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MIDDA’S CHRONICLES

VOLUME SECONDO

CONDANNATA
E ALTRE STORIE

Sean MacMalcom

Un libro New Wave Novelers


in collaborazione con Lulu.com
2 Sean MacMalcom

Prima pubblicazione nel 2008 su http://middaschronicles.blogspot.com/


Prima pubblicazione cartacea in Italia nel 2009 da Lulu.com

© Sean MacMalcom 2008

Stampato e venduto
da Lulu.com

Tutti i contenuti di questa pubblicazione sono sotto


protezione del diritto d'autore (legge 22 aprile 1941 n. 633 e seguenti).
Qualsiasi plagio dell'opera o parte di essa verrà perseguito
a norma delle vigenti leggi internazionali.

Immagine di copertina e grafica interna a cura di


Giuliana Lagi

La pubblicazione giornaliera degli episodi di Midda's Chronicles


è disponibile all’indirizzo
http://www.middaschronicles.com/

Altre pubblicazioni New Wave Novelers


sono disponibili all’indirizzo
http://newwavenovelers.altervista.org/
MIDDA’S CHRONICLES 3

A Daniela M. G. G. M.

“Stay” is a charming word


in a friend's vocabulary.
“Resta” è una parola irresistibile
nel vocabolario di un amico.
Louisa May Alcott (1832 - 1888)
4 Sean MacMalcom

La saga
MIDDA’S CHRONICLES

Volume primo
Il tempio nella palude (e altre storie)
MIDDA’S CHRONICLES 5

Introduzione

Caro lettore,

se è già stato mio onore presentarmi alla tua attenzione, attraverso


righe simili a queste, in occasione del primo volume delle Cronache, posto
in vendita lo scorso 11 gennaio, non posso che essere più che lieto di
rincontrarti in concomitanza all’uscita di questo secondo tomo cartaceo,
sperando di poterti concedere nuovamente una lettura piacevole, qual
ovviamente confido possa essere stata la precedente.
Se, al contrario, non mi è mai stato concesso, in passato, modo di
giungere, con le mie parole, alla tua attenzione, permettimi di dichiarare,
in assoluta sincerità, quanto io sia ugualmente, e forse maggiormente, lieto
di potermi introdurre in questo modo al tuo sguardo, dove, nel reggere fra
le tue mani il frutto del mio, e non solo mio, impegno, mi doni grande
motivo di orgoglio.

Altri quattro racconti – C’è chi dice che la prima volta sia la più
difficile. E, in verità, nell’organizzazione di questo secondo volume, molto
impegno posto nel corso della realizzazione del precedente mi ha concesso
di agire con incedere più sicuro, confidente con scelte di formato, grafica,
impaginazione et similia che non hanno più preteso la mia attenzione, non
in maniera tanto stressante come era stata nel dicembre 2008. Ciò
nonostante, l’affanno della vita quotidiana, non mi ha consentito di
prestare fede alla promessa formulata fin da allora, quando annunciai con
eccessivo trasporto l’uscita del secondo tomo entro sei mesi, sebbene già
all’epoca tutto il materiale necessario fosse stato ormai pubblicato online,
all’interno del blog (http://www.middaschronicles.com/) che ospita il
moderno feuilleton qual è quest’opera, con le proprie pubblicazioni in
episodi a cadenza quotidiana. A ben dieci mesi di distanza dalla prima
uscita, comunque, Midda’s Chronicles ha finalmente avuto occasione di
trasferire ancora una volta le proprie storie, le proprie avventure,
dall’universo del digitale a quello più classico della carta, in un secondo e,
spero, entusiasmante appuntamento con la donna guerriero già
protagonista di ben cinque racconti nella precedente raccolta.
In questo tomo, di quasi cento pagine più cicciotto del precedente,
quattro saranno le avventure nelle quali Midda Bontor dovrà porre il
proprio impegno. Quattro storie fra loro autonome, nel classico stile già
presentato in passato, e pur collegate, quali parti di un unico arco
6 Sean MacMalcom
narrativo, di una sola grande avventura, rendendo sempre più presente,
sempre più saldo, un concetto di continuità all’interno di questo nuovo
universo narrativo in costante crescita. Accanto al testo scritto, ormai
irrinunciabili, non mancheranno di offrirsi ai tuoi occhi altre quindici
tavole inedite a cura di Giuliana Lagi, le quali, in conseguenza del
successo riscosso in passato, si sono imposte come appuntamenti
irrinunciabili, atti a impreziosire, con il fine tratto che li contraddistingue,
questa stessa opera.

Sempre su Lulu.com – Così come già in passato e, spero, ancora in


futuro, la pubblicazione della Cronache è stata resa possibile da Lulu.com.
La collaborazione con il primo servizio di self publishing al mondo, al fine
di rendere fattibile la presentazione del precedente volume, ha già offerto
ottimi risultati e una completa soddisfazione sotto ogni profilo, tale da
non spingermi a prendere in esame alternative alla stessa.
Nella medesima qualità di materiali, nell’uguale taglio di pagina e
nella stessa rilegatura che già hanno avuto modo di caratterizzare la
pubblicazione de Il tempio nella palude (e altre storie), quindi, si propone
anche questo secondo tomo, nella speranza che l’inevitabile, per quanto
leggero, aumento del prezzo di copertina non possa essere risultato di
ostacolo per te. Purtroppo il visibile incremento del numero di pagine ha
comportato un aumento del costo di produzione, secondo vincoli sui quali
non mi è concessa alcuna facoltà di decisione o intervento.

Ancora Yeshe Norbu e Tibetan Children's Villages – Come il bollino


verde nuovamente presente in copertina potrebbe averti fatto intuire,
specialmente se reduce dalla lettura della pubblicazione dello scorso 11
gennaio, anche in occasione della proposta di questo nuovo prodotto, con
estremo piacere, ho potuto rinnovare l’iniziativa di beneficienza che già
aveva caratterizzato l’uscita del primo volume. In virtù di tal ragione,
ancora in collaborazione con Yeshe Norbu Appello per il Tibet o.n.l.u.s.
(http://www.adozionitibet.it/), per ogni copia venduta la cifra simbolica
di 1 euro, pari al mio personale e inalterato guadagno sul prezzo di
copertina, verrà infatti devoluta in favore dei Tibetan Children's Villages
(http://www.tcv.org.in/).
A seguito dell’occupazione cinese del Tibet, Tsering Dolma, sorella del
Dalai Lama, decise di iniziare a occuparsi dei troppi bambini che, orfani,
ammalati e malnutriti, stavano cercando rifugio in India, fuggendo
lontano dalla terra loro negata, dalle famiglie loro sottratte, istituendo nel
1960 la Nursery for Tibetan Refugee Children. Originariamente pensata per
offrire unicamente cure primarie ai bambini in esilio, la Nursery, sotto la
direzione di Jetsun Pema, in sostituzione della sorella scomparsa
MIDDA’S CHRONICLES 7
prematuramente nel 1964, e sostenuta dall’impegno del volontariato, ebbe
modo di ampliare le proprie competenze e veder crescere le proprie
dimensioni fino a raggiungere quelle di un piccolo villaggio, offrendo, al
proprio interno, ai bambini nuove case e scuole in cui trovare rifugio e
istruzione: nel 1972 venne così formalmente registrato il primo Tibetan
Children's Village (TCV), diventando anche membro del SOS Children’s
Villages. Da allora il TCV ha dato vita a numerose installazioni in tutta
l’India, arrivando oggi a ospitare più di 16.000 bambini, offrendo loro una
speranza di vita altrimenti negata.

Detto ciò, prima che le parole impiegate in questa introduzione


possano spendersi in maniera spropositata, sottraendo indebitamente il
tuo tempo alla lettura del resto dell’opera, altro non voglio aggiungere a
quanto già scritto.
Con un doveroso ringraziamento per il tuo acquisto, anche a nome di
Yeshe Norbu, non posso evitare di augurarti una serena lettura, nel
desiderio che il frutto dell’impegno posto in queste pagine possa essere
apprezzato, così come spero sia stato in passato e come potrà ancora
essere in futuro.

Sean MacMalcom
8 Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 9

Sommario

Introduzione ...................................................................................................... 5
Sommario ........................................................................................................... 9

Condannata...................................................................................................... 11
I quattro cavalieri .......................................................................................... 159
La corona perduta......................................................................................... 315
Trent’anni dopo............................................................................................. 511

Ringraziamenti .............................................................................................. 683


Prossimamente… .......................................................................................... 685
10 Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 11

Condannata

n nuovo anno aveva visto la vita in Kofreya, regno sud-


occidentale del continente di Qahr, riprendere il proprio corso
U nel proporre un primo mese di Pachma identico all’ultimo
affrontato, dopo la conclusione della stagione invernale e
l’arrivo della primavera.
Al di là del ritorno di un clima più mite, al di là della ripresa delle
attività agricole, al di là di ogni lunga lista di buoni propositi offerti in
voto alla più disparata serie di divinità, ognuno secondo il proprio credo e
ognuno secondo le proprie convinzioni, nulla era mutato rispetto a un
anno prima, ritrovando i medesimi giochi di potere interni, le medesime
guerre esterne, la medesima vita per tutti. Coloro i quali, compresi nella
parte predominante della popolazione, fino ad alcune settimane prima
non erano stati in grado di sperare nella propria sopravvivenza, di
confidare nel presente o nell’eventualità di un futuro, dopo i
festeggiamenti del giorno di Transizione a fine inverno e del giorno di
Capodanno immediatamente seguente, si erano ritrovati esattamente nelle
medesime condizioni nelle quali avevano salutato il termine del vecchio
anno. Al contempo, coloro i quali, in una quantità decisamente minoritaria
rispetto agli altri, fino ad alcune settimane prima si erano potuti
permettere di sperperare immense ricchezze nella soddisfazioni di
personali capricci, anche banali e superflui, per garantire l’esecuzione dei
propri comandi e l’ottemperanza dei propri voleri, non avevano avuto
alcun timore di vedere mutata la propria condizione agiata e privilegiata,
non avevano avuto dubbi nel ritrovarsi esattamente come già in passato
anche dopo il passaggio al nuovo ciclo di rivoluzione solare, come
arrogantemente si erano abituati a credere di essere stati destinati a essere
da una volontà superiore, dal fato.
L’umana esistenza, del resto, nulla era al di fuori di quello: un lungo e
inesorabile percorso circolare che, di anno in anno, di stagione in stagione,
avrebbe proposto nuovamente i passi già compiuti nonostante ogni
sincera volontà di intraprendere nuovi cammini, vie alternative,
probabilmente quale conseguenza dell’inconscia consapevolezza che mai
si sarebbe potuta trovare possibilità di evasione da quel destino ma, ciò
nonostante, nell’immancabile speranza di poter sempre tendere a qualcosa
di più: alla vita, per coloro a cui era normalmente negata, o a nuovo
potere, per coloro che usualmente già ne possedevano in eccesso.
12 Sean MacMalcom
Per quanto il regno di Kofreya non fosse solito risentire in termini
eccessivi della stagione invernale, godendo di un clima principalmente
temperato anche in tale periodo, non per semplice fortuna quanto
piuttosto in virtù della posizione occupata all'interno del continente, con
l’arrivo della primavera ogni attività aveva ugualmente trovato anche in
esso nuovo vigore, come al risveglio da un lungo riposo che, altresì, tale
non era stato.
Primi fra tutti erano stati i mercanti, i quali avevano ripreso ferventi i
propri itinerari, senza più il timore dell’eventualità di passi montani
bloccati dalla neve, nell’esigenza di spingere rapidamente i propri
commerci in sempre nuovi territori. In una chiara e ironica dimostrazione
dell’umano destino e della sua intrinseca condanna, benché animati da un
tale proposito, essi avrebbero ovviamente concluso la propria avventura
ripercorrendo vie note, ormai abitudinarie, che li avrebbero condotti
inevitabilmente a mercati già visitati, dove, in verità, solo avrebbero
desiderato, giungere a dispetto di ogni altra voce, di ogni parola in senso
opposto. Ciò nonostante, pur considerando la familiarità con le
destinazioni entro le quali avrebbero osato avanzare, allo scopo di
proteggere, salvaguardare, tanto un simile traffico di merci, spesso
preziose, quanto l’oro naturalmente presente accanto alle stesse, la
richiesta di personale mercenario non era né sarebbe mai potuta venir
meno. Al contrario, nell’incessante guerra di confine con il regno di
Y’Shalf, nel pericolo rappresentato dai briganti e nelle disfide territoriali
interne fra piccoli signori, irrinunciabile si sarebbe dimostrata essere la
necessità di un numero sempre maggiore di uomini e donne da porre a
difesa delle proprie ricchezze, trasformando, in tal modo, quelle che
sarebbero dovute essere semplici missioni commerciali in vere e proprie
operazioni paramilitari.
La maggior parte dei mercanti, per sopperire a tale fabbisogno, aveva
rivolto la propria attenzione verso quanto conosciuto con il nome di
Confraternita del Tramonto, una libera organizzazione mercenaria che
riuniva nelle proprie vaste schiere uomini e donne provenienti da ogni
parte del regno, con il solo desiderio di trovare in quell’identità di gruppo
reciproco supporto e maggiore forza contrattuale nel confronto con i
diversi mecenati. Pur non essendo, nelle proprie origini o nei propri scopi,
un’iniziativa negativa, nel corso del tempo la Confraternita aveva
acquisito sempre più potere in quasi tutte le province del regno, tradendo
la propria natura e giungendo a imporsi, spesso tramite abusi violenti,
sopra chiunque avrebbe potuto competere con loro, nel voler impedire, in
ciò, la possibilità per mercenari indipendenti di riuscire a sopravvivere a
lungo come tali.
MIDDA’S CHRONICLES 13
All’interno di siffatto scenario, pertanto, solo ai combattenti migliori,
ai guerrieri più abili, sarebbe stato permesso di continuare a esercitare la
propria professione entro i confini di quel dominio, non tanto per volontà
della Confraternita quanto piuttosto unicamente in conseguenza della
propria stessa forza, valore, coraggio, i quali da sempre avevano e per
sempre avrebbero concesso loro di imporsi sopra a qualsiasi avversario,
diventando sempre più richiesti, più desiderati dai mecenati.

In quei giorni primaverili, in un’osteria di un villaggio rurale sito a


non più di un giorno a cavallo dalla città di Kirsnya, capitale
dell’omonima provincia a occidente del regno, sembrava aver preso fisso
alloggio una donna, una mercenaria entrata nel mito per le proprie
imprese incredibili che le erano valse il tributo di molte ballate, ultima fra
tutte, in tempi recenti, quella che l’aveva vista consacrata con l’appellativo
di Figlia di Marr’Mahew, dea della guerra: Midda Bontor.
Da ormai un’intera settimana, ella sembrava attendere qualcosa, o
qualcuno, silenziosamente seduta in un angolo del locale, concedendosi
interruzione in tale vigilante veglia solo per dedicarsi alla cura del proprio
corpo, nonché per il riposo notturno, entrambe attività che svolgeva nella
riservatezza di una stanza presa in affitto all’interno di quello stesso
edificio. Da quando era giunta in quel tranquillo insediamento di
allevatori e contadini, abbastanza lontani dai fronti caldi da riuscire a
continuare a vivere un’esistenza quasi consueta, ella non aveva rivolto la
propria attenzione ad alcuno, la propria parola ad anima viva, nell’unica,
ovvia e necessaria, eccezione rappresentata dell’ostessa, proprietaria del
luogo. Solo con quest’ultima, la donna guerriero si era relazionata, nella
necessità di mangiare, bere e dormire, oltre a quella di poter usufruire di
una tinozza per provvedere alla pulizia del proprio corpo con un bagno: al
di fuori di simili normali richieste, però, ella non aveva neppure provato a
conoscere un nome o un qualsivoglia appellativo della propria
interlocutrice, fornendo altresì senza problemi ogni propria credenziale e
facendo, in tal modo, rapidamente diffondere la voce della sua presenza lì.
Nulla sembrava poter essere in grado di smuoverla dalla posizione
che aveva acquisito in quell’osteria, nulla sembrava poterle interessare
oltre le mura che la circondavano, nonostante alcuna atonia sarebbe
potuta essere ritrovata nel suo sguardo o nelle sue azioni. I suoi due occhi
color ghiaccio, infatti, rilucevano sempre vivi e scattanti, al di sotto dei
ciuffi indisciplinati di capelli corvini che, privi di controllo, le ricadevano
talvolta davanti al viso, e non sembravano permettere ad alcun
movimento di essere compiuto all’interno o all’esterno del locale senza
che essi ne potessero aver immediatamente analizzato eventuali
implicazioni. A tal fine, ella non si concedeva neppure alcuna possibilità
14 Sean MacMalcom
di perdere il controllo, di smarrire la prontezza di riflessi, rifiutando senza
eccezioni qualsiasi offerta di cibi o bevande che potessero risultare
minimamente inebrianti e ponendosi, in ciò, ben lontana da quanto si
sarebbe potuto supporre nei riguardi di chi, da oltre una mezza dozzina di
giorni, non cercava distacco da un tavolo d’osteria. Inevitabile, in tutto
quello, sarebbe stato ipotizzare come la donna fosse in attesa, paziente e
silenziosa, di un qualche evento e, in simile aspettativa, l’interesse di tutti
coloro che in quel villaggio vivevano o si ritrovarono a passare per caso in
tale periodo non poté che essere naturalmente coinvolto.
Ogni impegno che ella avrebbe potuto avere, però, fu infine reso vano
dall’arrivo di un contingente dell’esercito kofreyota, un gruppo armato di
una trentina di elementi, inviato lì unicamente per lei.

Marciando con ritmo cadenzato, i soldati rivestiti proprie uniformi blu


e argento e avvolti in mantelli di vari colori, ognuno indicante un diverso
grado gerarchico, si disposero senza fretta, senza premura, attorno al
perimetro dell’edificio, nella volontà di prevenire, evidentemente, ogni
possibilità di fuga della donna guerriero dallo stesso. Il loro comandante,
un giovane tenente dai corti capelli rossi, circondanti un viso ovale e
fanciullesco ornato da chiari occhi verdi, fu l’unico che avanzò all’interno
dell’osteria, dopo la fine di simili manovre.
Nessuno dei presenti nell’edificio sembrò offrire peso a quell’azione, a
quella presenza, non avendo del resto ragioni per temere il proprio stesso
esercito, le forze armate della nazione con la quale non sentivano di avere
conti in sospeso. Neppure Midda, in effetti, sembrò porsi in allarme, per
quanto i suoi occhi non evitarono di puntare con freddezza e attenzione al
nuovo arrivato, il quale avanzò verso di lei, fino a porsi fiero ed eretto
accanto al tavolo dove era accomodata.

«Midda Bontor.» dichiarò con tono di voce forte e deciso, quello di un


uomo abituato a essere obbedito, ascoltato «E’ questo il tuo nome, vero?»
«Mmm…» aggrottò ella la fronte, sollevando lo sguardo con aria
sorniona «Può darsi: cosa cerchi, ragazzo?»
«In conseguenza delle accuse di pirateria già pendenti sul tuo capo
nella provincia di Kirsnya, nonché in conseguenza di nuove imputazioni
offerte a tuo carico, quali l’evasione dalle prigioni della capitale, il
rapimento e l’assassinio di lord Sarnico, sono giunto qui per porti in stato
d’arresto.» continuò con fermezza il tenente, non prestando attenzione al
tono della donna «L’uso della forza è stato preventivamente autorizzato,
ma personalmente preferirei evitarlo.»
MIDDA’S CHRONICLES 15
Sorridendo divertita dalla chiara consapevolezza delle ragioni che
invitavano l’ufficiale a offrirle tanta cortesia, la mercenaria levò
lentamente le proprie mani verso di lui, prima di sollevarsi altrettanto
delicatamente, quasi sensuale in un gesto indolente che non era proprio
alla sua natura, a dimostrare la propria mancanza di avversione.

«Ce ne avete messo di tempo per decidervi a raggiungermi…»


commentò, semplicemente.

cortata da un piccolo esercito, quasi fosse regina piuttosto che


prigioniera, Midda Bontor fu condotta nuovamente a Kirsnya,
S nell’adempimento da parte dei soldati delle istruzioni ricevute
dai propri superiori. E sebbene si fosse consegnata del tutto
spontaneamente ai propri carcerieri, ella compì il viaggio verso la capitale
in catene, trovando in ciò chiara riprova del timore che la sua presenza era
in grado di suscitare fra coloro incaricati del suo arresto.
Nell’assenza di armi sul proprio corpo e nella mancanza di
qualsivoglia reazione al momento del proprio arresto, ella offrì ai trenta
uomini di quel plotone più inquietudine di quanto, probabilmente,
sarebbe stata in grado di concedere loro combattendo come una tigre,
falciandoli quali steli di grano sotto lo sguardo del villano. Nessuno,
infatti, riuscì a gioire per la tranquillità di quell’azione, del successo di
quella missione, nell’insana ma realistica convinzione che, comunque, la
loro vittoria fosse stata solo apparente e fittizia e che l’unica ad aver avuto
la meglio fosse stata proprio la mercenaria, per quanto ad alcuno era stata
offerta possibilità di comprenderne le ragioni.

Nell’accamparsi poco fuori dalla capitale, nell'essere costretti ad


attendere una nuova alba prima di poter rientrare in essa, in conseguenza
delle porte d’ingresso ormai chiuse e inviolabili nell’esagonale cinta
muraria posta a protezione della sua popolazione, ogni precauzione fu
presa nei confronti della prigioniera, quasi fosse un demone, un’oscura e
malvagia divinità, più che una semplice donna. Le pesanti catene che per
tutto il tragitto avevano legato le sue braccia e gambe ai fianchi vennero
puntellate a terra, tendendosi radiali attorno a lei per immobilizzarla in un
singolo punto, per non offrirle possibilità di movimento alcuno.
Dei trenta uomini che costituivano quell’esercito, tre furono i gruppi
di guardia imposti dal tenente, loro comandante, laddove non meno di
dieci fra loro sarebbero dovuti restare costantemente vigili nei confronti
16 Sean MacMalcom
della mercenaria, a prevenire ogni ipotesi di fuga, a evitare una strage
notturna ritenuta comunque improbabile. Per quanto terribile fosse la
fama della donna, in effetti, ormai nessuno riusciva a temere una simile
eventualità, nella consapevolezza comunemente maturata che ella avesse
voluto tutto ciò e, per tale ragione, che non avrebbe offerto ostacoli fino a
quando non avesse avuto uno sprone a farlo. Probabilmente anche in
conseguenza di tale pensiero, nonostante le catene che ne costringevano le
forme, la sua apparente quiete e la disparità numerica esistente fra loro, in
quel tragitto non le fu mai offerto alcun sopruso, non fu tentata verso di lei
alcuna violenza, sebbene una tale azione sarebbe stata umanamente
prevedibile, nella possibilità offerta ai suoi carcerieri di essere in
vantaggio su una famosa guerriera, ora ridotta a schiava. Al contrario,
senza necessità di alcun ordine da parte del tenente, in tal senso, massime
premure vennero a lei concesse tanto nel corso giornata, quanto giunti a
sera: addirittura, poi, al momento della cena fu lo stesso comandante di
quel gruppo a porsi in azione per condurre alla propria prigioniera una
ciotola in legno con un'abbondante porzione di zuppa di verdure, offerta
tutt’altro che dovuta nelle reciproche posizioni occupate.

«Questa è per te.» dichiarò egli, proponendole ormai un tono meno


impostato rispetto a quello adoperato nel corso loro primo incontro,
tendendo il piatto nella sua direzione «Non avere timori: non contiene
veleni o droghe.»
Midda, costretta in una posizione inginocchiata a terra dalle proprie
catene, accucciata ai suoi piedi, sollevò di poco le proprie mani, nei limiti
di quanto a lei consentito, per accogliere l’offerta: «Grazie.» rispose con
tono freddo, ma non avverso.

Dopo aver appoggiato la ciotola fra le estremità della donna,


ovviamente senza fornirle alcun genere di posata potenzialmente troppo
pericolosa, egli indugiò un istante, rimandando il cammino che avrebbe
dovuto vederlo tornare dai propri uomini, allontanarsi dalla prigioniera.
Osservandola con curiosità, con interesse, con rispetto forse, l’uomo si
soffermò incerto, decidendo poi di lasciarsi sedere a terra, di fronte a lei.
La mercenaria non gli rivolse alcuna attenzione, non seguì alcuno di
quei gesti, nel chinare semplicemente lo sguardo di ghiaccio, rilucente in
quella notte chiara, sul piatto concessole, nel piegarsi con il viso fino a esso
per iniziare, non senza difficoltà, a nutrirsi del suo caldo contenuto,
ristorando in esso le proprie membra comunque provate per il viaggio di
un’intera giornata sotto il giogo di quelle catene.
MIDDA’S CHRONICLES 17
«Perché?» domandò egli, dopo un momento di silenzio,
contemplandola in quel mentre.

Senza levare i propri occhi verso di lui nonostante quella parola, la


donna continuò con la propria cena per un lungo periodo, forse a voler
mettere alla prova la pazienza e l’interesse del proprio interlocutore prima
di offrire risposta. Il tenente, dal canto suo, restò tranquillo di fronte a lei,
attendendo il momento in cui si sarebbe mossa a riconoscergli la propria
attenzione e, forse, le proprie spiegazioni.
Giovane, probabilmente con non oltre venti o venticinque inverni sulle
spalle, il soldato mostrava un viso totalmente glabro, privo di ogni sorta di
peluria tanto da farlo apparire in ciò ancora più fanciullo di quanto
evidentemente non fosse. Attorno agli occhi verdi, brillanti come smeraldi
in una probabile eredità materna, erano numerose piccole cicatrici, non
evidenti a un primo sguardo ma chiaramente derivanti da un qualche
incidente o da una qualche lesione in guerra subita non in tempi recenti, la
quale, incredibilmente e fortunatamente, non gli era costata la vista. Sottili
erano le sue labbra, sotto il naso, lievemente rivolto in basso nella propria
estremità, e sopra il mento, ornato da una fossetta nel proprio centro, e
corti si donavano i capelli fulvi che, infine, incorniciavano quel volto, per
quanto dietro al suo capo si tendessero in un breve e vezzoso codino
all’altezza del collo. Il suo corpo, rivestito dalla classica uniforme
dell’esercito kofreyota, si proponeva atletico, evidentemente formato da
un duro addestramento il quale, comunque, non lo aveva privato di
grazia, non lo aveva reso simile a un colosso: muscoli snelli, sciolti,
sicuramente agili e scattanti, erano i suoi, in contrapposizione a quelli più
forti, portati a maggiore risalto nella propria durezza, di molti suoi
subordinati e della maggior parte dei guerrieri di quel continente.

«Esplicita meglio il tuo dubbio, se desideri avere possibilità di una


risposta.» commentò infine la mercenaria, rialzando il proprio sguardo
verso di lui, senza dimostrare alcun sentimento: non disturbo, non noia,
non rabbia, non interesse.
«Tu sei Midda Bontor…» riprese a quel punto il tenente, nel rivolgerle
di nuovo parola «Le leggende, i canti su di te e sulle tue imprese si
sprecano e spesso appaiono tanto incredibili dal non essere umanamente
accettabili.» spiegò, distraendosi dal proprio intento iniziale in quelle
parole e proseguendo «Ora si dice, persino, che tu abbia affrontato in
battaglia una fenice, dominandola al punto da rendere il suo fuoco parte
di te, da diventare a tua volta a essa simile nel tuo animo… ma non può
essere vero!»
18 Sean MacMalcom
«In effetti non è vero.» aggrottò ella la fronte, sorridendo appena «Non
l’ho affrontata: abbiamo semplicemente parlato ed essa ha deciso di
offrirmi il suo aiuto contro un vecchio pazzo.»

Il giovane soldato ammutolì a quelle parole, battendo ripetutamente le


palpebre e muovendo a vuoto le labbra, nel cercare di comprendere se la
sua interlocutrice stesse offrendo un sincero racconto dei fatti oppure se lo
stesse ingannando, si stesse prendendo gioco di lui. Impossibile, però,
sarebbe stato distinguere una possibilità dall’altra, dove da un lato le
cronache, tanto rapidamente diffusesi in tutta Kofreya su quell’ultima
impresa, si proponevano assurde e totalmente prive di ogni possibilità di
riscontro; dall’altro, non meno incredibile, si concedeva la versione dei
fatti da lei addotta con assoluta tranquillità, come se avesse espresso
un’opinione sul tempo dei giorni trascorsi.
Scuotendo il capo e cercando di ritornare al motivo del proprio
interloquire, il tenente decise così di evitare di porsi dubbi su quelle
parole, dal momento in cui non avrebbe mai potuto comprenderne la reale
natura.

«Al di là di questo…» riprese egli «… perché ti sei fatta arrestare? Io


non riesco a comprenderlo…»

Nonostante la cortesia della richiesta a lei proposta da parte del


giovane, il cui rispetto e la cui, forse, adorazione per ciò che ella era e
rappresentava influivano di certo molto nel suo rapportarsi e lo
portavano, probabilmente, a un certo conflitto interiore fra il suo dovere e
quello che, invece, avrebbe preferito fare, Midda restò in silenzio, per
osservarlo a lungo prima di sorridere delicatamente e riportare il proprio
sguardo solo alla ciotola con la zuppa, in un tacito rifiuto a offrire ogni
spiegazione, a concedere ulteriormente il proprio verbo a lui.
Donna ancor prima che guerriero, ella in quell’ultimo sguardo, in
quella reazione, impose definitivamente il proprio volere sull’uomo, il
quale, per quanto contrariato, non poté fare altro che accettare tale rifiuto,
rialzandosi in silenzio e allontanandosi da lei senza tentare di imporsi in
alcuna, inutile, insistenza.
MIDDA’S CHRONICLES 19
ome molti altri campi della vita pubblica, la giustizia in Kofreya

C non risultava amministrata secondo modalità comuni a ogni


provincia stabilite dall’autorità sovrana centrale, dal monarca.
Dall’alto della consapevolezza di non poter imporre in modo
eccessivo la propria presenza su ogni terra all’interno del proprio
dominio, al fine di ridurre il malcontento presso le classi più forti, presso
la nobiltà che altrimenti avrebbe potuto coalizzarsi e tramare per il trono,
da secoli la casa reale della nazione aveva delegato anche quel settore alle
amministrazioni locali, affidando in pratica a ogni provincia, a ogni
territorio, ai piccoli signori, la possibilità di dirimere autonomamente le
proprie questioni. L’unica limitazione in tutto ciò, ovviamente, era
rappresentata dall’immancabile rispetto per l’autorità centrale, ma al di
fuori di questo ogni feudatario avrebbe potuto perseguire il proprio
tornaconto personale, decidendo in totale libertà della vita e della morte
nei territori a sé concessi.
In una simile premessa, logicamente, anche i feudatari maggiori
raramente accentravano tale potere nelle proprie mani per la stessa
ragione del sovrano, nel temere complotti da parte dei vari lord presenti
nei propri confini, finendo in tal modo per scaricare nuovamente ogni
responsabilità ancora più in basso, in una gerarchia che, pertanto, si
conformava in profili molto caotici, ma che evitava alla casa reale di dover
temere qualsivoglia ribellione. Invero chiunque avrebbe potuto attentare
al governo kofreyota, ritrovava impegnate le proprie energie unicamente
nella conservazione dei benefici già riconosciutigli in continuo contrasto
con i suoi pari.
Per merito di simile e liberale gestione del potere, e del potere
giudiziario in particolare, in quella che sarebbe dovuta essere una sola
grande nazione, diverse erano le consuetudini adottate per condurre al
rispetto della legge e dei suoi limiti. Partendo da estremi come quello
rappresentato da Kriarya, città del peccato, all’interno della quale alcun
delitto avrebbe probabilmente mai incontrato il proprio castigo, si sarebbe
giunti fino a Kirsnya, sua antitesi, dove la maggior parte delle colpe, anche
le più banali, trovavano una severa punizione. Entro i confini di
quest’ultima provincia, infatti, rare erano le incarcerazioni, in
conseguenza di un maggiore interesse a offrire una pena rapida e
tempestiva, quest’ultima scelta, più o meno casualmente, fra una vasta
gamma comprendente sia mutilazioni di ogni genere, sia, più
semplicemente e drasticamente, la morte. Le prigioni in tale territorio,
pertanto, risultavano essere quasi sempre prive di ospiti e anche dove essi
fossero stati tali, normalmente, sarebbero potuti essere distinti in due
particolari alternative contrapposte. Da un lato, sarebbero potuti essere i
condannati a morte, in attesa del giorno fissato per la propria esecuzione,
20 Sean MacMalcom
nella volontà di non privare allo sguardo pubblico tale spettacolo, utile
dimostrazione della forza del governo locale e dei vari signori. Dall’altro
lato, sarebbero potuti essere posti coloro che, per la più variegata serie di
ragioni, erano riusciti, spesso inconsciamente, a suscitare un qualche
interesse di qualsivoglia genere nella persona giusta, o sbagliata che la si
volesse considerare. A coloro rientranti in questa seconda categoria,
quindi, non sarebbe stata riservata una normale punizione, preferendo
altresì la segregazione per un periodo più o meno lungo, in attesa di una
decisione definitiva da parte del potente di turno coinvolto.
Lo stato di arresto in cui Midda era nuovamente stata condotta, come
la volta precedente più per propria volontà che non per un effettiva
vittoria delle guardie o dell’esercito su di sé, la vide al sorgere del nuovo
sole essere guidata in catene fino al Palazzo di Giustizia di Kirsnya dagli
uomini della sua scorta armata, i quali neppure all’interno delle mura di
tale edificio, a tutti gli effetti già un carcere, giudicarono prudente liberarla
dalle sue costrizioni di ferro e acciaio, pur riducendo il proprio stesso
numero a una dozzina, nella volontà di non risultare troppo impacciati nei
movimenti all’interno degli stretti corridoi. La donna guerriero, così, fu
accompagnata fino a una piccola stanza con robuste grate di ferro alle
finestre e un minimale arredamento al proprio interno, consistente in un
pesante tavolo in legno scuro e una sedia, per essere lì rinchiusa sola e
ancora legata.

«Déjà vu…» sussurrò in un malinconico sorriso, osservando


l’ambiente attorno a sé e trascinandosi, nel proprio pesante giogo, fino alla
sedia, a cercare lì un po’ di riposo.

Fatta eccezione per il tentativo di dialogo provato dal tenente la notte


precedente, la mercenaria non aveva rivolto parola alcuna ai propri
guardiani fino a quel momento, rifiutando di rispondere a qualsiasi
domanda diretta o indiretta le potesse essere stata posta. Quel prolungato
silenzio, unito all’assenza di acqua e di liquidi, escludendo l’ultima zuppa
mangiata a cena, le aveva lasciato la bocca tremendamente impastata,
minore fra i mali in confronto all’ovvio indebolimento conseguenza di un
primo principio di disidratazione. Nulla di diverso, del resto, si sarebbe
mai attesa da parte dei propri carcerieri, trovando altresì l’offerta della
ciotola di cibo della sera prima assolutamente a sproposito nel confronto
con le modalità solitamente adottate da guardie e soldati al momento
dell’arresto di un ricercato, soprattutto se giudicato pericoloso.
Evidentemente, però, quell’infrazione a un regolamento non scritto
sarebbe dovuta essere considerata quale un’azione intrapresa
autonomamente dal tenente e, solo per tale ragione, ella si era spinta a
MIDDA’S CHRONICLES 21
pronunciare verso di lui quelle poche parole, riconosciutegli a titolo di
ringraziamento.
Osservando con fredda serietà l’unica porta di ingresso a quella
stanza, ella attese con pazienza il momento in cui un magistrato sarebbe
giunto a stabilire del suo destino, come di rito. Nonostante la debolezza in
cui avevano sperato di indurla, la donna cercò di mantenere la mente
lucida e il corpo sveglio, risentendo, però, della limitazione alla propria
libertà di movimento, dell’appesantimento delle proprie membra e dei
propri muscoli.
Quando la soglia si aprì improvvisamente, tre soldati della sua scorta
avanzarono all’interno dello spazio ristretto per porsi a circondarla,
situandosi in due ai suoi fianchi e un terzo dietro la sua schiena: una
precauzione, evidentemente, giudicata necessaria a salvaguardare la
salute di chiunque avrebbe mosso i propri passi al loro seguito. Ma dove
Midda era già in attesa del viso di un uomo, davanti a lei si offrì a
sorpresa quello di una donna, che la guardò con aria divertita.

Non più fanciulla, la nuova giunta dimostrò sicuramente un’età


inferiore a quella della prigioniera, nonostante l’azione di pesante trucco
sul volto ne camuffasse i tratti lasciandola apparire contemporaneamente
come più giovane e come più vecchia rispetto a lei. Ai suoi piedi, bianchi
sandali lasciavano libere allo sguardo dita delicate, trovando nascondiglio
per le proprie caviglie solo nei lembi rosso-dorati di un lungo abito, di una
gonna che lì terminava drappeggiata in un continuo ondeggiare di forme
sapientemente lavorate. Le, probabilmente, lunghe gambe risalivano
avvolte completamente in quella stoffa, che attorno a esse si avvolgeva,
passando dai colori iniziali a un più candido bianco solo per ritornare
nuovamente all’oro e al rosso all’altezza delle sue ginocchia, in un
elegante risvolto della stessa veste. I fianchi, in forme mature ma sinuose,
apparivano liberi da qualsiasi cintura, fieri in una femminilità sicuramente
non virginale, tale da concederle di muoversi come in una naturale danza
d’amore che ogni sguardo e interesse maschile avrebbe sicuramente
attratto magneticamente a sé. Sopra a essi, l’abito proseguiva compatto,
senza termine o interruzione se non all’altezza dei seni, lì presentati in
un’ampia scollatura elegantemente proporzionati al resto del corpo, non
generosi come quelli di Midda e pur non avari nelle proprie forme, cinti
completamente nella stoffa tornata bianca e pura a quell’altezza. Con due
sottili spalline tanta magnificenza si sorreggeva sopra a una pelle candida,
che delineava due braccia magre e affusolate, prive di qualsiasi ornamento
al contrario del suo capo. Sullo stesso, infatti, si concedeva alla vista un
prezioso fermacapelli d’oro, decorato con gemme di diversi colori, a
reggere una complicata acconciatura nella quale i suoi lunghi capelli
22 Sean MacMalcom
castani si legavano dietro alla nuca, in una crocchia frutto sicuramente di
un lungo lavoro da parte di molte ancelle.
Non il suo abito e non i suoi gioielli attrassero, però, l’attenzione della
donna guerriero, che al contrario si soffermò sul volto della sua
controparte e sull’oggetto che ella reggeva o, meglio, trascinava nella
propria mano mancina, similmente a un trofeo di guerra. In quel viso
delicatamente rotondo, la mercenaria infatti riconobbe due occhi castani,
un naso aquilino e due labbra aperte in un sardonico sorriso che
appartenevano al proprio recente passato, a un avversario affrontato e
sconfitto senza difficoltà, senza impegno, inchiodato a terra con la sua
medesima arma, la stessa lunga ed elegante spada, finemente lavorata
dalla sapienza di un fabbro caro alla donna guerriero, che ora risplendeva
fra le mani della nobildonna in piedi davanti a lei.

