7) Manutenzione.
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La progettazione del verde
La creazione di pergole e la presenza di vialetti in ciottoli bicromi (al posto del prato) sono elementi tipici del
giardino siciliano.
arbusto preesistente. Piante già presenti sul luogo, se non spostate, non necessiteranno di
particolari cure dopo il trapianto. L’analisi dell’orientamento della casa aiuta a determinare
dove collocare le piante che prediligono il sole e dove posizionare, invece, quelle che
prediligono l’ombra.
Sulla base di questi dati, il progetto terrà in considerazione sia la scelta di piante tolleranti la
siccità, che l’adozione di metodologie per l’approvvigionamento supplementare di acqua o
l’impiego di pratiche colturali per migliorare la conservazione dell’acqua stessa.
Un elemento molto importante da valorizzare è la creazione di una zona d’ombra per
aumentare la fruibilità del giardino e consentire, grazie all’effetto schermante, di ridurre la
traspirazione delle piante e quindi la perdita d’acqua. Tale zona può essere assicurata o da
alberi di grandi dimensioni o dalla realizzazione di pergole. Non a caso nei giardini
tradizionali siciliani immancabile era la presenza di pergole delle più svariate dimensioni. Un
altro elemento importante di questi giardini era la presenza di vialetti, realizzati con materiali
diversi, talvolta con ciottoli bicromi, che consentivano la percorribilità dello spazio ma
soprattutto non prevedevano la
presenza del tappeto erboso,
dissipatore d’acqua per
antonomasia. Nell’adozione di
pratiche xeriscape è importante
inoltre stabilire la direzione dei venti
prevalenti che possono influenzare
la temperatura del giardino.
Tutte queste informazioni sono
fondamentali per definire, nel caso
si tratti di un giardino privato, le
diverse zone dell’impianto a verde:
quella pubblica, quella “segreta” e
l’area di servizio.
La zona destinata ad area pubblica
è situata nella parte più in vista di
tutta la proprietà e in genere si trova
Struttura tradizionale del giardino in cui nessuna attenzione viene nella zona antistante la residenza o
posta all’organizzazione delle esigenze idriche delle diverse spe- nelle zone meglio visibili dai
cie. visitatori. Tradizionalmente
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
Irrigazione efficiente
Lo scopo principale, in uno spazio a verde xeriscape, è quello di minimizzare l’apporto di
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La progettazione del verde
La pacciamatura
La pacciamatura è una delle più importanti pratiche agronomiche per la realizzazione di un
giardino xeriscape. Anche se può essere utilizzata solo per motivi estetici, essa assicura
numerosi vantaggi agronomici quali: ripristino del contenuto di humus; capacità di trattenere
acqua e sostanze nutritive; controllo delle infestanti.
La pacciamatura conserva l’umidità del terreno impedendo le perdite d’acqua per
evaporazione, riducendo il fabbisogno di irrigazioni supplementari nei periodi di piogge
limitate e ostacolando le fluttuazioni di umidità che potrebbero danneggiare le radici. Il
terreno pacciamato, mantenendo una migliore struttura, assorbe più facilmente l’acqua.
La pratica della pacciamatura è molto utilizzata anche per il controllo delle infestanti che
competono con le piante coltivate per acqua ed elementi nutritivi.
Nel giardino i materiali impiegati possono essere i più diversi: da quelli organici (molto
utilizzati corteccia e aghi di pino anche perché si depongono con lentezza) a quelli
inorganici (ghiaia, ciottoli, pietrisco).
Dato che spesso si tratta di materiali incoerenti è bene utilizzarne uno strato piuttosto
elevato (da 10 a 15 cm) anche per evitare che avvenga il passaggio della luce, in modo da
esaltare l’effetto di contenimento nei confronti delle malerbe.
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La progettazione del verde
Manutenzione
Un giardino xeriscape è in genere un impianto a bassa manutenzione. Dato che bisogna
aumentare la compatibilità delle piante con l’ambiente non occorre effettuare frequenti
interventi irrigui, né concimazioni: occorre, infatti, evitare di stimolare la crescita delle piante
in quanto questo potrebbe comportare un aumento del consumo di acqua.
La pratica della pacciamatura, ampiamente utilizzata soprattutto per il risparmio idrico,
riduce fortemente il problema delle malerbe, il che determina significative riduzioni degli
interventi di manutenzione. Le potature sono anch’esse piuttosto sporadiche, anche perché
difficilmente si osservano crescite abnormi. Tutto questo conduce ad una rarefazione delle
operazioni colturali, il che, nell’attuale fase congiunturale aumenta l’interesse a
sperimentare forme di xeriscaping sia negli spazi a verde privati che soprattutto pubblici.
Naturalmente affinché ciò avvenga occorre effettuare una sperimentazione mirata
attraverso soprattutto la predisposizione di “impianti pilota” in modo da meglio definire le
procedure da seguire. Al contempo servono dei riscontri sperimentali sulle effettive
prestazioni delle piante autoctone o di quelle ritenute in grado di rispondere meglio agli
stress idrici, in modo da poter basare la scelta della specie su dati più oggettivi.
*
***
Molte delle soluzioni prospettate – formazione di zone d’ombra, riduzione del prato,
costruzione di invasi per il recupero delle acque piovane, impiego di specie xerofitiche –
appartengono in pieno alla tradizione del giardino meridionale e siciliano in particolare. La
pergola, infatti, è elemento immancabile degli spazi a verde prossimi alle abitazioni assieme
alla presenza del fitto intreccio di vialetti che consente la percorribilità del giardino stesso
escludendo l’impiego del tappeto erboso. La costruzione di cisterne – frequente nell’area
etnea – deve essere vista come la volontà di tesaurizzare l’acqua. Anche l’ampia presenza
di palme, di piante succulente e bulbose nel giardino tradizionale siciliano deve essere
inserita proprio in questa grande capacità, espressa nel passato, di realizzare uno spazio
ornamentale pienamente compatibile con le condizioni ambientali. L’adozione dello
xeriscaping, in questa ottica, non deve quindi essere vista come la pedissequa accettazione
della recente moda d’oltreoceano, ma come opportunità per vivificare e sviluppare modalità
di «fare giardino» che appartengono appieno alla tradizione mediterranea e siciliana in
particolare.
