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“C’è un’opera infinita che ci attende” – Intervista a Francesco Lauretta

a cura di Teresa Zuccaro

Rubiamo (ma in fondo non è affatto un furto, lo vedrete) un po’ dello spazio che Nabanassar dedica
solitamente alla poesia per fare un incursione fra le arti figurative, dato che abbiamo avuto la
fortuna di poter fare qualche domanda ad uno degli artisti più interessanti dell’attuale scena italiana.
Ecco dunque le domande e le risposte.

Pensando ad alcune delle tue ultime mostre, mi sembra di intravedere uno spostamento
dell’attenzione da momenti e occasioni corali – Le Metafisiche – a riflessioni su categorie e
gruppi – il ruolo dell’artista in Non saremo noi – fino ad arrivare a una dimensione forse più
personale, quella di storie singole che si sfiorano in uno spazio catalizzatore nel progetto
attualmente in lavorazione che si intitolerà, se è lecito dare una piccolissima anticipazione,
Privato. E’ così? C’è un filo conduttore, un percorso che lega questi diversi momenti?

C’è una vita che significativamente si aggira intorno a questi titoli e c’è un coro che non sempre si
vede, ma del quale si intuisce la presenza e, se non sempre questo coro è visibile, è riconducibile a
cose vive seppur non necessariamente è composto di cose vive. Lavoro e m’impasto da sempre con
qualcosa che io individuo come una presenza, necessaria perché m’avvisa della mia singolarità
spesso provata da un quotidiano che fatico a comprendere e ad abbracciare, e pertanto questo fare,
l’affannarmi intorno ai linguaggi, mi disorienta verso un immaginario che ringrazio e del quale
godo come sontuosamente visibile, responsabile, perché mentre rispondo sto leggendo “Che ne
sarebbe di noi, dunque, senza l’aiuto di quel che non esiste?” - è Paul Valéry che scopro ad inizio
dell’ultima fatica di Tommaso Pincio, Gli alieni; perché mentre rispondo alle mie spalle c’è una
casa che inizia a comporsi nel suo mito, una strada blu che proprio ieri credevo di avere sognato e
che realmente vedo nelle foto che ho ritirato giusto ieri, foto che ancora realizzo intorno a questa
casa ormai da sette anni, quasi. Sette anni fa avevo appena inaugurato Ceci n’est pas une pipe.
Dopo, Matrimia, Via degli astronauti e così via fino a Privato che spero di risolvere in fretta anche
perché sono curioso di quanto ancora mi manca.

Quando la redazione di Nabanassar ha deciso di intervistarti, conoscevamo solo i tuoi lavori


de Le Metafisiche. Quando ho approfondito la conoscenza della tua opera, ho scoperto che
non sei solo un pittore, ma che le tue mostre sono, a volte, delle installazioni in cui accanto ai
quadri contano l’utilizzo di video, scritte luminose, una particolare predisposizione dello
spazio d’esposizione, testi tuoi o di altri che accompagnano il catalogo. Sono rimasta molto
colpita da una tale complessità, soprattutto per il fatto che la pittura mantiene un “peso
specifico” importante in mezzo a tutto questo, e quindi l’opera d’arte tradizionale non
scompare come invece in analoghe esperienze artistiche contemporanee.
Come sei arrivato a questo risultato, quali le tue intenzioni, quali le motivazioni che ti
spingono a ricercare questa complessità, penso faticosa e impegnativa da realizzare?

Ricordo che la prima personale a Torino fu intitolata Percorso dal profumo. Per l’occasione avevo
progettato di occupare la stanza centrale della galleria con un intervento che consisteva, o così
avrebbe voluto essere, nel lavare le quattro grandi pareti bianche con del sapone verde. Credevo
fortemente che l’opera poteva risolversi nella sua sparizione. “Toccare è contaminare”, questo mi
ripeteva sempre un artista che della sua condotta ne aveva fatto l’opera, non faceva niente, si vestiva
con indumenti dorati, bellissimi, passava giornate intere ad oziare nei bar quando era a Venezia, mi
diceva che così facendo stata lavorando, beveva, pensava, era un grande artista James Lee Byars. La
pittura è venuta dopo, tardi, molto tardi e il suo “peso specifico” è noto perché mi aiuta a vivere, ma
soprattutto a studiarne le sue possibilità, la sua noia. La pittura poi è irresistibile se è grande, e con
questo non intendo dire che la grande pittura deve essere virtuosa, anzi, io sono un pessimo pittore e
con tanto registro il mio limite, il limite di questo linguaggio mentre, col tempo, inizio a sognare di
diventare un pittore felice come tanti ne conosco, e probabilmente solo allora riuscirò a smettere di
darmi delle opportunità come pittore. In verità sono un artista, come pittore registro una parte
debole, troppo debole della mia condizione, il mio peso è notevole ma parlo di un altro peso
specifico che non è solo fisico ma anche e soprattutto fatto di testa, pensieri, versi, suoni e la pittura
da questo punto di vista è disgraziatamente un impaccio perché mi chiede tempo, pazienza infinita
mentre con il resto sono avanti, a volte troppo: Privato poteva già risolversi sei anni fa come Le
metafisiche erano già pronte due anni prima della mostra. L’anno scorso in Bubblegum ho
realizzato un quadro bianco. E’ un quadro figurativo e complesso perché le figure sono state dipinte
fino nei minimi particolari con il solo bianco, un bianco su bianco e non fu un tentativo vano quello,
riflettevo sulla pittura e sulla sua possibile sparizione, sul suo mito, sul rito della pittura, la pittura
quasi e prossima alla “reliquia”. Successivamente, al contrario, sopra al quadro ho messo l’insegna
luminosa, il neon, la pittura diventava di nuovo protagonista, brillante, seducente, potente perché
popolare, la pittura dopo tutto; allora registro la mia contraddizione perché amo la pittura, odio
molti pittori, amo alcuni pittori, amo l’arte e non mi chiedo più quale è il suo stato di salute ‘mane,
perché altrettanto dovrei fare con qualsiasi linguaggio, d’altronde cosa può fotografare un
fotografo? Cosa registrare con una videocamera? Cosa installare ancora? Come muoversi se si fa
una performance? Tutti i linguaggi sono sazi e pertanto questa crisi dimostra una vivacità curiosa,
interessante di questi tempi. Ma l’arte è là, sempre.
E’ per questo che continuo a fare l’artista. Se dovessi aggrapparmi ad un quadretto o ad un marchio,
bene, allora sarei davvero stanco, cambierei mestiere.