«Sarnico?!» sussurrò con voce resa roca dalla mancanza di idratazione,


non celando un evidente stupore nel trovare nella nuova giunta una
palese somiglianza con il giovane presente nei propri ricordi.
E la donna, conducendo la spada, troppo pesante per lei, innanzi al
proprio corpo, ponendola in verticale davanti alle lunghe gambe come un
bastone da passeggio e appoggiando in simile modo le mani sopra all’elsa,
continuò a sorridere, osservandola a lungo prima di commentare
semplicemente: «Mio fratello.»

Definire lord Sarnico un avversario di Midda sarebbe stato impreciso,


se non sostanzialmente errato, nel considerare l’assoluta disparità che era
esistita fra loro, per il breve lasso di tempo in cui erano rimasti insieme
nella medesima stanza.
Il giovane nobile, infatti, era stato sicuramente un individuo sadico,
perverso, violento ed, effettivamente, idiota, soprattutto nel permettersi di
essere descritto dai tre precedenti attributi, nell’imporre le proprie
frustrazioni sessuali sopra innocenti giovani provenienti da un’isoletta
paradisiaca a ponente di quelle coste. Ciò nonostante, ben poco era valso
egli contro una combattente del rango della donna guerriero: senza
eccessivo impegno, senza alcuno sforzo, ella lo aveva piegato e abbattuto,
assolvendo a un incarico ricevuto e liberando in tale atto troppa gente
prigioniera dei capricci di quel ragazzo non ancora uomo. Per amor del
dettaglio, la fine di lord Sarnico, poi, era stata concretamente decretata
non per mano della mercenaria quanto per quella dell’ultima delle vittime
dello stesso, un fanciulla sottratta da lui ai propri affetti, al proprio
promesso sposo, nel giorno del loro stesso matrimonio, solo per essere
ripetutamente stuprata, violentata senza pietà alcuna, destinata a ogni
sorta di ignobile e malato gioco di piacere, per lui, e di dolore, per lei. Una
MIDDA’S CHRONICLES 23
morte più che meritata, pertanto, quella di lord Sarnico, nella quale tutto
l’impegno, tutta la rabbia, tutta la vendetta covata in un cuore prima puro,
erano esplose dirompenti, offrendo orrori che un torturatore di
professione, probabilmente, non avrebbe saputo immaginare.
Per quanto fosse stato dato di sapere alla donna guerriero almeno
prima di quel momento, il giovane nobile era rimasto unico erede della
propria casata dopo una lunga serie di omicidi, mai ovviamente a lui
addotti nell’essere stati orchestrati per risultare del tutto simili a comuni
incidenti, nei quali erano stati coinvolti entrambi genitori nonché due
fratelli e una sorella, a lui maggiori in età e, per questo, destinati prima di
lui alla proprietà delle ricchezze di famiglia. Essere posta di fronte,
pertanto, a una giovane proclamatasi parente, sorella addirittura, di quello
scarto di umanità, fu per la Figlia di Marr’Mahew ragione di
sbigottimento, un inaspettato colpo di scena, dal quale ella necessitò di
qualche istante per recuperare la propria consueta freddezza, non potendo
invero negare la tremenda rassomiglianza presente davanti a lei, che più
di qualsiasi altra voce avrebbe potuto rendere ai suoi occhi fondata
quell’affermazione.

«Non credevo che avesse lasciato qualche parente in vita…»


commentò, infine, osservandola con sguardo gelido.
«E’ una lunga storia piena di intrighi, tradimenti, complotti, sangue e
morte.» rispose tranquilla e sorridente l’altra donna, ancora posta di fronte
all’assassina del fratello minore «Una classica vicenda di famiglia,
aggiungerei.»
«Una storia nella quale immagino di aver giocato un ruolo chiave, a
mia insaputa.» aggiunse la prima, osservando la propria controparte.
«In effetti non posso negare di aver accumulato un debito nei tuoi
riguardi, dove per merito tuo sono potuta ascendere a un ruolo, a uno
stato sociale prima negatomi.» annuì la seconda, sorridendo sorniona,
piegandosi appena in avanti nell’appoggiarsi sulla spada con il proprio
mento, a porsi in tal modo alla medesima altezza della prigioniera.

Midda osservò in silenzio la sua ospite ancora priva di nome, quasi a


cercare di coglierne l’animo nello sguardo, in quella luce così simile a
quella del fratello morto. Più di lui, però, negli occhi di quella giovane, la
mercenaria non poté evitare di cogliere una malvagità unicamente
femminile, una sottile e tagliente malizia propria solo delle donne della
quale raramente gli uomini avrebbero saputo rendersi conto, non
riuscendone a riconoscerne la reale natura. Se lord Sarnico, in vita, si era
dimostrato privo di qualsivoglia possibile benevolenza, umana pietà, nel
gestire coloro che lo circondavano come semplici oggetti privi di
24 Sean MacMalcom
emozioni, privi di sentimenti, sua sorella non appariva assolutamente
migliore e, anzi, la donna guerriero non poté evitare di provare tristezza
per tutti gli uomini che il fato avrebbe mai destinato a incrociare il
cammino della stessa, in quanto da lei sarebbero stati sicuramente e
tremendamente plagiati, perdendo ogni consapevolezza di sé, ogni
coscienza d’anima, ogni barlume di ragione. In quegli occhi, sotto quello
sguardo impietoso, chiunque a lei vicino avrebbe gettato con gioia la
propria vita nel suo nome, avrebbe sacrificato con passione la propria
esistenza quale sincero tributo, certo di trovare la salvezza in tale atto, di
raggiungere l’apice del proprio destino in simile definito e mortale gesto,
laddove invece solo l’oscurità, solo le tenebre lo avrebbero atteso,
sarebbero stati riservate da una simile personalità.

«Non mi temi… è affascinante questo.» sorrise nuovamente la


nobildonna, rialzandosi da quella postura china per ergersi in tutta la
propria elegante forma, in una beltà trasudante di sensualità.
«Dovresti essere tu a temermi.» rispose la mercenaria, senza cedere al
suo sguardo, mantenendo i proprio occhi di ghiaccio fissi in quelli di lei,
mentre le pupille al centro delle iridi si contraevano al punto da
scomparire in esse.
«Io?» scosse il capo «E perché mai dovrei? Sei una prigioniera, una
condannata, circondata da guardie pronte a decapitarti al minimo segnale
di pericolo, avvolta in catene che neanche il più forte degli uomini
potrebbe spezzare. Come potresti rappresentare un motivo di
inquietudine per me?»
«Cosa vuoi?» sussurrò a denti stretti la Figlia di Marr’Mahew,
cercando di mantenere il controllo sulle proprie azioni, sulla propria
mente e sul proprio corpo per quanto la propria interlocutrice la stesse
ponendo a dura prova.

In silenzio, la sorella di lord Sarnico restò a contemplare la prigioniera,


a cercare probabilmente a sua volta di comprenderne l’animo, di scoprire
entro quali limiti anch’ella sarebbe potuta divenire una pedina sulla
propria scacchiera, in quale misura avrebbe potuto offrire affidamento alle
capacità di quella mercenaria, così temuta e così desiderata. La fama della
stessa la precedeva, definendo chiaramente i termini dei suoi contratti,
degli accordi presi di volta in volta con i vari mecenati ai quali aveva
offerto i propri servigi. Midda Bontor non sarebbe potuta essere
equiparabile alla maggior parte dei mercenari, nel momento in cui il suo
valore in battaglia, la sua abilità guerriera la rendeva estremamente
preziosa, la portava a quotazioni troppo elevate per la maggior parte dei
suoi possibili finanziatori. Ma non era tanto il prezzo, il pagamento da lei
MIDDA’S CHRONICLES 25
richiesto per le proprie imprese quello che la distingueva dalla quasi
totalità dei suoi pari: per quanto elevata, una quantità d’oro sarebbe
sempre stata definibile, sarebbe sempre stata trattabile, sarebbe sempre
stata raggiungibile. Ciò che aveva reso, e rendeva ancora, probabilmente
unica quella mercenaria era la sua stessa mente, il suo pensiero, che a
dispetto del proprio ruolo guidava perennemente le sue azioni,
portandola ad accettare missioni che nessun altro avrebbe accettato a
prezzi inferiori al previsto e a rifiutare incarichi per i quali la ricompensa
promessa sarebbe stata oltre ogni più rosea aspettativa e che, comunque,
qualsiasi altro mercenario avrebbe colto al volo senza alcun indugio. Non
era la sete d’oro a spingere la sua mano, a indirizzarne il cammino.
Certamente, quale mercenaria, mai si era concessa di dimenticare il
pagamento pattuito, risultando nota anzi per la sua abitudine a rialzarlo a
missione terminata, ma era altro dietro ogni sua azione, era altro celato in
ogni sua avventura.
Qualcosa che, comunque, la nobildonna non stava riuscendo a cogliere
nell’osservarla, nel perscrutarne lo sguardo.

«Lasciateci sole.» ordinò, a quel punto ai soldati, con un cenno


esplicito della mano destra.
«Ma lady Lavero…» tentò di opporsi uno dei tre, evidentemente
temendo per la sua incolumità.
«Andate.» ripeté con tono deciso, muovendo nuovamente l’estremità
con aria infastidita.

Non osando opporsi ai voleri di una personalità simile, di una figura


tanto rilevante nel panorama politico della città e dell’intera provincia, i
tre sottufficiali mossero con incertezza i propri passi fino alla porta,
osservando dubbiosi le due donne, la nobile e la prigioniera, prima di
uscire dalla stanza, ubbidendo agli ordini ricevuti e richiudendo la soglia
alle proprie spalle per assicurare loro la riservatezza cercata.

Solo a quel punto, lady Lavero, come era stata identificata dai tre
uomini, riprese parola, tornando a volgere la propria attenzione verso la
mercenaria: «Io voglio te.»
«Non averne a male, ma i miei gusti sono differenti.» commentò
Midda, aggrottando la fronte a quelle parole, a quel desiderio così
ambiguamente presentato «E comunque non sei il mio tipo…» aggiunse in
un ovvio intento di scherno verso l’aristocratica, dove aveva comunque
compreso il reale significato della richiesta.
«Stupida, irriverente e presuntuosa.» rispose stizzita l’altra, storcendo
le labbra verso il basso come se, nonostante altri fossero i suoi intenti, quel
26 Sean MacMalcom
rifiuto l’avesse lasciata indisposta, l’avesse contrariata e offesa nel suo
amor proprio «Se quel genere di attenzioni ti fossero da me rivolte, avresti
solo da esserne orgogliosa.»
«Degna sorella di tuo fratello, a quanto pare.» ironizzò con amarezza
la mercenaria, nel rilevare quell’evidente tara familiare che sembrava
accomunarli «Anche egli volgeva queste considerazioni verso tutte le
donne che piegava ai propri voleri, alle proprie violenze, al proprio
sadismo. E per questo è morto, straziato dalle sue stesse vittime, distrutto
da coloro che aveva dominato con assoluta fierezza di sé, colmo della
propria empia personalità.»

A quelle parole, per le quali la donna guerriero si sarebbe attesa una


reazione infuriata, uno scatto di violenza sfogato in uno schiaffo o in un
altro atto fisico ai suoi danni, lady Lavero reagì in maniera del tutto
opposta, esplodendo in una sonora risata, ricca di gusto, di divertimento,
di puro e malato piacere. Gettando la testa all’indietro, mostrando un
lungo e pallido collo, la giovane fece risuonare fortemente quel segno
della propria gioia, della propria felicità fra le pareti in pietra della stanza,
quasi folle in tanto trasporto.
La mercenaria, a tale spettacolo, restò assolutamente immobile,
osservando con serietà, con freddezza assoluta la donna ferma di fronte a
sé. Se solo ella avesse voluto, avrebbe potuto porre fine alla vita di quella
giovane senza particolari difficoltà, senza alcun indugio, dove molteplici
sarebbero stati i mezzi a lei comunque concessi per tale scopo in occasione
di quell’incontro solitario, nonostante le catene ne bloccassero i movimenti
di braccia e di gambe, legandole alla sua vita. Ma come anche lady Lavero
aveva chiaramente previsto, nella conoscenza delle abitudini della propria
controparte, ella non avrebbe mai posto fine a una vita senza ricavarne un
benefico reale e nulla, in quel momento, avrebbe reso non vana tale morte.
Al contrario, una sua azione offensiva avrebbe potuto delineare come più
problematica l’attuazione dei piani che ella aveva in mente, delle strategie
nelle quali, in effetti, la nobildonna avrebbe potuto giocare un ruolo di
riguardo, più o meno consapevolmente.

«Mi piace il tuo stile, Midda Bontor!» esclamò la sorella di lord


Sarnico, riprendendosi dal prolungato istante di divertimento per tornare
a rivolgerle parola «Sono rare le donne come te e, personalmente, non
posso che apprezzare tutto questo, non posso che approvare il tuo modo
di fare, di pensare, di agire. Ed è per questo che ti desidero al mio servizio,
che voglio poter avere tanta preziosa abilità alle mie dipendenze.»
«Forse ti è sfuggito un particolare, mia cara.» rispose la donna,
inarcando il sopracciglio sinistro e sollevando appena i propri polsi verso
MIDDA’S CHRONICLES 27
di lei, come a voler sottolineare la presenza dei legami di metallo che ne
bloccavano i movimenti «Non sono qui per mia spontanea iniziativa, per
mia libera scelta. Al contrario.»

La mercenaria, in simili parole, mentì in modo più che naturale,


celando gli intenti personali che, invece, l’avevano realmente e
volontariamente condotta a porsi in quella condizione, a lasciarsi
individuare e catturare dopo aver addirittura dovuto attendere una
settimana prima dell’arrivo dell’esercito, prima che qualcuno decidesse di
mobilitarsi contro di lei. Ma, in quel gioco nel quale desiderava
coinvolgere la propria ospite, la candidata mecenate che le si stava
offrendo innanzi, avrebbe dovuto dimostrarsi quale vittima delle
circostanze, e non quale abile manovratrice nelle medesime, con la
speranza di non fallire nel proprio obiettivo, di non svelare i propri
interessi nel coinvolgere una nuova attrice in quella sceneggiatura, con un
ruolo totalmente inedito e non previsto.

«Per i servigi che mi hai reso, con la morte di mio fratello, dovrei
ricompensarti e, di certo, non richiedere la tua punizione.» rispose lady
Lavero, sorridendo tranquilla «Non temere: ogni colpa ti potrà essere
condonata in virtù della fedeltà che deciderai di concedermi. E non mi
riferisco solo alle imputazioni più recenti, quanto piuttosto a quelle più
antiche, quelle per cui già hai avuto modo di subire delle amputazioni, se
non erro.» sottolineo in un sadico gioco di assonanze.

La posizione della donna, all’interno dei rapporti politici di Kirsnya,


avrebbe dovuto evidentemente essere più che rilevante se una simile
promessa non fosse stata vana. Sebbene ai nobili fosse garantita
un’influenza nel potere giudiziario nei confini di quella provincia, la lunga
serie di precedenti che pendeva sul capo di Midda le sarebbero valse non
una sola, ma almeno una dozzina di condanne a morte per ritenere
soddisfatta la sete di vendetta di quella città, di tale legislazione tanto
ferma, forte e decisa nel voler punire chiunque fosse considerato reo, in
un’arbitraria definizione di colpevolezza fino a prova contraria.

«Mi spiace, ma ho già un progettino in mente e non credo di potermi


riservare del tempo per te.» rispose la mercenaria, altrettanto tranquilla e
sorridente, scuotendo poi il capo «Però dammi tempo sei mesi e dovrei
forse riuscire a ritagliare un intervallo per privarti di un po’ delle tue
ricchezze… ammesso che la tua proposta mi attragga.»
«Oh… sì…» commentò l’altra, mostrando una lunga fila di denti
bianchi in una smorfia di sadica felicità non diversa da quella che
28 Sean MacMalcom
solitamente aveva ornato, in passato, il volto del suo ultimo familiare
morto «Vedrai che questa impresa attrarrà il tuo interesse, riuscirà a
stuzzicare la tua attenzione.»

Quiete e sincere erano state le parole di Midda in risposta all’offerta


fattale. Per quanto lady Lavero fosse potenzialmente anche peggiore del
fratello, nulla in ciò avrebbe potuto portare a un veto diretto da parte della
mercenaria, abituata del resto a svolgere incarichi tutt’altro che umanitari
per mecenati ben lontani dall’essere dei benefattori della società, primo fra
tutti lord Brote di Kriarya, uno fra i suoi migliori datori di lavoro. Dove,
infatti, la missione che quella donna avrebbe potuto offrirle fosse riuscita a
provocare la sua fantasia, fosse riuscita realmente a coinvolgere la sua
curiosità, nel concederle anche e ovviamente un adeguato compenso in
aggiunta al mantenimento di quanto appena affermato, la donna guerriero
avrebbe sicuramente accettato di buon grado di servirla.
Purtroppo per la nobildonna, però, questa volta prestando fede a ciò
che effettivamente aveva dichiarato senza dissimulazioni e inganni, i suoi
interessi erano in quel momento rivolti a una questione rimasta in
sospeso, nel desiderio di potersi concentrare su un lavoro lasciato a metà
mesi addietro e su un impegno morale che avrebbe dovuto e voleva
concludere prima di permettersi coinvolgimenti in altre questioni.

«Non essere sciocca, Midda Bontor.» riprese la nobildonna,


osservandola con fermezza, con serietà «Io rappresento per te la sola via di
salvezza da una fine certa alla quale ti sei condannata con le tue stesse
mani, tornando entro queste terre. Non ho idea, e non mi interessa averne,
di quali siano i tuoi potenziali impegni, ma se non accetterai la mia
proposta il tuo unico appuntamento sarà quello con i tuoi dei.»
«Ma la mia morte sarebbe una perdita per te, dove tanto desideri i
miei servigi.» sottolineò la donna guerriero, in un sorriso divertito.

Le mani della sorella di lord Sarnico si strinsero con forza, in quel


momento, attorno all’elsa della lama appartenuta al fratello, in un
evidenza di nervosismo da parte sua per simili parole, per una visione
purtroppo realistica della realtà. Dentro di sé non avrebbe potuto evitare
di rimproverarsi per aver giocato male le proprie carte, per aver lasciato
subito intendere alla mercenaria il proprio interessamento: forse, se così
non fosse stato, avrebbe avuto più spazio di discussione con lei, forse
avrebbe avuto più possibilità di dialogo, più peso in quel confronto. O,
almeno, in tal modo ella si illudeva, non comprendendo di seguire alla
perfezione un copione già scritto per lei dalla propria “vittima”.
MIDDA’S CHRONICLES 29
«E’ corretto ciò che dici.» commentò poi, in un sussurro quasi
inudibile «Ma è anche vero che vi sono punizioni ben più terribili della
morte, alle quali potrei destinarti in attesa di un cambiamento nei tuoi
pensieri, di una dimostrazione da parte tua di maggiore raziocinio…»
«Esiste un luogo a nord sul confine di Kofreya con Gorthia dove da
secoli non riesce a essere alcuna forma di vita, animale o vegetale.» iniziò
a spiegare lady Lavero, con un tranquillo e perverso sorriso «Per chi crede
in Gorl, quel luogo è a lui consacrato fin dalla notte dei tempi e,
addirittura, in quelle lande montuose si dovrebbe celare anche il
famigerato monte Gorleheist, fucina del stesso dio, all’interno della quale
egli ha forgiato ogni propria creatura e ogni propria creazione. Nel cuore
incandescente di quel vulcano, ammesso che esista, ogni mistico oggetto a
lui attribuito ha trovato i propri natali, comprese anche le gemme di
Sarth’Okhrin da te recentemente recuperate per conto di un tuo qualche
signore nella città del peccato.»
«Ufficialmente, da secoli tanto remoti per i quali si è persa memoria,
nessuno ha potuto e ha osato cercare di porre insediamento in quei luoghi
di morte, nel momento in cui qualsiasi possibilità di sopravvivenza si dice
essere lì proibita, negata dalla medesima aria, tossica, irrespirabile,
velenosa in conseguenza del respiro del pianeta, delle esalazioni
provenienti dal sottosuolo.» continuò la donna, in un lungo monologo
«Personalmente non so quanto tutto questo sia vero e quanto invece sia
solo misticismo, leggenda, voci sparse a mantenere desolata tale regione.
Sinceramente, neanche mi importa: il mondo è ancora così grande e molti
sono gli spazi di cui prendere dominio, tale per cui la ricerca di potere
sopra a una terra vulcanica non si ritrova a essere prerogativa di alcuno,
tantomeno mia.»
«In una simile situazione anche il confine fra i due regni si delinea in
modo molto incerto, come se alcuno fra i due possibili contendenti volesse
accogliere tale territorio nei propri domini. Se questo sia in conseguenza
del timore di contrariare un dio o, forse, per semplice disinteresse verso le
nulle aspettative lì concesse, sinceramente lo ignoro. Ma è proprio per
questa ragione, quindi, che la zona in questione viene definita Terra di
Nessuno, ponendosi al di fuori del controllo di qualsiasi legge, al di fuori
dall’imposizione di qualsiasi sovrano o feudatario.»

Midda ascoltò in silenzio, impassibile, quelle parole, soppesandole con


attenzione nel confrontarle con quanto a lei già noto, a incrementare
eventualmente le proprie nozioni con nuove informazioni che la
nobildonna le avrebbe potuto offrire. Solo una sciocca, infatti, avrebbe
creduto di poter possedere piena conoscenza del mondo a sé circostante,
senza concedersi di prestare ascolto ad altre voci, a nuove spiegazioni,
30 Sean MacMalcom
perdendo, in tal modo, potenziale controllo della stessa realtà nell’isolarsi
in una propria esistenza fuori dal tempo e dallo spazio, fuori dalla
concretezza della quotidianità. Ed ella non si era mai reputata quale una
sciocca, né aveva mai desiderato peccare di superbia o di arroganza nel
gettare al vento dei dati che, possibilmente, in un futuro, prossimo o
remoto, avrebbero potuto sbilanciarla fra la vita e la morte, influenzando il
suo destino, in tale bivio, in conseguenza di quanto avrebbe potuto
preventivamente conoscere.

«Osservando la realtà da altri punti di vista però, con uno sguardo che
si riesca a spingere oltre alla versione ufficiale, anche nella Terra di
Nessuno esiste vita, sussiste almeno un insediamento, se così vogliamo
definirlo.» riprese serenamente, con una tonalità di voce appena inferiore
rispetto a quanto precedentemente pronunciato «Ricavato all’interno del
cratere di un vulcano ormai spento, sul limitare di tali confini, è infatti una
delle più grandi prigioni mai edificate dall’uomo, dove comunque
considerare l’intervento umano in tutto ciò sarebbe decisamente
improprio.»
«Per accedere a tale complesso, o per uscire da esso, è stata prevista
una sola via, costituita da uno strettissimo tunnel scavato nella pietra
lavica che attraversa il fianco del vulcano per giungere nella sua parte
centrale. A chiusura di simile accesso, a protezione per il mondo da coloro
che oltre tale soglia vengono segregati, sono irremovibili cancelli in pietra,
tanto pesanti che un intero esercito non potrebbe avere la forza di
smuoverli una volta che essi siano stati bloccati. Gli unici a poter agire su
tali accessi sono i custodi di quel luogo ignorato dal mondo intero: essi
tramandano il segreto della chiave di quel varco da epoche lontane, di
generazione in generazione, da padre in figlio, all’interno di una casta
privilegiata che mantiene gelosamente protetto tale arcano enigma come il
più prezioso dei tesori.»
«So che sei una provetta scalatrice, in grado di arrampicarti sulla
roccia di una montagna come sulle sartie dell’albero maestro di una nave
in piena bufera.» commentò con un accenno di reale ammirazione in
quelle parole, in una simile constatazione «Non credere, però, che da
quella prigione, da quelle carceri maledette, potrai mai trovare evasione:
perché al centro del vulcano, all’interno di quel cratere, ove è sito il vero
ambiente detentivo, le pareti si propongono troppo scoscese, troppo
inclinate verso l’interno e troppo elevate verso il cielo, in una distanza tale
da non permettere di intuirne il termine, di ipotizzare una seppur vaga
possibilità di sfida.»
MIDDA’S CHRONICLES 31
La Figlia di Marr’Mahew stava continuando a concedere alla
nobildonna la propria più completa attenzione, a offrirle il proprio
massimo interesse dove, nonostante molte fossero le nozioni delle quali
l’altra stava parlando a esserle già note, diverse risultavano essere le
sfumature su tale argomento mai rivelatele in precedenza dai propri
informatori. Sicuramente l’assenza di simili notizie non sarebbe dovuto
essere considerato conseguenza di un intento doloso rivolto a imporle
danno, ma derivante da semplice e giustificabile ignoranza: un segreto
pari a quello dell’esistenza di un simile luogo, del resto, era probabilmente
una delle informazioni più riservate e protette in tutta Kofreya, per le
ovvie responsabilità che esso comportava.
Così, nel desiderio di spaventarla, nella volontà di porle timori e di
farle rivalutare l’offerta di collaborazione, lady Lavero le stava rendendo
un grandissimo servigio, e interrompere tanta buona volontà di dialogo
verso di lei sarebbe stato un terribile errore.

«Perché mi stai dicendo tutto questo?» domandò la donna guerriero,


nel cogliere un momento di esitazione, un’incertezza da parte della
mecenate nei suoi riguardi, forse resa sospettosa da tanta serenità e tanto
interesse da parte sua.
«Perché, come tu hai correttamente fatto notare prima, per me la tua
morte rappresenterebbe una perdita.» sorrise sorniona la sorella di lord
Sarnico, iniziando a indietreggiare verso la porta, nel trascinare con sé la
lama appartenuta al fratello, fiera della vittoria che credeva di aver
riportato sulla mercenaria «Se ora la tua arroganza ti porta a rifiutare di
lavorare per me, a seguito di un periodo di meritato riposo in quella landa
maledetta sono certa che sarai più che felice di onorare i nostri accordi.»
«Non abbiamo ancora alcun accordo!» protestò a denti stretti Midda,
ribellandosi a quelle parole «E se non vi è modo per uscire da quella
prigione come pensi di poter attuare i tuoi piani, rinchiudendomi in essa?»
«Ma una via esiste, l’unica speranza offerta a tutti coloro che lì
vengono inviati a riflettere sulle colpe della propria esistenza o sulla
propria arroganza nel non voler accettare l’inevitabilità del fato, come stai
facendo tu ora. Dallo stesso tunnel attraverso il quale si ha accesso al
cratere è, infatti, possibile anche uscire, cogliendo l’occasione di un unico
appuntamento concesso a ogni condannato, la sola possibilità garantitagli
all’inizio della propria detenzione.» spiegò l’aristocratica, ormai prossima
alla porta della stanza «La tua possibilità di ritornare a essere una donna
liberà sarà fissata per quarantotto ore dal momento del tuo ingresso nel
carcere: se dopo due giorni di permanenza in quel luogo, privo di guardie,
di leggi, di regolamenti, a contatto con la peggiore feccia dell’umanità
scelta fra coloro che hanno osato condurre i propri passi nelle terre di
32 Sean MacMalcom
questa provincia, tu deciderai di volerti privare del tuo orgoglio
nell’asservirti a me, allora potrai tornare qui, riprendendo la tua vita,
ottenendo di nuovo possesso sul tuo destino e sul tuo futuro, senza più
alcuna imputazione pendente sul tuo capo. Altrimenti… beh… non credo
sia necessario specificarlo, vero?»
«Cagna maledetta!» gridò la mercenaria, scattando in piedi dalla sedia
in cui si era accomodata, salvo ripiombare immediatamente a terra, come
indebolita dalle costrizioni che la circondavano, dal peso delle proprie
catene «Non oseresti tanto!»
«Quarantotto ore, Midda Bontor.» commentò lady Lavero, trattenendo
a stento le risate per la gioia che sentiva nel proprio cuore in conseguenza
di quella vittoria, di quel successo nel piegare un animo forte, una tempra
eccezionale ai propri voleri «Quarantotto ore per decidere di porti al mio
servizio. Riflettici bene!»

E la donna guerriero, china a terra nell’inganno simulato di quella


caduta, di quell’incespicare, nascose un lieve sorriso sotto i lunghi capelli
corvini, attendendo che il proprio burattino credutosi burattinaio la
lasciasse sola quella stanza.

onostante i toni minacciosi offerti da lady Lavero e nonostante


gli spiacevoli precedenti negli ultimi tentativi di arresto
N compiuti ai danni della mercenaria nella capitale di quella
provincia, occorse più di una settimana per organizzare il
trasferimento della detenuta verso la Terra di Nessuno e il carcere segreto
lì situato.

A seguito dell’uscita di scena della nobildonna, al cospetto di Midda


era immediatamente giunto il magistrato incaricato di giudicarla e
condannarla per i propri crimini. Quel secondo incontro, ovviamente, fu
assolutamente formale e privo di valore, in quanto egli non avrebbe avuto
ragioni di impegnarsi nel fissare la data di un processo pubblico o, tanto
meno, nell’ipotizzare una sentenza di morte come sarebbe stato logico
avvenisse. Il suo futuro era già stato deciso dall’intervento del potere
politico, ed ella era ormai sfuggita a ogni autorità giudiziaria, rendendo
vana qualsiasi discussione a tal riguardo. Nessuno al mondo avrebbe
saputo del suo arresto e, in effetti, nessuno avrebbe neanche più saputo
qualcosa in merito alla sua stessa esistenza se avesse deciso di rifiutare
l’offerta concessale e non si fosse presentata all’appuntamento fissato per
MIDDA’S CHRONICLES 33
quarantotto ore dopo il suo ingresso nella prigione. Come molti altri
condannati prima di lei, anche la donna guerriero sarebbe semplicemente
scomparsa nel nulla, per poi essere probabilmente dimenticata dal mondo
intero con la stessa rapidità con cui la narrazione delle sue gesta
normalmente riusciva a diffondersi in ogni provincia della nazione.
Un triste destino, una pessima conclusione per una vita avventurosa
era così quella che l’avrebbe attesa, e di certo con tutte le proprie forze,
con tutta la propria tenacia ella si sarebbe opposta a esso, nonostante ogni
precauzione, nonostante ogni catena che i suoi avversari le avessero posto
addosso. Questo, ovviamente, sarebbe avvenuto se non fosse stata ella
stessa ad aver pianificato, ad aver desiderato tutto quello che stava
avvenendo e che sarebbe presto avvenuto.
Nei piani originali della donna guerriero l’intervento della sorella di
lord Sarnico, creduta morta da tempo, non era stato ovviamente preso in
considerazione: l’ipotesi da lei formulata, in origine, prevedeva la
conduzione di un sottile ed estenuante gioco psicologico con il magistrato
e con i propri carcerieri per vedersi assegnata non tanto a un comune
carcere cittadino, da cui avrebbe minacciato la propria fuga prima
dell’esecuzione in piazza, quanto a quello stesso segreto complesso. Una
strategia che, sicuramente, aveva preso in considerazione molti fattori di
rischio ma che, dalla propria, avrebbe visto coinvolto anche l’interesse di
troppi mecenati attorno alla sua persona. Questi, seppur appartenenti ad
altre città, pur apparentemente privi di potere in quei confini, avrebbero
pertanto offerto o imposto la propria influenza sull’autorità di Kirsnya per
mantenere in vita la propria mercenaria, per poter continuare a usufruire
dei suoi servigi. A prescindere da simili considerazioni, comunque, un
fattore di rischio non sarebbe mai potuto essere annullato nella
programmazione originale di quella strategia, e avrebbe costretto Midda a
un intrepido gioco d’azzardo dal quale si era comunque sentita fiduciosa
riuscire a uscire vincitrice. L’inattesa e inattendibile comparsa in scena
della nuova prima donna del panorama politico e sociale della capitale,
però, aveva improvvisamente condotto una nuova entropia, delle nuove
possibilità delle quali ella aveva deciso di approfittare con tempestività e
spirito di adattamento, riuscendo in tal modo ad assicurarsi il viaggio
verso la meta da lei desiderata e da chiunque altro temuta, ottenendo di
vedere la propria strategia realizzarsi con assoluto successo.

Una settimana dopo, a scortare la prigioniera verso il proprio luogo di


detenzione non furono predisposti gli stessi soldati che già l’avevano
accompagnata fino alla città. Nell’interesse dei signori locali di mantenere
il maggiore riserbo su ogni questione riguardante il carcere nella Terra di
Nessuno, evitando in ciò di coinvolgere con esso l’esercito per tutte le
34 Sean MacMalcom
implicazioni che una simile presenza avrebbe significato, un nuovo
contingente fu scelto fra le guardie cittadine, fra coloro che avrebbero
visto la propria fedeltà innanzitutto rivolta ai signori di Kirsnya e, solo
successivamente, al regno e al suo sovrano, al contrario dell’esercito.
Sessanta, fra uomini e donne, furono così incaricati di un simile onere,
venendo armati al punto tale da apparire diretti in guerra più che nel
guidare una condannata al proprio luogo di detenzione. E, sempre in un
clima di riserbo sull’accaduto, la partenza dalla capitale fu fissata per
l’alba, in immediata conseguenza della prima apertura delle porte della
città, quando ancora nessun’anima si sarebbe potuta presentare in quelle
vie, un orario decisamente precoce per lo svolgimento di umane attività,
sociali, lavorative o commerciali che esse fossero.

«Conoscete tutti i vostri ordini.» raccomandò il magistrato che aveva


emesso la “propria” sentenza, rivolgendosi alle truppe posizionatesi
attorno alla mercenaria «Midda Bontor deve giungere viva fino al carcere
e deve essere lì rinchiusa per quarantotto ore.»
«Sì, signore.» rispose il comandante a capo di quel gruppo, un uomo
tarchiato, più anziano rispetto alla donna guerriero di almeno dieci anni,
con la pelle resa dorata dal sole e folti baffi fulvi a coprirne quasi
interamente le labbra.
«Non deve essere offerto danno alla prigioniera, ma se ella dovesse
tentare la fuga, come sicuramente accadrà, sarete autorizzati all’uso della
forza.» specificò a quel punto il giudice, con sguardo serio verso la
condannata «Feritela alle gambe, quando necessario, ma evitate di
arrecare danni permanenti, dove possibile. Lady Lavero desidera questa
donna al suo servizio e non è nostro interesse rendere scontenta una dama
di tale rango, ovviamente.»
«Sì, signore.» annuì, nuovamente, il comandante.
«Una volta rinchiusa nel cratere, dovrete accamparvi nella Terra di
Nessuno e attendere lì i due giorni: il cammino è troppo lungo per
concedervi la possibilità di un ritorno a casa.» continuò l’uomo, nel
ricordare alle guardie per l’ennesima volta i propri ordini, le istruzioni di
quella missione, di quell’incarico «Se la nostra affascinante pirata dovesse
decidere di accettare il prezzo per la propria liberazione, la dovrete
ricondurre qui, ancora in catene a titolo di precauzione.»
«Sì, signore.»
«Buon viaggio, maggiore Onej’A.» concluse a quel punto, soddisfatto
delle retoriche risposte offertegli dal proprio interlocutore «E non
commettere l’errore di dimenticare con chi dovrai avere a che fare.»
aggiunse, quasi sottovoce, con un tono ora diverso da quello ufficiale
MIDDA’S CHRONICLES 35
precedentemente addotto, quasi come se stesse offrendo una sincera
raccomandazione a un amico, piuttosto che un ordine a un subordinato.

Annuendo appena, l’uomo a capo delle guardie si sistemò l’elmo sul


capo prima di muovere il cavallo sul quale sedeva fino all’estremità del
proprio contingente, uomini e donne altresì pronti ad affrontare a piedi
quel lungo cammino, per ordinare loro l’inizio del viaggio, per scandire il
ritmo di ognuno dei loro passi in un silenzioso avanzare.
Ancora incatenata esattamente come lo era stata al momento del suo
primo arresto, mai liberata da tali costrizioni in quei giorni di prigionia
per quanto alcun tentativo di ribellione fosse stato da lei offerto fino a quel
momento, Midda osservò silenziosamente i propri nuovi compagni di
ventura, i volti che l’avrebbero accompagnata nei giorni di viaggio
necessari prima di giungere alla prigionia nella Terra di Nessuno. A
differenza dei soldati che già le erano stati vicini nel ruolo di carcerieri,
alcun sentimento di timore o di rispetto reverenziale riusciva a trovare
negli occhi di quelle persone: diffidenti, essi stringevano le proprie armi e
le sue catene quasi fossero stati incaricati del trasferimento di una belva
feroce, di una fiera indomabile. Se fra i membri dell’esercito kofreyota,
infatti, il suo nome era associato a quello di una grande combattente,
mercenaria sì ma pur sempre guerriera degna di ogni rispetto, fra i
membri della guardia cittadina della capitale ella aveva una fama ben
diversa. Forse, fra coloro che la circondavano, si ponevano anche visi che
ella avrebbe dovuto riconoscere, espressioni che avrebbe dovuto poter
riportare alla memoria in quanto appartenenti al suo passato, avversari
già affrontati e battuti senza impegno alcuno, lasciati sopravvivere solo
perché le loro morti non avrebbero rappresentato per lei alcun guadagno.
In un simile contesto, agli occhi del gruppo preposto alla sua custodia, ella
era e sarebbe sempre rimasta solo una criminale, una violenta e sadica
assassina da controllare a vista, da non trattare alla stregua di un essere
umano, in quanto non meritevole di un tale privilegio.
Senza che alcun sentimento di umana pietà potesse esserle offerto, ella
sarebbe stata perennemente gravata dal giogo di quelle grosse catene, dal
peso del metallo che già ne segnava tremendamente le carni, piagandone
la pelle e le membra in maniera assolutamente dolorosa, ritrovandosi
costretta a percorrere un cammino nel corso del quale, probabilmente, una
donna meno forte rispetto a lei avrebbe perduto la vita.

«Thyres…» invocò in un lieve respiro, involontariamente gemendo in


quel mentre per la propria concreta sofferenza.
36 Sean MacMalcom

uasi fossero stati inseguiti da un branco di demoniaci lupi, le


guardie del contingente di scorta si imposero una marcia
Q continuata per oltre dodici ore, a un ritmo a dir poco forzato,
prima di concedersi una breve pausa. Tale momento di riposo,
nell’arrestare i passi simili a quelli di una corsa su un terreno sempre
meno pianeggiante, non fu cercato, di certo, per offrire sollievo alla
stremata prigioniera, quanto agli stessi carcerieri, dove acqua e
nutrimento avrebbero dovuto essere reintegrati all’interno di corpi provati
dal compimento di un simile percorso.
Alla Figlia di Marr’Mahew, la cui pelle aveva ormai iniziato a
sanguinare, solcata qual era dal metallo delle proprie catene, di
quell’ammasso di ferro e acciaio che gravava sulle sue forme, spalle,
fianchi, gambe, schiacciandola inesorabilmente a terra come sotto l’azione
di un gigante, non fu offerto alcun nutrimento questa volta, donandole
appena la possibilità di un sorso d’acqua, poche gocce che non riuscirono
a giungere fino alla gola, venendo assorbite prima dalla bocca inaridita.
Nonostante tutto questo, al di là dell’evidente disprezzo che
inesorabile le stava venendo imposto, ella non poté e non volle riconoscere
colpa ai propri carcerieri per un simile pregiudizio, per tanta crudeltà nei
suoi confronti, consapevole che per quanto a ognuno di quegli uomini e di
quelle donne era stato dato di sapere, nella limitatezza della visione della
realtà loro offerta, in virtù delle colpe di cui l’accusavano, ella si sarebbe
dovuta considerare più che meritevole di una tale reazione. Naturalmente,
come ogni pregiudizio, anche quello sarebbe potuto essere posto
facilmente in crisi ideologica se solo ella fosse riuscita a invitarli a un
momento di riflessione, un istante di analisi dei fatti certi piuttosto che di
semplici accuse. Perché tutte le tremende imputazioni di pirateria a lei
imputate, la feroce creatura tratteggiata dalle medesime, male si
rapportavano con l’autocontrollo dimostrato in ognuno dei loro scontri,
con l’assenza di sangue e di morte lasciata alle proprie spalle a ogni
arresto o a ogni evasione, anche quando le sarebbe stato forse più facile
colpire per uccidere che, semplicemente, per disarmare e porre
temporaneamente fuori dal gioco. Purtroppo, però, caratteristica
fondamentale di ogni pregiudizio, da sempre, era quella di potersi
considerare tale proprio in quanto incapace di accettare l’ipotesi di essere
messo in discussione e, in quel momento, la sola intenzione della
mercenaria era quella di giungere a destinazione e non quella di cercare di
riabilitare il proprio nome, di farsi rispettare da quegli sguardi carichi solo
di astio, se non di aperto odio.
MIDDA’S CHRONICLES 37

«Che hai da guardarmi, cagna?!» scattò improvvisamente una donna,


una guardia, nell’alzarsi e nel dirigersi verso Midda, piegata a terra e
smarrita nei propri pensieri, per poi colpirla con un violento calcio al viso.