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La progettazione del verde
forma grafica, anche se occorre ricordare che altre figure professionali che si occupano di
verde (es. architetti) sono molto preparati nell’uso di questi strumenti, che sicuramente
attraggono fortemente l’attenzione dell’eventuale cliente. Per tale motivo corredare un buon
progetto con adeguati supporti grafici è una scelta spesso vincente.
Di seguito si riportano le caratteristiche di alcuni degli elaborati che vengono predisposti a
corredo di un progetto:
Planimetria: rappresenta la proiezione orizzontale della sistemazione a verde ad opere
ultimate. Gli elementi vengono raffigurati con segni convenzionali che possono variare,
fermo restando la loro chiarezza di lettura. L’esplicazione dei segni si trova nella legenda,
assieme all’elencazione delle specie e/o delle cultivar che in planimetria sono generalmente
indicate con un numero o una lettera. La planimetria deve indicare in modo chiaro ed
evidente la scala e l’orientamento. È indispensabile riportare lo stralcio catastale e la
planimetria dello stato di fatto originario. I simboli adottati possono essere a colori (in tal
caso occorre tenere conto del numero di copie da preparare, anche se i recenti mezzi
rendono più semplice la riproduzione di documenti a colori) o in bianco e nero.
Piano quotato: riproduce le quote del terreno. I punti con la stessa altimetria vengono
collegati con linee (curve di livello) recanti l’indicazione metrica della quota che può essere
positiva (+) nel caso di rilievi e negativa (-) nel caso di depressioni. Nel primo caso per
convenzione si usa o il colore marrone o una linea continua; nel secondo, invece, il verde o
una linea tratteggiata. Anche in questo caso occorre riportare la scala, l’orientamento e la
legenda.
Sezioni: consistono in immaginari tagli praticati lungo superficie diverse in modo da dare il
profilo che un ipotetico osservatore vedrebbe stando in tali posizioni. Se le ondulazioni sono
lievi si può usare una scala maggiore che deve però essere chiaramente indicata sulla
legenda.
Scorci ed elementi di particolare interesse: devono essere rappresentati in scala
maggiore. Per chiarire gli aspetti paesistici di porzioni della sistemazione a verde sono
estremamente utili gli schizzi prospettici o assonometrici, che mostrano la visuale di un
ipotetico osservatore situato ad una certa altezza rispetto al piano.
Fotografie: è sempre bene allegare immagini dell’area prima della trasformazione o di
elementi di particolare interesse già esistenti. È anche importante fotografare qualsiasi
elemento si ritenga possa essere oggetto di discussione dopo la trasformazione.
Aerofotogrammetria, con i relativi elaborati grafici, è un elemento sussidiario di grande
importanza, soprattutto nelle sistemazioni di spazi a verde di grandi dimensioni.
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
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La progettazione del verde
parcheggi. In particolare per quanto riguarda il verde pubblico viene statuito che debbano
essere lasciati per abitante “m2 9,00 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il
gioco e lo sport, effettivamente utilizzabili per tali impianti con esclusione di fasce verdi
lungo le strade”.
Altri elementi normativi da conoscere per una corretta progettazione solo quelli relativi alla
legislazione sui lavori pubblici, di cui in parte si è detto con riferimento ai capitolati.
La legislazione sul verde pubblico, specificatamente quello collocato in prossimità delle
strade, fa riferimento a:
∗ Segnaletica stradale
∗ Pavimentazioni (regolamento dell’associazione nazionale produttori)
∗ Parcheggi :
− Leggi urbanistiche
− Codice della strada
− Parcheggi per handicappati
− Norme di sicurezza
∗ Piantagione degli alberi e tutela del paesaggio
− Leggi (es. Circolare Ministero Lavori pubblici dell’11.8.66 n. 8321:
Alberature stradali. Istruzioni per la salvaguardia del patrimonio
arboreo in rapporto alla sicurezza della circolazione stradale)
− Codice civile
∗ Regolamenti (vedi verde privato).
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L’impianto del verde
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L’impianto del verde
non è sempre quello più corretto sotto il profilo agronomico, le norme DIN sono quelle cui si
fa ampio riferimento nella pratica ed hanno il pregio di illustrare nel dettaglio le diverse
operazioni e quindi possono essere utilizzate dal progettista come una vera e propria
“check list” delle operazioni da effettuare in fase di impianto.
In particolare le norme DIN 18915, B1 affrontano alcune problematiche relative alle fasi di
impianto e suddividono i suoli in 10 gruppi funzionali in base alle loro caratteristiche e quindi
idoneità a subire i vari interventi.
Sempre secondo tali norme il suolo viene suddiviso, partendo dall’alto verso il basso, nei
seguenti strati:
∗ Strato vegetale o terra di coltura (V): si tratta dello strato sopra il terreno di base o dello
strato drenante o filtrante, facilmente attraversabile dalle radici a causa della sua
composizione e caratteristiche. In funzione del tipo di utilizzazione, esso può essere così
classificato:
◊ strato vegetale caricabile, fortemente sollecitato meccanicamente (Vc) per
esempio per calpestio, gioco, parcheggio;
◊ strato vegetale per piante idonee a luoghi secchi o xerofite (Vs);
◊ strato vegetale per piante idonee a luoghi umidi o igrofite (Vu);
∗ Strato drenante (D): viene inserito tra lo strato vegetale, superficiale, e un terreno di base
non sufficientemente permeabile.
∗ Strato filtrante (F): circonda lo strato drenante e impedisce la penetrazione di terra dallo
strato vegetale o dal terreno di base causata da piogge persistenti o comunque
dall’azione dell’acqua.
∗ Terreno di base (B): si tratta del terreno, naturale o riportato, sotto lo strato vegetale o lo
strato drenante o filtrante.