Ti intervistiamo per una web-zine che si occupa principalmente di poesia, della quale tu sei un
buon lettore. Dal nostro piccolo e parziale osservatorio la poesia italiana contemporanea vive
una realtà piuttosto confusa, pochi poeti riescono ad accedere alla media o grande editoria, i
libri hanno scarsa diffusione e poco pubblico, fra gli stessi addetti ai lavori c’è una conoscenza
disorganica a causa di un panorama forse troppo frammentato e dispersivo, che rende
particolarmente difficile l’orientamento. Cosa puoi dirci tu a proposito delle stato delle arti
figurative?

Lo stato, quello stato è ubriacante. Non riesci a reggere la contemporaneità. Tutti potenzialmente
sono artisti e molti possono decidere da un giorno all’altro di fare l’artista. Ci sono spazi per tutti è
per questo che lo stato dell’arte contemporanea è arrogante, clamorosamente gioiosa l’arte si offre a
tutti ed è per tutti o quasi. E forse è anche per questo che mi verso nella poesia, e forse è anche per
contrastare questo clamore che la poesia accede a noi, pochi, non era Milo De Angelis nel Tema
dell’addio che scriveva, ehm, meglio dire forse, cantava: Uno solo è il tempo, una sola la morte,
poche le ossessioni eccetera e poche le poesie? Spero di non avere offeso nessuno dei poeti. Gli
artisti se non nominati si offendono. C’è guerra, sempre.
Questa estate ho letto il famoso Codice. Nell’ambito delle arti figurative è esemplare chiamare
capolavoro questo sconcerto.
Non altro, voi poeti potete farne a meno. Meglio stare così, per pochi. Io ripeto sempre che non ho
mai tempo per annoiarmi perché c’è un’opera infinita che ci attende, che ci aspetta per essere
consultata, letta, vissuta. Qualche tempo fa ho letto alcune note sulla vita e sulla letteratura di una
poetessa che amo. Alba Donati sconsigliava di leggere i cani neri…, Camilleri, Ammanniti e altri.
Bene, io aggiungo, ascoltate Chad Van Gralen, Ovo, Oneida, la splendida e drammatica seconda di
Schumann – o il Requiem per Mignon - tanto amato da Dick; poi un po’ di techno, downtempo,
soul…, ho preso anche l’ultimo di Christina Aguilera.

Notizie

Francesco Lauretta è nato a Ispica (RG) nel 1964. Si è diplomato all’Accademia di belle arti di
Venezia, vive e lavora a Torino.

Principali mostre personali:

2005
Bubblegum, Carbone.to, Torino
http://www.extrart.it/articolo.php?cod=466

Non saremo noi, Care Of, Via Luigi IX, Milano


http://www.careof.org/mostre_co/lauretta.html

Finisterre, Palazzo Bricherasio, Torino


http://www.exibart.com/notizia.asp/IDCAtegoria/56/IDNotizia/12642

2004
Le metafisiche, Antonio Colombo Arte Contemporanea, Milano
http://www.colomboarte.com/it/artisti/lauretta/opere.htm

http://www.colomboarte.com/it/artisti/lauretta/catalogo.htm#lauretta

http://www.colomboarte.com/it/artisti/lauretta/catalogo.htm#pinto

2003
Via degli astronauti, Carbone.to, Torino
http://www.exhibart.it/Notizia.asp?IDNotizia=7417&IDCategoria=56

2002
Matrimia, Galleria Sebastiano Amenta, Parma

2000
Ceci n’est pas une pipe, Carbone.to, Torino

1999
Valori Plastici, Carbone.to, Torino

1996
Reliquia, Studio d'Arte Recalcati, Torino

1994
Novecento, Care Of, Cusano Milanino (Milano)
1993
Destinazioni, Galleria Marco Noire e Studio d'Arte Recalcati, Torino

1992
Percorso dal profumo, Galleria Marco Noire, Torino

1991
Envoi, Unione Culturale Franco Antonicelli, Torino

Nel 2006 è stato selezionato per il settimo premio Cairo


http://www.teknemedia.net/fiere/dettaglio_news.html?newsId=17375

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