La mercenaria incassò il colpo con un lieve gemito, sputando sangue a


terra e cercando, nella stanchezza e nel dolore, di non perdere i sensi.
Forse, per quanto stremata, avrebbe potuto ancora reagire contro la
propria inattesa avversaria, contro quella sciocca che senza alcuna ragione
si era levata verso di lei cercando evidentemente rissa, in un silenzioso
supporto da parte di ogni proprio compagno. Rialzarsi da terra, però, in
quel momento avrebbe di certo significato dichiarare guerra a tutte quelle
guardie che, al di là degli ordini ricevuti, avrebbero potuto decidere di
ucciderla senza troppe remore, giustificandosi poi con l’addurre a lei
stessa ogni responsabilità di quanto accaduto, in un ipotetico tentativo di
rivolta, di evasione, di fuga.

Prima ancora che, però, alla guardia fosse offerta la possibilità di


ritentare un nuovo attacco, una voce intervenne nella scena, tuonando un
ordine vigoroso e privo di possibilità di replica: «Fermi!»

Il maggiore Andear Onej’A, eretto e fiero sul proprio cavallo, nel


notare movimenti sospetti fra le fila dei propri uomini aveva rapidamente
attraversato l’intero contingente per giungere fino al luogo della rissa o,
per meglio dire, del pestaggio, portandosi poi, senza troppe premure nei
confronti di nessuno, fra le due contendenti con l’intera massa
dell’animale dal manto castano.
Egli si offriva come un uomo di statura bassa e robusta, tanto che,
posto accanto a Midda, con il proprio sguardo sarebbe arrivato a
malapena all’altezza dei seni della donna, pur dimostrando una
muscolatura, un fisico tale da rendere anche solo la circonferenza di un
suo braccio maggiore di quella dei non esili fianchi della stessa. Tali
attributi, che la mercenaria in quelle ore aveva avuto modo di studiare a
lungo, al di là del superficiale sguardo inizialmente offertogli, insieme ai
capelli raccolti in una stretta e corta treccia e a folti baffi biondo-rossi, lo
rendevano quasi simile a un nano delle leggende del nordico continente di
Myrgan più che a un normale essere umano. L’età, probabilmente intorno
ai quarant’anni, risultava essere difficilmente intelligibile
nell’osservazione del suo viso, in una pelle resa simile a cuoio, per colore e
consistenza, dall’azione calore del sole. Quasi fosse una maschera più che
un volto, esso trovava uniche aperture sulla superficie quelle per i due
occhi scuri, per le narici del naso e per i denti giallastri nella bocca, a
38 Sean MacMalcom
concedere agli stessi di mostrare la propria presenza nell’altrimenti
statuaria e inumana sua apparenza. A coprirne, poi, le fattezze,
differenziandosi rispetto alle uniformi indossate da tutte le altre guardie,
forse in memoria di un passato più glorioso in qualche esercito, erano una
casacca color amaranto e un paio di brache similari, poste entrambe al di
sotto di una leggera e compatta armatura argentata con bordi dorati: un
lavoro estremamente pregiato e, probabilmente e necessariamente,
realizzato su commissione personale, che si concedeva ancora lucente
nelle proprie forme per quanto evidentemente invecchiato dallo scorrere
del tempo e da troppe battaglie, che lì avevano lasciato chiari segni del
loro passaggio. Dalla protezione assicurata dall’armatura, solo le braccia e
la parte bassa delle corte gambe restavano escluse, probabilmente più per
permettergli libertà di movimento che per un’impossibilità a vederle a
loro volta ricoperte dal metallo lavorato.
Dall’alto del proprio cavallo, l’uomo osservò con serietà la donna che
aveva attaccato ingiustificatamente Midda, con labbra non visibili sotto i
baffi, ma intuitivamente piegate verso il basso in una voluta espressione di
disapprovazione.

«Cosa significa questo?» domandò il maggiore, verso la propria


subalterna.
«Quella cagna stava per attaccarmi.» sbraitò l’altra, mentendo
spudoratamente ma ritrovando, in questo, immediato e prevedibile
appoggio nei propri compagni «Mi sono solo difesa! E’ una furia… non un
essere umano!»
Andear voltò lo sguardo verso donna guerriero, studiandola in
silenzio, nelle piaghe, nel sangue, nella sofferenza, che la caratterizzava
tanto evidentemente, prima di riprendere parola: «Stolti! Chi credete di
ingannare?» li rimproverò tutti, con freddezza «Quella pirata ormai non
potrebbe più nulla contro alcuno di voi.»
«Ma, signore!» tentò di intervenire un’altra guardia, un uomo, in
supporto della compagna, in difesa di tutti loro.
«Gli ordini del magistrato sono stati chiari.» lo fermò con tono deciso,
mostrando i denti gialli sotto ai baffi, in un gesto simile a un ringhio
animalesco «Chiunque di voi leverà ingiustificatamente la mano contro la
prigioniera dovrà renderne conto a me… personalmente!»

Silenzio accolse quelle parole, una quiete nella quale la mercenaria


colse chiaramente rispetto e devozione verso quel comandante,
nonostante egli non li stesse giustificando e, al contrario, li stesse
ammonendo. Non le era dato di conoscere nulla in merito alla situazione,
non le era dato di sapere qualcosa su quell’uomo prima di allora
MIDDA’S CHRONICLES 159

I quattro cavalieri

ignore e signori… è con enorme piacere che vi offro il mio più


caloroso benvenuto.»
S Donne e uomini, giovani e vecchi, borghesi e nobili, fra i quali
si sarebbero potuti annoverare lady e lord appartenenti alle più influenti
famiglie di tutta Gorthia, si erano dati appuntamento all’interno di quel
teatro, di quella colossale edificazione, accomunati non unicamente dai
patrimoni posseduti e dall’importanza dei propri nomi, per assistere allo
svolgimento di quella che era una delle più antiche e rinomate tradizioni
del regno: il circo.

«Non senza emozione, non senza orgoglio, ma assolutamente privo di


falsità, voglio annunciare a tutti voi che questa sera l’Arena offrirà scontri
epici, imprese mai viste prima, nella presenza di un’ospite assolutamente
unica!»

Garl’Ohr era in Gorthia una fra le maggiori capitali di tutte le


province, più vasta e popolata della stessa sede del potere sovrano, della
famiglia reggente. Sita a meridione, essa si poneva quale primo
avamposto di civiltà, primo segnale di vita umana a nord della regione
vulcanica, avvelenata e invivibile, comunemente conosciuta con il nome di
Terra di Nessuno, spartita quale confine non desiderato fra lo stesso regno
e il confinante, Kofreya. Vicino al mare pur mantenendosi
sufficientemente distante da esso per trovare non un porto cittadino ma
una vera cittadella satellite preposta a tale funzione, Garl’Ohr si
concedeva esteticamente specchio della civiltà che l’aveva eretta e che in
essa viveva, una popolazione molto più rude e più violenta di quelle
circostanti, la quale imponeva alla propria architettura solo forme basse,
grezze, prive di armonia, di una reale bellezza, proponendo edifici
costruiti in solida pietra, tagliata direttamente dalle montagne che
costituivano la quasi totalità della superficie del regno, non lavorate, non
rese lisce, lucenti, gradevoli, ma lasciate al naturale, in una sorta di
barbara e selvaggia naturalità.
Tale era del resto il carattere di quel popolo, di quella gente, che nella
forza fisica, nello scontro privo di regole, era solita cercare il proprio
onore, la propria elevazione verso gli dei, verso il dio Unico riconosciuto
in quell’area, lo stesso che altre nazioni confinanti amavano definire con
160 Sean MacMalcom
nomi quali Gorl o Gau’Rol: figli della terra e del fuoco tali essi si
consideravano, e della terra cercavano la solidità, del fuoco l’ardore, la
passione. Guerrieri, quindi, ma che non vedevano la guerra come un
affare, che non osservavano la battaglia quale una possibile fonte di
potere, quanto semplicemente un’occasione di gloria, di elevazione verso
l’ideale divino indicato dalla loro fede. Nessun mercenario partiva da
Gorthia diretto al resto del mondo, dove alcun abitante di quelle dure
terre avrebbe mai accettato l’idea di guadagnare in conseguenza del
proprio credo, compiendo ciò che ai loro occhi non sarebbe stata diversa
da una preghiera elevata all’Unico e che, in tal modo, sarebbe divenuta
una blasfemia.

«Molti sono coloro che su questa sabbia hanno combattuto. Molti sono
coloro che su questa sabbia hanno incontrato il proprio destino. Molti
sono coloro che su questa sabbia hanno potuto elevarsi verso il Fuoco
Eterno, in conseguenza del proprio valore, della propria forza, della
propria fede.»

L’Arena di Garl’Ohr si posizionava nel centro della città, monumento


principale in essa che sopra a ogni altro si imponeva con le proprie
dimensioni, con la propria massa, tanto colossale da essere visibile,
qualcuno sosteneva, fin dalla cima delle montagne. Invero enorme era
quell’ambiente, realizzato in roccia grezza come ogni altra erezione in tale
città, in una forma leggermente ovale capace di accogliere oltre la metà
dell’intera popolazione, per essere in grado di offrire spazio a ogni
spettatore lì fosse voluto giungere.
Al circo non avrebbero potuto ovviamente accedere le classi meno
abbienti, le caste inferiori, e, per questa ragione, se a simili appuntamenti
fossero giunti soltanto ospiti dalla medesima città molto sarebbe rimasto
lo spazio inutilizzato. Altresì, dall’intera provincia, dalle altre capitali, in
molti lì arrivavano almeno una volta al mese, per assistere a quegli eventi
settimanali, tanto da non concedere mai neppure un posto in piedi libero
sugli spalti, sugli enormi gradoni che costituivano i sedili in tale area.
Ogni occasione risultava sempre essere unica, importante, meravigliosa e
irripetibile, ma quella sera la folla si era accatastata in maniera disumana,
stringendosi al limite del soffocamento, per riuscire a entrare, per poter
accedere e assistere a quanto in programma.

«Una leggenda vivente è fra noi oggi, è qui in questa meravigliosa


notte di Epipma, per combattere contro ogni sorta di avversario, ogni
genere di pericolo, nell’onorare con il proprio braccio, la propria lama, la
MIDDA’S CHRONICLES 161
sabbia di questa Arena e il nostro dio, per quanto pagana si proponga ella
nel proprio cuore, nel proprio animo.»

Sebbene mercenari non fossero proposti al mondo dalla popolazione


gorthese, tale categoria risultava essere, altresì, estremamente benvoluta in
senso opposto, per quanto potessero essere lontani dalla luce della fede,
per combattere all’interno dell’Arena, per concedere, con la propria vita o
con la propria morte, gloria all’Unico. Maggiore fosse stato il valore
riconosciuto a simile guerriero, maggiore sarebbe stata l’importanza di
tale combattimento, il dono concesso al loro dio, e, nelle ricompense
materiali offerte dalla cittadinanza di Garl’Ohr, lunga si proponeva la lista
di coloro che lì desideravano spingere la propria audacia, dimostrare il
proprio talento. Solo volontari erano così i lottatori di quel circo, mai
prigionieri, mai costretti nella sfida che prevedeva il confronto con altri
guerrieri e con bestie di ogni sorta e natura, anche dove il pericolo si
presentava elevato, in una tenue possibilità di sopravvivenza che solo i
migliori avrebbe visto vittoriosi, vincitori, glorificati e osannati dalla folla.

«In tutti i regni meridionali il suo nome è entrato nel mito, cantato in
dozzine di ballate che ne descrivono la forza, il coraggio, l’indomabile
presenza!»

Al centro dell’Arena, del vasto spazio sabbioso sul quale tutti


attendevano l’arrivo dell’ospite d’onore di quell’evento, tanto incredibile
da essere considerato unico e irripetibile, era il presentatore, la cui voce
forte e roboante risuonava perfettamente fino agli spalti più elevanti, in
un’acustica incredibile per quell’edificio apparentemente tanto grezzo, ma
che, evidentemente, doveva essere stata studiata nella volontà di garantire
a ogni spettatore di poter godere dello spettacolo nel minimo dettaglio, nel
più leggero ansimo da parte dei combattenti, nel minimo ringhio da parte
delle fiere. Verso quell’uomo era, ora, l’attenzione di ognuno, nonostante
il chiasso immancabile della folla, derivante dal desiderio ormai
insostenibile di poter vedere quanto loro promesso, di poter incontrare,
nei limiti della situazione, una figura per loro così nota che probabilmente
mai si sarebbero attesi all’interno di quella seppur importante
celebrazione del valor guerriero.

«Freddo come il ghiaccio è il suo sguardo; ardente come il Fuoco


Eterno è il suo animo; priva di pietà è la sua mano; ricco di grazia è il suo
corpo: potrete forse innamorarvi di lei, ma ella sarà capace di concedervi
solo morte!»
162 Sean MacMalcom
Un tuonante rullo di tamburi impose il silenzio sulla massa
nell’annunciare l’ingresso nell’area centrale dell’ospite desiderata, la quale
avanzò con passo deciso, schiena eretta, testa alta, nello splendore di una
chioma corvina, di due splendidi occhi azzurri, di un viso candido ornato
da efelidi e sfregiato da una cicatrice all’altezza dell’occhio sinistro. Un
corpo statuario, con proporzioni sensuali, ammalianti, in tondi e sodi seni
stretti da una fascia e coperti dai resti di una casacca sdrucita, in lunghe e
muscolose gambe celate da pantaloni tanto rovinati da apparire simili a
stracci più che a vesti, fu quello che si presentò davanti agli sguardi di
tutti. Con vigore, con orgoglio forse, in opposizione a un braccio destro
completamente metallico, da sotto la spalla fino alla punta delle dita,
oscuro nelle proprie tonalità che, alla luce delle torce, risplendevano in
riverberi rossastri, ella mostrava il proprio braccio sinistro di carne e ossa,
ornato da complessi tatuaggi di colore turchese, tipici dei marinai del sud,
e da una meravigliosa spada bastarda trattenuta in tale mano. La lama,
perfetta in ogni dettaglio, meravigliosa nel suo apparire, scintillava negli
azzurri riflessi tipici di una misteriosa tecnica di lavorazione del metallo
propria dei fabbri figli del mare, una civiltà così lontana da quella
gorthese che pur tanto vicini all’infinita estensione d’acqua vivevano,
osservando la stessa con diffidenza, timore e sospetto.

«Signore e signori… Midda Bontor!»

primi avversari che, all’interno dell’Arena, si presentarono contro


la mercenaria e la sua lama dagli azzurri riflessi furono un gruppo
I di dodici combattenti gorthesi.
Davanti a lei, essi si offrirono interamente ricoperti con pesanti
armature che ne celavano le fattezze dall’estremità dei piedi a quella del
capo, aprendosi solo in sottili fessure utili a permettere loro una qualche
possibilità di vista sul mondo esterno. Tali protezioni, tipiche della cultura
e della tradizione del regno, non risultavano essere solitamente adottate
negli scontri all’interno dell’Arena quanto nelle battaglie vere e proprie,
proponendosi come la risorsa principale di una fra le fanterie pesanti più
note e temute della parte meridionale del continente. Al contrario, per i
combattimenti a fine ludico, se così fossero potuti essere definiti i duelli
mortali condotti fino alla caduta di tutti i loro protagonisti su quella fine
sabbia, generalmente si proponevano armature molto più leggere, che
maggiore agilità, maggiore prestanza permettevano a coloro che sotto di
esse cercavano protezione. Era evidente, quindi, come qualcuno dovesse
MIDDA’S CHRONICLES 163
aver deciso che contro una leggenda vivente dello stampo di Midda
Bontor, proporre normali guerrieri sarebbe risultato errato, una
sottovalutazione tale da considerare addirittura un insulto più che una
lode al dio Unico, portando in conseguenza alla scelta discutibile di far
intervenire le forze migliori loro concesse, per quanto sotto simili placche
di solido metallo agli uomini lì celati non sarebbe stata concessa né
velocità né agilità in opposizione a ciò che sarebbe stato preferibile donare
loro. E, così come dal punto di vista difensivo, quella dozzina di fanti era
stata equipaggiata oltremisura, altrettanto sproporzionatamente essi si
dimostrarono da un punto di vista offensivo, trasportando, oltre al peso
non indifferente di quelle armature, anche quello di molteplici armi in un
assetto completamente da guerra: due erano infatti le spade pendenti dai
loro fianchi, una delle quali proponendosi nella foggia tipica degli
spadoni; due gli stiletti presenti alle loro gambe; una la pesante mazza
legata dietro la schiena; e una l’alabarda che tutti loro reggevano fra le
mani avanzando con passo lento ma costante.
Nel contesto di una guerra, per la quale quel dispiegamento di armi e
di protezioni era stato pensato e spesso utilizzato con grande successo,
senza dubbio la presenza di una simile fanteria avrebbe creato un effetto
travolgente negli avversari, nella compattezza e nella forza di un passo
che nessuno avrebbe mai potuto arrestare, quello di un popolo che solo
nella propria forza, nella battaglia, poteva trovare una ragion d’essere. Ma
quella in corso all’interno dell’Arena non si proponeva simile a una guerra
e la Figlia di Marr’Mahew non si presentava simile a un intero esercito a
cui poter incutere timore ancor prima di offrire battaglia.
Osservando i propri avversari, divisi in quattro gruppi di tre elementi,
provenienti da diversi ingressi contrapposti nel perimetro dell'Arena a
distanze regolari, ella non poté quindi fare a meno di essere sicura di come
essi stessero marciando verso la propria fine, imprigionati all’interno di
protezioni che, invece di difenderli, li avevano già condannati nel
medesimo istante in cui avevano posto il primo piede sopra quella sabbia.
Se anche non avesse voluto affrontarli in maniera diretta, ella avrebbe
infatti potuto tranquillamente continuare a evadere a ogni loro gesto, a
ogni loro ipotesi d’attacco, con una rapidità tale che sarebbe apparsa quasi
divina, nel confronto impari con la lentezza imposta dal peso di tanto
metallo sulle loro spalle, ai loro fianchi. Ma non era sua intenzione, per
loro sfortuna, protrarre eccessivamente a lungo quell’incontro, spendere
tempo ed energie contro di loro, dove ella aveva sì un ruolo da svolgere,
un compito che prevedeva di combattere in quell’Arena, ma nulla nelle
istruzioni, nei comandi ricevuti, le richiedeva di tergiversare per ore con
ogni singola prova che gli organizzatori di quel circo avrebbero pensato
per lei.
164 Sean MacMalcom
Levando la mancina, armata, verso il cielo, la donna guerriero rese in
tal gesto omaggio a tutti gli spettatori giunti lì per assistere alla sua gloria,
muovendo lo sguardo di ghiaccio a percorrere l’immensità di quegli spalti
nella curiosità di poter osservare all’opera la sua compagna, ovunque ella
fosse.

«In tredici ora si muovono davanti ai nostri occhi, signore e signori.»


riprese la voce del presentatore, ancora immobile nella sua posizione
centrale «Dodici contro uno, per la prima prova offerta alla donna che si
presenta qual più di una comune mortale, nelle cronache delle proprie
gesta. Riuscirà Midda Bontor a dimostrare ora, davanti a tutti noi e allo
sguardo onniveggente dell’Unico, a dimostrare il proprio valore? Solo il
sangue saprà offrirci una risposta…»

In conclusione a quelle parole, un sofisticato congegno a botola,


sostenuto da un gioco di contrappesi, vide l’uomo scomparire lentamente,
allontanandosi da quella che sarebbe stata l’area di lotta, senza compiere
un solo passo nell’immergersi in quelli che erano i sotterranei dell’Arena.
Rimasti soli, i tredici guerrieri avrebbero ora dovuto combattere fino
allo sterminio di una delle due fazioni in contrapposizione fra loro, fino
alla morte inevitabile dei fanti o della mercenaria. E quest’ultima, senza
perdere un solo istante di tempo, scattò rapida e silenziosa verso i tre che
le si proponevano di fronte, a un centinaio di piedi di distanza, correndo
nella loro direzione senza alcuna esitazione, senza alcuna incertezza,
senza alcun timore. E i tre uomini, indubbiamente tali sotto le proprie
pesanti armature dove la fede gorthese non avrebbe mai permesso a delle
donne non pagane il combattimento, non si fecero porre in soggezione dal
movimento deciso dell’avversaria e continuarono a marciare compatti, in
fila, abbassando le proprie alabarde a posizionarsi parallele al suolo con
movimenti perfettamente coordinati fra loro.
La distanza fra le due parti si accorciò rapidamente, vedendo la donna
sempre più sfrenata verso gli avversari ed essi ugualmente imperterriti nel
proprio cammino, nel condurre passo dopo passo la propria strada verso
di lei. Cinquanta piedi di distanza, trenta piedi di distanza, quindici piedi
di distanza, dieci piedi di distanza, e la situazione rimase immutata, verso
lo scontro considerato ormai inevitabile fra loro, verso quelle punte affilate
rivolte alla mercenaria, davanti alle quali tutti non avrebbero potuto
evitare di domandarsi in quale modo ella avrebbe mai potuto
sopravvivere, come avrebbe mai potuto non infrangere il proprio corpo
scoperto, praticamente nudo nel confronto con gli altri.
Solo a sei piedi di distanza, al momento in cui le punte avrebbero
dovuto squartare senza pietà il ventre della donna, tutto mutò
MIDDA’S CHRONICLES 165
inaspettatamente, vedendo la mercenaria gettarsi in una lunga scivolata in
avanti, abbassandosi così al suolo con la propria schiena giusto in tempo
per evitare il catastrofico impatto e, contemporaneamente, per cogliere di
sorpresa i propri avversari. Essi, lenti e legati quali si ritrovavano a essere,
con un’imposta riduzione di campo visivo data dagli elmi di quelle
armature, percepirono semplicemente la scomparsa della propria preda
divenuta predatrice, senza poter comprendere dove ella si fosse spostata,
dove si fosse nascosta. Questo, ovviamente, almeno fino a quando, un
istante dopo, la sua impietosa lama non si insinuò attraverso le giunture
della protezione considerata quasi perfetta indossata dal centrale fra loro,
definendo indissolubilmente la prima di quelle che sarebbero state dodici
morti, penetrando dall’inguine e affondando con la propria spada
bastarda fino a raggiungere il cuore dell'avversario.
Un boato esplose nella folla, per l’esultanza di quel momento, per
l’entusiasmo di quel primo sangue caldo sulla fresca sabbia dell’Arena,
acclamando la straniera nel suo rapido movimento, che la vide rialzarsi da
terra alle spalle dei due uomini rimasti solo per sferrare un secondo,
violento e infallibile attacco. Ancora una volta, senza esitazioni, ella
incuneò la propria spada nei sottili spazi concessi dalle articolazioni
metalliche delle armature avversarie, infrangendo nuovamente un cuore
nello spingersi fino a esso attraverso l’ascella del suo proprietario.

«Non prendertela a male…» suggerì ella, spingendo il corpo morto


verso l’unico superstite nel liberare la propria spada «… ma posso
assicurarti che mangiare una magnosa è sicuramente più complesso che
superare le vostre difese.»

Il riferimento al crostaceo proposto dalla Figlia di Marr’Mahew


ovviamente sfuggì all’uomo che, rigiratosi verso di lei e gettata a terra
l’alabarda ormai inutilizzabile a una distanza così ravvicinata, estrasse il
proprio spadone nel desiderio di abbattere l’avversaria, nella certezza che,
se ciò non fosse avvenuto rapidamente, sarebbe stato il suo sangue ad
aggiungersi a quello dei due compagni perduti. Purtroppo per lui, ogni
resistenza sarebbe dovuta essere già considerata vana in opposizione alla
donna guerriero: i gesti dell'uomo apparvero assurdamente lenti a
confronto con quelli di lei, quasi fosse vittima di una sorta di incantesimo
sebbene l’unico suo svantaggio risiedesse in un’errata pianificazione di
tale incontro, nella scelta di quell’equipaggiamento. E anche dove l’uomo
riuscì a portare la propria pesante spada contro l’obiettivo prefissato, egli
non raggiunse la carne bramata ma unicamente il metallo del braccio
destro della mercenaria, il quale non si dimostrò minimamente scalfito da
tanta enfasi, dal peso di un simile attacco.
166 Sean MacMalcom
In quel tentativo di offesa, al contrario, l’uomo si scoprì troppo,
ponendosi completamente a disposizione di qualsiasi decisione della
propria avversaria. E senza trasporto, senza mostrare né particolare gioia
né particolare dolore per i propri gesti letali, per quello che dal suo punto
di vista era un normalissimo lavoro, un incarico assegnatole che avrebbe
condotto a termine per i propri benefici personali e per alcuna altra
ragione, ella pose fine anche alla sua vita, scuotendo il capo nel lasciar
cadere quel corpo a terra, così goffo e impacciato nell’inutile tentativo di
difesa rappresentato da quell’armatura.

«Eccomi, mio caro. Spero di non essermi attardata troppo…»


«Non temere, dolcezza. I giochi sono appena incominciati.»

Il suo nome era lord Visga Veling, ultimo erede di una delle più
antiche e prestigiose famiglie nobili di tutta Gorthia, residente da sempre
presso la stessa città di Garl’Ohr.
Superato ormai il traguardo dei quarant’anni, umiliato dall’onta di
non riuscire ad avere un erede, aveva da lungo tempo rifiutato la presenza
di una sposa al proprio fianco, di una compagna fissa con cui dividere la
propria esistenza, non ritrovando alcun beneficio in una simile scelta
laddove nulla li avrebbe mai legati al di fuori di qualche momento di
piacere. E per tale ragione, egli preferiva ricercare tali momenti con il
maggior numero di concubine possibili, gorthesi e non, del resto
appoggiato completamente dalla legge del regno che non imponeva né
richiedeva alcuna forma di monogamia, subordinando altresì il ruolo
femminile a quello maschile. Il suo aspetto, nonostante la giovinezza si
fosse ormai allontanata, si proponeva ancora vigoroso, guerriero, con un
corpo ancora perfettamente scolpito nei propri muscoli, nelle proprie
proporzioni per quanto celato sotto una lunga veste di pelle e sotto un
pesante manto di pelliccia, quest’ultimo legato al collo da una grossa
catena d’argento. Il suo viso si offriva squadrato, con un naso corto e un
mento largo, due occhi castani dotati di un’estrema, intrinseca vivacità in
contrasto con una pelle chiara e corti capelli un tempo castani, ora più
sbiaditi, che si conformavano ai lati del volto stesso in due lunghe basette.
Sopra il capo, unico e prezioso ornamento, era una coroncina d’oro,
composta a riprendere le sembianze di una corona d’alloro, antico simbolo
di valore nella cultura gorthese, mentre, alle sue mani e ai suoi piedi,
erano strette fasciature l’unica protezione presente: entrambi tali segni si
donavano qual evidente retaggio d’un passato da combattente che non
desiderava fosse dimenticato, che non voleva potesse essere posto in
dubbio da alcuno.
MIDDA’S CHRONICLES 167
La sua attuale compagna, conosciuta solo pochi giorni prima e
rapidamente resa propria, era una splendida giovane donna straniera,
come la sua scura pelle sottolineava in maniera chiara e inconfondibile.
Presentatasi con il nome di Cila Gane, ella era giunta in città al seguito
del proprio fratellastro, un mercante kofreyota, lasciando ben presto il
proprio ruolo accanto al parente nel cedere alle lusinghe e alle offerte
concesse a lei da lord Visga. Lunghi capelli castani, raccolti in un’alta
coda, circondavano un viso delicato, incantevole, leggermente ovale, dove
due profondi occhi ugualmente castani e carnose labbra rosso sangue si
ponevano attorno a un naso sottile, elegante, aggraziato. Un’ampia
scollatura, nella sua veste violacea scendeva fino alle rotondità di due seni
non eccessivi ma sodi e assolutamente ricchi di eleganza, sopra i quali si
adagiava un prezioso girocollo in diamanti ad attirare ancor di più, se
necessario, lo sguardo verso tale desiderabile e desiderato punto
d’interesse. Nella forma di un stretto corsetto era la parte superiore
dell’abito, legato da molti lacci sul suo ventre e coprente appena esso e
parte delle braccia e spalle, lasciando libera, altresì, la predominanza della
schiena. In tal punto, osservandola con cura attraverso la lunga coda di
soffici capelli, si sarebbe potuta trovare la presenza di un meraviglioso
tatuaggio sulle scapole, a ritrarre un paio di ali piumate in posizione di
riposo. Scendendo più in basso, da fianchi larghi dopo una stretta vita, si
lasciava ricadere una fluente gonna completamente aperta nella propria
parte anteriore, per mostrare lunghe e tornite gambe, color della terra, e
lasciar intuire la presenza di un delicato perizoma a celarne le parti più
intime. Alle estremità inferiori di tale figura si proponevano, infine, due
sandali del medesimo colore violaceo dell’abito, che risalivano fino alle
sue ginocchia in un intreccio sensuale e invitante per uno sguardo
maschile, che mai si sarebbe stancato di posarsi su tale, meravigliosa,
presenza.

«E' vero, quindi, che sta combattendo Midda Bontor?» domandò la


donna, accomodandosi accanto al proprio compagno e portando, in ciò, le
lunghe gambe ad accavallarsi con grazia «La famosa mercenaria del sud
di cui tanto si parla?»
«Ammetto che anche io avevo dei dubbi all’inizio…» sorrise l’uomo,
voltandosi per un istante verso di lei, nel portare in tal gesto la propria
mano destra ad appoggiarsi sulla coscia destra della medesima, superiore
alla sinistra in quella postura «Ma dopo aver visto di cosa è capace, sono
convinto sia proprio ella.»

Molti livelli sotto alla posizione in cui risiedeva la coppia, nella


tribuna d’onore riservata alle personalità più importanti del regno, la
168 Sean MacMalcom
donna guerriero in questione stava estraendo la propria spada grondante
di sangue dal corpo del suo sesto avversario, per essere libera di gettarsi
in corsa verso un nuovo gruppo di fanti, ormai davanti a lei simili ad
agnelli indifesi, a carne da macello più che a un’élite scelta quali
inizialmente dovevano apparire nei desideri degli organizzatori di quello
spettacolo.

«E’ davvero così brava?» chiese ancora Cila, mostrandosi interessata ai


giochi e appoggiando le proprie mani sul braccio del compagno per
accarezzarlo con dolcezza «Da quanto si dice dovrebbe essere più simile a
una figura mitologica che a una donna comune…»
«Di certo non è una donna comune.» rispose egli, tornando a osservare
l’azione nell’Arena «La nostra fanteria pesante è rinomata in tutto il
continente, eppure ella si sta dimostrando in grado di abbatterli uno dopo
l’altro, senza fatica, forse senza neanche un reale impegno, quasi fossero
fantocci da esercitazione più che guerrieri scelti.»
«Oh…» offrì stupore la donna, portando anch’ella la propria
attenzione all’evoluzione di quello spettacolo circense.
«Osserva i suoi movimenti.» indicò l’uomo, levando la propria mano
libera a indicare il combattimento in corso «Più che a un guerriero, ella
appare simile a un’odalisca impegnata in una danza d’amore, di
seduzione. Scivola elegante fra i propri avversari, accarezzandoli con la
lama della propria spada, imponendo loro la più dolce morte che mai
avrebbero potuto desiderare.»
«Dovrei sentirmi gelosa?» lo stuzzicò a quel punto la donna,
spingendosi con le proprie labbra ad accarezzare il lobo del suo orecchio,
a lei rivolto «Sembra che parli di lei come della tua prossima conquista…»
«No… non temere.» scosse il capo egli, voltandosi a baciare le labbra
così offertegli in un gesto fuggevole «Ci tengo alla mia vita e quella donna
sarebbe capace di strapparmela con una sensualità tale, con un erotismo
intrinseco così forte per i quali la ringrazierei, invece di maledirla…»

Il confronto fra Cila e Midda sarebbe risultato, invero, estremamente


difficile, assolutamente impari: la prima, infatti, incarnava femminilità allo
stato più puro, mostrando la propria assoluta beltà in ogni singola
proporzione del proprio corpo, in ogni più minimo dettaglio, traspirando
sensualità a ogni proprio gesto, ammaliando con il proprio semplice
respiro, il proprio portamento chiunque le si accostasse; la seconda, al
contrario, donava sì un corpo indubbiamente femminile, come le
proporzioni anche troppo abbondanti dei suoi seni, dei suoi fianchi non
mancavano di ricordare, ma diverso dalla controparte, con muscoli più
evidenti, guizzanti sotto una pelle che non celava tanti piccoli segni di
MIDDA’S CHRONICLES 169
troppe avventure, con un viso più severo, più marziale, reso quasi
sgradevole, in effetti, dallo sfregio che lo attraversava, dilaniandolo
visivamente. Nonostante tutto questo, però, nonostante la bellezza pura di
Cila, Midda si riservava un erotismo più unico che raro, espresso come
giustamente descritto da lord Visga, anche nei gesti più letali, più
mostruosi come quelli di un’uccisione a sangue freddo, dove alcuna
emozione era comunque in grado di trasparire sul suo viso, dai suoi occhi
di ghiaccio.

«E’ una chimera…» soggiunse l’uomo, continuando a osservarla in


azione, falciare uno dopo l’altro i propri avversari.
«Come?» replicò la donna, non avendo ben inteso l’ultima frase nel
fragore che li circondava, nelle grida assordanti di tutti gli spettatori
dell’Arena.
«E’ una chimera.» ripeté egli, con convinzione «Appare così seducente,
così magnifica, in grado di soddisfare ogni più recondito desiderio che
l’umana mente potrebbe mai concepire… ma solo in superficie, solo in
apparenza, rivelandosi altresì mortalmente pericolosa, assolutamente
letale. Un uomo potrebbe dannarsi nel desiderio di giungere a lei e lì
arrivato si ritroverebbe ugualmente condannato a una tremenda fine…
come con una chimera.»

Dopo che i fanti ebbero compiuto il proprio tempo, cadendo in


battaglia uno dopo l'altro, nonostante la presenza delle pesanti armature
o, forse, proprio in conseguenza di esse, la donna guerriero si ritrovò per
breve tempo sola al centro dell’Arena, con la pelle leggermente imperlata
di sudore e abbondantemente sporca di sabbia, nell’ovazione generale di
tutta la platea a lei inneggiante, a lei osannante.
Conficcando la spada al suolo, in quel momento di pausa, ella
approfittò del medesimo per tentare di pulirsi dalla terra e dal sangue che
la ricoprivano, impresa che avrebbe potuto portare realmente a termine
solo dopo un buon bagno. Sebbene fosse abituata, nel proprio stile di vita,
a non ritrovare il proprio corpo terso come avrebbe probabilmente altresì
preferito, ella non desiderava mancare di liberarsi, per lo meno, dalla
parte maggiore di ciò che su di sé si accumulava a seguito di ogni scontro,
in previsione di un possibile proseguo che, ovviamente, in quell’occasione
non sarebbe mancato. In effetti, tale scelta, si poneva anche in
conseguenza della necessità di mantenere il proprio fisico più sano e agile
possibile, a evitare che anche il minimo impedimento potesse bloccarle i
movimenti. Sabbia, sangue e sudore, invero, avrebbero ostacolato tale
scopo, in particolare sul suo braccio destro, nelle articolazioni metalliche
che lo costituivano e che non si potevano permettere di risultare legate,
170 Sean MacMalcom
limitate, rischiando altrimenti di riportare alla luce la sua menomazione
nell’inefficienza che sarebbe derivata da quel surrogato, nell’assenza
concreta dell’arto sostituito da quell’artefatto.
In tal mentre, esattamente nel punto in cui il presentatore dell’evento
era scomparso prima dell’inizio degli scontri, egli ricomparve, ascendendo
nuovamente alla superficie per riprendere il proprio ruolo, per richiamare
l’attenzione della folla su quanto sarebbe presto accaduto. Anche Midda
rivolse a lui sguardo e udito, dove alcuna possibilità le era stata concessa
nel conoscere anticipatamente quanto i gorthesi potessero aver previsto
per lei, in sua opposizione. Di certo se ogni prova si fosse rivelata simile a
quella appena superata, ella avrebbe potuto restare tranquilla, nella
semplicità di portare a termine la parte del proprio incarico relativa a quel
contesto, a quel circo, sopravvivendo al medesimo.

«Incredibile! Semplicemente incredibile ciò a cui abbiamo assistito!»


esclamò l’uomo, facendo nuovamente rimbombare la voce nell’intero
ambiente, imponendo il silenzio sugli spettatori «Se qualcuno fra voi
avesse dubitato, nel giungere qui questa sera, che la donna presente fra
noi fosse veramente Midda Bontor, credo che ciò a cui tutti abbiamo
appena assistito avrebbe sciolto ogni incertezza, ogni sospetto a tal
riguardo!»

Nel contempo in cui quelle parole furono pronunciate, un gruppo di


trenta inservienti, lavoratori di fatica nel circo, entrarono rapidamente in
scena al fine di allontanare dallo sguardo del pubblico i corpi dei caduti,
non tanto per timore che tale vista potesse risultare loro offensiva ma, più
banalmente, per ripristinare lo stato iniziale dell’Arena in preparazione al
successivo incontro. Tre fra loro, in particolare, si dedicarono alla stessa
mercenaria, portandole una grande brocca d’acqua, un catino e un panno
pulito in lino a permetterle, se desiderata, la possibilità di dissetarsi,
risciacquarsi e asciugarsi. E sebbene tale premura potesse apparire
conseguenza dei suoi gesti precedenti, della sua volontà proprio in tal
senso, una simile procedura era altresì uso comune nel corso di quegli
spettacoli, nel rispetto e nell’onore che venivano riconosciuti ai
combattenti, a coloro che all’interno di quella manifestazione mettevano in
gioco le proprie vite in glorificazione della fede gorthese.

«Oggi il Fuoco Eterno sembra destinato a bruciare intenso come non


mai, distruttivo come da tempi remoti non appariva in onore del nostro
dio Unico. A lui, la spada di Midda Bontor appare votata, nel cercare con
tanta ingordigia, con tanta bramosia la carne e il sangue dei propri
MIDDA’S CHRONICLES 171
avversari, degli sfidanti che contro di lei si sono schierati alla ricerca di
vittoria o morte.»