I parametri di valutazione per determinare l’idoneità del substrato sono i seguenti:
∗ granulometria;
∗ consistenza;
∗ permeabilità;
∗ livello freatico;
∗ contenuto in sostanze organiche;
∗ reazione;
∗ peso specifico allo stato umido.
Per quanto riguarda i
prodotti per il miglioramento
del suolo, questi sono
oggetto di attenzione del
DIN 18915, B2 che li
suddivide in:
Prodotti con sostanze
organiche di origine
naturale o sintetica:
a) torba;
b) terricciato;
c) fango di depurazione;
d) compost;
e) materie plastiche.
Prodotti a granulometria
grossolana, di origine
naturale o sintetica:
a) sabbia, ghiaietto e pietrisco;
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L’impianto del verde
b) materie plastiche;
Prodotti a granulometria fine:
a) argilla;
b) limo;
Le norme DIN 18915, B3 definiscono invece i principali lavori da realizzare per preparare il
terreno all’impianto di un prato o all’inserimento di alberi e/o arbusti. Essi consistono nello
sgombero dell’area di cantiere, il che comporta l’estirpazione delle piante arboree ed
arbustive che si intende riutilizzare (estirpazione che deve essere effettuata nel periodo di
riposo vegetativo, per collocare subito dopo le piante stesse in quella che sarà la posizione
definitiva), l’eliminazione di eventuali strati di suolo non adatti, di materiali nocivi presenti o
di resti di costruzione.
Dopo questa fase si procede alla rimozione dello strato superficiale, la cosiddetta “terra di
coltura” che deve essere accatastata in attesa di riutilizzarla dopo che tutti i movimenti di
terra saranno ultimati. I cumuli di terreno non devono essere troppo grandi, per evitare di
danneggiare la struttura e la fertilità. Si può anche utilizzare tale terreno miscelato con i resti
della copertura vegetale per realizzare i terricciati che trovano impiego nella fase di
trapianto.
Prima di procedere
all’impianto è bene anche
provvedere alla
scarificatura del suolo
stesso. Una pratica molto
importante è quella relativa
alla difesa del suolo: fino
all’impianto delle essenze
arboree e arbustive o alla
realizzazione dei tappeti
erbosi previsti dal progetto
è bene, infatti, eliminare le
malerbe, intervenendo
periodicamente, a intervalli
mensili, mediante
lavorazione meccanica. Se
il periodo tra la lavorazione
del suolo e l’impianto è superiore ai due mesi è bene intervenire con pacciamature per
impedire l’eccessivo essiccamento e, nelle aree minacciate da erosione, con sostanze
collanti in funzione stabilizzatrice.
Quando si deve realizzare un prato o si debbono impiantare le diverse essenze è opportuno
procedere alla somministrazione di concime; talvolta per migliorare la struttura del suolo, si
interviene con la pre-coltivazione, spesso di essenze leguminose, cui segue il sovescio.
Una operazione che deve essere sempre effettuata, soprattutto nei terreni pesanti, è quella
di realizzare delle opere per assicurare un rapido drenaggio delle acque. I vantaggi di questi
interventi consistono in:
∗ più regolare svolgimento dei processi biologici delle piante;
∗ eliminazione dell’umidità in eccesso nei terreni;
∗ miglioramento dello stato di aerazione del terreno;
∗ migliore distribuzione degli elementi nutritivi disponibili per le piante;
∗ aumento del volume di terreno a disposizione degli apparati radicali;
∗ maggiore espansione degli apparati radicali e quindi migliore stabilità delle piante e
migliore sfruttamento delle risorse idriche;
∗ più prolungato “uso” degli spazi a verde”;
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L’impianto del verde
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L’impianto del verde
∗ la sommità del pane di terra non deve mai trovarsi al di sotto del livello del terreno (in
caso contrario vi è il pericolo del ristagno idrico e quindi di marciume);
∗ la superficie del pane di terra deve essere ben incorporata nel terreno circostante;
∗ la realizzazione di una conca per l’irrigazione può risultare utile;
∗ prima della messa a dimora occorre effettuare la “tolettatura” della pianta;
∗ l’orientamento della pianta è importante; nel posizionare la pianta occorre accertarsi
che:
◊ il punto d’innesto (se esiste) non sia esposto verso le parti più assolate (pericoli
di scottature;
◊ se la pianta presenta una chioma
irregolare disporre la parte meno
sviluppata verso la zona meglio
illuminata;
∗ la legatura delle giovani piante con pali
tutori è essenziale; in ogni caso è bene
accertarsi che:
◊ il palo tutore non deve danneggiare
la zolla o l’apparato radicale;
◊ se di legno deve essere
impregnato con sostanze protettive
(durata almeno 2 anni);
◊ nei terreni in pendio i pali devono
essere in direzione opposta al
pendio stesso;
∗ il trattamento con sostanze antitraspiranti è
utile;
∗ in base al sito le piante debbono essere più
o meno protette (es. alberature stradali,
parcheggi, ecc.)
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L’impianto del verde
∗ nel caso di trapianto di grandi esemplari il successo dipende da molti fattori, tra cui:
caratteristiche dei luoghi e delle piante, periodo dell’anno in cui è effettuato;
manutenzione post-trapianto; metodo di trapianto.
Anche la messa a dimora delle piante, relativamente agli alberi ed agli arbusti, è oggetto
delle norme fissate dal DIN 18916. Il primo aspetto analizzato è quello relativo
all’approvvigionamento ed alla custodia delle piante. Se, ad esempio, conformemente al
progetto, devono essere trapiantate piante provenienti dal cantiere o dalla campagna
circostante, si deve innanzitutto verificare che siano immuni da malattie e parassiti. Le
piante più giovani possono essere estratte senza pane di terra, avendo però cura di
salvaguardare le radici, e subito dopo potate e trapiantate nella posizione definitiva. Le
piante adulte devono essere estratte con il pane di terra, di dimensioni pari al triplo del
diametro del tronco, misurato un metro sopra al suolo. La zolla deve essere subito
assicurata con apposito tessuto metallico o con fibre artificiali.