La donna guerriero, nel corso di quel monologo evidentemente


concepito con la principale utilità di distrarre l’attenzione del pubblico
dalle azioni di servizio volte alla riorganizzazione del palco, approfittò più
che volentieri dell’offerta propostale, sciacquandosi abbondantemente la
bocca, pur senza ingerire per evitare di appesantirsi, e usando il resto
dell’acqua per concedere al proprio corpo una rapida pulizia, nel gettare
direttamente il fresco liquido sulla carne e sulle vesti senza troppe
premure, senza eccessivo formalismo. Grazie a essa, la sabbia e il sangue
quasi essiccato contro di lei riuscirono a essere lavati, lasciandola
nuovamente pura, candida, pronta al nuovo scontro che non l’avrebbe
certamente fatta attendere. Trascorso il tempo stabilito, infatti, gli
inservienti si congedarono da lei nel seguire i propri compagni in
allontanamento dalla terra dell’Arena, a permetterle di restare unica
protagonista della scena allo sguardo del suo pubblico, davanti a quegli
spettatori che con grida e versi quasi animaleschi, desideravano
concederle il proprio appoggio, il proprio entusiasmo.

«Midda Bontor è stata in grado di dimostrare quanto la leggenda


attorno al proprio nome fosse fondata, nell’affrontare un gruppo armato
scelto, a lei superiore in numero e in equipaggiamento. Senza pietà, ella ha
imposto l’unico destino possibile ai propri contendenti, ma riuscirà a
proporci le stesse emozioni, la stessa gloria contro le fiere più pericolose
che abitano il nostro mondo, i più feroci predatori che solo i migliori
cacciatori sanno trasformare in prede?»

Nuovamente, come già all’ingresso della fanteria, il presentatore


scomparve nel terreno dell’Arena, attraverso il medesimo meccanismo
precedentemente adoperato, per porsi al sicuro dagli avversari scelti in
quel momento per la mercenaria, contro cui, questa volta, tutta la sua
agilità e la sua velocità probabilmente a ben poco sarebbero valse. Ancor
prima che essi si potessero proporre apertamente alla sua vista, ella già
aveva intuito la loro natura, memore anche delle tante storie sentite in
merito a quell’Arena e a posti similari sparsi nel mondo. In sua
opposizione sarebbero state offerte tigri, leoni e pantere, i più feroci
predatori felini esistenti in natura, contro i quali lo scontro sarebbe stato
ben diverso dal precedente.
Tali animali, rari in quelle terre meridionali, abbondavano
maggiormente risalendo verso settentrione, verso i regni desertici. In tali
zone, pertanto, nascevano e venivano formati i cacciatori in grado di
172 Sean MacMalcom
offrire loro competizione, di tenere loro testa quasi alla pari, abituati a
comprenderne la mentalità, a prevederne le azioni, a contrastarne gli
attacchi. E per sua sfortuna, per quanto nella propria vita avesse
combattuto contro quasi ogni sorta di creatura, affrontare simili bestie non
era stata un’occupazione in cui si fosse mai impegnata o della quale avesse
accumulato nozioni utili.

«Thyres…» imprecò a denti stretti.

Quando dai cancelli posti in corrispondenza ai quattro punti cardinali


attorno a lei, pertanto, si presentarono a gruppi di tre, tigri, leoni, pantere
e, inaspettatamente, anche orsi, Midda non poté che storcere le labbra
verso il basso per la disapprovazione nei confronti della scelta compiuta
dagli organizzatori dell’incontro. Dove, infatti, contro gli orsi si era già
ritrovata a impegnare le proprie energie e con le pantere aveva avuto
qualche scambio di opinione, leoni e tigri restavano animali a lei
assolutamente ignoti, letali avversari che avrebbero potuto squadrare le
sue carni fra i propri denti, sotto i propri artigli, prima ancora che ella
avesse potuto comprendere il movimento del loro attacco.
In quel momento, riportando il pensiero ai fanti abbattuti, ella non
poté evitare di rimpiangere le loro meravigliose, ingombranti e pesanti
armature, che avrebbero potuto proteggerla dalle fiere, dove queste stesse,
osservandola con interesse e curiosità, iniziarono ad allargarsi all’interno
dello spazio loro concesso con passo tutt’altro che sereno, con espressioni
tutt’altro che felici, nell’evidenza di un’assenza protratta di cibo loro
imposta da chissà quanti giorni, ad assicurarne la massima ferocia verso
quella che sarebbe potuta essere la loro vittima predestinata.

«E qui la cifra pattuita inizia a lievitare.» commentò, sfoderando la


propria spada e preparandosi al peggio.

ortunatamente per la donna guerriero, nonostante fossero


visibilmente affamate, le fiere non dimostrarono immediata
F confidenza con l’ambiente loro circostante.
La presenza della folla entusiasta, di tutte quelle grida, di tanto
rumore che si proponeva sovrastante su loro con irrefrenabile impeto, le
lasciò per un momento distratte, confuse, nella necessità di comprendere
ove si trovassero e quale scopo potessero prefiggersi. Evidentemente, esse
non si dimostrarono come animali già abituati a quel genere di spettacoli,
MIDDA’S CHRONICLES 173
già temprati in quell’ambiente, e ciò avrebbe potuto consentire alla
mercenaria qualche istante di vantaggio per compiere le proprie scelte, per
vagliare le strategie da attuare contro di essi. Un tempo estremamente
limitato in un contesto di assoluto svantaggio quale era quello in cui si era
ritrovata a essere.
Incerta era la tattica verso cui poter rivolgere la propria attenzione. Da
un lato, ella avrebbe, infatti, potuto affrontare per primi gli animali con cui
aveva già confidenza, sperando di eliminarli in modo più rapido e
indolore possibile per abbattere numericamente la schiera dei propri
avversari e poter successivamente rivolgere tutta la propria energia verso
coloro che rappresentavano reale incognita, pericolo concreto per la
propria sopravvivenza. Dall’altro lato, ella avrebbe, altresì, potuto
dedicare le proprie forze in primo luogo proprio contro le fiere che non
conosceva, quelle con cui non aveva avuto possibilità di confronto in
passato, in modo da offrire il meglio di sé, il proprio massimale,
rimandando solo a posteriori la necessità di sfida verso i nemici già noti.
Entrambe le alternative proponevano alcuni vantaggi e alcune situazioni
di rischio, un fattore di vittoria e uno di sconfitta. Impossibile, quindi,
sarebbe stato per lei poter prevedere quale fra i due scenari sarebbe potuto
essere il migliore da attuale, l'ottimo da perseguire. Impossibile, anche,
sarebbe stato esser certa che una fra quelle due alternative fosse realmente
quella migliore da porre in essere, rispetto ad altre possibilità che non
stava prendendo in esame, con cui non stava confrontandosi.
Purtroppo, però, il tempo non si proponeva qual suo vantaggio, e la
possibilità di pianificazione, di vaglio di ogni ipotesi le era preclusa
nell'immediatezza richiesta da quella sfida, nei termini imposti dai propri
avversari e dalle loro scelte.

Quando i primi ruggiti si levarono a sovrastare le grida della folla, a


imporsi su essa con la potenza della propria forza selvaggia e
incontrollabile, Midda non ebbe più tempo per pensare, non ebbe più
possibilità per soffermarsi un solo istante di troppo. E, in questo, la sua
scelta fu immediata, senza più alcun dubbio, senza più alcuna remora,
riportandola alla sua classica freddezza, all'autocontrollo che le era
proprio, che aveva contribuito alla creazione del mito, della leggenda
attorno al suo nome. Non più donna, non più umana, ma guerriero, priva
di indugi, priva di compassione, forte nella conoscenza delle proprie
capacità e ancor di più dei propri limiti, quegli stessi tipicamente mortali
che non voleva rinnegare ma che, al contrario, considerava continuamente
nel desiderio di permettere la prosecuzione della propria vita anche
laddove osava spingersi in imprese ritenute impossibili, insormontabili,
ineguagliabili.
174 Sean MacMalcom

«Che cosa vuole fare?» domandò Cila, osservando con stupore, con
timore, forse con ammirazione l'ardire offerto dalla mercenaria, nel
spingersi in corsa in una chiara direzione, verso una decisa meta.
«Sembra che abbia deciso di ingaggiare lotta contro gli orsi…» rispose
lord Visga, non staccando gli occhi dalla scena presentata, dallo spettacolo
loro concesso dall'ospite d'onore di quella serata.

Effettivamente nella direzione degli orsi la Figlia di Marr'Mahew si


stava muovendo rapidamente, correndo a elevata velocità nel mantenere il
proprio corpo piegato al suolo, parallelo alla fine sabbia, in una tecnica, in
una postura estranea a quanto chiunque avesse mai avuto occasione di
assistere prima, innaturale e allo stesso tempo assolutamente armoniosa,
indiscutibilmente perfetta. Per quanto apparisse a proprio agio in quella
corsa, che tanto lontana la poneva dall'umana postura, dalla comune
consuetudine, quel genere di movimenti non facevano parte di
un'esperienza remota, di una conoscenza antica: ella aveva appreso solo di
recente, in uno scontro mortale contro un temibile avversario, quella
possibilità, imitandone con sicurezza lo stile allo scopo di farlo proprio, di
poterlo adoperare a proprio vantaggio. Così come stava ora compiendo
contro nemici già noti, ma ugualmente temibili, quali apparivano essere i
tre orsi, nelle immani moli, nei corpi tanto pesanti, tanto forti per cui mai
ella avrebbe potuto offrire una reale opposizione, negli artigli affilati, nei
denti appuntiti, tanto letali per cui mai avrebbe potuto trovare una reale
protezione.
Essi, vedendola avvicinarsi con intenti evidentemente offensivi, si
proposero immediatamente in posizione difensiva, ergendosi in tutta la
propria altezza, nella possanza del proprio fisico, pronti a calare le pesanti
zampe sull'avversaria, sulla sua schiena così meravigliosamente concessa.
Un contatto, anche solo minimo, con quel potenziale di danno avrebbe
visto il corpo della donna aprirsi senza indugio, squartarsi senza
contrasto, diventando immediatamente un ammasso informe di sangue,
carne e ossa, del tutto privo di vita.

«Thyres…» invocò la donna, raggiungendo il punto di non ritorno.

Ormai la scelta era stata compiuta e da lì, dove si era spinta, ella non
avrebbe più potuto retrocedere, ritornare sui propri passi, sulle proprie
scelte. Spesso nell'umana esistenza, di fronte a un gesto forte, a
un'evoluzione anche ricercata, e pur non sempre prevista in ogni sua
sfumatura, l'animo mortale si ritrovava a rimpiangere la tranquillità
abbandonata, la perduta certezza dell'immobilismo di un tempo. Dove,
MIDDA’S CHRONICLES 175
però, il salto fosse già stato compiuto, tentare di arrestare il cambiamento,
di contrastare la spinta acquisita non avrebbe permesso il ritorno allo stato
precedente, alla serenità apparentemente perduta, lasciandosi altresì
trascinare in balia degli eventi, in un vortice non più controllato o
controllabile. In virtù di tale consapevolezza, fisica e metafisica, Midda
sapeva di non potersi ormai concedere di cambiare idea, di modificare la
propria tattica, la propria strategia: aveva votato in virtù di quella strada e
per essa avrebbe dovuto proseguire, ovunque si fosse ritrovata a giungere.
E se anche avesse errato in questo, se anche avesse fallito, forse avrebbe
avuto possibilità di riprendersi e di apprendere, in tale errore, un
insegnamento per il futuro, così come sempre nell'umana esistenza era
richiesto di fare.
Nell'enfasi del proprio attacco, nella forza dei propri gesti, nella
velocità della propria corsa, ella puntò i piedi per compiere un improvviso
salto in avanti, per gettarsi in aria. Nel contempo di tale azione, che la vide
dirigersi alla volta di uno dei tre orsi, la sua spada fu scagliata in un ampio
gesto rotatorio contro un secondo esemplare, imponendosi nel proprio
movimento simile più a un enorme pugnale che a un giavellotto, quale
altresì sarebbe stato ovvio si mostrasse. Così, dove la lunga lama dagli
azzurri riflessi si impegnò a penetrare il forte collo dell'animale,
affondando nelle sue calde carni, nel suo folto pelo, ella portò il proprio
corpo ad abbracciare quello del proprio obiettivo, della meta finale della
propria folle corsa, evitando per semplice sorte, per un destino fortuito il
movimento difensivo di una pesante zampa, per raggiungere quel collo.
Lasciandosi rotolare attorno a esso, la donna si spinse verso la schiena
dell'animale, per poter serrare con forza, con fermezza il proprio braccio
destro, metallico, attorno alla possanza della bestia, creando una morsa
con l'aiuto della mancina da cui esso non potesse liberarsi. E l'orso,
accorgendosi del tentativo offerto da lei, gettò verso il cielo un orribile
grido, un verso violento e rabbioso che riuscì a far scendere il silenzio
sull'intera Arena, rapita nell'osservare l'evoluzione di quel combattimento,
le conseguenze di quella lotta.
Il tempo parve bloccarsi nel contrasto fra la donna e la bestia, fra la
tecnica e la forza, fra la morsa e il tentativo di violarla, di evaderla. Per
l'orso non vi era possibilità di raggiungere la propria avversaria in quella
posa, e in questo esso tentava senza tregua di scuoterla da sé, dalla
propria schiena, imponendo su di lei la violenza di gesti disumani, che
avrebbero dovuto vederla volare a terra e divenire, in questo, vittima,
preda, un pasto per i suoi denti, trasformando il suo sangue in dolce
nettare per la sua gola riarsa. La mercenaria, però, non fu d'accordo con
simile desiderio, con tale tentativo, tenendosi salda all'avversario,
rinforzando la propria posizione nell'utilizzo delle gambe attorno al
176 Sean MacMalcom
quell'immane schiena, ben conscia della sorte che l'avrebbe altrimenti
attesa se solo avesse ceduto, se solo le sue forze fossero venute meno.
Come già in passato, in quella che era una mossa per lei nota, l'attesa fu
terribile, il confronto con l'animale apparve estenuante, feroce,
coinvolgendo non solo i muscoli del suo braccio sinistro e delle sue spalle,
ma ogni singola membra del suo corpo, obbligandola a tendersi con
dolore tale da renderle difficile non gridare, non dare sfogo verbale a tanta
sofferenza.
Ma la sua volontà, il suo impegno, trovarono la soddisfazione
ricercata, raggiunsero lo scopo prefisso nel momento in cui l'ossigeno
carente nei polmoni dell'avversario lo vide cedere, lo vide indebolire i
propri gesti, le proprie reazioni, fino a perdere controllo e coscienza nel
ricadere violentemente a terra. In tale atto, imprevedibilmente, l'orso
abbattuto non precipitò in avanti, come ella evidentemente era certa
sarebbe avvenuto, ma all'indietro e, nella rapidità di tale evento, Midda
riuscì a tentare la fuga e non a completarla, ritrovando la propria gamba
sinistra bloccata sotto il peso del proprio avversario. E davanti a lei, così in
trappola, il terzo orso si ritrovò deciso a compiere ciò per cui i propri
compagni erano morti.
Nel comprendere di non avere alternative di fronte all’immediato
attacco propostole dal terzo avversario, Midda limitò i propri movimenti a
quanto necessario per tentare di ridurre i danni, a ciò che doveva essere
compiuto per ritagliarsi una speranza di sopravvivenza. L’azione, allora,
fu così rapida, subitanea, che agli occhi degli spettatori dell’arena mostrò
semplicemente la violenza dell’animale abbattersi sul corpo indifeso della
donna guerriero, bloccata qual ella era sotto il peso della sua ultima
vittima, tanto impietoso, tanto rabbioso, da veder l’enfasi di quella zampa
sbalzare la creatura tanto fragile a suo confronto, con prepotenza, di
diversi piedi in lontananza, come una bambola priva di anima, uno
spaventapasseri senza consistenza. In conseguenza a quell’azione, ella
sembrò ricadere apparentemente morta, o forse solo svenuta, sulla sabbia
dell’Arena, rotolando ancora a lungo prima di arrestarsi, supina e scoperta
a qualsiasi nuovo attacco da parte dell’animale.
L’orso superstite, mantenendo con la propria possanza ancora a
distanza i felini, che ne stavano osservando il combattimento con interesse
ma senza indulgere nel tentare di intervenire in esso, si avvicinò alla
propria vittima, ora con apparente tranquillità, con curioso interesse,
privo di aggressività, privo di violenza, muovendosi su quattro zampe e
spingendo il proprio muso verso quella presenza immobile,
apparentemente morta. Quasi fosse incerto sulla strada da preferire, sulle
scelte da compiere, esso provò a sospingere con la punta del naso una
MIDDA’S CHRONICLES 177
gamba della donna, che in ciò si mosse per inerzia, senza un proprio
controllo, senza una propria intrinseca forza.

«Dei… possibile che sia morta?» intervenne Cila, con preoccupazione


e trasporto evidente, stringendo le mani al braccio del compagno, quasi a
cercarne la protezione «Midda Bontor sconfitta da un banale orso?»
«Così sembrerebbe…» commentò lord Visga, storcendo le labbra verso
il basso, con chiara disapprovazione, con evidente rimpianto «Forse
questa prova era eccessiva anche per lei, per un mito vivente suo pari.
Forse l’Unico non ha gradito il suo paganesimo, la sua lontananza dalla
sola vera Fede.»
«O… forse no!» esclamò improvvisamente la donna, indicando
davanti a loro la scena in lontananza.

La Figlia di Marr’Mahew, così già considerata quale sconfitta, se non


addirittura morta, si era in quell’esatto istante improvvisamente ripresa,
scattando con rapidità ferina contro il proprio avversario chino su di lei,
per cavare freddamente i suoi occhi dalle orbite, per strapparli con forza e
destrezza, nell’allontanarsi poi subito, rotolando, da esso, dalla sua furia
in conseguenza di un tale affronto, di un simile atto.
Sebbene probabilmente nessuno avrebbe potuto avere consapevolezza
di quanto fosse avvenuto, la mercenaria prima di subire inevitabilmente il
colpo avversario, aveva provveduto a muovere con rapidità e
autocontrollo il proprio braccio metallico a protezione del proprio corpo,
nella traiettoria evidente di quel gesto, di quell’attacco, ritrovando
pertanto nel proprio arto già privo di vita, di esistenza, una sensazionale
difesa per la propria vita, per la propria esistenza, incassando con esso il
rischio più grande dell’offesa propostale e lasciandosi, in quella violenza,
trascinare senza opposizione. Non morta e non svenuta, pertanto, ella era
rimasta, solo falsamente tale, al fine di ingannare l’animale, la creatura che
pur resa feroce da color che avevano allestito quello spettacolo, pur resa
violenta dalla fame sopra di essa imposta, non avrebbe potuto rinunciare
agli istinti primordiali, quel comportamento consueto che la sua
avversaria ben conosceva e aveva deciso di sfruttare a proprio favore. E
così, nel momento in cui l’orso, nel desiderio di comprendere se ella fosse
già morta o se ancora viveva, si era avvicinato a lei, si era posto a distanza
sufficientemente ravvicinata, ella aveva agito, rapida e priva di pietà.
Avendo negato in quel modo la facoltà della vista al proprio
avversario, alla donna guerriero non rimase che muoversi con sufficiente
velocità per raggiungere la spada conficcata nel corpo del primo animale
abbattuto, allo scopo di rientrare in suo possesso e con essa decapitare
178 Sean MacMalcom
rapidamente il bestiale colosso, ponendo fine alla sofferenza che lei stessa
gli aveva imposto.

«Maledetti giochi…» sussurrò a denti stretti, nel vedere il sangue vivo


e denso della creatura sprizzare al cielo in conseguenza del suo attacco
finale, di quel colpo di grazia «Maledetti…»

Senza ipocrisia Midda non avrebbe potuto negare di aver già ucciso
molti animali, oltre a ogni altro genere di creature mitologiche e di
avversari umani, nel proprio lungo passato di donna guerriero e di
mercenaria. Ma, nel momento in cui attaccare un animale per mangiarne
le carni o, semplicemente, per legittima difesa in un confronto paritario
nel suo naturale ambiente, sarebbe stato tranquillamente accettato da
parte sua e della sua coscienza, il pensiero della carneficina, del massacro
impostole da quei giochi a discapito di quelle fiere non la rallegrava, non
la rendeva soddisfatta di sé. Certamente non le erano state offerte
alternative, non aveva avuto possibilità di scelta, e di questo era
assolutamente consapevole, non volendo esser uccisa e non volendo fallire
in quella che era la missione assegnatale, ma nonostante tutto non avrebbe
potuto fare a meno di disprezzare l’organizzazione stessa di quei giochi
per averle imposto una simile prova. Invero, in cuor suo, ella non avrebbe
mai potuto negare di preferire uccidere uomini ad animali, valutando, del
resto non diversamente dai più nella realtà in cui era nata, era cresciuta e
viveva, minore il valore di un’esistenza umana rispetto a quella di una
bestia, di altresì nobile utilità e animo.

Muovendo lo sguardo con rapidità attorno a sé, verso i felini così


rimasti ancora in circolazione, ormai a distanza decisamente limitata e
conseguentemente pericolosa da lei, ella poté comprendere di essere ben
lontana da raggiungere la salvezza, dal ritenersi al sicuro da ogni possibile
danno.
Numerose erano, infatti, le fiere che ancora attorno a lei si muovevano
spinte dalla fame, dalla brama di carne, ed ella continuava a rappresentare
per loro ancora un ottimo investimento, un pranzo succulento da non
lasciarsi sfuggire. Però, ora, la mercenaria non avrebbe più dovuto
considerarsi sola in tutto quello, in tale situazione, dove i tre orsi abbattuti
attorno a lei si proponevano, in effetti, più interessanti rispetto alla sua
misera forma, tanto da un punto di vista qualitativo, quanto da un punto
di vista quantitativo. La loro offerta di carne era indubbiamente superiore
alla sua e, oltretutto, essi erano già morti, impossibilitati a ribellarsi agli
spasmi della fame che stringevano i ventri dei possibili assalitori.
Catturare la preda viva, squartarne le carni vibranti, per loro si proponeva
MIDDA’S CHRONICLES 179
come un richiamo istintivo di indubbio valore, attirando la loro attenzione
verso la mercenaria, ma altrettanto vero risultava il fatto che quegli orsi, di
morte così recente, erano ben lontani dal potersi considerare quali
carogne, tutt’altro che non apprezzabili nella loro presenza, assolutamente
da non destinare ad animali minori, a necrofagi privi della loro stessa
natura di cacciatori. Osservando una tale incertezza nei propri avversari,
valutando la speranza che nei corpi morti degli orsi sembrava aprirsi per
lei, ella mosse lentamente i propri passi all’indietro, evitando gesti
bruschi, evitando qualsiasi movimento improvviso che avrebbe potuto
scatenare in loro un richiamo istintivo, naturale.
La folla, nuovamente in agitazione all’interno dell’Arena, non
risultava però essere effettivamente d’alcun aiuto alla donna guerriero nel
proprio tentativo di ritirata, in quella ricerca di qualche fuggevole
possibilità di riposo, di pianificazione, per comprendere come poter
affrontare i propri avversari, quelle bestie tanto temibili e, con le quali,
poca o nulla confidenza si poteva fregiare di possedere. Nelle grida di
ammirazione, di incitamento offerte dagli spettatori, infatti, i felini non
abituati a quel clima, a quel contesto, non potevano evitare di risultare
innervositi, e in questo più propensi alla lotta che, semplicemente, allo
sfogo del proprio desiderio di cibo.

«Due volte la posta…» sussurrò in un lievissimo respiro Midda.

Quasi un sospiro leggero, carezzevole il suo in quel commento,


scuotendo appena il capo e rimpiangendo quelle belle, classiche situazioni
in cui ella si ritrovava indubbiamente e maggiormente a proprio agio,
contro sciami di insetti giganti necrofagi, contro orde di zombie affamati
di carne, contro interi eserciti di mercenari o di soldati pronti a farsi
uccidere dalla sua spada. Tutte realtà assolutamente diverse da quella in
cui ora avrebbe dovuto imporre la propria forza, la propria presenza, ma
nella quale non aveva alcuna idea di come avrebbe mai potuto fare.

ove felini, nove predatori naturali, tre diverse specie e tre


esemplari per ogni gruppo.
N Nonostante Midda fosse abituata a sopravvivere a ogni insidia,
ad affrontare ogni pericolo, anch'ella era e sarebbe restata sempre una
donna, un nomale essere umano con i propri quieti limiti, quei confini che
mai avrebbe potuto superare né con la volontà né in assenza di essa.
180 Sean MacMalcom
Consapevole di tali limiti, non avrebbe potuto evitare di temere
l’eventualità di non riuscire a sopravvivere a quello scontro, di non
riuscire ad abbattere ogni avversario prima di essere a sua volta abbattuta,
nella rapidità caratteristica di quelle fiere contro cui mai avrebbe potuto
opporre la propria. In tale situazione, però, ella era anche cosciente che
dimostrare i propri timori, simile incertezza e forse paura, non avrebbe
mai condotto per lei a una pur vaga speranza di sopravvivenza, dove nei
propri sentimenti avrebbe offerto forza ai propri nemici, stimolandoli,
incitandoli ad agire contro di lei, per sopprimerla, per distruggerla.
Altresì, non avrebbe potuto concedersi neanche la possibilità di imporre
un comportamento aggressivo, che scatenasse un istinto reattivo, un
attacco furioso come era stato quello degli orsi, nel ritrovarsi da lei tanto
direttamente aggrediti, così apertamente offesi.
Uno stallo, quindi, nel corso del quale, nel formulare tale analisi, nel
soppesare i fattori in gioco e le forze coinvolte, in lei riaffiorarono
fortunatamente alcune nozioni sul regno animale, sui rapporti che, in
molte diverse specie, erano solite instaurarsi non solo fra i vari elementi di
uno stesso gruppo ma anche nei confronti di elementi appartenenti a
razze diverse. In simile ricordo, in tale memoria una flebile speranza di
salvezza tornò a brillare per lei, nel suo cuore e nel suo animo, nella
consapevolezza che se avesse saputo giocare bene le proprie carte, se fosse
riuscita a gestire al pieno la situazione, forse non avrebbe dovuto neanche
spingersi a uccidere le bestie che erano state poste a suo confronto, sfida.

«E ora?» domandò Cila, scuotendo il capo e osservando la scena di


fronte a sé «Che cosa ha intenzione di fare?»
«Non lo so… non lo riesco a comprendere…» sussurrò lord Visga, non
osando, nonostante il frastuono attorno a loro, levare eccessivamente la
voce quasi potesse essere di disturbo per la mercenaria in azione.

Abbassando la propria spada, rilassando i propri muscoli, Midda


interruppe il lento retrocedere in atto, che ormai l’aveva condotta ad
almeno sei piedi di distanza dagli orsi uccisi e poco più dai felini, per
sciogliere la posizione di guardia e ritornare semplicemente eretta di
fronte alle fiere.
In lei, nei suoi occhi, nella sua mente, cuore, anima e corpo, si propose
e si impose solo freddezza e controllo pressoché assoluti, tale da rallentare
anche il battito cardiaco precedentemente ovviamente accelerato
nell’enfasi della lotta. Alcuna aggressività, alcuna ipotesi di offesa in
direzione dei propri possibili avversari sarebbe stata ora rintracciabile in
quella figura, tanto che avrebbe potuto anche gettare a terra la propria
spada dove essa, in quel momento, risultava presente nella sua mano per
MIDDA’S CHRONICLES 181
semplice inerzia. Al contempo alcun timore, alcuna paura nei confronti di
quelle bestie feroci, affamate, quegli artigli che avrebbero potuto
squartarle le carni, quei denti che avrebbero potuto dilaniarle il corpo,
sarebbe ugualmente stata percepibile in lei. Ella aveva superato tanto
l’uno quanto l’altro stato d’animo, trascendendo simili emozioni in virtù
di una sorta di consapevole superiorità, che la proponeva non più in
competizione con le altre creature lì presenti.
Dove gli esseri umani raramente risultavano in grado di provare un
pur minimo grado di empatia, tale da permettersi di non compiere scelte
stupide nell’opporsi a chi non avrebbero dovuto offendere, gli animali
apparvero invero possessori di una tale capacità, in conseguenza alla
quale la donna guerriero non si propose più quale preda ai loro occhi, alle
loro fauci, esattamente come l’un l’altro non si sarebbero mai considerati
possibili vittime, possibili fonti di sazietà per la propria fame.

«Non è possibile…» commentò il nobiluomo gorthese, nell’assistere a


quell’evoluzione imprevista, a quell’evento privo di pari nel passato
dell’Arena, scuotendo appena il capo.

Come egli, in molti si ritrovarono ammutoliti nell’essere posti di fronte


a una simile scena, a quello spettacolo che non mostrò le fiere affamate
gettarsi contro la mercenaria ma, al contrario, contro gli orsi, non
rivolgendo più a lei alcuna attenzione, alcun interesse, quasi non fosse più
presente all’interno dell’Arena.
Addirittura qualcuno seduto negli spalti inferiori, più vicino alla
scena, non accettando quella situazione, non gradendo simile reazione,
provò a gettare delle pietre in direzione degli animali, per scuoterli, per
spronarli alla lotta, ma anche dove essi puntualmente reagirono in modo
violento, indirizzarono tale rabbia verso gli stessi spettatori, con forti
ruggiti e, addirittura, scatti furibondi a tentare di violare l’alta distanza
esistente fra la sabbia e le fila più basse, continuando in ciò a non rivolgere
altre attenzioni verso colei che, in modo assolutamente e freddamente
tranquillo, manteneva la propria posizione fra essi.

«Per l’Unico!» fu l’unica voce possibile di fronte a tutto ciò, espressa


fra l’altro anche da lord Visga, dove le regole del combattimento
sembravano essere state violate eppur, allo stesso tempo, trascese.
«Bisogna considerare la sua vittoria? Oppure la sua sconfitta? E’ lei
vincitrice o sono le fiere a proporsi come dominanti?» chiese,
retoricamente più che concretamente, la femminile presenza vicino a lui,
comprendendone il disagio in quell’assenza di sangue a cui tale cultura
non era abituata.
182 Sean MacMalcom

… Midda riuscì a tentare la fuga e non a completarla,


ritrovando la propria gamba sinistra bloccata…
MIDDA’S CHRONICLES 183
«Non c’è vittoria o sconfitta senza la morte di uno o dell’altro.» replicò
egli, scuotendo il capo nell’enunciare un semplice e chiaro principio del
proprio contesto sociale, della propria stessa fede «Tutto questo ha il
sapore di blasfemia… e la mercenaria potrebbe essere abbattuta insieme
alle bestie sue amiche in conseguenza di una tale situazione.»

A conferma di quelle parole, a sottolineare la comune condanna di


quel popolo, di quella religione di fronte alla vittoria ottenuta da Midda
nell'ammansire attorno alla propria figura le fiere, nel farsi accettare fra
loro senza scatenarne le ire, nel negare il sangue richiesto dal dio Unico, fu
la reazione degli organizzatori dell'Arena, dei gestori di quel circo.
Dopo pochi momenti di umano smarrimento, nei quali la situazione
restò bloccata in quello stallo, congelata nell’incertezza, nello scompiglio
creato dalla donna guerriero, la sabbia di quel campo di lotta iniziò a
vibrare, tremare vistosamente, creando evidenza dell’attivazione di un
qualche meccanismo, probabilmente del tutto simile a quello che
permetteva il movimento del presentatore ma, al tempo stesso,
estremamente più grande, idoneo a trasportare qualcosa di più esteso, di
più pesante. E il centro del teatro si aprì in quel mentre, vedendo
emergere dalla terra, dalla voragine così offerta, una nuova figura, la sfida
finale prevista per la Figlia di Marr’Mahew, liberata a concedere vendetta
alla sete di sangue non saziata, per donare la giusta punizione a chi, con
tanta noncuranza, aveva scelto di non onorare le regole del
combattimento, continuando fino alla propria morte oppure alla morte dei
propri avversari.
Il nuovo nemico proposto davanti alla mercenaria mostrò un corpo di
aspetto umanoide, colossale nelle proprie dimensioni di oltre otto piedi in
altezza e sicuramente cinquecento libbre di peso. La sua pelle, similmente
a quella di un rettile, si presentava in una tonalità grigiastra composta da
un’infinità di piccole scaglie, su un corpo praticamente nudo nell’unica
eccezione dei fianchi, a cui era stato concesso un giusto pudore attraverso
un ampio perizoma in pelliccia. Le sue gambe, se tali sarebbero potute
essere definite, si conformavano come digitigrade, lasciando gravare il
peso immane di quell’essere sulle punte delle sue dita artigliate. Le sue
mani, non diversamente, mostravano lunghi e affilati artigli, in
proporzioni superiori alla classica anatomia umana, tanto che esso poteva
condividere il sostegno alla propria struttura anche sui propri arti
superiori, in ampie spalle, in forti braccia. Il capo di quell’essere, infine,
nelle proprie forme richiamava quello di una lucertola, nell’aggiunta
presenza di zanne taglienti a ornare una bocca priva di labbra. In ciò esso
non appariva lontano da altre creature mitologiche già affrontate dalla
184 Sean MacMalcom
mercenaria, forse derivanti da uno stesso ceppo evolutivo, quali idra,
ippocampi e cerberi.
Mai, prima di quel particolare frangente, Midda aveva avuto
possibilità di confrontarsi con una tale presenza, con un nemico di quella
razza che, al di là della conformazione umanoide, si presentava più
animale che umana. E nel momento in cui dalla sua bocca, spalancatasi
per concedere all’aria dell’Arena un verso tremendo e assordante, emerse
quale sua lingua qualcosa di paragonabile a un lungo serpente con tanto
di testa, occhi e bocca, nessun dubbio restò in lei, nonostante fosse il loro
primo incontro, sulla reale natura di quella creatura.

«Tifone…» sussurrò fra labbra appena dischiuse nello stupore provato


«Thyres…» continuò, storcendo le labbra e riprendendo rapidamente il
controllo della propria spada, dove ormai le fiere non sarebbero più state
per lei un problema «Fenici, cerberi, tifoni: se continua così penseranno
che ho dichiarato guerra a tutti figli di Gorl!»

Nelle credenze comuni, infatti, il tifone, non diversamente dalle altre


creature nominate da lei e affrontate in tempi recenti, trovava la propria
origine nella mano creatrice del dio Gorl, il dio Unico, come era altrimenti
chiamato in Gorthia. Nella sua forza, nel suo intelletto, simili meraviglie
avevano avuto ragion d’essere e si contraddistinguevano da ogni altra
creatura esistente al mondo per il proprio intrinseco rapporto con le
fiamme, quel Fuoco Eterno a cui tanto offrivano devozione gli abitanti di
quelle terre, riferendosi a esso come alla stessa scintilla vitale di tutte le
cose. E nell'Arena, senza perdere un solo istante di tempo, anche quel
mostro volle concedere immediata prova di tale potere, il suo particolare
rapporto con il fuoco, vedendolo generato dai propri polsi, o per lo meno
ciò che similmente si potevano considerare tali, per dirigersi in direzione
della stessa mercenaria e dei nove felini, in guardia, in allarme non
diversamente da lei.
La potenza distruttiva di quella fiamma fu impressionante, bruciando
la stessa sabbia su cui l'incontro stava avendo luogo, al punto tale da
portarla a cristallizzarsi e trasformarsi in una liscia lamina di vetro. In un
rapido scatto, il gruppo di attaccati riuscì quasi per intero a evitare gli
effetti non gradevoli di una simile forza, muovendosi abbastanza
velocemente da portarsi al di fuori dalla linea di fuoco demarcata dal
tifone. Purtroppo, però, alcune vittime si presentarono già in conclusione
a quella prima offesa, nella violenza di quel mostro innaturale e
incontrollabile: un leone e una pantera non ebbero successo nel muoversi
con sufficiente prontezza di riflessi, forse colti emotivamente in
contropiede dall'orrenda apparizione proposta, e ritrovando, in
MIDDA’S CHRONICLES 185
conseguenza di ciò, nella fiamma una morte pressoché istantanea e
indolore, venendo inceneriti in un istante, trasformati in polvere nel
tempo di un battito di ciglia.

«Maledizione… questa gente è folle!» sussurrò la donna guerriero,


rialzandosi rapidamente dalla scivolata appena compiuta per essere
pronta a un nuovo scatto, a una nuova evasione dall'avversario «E io sono
più folle di loro per aver accettato questo incarico!»

Purtroppo per lei, ormai, ella era in gioco e non si poneva parte del
suo carattere l'ipotesi rinunciare alla partita, tirarsi indietro da una sfida
soprattutto dove essa avrebbe potuto darle nuova prova del proprio
valore, della propria forza, del proprio coraggio. Roteando la spada
attorno a sé a ricercarne l'equilibrio, la Figlia di Marr'Mahew analizzò con
attenzione il nemico che le era stato proposto, cercando di comprenderne i
gesti, di seguirne la natura per scoprirne le debolezze e i difetti, i vantaggi
che avrebbe potuto ritrovare in un confronto con esso.
Il tifone, consumata la prima scarica infuocata, si mosse con passo
pesante, con gesti lenti e goffi, ad avanzare verso di lei e verso i felini, tutti
decisi a non impegnarsi in un confronto diretto con esso, tutti consci
dell'impossibilità di ingaggiare una lotta equa con un simile colosso. Le
sue lunghe braccia, così sproporzionate nel confronto con quel corpo in
un'ideale anatomico umano, si spostarono una alla volta nell’evidente
necessità di non lasciare gravare l’intero proprio peso solo sulle gambe, a
spazzare l'area davanti a sé, cercando in quei gesti, sicuramente forti di
una potenza incomparabile, di giungere a colpire un avversario, di
spingersi ad afferrare un nemico, per violarne l'integrità, distruggerne le
membra, le ossa.
Tutt'altro che strano apparve quel comportamento agli occhi della sua
spettatrice, dove ella, sebbene in assenza di uno specifico e edotto studio a
tal riguardo, era consapevole di come, tanto i tifoni quanto altre creature
simili, ottenessero il proprio fuoco non in virtù di una strana stregoneria,
al contrario rispetto a quanto ritenuto dalla maggior parte delle persone,
ma in conseguenza di una reazione fra due diversi elementi presenti nei
loro corpi, prodotti dai loro stessi organismi, in grado di dare vita a un
effetto incendiario. Tale conoscenza, in Midda, non era conseguenza di
nulla di più della propria personale esperienza, derivante da antichi
contrasti con un drago di fiume ucciso dopo un'aspra lotta proprio
sfruttando contro esso stesso quel suo potere, nel recidere, non senza
un'alta percentuale di fortuna, i condotti attraverso cui i liquidi reagenti
venivano incanalati fino alla sua gola e, conseguentemente, nel lasciarlo
bruciare nelle proprie stesse fiamme. Trattandosi, quindi, di una capacità
186 Sean MacMalcom
naturale e non di un potere sovrannaturale, la generazione del fuoco non
si concedeva mai, in quegli esseri, come inesauribile e costante: al
contrario, momenti di attesa più o meno lunghi erano sempre da essi
richiesti fra una fiammata e la successiva, in diretta proporzionalità anche
della potenza espressa all'ultimo attacco.
Per tale ragione, per quanto tutt'altro che sciolto o flessibile nei propri
movimenti, il tifone era costretto a tentare un'offesa fisica nei loro
confronti, in attesa del ritorno della possibilità di incenerirli. Dove tutto
ciò era chiaro per Midda, dove simili conoscenze la rendevano
assolutamente non inerme, non incerta di fronte a esso, la donna guerriero
non avrebbe mai potuto conoscere le effettive capacità, i reali tempi di
recupero dell’avversario fino a quando lo stesso non si fosse espresso con
un nuovo attacco incendiario al quale, se fosse sopravvissuta, avrebbe
potuto replicare con un reale controllo della situazione tale da poter
sperare di abbatterlo.