Le piante provenienti da vivai devono essere caricate ordinatamente sui mezzi di trasporto,
disponendo vicine le piante della stessa specie e dimensione, ponendo in basso quelle più
resistenti e in alto quelle più delicate, avendo cura di evitare il surriscaldamento.
Per prevenire l’essiccamento da parte dei movimenti d’aria provocati dal veicolo in
movimento, si devono utilizzare per il trasporto veicoli chiusi. Il trasporto è problematico
quando la temperatura è superiore ai +25°C o scende al di sotto di -2°C.
Al momento dello scarico occorre compensare, mediante bagnatura, le perdite di umidità
verificatesi durante il trasporto. Nel caso in cui il surriscaldamento abbia provocato un
precoce germogliamento delle piante, queste devono essere subito trapiantate in una
stazione provvisoria ombrosa o nella stazione definitiva.
Le piante in ogni caso vanno accatastate in cantiere per un tempo massimo di 48 ore,
avendo cura di evitare sia l’essiccazione che il surriscaldamento.
Ciascuna pianta deve essere collocata in una buca appositamente predisposta, con le
radici nude o il pane completamente circondati da terra soffice. Nei trapianti invernali, le
piante più sensibili al freddo devono essere provviste di una copertura con sostanze adatte,
come paglia o ramaglie. Il controllo e la manutenzione devono essere continui; parassiti e
malattie devono essere combattuti subito dopo la loro comparsa.
L’epoca più adatta per la messa a dimora delle piante varia, come già ricordato, con la
specie. Le piante a foglia caduca devono essere trapiantate nel periodo di riposo
vegetativo. Le piante sempreverdi senza zolla devono essere trapiantate nel primo autunno
o nella tarda primavera, mentre quelle con la zolla possono essere trapiantate nel corso
dell’intero anno, ad eccezione dell’epoca di germogliamento. Le piante in contenitore
possono essere trapiantate tutto l’anno.
Le buche per l’impianto devono essere scavate con una larghezza e una profondità pari ad
almeno 1,5 volte il diametro e l’altezza dell’apparato radicale o della zolla. Nello scavo delle
buche, la terra di coltura deve essere separata dall’altra terra e inserita successivamente
per la copertura della buca stessa. Nel caso in cui il terreno non sia sufficientemente
permeabile, si devono adottare adeguate misure per impedire la formazione di ristagni,
pregiudizievoli all’attecchimento della pianta stessa. Di regola le piante devono essere
trapiantate esattamente alla profondità in cui si trovavano precedentemente. Nel caso di
piante con zolla, la superficie di questa deve essere al livello dell’adiacente superficie del
suolo; infatti, nel caso in cui fosse a livello inferiore, potrebbero subentrare fenomeni di
marciume del colletto per ristagno d’acqua.
Le radici delle piante, dopo aver asportato le parti danneggiate, devono essere inserite nella
loro posizione naturale, non curvate o piegate. Le piante di maggiori dimensioni devono
anche essere orientate con la medesima esposizione al sole che avevano nella stazione di
provenienza. In generale per le piante senza zolle si deve eseguire una potatura delle parti
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L’impianto del verde
aeree, conforme alla specie ed alle dimensioni e tenuto conto inoltre delle condizioni locali e
stagionali. Le piante con zolla, invece, di regola non vengono potate, ad eccezione
ovviamente dell’eliminazione delle porzioni danneggiate. Dopo il trapianto è bene
provvedere all’irrigazione delle piante. Gli esemplari di maggiori dimensioni devono essere
inoltre stabilmente ancorati. A tal fine si devono usare, secondo le specie e le dimensioni,
pali verticali od obliqui, fili di ancoraggio, ecc. Di regola i tronchi ed i rami principali, subito
dopo l’impianto, devono essere provvisti di fasciature o spalmati con sostanze
antitraspiranti che inibiscano l’evapotraspirazione; i materiali utilizzati, però, devono avere
una durata massima di due periodi vegetativi. Le sostanze chimiche utilizzate non devono
ovviamente contenere sostanze solubili dannose alle piante.
In ambiente rurale e/o naturale, le piante giovani che potrebbero essere minacciate dalla
selvaggina o dal bestiame al pascolo devono essere protette mediante verniciatura con
sostanze repellenti.
La rete viaria rappresenta l’elemento fondamentale che consente sia a pedoni che ad
eventuali veicoli di percorrere il giardino stesso senza esercitare pressione alcuna sulla
vegetazione ed in particolare sui prati. È questo un elemento fondamentale sin dai primi
giardini rinascimentali dove i viali erano realizzati lungo assi simmetrici o ortogonali; spesso
tali superfici erano ricoperte da sabbia. Nel giardino paesaggistico inglese, come è noto, le
linee geometriche diritte sono state sostituite con sentieri curvilinei, realizzati spesso in
battuto di terra. Oggi le soluzioni adattate sono diverse, spesso intermedie rispetto agli
esempi prima citati, legate soprattutto alla necessità di collegare funzionalmente le diverse
parti in cui è strutturato un giardino.
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L’impianto del verde
La pavimentazione può essere realizzata con un battuto di terra, ghiaietto (sciolto, non
legato con un conglomerato cementizio), acciottolato (con cemento), massicciata (a
“macadam”), in bitume, in pietra. Quest’ultimo materiale può essere a sua volta suddiviso in
naturale (porfido, lastre di beola scura o bianca, ecc.) o artificiale (manufatti prefabbricati in
cemento).
Gli altri aspetti architettonici, spesso lapidei (scalinate, statue, sculture, grottaglie), elementi
costituenti “forti” del giardino formale all’italiana, sono praticamente scomparsi nelle
realizzazioni più recenti. Talvolta si possono inserire delle sculture o delle ceramiche dai
vivaci colori per impreziosire il giardino. Si tratta però di elementi da inserire con
parsimonia, anche perché quelli caratterizzati da gradevole effetto estetico sono anche di
elevato costo.
Più articolate sono le opere accessorie o attrezzature del verde che sono elementi
insostituibili sia per l’arredo che soprattutto per favorire la fruizione del verde stesso. La loro
presenza dipende anche dalla tipologia di verde e quindi dalle dimensioni di questa, dal
grado di naturalità e dalle funzioni assegnate e/o richieste all’area a verde. Tali attrezzature
debbono supportare alcune attività (escursionistiche, di riposo e distensione, di gioco e
sport) che si svolgono nei parchi e nei giardini.
Di seguito vengono riportati alcuni elementi sintetici per le principali attrezzature del verde.
Le fontanelle d’acqua sono un elemento inscindibile dalle sistemazioni a verde, dove gli
utenti svolgono attività fisiche o, semplicemente, vi si recano nel corso della stagione più
calda. I caratteri fondamentali che si debbono assicurare sono: funzionalità, valore estetico
(molto importante è l’originalità); idonea distribuzione e drenaggio dell’acqua per evitare
problemi di smaltimento dell’acqua in eccesso.
La segnaletica: può essere o direzionale o informativa. Al di là del tipo è bene abbondare in
segnaletica per aiutare l’utente ad orientarsi o a cogliere alcuni messaggi “culturali”
dell’area; la presenza dei cartelli deve però armonizzare esteticamente con la sistemazione
a verde. La segnaletica informativa può essere costituita da:
∗ cartellinatura delle specie botaniche più significative;
∗ pannelli esplicativi di esemplari o associazioni vegetali di particolare interesse;
∗ pannelli esplicativi di specie animali che si possono osservare in quel luogo,
possibilmente con relazioni al tipo di flora;
∗ descrizioni di ambienti particolari naturali o “costruiti” (es. giardino alpino, cinese,
giapponese, ecc.).
Panchine: possono essere costruite con materiali diversi quali cemento, fusioni di ghisa,
materiali plastici, legno impregnato a pressione. Al di là del materiale impiegato, le panchine
debbono rispondere a determinate prerogative, quali:
∗ elevata resistenza all’usura;
∗ aspetto gradevole e di facile inserimento nell’ambiente;
∗ costo contenuto;
∗ comodità;
∗ scoraggiamento dei tentativi di danneggiamento e di furto.
È anche importante “calibrare” il numero ed il “tipo” di panchina all’utenza. Così in particolari
contesti (es. giardino per una casa di riposo), dove non sono da temere atti vandalici, si
possono utilizzare panchine o “sedie” non fisse, realizzate in materiali leggeri, per dare
all’utente la possibilità di spostarle agevolmente in posizioni più gradite (al sole, all’ombra).
È bene anche dislocare in maniera opportuna le panchine per dar modo all’intera utenza di
servirsene.
Tavoli: vanno inseriti soprattutto in quelle aree a verde in cui è prevista la possibilità di fare
picnic. Possono essere realizzati come le panchine in materiali diversi, avendo cura di
inserirli bene nella composizione vegetale e di renderli il più possibile funzionali.
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L’impianto del verde
Contenitori di rifiuti: è un elemento che non può mancare nelle sistemazioni a verde.
Occorre che siano funzionali, esteticamente gradevoli (devono essere facilmente
individuate dall’utente) e ben dimensionati rispetto alla quantità dei rifiuti che deve essere
smaltita. Occorre quindi considerare la frequenza e la dislocazione più opportuna per venire
incontro all’utenza. Un altro aspetto da considerare è la capacità: adottando contenitori di
grosse dimensioni (300-500 litri) si possono diradare le operazioni di svuotamento ma si
aumenta l’ingombro dei contenitori stessi. È bene anche cercare di meccanizzare le
operazioni di raccolta per ridurre i costi di manutenzione.
Illuminazione: assume un ruolo diverso in base se lo spazio a verde è pubblico o privato.
Nel primo caso diventano preponderanti gli aspetti funzionali e di sicurezza degli impianti
che consentono di dilatare il periodo di “uso” dello spazio a verde. Nei giardini privati è
possibile e talvolta richiesto espressamente dalla committenza realizzare, con particolari
lampade, effetti notturni molto suggestivi, per cui l’illuminazione diventa elemento di arredo
di precipuo carattere estetico.
Attrezzi per il movimento ed il gioco: si tratta di elementi di arredo (quali altalene, scivoli,
piccole giostre, ecc.) per i quali occorre curare solo la collocazione e la sicurezza, dato che
quasi sempre vengono forniti già pronti da ditte specializzate. I requisiti che debbono
presentare sono la durata, la qualità e la resistenza dei materiali, la semplicità della forma,
la compatibilità con il “verde” e le altre attrezzature. Le attrezzature ludiche debbono essere
ovviamente calibrate alle diverse età degli utenti.
Le attrezzature più diffuse sono:
∗ altalene: cui occorre assicurare con una idonea progettazione del verde l’isolamento per
avere una adeguata sicurezza;
∗ arrampicate, incastellature: sono spesso realizzati in legno, per motivi estetici e/o
funzionali; occorre predisporre che la superficie sottostante sia soffice per evitare
incidenti
∗ scivoli: anche in questo caso occorre far sì che la superficie sottostante sia soffice
(sabbia, prato) per evitare incidenti.
Nonostante le ditte specializzate si impegnino notevolmente per offrire sul mercato prodotti
“pronti”, non possiamo dimenticare di sottolineare che molto spesso assumono un grande
significato per i bambini elementi semplici e “poveri” (es. tronchi d’albero, pareti bianche per
dipingere, un piano di appoggio).
I principali requisiti che debbono presentare le attrezzature ludiche sono infatti:
∗ originalità e capacità di stimolare la fantasia;
∗ idoneità del materiale di costruzione (sia esso metallo, cemento, plastica e legno).
In ogni caso, soprattutto in uno spazio pubblico, l’elemento più importante da assicurare è
la sicurezza dei piccoli utenti.