«Attacca, razza di bestione senza cervello!» ringhiò a denti stretti,


mantenendo i sensi all'erta per rispondere a ogni minimo segnale di
pericolo.

Alcuni fra i felini, per quanto impegnati come lei a non ingaggiare un
confronto diretto, non riuscirono a evitare i movimenti violenti del tifone,
venendo sbatacchiati da un lato all'altro dell'Arena, morendo sul colpo per
la forza dello stesso o, comunque, sopravvivendo temporaneamente con
lesioni tali da non permettere più alcun movimento, alcuna fuga dall'ira
della creatura. Anche Midda, più spesso di quanto non avrebbe preferito,
si ritrovò a dover scartare con agilità, con destrezza, i colpi nemici,
venendo solo sfiorata dallo spostamento d'aria causato da esso e, in ciò,
sospinta all'indietro ogni volta, al punto tale da rischiare di perdere
l'equilibrio.
La pelle dell'avversario, nei momenti in cui ella ebbe occasione di
analizzarlo da vicino, richiamò alla sua memoria quella di un ippocampo,
lasciandole temere, in questo, che esso potesse godere di una simile
invincibilità epidermica, che quelle scaglie potessero contrapporsi anche al
filo ineguagliabile della sua spada, forgiata secondo antiche e perfette
tecniche. Nella reazione di una tigre, però, catturata e uccisa con violenza
dal mostro, ella poté intravedere gli artigli della stessa solcare la pelle del
proprio carnefice, quella superficie quasi argentata, danneggiandola: nulla
di mortale, certo, nulla di grave per esso, che probabilmente lo avvertì allo
stesso modo in cui ella avrebbe avvertito il graffio di un gattino, ma chiara
evidenza di una vulnerabilità, di una possibilità di essere sconfitto.
MIDDA’S CHRONICLES 315

La corona perduta

econdo teorie proposte da molti studiosi, grandi e solitarie


menti che avevano fatto della comprensione del genere umano
S il principale scopo di vita, nel lungo e tortuoso cammino della
storia dell’umanità era esistita un’epoca lontana, dispersa nei
millenni trascorsi, completamente dimenticata dagli abitanti di ogni terra,
cancellata in ogni sua traccia, in ogni suo retaggio.
Nessuno avrebbe saputo indicare con esattezza se una simile e
radicale eliminazione si fosse proposta in conseguenza del naturale
passaggio delle stagioni, degli anni, dei secoli, o se, al contrario, fosse
derivata dal desiderio di non voler vivere nuovamente quanto già
affrontato in tali ere, laddove varie e non tutte positive, in effetti, si
concedevano le supposizioni intorno a quel periodo. Due, in particolare,
erano i filoni di pensiero predominanti nel descrivere quell’epoca
dimenticata, contrapponendosi come sempre in posizioni antitetiche,
proponendo teorie positive e ipotesi negative, elevando verso l’alto dei
cieli il genere umano o precipitandolo nel più basso oltretomba
concepibile.
Vi era chi sosteneva che, in tale era, la razza umana avesse raggiunto il
proprio apice, fondando imperi di dimensioni inimmaginabili guidati da
sovrani illuminati, sotto il cui comando, sotto la cui guida, intere civiltà si
erano erette meravigliose e incantate, prive di ogni sorta di male, fondate
su valori di rispetto, di pace, di solidarietà: nazioni che non avrebbero
potuto neppure conoscere il significato di parole quali “fame”, “povertà”
o “guerra”, perché mai i membri di quelle popolazioni avevano avuto
occasione di dover affrontare simili problemi, questioni altresì tanto
presenti nella vita quotidiana dei loro discendenti.
Vi era, al contrario, chi affermava con assoluta decisione che in tale
periodo volutamente dimenticato, la razza umana si fosse spinta ai livelli
più infimi delle proprie possibilità, vivendo in un imbarbarimento privo
di eguali, al confronto del quale anche l’epoca moderna sarebbe apparsa
un idillio divino: un'era oscura, pertanto, un periodo sanguinoso, dove la
carne umana era diventata principale fonte di nutrimento, dove le guerre
avevano assunto un significato assoluto e terrificante, tale da condurre
ogni popolo allo sterminio quasi totale, all’annientamento reciproco quasi
completo, evitando l’estinzione dell’intera razza solo in virtù di pochi
fortunati sopravvissuti che, ovviamente, si erano ben guardati dal voler
tramandare i racconti di una tale epoca, nel timore che essa potesse
316 Sean MacMalcom
ripetersi, nella paura che nuovamente l’umanità potesse essere vittima
dell’aspetto più oscuro del proprio animo.
Per quanto divisi sullo stile di vita condotto in tale contesto storico
dimenticato dal mondo intero, quasi tutti gli studiosi, favorevoli alla teoria
dell’esistenza di un simile periodo, erano concordi nel considerare come
all’epoca non vi fosse traccia dei tre continenti attuali, riuniti in una sola,
unica grande area emersa dal cui frazionamento, molti secoli più tardi,
sarebbero nate le attuali Hyn, Myrgan e Qahr. Tale ipotesi, assolutamente
contestata da tutti coloro che si proponevano in contrasto a simili linee di
pensiero, trovava in effetti una possibile conferma nella particolare
conformazione della terraferma nelle poche e imprecise mappe esistenti.
Secondo tali cartografie, in effetti, i confini dei tre continenti si
proponevano estremamente simili a linee di frattura che, partendo da uno
stesso punto, il Mare Comune attorno al quale si affacciavano i regni
centrali, si espandevano in tre direzioni, separando con lunghi e stretti
mari le varie coste, come se ciò che un tempo poteva essere stato un blocco
unico di terra fosse stato spezzato dal colpo di un enorme martello.
Inutile sottolineare come, in ogni regno, in ogni mitologia, vi fossero
diverse spiegazioni divine in merito a tale particolare conformazione: a
Kofreya, a esempio, era narrato come tutto ciò fosse stato conseguenza di
un impeto d’ira del dio Gorl, signore delle fiamme, in conseguenza delle
offese a lui levate dagli antichi imperi; a Tranith, altresì, tutto era attributo
al dio Tarth, signore delle acque, quale suo tentativo di imporre
nuovamente la pace fra le terre separando definitivamente i popoli.
Fra le varie leggende, le storie che si tramandavano similmente a
favole per bambini, prevalentemente frutto dell’immaginazione di un
numero incalcolabile di narratori che di ognuna di esse sapevano offrire
dozzine e dozzine di versioni alternative, le più note nel territorio
meridionale di Qahr erano senza indubbiamente quelle relative alla regina
Anmel. Definita Portatrice di Luce, dai sostenitori di un passato glorioso
per l’umanità, od Oscura Mietitrice, dai detrattori di simile teoria in favore
di ipotesi meno gradevoli, ella aveva forse proposto il proprio dominio,
nel bene o nel male, in maniera incontrastata per oltre millesettecento
anni, prima di rimettere il proprio impero nelle mani di eredi meno
capaci. I poteri di simile figura non erano ovviamente delineati in modo
chiaro, non erano comunemente riconosciuti, apparendo in ogni storia
discordanti fra loro come antitetiche erano le teorie a suo riguardo. Ciò
che sembrava essere accertato, proponendosi pressoché in ogni mito, era
la presenza di un mistico diadema accanto alla sua immagine, una
leggendaria corona nella quale, al momento della conclusione del suo
cammino mortale, sarebbe rimasta impressa una frazione delle sue
immense capacità, del suo animo.
MIDDA’S CHRONICLES 317
Vi era pertanto chi sosteneva che colui o colei, che avesse recuperato
una simile reliquia, avrebbe potuto avere accesso a tali poteri, ergendosi a
un livello tale per cui alcun essere mortale avrebbe mai potuto competere,
alcun regno avrebbe mai potuto resistere, proponendo in tal modo il
primo passo verso una nuova epoca di grandi imperi o, forse,
l’imposizione di un unico predominio sull’intero mondo conosciuto.
Ovviamente la sola idea di tanto potere si proponeva così esagerata da
non suscitare particolare interesse nelle varie dinastie regnanti nella
divisione attuale della forza politica, considerata a tutti gli effetti valida
solo come fiaba da raccontare ai propri figli prima del riposo notturno e
nulla di più.

Una donna, però, una nobile della città di Kirsnya, provincia


occidentale del regno di Kofreya, aveva recentemente deciso di offrire
interesse a tali miti, a simili favole, impegnando il proprio tempo, il
proprio potere e le proprie ricchezze nel recupero di quella corona. Il suo
nome era lady Lavero, ultima erede di una delle più importanti famiglie
della propria terra, e attorno a sé ella aveva radunato quattro mercenari
indipendenti, nomi più o meno noti nell’ambiente, allo scopo di formare
una squadra d’élite da impiegare nel recupero della reliquia desiderata.
Il suo scopo, per quanto era stato concesso di conoscere ai quattro
cavalieri, non si proponeva spinto da ambizione, dalla ricerca di potere o
di predominio, quanto più banalmente dalla semplice volontà di possesso
su tale prezioso oggetto, il cui valore economico si sarebbe sicuramente
proposto ineguagliabile. Probabilmente, innanzi a uno sguardo esterno
all’ambiente dei mecenati, tale ridotta brama non sarebbe stata compresa,
non sarebbe stata accettata come reale, ma era innegabile come, nella
maggior parte dei casi, il desiderio che spingeva i nobili di ogni terra al
recupero di oggetti improbabili raramente corrispondeva a una volontà di
predominio o di controllo, anche laddove il potere derivante da simili
reliquie, come in quel caso, sarebbe stato forse incomparabile nel
confronto con qualsiasi altra forza esistente. Per tale ragione i quattro
mercenari, spronati dalla promessa di compensi adeguati alle loro
richieste e ai loro sforzi, non avevano avuto esitazioni nel lanciarsi alla
ricerca di quel prezioso retaggio di un passato dimenticato, seguendo
l’unica traccia loro offerta da un antico medaglione, risalente a epoche
successive a quelle della regina Anmel, e probabilmente alla creazione dei
tre continenti, all’interno del quale sarebbero dovute essere riportate le
indicazioni per raggiungere il luogo ove era stato celato per millenni il
tesoro perduto.
La solitaria Carsa, che dell’inganno e della simulazione aveva fatto
un’arte e un’arma, i due fratelli di ventura Howe e Be’Wahr, tanto diversi
318 Sean MacMalcom
fra loro quanto uniti in imprese troppo spesso oltre i limiti entro i quali si
sarebbero dovuti porre, e la leggendaria Midda, una fra le mercenarie più
note e meglio ricompensate di quella zona del continente, erano stati i
quattro cavalieri scelti per essere al servizio di lady Lavero in tale ricerca.
Dopo aver recuperato con successo il medaglione e averne compreso il
metodo d’impiego, essi si erano spinti fino alla provincia di Lysiath e alla
sua maestosa e abbandonata Biblioteca, all’interno della quale avevano
sperato di ritrovare la chiave di lettura delle informazioni concesse loro
dal primo successo riportato. Purtroppo, però, un ostacolo imprevisto e
imprevedibile aveva negato al gruppo la possibilità di ottenere nuova
vittoria con il recupero del libro ricercato: esso era, infatti, andato perduto
in un terrificante rogo che aveva coinvolto l’intero complesso, incendio da
loro stessi generato per cercare salvezza da una morte altresì certa. Una
scelta pertanto amara quella a cui erano stati costretti dagli eventi, che non
solo aveva portato al fallimento la loro missione ma che, peggio, aveva
visto bruciare una delle più grandi biblioteche del mondo, con il proprio
insostituibile tesoro culturale definitivamente perduto in tale catastrofica
soluzione.
Una sconfitta assoluta per i quattro cavalieri, che nonostante il proprio
impegno, nonostante la propria fama, erano miseramente stati sopraffatti
su ogni fronte, per quanto sopravvissuti a tutto.

Fumante si stava proponendo la tinozza di legno di fronte alla donna


guerriero, colma quasi oltre i propri bordi di calda acqua pulita: un lusso,
senza dubbio un lusso, che ella non avrebbe dovuto permettersi, troppo
simile a un festeggiamento per essere proposto in quel momento, in
concomitanza al primo dei propri fallimenti dopo tanti anni.
La sensazione di insuccesso in una missione, in uno dei suoi incarichi,
non le era più familiare come agli esordi della propria carriera,
quand’ancora si poteva concedere errori di valutazione derivanti
dall’inesperienza. Dopo tutto quel tempo, però, dopo tante ballate attorno
al suo nome, dopo quel tributo rivolto alla dea Marr’Mahew, signora della
guerra negli arcipelaghi a ovest di Kofreya, a cui era stata associata in
qualità di figlia, comprendere di aver fallito e aver pagato un prezzo alto
come quello che, effettivamente, era stato pagato in quel mentre, si
proponeva in lei come di difficile gestione psicologica. Un bagno, utile a
tergere le membra tanto sporche di terra, e di molto altro ancora, tale da
non concedere quasi più alla vista la chiarezza della propria pelle o i
delicati spruzzi di efelidi in pochi accurati punti del proprio corpo, forse
l’avrebbe aiutata anche in un ordine mentale, oltre che fisico. E, in ogni
caso, male non le avrebbe fatto.
MIDDA’S CHRONICLES 319
In verità, ella aveva sempre avuto una particolare passione per simili
momenti, per la possibilità di porre la propria carne all’interno
dell’abbraccio di calde acque, perdendosi lì fino a quando il tempo glielo
avrebbe concesso, fino a quando esse non si fossero proposte altresì
tiepide, se non quasi fredde. Solo in tale momento, ella era solita
risvegliarsi da uno stato di quiete, di dormiveglia, dal rilassamento totale
in cui raramente si concedeva di ricadere, insaponando poi ogni punto del
proprio corpo con cura, con attenzione, quasi a cercare una nuova pelle
oltre la propria. Un simile interesse tanto forte in lei si sarebbe forse
potuto considerare un segno di vanità, un punto di debolezza, ma del
resto anche ella era mortale e come tale fallibile, tutt’altro che desiderosa
di perfezione. Questo poi senza dimenticare la sua innegabile essenza
femminile, essendo donna ancor prima di guerriero: il suo corpo, forse, si
proponeva meno delicato, meno sinuoso rispetto a quello di una
nobildonna, rispetto a quello di una prostituta o, anche solo, rispetto a
quello di Carsa, sua compagna in quella fallimentare missione, ciò
nondimeno, nonostante la guizzante muscolatura del suo braccio
mancino, delle sue spalle, del suo addome e delle sue gambe, il suo essere
donna non era stato mai rinnegato né psicologicamente né fisicamente.
Nessun uomo, in effetti, avendo occasione di poterla osservare
svestirsi davanti a quella vasca fumante, avrebbe fatto attenzione al vigore
delle sue membra, allo sfregio che segnava il suo volto in corrispondenza
dell’occhio mancino o al metallo che non abbandonava mai il suo braccio
destro. Ogni interesse, ogni desiderio, ogni passione si sarebbe
concentrata sulle sue curve, sui suoi seni, sui suoi glutei, su quella
femminilità che, generosamente e impertinentemente, si mostrava fiera,
bramando lussuriosamente di poter giacere fra quelle acque insieme a lei,
fosse anche simile privilegio da pagare con la propria vita.
Midda, comunque, in quel momento era sola e, liberatasi dei quattro
stracci che si ostinava a definire abiti, si immerse con un piccolo gemito di
soddisfazione fra quelle acque, sprofondando in esse fino al collo,
disinteressandosi dello straripamento delle medesime oltre l’orlo della
tinozza per cercare smarrimento psicologico, oltre che fisico, in quella
condizione. Acclimatato rapidamente il proprio corpo a quel nuovo e
desiderato stato, ella gettò delicatamente anche la testa sotto la superficie
dell’acqua, separandosi per lungo tempo dal mondo intero prima di farvi
ritorno, lasciandosi poi, stancamente, appoggiare con la nuca contro il
bordo della vasca stessa, mantenendo i glaciali occhi chiusi in tale
posizione, con i corvini capelli bagnati aderenti al suo capo e al suo volto.
Innegabile sarebbe stata la gioia che provava in quel momento, il piacere
fisico e mentale concessole da quel bagno, ma, in tanta egoistica felicità, i
suoi pensieri non poterono evitare di ritornare a quanto era avvenuto nelle
320 Sean MacMalcom
ultime ore, negli ultimi giorni, spingendosi alla settimana precedente e
all’incendio della Biblioteca, al proprio insuccesso e a tutte le conseguenze
che da esso si proponevano in una catena assolutamente negativa.
Ormai era già a Thoju, a metà estate, e ciò significava che ben presto
sarebbe trascorso un anno intero dalla sua partenza da Kriarya, città del
peccato, uno dei pochi luoghi al mondo in cui si sentiva a casa. Quel
prossimo anniversario non si proponeva fine a se stesso, solo come un
semplice e nostalgico ricordo, imponendo al contrario su di lei il peso di
un’altra missione rimasta in sospeso, un incarico che nessuno le aveva
richiesto ma che aveva desiderato volontariamente condurre. Proprio al
fine di ottenere da lady Lavero le informazioni necessarie alla conclusione
di tale operato, ella aveva accettato di impegnarsi nel recupero della
corona perduta, ma tutti gli sforzi compiuti in tal senso, da lei e dai suoi
compagni di squadra, erano stati vanificati dalla tragica scelta di
incendiare la Biblioteca. Sebbene nessuno al mondo, eccetto loro, avrebbe
conosciuto la sua responsabilità in simili fatti, su di lei non avrebbe
mancato di gravare il senso di colpa per aver privato l’intero genere
umano dei tesori lì reclusi, nonostante avesse compiuto ciò per la propria
sopravvivenza. Una domanda non avrebbe potuto evitare di tormentarla,
nel dubbio sulla reale inesistenza di alternative utili a salvare la propria
vita e, al contempo, a evitare il rogo nel quale, fra l’altro, era andato perso
il libro a loro necessario per tradurre le informazioni in merito alla reliquia
ricercata. Ma a tale dilemma, ella non era in grado di trovare soluzione,
dove con il senno di poi l’intera esistenza di una persona sarebbe potuta
essere in ogni momento giudicata e criticata, ma solo nel momento
presente, in ogni attimo unico e irripetibile della propria vita, si sarebbe
stati in grado di operare, spesso senza avere la possibilità di porsi
incertezze, di offrirsi domande.
Il crimine che ella aveva commesso, dando vita a quell’incendio,
avrebbe gravato su di lei per sempre, ma probabilmente, se non avesse
agito in tal senso, non avrebbe avuto l’occasione di essere al tempo
presente a riposo in una calda vasca interrogandosi sulla correttezza delle
proprie azioni.
Purtroppo, per quanto potesse giustificare il proprio comportamento,
per quanto potesse riuscire a convincersi che fissarsi sul pensiero di quei
fatti non potesse ormai portarle alcun beneficio, la mercenaria non
avrebbe potuto evitare di ritornare con la propria mente a quel punto, a
quella riflessione, dove in tale fallimento ella aveva compromesso non
solo la propria missione ma anche il senso di tutto ciò che aveva compiuto
nelle ultime settimane, negli ultimi mesi. Privata quale si ritrovava a
essere di ogni strategia decisa, ora non avrebbe potuto esimersi
dall’affrontare la decisione sulla propria prossima mossa, nonostante
MIDDA’S CHRONICLES 321
alcuni passaggi si proponessero già chiari di fronte a lei, fra i quali la
restituzione del medaglione, ormai inutile e inutilizzabile, a lord Visga di
Garl’Ohr, e l’ammissione del proprio insuccesso a lady Lavero di Kirsnya.
Dopo di ciò, probabilmente, avrebbe fatto finalmente ritorno a Kriarya, lì
riprendendo le proprie personali ricerche di informazioni sull’obiettivo
prefisso, forse ricercando a tal fine il supporto di uno dei suoi più
affezionati mecenati, lord Brote. Un cammino decisamente spiacevole
quello che l’avrebbe riportata a casa dopo più di un anno di lontananza,
non più vittoriosa e leggendaria, ma nuovamente rigettata a confronto con
la propria umana fallibilità. Forse tutto ciò sarebbe potuto apparire per lei
quale una lezione di umiltà, ma in quel momento il suo orgoglio era
invero l’ultima fra le proprie preoccupazioni.
Persa fra i propri pensieri, fra quelle amare riflessioni rese
probabilmente più accettabili nel piacere di quel bagno, ella non poté
comunque fare a meno di avvertire l’avvicinarsi di qualcuno alla sala da
bagno in cui aveva cercato conforto. La porta, in effetti, non era serrata in
alcun modo e chiunque avrebbe potuto raggiungerla senza fatica: non a
caso, per questo, la sua spada bastarda giaceva appoggiata accanto alla
vasca, sul suo lato sinistro, per poter essere rapidamente raggiunta dal
proprio braccio e posta a propria difesa e a offesa di eventuali avversari.
Ma in quel momento nessuno avrebbe potuto sapere della sua presenza in
una sperduta locanda di un’anonima cittadella nella provincia di Lysiath,
fatta eccezione per i suoi compagni di ventura e, per questo, senza troppo
impegno, nel passo delicato, quasi felino, proposto alle sue orecchie da
quel movimento, ella riconobbe Carsa. Senza neppure aprire gli occhi,
attese quindi tranquilla di sentire la soglia dischiudersi, per conoscere la
ragione per quale l'altra potesse essersi spinta fino a lei.
Un lieve bussare sulla porta segnalò, allora, il rispetto tributatole dalla
propria compagna, nel non entrare nella stanza senza il suo permesso.

«Avanti…» invitò serenamente, restando a riposo nell’acqua della


vasca, priva di inutili pudori che non avrebbe comunque dimostrato
neanche nei confronti di un ospite maschile.

Offrendo un sincero e tranquillo sorriso, Carsa si presentò sulla soglia


della stanza da bagno privata dei suoi soliti abiti e altresì ricoperta da una
lunga e bianca veste, sensualmente chiusa sotto ai seni da una cintola di
eguale fattura e ornata nei suoi bordi da un complesso intarsio dorato.
Non era ancora stata concessa a Midda la conoscenza delle ragioni in
merito alla presenza di un così raffinato capo nel guardaroba di una
mercenaria e, in effetti, ella non si era neanche proposta curiosa in tal
senso, ma ciò nonostante, dischiudendo per un istante gli occhi di fronte a
322 Sean MacMalcom
tale abbigliamento non nuovo al suo sguardo, avendo già avuto modo in
altre soste di cogliere la compagna così rivestita, ella non poté fare a meno
di denotare quanto a volte l’abito potesse fare realmente la differenza al di
là di eventuali considerazioni sulla superficialità dell’osservatore.
Al suo sguardo, invero, una fanciulla dalla parvenza di una
principessa era colei che si presentava ora, che si donava con un’eleganza,
una delicatezza che sarebbero apparse assolutamente incompatibili con
qualunque idea di combattente, di giovane guerriera. I capelli, quasi a
risaltare tale impressione, non si offrivano legati in un’alta coda come
normalmente avveniva, ma si concedevano sciolti e fluenti nella pienezza
della loro lunghezza, resi lisci e ordinati da un evidente e accurato lavoro
di spazzola, ondeggianti sulle spalle e dietro la schiena tatuata, in
movimenti quasi ipnotici.

«Come stai?» domandò la nuova arrivata con voce dolce e sensuale,


naturalmente musicale e ammaliante nelle proprie note.

Sorridendole appena, la Figlia di Marr’Mahew non poté evitare di


riflettere su quanto poco sapesse, in realtà, nel merito dei propri compagni
di ventura, di coloro a cui inevitabilmente aveva dovuto affidare la
propria vita accettando di essere parte di quella squadra. Il suo carattere,
decisamente riservato riguardo a ogni genere di questione passata,
preferendo pensare al presente e al futuro piuttosto che restare
aggrappata nel bene o nel male a un tempo sul quale non avrebbe potuto
più avere possibilità di intervento, non la spingeva infatti a offrire troppe
domande in tal senso. Nonostante questo, non avrebbe potuto negare un
sincero interesse nel merito delle ragioni che avevano spinto Carsa a quel
genere di vita anche se, probabilmente, esse si sarebbero rivelate essere
quelle che accomunavano la maggior parte delle mercenarie, ossia il
desiderio di preservare la propria integrità in un mondo spesso troppo
crudele con le giovani donne, soprattutto quando appartenenti a ceti
poveri. Una figura come quella della compagna, del resto, dimostrandosi
tanto dolce, così apparentemente delicata, si sarebbe proposta come una
preda troppo semplice per troppe prepotenze, per troppe violenze, se non
si fosse votata al combattimento anziché ad altre occupazioni.

«Sono viva.» rispose la donna guerriero, riaprendo definitivamente gli


occhi e risollevandosi a sedere in una postura eretta, pur restando
all'interno della tinozza, appoggiando le braccia sul bordo della stessa
«Credo di poterlo considerare come un ottimo punto d’inizio, no?»
MIDDA’S CHRONICLES 323
Con un lieve e naturale ancheggiare, la giovane si accostò alla vasca,
adagiando i propri glutei con grazia sulla fiancata della medesima e
lasciando poi ricadere la propria mancina a sfiorare la superficie
dell’acqua ormai tiepida. Il suo sguardo si soffermò per un lungo
momento sulle forme della compagna, osservandola con interesse, salvo
poi risalire ai suoi occhi azzurri per non porla a disagio.
Midda, dal proprio punto di vista, non era nuova a simili
dimostrazioni di interesse e, come per quelle maschili non si sarebbe posta
peso o imbarazzo, ugualmente avrebbe compiuto nei confronti di quelle
femminili: tale era il suo corpo e per alcuna ragione avrebbe dovuto
provare vergogna o pudore per esso.

«Siamo tutti vivi e questo, innegabilmente, è merito della tua


prontezza di riflessi.» affermò Carsa, con tono tranquillo «Non devi farti
una colpa per quanto è accaduto…»
«Cosa è accaduto?» chiese a quel punto la mercenaria, scuotendo il
capo «Intendi forse riferirti al fallimento della nostra missione oppure al
fatto che una delle più grandi meraviglie realizzate dall’umanità è andata
distrutta per una mia scelta?»
«In merito alla seconda questione non sono assolutamente d’accordo.»
replicò con aria seria «Avresti preferito sacrificare le nostre vite a quelle
specie di mostri, piuttosto che agire come sei stata costretta a fare?»
«La mia è stata impulsività…» si accusò Midda, storcendo le labbra
verso il basso «Non mi sono concessa neanche il lusso di spendere un
istante per riflettere su una qualche soluzione alternativa…»
«Ascoltami.» le richiese la fanciulla «Il tuo valore è indubbio e la
leggenda sul tuo nome ti precede ovunque: da cosa credi che dipenda
tutto questo? E pensa prima di rispondere, perché non sono abituata a
esprimere complimenti gratuiti.»

Se ella non era abituata a esprimere complimenti gratuiti, la donna


guerriero non era del resto abituata a piangersi addosso, nello stesso
modo in cui non era solita cercare approvazione popolare nelle proprie
scelte, nelle proprie azioni. Né la fama, né la gloria erano state mai da lei
ricercate con le proprie azioni, con le proprie imprese, quanto altresì una
riprova del tutto personale di potersi spingere sempre dove avrebbe
desiderato giungere, anche se apparentemente impossibile, anche se
considerato come un traguardo irraggiungibile da un comune mortale.

«Sei una donna in gamba… forse una delle poche persone che ho
sempre stimato, e sono sincera nel dirlo.» ammise Carsa, continuando
senza attendere la risposta dell’interlocutrice «Hai abilità e, soprattutto,
324 Sean MacMalcom
hai esperienza e se, in virtù di essa, la tua mente ha deciso di agire in un
certo modo, perdere tempo a addolorarsi di ciò è da stolti. E’ andato
perduto un tesoro di incalcolabile valore, è vero… ma evidentemente era
destino che ciò accadesse.»
«Non ne sono così sicura…» fece spallucce la donna «Ma su una cosa
hai ragione: è da stolti continuare a pensarci quando ormai non si può più
fare nulla per rimediare a quanto compiuto.»
«Questa è la Midda che ho imparato ad apprezzare!» sorrise l’altra,
annuendo vistosamente «Per quanto riguarda la missione, poi, non vedo
ragione di darsi per vinti. C’è stato un inconveniente, è vero, ma chi mai
aveva detto che sarebbe stata un’impresa semplice? Non stiamo forse
inseguendo una chimera?»

Quelle parole, pronunciate in maniera del tutto tranquilla da parte di


Carsa, furono altresì accolte dalla Figlia di Marr’Mahew con una reazione
del tutto inattesa e inattendibile, vedendo le sue pupille prima espandersi
e poi contrarsi fino quasi a scomparire all’interno delle iridi di ghiaccio.
Un pensiero aveva evidentemente attraversato la mente della donna, una
riflessione scatenata involontariamente da qualche termine adottato dalla
controparte.
Per un lungo istante ella restò come immobilizzata, congelata
all’interno dell’acqua della vasca, per poi rialzarsi di colpo con un ampio
sorriso, gettandosi ad abbracciare in una reazione spontanea la compagna
di ventura.

«Ma certo!» esclamò, quasi sbilanciando l’altra con la propria enfasi


«Come ho fatto a non pensarci prima, per Thyres!»
«C-cosa succede?!» domandò incerta la fanciulla, non sapendo
esattamente in che modo comportarsi in quel momento.
Midda, ancora sorridendo, si staccò da lei, osservandola come se fosse
rinata a nuova vita: «Presto… un lungo viaggio ci attende! Dobbiamo
chiamare Howe e Be’Wahr, così vi spiegherò tutto una sola volta…»
aggiunse, uscendo rapidamente dalla vasca per recuperare i propri abiti e
iniziare a rivestirsi ancora bagnata fradicia «Ancora non lo sai, Carsa… ma
mi hai appena suggerito una grande idea!»
Fra l’imbarazzo per quelle parole e l’eccitazione per il contatto appena
vissuto, l’altra non poté che sorridere, mostrando una lunga fila di denti
bianchi, e rispondere: «Che dire? E’ stato veramente un piacere, come
neanche potresti immaginare…»
MIDDA’S CHRONICLES 325

er uno scherzo della sorte, o forse per una divina decisione non
intelligibile a menti mortali, il ritorno di Midda alla città del
P peccato coincise esattamente con il giorno di Transizione fra
estate e autunno, risultando in questo estremamente simbolico,
anche per un luogo come Kriarya.
Se, infatti, per quella particolare capitale kofreyota, né le Transizioni
né il Capodanno avevano mai rappresentato qualche valore, dove la
popolazione di quelle terre, in vasta maggioranza costituita da assassini,
prostitute, mercenari e ladri, non aveva né avrebbe avuto alcuna ragione
di onorare gli dei o, peggio, il sovrano per la stagione o l’anno appena
concluso o per quelli che sarebbero presto iniziati, il proporsi del ritorno
di una figura come quella della mercenaria all’interno di quelle mura in
corrispondenza di quella particolare data posta fuori da ogni mese e fuori
da ogni stagione, non poté essere ignorato, non poté evitare di essere letto
nella metaforica chiave di un desiderio di rivalsa.
Oltre un anno era trascorso dalla sua partenza da quella capitale e
dalla sua particolare realtà, inversa a quella comune, eppure, in tale
sovversione, quasi più comprensibile della tanto sopravvalutata vita
civile, troppo ricca di ipocrisie e falsità, ormai assuefatta alle piccole e
grandi malizie da considerare normale e ben accetto il peggiore degli
insulti e, al contempo, da valutare come insostenibile una schietta
franchezza.

L’ultima volta che ella aveva fatto ritorno in Kriarya, a seguito di una
missione nella palude maledetta di Grykoo, per compiere un’impresa
ormai divenuta parte del mito, era stata a suo discapito coinvolta in una
spiacevole faida fra i signori locali, i “nobili” di quella capitale che a
differenza di qualsiasi altra città kofreyota non erano tali per meriti di
sangue, quanto la propria intrinseca forza, per la capacità di controllo e
gestione sull’essenza caotica di quel mondo particolare.
Un mecenate conosciuto con il nome di Bugeor e il titolo di lord, aveva
infatti tentato di sconvolgere gli equilibri esistenti all’interno della città,
chiamando al proprio servizio gli uomini della Confraternita del
Tramonto, una vasta organizzazione mercenaria operante in quasi ogni
provincia di Kofreya. In contemporanea a un simile gioco di violenza e di
potere, l’aspirante usurpatore aveva deciso di forzare la mano di Midda
attraverso il rapimento di una giovane fanciulla, sua protetta. Con tale
azione egli aveva sperato di poter sia ottenere i servigi della mercenaria
allo scopo di impossessarsi attraverso di lei di una proprietà di lord Brote,
uno fra i suoi principali rivali, sia mantenerla al di fuori dell’inevitabile
conflitto che sarebbe scoppiano non appena le sue mire sulla capitale
326 Sean MacMalcom
fossero state rese note agli altri signori. Inevitabilmente, però, egli aveva
scatenato l’esatta reazione opposta, spingendo la Figlia di Marr’Mahew
non solo a un ulteriore contrasto nei suoi confronti ma, anche, a schierarsi
in maniera aperta sul campo di battaglia.
Ma se, da un lato, ella aveva inizialmente affiancato e anche condotto
l’esercito misto formato dai mercenari agli ordini vari signori di Kriarya
nello scontro armato con la rappresentanza della Confraternita del
Tramonto lì stanziata, al fine di ottenere la liberazione dell’ostaggio,
dall’altro lato, non aveva assolutamente gradito che il suo destino potesse
essere gestito a tavolino senza porle un’interrogazione diretta, quasi ella
potesse essere accomunata a una qualsiasi mercenaria, a semplice carne da
macello. Pertanto, nel momento in cui la Confraternita, notando il rischio
di una grave sconfitta nel confronto con lei, aveva deciso di scendere a
patti concedendole la prigioniera, la donna guerriero si era
tranquillamente ritirata dalla battaglia, invitando tutti i propri compagni a
fare altrettanto nel descrivere come vano quello scontro. La battaglia,
come ella aveva avuto modo di conoscere solo molto più tardi, si era
comunque protratta e inevitabilmente conclusa con la vittoria della
Confraternita ma, nonostante tale successo, lord Bugeor aveva
saggiamente deciso di non osare troppo, lasciando pressoché inalterati gli
equilibri della città.
Nulla era pertanto effettivamente mutato all’interno di quelle mura
nel corso dell’ultimo anno.

In un simile contesto, dove comunque non molti si potevano


presentare coloro sufficientemente in gamba da essere sopravvissuti a ben
un intero ciclo di stagioni, capaci in ciò di ricordarsi con precisione il
valore della mercenaria in questione, la memoria del ritiro di Midda dal
campo e tutte le successive illazioni a tal riguardo si proposero con
irruenza alla mente di molti abitanti della città di fronte alla sua
ricomparsa, scatenando il desiderio in loro di affrontare un ipotetico mito
che ai loro occhi non avrebbe potuto evitare di apparire fondato sul nulla.

«Davvero non siete mai stati prima a Kriarya?!» domandò la donna


verso i propri compagni, colpendo con la violenza del proprio pugno
chiuso il volto di un avversario, gettatosi in sua offesa armato di una sorta
di grezza scure più simile a una grossa mannaia.
«Ma cosa ci trovi di così strano?» replicò Howe, parando con la
propria spada l’attacco offerto da due lunghi pugnali mossi da altrettante
donne, nel cercare di evitare di pensare a quanto piacenti le stesse
avversarie altresì si potessero proporre. per non essere distratto
MIDDA’S CHRONICLES 327
nell’assurda confusione generata da quella situazione a metà fra la rissa e
la battaglia.
«A me sarebbe piaciuto venirci…» intervenne Be’Wahr, appena
liberatosi da un nemico e in cerca di un altro da poter affrontare «Tu non
mi hai mai voluto dare retta, ma sono sempre stato convinto che qui
avremmo potuto trovare ottimi incarichi…»
«Ammesso che foste sopravvissuti abbastanza a lungo da avere la
possibilità di incontrare un mecenate…» commentò Carsa, roteando la
propria ascia sopra il capo nell’allontanare minacciosa, in tale gesto, due
giovani convinti di poter avere facile gioco con lei.
«E’ un ambiente divertente, se si riesce a considerare dal verso
giusto…» cercò di minimizzare Midda, scuotendo il capo e mandando nel
mondo dei sogni un altro contendente «Mi raccomando, non strapazzateli
troppo: sono giovani, una nuova generazione, e di certo non hanno idea
preciso di coloro contro cui stanno cercando rogne…»
«Ma sentitela…» sbarrò gli occhi lo shar’tiagho a quell’affermazione,
per poi aggiungere con evidente sarcasmo «Da come la descrive sembra
una sessione di allenamento: peccato che questa “nuova generazione”
forse la pensi un po’ diversamente.»

I quattro cavalieri avevano fatto appena in tempo a superare l’ingresso


occidentale alla città, e i blandi controlli lì proposti dall’esercito kofreyota
per scoraggiare l’eventuale intrusione di spie y’shalfiche, prima di
ritrovarsi circondati da un mondo assolutamente inatteso per tutti loro a
ovvia eccezione della stessa Figlia di Marr’Mahew, una realtà costituita da
un’intera popolazione apparentemente più che desiderosa di strappare
loro la pelle dalle membra solo per potersi vantare di aver sconfitto Midda
Bontor e i suoi nuovi compagni di viaggio.
Per quanto strano potesse poi sembrare, nella scelta della propria
professione, sia Carsa, sia Howe e Be’Wahr avevano fin da subito
ammesso di non essere mai stati in passato a Kriarya e, in virtù di questo,
evidentemente troppo abituati alla vita civile, essi non poterono non
restare spiazzati da una simile accoglienza. Per la loro compagna, al
contrario, quella situazione non si propose come nuova, per quanto la
lunga lontananza da quelle mura e le condizioni della sua ultima visita,
evidentemente, stavano incitando all’azione una quantità superiore alla
norma di scapestrati in cerca di guai.
Sicuramente facile sarebbe stato, per il gruppetto, utilizzare le proprie
armi allo scopo di terminare le vite degli avversari, oggettivamente a un
livello inferiore rispetto al loro dove i migliori mercenari della città ben
conoscevano Midda e non sembrarono, nonostante tutto, desiderare un
confronto con lei. Ma per quanto nessuno avrebbe loro imputato colpa per
328 Sean MacMalcom
una simile strage, se anche avessero deciso di procedere seguendo la via
del sangue, l’inutilità, pratica ed economica, di simili morti spinse la
mercenaria a spronare i propri compagni a un comportamento più
permissivo.