Fra i materiali impiegati per la realizzazione delle attrezzature ludiche posto di rilievo
assume in legno in quanto:
∗ armonizza bene con il paesaggio;
∗ offre una sensazione di comfort;
∗ non presenta variazioni termiche molto accentuate essendo un cattivo conduttore di
calore;
∗ è gradevole al tatto.
Molto spesso le attrezzature ludiche per i bambini vengono collocate vicine per realizzare
nello spazio a verde un vero e proprio parco-gioco. Questa area viene spesso recintata per
proteggerla da eventuali azioni vandaliche e soprattutto per garantire la sicurezza dei
bambini. La recinzione ovviamente deve presentare idonee caratteristiche estetiche, essere
funzionale, sicura, ma non “opprimente”.
Nei parchi-gioco inoltre particolare cura deve essere posta nella realizzazione di
pavimentazioni o di aree di sosta. Tali spazi possono essere realizzati in materiali diversi, in
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L’impianto del verde
modo da rispondere con garanzie di sicurezza alle diverse funzioni che l’area svolge. Molto
utilizzati sono:
∗ terreno naturale;
∗ superfici asfaltate;
∗ terra battuta;
∗ rivestimento in cemento;
∗ ghiaietto (poco consigliato, in quanto sdrucciolevole);
∗ lastre di pietra (idonee solo se vi si svolgono attività non motorie).
Un elemento spesso utilizzato nei parchi-gioco è la sabbia che può essere posta in
vicinanza con l’acqua. Naturalmente la manutenzione ed in particolare la pulizia di queste
aree devono essere accurate. L’acqua può essere erogata da fontanelle o essere posta in
piccole vasche. Gli aspetti da considerare sono da una parte la facilità di accesso e
dall’altra, ovviamente, la sicurezza, per cui è bene che i bacini d’acqua, all’interno di un
parco giochi, non superino i 15-20 cm di altezza.
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L’impianto del verde
dallo 0,6% nel 1983 al 12% delle coperture nuove o risanate nel 1997, al 14% nel 2001.
All’interno di questo dato si stima che il verde pensile intensivo rappresenti circa il 15% del
mercato contro l’85% del verde pensile estensivo secondo le stime della Federazione
europea delle associazioni per il verde pensile.
I pochi esempi italiani di interventi a favore del verde pensile si riferiscono ad
Amministrazioni del Nord Italia. Così le Regioni Autonome del Trentino e della Val d’Aosta
rivalutano, grazie alla bioedilizia (costruzioni ecologiche attentamente e armonicamente
inserite nel paesaggio), i tetti verdi. I casi più conosciuti sono quelli dei Comuni di Torino e
Bolzano. Il Comune di Bolzano, in particolare, si sta muovendo su due orientamenti
normativi:
∗ inserire nell’attuale meccanismo delle concessioni edilizie l’obbligo di rinverdire;
∗ fare sì che ciò sia conveniente per i cittadini.
Per quanto riguarda la prima linea di orientamento si è cercato di fissare un parametro
oggettivo che quantifichi il verde urbano non solo rispetto alle dimensioni ma anche alla
qualità. Tale parametro è stato chiamato “indice del verde” ed è inserito nel regolamento
edilizio del Comune di Bolzano come riferimento obbligatorio per ottenere la concessione
edilizia per qualsiasi intervento che modifichi lo stato del verde (pubblico e privato)
esistente, cioè l’indice medesimo. Un progetto può quindi essere approvato solo se
comporta un aumento dell’indice del verde di una determinata porzione di città. Sono stati
attribuiti dei coefficienti alle diverse tipologie di aree verdi esistenti al fine di “pesarle” in
modo diverso nella determinazione dello stesso indice. L’istituzione di tale indice, quale
parametro indicativo dell’impermeabilizzazione e del rinverdimento delle aree urbane, è un
obiettivo che l’amministrazione di Bolzano aveva deciso di raggiungere entro il 2003, con
l’approvazione del nuovo regolamento edilizio.
Con riferimento al secondo orientamento si sta cercando di introdurre incentivi indiretti per
chi crea verde pensile, legati soprattutto alla tassa sullo smaltimento delle acque (fonte,
Comune di Bolzano, Studio sull’inserimento di opere di compensazione e mitigazione
ambientale nelle prescrizioni urbanistiche del comune). A Sestriere, celebre località sciistica
in Val di Susa, l’inserimento nel capitolato d’appalto dei tetti verdi per le abitazioni accelera
l’iter burocratico per ottenere la concessione edilizia. Nonostante si tratti di iniziative tutte
meritorie sono ancora poca cosa rispetto all’attenzione che al problema viene dedicata negli
altri Paesi europei, di cui si è già detto.
Nelle realizzazioni di verde pensile di concezione più avanzata si possono individuare
diversi strati in grado di assolvere alle funzioni necessarie per garantire le condizioni
colturali ottimali. Questi strati si differenziano anche per le caratteristiche fisico-chimiche dei
materiali che li compongono. La successione degli strati necessari per la realizzazione di un
giardino pensile può essere la stessa indipendentemente dal fatto che intervenga sulla
ristrutturazione di terrazze esistenti, cambiandone la destinazione, o che si operi su nuove
strutture. Nel primo caso occorre ovviamente accertarsi che il solaio sia idoneo a
sopportare il sovraccarico dei materiali impiegati. Il giardino pensile impone scelte
progettuali e interventi specifici tali da ricreare condizioni idonee per lo sviluppo delle piante
da una parte e per non operare “danni” alle strutture sulle quali si inserisce la realizzazione
dall’altra. Sotto quest’ultimo profilo assumono particolare importanza aspetti quali
l’impermeabilizzazione, il drenaggio, la resistenza meccanica della struttura stessa (alla
penetrazione delle radici, ai carichi concentrati, alle sollecitazioni accidentali e continue) e
infine la resistenza all’aggressione chimica dei concimi e degli essudati stessi emessi dalle
piante.