«Ascolta… posso comprendere la volontà di non firmare subito il


nostro arrivo con il sangue di questi disgraziati…» riprese la parola Carsa,
cercando l’attenzione della compagna «Ma credi che continueranno
ancora a lungo a piombarci addosso in questo modo?»
«Dai… è quasi divertente!» si interpose il biondo, continuando a
combattere con foga e trasporto, proponendosi fra loro sicuramente con il
maggiore spirito di adattamento a quella situazione «E poi non avevamo
mai partecipato tutti insieme a una bella rissa…»
«Ricordami di spiegarti meglio la differenza fra rissa, battaglia e
guerra in un momento di tranquillità.» lo zittì il fratello, improvvisando
poi l’offerta di una capocciata contro il volto di una delle due precedenti
avversarie, ritornata alla carica «Scusa la mossa, dolcezza…» aggiunse,
poi, verso la medesima «Spero di non averti fatto troppo male, perché sei
un bocconcino davvero niente male.»
«Howe… ma ti sembra il momento di mettersi a civettare?» lo
rimproverò Carsa, nel mentre in cui il suo ginocchio venne condotto a
impattare con forza in opposizione ai genitali di un avversario, sgranando
appena gli occhi all’ultima frase che il compagno aveva rivolto in
direzione di una nemica.
«Visto che sto rischiando la pelle, almeno lasciami la possibilità di
guadagnarci qualcosa…» rispose semplicemente lo shar’tiagho,
sorridendo «Chi può dire che il mio affermato fascino non possa
conquistare qualcuna di queste dolci fanciulle?»

Ovviamente alcuna fra le avversarie loro proposte si concedeva quale


intenzionata a farsi conquistare dal presunto fascino tanto proclamato
dall’uomo: al contrario, proprio verso di lui sembravano rivolgere la
maggior parte delle proprie offese, forse giudicandolo all’interno di quel
gruppo come l’avversario più vicino alle loro possibilità di vittoria. In
effetti, nel proprio aspetto alto e slanciato, Howe era spesso erroneamente
giudicato quale gracile, debole, dimostrandosi poi al contrario dotato di
un’agilità e di una capacità guerriera invidiabile dai più. Probabilmente
ingannate da tale aspetto, pertanto, erano tutte coloro che a lui tentavano
di recare attacco, fallendo di volta in volta in maniera decisamente misera.
Contro Midda e Carsa, altresì, si presentavano quasi esclusivamente
uomini di dimensioni più o meno variabili, accomunati da un
improponibile rapporto fra la circonferenza del collo, estremamente vasta,
MIDDA’S CHRONICLES 329
e quella del cranio, estremamente ridotta, a semplice esempio di
un’assoluta e mostruosa sproporzione di enormi bicipiti, tricipiti,
addominali, pettorali e così via discorrendo nel completare un lungo
elenco di umana muscolatura. Nessuno fra essi, in verità, si sarebbe mai
offerto quale un combattente del loro livello, dove sarebbero stati
sicuramente meglio impiegabili in una miniera piuttosto che su un campo
di battaglia. Del resto i passati e le precedenti esperienze professionali di
quegli uomini, probabilmente, non si distaccavano molto da quell’ipotesi,
laddove il cammino verso la professione mercenaria, a qualsiasi livello
essa si fosse proposta, era stato molto probabilmente da loro intrapreso
nella speranza di riscatto sociale. Tanti muscoli, quindi, per una forza
fisica potenzialmente dirompente che avrebbe potuto spezzare ogni
avversario se fosse stata impiegata insieme a un cervello utile a gestire tale
energia: purtroppo per loro, invece, in quel caso tutta la propria virilità
nulla poté in opposizione alle due donne, le quali avendo fatto della lotta
e della guerra la propria vita, si offrirono sfrenate e irrefrenabili, capaci
non solo di tenere loro testa senza fatica, ma anche di renderli inoffensivi
senza neppure privarli della vita.
Be’Wahr, paradossalmente, a differenza dei propri compagni si era
ritrovato a dover insistere con forza per riuscire a ingaggiare uno scontro.
Capace di incutere maggiore soggezione rispetto al fratello, probabilmente
anche in virtù della scelta particolare della propria arma, una lama più
simile a quella di un grosso coltello che a quella di una spada, e del
proprio abbigliamento, nel presentare il proprio corpo avvolto da
molteplici strati di bende a celare una folta presenza di tatuaggi che non
desiderava rendere pubblici, egli non riusciva evidentemente ad attirare la
belligerante attenzione dei propri avversari, dovendo pertanto porsi in
prima persona a cercarne la presenza.

«Comunque…» intervenne Midda, a recuperare il discorso lasciato in


sospeso con la domanda della compagna a lei rivolta «Non porti
preoccupazioni: vedrai che ben presto comprenderanno di non avere
speranze contro di noi e si ritireranno prima di rischiare più del
dovuto…»
«Lì giudichi tanto vili?» domandò il biondo, quasi deluso da
quell’affermazione, guardandosi attorno alla ricerca di un nuovo
obiettivo.
«Non vili… semplicemente opportunisti.» rispose ella, piegandosi in
avanti e spingendo, in un gesto apparentemente distratto e naturale, il
proprio tallone verso l’indietro, indirizzandolo al collo di un ennesimo
sfidante, nel colpirlo in tal modo con forza prima che egli potesse
concludere la propria carica verso di lei «Ci stanno attaccando unicamente
330 Sean MacMalcom
perché sperano di trovare profitto nella nostra sconfitta: nel momento in
cui arriveranno a maturare la consapevolezza che solo le loro vite stanno
venendo poste in discussione in questo momento, decideranno di lasciar
perdere ogni desiderio di scontro.»
«Tutto questo per profitto?!» chiese con aria stupita Carsa,
dimostrando uno sconcerto quasi innaturale o, forse, ipocrita, nel
considerare la sua stessa professione.
«E’ questo alla base della vita in Kriarya.» sorrise la Figlia di
Marr’Mahew «La pura e semplice ricerca di ricchezza e potere, non
diversamente dal resto del mondo, ma privato della maschera offerta da
falsi principi morali, dalla dissimulata bigotteria dietro alla quale tutti
normalmente preferiscono celare i propri veri intenti, per sembrare
migliori di ciò che in effetti sono.»
«Non ti si può offrire torto…» non poté fare a meno di ammettere
Howe, storcendo le labbra a quelle parole così severe eppure ineccepibili.

Proseguire ulteriori discorsi, per i quattro cavalieri, non fu semplice, in


quanto nella rabbia crescente da parte dei propri avversari, l’aria si saturò
ben presto di grida e invettive di ogni genere, maledizioni contro di loro e
blasfemie verso ogni divinità per la dura lezioni che stava venendo
imposta a chi aveva sperato di trasformarli in semplici prede. Non tardi,
però, anche il fiato per tanta ira iniziò a venir meno, insieme alle forze
necessarie per rialzarsi dopo ogni colpo subito, dopo ogni attacco ricevuto
e, come previsto dalla donna guerriero, alla fine nessuno ebbe più
desiderio di trovare nuovo scontro, cercando rifugio nella folla
onnipresente di spettatori attorno a loro oppure restando semplicemente a
terra, per non rischiare ulteriori confronti.
Solo un lieve strato di sudore fu quanto i membri di quella piccola
compagnia accumularono in conseguenza di quell’incontro, guadagnando
nel medesimo una rapida diffusione della propria nomea all’interno della
città. Invero quasi nessuno degli abitanti della capitale lì presenti aveva
avuto modo di riconoscere i tre nuovi volti, ma questo non avrebbe
impedito alla notizia di essere trasmessa e raggiungere ogni orecchio. In
virtù di quanto avvenuto nell’incontro con il comitato di benvenuto,
l’interesse che essi avevano attratto su di sé non avrebbe mancato di
renderli maggiormente esposti al pubblico per almeno un paio di giorni:
entro tale limite temporale, oltre il quale sarebbero stati poi rapidamente
dimenticati, essi avrebbero potuto altresì incappare in molte diverse
occasioni di scontro non dissimili da quella, sia per mano di coloro già
affrontati in cerca di un riscatto personale, sia di altri sfidanti, mercenari
più o meno valenti, desiderosi di confrontarsi con coloro che si erano
proposti degni di affiancare Midda e, perciò, sicuramente in grado di
MIDDA’S CHRONICLES 331
accrescere il prestigio personale di chiunque fosse stato capace di
abbatterli.

«Abbiamo già finito?!» si espresse con evidente retorica Be’Wahr,


dimostrando comunque una chiara delusione nel proprio tono di voce per
quello scontro prematuramente terminato «Stavo giusto iniziando a
divertirmi…»
«Entro stasera vedrai che avrai nuove occasioni per scaldarti i
muscoli…» sorrise Midda, nel rivolgersi a lui, sistemandosi i capelli dietro
le orecchie.

La donna guerriero, a differenza dei propri compagni di ventura, in


quella rissa non aveva neppure estratto la propria spada, non giudicando
alcuno fra i contendenti propostisi di fronte a lei degni di poter richiedere
da parte sua un tale interesse, una simile attenzione. L’intero
combattimento era stato pertanto condotto a mani nude, dove comunque
difficile sarebbe stato giudicarla disarmata nell’ovvia onnipresenza del
suo braccio destro in nero metallo dai rossi riflessi.

«Per Lohr… ora inizio a comprendere come sei divenuta ciò che sei…»
commentò Howe, aggrottando la fronte «Anche Gorthia, con tutti i suoi
integralismi religiosi, sembra una terra accogliente rispetto a quanto
presentato all’interno di queste mura…»
«Ne sei proprio sicuro?» lo stuzzicò con malizia la mercenaria,
indicando appena con un cenno del capo un gruppo di prostitute in chiara
evidenza posto non lontano da loro.
«Ecco…» replicò l’uomo, cogliendo immediatamente quel
suggerimento «Diciamo che se vi ricorderete di passarmi a prendere
prima di ripartire, io potrei fermarmi qui…» continuò sorridendo, mentre
i suoi occhi sembrarono illuminarsi a quella vista «Se poi vi
dimenticherete di me, penso che non vi offrirò alcuna colpa dall’alto della
mia bontà d’animo…» concluse, iniziando ad accennare un paio di passi
nella direzione mostratagli.

Ma fu proprio Midda, dopo essersi fatta giocoso scherno del


compagno indicandogli le prostitute, colei che ne arrestò il cammino,
agguantandolo per la casacca prima che si potesse allontanare troppo.

«Fermo…» lo richiamò, con tono più serio «Ricordati che in questa


città tutto ha un prezzo e per uno straniero spingersi a cercare il costoso
abbraccio delle meretrici locali potrebbe essere un gesto estremamente
insano…»
332 Sean MacMalcom

«Avanti…» invitò serenamente, restando a riposo


nell’acqua della vasca, priva di inutili pudori…
MIDDA’S CHRONICLES 333
«Credo di essere sufficientemente adulto per poter prendere la
decisione di correre un rischio se lo considero accettabile, no?» si lamentò
l’uomo, storcendo le labbra ma fermandosi alla richiesta di lei «E poi hai
visto cosa abbiamo appena fatto? Non credo che…»
«E’ proprio ciò che non credi che potrebbe danneggiarti.» commentò
ella, con un accenno di dolce premura nella voce «Conosco bene Kriarya e
i suoi pericoli e se ti dico che è meglio evitare… evita. Poi se i tuoi bollenti
spiriti necessiteranno di una femminile compagnia per le notti che
trascorreremo fra queste mura, vedremo di sopperire anche in tal senso,
rivolgendoci a fonti fidate.»

A quelle parole Howe non poté che concedere un sorriso di


soddisfazione, affiancato in maniera quasi naturale da Be’Wahr che, pur
concedendo meno appariscenza ai propri desideri rispetto al fratello, ne
condivideva pienamente i bisogni.

«Ecco una cosa che adoro in te…» ammise lo shar’tiagho, mostrando


una lunga fila di denti chiari «La tua perenne e assoluta organizzazione:
sai sempre cosa fare e dire al momento giusto… è un’ottima qualità.»
Inarcando un sopracciglio e scuotendo il capo, fu Carsa a intervenire
per cercare di riportare il discorso verso temi più seri: «Allora… quando
pensi di condurci da questo lord Brote?»

Nel mentre di quel breve dialogo fra i quattro cavalieri, la vita attorno
a loro era ripresa imperturbata e imperturbabile per le vie della città del
peccato, dove quanto accaduto, lo scontro appena concluso, nulla di
nuovo o inatteso aveva proposto allo sguardo di coloro che lì abitavano.
Furti, uccisioni e stupri erano realtà assolutamente quotidiane in quelle vie
e chi fra di esse aveva accettato di cercare un senso alla propria vita ben
presto aveva dovuto anche confrontarsi con le stesse per non esserne
vittima.

«Ogni cosa a suo tempo…» le rispose Midda, considerando chiusa la


discussione con i due compagni «E’ meglio concederci una notte di riposo
e agire di prima mattina piuttosto che correre rischi imponendoci
eccessiva fretta…»
«Così parlo colei che interruppe il proprio bagno per ripartire
rapidamente nell’inseguire un’idea estemporanea…» denotò con sarcasmo
l’altra, trattenendo una breve risata.

Lord Brote. Come pronunciato da Carsa, tale era l’obiettivo che aveva
spinto la Figlia di Marr’Mahew a condurre la squadra, di cui era parte per
334 Sean MacMalcom
il corso di quella missione, fino a quella capitale della perdizione, nella
consapevolezza di come egli possedesse una chiave, prima non presa in
considerazione, utile a giungere alla risoluzione dell’enigma proposto loro
nella ricerca della corona perduta.
Da oltre un anno, dalla propria partenza da Kriarya, ella non aveva
avuto modo di incontrare il proprio mecenate, di lavorare al suo servizio,
ma i rapporti fra loro, era certa, non si sarebbero proposti diversi da quelli
a cui era abituata. Midda era sempre stata il tesoro più prezioso fra tutti
quelli che il signore in questione poteva farsi fregio di possedere e, anzi,
nell’evidenza che i propri diritti sulla donna non sarebbero mai stati
realmente assoluti, egli non mancava di proporre un’unione coniugale alla
propria mercenaria a ogni occasione possibile, conscio di quanto il proprio
potere, già forte e radicato nella città, sarebbe potuto essere decuplicato in
virtù di una simile e definitiva alleanza. Naturalmente, la donna guerriero
non aveva mai avuto interesse alcuno a vincolarsi in tal modo a lui, oltre a
non aver avuto neppure sentimenti di sorta nei suoi confronti se tali
sarebbero potuti essere in qualche modo influenti in tal senso. Ciò
nonostante il rapporto con il proprio principale mecenate si era sempre
offerto proficuo per entrambe le parti, assicurando a lei una fonte di
guadagno e di avventure praticamente illimitata e a lui una fonte di
potere, a diversi livelli, apparentemente inesauribile.
Nel rispetto di regole non scritte all’interno di quelle mura, la donna
non aveva alcun dubbio sul fatto che, entro poche ore, la notizia del suo
ritorno si sarebbe sparsa fino ai livelli più alti delle smisurate torri erette
nello stile kofreyota lì vigente, con forme alte e geometriche che al cielo
sembravano voler offrire le proprie bramose mire, e proprio per tale
ragione ella preferiva attendere con tranquillità il giorno seguente,
concedendo in tal periodo possibilità al proprio mecenate di apprendere
simile novella e di porsi in sua attesa, per la visita che usualmente
avveniva al mattino seguente di ogni suo ritorno nella capitale.

«Comunque non vi condurrò alla dimora di Brote.» sottolineò la


mercenaria nel riprendere il proprio cammino, rivolgendosi ai tre
compagni e in particolare a Carsa, che con simili parole si era espressa
poc’anzi «Nessun mecenate di questa città accetterebbe la presenza di
mercenari stranieri al proprio cospetto… per ovvie ragioni di sicurezza.»
«Inizio a pensare che la cattiva fama di questa capitale non sia poi così
immeritata…» commentò l’altra, storcendo le labbra.

Sebbene in Midda fossero chiare le regole comportamentali della città


del peccato, sebbene sapesse quanto negativo sarebbe potuto essere
mostrarsi troppo tranquilla in opposizione a una folla di potenziali
MIDDA’S CHRONICLES 335
avversari desiderosi di arricchire la propria fama a sue spese, in quel
momento un sentimento più forte di quello che avrebbe voluto ammettere
la stava dominando, nel poter nuovamente essere parte di quel mondo da
cui si era, troppo a lungo, allontanata. Assurdo sarebbe sicuramente
apparso dal punto di vista di un osservatore esterno, ma per la mercenaria
lo stile di vita lì esistente era quanto di più affine al proprio animo
riuscisse a sentire, nel confronto con ogni altro luogo del mondo in cui
aveva vissuto o era comunque soggiornata per qualche tempo.
Lì ogni elemento, azione, pensiero, sguardo, postura si proponeva a lei
come perfettamente decifrabile, come univocamente interpretabile, privo
di ambiguità al contrario di quanto, altresì, sentiva di trovare presso altre
realtà, presso diversi insediamenti umani. Lì ella poteva essere per ciò che
era, per ciò che aveva deciso di essere, senza per questo venir
pregiudicata. Lì ella poteva impiegarsi nel lavoro a cui si era votata senza
per questo essere discriminata. Nel mondo esterno a quei geometrici
confini, seppur corrotto non meno di Kriarya, il falso perbenismo le
imputava e le avrebbe sempre imputato accuse, colpe, condanne che non
le erano proprie, che non sapeva riconoscere come appartenenti a sé,
nell’ipocrisia che mistificava la natura mercenaria di ogni mestiere
nobilitandola al di sopra del dovuto.
Perché ella avrebbe mai dovuto essere considerata peggiore di un
artigiano? Un mastro vasaio avrebbe forse impiegato ugualmente le
proprie energie e il proprio talento nel plasmare l’argilla sapendo che ciò
non gli avrebbe permesso di portare del pane sulla propria tavola? Un
fabbro avrebbe forse donato allo stesso modo il proprio tempo e il sudore
della propria fronte nel forgiare una spada, sapendo che ciò a nulla
sarebbe valso per assicurargli possibilità di sopravvivenza?
Ella in nulla era o si sentiva diversa da un mastro vasaio, da un fabbro,
offrendo la propria abilità e le proprie forze per il compimento di un
incarico, di una missione assegnatale: ciò nonostante, lo stesso mondo al
di fuori di quelle mura che era pronto a ricattarla pur di assicurarsi i suoi
servigi, era anche pronto a condannarla per le sue azioni, per la sua
professione considerata così infima e priva di ogni onore o valore.

«Ora dove stiamo andando?» chiese con curiosità Be’Wahr,


osservandosi, in opposizione a simile sfiducia, attorno con vero e proprio
interesse.
«A cercare alloggio per la notte…» sorrise Midda.

Pur tentando di imporsi di ritornare a una postura, a un’espressione


più consona con quella richiesta da Kriarya, la mente della donna non
poté evitare di correre al pensiero della loro attuale e prossima meta, al
336 Sean MacMalcom
pensiero della locanda in cui sapeva sarebbero potuti essere ospitati per
tutta la durata del loro soggiorno, in cui sapeva, ancor più, che una stanza
era già in sua attesa, nonostante da oltre un anno ella non si fosse più lì
proposta e nonostante alcun preavviso del suo ritorno avesse concesso.
Tale era casa sua ed entro quelle mura avrebbe sempre potuto essere ben
accolta solo in virtù della propria stessa presenza, senza ulteriori
questioni, domande o imposizioni.

rpeggiando con i raggi del sole, la lama dagli azzurri riflessi della

A spada di Midda venne condotta in una serie di rotazioni da una


mano più sapiente di quello che molti avrebbero potuto credere,
che ne volle saggiare il peso, l’equilibrio, la forza.
L’ultima volta che Be’Sihl, il locandiere, aveva avuto modo di incontrare la
sua amica, ella era in possesso di un’arma pur simile a quella, ma di
fattura decisamente inferiore, frutto di un lavoro difficilmente
paragonabile a quello posto in essere dalle mani del fabbro di Konyso’M
nel plasmare quell’innegabile opera d’arte.

«Non credo che il destino avrebbe potuto concederti una spada


migliore di questa…» commentò egli, lasciando adagiare con delicatezza
l'arma sul proprio bancone.

Una nuova mattina era ormai giunta e, quasi nell’adempimento di un


rito, l’uomo e la donna si erano ritrovati soli nella sala principale del
locale, a scambiare qualche parola in tranquillità, prima che ella si potesse
dirigere dal proprio mecenate. Sebbene dal loro ultimo incontro un altro
anno si fosse posato sulle loro spalle, già decisamente mature nella
comune aspettativa di vita in quel loro folle mondo, nulla sembrava essere
cambiato fra loro e, quasi in conseguenza di una specie di magia, tutto
quello che era accaduto in quegli ultimi dodici mesi era apparso come non
essere mai successo, come se quella mattina fosse ancora la stessa del
ritorno della mercenaria dalla palude di Grykoo.

«Sono concorde…» sorrise ella, osservando con intensità il proprio


interlocutore, nell’assaporare con lentezza la colazione da lui predisposta
unicamente per lei, come sempre simile a un capolavoro da osservare più
che a una pietanza da assaporare.
MIDDA’S CHRONICLES 337
Il giorno precedente, sia nella presenza di troppa gente da seguire
all’interno del locale, sia nella presenza dei nuovi e temporanei compagni
di ventura di Midda, ella stessa e Be’Sihl non avevano avuto modo di
potersi confrontare sull’anno appena trascorso e durante la notte, per la
Figlia di Marr’Mahew trascorsa come sempre nella propria stanza dopo
aver lì goduto di un lungo e rigenerante bagno, ella non aveva potuto fare
a meno di rendersi conto di quanto, altresì, le cose sarebbero potute
cambiare.
La vita che aveva deciso di condurre, da sempre, portava la donna
guerriero ad affrontare lunghi viaggi, a salutare le persone a lei vicine
come se le avesse potute rivedere il giorno dopo pur ignorando se e
quando mai avrebbe in effetti avuto l’occasione di rincontrarle. Così era
stato con Salge, così era stato con Ma’Vret, così era stato con ogni uomo
che a lei si fosse mai avvicinato in un ruolo di amico o di amante, e così,
inevitabilmente, era stato anche con Be’Sihl. Da un anno non aveva avuto
occasione di rincontrarlo e un quel lungo periodo egli sarebbe potuto
essere morto, avrebbe potuto decidere di lasciare per sempre Kriarya,
oppure avrebbe anche potuto prendere in ipotesi l’idea di una famiglia,
offrendosi ora al suo sguardo con una compagna e, magari, con dei figli.
Tutto ciò non era però accaduto e, ancora una volta, egli ed ella si
potevano ritrovare a discorrere tranquilli, a scherzare allegramente, come
se il mondo attorno a loro fosse sempre eguale, immutabile, ed essi stessi,
all’interno di un tale contesto, non potessero mai risentire degli effetti del
tempo.

«Spero che i tuoi colleghi potranno ritenersi soddisfatti della


compagnia che ho fornito loro per questa notte.» aggiunse poi il
locandiere «Del resto non conoscendo i loro gusti…»
«Oh… non ti preoccupare.» rispose la donna, scuotendo il capo e, con
esso, i propri capelli corvini «Sono certa che nessuno di loro avrà di che
lamentarsi. Io però potrei avere delle rimostranze a tal riguardo…»
aggiunse poi, con una nota di malizia nella voce.
«Tu?!» aggrottò la fronte l’uomo, osservandola «Ma se hai dormito da
sola…»
«Appunto.» lo punzecchiò, scherzando come erano soliti fare da
sempre «Non ti vergogni di avermi lasciata sola e ignuda come una
vergine innocente offerta sull’altare di un culto malvagio?»

Sebbene il loro rapporto non avesse mai superato i limiti dell’amicizia,


almeno in passato, quel genere di battute non erano mai mancate e,
probabilmente, mai sarebbero mancate. Il loro era un malizioso gioco di
complicità, condotto fra due persone adulte e mature che se avessero
338 Sean MacMalcom
deciso di spingersi oltre, di certo non avrebbero trovato ostacoli nel farlo,
ma che, forse, temevano di poter rovinare qualcosa fra loro nel compiere
una simile scelta.

«Vada per “sola” e “ignuda”… ma “vergine” e “innocente”?»


insistette egli, inarcando un sopraciglio oltre a continuare a presentare la
fronte già aggrottata.
«Tsk… uomini…» si finse offesa ella, distogliendo lo sguardo e
levando il capo verso l’alto «I soliti sputasentenze: solo perché una
fanciulla si ritrova portatrice di un prosperoso seno subito siete pronti a
additarla…» commentò poi, stringendo le spalle per spingere in tal gesto i
propri seni in avanti, quasi a volerli mostrare ancor più floridi di quanto
già non fossero «… ma io so che, in realtà, i giudizi che nessuno di voi è
abbastanza sincero da ammettere sono ben diversi!»

Forse il timore di veder distrutto il loro rapporto era, in effetti, più in


Midda che nel suo interlocutore: dovendo essere sincera con se stessa, ella
non avrebbe potuto considerarsi quale il prototipo della perfetta
compagna, dove per quanto i propri sentimenti potessero essere intensi e
puri quando rivolti a un proprio amante, qualcosa irrimediabilmente la
spingeva poi ad allontanarsi da lui, a porre distanza fra loro, scomparendo
senza apparenti remore per anni se non addirittura decenni. Ed,
egoisticamente, ella non voleva rischiare di dover rinunciare alla presenza
di Be’Sihl nella propria vita per così tanto tempo o, peggio, di non potersi
più sentire serena in Kriarya come, effettivamente, riusciva a essere. Era
troppo affezionata a quella locanda, alla sua camera, al suo locandiere, per
rischiare di mandare tutto all’aria in conseguenza del proprio pessimo
carattere nelle vicende sentimentali.

«Ti diverti a giocare con il fuoco, vero?» riprese l’uomo, asciugandosi


le mani su uno strofinaccio e piegandosi verso di lei sul bancone, a ridurre
la distanza fra loro.
«Se il tuo secondo nome è “fuoco”… sì.» sorrise la donna, tornando a
guardarlo sorniona «Pensa che avevo anche lasciato la porta aperta per
te…» sospirò con tanta enfasi da apparire quasi grottesca «Ma si vede che
ormai le mie grazie, non più adolescenziali, non riescono ad attirare
l’interesse maschile…»
«Ahh… comprendo.» commentò egli, annuendo con partecipe aria
grave «Vuoi che mandi a chiamare i sei che hai steso ieri sera, per sapere
la loro opinione a tal riguardo?» aggiunse poi, riferendosi ai membri di un
gruppetto che, avendo esagerato con il vino, avevano poi trovato il
coraggio e l’incoscienza di offrirsi in modo un po’ troppo insistente nei
MIDDA’S CHRONICLES 339
riguardi della donna, pagandone poi le dovute conseguenze «Per la
cronaca a due di loro hai anche spezzato i gomiti.»
«Io ti parlo di uomini e tu mi rispondi con il ricordo di un gruppo di
mocciosi?»
«Duecentosessanta libbre cadauno, quei “mocciosi”…» ridacchiò il
locandiere.
«Sempre di mocciosi si tratta.» sbuffò la mercenaria «Non era di certo
per loro che ho lasciato aperta la porta…»
«Stai forse cercando di sedurmi, Midda Bontor?» domandò egli,
spingendosi maggiormente verso di lei, verso gli occhi azzurro ghiaccio in
cui avrebbe sicuramente amato perdersi per sempre.
«La vera domanda è un’altra…» sussurrò ella, osservandolo con
intensità e avvicinandosi a sua volta all’interlocutore «… ci sto riuscendo,
Be’Sihl Ahvn-Qa?»

Intenso e apparentemente infinito fu l’istante in cui i due restarono


così vicini, viso a viso, dimostrando la stessa concentrazione e la stessa
passione che, probabilmente, sarebbe stata posta in un duello all’ultimo
sangue, in una battaglia per la vita fra due indomiti guerrieri.
Facile sarebbe stato per entrambi concludere nella maniera più ovvia
quel momento, coprendo la breve distanza che separava le loro labbra,
cedendo finalmente a quel desiderio che, probabilmente, non era mai
mancato in loro. Purtroppo, però, essi si ritrovarono legati da troppi
pensieri, da troppi timori, da troppe incertezze, nell’incognita chiamata
futuro a cui permettevano di essere eccessivamente opprimente sul loro
presente, al punto tale da rendere quella soluzione così semplice, così
naturale, quale la più complicata da intraprendere.

«Fin dal primo giorno.»

Poche semplici parole pronunciate con un dolce e malinconico sorriso


sulle labbra furono quelle che egli le dedicò in risposta, tirandosi
lentamente indietro, obbligandosi a non concludere quanto iniziato, come
molte volte già aveva fatto in passato.
Il gioco, invero, stava rischiando per l’ennesima volta di superare i
propri limiti e, se ciò fosse avvenuto tutto, quello che fino a quel momento
avevano faticato a costruire si sarebbe infranto con violenza contro
l’impossibilità a mantenere una relazione. Certamente, egli avrebbe potuto
approfittare di quell’attimo fuggevole, di quel momento fugace per
cogliere quanto offertogli dal destino, per trovare l’amore fra le sue
braccia, contro le sue labbra, come chiunque del resto lo avrebbe incitato a
fare nel non dimostrarsi tanto stolido da perdere una simile occasione, ma
340 Sean MacMalcom
non era quello ciò che egli desiderava. Non voleva accontentarsi di così
poco, laddove quel “poco” per molti altri sarebbe stato “tutto”: egli si
sentiva egoisticamente legato a lei più di quanto sapeva che gli dei gli
avrebbero mai permesso di poter realmente essere e, in virtù di tale
sentimento, l’idea di accontentarsi non lo attraeva, neppure nella
prospettiva di poter comunque, per breve tempo, vedere il rapporto con
lei esteso a un livello superiore.
L’amore di una notte, la passione di un momento, non gli era e non gli
sarebbe mai mancata in molte altre compagne, in diverse amanti: quello,
però, non era ciò che cercava in lei. Con Midda voleva continuare a mirare
molto più in alto, a cercare molto di più, ambendo a lei come a un sogno,
forse irrealizzabile o… forse no.

«Sono proprio una cattiva ragazza…»

Sarebbe stata questione di un attimo, un movimento rapido e fugace,


quello che a lei sarebbe stato richiesto per trarre nuovamente a sé l’uomo,
per impedirgli quella fuga che ella non desiderava e sapeva perfettamente
non essere desiderata neanche da lui. Non sarebbe stata la prima volta in
cui avrebbe del resto agito in tal senso con un proprio compagno,
prendendo con forza le redini del proprio destino, dimostrando quella
capacità decisionale che, forse in conseguenza di una soggezione
psicologica conseguente alla sua fama, li rallentava, li frenava in quel
frangente.
Ma agire in tal senso che conseguenze avrebbe comportato per lei, in
quel preciso momento? Che benefici le avrebbe offerto, con quella
specifica persona? Già troppi amanti aveva abbandonato e avrebbe
abbandonato in futuro, già troppi legami fisici e sentimentali aveva visto
terminare con il fuoco di una pira funebre, spesso proprio in conseguenza
delle sue azioni, delle sue scelte di vita, come era accaduto, ultimo fra
tutti, a Salge: aggiungere un nuovo nome alla sua lista quale significato
avrebbe avuto, soprattutto dove, per far ciò, avrebbe dovuto perdere un
amico, un confidente fedele, una preziosa risorsa, forse l’unica famiglia
che, invero, le fosse ormai rimasta in quel mondo folle? Quale egoismo in
lei era quello da considerare realmente negativo, quello sbagliato che
avrebbe dovuto ignorare: il sentimento che le chiedeva di completare quel
bacio, di trarre a sé quell’uomo a cui da troppi anni si era legata e che pur,
ancora, non aveva pienamente amato; oppure il sentimento che la
bloccava, non volendole far perdere le poche certezze della propria vita
che attraverso di lui sapeva di avere?
MIDDA’S CHRONICLES 341
Dopo un lungo momento di silenzio, fu Be’Sihl a riprendere parola:
«Partirai presto?» le chiese, spostandosi per scegliere della frutta da
offrirle, nel suo solito desiderio di non farne mai mancare nella dieta della
donna, almeno fino a quando il potere decisionale in merito a essa gli
fosse stato consentito, come in quei momenti.
«Inevitabilmente…» commentò ella, con tono ora serio «Purtroppo,
come ti accennavo, siamo qui solo di passaggio. Ma tornerò non appena la
missione sarà conclusa…»
«Ti ho mai detto che non sei assolutamente capace di mentire?» sorrise
egli, scuotendo il capo e tornando da lei.
«Cosa intendi?» domandò la mercenaria, aggrottando la fronte nel non
riuscire a comprenderlo.
«Sappiamo entrambi che non sei capace di restare tranquilla.» la
punzecchiò il locandiere, sornione «Anche ammesso che tu non abbia già
in mente un nuovo incarico da accettare al termine di questo, una nuova
spericolata avventura da intraprendere alla conclusione dell’attuale, sarà il
fato a importi altre sfide, altre prove, che ti terranno ancora a lungo
lontana da qui…»
«Forse…» rispose in maniera criptica «Ma se anche così fosse,
comunque, io supererei ogni ostacolo, ogni limite impostomi, per poter
fare ritorno, come ho fatto questa volta, come ho fatto ogni volta.»

Pronunciando quelle specifiche parole, Midda valutò di aver ancora


compiuto la scelta migliore, di aver nuovamente agito nel perseguire la
via più giusta, per quanto comunque egoistica. Quella realtà, quel teorema
appena enunciato, che volesse ammetterlo nel proprio animo o no, era
forse una delle poche sicurezze che era riuscita negli ultimi anni a ricavare
per se stessa, forse immeritata, forse per semplice caso, ma a cui sentiva di
non voler assolutamente rinunciare.
Il ritorno a Kriarya, in quest’ultima attuale occasione, non era stato in
conseguenza della conclusione di un incarico, di una missione, ma nel
desiderio altresì di poterne condurre una a termine: eppure, anche solo in
una sì fugace prospettiva di permanenza, ella aveva sentito il proprio
animo colmarsi di serenità all’idea di rientrare alla città del peccato, entro
le mura in cui alcuna persona comune avrebbe mai voluto superare, e non
voleva rinunciare assolutamente a quella sensazione di pace come
altrimenti sarebbe avvenuto se avesse rovinato il suo rapporto con Be’Sihl,
se avesse compromesso il meraviglioso equilibrio attualmente esistente.

«Dicono che, nonostante il governo kofreyota continui a offrire


assicurazioni sulle vittorie riportate al fronte, la guerra con Y’Shalf inizi a
volgere al peggio…» affermò con fittizia tranquillità l’uomo, cambiando
342 Sean MacMalcom
apparentemente tema di discussione.
«Le voci sulla guerra sono sempre ambigue…» replicò ella, alzando e
riabbassando le spalle con noncuranza «Ricordo come, nei mesi in cui
anche io vi partecipai, ogni giorno veniva annunciato come il conclusivo,
nel bene o nel male.»
«Innegabile è come questa guerra stia perdurando da troppo
tempo…» sottolineò il locandiere «Ormai le parti in gioco iniziano a essere
stanche e logore e se da un lato, qualcuno spera per Kofreya in un’alleanza
con Gorthia, dall’altro vi è la forte possibilità che Y’Shalf ottenga, prima di
noi, rinforzi maggiori…»
«Non ti ho mai sentito così interessato all’argomento…» sorrise la
mercenaria, cercando di minimizzare la questione.
«L’argomento mi interessa in modo del tutto relativo…» negò l’uomo,
scuotendo il capo «Se davvero Y’Shalf dovesse avere la meglio, la
provincia di Kriarya sarebbe la prima a soccombere e, nonostante tutti i
tuoi sforzi per tornare a questa dimora, tutti noi potremmo non essere più,
al termine delle tue nuove imprese…»

Un istante di silenzio seguì quelle parole, pronunciate con


un’amarezza tale nella voce da far pentire la donna guerriero della scelta
compiuta, del distacco forzato da lui: non desiderava perderlo in
conseguenza delle proprie azioni, ma anche l’idea di una simile
conclusione al loro rapporto, in tal modo, non la entusiasmava.
Più semplice della caduta di Kriarya sotto l’assalto di Y’Shalf, a
impedire il suo ritorno a casa sarebbe potuta essere l’eventualità di una
sua personale sconfitta: per quanto infatti potesse spesso apparire
invincibile, irrefrenabile, agli occhi dei suoi avversari o dei suoi compagni,
ella non era solita negarsi simile possibilità, nel desiderio di non
sottovalutare l’ipotesi di non riuscire a riportare sempre a casa la propria
candida pelle, umana e mortale quale era e quale sempre sarebbe rimasta.
In tal caso, nell’occasione della propria morte, ella non avrebbe invero
più avuto ragioni di sofferenza, di rimpianti, sempre da un punto di vista
estremamente egoistico, giungendo a quella particolare condizione di
assoluta indifferenza verso il mondo intero che solo ai trapassati poteva
essere concessa: nel caso opposto, però, come avrebbe potuto affrontare la
morte di Be’Sihl?
La memoria di quell'uomo, in una simile tragedia, sarebbe comunque
gravata su di lei al pari di tutti gli altri, risultando probabilmente anche
enfatizzata dal rimpianto di tutto ciò che avrebbe potuto essere fra loro e
non sarebbe mai potuto divenire nelle remore, negli stupidi freni che
aveva concesso al proprio animo, al proprio cuore nei suoi confronti.
MIDDA’S CHRONICLES 511

Trent’anni dopo

nche quella sera, i due gemelli non dimostrarono la benché

A minima intenzione a prendere facilmente sonno.


Non che entrambi avessero mai dato atto di simile propensione,
nella loro seppur finora breve esistenza. Da quando erano nati,
infatti, imporre la quiete su entrambi era stata sempre un’impresa
tutt’altro che banale, divenuta praticamente impossibile dal giorno in cui
avevano mostrato di essere in grado di parlare, di farsi comprendere non
più a versi scomposti ma esprimendo chiari concetti verbali, dando così
spazio alle proprie idee, alle proprie opinioni e, soprattutto, ai propri
desideri.
Ogni sera, pertanto, diveniva un appuntamento utile a tentare di
portare sulla soglia della pazzia innanzitutto i loro due genitori e,
immancabilmente, la loro unica nonna, quando questi stessi decidevano,
stolidamente, di impegnarsi nel vano tentativo di convincere i pargoli a
addormentarsi, piegando il capo sul cuscino e lasciandosi accogliere fra le
braccia di Emdara, dea del riposo.

«Mamma… Ma-a-am-m-ma…» gridarono, all’unisono, invocando il


nome materno ma cercando, in verità, di attirare l’attenzione di chiunque
si fosse prestato a rispondere loro, quasi simile coppia di sillabe potesse
essere un richiamo universale.

Inutile era risultato lasciarli soli nella propria stanza, nella quiete delle
tenebre appena interrotte dal lieve bagliore di una luna parzialmente
visibile e dalle altresì scintillanti infinite stelle del cielo. Ovviamente una
speranza in tal senso si sarebbe dovuta ritenere quale d'obbligo,
nell’illusione di poter avere una volta successo, di riuscire a riportare
almeno una singola vittoria nei confronti della coppia di infanti.
Purtroppo così non era mai stato, né sarebbe ancora stato per molto
tempo.
Qualcuno, conoscendoli e frequentando la loro famiglia, si divertiva a
sostenere che i due avessero ereditato tale enfatizzata vivacità da loro
padre, il quale, un tempo marinaio, aveva girato il mondo in quasi ogni
direzione prima di trovare, entro i confini di quell’isola, una giusta
ragione per interrompere il proprio peregrinare, per porre alfine ancora
all’interno di una comunità, dando vita a una propria famiglia.
Indubbiamente nell'uomo era un’indole forte, decisa, carismatica, dove
512 Sean MacMalcom
egli, se avesse proseguito lungo la via del mare, sicuramente un giorno
non lontano avrebbe preso il posto del proprio capitano al comando della
nave sulla quale a lungo si era impiegato con passione e ardimento.
Quell'uomo, però, aveva scelto le certezze di una modesta casa, di una
stupenda moglie e, più tardi, di due meravigliosi bambini, al fascino
innegabile dell'avventura, forse conscio che prima o poi il mare avrebbe
inevitabilmente richiesto un pegno da parte sua, così come sarebbe
sempre stato nei riguardi della prole di quell'infinita e indomabile distesa
azzurra, di tutti coloro che lungo le sue sponde nascevano, vivevano e
morivano.

«Nonna… no-o-on-n-na…» intonarono i gemelli, cambiando


l’obiettivo delle proprie brame, della propria ambizione, dalla madre,
probabilmente troppo stanca dopo un’intensa giornata lavorativa, alla
nonna, loro fedele complice.

Altre opinioni nella popolazione dell’isola, più maliziose, in effetti non


mancavano di ritrovare simile irrequietezza non quale offerta da parte del
padre ma, piuttosto, frutto di un’eredità materna, derivante in particolare
dalla stessa nonna, che tanto era impegnata dietro ai propri nipotini,
giorno e notte. Come del resto tutti sapevano, quand’ancora fanciulla, ella
era stata una ragazza quieta, tranquilla, come la vita stessa sull’isola in cui
era nata e cresciuta del resto concedeva completa ragione di essere,
almeno fino a quando il fato non l’aveva posta di fronte a una svolta
imprevista, inattesa, che aveva richiesto da lei un repentino cambio, una
maturazione improvvisa e, forse, eccessiva. Ancora oggi, dove ormai quasi
mezzo secolo si poneva gravante sulle sue spalle, la donna si proponeva
caratterizzata da un cipiglio più incisivo di quello del genero, da una forza
interiore davanti alla quale pochi avrebbero osato offrire parola, con
l’unica rara eccezione dei suoi due amati nipoti, in opposizione alle
insistenze dei quali sarebbe stato realmente difficile rifiutare qualcosa.

«Volete abbassare il tono di voce, mascalzoni che non siete altro?»


ordinò, raggiungendo la coppia di pargoli nella loro stanza «I vostri
genitori stanno cercando di dormire, più o meno come il resto della città.
Ma con le vostre grida credo che riescano a sentirvi anche sul
continente…»
«Nonna… nonna…» esclamarono i due, saltellando felici nel ritrovare
la figura desiderata, acclamandola con un coro di osanna quasi fosse una
leggendaria eroina accolta dalla folla in giubilo «Nonna…»
«Sono qui… per Vehnea…» sottolineò ella, sedendosi fra loro e
abbracciandoli, nel cercare di imporre la quiete che non sembravano voler
MIDDA’S CHRONICLES 513
concedere alla tranquilla notte di inizio Athse «Si può sapere cosa avete
per gridare tanto? Non vi siete stancati abbastanza, oggi in spiaggia?»
«Storia… vogliamo storia…» scandì uno dei due bambini, stringendosi
alla nonna, ora con tono più controllato, più pacato nel non voler rischiare
di contrariarla.
«Storia bella…» richiese il fratello, aggrappandosi sul fianco opposto
alle vesti della medesima, nel sottolineare il concetto appena espresso,
quasi a voler evitare ogni possibilità di equivoco.
«Vi rendete conto che vostra madre e vostro padre mi rimproverano
continuamente di viziarvi troppo?» domandò la donna, scuotendo il capo
«Secondo loro dovrei evitare di accontentarvi sempre…»

I gemelli, i quali forse non avevano la possibilità di comprendere


completamente il discorso offerto loro, restarono per un momento incerti,
osservando la loro migliore amica in attesa di un segno di complicità da
parte sua, dubbiosi sul fatto se ella avesse già ceduto oppure se avrebbero
dovuto continuare a insistere.
La loro vittima, per quanto avrebbe desiderato dimostrare il contrario,
aveva in effetti già deciso di accontentarli nel momento stesso in cui la
soglia di quella camera era stata varcata: giungere fino a lì solo per
richiedere silenzio, non si sarebbe posta quale un’azione corretta nei loro
riguardi, dal suo punto di vista. Ella stessa, del resto, alla loro età non si
era comportata poi diversamente con proprio padre, al quale per anni
aveva estorto storie sempre meravigliose, incredibili, di mondi per lei
lontani e sconosciuti, di realtà esotiche e misteriose. Per tal ragione,
invidiava quei bambini, la loro innocenza, dove essi ancora erano in grado
di mostrarsi puri di fronte al mondo, non contaminati dalla realtà che
inevitabilmente, prima o poi, li avrebbe feriti o corrotti, costringendoli a
comprendere che anche dietro la favola più bella, sempre si sarebbe celato
un segreto meno incantevole.

«E d’accordo…» annuì infine, sorridendo verso i due piccoli.


Solo la presenza delle sue mani davanti alle loro bocche impedì al
successivo grido di gioia, stereofonico, di completare l’operazione già
intrapresa nei confronti dell’intera isola, a richiedere senza malizia che
alcuno potesse dormire nonostante un’intensa giornata di lavoro alle
spalle.
«Buoni… conoscete le regole: se voi non state tranquilli io non
racconto nulla.» raccomandò verso i bambini.

Essi, improvvisamente, parvero ricordarsi di quell’unica imposizione,


della norma che avevano, quasi, e che avrebbero, sicuramente, infranto
514 Sean MacMalcom
senza l’intervento rapido e puntuale imposto su entrambi, accoccolandosi
tranquilli accanto a lei.

«Storia…» sussurrò quasi sottovoce uno dei due con tono remissivo, a
chiedere scusa.
«Bella storia…» incalzò l’altro, con medesimo sentimento.
«Ci sono tante belle storie: è difficile sceglierne una in particolare.»
riprese la nonna, iniziando a dondolarsi piano, con cadenza ritmica, nel
trascinare dolcemente con sé in tale movimento i due bambini, a conciliare
la loro tranquillità e il loro possibile riposo sulla morbidezza del loro letto
«Avete qualche preferenza in particolare? Volete che vi narri ancora delle
meravigliose avventure della Har’Krys-Mar? Oppure delle imprese di
vostro nonno Mab’Luk, quando insieme a mio padre, il vostro bisnonno
Lafra, hanno affrontato e sconfitto i terribili pirati?»

Strana, bizzarra, incredibile ma, soprattutto, imprevedibile: in simili


termini la vita umana sarebbe potuta essere descritta, proponendosi ogni
giorno apparentemente simile al precedente eppure sempre capace di
stupire, di meravigliare, di incantare con svolte inattese, sviluppi
inimmaginabili. Proprio in virtù di simile comportamento, di tale capacità
di sbalordire, nel bene o nel male, essa non sarebbe potuta essere
immaginata diversa dal mare e, forse, proprio in un simile rapporto
psicologico fra tali indomabili entità, quest’ultimo finiva per essere temuto
dalla maggior parte della popolazione dei tre continenti, da tutti coloro
che alle azzurre e infinite distese d’acqua si avvicinavano offrendo solo
incomprensione, sospetto per l’assoluta impossibilità di controllo da esso
offerta. Solo pochi eletti, i figli del mare, come anche erano tutti gli abitanti
delle isole per diritto di nascita, riuscivano a trovare la forza psicologica
per superare l’inibizione atavica e naturale nei suoi confronti. Allo stesso
modo, in quella strana equazione, nonna Heska avrebbe potuto
considerarsi una figlia della vita, dove, nonostante le ataviche inibizioni
nei confronti dell’esistenza, innate nell’umanità, nell’innegabile mortalità
degli esseri viventi, ella era riuscita a vincere i propri limiti, spingendosi
oltre gli stessi. Non diversamente da come un marinaio o un pescatore,
con rispetto, certamente, ma audacia, si sarebbe posto in grado di
affrontare il mare e tutte le sue giuste insidie, ella era riuscita a proporsi in
grado di affrontare la vita e tutte le sue insidie, divenendo in questo una
donna forte come poche.
Quasi ironico, o forse dolcemente malinconico, in quel momento, era
per lei ricordare il padre, il marito e la storia dell’isola di Konyso’M,
proponendoli ai due nipotini come una dolce favola, una romantica
avventura ricca di meravigliose imprese, epici combattimenti, i buoni che
MIDDA’S CHRONICLES 515
vincono sui cattivi e un immancabile lieto fine. Il proprio passato, così
vicino eppure così lontano dopo tre decadi, si proponeva ormai adatto a
diventare un racconto, la cronaca di fantastiche gesta, che forse ben poco
avevano a che condividere con la realtà di quell’epoca, con le emozioni di
terrore, smarrimento, dolore che aveva vissuto allora, ma che avrebbero
mantenuto vivo il ricordo di simili giorni e di tutti coloro che aveva amato
e perduto nel corso degli anni. Anch'ella, un giorno, sarebbe diventata
protagonista di simili favole, forse raccontate proprio da sua figlia ai
propri nipotini, agli eredi che, prima o poi, quei due discoli gemelli
avrebbero messo al mondo: il suo nome, così, sarebbe entrato nel mito, in
una realtà lontana dalla verità e, per questo, anche più bella da ricordare,
più facile da raccontare, più avvincente per grandi e piccini.

«Mmm…» commentarono i gemelli, stretti alla nonna, sembrando


riflettere sulle proposte loro offerte «Mmm-Mid-da…» completarono poi,
sorridendo in modo sornione e furbesco, nel lanciare la propria idea.
«Oh… Midda.» sorrise ella, annuendo a quel nome «Comprendo…
volete ancora sentire parlare delle avventure di Midda, non è così? Volete
che vi narri delle sue meravigliose missioni negli angoli più remoti del
mondo conosciuto… vero?»
«Sì… sì sì sì…» confermarono i due, strofinandosi contro i fianchi
della nonna quasi a volersela ingraziare, dimostrando di non essere poi
più così piccoli da non conoscere la ruffianeria «Midda… storia bella…»
«Va bene… però solo una e poi fate la nanna…» sorrise,
accarezzandoli dolcemente.

Soddisfatti da quanto estorto alla nonna, con capricci e dolcezza, la


coppia di infanti si pose sdraiata accanto al loro bardo personale,
lasciando appoggiare i propri piccoli e leggeri capi sulle sue gambe per
permettere alla stessa di coprirli, a protezione dall’immancabile umidità
della notte. Quella era la posizione delle fiabe, la postura migliore per
lasciarsi accompagnare dalla voce vellutata della narratrice verso mondi
da sogno, dei quali erano ancora troppo piccoli per comprendere tutto, per
seguire con attenzione, ma che non avrebbero mai mancato di
appassionarli, di coinvolgerli, arrivando a richiedere di risentire la stessa
identica storia anche per mesi e mesi di fila, apprezzandola sempre come
fosse la prima volta, come se mai quelle parole avessero stuzzicato la loro
immaginazione, guidandoli a elaborare nelle proprie menti concetti
sconosciuti, visioni incomprensibili, ma terribilmente affascinanti dal loro
punto di vista.
516 Sean MacMalcom
«C’era una volta, tanto tanto tempo fa…» iniziò a narrare con tono
quieto, dolce e calmo «… una nave. Piccola, sicuramente, nelle proprie
dimensioni, nella propria estensione, ma grande per il cuore che batteva in
essa, dandole vita e forza, spingendola verso l’orizzonte oltre al quale
nessuno oserebbe avventurarsi.»
«Ssgiolansg…» commentò sottovoce, iniziando già a dimostrare i
primi sintomi dell’imminente sonno, uno dei due bambini, nel desiderio
di offrire segno di aver compreso di cosa la nonna stesse parlando.
«Sì… bravi.» sorrise ella, accarezzando i loro fini capelli biondi,
probabilmente sua eredità, e continuando a dondolarsi piano, per offrire
loro il ritmo ideale a lasciarsi accogliere in onirici regni incantati «Era
proprio la Jol’Ange, la goletta il cui cuore pulsante era l’equipaggio del
capitan Salge Tresand. Metà figlio di Qahr e metà erede di Hyn, egli si
poneva al comando di un variegato gruppo di uomini e donne, come
pochi avevano attraversato il mondo conosciuto, fra i quali, colei che,
forse, più fra tutte era capace di distinguersi, per grazia e tenacia, era
Midda Bontor.»
«La nostra storia inizia in una sera come questa, con una luna simile
alla nostra, sottile e appena distinguibile nel cielo, a illuminare Meriath,
una delle principali isole subordinate al regno di Tranith…» continuò ella,
abbassando lentamente, strategicamente il tono di voce, nell’azzardare che
in questa sera, dopo una giornata fin troppo ricca di giochi e di
distrazioni, i due bambini non avrebbero resistito neanche per sentire
concludere l’inizio della storia «La Jol’Ange era da pochi giorni giunta in
porto con un ricco carico di merci provenienti da oriente, dai regni oltre
Y’Shalf, tesori preziosi che avrebbero venduto al miglior offerente, dopo i
numerosi rischi corsi in un viaggio tanto lungo.»
«… viaggio… lungo…» farfugliò la voce, ormai quasi indistinguibile,
di uno dei gemelli, nel cercare di resistere alla stanchezza, al sonno, nel
voler offrire prova di come quella storia fosse apprezzata, fosse seguita,
ma semplicemente ritrovandosi a ripetere in maniera quasi meccanica le
ultime parole udite, ma non ascoltate.
«Ancor più della presenza di tali mercanzie, in verità, all’attenzione di
un ricco signore locale risaltò la presenza di Midda, giovane marinaia
dotata di grande bellezza e fascino…» proseguì la voce di Heska non
volendo correre il rischio di interrompersi troppo presto, spezzando
l’incantesimo naturale di quella narrazione, ma abbassando ulteriormente
il proprio tono, trasformandosi sempre più in una sottile litania, simile a
una preghiera ancor prima che a un racconto «Egli, privo di alcuna
compagna, e ben lontano dall’essere bramato dalle donne locali, per il
proprio insopportabile carattere, per la propria arroganza e la propria
MIDDA’S CHRONICLES 517
prepotenza, avendo incrociato la nostra eroina al mercato locale, aveva
deciso che ella sarebbe dovuta diventare la propria sposa, a ogni costo…»

I due bambini, però, quella sera non riuscirono ad ascoltare i dettagli


in merito al rapimento di Midda, alla sua rocambolesca fuga dalla casa
dell’uomo, o all’arrivo finale dell’equipaggio della Jol’Ange e del suo
capitano, quando ormai a nulla sarebbero valsi tutti i loro sforzi, essendo
la vicenda già stata conclusa per mano stessa della marinaia. Nessun
dramma, in effetti, sarebbe comunque occorso per tale mancanza, per
simile perdita, nel momento in cui, puntuali, entrambi sarebbero tornati a
richiedere la stessa favola, lo stesso incredibile racconto forse addirittura
la sera seguente, ricominciando tutto da capo, nel voler sognare di quelle
meravigliose vicende, di quei protagonisti unici, eroi leggendari con i
quali sarebbero rimasti sempre protetti dai pericoli della notte, dai mostri
degli incubi infantili.
La nonna, accorgendosi di come ancora una volta il suo successo si
fosse dimostrato indiscutibile, o impagabile come avrebbero sostenuto
tutti coloro ben lieti di riprendere il sonno senza più il rischio di essere
interrotti dalle grida sguaiate dei due pargoli, lasciò delicatamente
sfumare il proprio racconto, per poi muoversi con gesti quasi felini a
liberarsi dalla morsa offerta dai due piccoli e guidarli dolcemente a
adagiarsi nuovamente sul loro morbido letto.

«Che Emdara vegli sul vostro riposo, concedendovi una notte ricca
d’incanto…» sussurrò, infine, sfiorandoli uno alla volta con un dolce bacio
a testa, in quell’augurio.

Richiudendo dietro di sé la porta della stanza riservata ai bambini,


cercando di offrire meno rumore possibile a evitare il rischio di
indesiderati risvegli, la nonna si ritrovò a fronteggiare improvvisamente il
volto della figlia, in sua attesa nello stretto corridoio. Negli occhi della sua
bambina, in effetti donna ma per lei sempre la piccola che Mab’Luk le
aveva offerto fra le braccia dopo il dolore del parto, riuscì a vedere solo
una chiara gratitudine, per il risultato nuovamente ottenuto con i gemelli.
Ineccepibile, del resto, era e sarebbe sempre stata l’esperienza di una
nonna rispetto a quella di una madre, per quanto Heska stessa non avesse
avuto occasione di sperimentarlo a suo tempo, avendo perduto la propria
genitrice quando ancora infante, in conseguenza di una violenta e
sanguinosa incursione piratesca sull’isola di Konyso’M. I due pargoli si
proponevano sempre troppo scatenati con la madre, forse comprendendo
in maniera naturale, istintiva come ella non sarebbe starebbe stata in
grado di imporre su di loro la calma desiderata. Al contrario, con la
518 Sean MacMalcom
nonna, difficilmente osavano tirare a lungo la corda, probabilmente consci
di quanto sottile quella stessa corda sarebbe potuta diventare se avessero
abusato della pazienza loro offerta. Nell’essere soliti credere che i bambini
mai si ponessero in grado di comprendere pienamente la realtà a loro
circostante, si finiva troppo spesso per trascurare, per ignorare infatti la
loro capacità innata di scrutare oltre l’evidenza, di scendere fino all’animo
delle cose, a comprendere i veri sentimenti, il vero stato emotivo celato:
una dote che anche ai gemelli non era negata, né lo sarebbe stata almeno
fino a quando, sufficientemente cresciuti, si fossero adeguati a loro volta al
mondo e alle sue leggi, all’indolenza che solitamente incita a fermarsi
all’apparenza e, soprattutto, all’ipocrisia utile a negare anche l’evidenza.
Ma quello, per fortuna, appariva ancora come un momento molto lontano
e, fino ad allora, essi avrebbero sempre compreso la minore forza d’animo
della madre rispetto alla nonna e la conseguente possibilità di imporsi con
maggiore efficacia sulla prima piuttosto che sulla seconda.

«Ti ringrazio, madre…» sussurrò Gaeli, in un’espressione doverosa e


sincera verso la stessa.
«Non vi è bisogno.» scosse il capo Heska, sorridendo e prendendola
sottobraccio, per dirigersi con lei lontana da quel punto pericoloso.
«Anche stasera hanno richiesto di Midda?» domandò la figlia
divenuta madre, dimostrando, in quella curiosità e nel tono di voce, tutta
la nostalgia per quei momenti lontani nel proprio passato in cui anch’ella
era cresciuta ascoltando simili, incredibili favole raccontate dai propri
genitori.
«Ovviamente.» sorrise la madre divenuta nonna «Come si potrebbe
resistere al fascino di avventure tanto incredibili?»

Incredibile: solo con tale termine sarebbe potuta essere definita Midda
Bontor, eroina di altri tempi, mercenaria di un passato lontano, donna che
Heska aveva avuto l’onore di conoscere.
Più di trent’anni erano trascorsi da quei giorni, dalle settimane
peggiori della propria intera esistenza, che ormai ella non sapeva se
ricordare con un velo di nostalgia, nel ripensare a tutte le persone, a tutti
gli affetti che all’epoca ancora le erano vicini, o con un fremito di terrore,
nel ricordare gli orrori a cui era stata sottoposta. L’immagine di lord
Sarnico, il suo aguzzino, rapitore e stupratore, ancora non l’aveva
abbandonata dopo tanto tempo, non aveva concesso libertà ai suoi sogni,
al suo riposo. Quel viso, così ricco di crudeltà, pieno di sé, probabilmente
l’avrebbe perseguitata fino all’ultimo dei suoi giorni. Fortunatamente,
però, accanto a tanto male si proponevano altre immagini, altri volti, da lei
amati, in un modo o nell’altro: Lafra, suo padre, Mab’Luk, il suo sposo,
MIDDA’S CHRONICLES 519
Cor-El, quasi una seconda madre, Midda, la sua liberatrice… molte
immagini, molte persone, tutte però ormai morte.
Sarnico era stato ucciso per sua mano, e di lui ovviamente non aveva,
né avrebbe potuto avere, alcun rimpianto a eccezione, forse, di non essere
riuscita a far perdurare più a lungo la sofferenza inflittagli nella propria
vendetta. Lafra, dopo molti anni vissuti in qualità di alcalde dell’isola,
aveva seguito i numerosi amici perduti nel quieto sonno eterno, morendo
dolcemente nella notte, senza dolore e senza rimorsi, forse nel modo
migliore per andarsene dal mondo dei vivi. Mab’Luk era stato, invece,
rapito dal mare, dalla divina e incontrollabile forza che, senza preavviso,
avrebbe potuto richiedere le vite dei suoi figli senza concedere loro alcuna
possibilità di opposizione: durante un viaggio per scopi commerciali verso
il continente, suo marito e i suoi compagni di viaggio avevano incrociato
una violenta e inattesa tempesta, che aveva spazzato la loro nave come
fosse stato un semplice guscio di noce. Cor-El, infine, aveva comandato
ancora per molti anni sulla propria Har’Krys-Mar, fino a quando,
coinvolta a suo discapito negli ultimi capitoli della guerra fra Y’Shalf e
Kofreya, si era ritrovata schierata sul fronte sbagliato, quello kofreyota.

«A volte mi viene davvero difficile immaginarla come una persona


realmente esistita…» ammise la figlia, osservandola «Anche se sono ormai
cresciuta e ti sento narrare del nonno e di mio padre con gli stessi toni
mitici e incantati, Midda resta avvolta da un’aura particolare…»

Midda: fra tutte le persone a lei care l’unica con la quale meno tempo
aveva avuto occasione di trascorrere, pochi tumultuosi giorni che erano
stati comunque in grado di cambiarla per sempre, offrendo un nuovo
significato alla sua esistenza dove in lei sarebbe stato altrimenti solo il
desiderio di morte, di annientamento. La Figlia di Marr’Mahew era
scomparsa nel nulla trent’anni prima, durante una missione impostale
dalla medesima sorella di lord Sarnico, in un assurdo paradosso che non
le era mai stato concesso di comprendere, in quanto istintivamente solo
rancore avrebbe provato in modo naturale per qualsiasi parente di
quell’essere abietto e spregevole. Senza spiegazioni, senza ragioni, se non
quella di portare a termine una missione per cui non avrebbe avuto mai
ricompensa, ella si era sacrificata, affidando, secondo le cronache, il
proprio destino a un vortice di tenebra. E a Heska, improvvisamente
privata di quella figura di riferimento, di quell’icona tanto importante per
il proprio presente e il proprio futuro, l’unico ricordo, che era stato
concesso di avere, era stato quello della spada bastarda della stessa
mercenaria, forgiata da Lafra nel giorno della nascita della propria figlia, e
affidata a lei quale ricompensa per il servigio offerto loro. Quella lama,
520 Sean MacMalcom
meravigliosa, unica, che avrebbe dovuto rappresentare l’esistenza stessa
della giovane figlia del fabbro, a lei stessa era tornata per strane e traverse
vie, quasi a offrirle un silenzioso retaggio da parte dell’amica perduta,
dell’eroina leggendaria mai morta, eppure privata della possibilità di
vivere, a cui non avrebbe potuto evitare che sentirsi in eterno legata.
Se anche Lafra, Mab’Luk e Cor-El si proponevano ormai quali
personaggi straordinari nelle favole che offriva ora ai nipotini, Midda era
stata la prima a entrare nella leggenda, le cui meravigliose gesta, cantate
da molti bardi, erano da lei e dal marito state riproposte a Gaeli ancora
bimba.

«Mi dispiace che tu non abbia avuto modo di conoscerla…» sorrise


Heska, con dolcezza nella voce, portando una mano ad accarezzare le gote
della sua bambina «Era una donna veramente speciale, unica nel suo
genere: l’aura di cui parli, era propria di lei già in vita, senza bisogno che
delle favole la ponessero in particolare risalto…»

Per un momento le due donne si fermarono davanti alla spada,


reliquia di quella leggenda, unica prova materiale loro concessa dei
racconti fantastici con cui i bambini della loro famiglia sarebbero
probabilmente cresciuti ancora per molte generazioni: appesa sopra al
camino della casa, essa racchiudeva in sé molti significati, troppi ricordi,
muta testimonianza di un passato che non sarebbe dovuto essere
dimenticato.

«Buona notte, madre…» commentò, infine, Gaeli, porgendo un dolce


bacio sulla guancia di Heska «E ancora grazie per tutto.»
«Non ringraziarmi, figlia mia. Non ringraziarmi mai…» sussurrò ella,
accarezzandole dolcemente i lunghi capelli fulvi, eredità del marito, come
amava fare da sempre «Io veglierò sempre su di voi… sempre.»

E, con quelle parole, la figlia si allontanò dalla madre, per ritornare al


talamo nuziale, al dolce riposo che non sarebbe stato più interrotto dalle
grida dei due gemelli, mentre Heska restò ancora in silenzio di fronte a
quella lama, osservandola con il cuore gonfio di sentimenti contrastanti.
MIDDA’S CHRONICLES 521
'ultimo giorno del mese di Khooc, il trentesimo, da decenni
era divenuto un momento di importanti celebrazioni per
L l'isola di Konyso’M e per tutto l'arcipelago di Lodes’Mia.
In tale data, infatti, gli abitanti di quelle isole, della repubblica
lì instauratasi dalla notte dei tempi, erano soliti rendere omaggio a tutti i
loro caduti in guerra e in mare, nel ricordare e onorare in particolare le
vittime di una sanguinosa battaglia avvenuta trent'anni prima, conflitto
dal quale, per tutti loro, era iniziata una nuova epoca, un'era di matura
serenità, non più in conseguenza di un distacco dal mondo a loro
circostante ma per l'assunzione di un ruolo importante in tale complesso
equilibrio di forze.
In un lontano passato del quale solo nonna Heska e pochi altri anziani
erano in grado di conservare ancora memoria, i pirati avevano osato
ancora una volta spingere le proprie violente bramosie verso quelle coste,
trovando in tale occasione non più un gregge in placida attesa del proprio
macello, ma un gruppo di uomini senza alcun timore per la propria morte,
per il proprio sacrificio, comandati dall’alcalde Hayton Kipons. Essi, in
tale occasione, avevano infatti offerto agli avversari fiera resistenza,
arrivando a trasformare l’acqua in fuoco e a soffocare gli incursori con
l’ardore del sangue esploso dalle loro stesse ferite, con la violenza della
propria stessa morte. Duecento uomini, privi di ogni addestramento, di
ogni attitudine alla lotta, alla violenza, erano stati in grado di opporsi a
una flotta di pirati contro cui nessuno avrebbe osato levare battaglia,
salvando in questo, pur a caro prezzo, le proprie famiglie, le proprie case e
la propria libertà.

In quegli ultimi trent’anni, molte cose erano cambiate in virtù di quella


giornata di morte.
Dove un tempo, prima di quella battaglia storica nel giorno verso il
quale annualmente offrivano rispetto e memoria, l’arcipelago aveva
dimenticato la propria tradizione militare, ritenendola una superflua
perdita di tempo e di risorse, a seguito di simili eventi la marina era stata
riorganizzata, tornando ai fasti dimenticati nella storia, a una fierezza
della quale, probabilmente, non avrebbero creduto poter essere capaci.
Flotte di piccole e agili navi si concedevano, al tempo attuale, organizzate
e dirette in maniera efficace ed efficiente dalla comando centrale avente
sede proprio nell’isola capitale dell’arcipelago, con il compito di
pattugliare incessantemente i limiti del territorio sotto la loro
giurisdizione per offrire a Lodes’Mia il controllo di tutta quella zona di
mare e non permettere ad alcun altro incursore, pirata o no, di proporre
nuova sfida sulle loro spiagge, di inondare ancora le loro coste di sangue.
E se su quelle coste, in quelle isole, dove, nei giorni della giovinezza di
522 Sean MacMalcom
Heska, solo pescatori e artigiani vivevano in pace, in quell’oasi lontana dal
mondo, ora i loro discendenti si concedevano organizzati e pronti a
difendere il proprio diritto a tale pace, la propria autonomia, consci
dell’esigenza di non dover ripetere gli errori del passato, di non potersi
assumere la responsabilità di nuove tragedie simili a quelle ora lontane.
In futuro, molte generazioni dopo quella attuale, forse l’indolenza
avrebbe nuovamente avuto la meglio, la pigrizia e un eccesso di ingenuità
avrebbe finito per veder nuovamente disciolta la marina militare e con
essa ogni difesa per le isole. Fino ad allora, però, anche allo scopo di non
concedere alla storia il proprio apparentemente inevitabile e ciclico
ripetersi, quella giornata di celebrazione avrebbe avuto lo scopo di donare
memoria, anche nei più giovani, dell’esperienza dei propri antenati, degli
orrori di un mondo troppo violento dal quale non avrebbero mai potuto
evitare di difendersi, dal quale non si sarebbero mai potuti considerare al
sicuro, nonostante fossero naturalmente protetti dall’abbraccio del loro
mare, generoso e protettivo genitore verso tutti i suoi figli.
Nei primi anni successivi all’ultima grande battaglia con i pirati,
quella particolare ricorrenza si era proposta ovviamente caratterizzata da
toni funerei e grande commozione in tutti i sopravvissuti, in tutti coloro
che, in virtù del sacrificio dei propri amati, avevano avuto occasione di
vedere un nuovo anno, di poter salutare l’arrivo dell’ultimo mese
d’autunno e dell’imminente inverno. Impensabile, del resto, sarebbe stato
accogliere tale momento, simile ricordo, con sentimenti diversi da quelli di
un lutto, un terribile cordoglio necessario per non dimenticare e non
disonorare la memoria dei defunti. Nel corso del tempo, però, inevitabile e
naturale era stata la trasformazione di quel rito funebre in un momento di
festa: una simile mutazione non si era proposta con il desiderio di
mancare di rispetto ai caduti o ai loro cari, a chi avrebbe per sempre
sofferto quelle tragiche perdite, quanto piuttosto sempre e unicamente allo
scopo di non rendere vano lo stesso sacrificio che avrebbero
commemorato in una tale occasione, nella consapevolezza che solo grazie
a tutti coloro che si erano votati al sacrificio ancor prima che alla fuga, nel
restare e combattere i pirati, che solo grazie a quel gesto, il futuro offerto a
tutto l'arcipelago aveva assunto le caratteristiche di una vera e propria
rinascita. E in una simile considerazione, la nuova vita loro concessa non
avrebbe dovuto essere impiegata unicamente nel rimpiangere le ombre
del proprio passato, ma avrebbe, innanzitutto, dovuto impegnarsi a
rendere grazie per la propria stessa esistenza, non sprecandola nel dolore
e nel pianto.
Trent’anni dopo la tragedia, pertanto, attorno a un momento centrale
immancabile e doveroso per quel giorno di commemorazione, nel corso
del quale due discorsi solenni, uno da parte dell’attuale alcalde di
MIDDA’S CHRONICLES 523
Konyso’M e uno da parte del comandante in capo della marina militare di
Lodes’Mia, non sarebbe mancato un clima di gioia e di festa, nel quale
sarebbe stato accolto chiunque nell'isola e in tutte le altre sue pari. Grandi
fiere, sulla terraferma, e maestose parate navali, nel mare, erano state
organizzate quali principali attrazioni per quella giornata, alle quali
grandi e piccini non avrebbero mancato di offrire tutto il proprio interesse,
tutta la propria attenzione, proponendo in ciò un'attrattiva che non
sarebbe stata ignorata anche da molti equipaggi esterni a quella
particolare realtà. In quel giorno, infatti, tutto l'arcipelago si sarebbe
impegnato a offrire il suo volto migliore, per i propri abitanti e per ogni
ospite esterno, concedendo banchetti degni di sovrani per gli amanti della
buona tavole e, inoltre, prodotti dell'artigianato locale di pregio e qualità
pressoché unici, tali da attirare inevitabilmente e volontariamente
l'attenzione della maggior parte dei mercanti della zona, dei quali,
nonostante il timore per il mare, nonostante l'atavico orrore per quella
distesa azzurra e incontrollabile, non sarebbero stati in pochi a spingersi
dal continente fino alle isole per quel particolare giorno, allo scopo di
accaparrarsi pezzi che altrimenti temevano non sarebbero forse loro mai
stati concessi. Grazie alla rivendita di quelle merci pregiate nei numerosi
mercati di Y'Shalf e Tranith, o in altri regni anche non distanti, ai
commercianti lì accorsi sarebbe stato offerto un guadagno notevole, più
che utile a ripagare, dal loro punto di vista, l'enorme pericolo occorso.

Fra le famiglie di artigiani impegnate nell’offrire il meglio del proprio


operato, come ogni anno, immancabile sarebbe stata la presenza dei più
prestigiosi fabbri di tutto l’arcipelago, coloro che dopo trent’anni ancora
mantenevano, con la stessa cura, con lo stesso amore per tale arte, il
retaggio di Lafra Narzoi, storico partecipante degli eventi della battaglia
in quel giorno commemorata. Heska aveva, infatti, mantenuto aperta la
bottega del bisnonno dei due gemellini, portando avanti il suo operato per
oltre venticinque anni con sincera devozione.
La scelta di perseguire le orme del padre, era forse stato uno dei primi
evidenti segni, proposti agli occhi di tutti coloro che l’avevano conosciuta
fin da bambina, del cambiamento occorso in lei a seguito del rapimento da
parte di lord Sarnico e della liberazione a opera di Midda Bontor. Ragazza
dal fisico quasi delicato, nelle proprie forme naturalmente eleganti e
aggraziate, la quale mai si sarebbe ritenuta adatta a un lavoro manuale
tanto intenso, la quale avrebbe potuto restare semplicemente madre e
moglie, accanto al marito, in una società che non le avrebbe mai richiesto
di ereditare il ruolo paterno, ella non aveva lasciato passare troppo tempo
dal matrimonio prima di discutere con il proprio sposo della decisione di
affiancare, prima, e proseguire, poi, il lavoro di Lafra nella fucina. Di
524 Sean MacMalcom
fronte a tale dichiarazione d’intenti, a Mab'Luk, che comunque nulla le
aveva e nulla le avrebbe mai negato, non erano state riservate possibilità
di opposizione: per amore di lei, egli l'aveva appoggiata pienamente,
arrivando anche a porre in secondo piano, in questo, la propria eredità, il
lavoro di proprio padre, per riservarsi la possibilità di restare accanto alla
moglie e aiutarla in simile scelta. Egli, che pur all’epoca della sua
decisione non aveva alcuna formazione come fabbro, o come combattente,
che pur avrebbe potuto spaventarsi nel risvegliarsi accanto a una donna
completamente diversa da quella con cui era cresciuto e della quale si era
innamorato perdutamente, che pur sarebbe stato forse giustificato nel
rifiutarsi di accettare simili idee, di appoggiare tali proposte, non aveva
mai mutato i propri sentimenti per la moglie, non si era mai distaccato da
lei, pur non mancando di percepire la barriera esistente fra loro, e aveva
mantenuto il proprio posto al fianco della stessa fino all’ultimo dei giorni
concessi loro insieme, nel proprio ruolo di sposo, amante, migliore amico
e primo fra tutti i complici.
Heska, pur dopo la morte di lui, ancora non riusciva a evitare di
rimpiangere la propria difficoltà di comunicazione nei suoi riguardi: verso
Mab’Luk avrebbe voluto potersi offrire maggiormente, avrebbe voluto
riuscire ad abbattere il duro involucro all’interno del quale aveva
inevitabilmente rinchiuso il proprio animo per superare la pazzia,
altrimenti imperante, a seguito della terribile prigionia e degli abusi fisici e
mentali imposti su lei da Sarnico, ma non ci era mai riuscita. Ci aveva
tentato, spesso, con impegno, con desiderio di successo, ma anche dove
molti traguardi era riuscita a superare in quegli anni, intensi e
meravigliosi, in quel particolare obiettivo non ce l’aveva fatta, nonostante
tutto il suo innegabile amore per lui. E, di questo, la donna, ormai vedova
e nonna, non avrebbe potuto perdonarsi, non avrebbe potuto concedersi
pace nel pensiero di non aver mai trovato le parole giuste per ringraziare
lo sposo per tutto il suo aiuto, per tutto il suo sostegno: senza di lui,
probabilmente, ella mai avrebbe avuto realmente la forza, la costanza, la
resistenza che le avevano permesso, nel tempo, di raggiungere una
bravura non inferiore a quella del padre nel plasmare il metallo e,
soprattutto, di apprendere le arti della lotta e della scherma, imparando
pertanto non solo a creare armi ma, anche, a adoperarle. L’esile ragazza
dai lunghi e biondi capelli di un tempo ora apparentemente troppo
lontano, così, in quegli ultimi trent’anni non solo era diventata madre di
una giovane incantevole, ma aveva anche cambiato radicalmente il
proprio corpo, traendo ispirazione e forza proprio dall’immagine sempre
presente in lei di Midda Bontor, della Figlia di Marr’Mahew.
Quando ormai nove lustri si erano comunque e inevitabilmente
accumulati sulle sue spalle e, peggio, la presenza del marito le era stata
MIDDA’S CHRONICLES 525
negata dal mare, Heska aveva compreso di dover cedere il passo a una
nuova generazione e aveva deciso di affidare completamente la gestione
del lavoro al genero, da alcuni anni già al loro fianco nella bottega, per
apprendere l’arte e, un giorno, proseguire in quel cammino. Nessuna
ragione, in quegli ultimi cinque anni, le era stata concessa a rinnegare la
propria scelta, non potendo che trovarsi pienamente soddisfatta dal
compagno che il fato aveva posto accanto alla figlia: nonostante una vita
di mare alle proprie spalle, infatti, egli era stato in grado di adattarsi
rapidamente al nuovo ambiente, alla nuova situazione, ponendosi con il
massimo impegno nell’acquisire padronanza di un mestiere tutt’altro che
semplice, tutt’altro che scontato, e dimostrando, in questo, anche una
certa, e prima sconosciuta, propensione naturale.
A lui, pertanto ormai unico fabbro in attività nell’isola, sarebbe stato in
quella giornata il compito di impegnarsi con i clienti, con i numerosi
mercanti che da tutto l’estremo sud-occidentale del continente si sarebbero
riversati nella loro tranquilla e pacifica isola, desiderosi di acquistare le
armi migliori che mai avrebbero potuto ammirare in tutto Qahr, forse
seconde solo alle lame del lontano continente di Hyn. A lei, invece,
sarebbe stato il più gratificante incarico di accompagnare la figlia e i due
nipotini ad assistere alle meraviglie degli spettacoli della marina militare,
a viziarsi con tanti dolcetti e a divertirsi agli immancabili spettacoli da
fiera che non sarebbero venuti meno nella piazza principale della città.
Per i due gemelli, la festa di quell’anno sarebbe stata particolarmente
importante: ormai sufficientemente grandi per iniziare a comprendere il
mondo a loro circostante, non più come semplice insieme di forme e colori
sicuramente affascinanti ma privi di una propria ragion d’essere, essi
avrebbero potuto godere pienamente per la prima volta di tutti i balocchi,
di tutti gli intrattenimenti che sarebbero stati loro offerti, vivendo un
giorno ricco di emozioni come pochi altri, durante l’anno, sarebbero loro
stati concessi nella consueta e placida tranquillità dell’isola. E,
ovviamente, essi non si lasciarono sfuggire tale occasione, per correre a
destra e a manca, inciampando spesso nella folla, troppo pressante attorno
a loro, ma mai scoraggiandosi per questo, nel ritornare subito in piedi e
nel dirigersi verso nuove esperienze, verso nuove distrazioni, facendo
impazzire dietro il proprio cammino le loro due custodi.