La struttura complessiva di un “tetto verde” può essere divisa in due parti: la struttura di
“copertura” e quella di “vegetazione”. La prima deve assolvere alle funzioni costruttivo-
protettive del tetto, mentre la seconda deve assicurare i materiali necessari al
mantenimento della vegetazione. Schematicamente dal punto di vista delle funzioni svolte
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L’impianto del verde
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L’impianto del verde
∗ strato isolante;
∗ schermo al vapore;
∗ soletta portante.
Strato di coltura
Deve mantenere le condizioni fisico-chimiche e biologiche necessarie per lo sviluppo della
vegetazione. Per questi motivi i substrati che normalmente lo compongono devono
possedere:
∗ condizioni chimiche ottimali per la coltivazione delle piante;
∗ un rapporto ottimale tra micro e macroporosità al fine di ottenere una buona ritenzione
idrica, senza pericoli di asfissia per le radici, e di permettere la normale attività della
microflora;
∗ una buona capacità di scambio cationico;
∗ assenza di semi o di altri organi di propagazione di piante infestanti;
∗ buona resistenza al calpestio;
∗ assenza di microrganismi nocivi e di sostanze fitotossiche.
Nei primi esempi di sistemazioni a verde sui tetti, il terreno ha rappresentato il substrato più
importante per la copertura. Il problema maggiore nel suo impiego è, come noto, l’alto peso
specifico, nell’ordine di 1600-1800
kg m-3, il che comporta la
necessità di strutture portanti in
grado di sopportare elevati
carichi. In epoche più recenti,
anche sulla base delle esperienze
maturate nel settore vivaistico e
dell’impianto dei tappeti erbosi, i
substrati utilizzati sono
rappresentati da terreno
ammendato con altri materiali
naturali e di sintesi. Fra quelli
minerali sono utilizzati, grazie al
loro basso peso specifico, l’argilla
espansa e la pomice. Fra i
substrati di origine organica,
impiegati per accrescere la
capacità di scambio cationico,
possiamo ricordare soprattutto le
torbe. Di recente sono stati
utilizzati soprattutto substrati di
origine artificiale, forniti sotto
forma di lastre o di materassini.
Fra questi possiamo ricordare
soprattutto la lana di roccia e i Particolari costruttivi di un giardino pensile estensivo
polimeri plastici espansi. La prima
si presta soprattutto a formare lo strato inferiore del substrato di coltura nei rinverdimenti
intensivi in quanto, a causa della bassa ritenzione idrica che la caratterizza, necessita di
regolari interventi irrigui. La lana di roccia è comunque un materiale che tende a degradare
nel tempo e a perdere soprattutto l’elasticità. Le lastre di materiali espansi integrati con
sostanza organica ed elementi nutritivi, si prestano ad essere impiegate, in doppio strato,
su rinverdimenti estensivi anche su tetti inclinati.
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L’impianto del verde
Strato filtrante
Serve a dividere il terreno di
coltura dal sottostante
drenaggio. La sua funzione è
di ostacolare la discesa dei
materiali a granulometria fine
e dei colloidi che potrebbero
intasare lo strato sottostante e
limitarne la funzionalità. È
generalmente costituito da
geotessili o feltri formati da
fibre di materie plastiche quali
poliammide, poliestere,
polietilene, polipropilene, ecc.
Tutti i materiali impiegati
devono garantire l’assenza di
sostanze fitotossiche, la
resistenza agli agenti chimici
presenti nel substrato, la
stabilità fisico-chimica,
l’efficacia dell’azione di
filtraggio, la permeabilità, la
conservazione nel tempo delle
caratteristiche iniziali. I
materiali maggiormente usati -
feltri e teli di geotessile -
presentano uno spessore di
0,7-4,0 mm ed un peso
specifico nell’ordine di 150-
400 g m-2.
Strato drenante
Questo strato può svolgere sia
la funzione di drenaggio delle
acque in eccesso che quella di
riserva idrica al pari di una
vera e propria “falda
artificiale”. I materiali impiegati
possono essere sia elementi
sciolti leggeri ed espansi di
tipo idrofilo che elementi
precostituiti non idrofili. Lo
spessore dello strato è
sempre in funzione del Dettagli tecnici delle coperture intensive complesse in rapporto al carico
sistema di rinverdimento e ed alle pendenze.
dell’organizzazione degli strati.
In alcuni sistemi si può ovviare alla mancanza di uno strato filtrante, comprendendo nello
strato di drenaggio uno spessore di sabbia a granulometria differenziata. Nei rinverdimenti
estensivi i materiali di drenaggio hanno anche una funzione di accumulo di acqua e
pertanto devono essere caratterizzati da una buona capacità di ritenuta idrica.
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L’impianto del verde
Strato protettivo
Ha funzioni protettive nei confronti della struttura dell’edificio e degli strati isolanti. Esso
deve essere in grado di sopportare gli sforzi di natura fisico-chimica prodotti dalle piante e
dai diversi strati sovrastanti il rinverdimento. Esso di solito viene realizzato con gettate di
calcestruzzo alleggerito dello spessore di circa 5 cm. Frequente è anche l’impiego di
cartonfeltro e di geotessili.
Strato antiradice
Svolge le funzioni di difesa del tetto da parte dell’aggressione delle radici delle piante. In
alcuni casi tale funzione è svolta dallo strato utilizzato per l’impermeabilizzazione, in altri
viene realizzato uno strato a sé stante. I materiali impiegati devono possedere, oltre alla
resistenza fisico-chimica all’attraversamento delle radici, anche caratteristiche di resistenza
ai raggi U.V., alla trazione, alla dilatazione ed alla pressione idraulica. Queste
caratteristiche dipendono sia dai materiali impiegati che dallo spessore dello strato e dalle
tecniche adottate nella posa in opera. I prodotti impiegati sono le membrane bitumose
armate o i polimeri plastici, in prevalenza P.V.C.
Strato divisorio
Serve a separare, quando necessario, lo strato antiradice o quello isolante dalla copertura.