Fortunatamente, però, dopo oltre due ore di follie in giro per quella
fiera, le energie infantili avevano iniziato a venir meno, richiedendo un
momento di sosta nell’abbraccio ristoratore dei propri parenti: i pargoli,
pertanto, ben volentieri si erano lasciati catturare nuovamente dalla madre
e dalla nonna, ormai esasperate per una giornata inevitabilmente troppo
lunga.
526 Sean MacMalcom

«Storie… canta!» gridò, improvvisamente, Jarah, pigramente in


braccio alla madre, impegnato fino a quel momento nel leccarsi le piccole
dita della mano destra rese appiccicose da un dolcetto al miele consumato
poco prima.
«Storie!» gli fece coro Thomar, altresì appoggiato contro il busto della
nonna, indicando a supporto di simile richiesta un gruppetto di persone
posto non lontano da loro, nel quale era certo di poter ritrovare quando da
loro desiderato.
«Da grandi saranno ricercatissimi come vedette nelle navi…»
commentò con stupore Gaeli, strabuzzando gli occhi nel cogliere cosa i
due stessero indicando.

Immersi quali si ritrovavano a essere nella confusione assoluta di una


folla incontrollata, infatti, appariva incredibile come i due bambini
potessero aver individuato con assoluta precisione la presenza di un
bardo, un cantastorie, a oltre trecento piedi dalla loro attuale posizione.
Questi, infatti, si poneva praticamente indistinguibile non solo
visivamente, a causa della gente che lo circondava, ma anche
acusticamente, a causa del chiasso della fiera che, comunque, copriva ogni
genere di suono.
Jarah e Thomar, nonostante tutto, erano riusciti con certezza
matematica a rintracciare il proprio obiettivo, indicandolo insistentemente
alle due accompagnatrici, promosse ormai quali loro fedeli destrieri in
quella giornata di festa.

«Per favore… dimmi che anche io non ero così da bambina.» aggiunse
la giovane donna, rivolgendosi scherzosamente verso la madre, con
grottesco tono di supplica.
«Assolutamente no: le tue grida erano ancora più acute.» sorrise con
fare sornione Heska, scuotendo poi dolcemente il capo.
«Storie?!» domandò Thomar appoggiando le manine sul volto della
nonna, per invitarla a rivolgere a sé l’attenzione, a ignorare l’inutile e
dannoso fattore di distrazione offerto dalla madre «Storie… andiamo?»
ripeté, mostrando grandissimi e pietosi occhi, con quella tipica ruffianeria
di cui solo un bambino sarebbe capace.
«Sì… storie belle!» sottolineò Jarah, annuendo a quella proposta, nel
guardare però la madre, cercando con le manine i suoi lunghi capelli quasi
fossero delle redini.
«No.» lo rimproverò quest’ultima, bloccandolo con un gesto rapido e
delicato «Niente capricci e niente capelli tirati… intesi?»
MIDDA’S CHRONICLES 527
«Ma storie…» ripeté il bimbo, dimostrandosi ormai sull’orlo della
disperazione per quell’ipotetico rifiuto, nel giocare una nuova mossa in
un’abile tattica volta unicamente a far cedere la madre.
«Andiamo, dai.» intervenne la nonna, rivolgendosi tanto alla figlia
quanto ai nipotini, prima che un momento di festa si potesse trasformare
nell’ennesimo dramma infantile-familiare «In fondo sarebbe un delitto
privarli di almeno una ballata in questa particolare giornata.»
«E sia.» acconsentì Gaeli, annuendo verso la madre «Però, poi,
andiamo a vedere come vanno gli affari di vostro padre…» aggiunse,
rivolgendosi ai due gemelli.
«Sì… papà bello…» sorrise adulatore Jarah, nel gettarsi in un enorme
abbraccio al collo della madre a ringraziarla di quel suo consenso.

Avvicinandosi non senza difficoltà alla posizione individuata dai


gemelli, le due donne poterono presto iniziare a udire l’inconfondibile
suono dello zither. Erano da anni che Heska aveva smesso di suonare un
simile strumento, dove in quelle forme, in quelle note, troppi ricordi legati
al marito riaffioravano inevitabilmente, soffocandole la gola in un
sentimento di malinconia. Non eccessivamente ingombrante e, in ciò,
comodo da condurre con sé, esso si concedeva quale uno degli strumenti
preferiti dai bardi e, pertanto, nulla di straordinario fu per loro ritrovarlo
quel giorno, in quel particolare frangente.
Il cantastorie in questione, come Heska e la sua famiglia ebbero subito
modo di accorgersi, non era un uomo, quanto una donna. Seduta al centro
di una piccola folla, ella reggeva lo zither sulle proprie gambe,
mantenendolo fra il petto e la mano destra nel restare, così, libera di
suonarlo con la mancina. Dolci si concedevano le note emesse da quelle
numerose corde, sulle quali le dita della sconosciuta danzavano con
maestria, con entusiasmo, capace di concedere un’energia vitale più unica
che rara in quella musica, simile a quella di una novizia, di una ragazza
alla sua prima occasione di contatto con simile strumento, quasi non
avesse sognato di poter fare altro per anni, quasi avesse a lungo
desiderato potersi impegnare in tal senso senza averne la possibilità.
Difficile, però, credere a una tale ipotesi, dove per apprendere l’arte
necessaria a gestire quel particolare strumento, con tanta padronanza,
sarebbero occorsi anni di applicazione. Intrecciandosi alle note emesse
dallo zither, poi, era la voce del bardo: non esattamente dolce, a tratti
quasi graffiante, essa sarebbe forse potuta essere considerata meno
piacevole rispetto ad altre tonalità, ad altri suoni, ma, in questo, non si
sarebbe di certo concessa alle orecchie di alcuno comunque sgradevole. Al
pari dei gesti da lei offerti, poi, in quella voce era una forza, un potere
interiore incredibile, capace di risvegliare anche l’animo più apatico e
528 Sean MacMalcom
coinvolgerlo nella propria canzone. Quella donna, forse addirittura un
decennio più anziana rispetto a Heska, si concedeva con lo stesso
entusiasmo per la vita, con la stessa energia che avrebbe dimostrato una
ventenne o che, peggio, molte ventenni non erano in grado di dimostrare.
In simile forza, i capelli ingrigiti dagli anni attorno al suo capo,
insieme a diverse rughe su una pelle chiara, quasi pallida e appena ornata
da una spruzzata di lentiggini all’altezza del naso, sembravano quasi
stonare, quasi apparire inopportuni, costringendo a ricordare come ella
non fosse più una ragazzina, quanto piuttosto una donna ormai prossima
all’ultimo grande e immancabile appuntamento di tutti i mortali nelle
aspettative di vita della loro epoca, del loro mondo. A compensare,
comunque, una tale imposizione di anzianità in lei, si concedeva l’azzurro
chiaro e tremendamente intenso, quasi simile a ghiaccio, dei suoi occhi o,
meglio, del suo occhio, dove solo il destro risultava visibile nel particolare
taglio di capelli da lei proposto, il quale mezzo viso lasciava celato dietro a
una barriera di lisce ciocche. Fu proprio tale particolare, la tonalità fredda
di quell’iride, tutt’altro che comune, a pretendere completamente
l’attenzione di Heska, ritrovando in esso qualcosa che non avrebbe
pensato sarebbe stato possibile incontrare nuovamente… qualcosa che
non sarebbe stato possibile incontrare nuovamente a meno di non illudersi
vanamente che i morti non fossero più tali, che coloro considerati
irrimediabilmente perduti potessero ritornare dall’aldilà a recuperare la
vita, l’esistenza negata.
La prima volta in cui ella aveva incrociato uno sguardo tanto intenso,
pur nel colore del ghiaccio, era stato il giorno in cui Marr’Mahew aveva
preteso da lei il mantenimento dei propri voti, delle proprie preghiere,
offrendole innanzi colei che sarebbe stata considerata quale stessa Figlia
della dea quale una sorella, scelta dal fato per salvarla e donarle nuova e
più intensa vita.

«Madre? Madre… tutto bene?»


Fu la voce di Gaeli a distrarla dai propri pensieri, da quelle memorie
di un passato tanto lontano, dai vaneggiamenti forse di una donna
divenuta troppo nostalgica nell’avvicinarsi al mezzo secolo di vita: «S-sì.»
rispose, sorridendo verso la figlia, voltandosi a lei «Certo che sì, perché me
lo domandi?»
«Non so… ti ho vista sbiancare di colpo e ho temuto non ti sentissi
bene.» rispose preoccupata la giovane, sinceramente in ansia nel proprio
tono di voce e nel proprio sguardo «Se sei stanca forse sarebbe meglio
tornare subito a casa…»
«No.» scosse il capo, sorridendole con dolcezza «Sentiamo una
canzone prima… o i piccolini si sentiranno traditi dalla loro nonna.»
MIDDA’S CHRONICLES 529

«”E se vincitori vi crederete,/proprio lì di dimostrar


se valete…”» ricordò Carsa, citando le parole della scitala…
530 Sean MacMalcom
«Come preferisci… però se non ti sei sentita bene non dovresti
nascondermelo.» la rimproverò con dolcezza l’altra, temendo per la sua
salute, non avendo alcuna intenzione di separarsi dall’unica figura
parentale rimastale.
«Sto bene…» ribadì la donna, aggrottando la fronte «E non trattarmi
come una vecchia: ti devo forse ricordare che tuo nonno, alla mia età, ha
combattuto e vinto la battaglia che oggi stiamo ricordando?»
«D’accordo… d’accordo…» annuì Gaeli, sfogando il proprio
sentimento in un bacio scoccato contro la guanciotta del figlio sorretto fra
le proprie braccia «Ma non mi fare preoccupare… ti voglio bene, dovresti
saperlo.»

Dandosi della sciocca, Heska tornò a osservare il bardo, nella quale


per un momento si era illusa di aver visto una persona che non avrebbe
potuto più essere, una persona totalmente diversa, del resto, da quella che
le era di fronte in quel momento.
La donna, la cantastorie, si proponeva seduta tranquilla su uno
sgabello, in mezzo alla folla, a suonare il proprio strumento e cantare gesta
di mitici eroi e leggendari cavalieri, nell’assolvimento del proprio ruolo.
Sotto al viso, segnato dal tempo e caratterizzato da una fossetta al centro
del mento, un fazzoletto nero si stringeva attorno al collo, anticipando una
pesante casacca verde scuro che il suo torso avvolgeva e celava, in forme
vaste, tutt’altro che attillate. Oltre a essa, un giaccone chiaro, sporco e
impolverato, copriva le sue spalle scendendo lungo le braccia e lungo il
corpo fino a terra, riprendendo forse lo stile un tempo proprio delle divise
kofreyote, ma privato di ornamenti, di fregi e di colori. Attorno alle
gambe, poi, si concedevano pantaloni di simile colore, rivestiti nella
propria parte superiore, fino a sotto le ginocchia, da un rinforzo metallico,
una sottile maglia intrecciata nella stoffa stessa dell’abito per renderlo più
resistente non solo alle intemperie ma, sicuramente, anche a eventuali
offese. Offerto in ciò, era sicuramente un dettaglio particolare per un
cantore, tutt’altro però che unico dove ella evidentemente proveniva dal
continente e, in questo, da un mondo ancora ricco di violenza e soprusi,
nonostante la guerra avesse spazzato via molte antiche realtà.
Un fisico asciutto era distinguibile nonostante tale abbigliamento,
caratterizzandosi in arti atleticamente formati, che ancora una volta
sembravano voler contraddire l’età della donna: anche in questo
frangente, comunque, il bardo non rappresentava nulla di ineccepibile,
nulla di straordinario, dove la stessa Heska, seppur probabilmente più
giovane rispetto a lei, presentava un fisico scolpito dai propri quotidiani
allenamenti allo stesso modo in cui Lafra, suo padre, si concedeva alla sua
età in perfetta forma in conseguenza del proprio lavoro alla fucina.
MIDDA’S CHRONICLES 531
Ai piedi della donna, infine, erano stivali in pelle nera, anch’essa
impolverata al punto tale da apparire praticamente grigia, non dissimile al
colore dei suoi capelli. A completare il particolare quadro offerto da quella
straniera, immancabile sarebbe stata la custodia per lo strumento, in
rigido cuoio marrone: in quel momento, essa giaceva appoggiata a terra
davanti a sé, aperta ad accogliere eventuali offerte da parte del pubblico,
ma, usualmente, essa sarebbe stata certamente portata a tracolla, per
concederle maggiore libertà di movimento in viaggio. Originale e
impossibile da non notare, nel seguire i gesti del bardo sul proprio
strumento, risultava essere l’osservazione di come solo quel mezzo volto
scoperto dai capelli si concedesse quale unico frangente di pelle visibile in
lei. Addirittura le dita in azione sullo strumento, le mani impegnate nel
creare note e musica, infatti, apparivano rivestite da guanti marroni,
tutt’altro che consueti per uno suonatore di zither il quale, al contrario,
avrebbe dovuto preferire un contatto diretto con le delicate corde da
stuzzicare, per dare vita alla propria musica.
Mentre Heska si stava proponendo ancora impegnata nell’analisi della
figura che era stata capace di suscitare in sé una viva agitazione, la
medesima suonatrice concluse il canto della ballata in corso, venendo
accolta, in ciò, da uno scrosciare di applausi rivolti da tutti coloro che, lì
attorno, l’avevano ascoltata fino a quel momento.

«Vi ringrazio.» dichiarò la donna, osservando il proprio pubblico nel


mentre in cui le proprie dita approfittarono di quella temporanea sosta per
verificare l’accordatura corretta dello strumento «Siete troppo buoni nei
miei riguardi: sono solo un umile cantore e non merito tanta
acclamazione.»
«Se la mia arte è riuscita comunque a concedervi un qualche piacere,
vi prego di volerne riconoscere altrettanto a me, dove purtroppo non mi è
concesso di vivere unicamente delle note delle mie canzoni.» aggiunse poi,
in un sorriso sornione nell’accenno a possibili offerte che i presenti
avrebbero potuto presentare quale segno concreto del proprio
apprezzamento.

A tutte le persone, gli spettatori, posti attorno al bardo a renderle il


giusto tributo sottoforma di applausi, di una chiara ovazione morale ancor
prima che materiale, Heska non si aggregò, evitando involontariamente di
offrire la benché minima reazione. La musica e le parole, infatti, erano sì
giunte fino alle sue orecchie ma, alle stesse, ella non aveva prestato alcun
ascolto e, per questo, non si aveva neppure avuto modo di accorgersi della
loro conclusione. Imbarazzata, con se stessa più che con chiunque altro,
per il proprio comportamento tanto sciocco, ancora una volta ella si
532 Sean MacMalcom
rimproverò per essersi fatta trascinare in tal modo dai propri ricordi, dalle
proprie emozioni su una realtà a sé lontana, ripromettendosi di prestare
sincera attenzione a quanto sarebbe stato offerto dopo quel momento di
pausa.
Il cantore aveva, infatti, semplicemente colto l’occasione del termine
della canzone precedente per sciacquarsi la gola con l’intervento di un
boccale di acqua mista a vino, proponendosi tutt’altro che intenzionata a
interrompere il proprio operato. Offerto rinfresco e reidratazione alla
propria bocca, prima di riprendere da dove si era interrotta, ella dedicò
ancora qualche istante del proprio tempo nel piegare ripetutamente il
capo prima verso destra e poi verso sinistra, all’evidente scopo di scogliere
la muscolatura delle spalle, di liberarsi dall’intorpidimento di quella
prolungata immobilità.

«Per onorare questo giorno di commemorazione, nel ricordo della


battaglia avvenuta trent’anni or sono su questa stessa spiaggia, vorrei
domandare la vostra attenzione per un nuovo canto, per un’altra ballata
composta a tal scopo.» continuò, scorrendo con lo sguardo fra tutti gli
astanti, senza soffermarsi su alcuno fra essi «Non con le vicende della
Figlia di Marr’Mahew, tanto cara a queste sponde, però desidero
intrattenervi… quanto con quelle di tutti gli altri protagonisti di quella
giornata, di coloro ai quali, purtroppo, troppe poche cronache sono
normalmente dedicate ma che, ancor prima di lei, impegnarono la propria
vita e il proprio ardimento in una battaglia che non dovrà mai essere
scordata….»

Di Heska e Mab'Luk è la vittoria


di cui desidero narrarvi storia,
affinché non venga dimenticato
quanto occorso nel vostro passato:
tutto ebbe inizio in baldoria,
a celebrar senza alcuna boria
il traguardo tanto desiderato
che sognavano presto coronato.

«Madre… parla di te!» sussurrò Gaeli, rivolgendosi stupita alla


protagonista di quella stessa canzone.

Heska, invero, quasi non udì le parole rivolte dalla figlia nella propria
direzione, troppo assorta quale si ritrovò ora a essere nel seguire quelle
strofe, il canto del bardo che, stranamente, si era dichiarata intenzionata a
mostrare la vicenda già affrontata da molti sotto un punto di vista
MIDDA’S CHRONICLES 533
totalmente diverso, quasi non avesse voglia o interesse a indicare la figura,
anziché protagonista, di Midda in quella giornata.

In un giorno d'autunno i pirati


carichi di morte son arrivati,
enormi navi nel mar assursero
tre all'orizzonte si proposero:
grida, panico, volti allarmati,
anche gli sposi furon separati,
bimbi e donne in salvo misero
quando di dar battaglia decisero.

L’ormai non più giovane figlia di Lafra socchiuse gli occhi nell’ascoltar
i nuovi versi, che alle sue orecchie si proposero fin troppo dettagliati,
troppo particolareggiati e, soprattutto, troppo sinceri per apparire quale
testo di una ballata. Una particolarità tipica nei miti, nelle leggende, e in
tutti i fatti narrati dai bardi, sarebbe sempre stato costituito, infatti, da un
senso dell’incredibile portato all’estremo, da un distacco completo,
assoluto dalla semplice realtà dei fatti, nella volontà di renderla più
avvincente di quanto non fosse già stata nell’enfatizzazione dei pericoli,
degli avversari, e nella volontà di farla apparire più romantica
nell’eliminazione di quasi tutti gli umani sentimenti non positivi, di quei
particolari sinceri e quotidiani che, comunque, sarebbero apparsi troppo
crudi in una narrazione. In quelle strofe e nelle successive, al contrario,
troppi dettagli fedeli della realtà si proposero all’attenzione degli
spettatori, a partire dalle cifre di quella storica giornata, tre navi, duecento
combattenti, settanta sopravvissuti, per proseguire con la narrazione
precisa del destino di ogni nave fuggita dall’isola e dei suoi occupanti.
Per un istante, Heska temette che certi segreti, condivisi fra lei, suo
padre Lafra e la stessa Figlia di Marr’Mahew, potessero essere posti sotto
la pubblica attenzione nel proseguo di quella musica, ponendo il suo
disonore di fronte alla figlia e ai suoi nipotini, oltre che a tutta l’isola in cui
era nata, cresciuta e, sperava, un giorno avrebbe potuto trovare in pace il
riposo della morte. Fortunatamente, però, per quanto citato, lord Sarnico
venne descritto solo nel proprio ruolo di avversario, nella propria
immagine più metaforica che fisica e, per quanto simile sviluppo sarebbe
stato più che logico, nelle premesse precedenti, ella non poté evitare che
avvertire quella scelta narrativa, quel cambio stilistico inatteso, come una
forma di rispetto nei propri confronti, quasi il bardo fosse a conoscenza di
ciò che ormai solo ella avrebbe potuto sapere e, in questo, si stesse
impegnando a non recarle danno. Dandosi per la terza volta, in un breve
arco di tempo, della sciocca, la donna cercò di razionalizzare i propri stati
534 Sean MacMalcom
d’animo di fronte alla rievocazione di quegli eventi spiegando a se stessa
di come alcuno avrebbe mai potuto tradire il suo segreto e che, per alcuna
ragione, né quel cantore né qualunque altro suo pari avrebbe potuto
conoscere i dettagli in merito alla sua prigionia presso la propria nemesi, il
carnefice, lo stupratore, il sadico figlio prediletto di Kirsnya.
Nella penultima strofa, in otto semplici versi che passarono quasi
inosservati all'attenzione della folla lì attorno, qualcosa tornò a colpire con
forza l’emotività della donna, ponendola di fronte a un ennesimo
particolare di cui nessuno avrebbe dovuto avere conoscenza.

Il violento venne alfin punito


dalla sposa che aveva rapito:
nel momento in cui fu liberata
da colui che l'aveva generata,
nell'abbatter il muro costituito
al compito aveva adempito,
la spada che era stata forgiata
nella di Heska nascita giornata.

«Vehnea…» sussurrò la donna, inudibile in quanto rimasta senza fiato


per lo stupore.

I numeri, le dinamiche della battaglia, i particolari riferiti ai vari


recuperi, per quanto persino trent’anni prima sarebbero stati difficili da
conoscere per chiunque al di fuori dell’isola, per chiunque non avesse
preso parte in prima persona a quel combattimento, si sarebbero
comunque proposti come dati che avrebbero potuto essere tramandati
nella loro esattezza, nella veridicità delle proprie cifre. Anche il legame
particolare fra la propria spada e il giorno della propria nascita, quel dono
incredibile e meraviglioso che suo padre Lafra le aveva dedicato, per
quanto noto solo ai membri della sua famiglia e a pochissimi, veramente
intimi, amici, avrebbe forse potuto essere sfuggito a qualcuno, passato di
bocca in bocca fino a giungere alle orecchie del cantore.
Ma quel dettaglio relativo alla propria liberazione, unico e
inconfondibile, non avrebbe potuto, non avrebbe dovuto essere noto a
nessuno, al di fuori di coloro che in quel momento lontano erano stati
presenti in quella stanza nella dimora di lord Sarnico. Ed escludendo se
stessa da tale conteggio, solo un’altra persona avrebbe potuto, quindi,
conoscere il ruolo della sua spada in quello specifico contesto…
MIDDA’S CHRONICLES 535
In pace essi poteron sposarsi
per sempre promettendo di amarsi,
davanti al lor più caro amico
nei dettami di un rito antico:
in eterna gioia di appagarsi
io lor auguro sempre allietarsi,
ma di non scordar ch'io resto mendico
a voi chiedo con fare impudico.

Un nuovo scroscio di applausi seguì la conclusione dell’ultima strofa


di quella ballata, segno di sincera approvazione, e forse anche
commozione, da parte di tutti gli spettatori. Ancora una volta, però,
immersa quale si ritrovò a essere nei propri pensieri, nel proprio stupore,
Heska non offrì attenzione o partecipazione a quel momento, almeno fino
a quando non fu Gaeli a richiamarla a contatto con la realtà, in un tocco
delicato sulla propria spalla.

«Madre? Madre… non ti senti bene?» domandò, con voce


evidentemente preoccupata nel coglierla così distante da sé.

Inevitabile si concesse quell’emozione nella figlia di Heska, dove


abituata a trovare nella madre un’immagine forte, determinata, salda nelle
proprie emozioni: fin da bambina, quasi più in lei che nel proprio stesso
padre, aveva avuto un’ardita figura di riferimento, capace di concederle
una sensazione di protezione, di difesa da ogni male del mondo. Rispetto
alla persona che si era proposta trent’anni prima, protagonista di quella
ballata, in fuga dai pirati, prigioniera di lord Sarnico, ella era infatti ormai
totalmente differente, e non soltanto a livello fisico.
L’età, inevitabilmente, aveva richiesto il proprio giusto pegno,
togliendo alla sua pelle la morbidezza, la dolcezza giovanile, e ritrovando
il chiarore di un tempo, quell’apparenza quasi di porcellana, sostituito da
un’epidermide più dura, ruvida ancor prima che rugosa, temprata dal sole
e dal lavoro in fucina, bruciata da tanto calore in tonalità scure, non
lontane da quelle di una figlia dei regni centrali. Il suo corpo, altrettanto
provato da oltre trent’anni di duro lavoro e di allenamenti quotidiani, non
si concedeva più esile, dolce, ma forte e atletico, con spalle larghe,
muscolatura energica, forme sode e prestanti. Come già suo padre ancor
prima di lei, anche in lei gli anni non sembravano averle tolto il vigore
giovanile e, anzi, in una metamorfosi simile, l’avevano resa anche più
fisicamente risoluta di quanto non fosse stata da fanciulla. Solo
guardandola in viso, quel volto circondato da capelli ancora biondo chiaro
ora però tagliati corti, mantenuti volontariamente disordinati, ribelli, si
536 Sean MacMalcom
sarebbe potuto ritrovare un chiaro segno della sua identità, nel confronto
con la ragazza di trent’anni prima. I suoi occhi blu, intensi come il mare, si
concedevano del tutto identici, immutati, nonostante la luce di innocenza,
prima presente, fosse stata sostituita da una determinazione altresì
assente, da un’energia un tempo celata nel suo animo e ora posta in risalto
sotto lo sguardo di chiunque.
Tale era l’unica Heska che mai Gaeli avesse conosciuto, l’unica
immagine di sua madre che mai avesse vegliato sul proprio riposo, sui
propri sogni, sulla propria vita: rari, impossibili da ricordare, erano stati i
momenti in cui in lei aveva mai veduto incertezza, aveva mai trovato
sconcerto simile a quello che le appariva chiaro in quel momento,
apparentemente in conseguenza di quella ballata.
E ciò non avrebbe potuto evitare di preoccuparla…

«Madre?» chiamò ancora, ponendosi di fronte a lei, al suo sguardo


cercando di coglierne l’attenzione, di trarla a sé dal flusso di coscienza in
cui sembrava essere intrappolata.
«Gaeli…» sorrise Heska, scuotendo il capo come a sminuire la
preoccupazione della figlia «Cosa succede? Perché sei così agitata?»
chiese, proponendosi assolutamente serena e controllata.
«Perché sono cos…? Madre, non ti sei resa conto di quanto è
successo?»

La donna si guardò attorno, notando oltre allo sguardo preoccupato


della figlia anche quello incerto dei due nipotini: Thomar, fra le sue
braccia, apparve addirittura sull’orlo di una crisi di pianto, evidentemente
spaventato per le stesse ragioni che avevano sconvolto la madre. Solo nel
notare tanto scompiglio, ella si accorse come l’ambiente attorno a loro
fosse cambiato radicalmente, non proponendo più né folla né cantore, i
primi evidentemente assenti in conseguenza della scomparsa del secondo.
Il bardo doveva aver preso una pausa, essersi allontanato portando con sé
ogni traccia del proprio passaggio, e di ciò Heska non si era assolutamente
accorta, caduta in uno stato di catalessi e generando, di conseguenza, la
preoccupazione dei suoi cari.

«Per Vehnea…» esclamò, imbarazzata dal proprio comportamento


«Ero sovrappensiero e non mi sono accorta di nulla.» cercò di giustificarsi,
sorridendo al nipotino e donandogli un bacio a dissipare ogni paura, ogni
ansia dal suo tenero, piccolo cuore, sicuramente ricco d’un amore puro
come solo avrebbe saputo essere quello di un bambino.
«Mi hai fatta preoccupare…» la rimproverò Gaeli, poco convinta da
tale spiegazione «Andiamo a casa, per favore… sono stanca di girare.»
MIDDA’S CHRONICLES 537
aggiunse poi, evidentemente desiderosa di concedere alla madre
occasione di riposo, temendo che quanto accaduto fosse stato conseguenza
di qualcosa tutt’altro che psicologico quale, invece, era realmente.
«D’accordo.» acconsentì Heska, non volendo gravare inutilmente sulla
figlia e sui nipotini con degli assurdi pensieri, con delle riflessioni che non
avrebbero avuto modo o ragione d’essere.

Pur muovendo, in conseguenza di quella resa, i propri passi verso


casa, la donna non poté evitare che ripensare al bardo, a quella
sconosciuta straniera che così tante cose sembrava sapere a suo proposito,
così tanti dettagli appariva conoscere della sua esistenza: in quell’unico
occhio color ghiaccio che aveva avuto modo di vedere dietro alla coltre di
capelli, ella non poté che evitare un collegamento mentale con la figura
della Figlia di Marr’Mahew, con la sorella offertale dal fato e dal fato
stesso strappatale trent’anni prima.
Sarebbe stato possibile che le voci in merito alla scomparsa di Midda,
alla sua presunta morte all’interno di un vortice di tenebra, fossero state
false, costruite a regola d’arte? Sarebbe stato possibile che l’anziana
suonatrice altri non fosse proprio colei che aveva vissuto simili eventi in
sua compagnia, che l’aveva salvata dalla condanna imposta da lord
Sarnico su se stessa e sulle altre giovani che egli aveva rapito, in quel
lontano passato? Sarebbe stato possibile che quel ciuffo di capelli davanti
all’occhio sinistro di lei, apparentemente lì posto per gusto estetico o,
forse, per distrazione, fosse stato così conformato a celare uno sfregio che,
altrimenti, l’avrebbe inequivocabilmente identificata?
Troppe domande. Alcuna possibilità di risposta.

«Che fine ha fatto quella donna?» domandò rompendo il proprio


silenzio nel rivolgersi verso la figlia.
«Parli della cantastorie?» replicò Gaeli, osservandola ancora con
evidente preoccupazione nello sguardo «E’ a causa sua se non ti sei sentita
bene? Per i ricordi che ha risvegliato in te con quell’insolita ballata?»
«Sto bene.» affermò Heska, con tono tranquillo e appena scocciato in
conseguenza di una simile insistenza su un suo presunto malore «Non ti
agitare in questo modo, bambina mia… non è successo nulla:
semplicemente quelle note mi hanno rapita più di quanto normalmente
non sarebbe avvenuto.»
«Sarà…» commentò la giovane, tutt’altro che convinta.

E proseguendo in tale confronto, madre e figlia, con annessi nipotini,


fecero ritorno a casa.
538 Sean MacMalcom

ome nella maggior parte dei casi era solito avvenire, tanto nelle

C famiglie più facoltose quanto in quelle più umili, la dimora si


proponeva come un bene di valore tutt’altro che indifferente,
quasi sicuramente l’eredità più importante da trasmettere di
generazione in generazione, di padre in figlio: nel rispetto di tale norma,
Gaeli e Hower, suo sposo, avevano ovviamente stabilito la propria
famiglia là dove, un tempo, erano state quelle di Heska e di suo marito
Mab’Luk. E se fino a trent’anni prima, pur adiacenti, le abitazioni in
questione si sarebbero proposte ancora come nettamente distinte, non
diversamente dalle botteghe a esse correlate, a seguito del matrimonio che
aveva visto celebrata l’unione eterna fra gli ultimi discendenti di tali
famiglie, esse erano state unite a formare un unico e più vasto complesso.
Di quello che un tempo era stato lo spazio di carpenteria appartenuto
al padre di Mab’Luk e ai suoi antenati, in conseguenza della scelta del
medesimo di restare accanto alla moglie nel desiderio della medesima
proseguire con l’opera di Lafra, restava ormai solo il ricordo, un dolce e
meraviglioso ricordo, sicuramente nostalgico, nel cuore di Heska, la sola a
potersi ricordare come si sarebbero proposti quegli ambienti tre decenni
prima. Entrambe le botteghe, unificate a essere un’unica, si concedevano
così all’arte del fabbro e, nel contesto specifico di quella giornata di festa,
si proponevano fin troppo sature di clienti, quasi necessitando di un
ulteriore estensione per poterli ospitare comodamente tutti.

«Il lavoro non manca, per fortuna…» commentò la nonna,


rivolgendosi verso sua figlia.
«Lavoro… papà bello…» annuì con grande convinzione Jarah,
proponendosi con un’espressione a dir poco seria, da vero intenditore
dell’argomento «Sì… bello lavoro.» ripeté muovendo il capo ancora una
volta con fare affermativo.
«Sicuramente non manca.» sorrise Gaeli, accarezzando la nuca del
figlio ancora sorretto in braccio «Quello che spesso mi viene a mancare,
purtroppo, è mio marito: sempre troppo preso dietro a consegne, richieste,
ordinazioni…»
«Non lamentarti per questo.» le rispose con dolcezza la prima,
scuotendo il capo «Inevitabilmente arriveranno i periodi di crisi e allora
vedrai che ci sarà da…»

La frase, però, morì sulle labbra di Heska nel momento in cui ella
individuò, all’interno della folla di potenziali clienti per il genero, la
MIDDA’S CHRONICLES 683

Ringraziamenti

“C’era una volta, tanto tanto tempo fa…”: una conclusione, in un


futuro ormai passato, che ha il sapore di un inizio, di un preludio a
qualcosa di più grande e complesso, qualcosa che solo il tempo, e la tua
fiducia in queste pagine, potrà svelare, dirimere, approfondire nei propri
impliciti. A tal scopo, non posso evitare di invitarti a offrire attenzione al
Prossimamente…, immancabile a seguito di questa parentesi altrettanto
irrinunciabile, quale solo potrebbe essere la pagina volta ai ringraziamenti.

Mi è stato domandato qual significato possa assumere questo stesso


spazio all’intero di un secondo volume, ove già numerosi si erano proposti
i ringraziamenti pubblicati qualche mese fa e dove le persone che mi sono
state al fianco nel lavoro dedicato alla stesura del primo tomo, in effetti,
non hanno mancato di accompagnarmi anche in questa seconda
avventura. In tal senso, quindi, questo angolo potrebbe risultare una futile
e pedestre ripetizione di quanto già presentato nello scorso volume: ciò
nonostante, non vorrei mancare di riconoscere il giusto merito alla loro
presenza, al loro apporto, dove in caso contrario questo stesso libro
potrebbe non essersi mai spinto a conclusione. Accanto a loro, poi, mi
piacerebbe porre tutti coloro che, in questi mesi, hanno offerto spazio alla
diffusione del primo volume, in una disponibilità tutt’altro che scontata,
ovvia o naturale.
In simili esigenze, in tali desideri, purtroppo, questo spazio
rischierebbe di assomigliare ai titoli di coda de “Il signore degli anelli”, nel
corso dei quali probabilmente l’intero elenco telefonico neozelandese è
stato citato, e ogni ringraziamento apparirebbe quasi privo di significato,
snaturato in una lista troppo lunga, troppo intensa, per poter essere
apprezzata. Spero, pertanto, che chiunque, meritevole in tal senso, sia
consapevole della mia assoluta e sincera gratitudine per il suo sostegno,
per la sua presenza, anche se qui a seguito non citato per la ragione
appena esposta.

Detto questo, naturalmente e imprescindibilmente, non posso mancare


di citare, prima fra tutte, Giuliana Lagi, mia madre, la quale ancora una
volta ha posto il proprio tempo, la propria bravura, e il proprio impegno
nella creazione delle quindici tavole, una mappa e una copertina che
hanno accompagnato la lettura di questa seconda raccolta, nonché nella
collaborazione all’ultima e conclusiva revisione dell’opera, a cercare di
684 Sean MacMalcom
offrire a chiunque un prodotto degno di essere acquistato e letto, così
come già era avvenuto in occasione della precedente pubblicazione.
Per il proprio sostegno e la propria fiducia nei riguardi del primo
volume e del suo autore, risultati sicuramente quali fattori di sicuro
sprone anche per il proseguo di questo mio impegno editoriale, desidero
citare e ringraziare tutti coloro che hanno voluto onorarmi con l’acquisto
de Il tempio nella palude (e altre storie), fra i quali, per primi, Carmelo e
Francesca, nonché tutto quel vigoroso contingente formato da diversi miei
colleghi di lavoro.
Per il proprio impegno personale nella promozione della mia modesta
opera, ancora, non voglio mancare di ringraziare Mario e tutti gli amici di
The Fantasy World, Eleonora e Francesca di Promesse d’autore, nonché
Carlotta di House of Books: a loro potrei sicuramente aggiungere ancora
molti nomi, in un elenco che non troverebbe facilmente conclusione, ove
tanto supporto, tanto spazio mi è stato generosamente riconosciuto in
questi ultimi mesi.
Inoltre, naturalmente, è necessario ricordare tutti i lettori della blog
novel, in cui le storie, qui proposte, sono state pubblicate per la prima
volta, tutte quelle presenze, quasi sempre silenziose e anonime, e pur
costanti, che offrono il proprio implicito supporto alle Cronache e che ne
incentivano l’ineluttabile proseguo, in un cammino che, spero, potrà
durare ancora per molti anni.

A te, infine, che nuovamente o per la prima volta, hai voluto


riconoscermi il tuo tempo e il tuo interesse, è il mio ultimo e sincero
ringraziamento, nella speranza di poterci rincontrare molto presto nel
terzo volume…

Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 685

Prossimamente…

Privata di ogni ricordo del proprio futuro passato, Midda Bontor torna
alla propria quotidianità prima abbandonata, tutt’altro che dimentica
degli impegni, degli affari lasciati in sospeso. Per questo, accanto alla
consapevolezza della sola ragione per la quale ha accettato di asservirsi a
lady Lavero, nella volontà di ritrovare la Jol’Ange e il suo equipaggio, non
verrà meno per lei il peso del debito contratto nei confronti di lord Brote,
per soddisfare il quale ella dovrà condurre alla presenza dello stesso il
gioiello più prezioso e importante di tutto il regno di Y’Shalf.
Riuscirà la Figlia di Marr’Mahew a ritrovare gli amici dai quali è stata
separata? E quali pericoli l’attenderanno oltre i confini y’shalfichi?

La prossima primavera, sempre in esclusiva per Lulu.com, la risposta a


queste e molte altre domande in…

MIDDA’S CHRONICLES
VOLUME TERZO

IL COLLEZIONISTA DI SASSI
E ALTRE STORIE
686 Sean MacMalcom
MIDDA’S CHRONICLES 687

Siamo un gruppo di persone assolutamente normali, lavoratori e studenti,


che si ritrovano accomunate da una medesima passione, da uno stesso
interesse: quello per la scrittura creativa.

Uniti da questo piacere comune, abbiamo deciso di scrivere sfruttando le


virtù della blogosfera, per esprimere indipendentemente le nostre fantasie,
i frutti del nostro tempo libero e del nostro impegno, trovando l'un l'altro
reciproco aiuto, consiglio, sostegno, per rendere la forza di ognuno di noi
quella di tutti ed essere uniti di fronte all'immensità del World Wide Web,
in cui altrimenti potremmo perderci.

Non fingiamo di essere nulla di più di ciò che siamo, non ci arroghiamo il
diritto di ambire a nulla di più di ciò che la libertà di Internet ci consente
di cercare: non crediamo di essere grandi scrittori, non vogliamo cambiare
il mondo con ciò che scriviamo. Semplicemente seguiamo un interesse,
con passione e umiltà, accogliendo a braccia aperte chiunque voglia unirsi
a noi in questo cammino.

Se ti ritrovi descritto in queste parole, se hai voglia di metterti in gioco


insieme a noi… unisciti a NWN!

NEW WAVE NOVELERS


Una nuova frontiera del blog novelizing in Italia

http://newwavenovelers.altervista.org/
688 Sean MacMalcom

Midda Bontor:
donna guerriero per vocazione,
mercenaria per professione.

In un mondo dove l'abilità nell'uso di un'arma


può segnare la differenza fra la vita e la morte
e dove il valore di una persona si misura sul
numero dei propri avversari uccisi,
ella vaga cercando sempre nuove sfide
per offrire un senso alla propria esistenza.

Continua a seguire le avventure di Midda


sul blog che ha dato origine a questo libro:

MIDDA’S CHRONICLES
http://www.middaschronicles.com/

Ogni giorno un nuovo episodio,


un nuovo tassello ad ampliare il mosaico
di un nuovo universo fantasy sword & sorcery,
nel narrare le Cronache di Midda.

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