Viene impiegato quando questi due strati sono realizzati con materiali incompatibili dal
punto di vista chimico e il cui contatto potrebbe originare fenomeni di degrado.
Strati isolanti
L’isolamento termico e l’impermeabilizzazione rappresentano un binomio inscindibile:
pertanto i materiali adottati per le due funzioni non devono presentare alcun problema per
quanto riguarda la compatibilità chimica. L’impermeabilizzazione serve a conferire alla
copertura l’impermeabilità all’acqua meteorica resistendo contemporaneamente a
sollecitazioni fisiche, meccaniche e chimiche determinate dall’ambiente esterno. Tale strato
deve inoltre resistere alle deformazioni del supporto causate dalle escursioni termiche.
L’impermeabilizzazione riguarda anche gli elementi di costruzione che sono solidali con il
supporto ed in particolare con i rilievi per il contenimento del substrato di coltura. La
membrana deve così obbligatoriamente superare di alcuni centimetri il livello del substrato.
Nel caso frequente di coperture solo parzialmente rinverdite, l’impermeabilizzazione deve
estendersi per almeno un metro verso le parti della copertura non interessate dalla
vegetazione. I sistemi di impermeabilizzazione possono essere semplici oppure garantire
anche la protezione nei confronti delle radici. Nel primo caso vengono impiegate soprattutto
miscele di bitume o teli bitumati posti in un solo strato. Quando tale strato svolge anche la
funzione antiradice sono previsti sistemi a doppio strato di membrane bitumose rinforzate
oppure membrane plastiche a base soprattutto di P.V.C. poste ad un solo strato e saldate
con sistemi termici. La scelta del materiale e della tecnica di posa dipende sia dal tipo di
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L’impianto del verde
Strato portante
Rappresenta la base su cui poggia l’insieme degli elementi strutturali che abbiamo in
precedenza descritto e che costituiscono il cosiddetto “tetto verde”. Tale elemento portante
deve quindi essere in grado di sopportare i carichi permanenti e gli eventuali sovraccarichi.
Naturalmente i carichi sono da calcolare saturi d’acqua e si devono considerare anche i
carichi periodici, saltuari e straordinari.
Al fine di regolarizzare la superficie a contatto con gli strati superiori e per adeguare le
pendenze con quanto richiesto dal sistema di rinverdimento e dal relativo drenaggio può
essere opportuno realizzare uno strato di livello o di pendenza. Tale pendenza deve avere
un valore minimo in direzione dei collettori del sistema di drenaggio nell’ordine dell’1,5%;
pendenze maggiori assicurano un più rapido allontanamento delle acque meteoriche.
Fra gli impianti che più frequentemente vengono utilizzati nella realizzazione dei tetti pensili
possiamo ricordare gli impianti di drenaggio e quelli di irrigazione. In alcuni casi inoltre si
ritiene opportuno dotare queste realizzazioni di strutture antincendio e di difesa dal vento.
Di seguito sono riportati alcuni aspetti generali relativi ad alcuni degli impianti e delle
strutture presenti nei giardini pensili.
Impianti di drenaggio
Lo smaltimento dell’acqua in eccesso del substrato di coltivazione è condizione essenziale
per il funzionamento ed il mantenimento nel tempo dei rinverdimenti. A seconda del
posizionamento dei collettori finali per l’allontanamento dell’acqua e delle loro specifiche
funzioni possiamo distinguere impianti:
∗ a drenaggio interno, quando i collettori servono ad allontanare le eventuali precipitazioni
che provengono dalle strutture contermini;
∗ a drenaggio esterno, quando i collettori raccolgono sia l’acqua proveniente dalla
sistemazione a verde che dalle strutture contermini;
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L’impianto del verde
Impianti di irrigazione
Sono utilizzati soprattutto per le tipologie di verde pensile di tipo intensivo per le quali,
anche per mantenere un idoneo effetto ornamentale della vegetazione, occorre
compensare le perdite di acqua per evapotraspirazione. Per maggiore facilità di uso si
preferisce utilizzare impianti di tipo fisso che consentano, inoltre, l’automazione. Impianti di
tipo semifisso e mobile possono essere realizzati ma solo nel caso in cui l’irrigazione abbia
carattere sporadico.
I metodi di irrigazione adottati possono essere sia per aspersione che a microportata
localizzata, i cosiddetti metodi a “goccia”.
Specifici degli impianti di verde pensile sono i cosiddetti metodi di subirrigazione o di
irrigazione sotterranea che si basano sul principio di somministrare l’acqua al di sotto della
superficie del terreno. In questo caso l’aspersione viene assicurata da un tubo di materiale
plastico espanso interrato che permette, grazie ad una bassa pressione (nell’ordine di 1,5-
2,0 atm), la trasudazione dell’acqua attraverso i micropori che caratterizzano la sua
struttura. La risalita dell’acqua dal terreno fino alle radici avviene per capillarità. Le maggiori
perplessità nei confronti di questi metodi di irrigazione attengono alla “durata” dell’impianto
stesso, dato che i tubi si possono occludere a causa della salinità dell’acqua, determinata
anche dalla fertirrigazione.
Un altro sistema di più recente introduzione che si è rapidamente diffuso in molti tipi di
rinverdimento intensivo è il cosiddetto sistema di irrigazione-drenaggio. Esso si basa sul
principio di prevedere una settorializzazione della sistemazione a verde in grandi vasche di
superficie pari a circa 200 m2, con il fondo impermeabilizzato. Le vasche, sulle quali
vengono disposti i diversi strati che costituiscono la struttura del rinverdimento, servono ad
accumulare l’acqua secondo un livello prestabilito da cui risale al substrato di coltura per
capillarità. Un sistema integrato di canalizzazione e di drenaggio permette l’erogazione
dell’acqua durante la stagione asciutta ed il suo smaltimento a seguito delle precipitazioni
meteoriche.
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L’impianto del verde
tale motivo occorre scegliere substrati o materiali pacciamanti di più elevato peso specifico.
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