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1. L’ARTICOLO 21
Nel quadro costituzionale del diritto dell’info e della comun. è fondamentale l’articolo 21,
che garantisce la libertà di espressione come diritto inviolabile dell’uomo, inteso sia come
singolo che nelle formazioni sociali cui appartiene.
Ci sono alcune questioni discusse da molto tempo:
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Il riferimento alla democraticità si contrappone alla precedente concezione dello Stato di
Diritto, nel senso di una maggiore attenzione non più solo all’individuo, ma anche ai gruppi
sociali in cui opera.
Il legislatore può privare delle garanzie costituzionali le forme di manifestazione del
pensiero che non hanno nessuna utilità sociale.(esempi l’iniziativa economica privata,
libera ma mai in contrasto con l’utilità sociale; la proprietà privata)
La libertà di espressione è quindi soprattutto positiva e funzionale, poiché la democraticità
dello Stato poggia sulla forza della pubblica opinione, che richiede a sua volta la diffusione
di ogni ideologia.
Una soluzione soddisfacente è stata data dalla legge n.675 del 1996 sul trattamento dei
dati personali.
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La corte costituzionale ha affermato nel 1972 che l’interesse all’informazione in regime
di libera democrazia implica pluralità di fonti di info, libero accesso alle fonti, assenza di
ostacoli legali –ingiustificati- alla circolazione delle notizie.
Questi dettami sono stati seguiti parzialmente nel delineare le disposizioni anti-trust
specifiche per stampa e radio-tv.
Sono inoltre stati emessi alcuni precetti per cercare di rendere l’info il più possibile
oggettiva:
a. il limite della verità oggettiva, della pertinenza e della continenza dei fatti:
necessario rispettarli per esercitare diritto di cronaca.
Verità oggettiva: accertare la verità, non tacere fatti collegati che potrebbero
mutare il significato della notizia;
l’informazione che si intende divulgare deve essere pertinente, cioè rispettare
il limite della continenza sostanziale, il quale si intende violato quando il
giornalista indugia su particolari della vita della persona oggetto di notizia, che
aggrediscono l’onore altrui, siano immorali o cmq inutili e superflui nei confronti
della tesi che si vuole sostenere.
I fatti narrati devono rispettare anche il limite della continenza formale:
esposizione serena, pacata e obiettiva.
Non si deve ricorrere al sottinteso sapiente (uso di termini che vengono
fraintesi), accostamenti suggestionanti di altri fatti, tono sdegnato,
drammatizzazione e insinuazioni.
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d. Il limite degli altri segreti considerati dalle legge:
Segreto d’ufficio:
vieta a quanti rivestono la qualifica di pubblico ufficiale di rivelare notizie
che devono rimanere segrete, o cmq di agevolarne la conoscenza da
parte di terze persone.
Segreto istruttorio:
vincola i giornalisti, impedendo loro di rendere pubblici gli atti di quella
fase di processo penale che costituisce le indagini preliminari.
È stato ritenuto conforme alla costituzione perché tra i vari limiti opponibili
alla libertà di manifestazione del pensiero c’è anche il limite dell’esigenza
di realizzazione della giustizia.
Segreto parlamentare:
vieta la pubblicazione del contenuto di quelle discussioni e deliberazioni
che i regolamenti parlamentari qualificano come segrete.
- diritto ad informarsi
è costituito dal diritto di accesso ai documenti ed agli atti formati o detenuti dalle PA.
Questo diritto ha lo scopo di consentire al singolo individuo di partecipare alla vita
sociale, a differenza di prima, quando l’attività amministrativa era segreta.
Era stata proposta la costituzionalizzazione di questo diritto con l’articolo 21 bis, ma
senza risultato.
Furono create poi due leggi, la 349 del 1986 e la 241 del 1990, che sancivano il diritto
del cittadino di accedere alle informazioni disponibili presso le PA.
Legge 241: il diritto di accesso è un vero e proprio diritto soggettivo, giuridicamente
protetto ed esercitatile da chiunque ne abbia l’interesse.
L’oggetto dell’accesso è il “documento amministrativo”, cioè “ogni rappresentazione
grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto degli atti della PA”.
4. DIRITTO DI SATIRA
Innanzitutto la satira è definita come “tutte quelle manifestazioni del pensiero accomunate
dall’intento immediato di suscitare ilarità nei percettori e, contemporaneamente, tra loro
differenziate secondo la specificità dei fini ulteriori perseguiti dall’autore (politica, costume,
commerciale..) e della varietà delle forme espressive utilizzate (articolo, vignetta,
schetch).”
A causa dei suoi contenuti particolari, il diritto di satira non ha gli stessi limiti del diritto di
cronaca e di critica: non valgono i limiti della verità dei fatti e della correttezza espressiva.
La satira non risponde ad esigenze informative, non avendo quindi una tendenza alla
tutela degli interessi collettivi.
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La corte di cassazione ha fissato alcune regole, per evitare quelle condotte offensive e che
ledono l’altrui riservatezza: a satira non deve sfociare in un comportamento diffamatorio,
né insultare gratuitamente, né ledere la reputazione del destinatario;
si individuano quindi due limiti a cui il diritto di satira deve sottostare:
- Un limite interno, che coincide col grado di notorietà del personaggio che ispira la
satira: scegliendo la notorietà si rinuncia ad alcuni aspetti della riservatezza.
- Un limite esterno, che riguarda il contenuto del messaggio satirico, che va valutato
dopo e considerando il mezzo di diffusione utilizzato.
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Capitolo Secondo – L’informazione a mezzo stampa
Fascismo
La progressiva realizzazione di un sofisticato sistema di controlli amministrativi avvenne
per mezzo di un impianto normativo così complesso che non verrà sostituito per più di un
decennio.
Principali interventi:
- trasferimento all’autorità di pubblica sicurezza delle competenze che riguardano il
sequestro, e attribuzione al prefetto dell’autorità di diffidare e revocare il
responsabile della stampa;
- il responsabile (gerente) ha responsabilità oggettiva per i periodici e concorrente
all’autore per i non-periodici.
- 1926: viene creato l’Ordine dei Giornalisti e nel 1928 il relativo albo; l’iscrizione è
subordinata ad autorizzazione del prefetto.
- La composizione politica della costituente, richiedendo una continua mediazione tra
le diverse parti politiche, impedì che il dibattito desse esiti innovativi, da qui alcune
carenze dell’art. 21 (es. la mancata distinzione tra libertà di manifestazione del
pensiero e diritto all’informazione);
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2. Legge 47, legge 416, legge 62, garante, aiuti economici, anti-trust
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Sistema anti-trust:
-viene istituito il Registro Nazionale della stampa al quale sono obbligate ad iscriversi
tutte le imprese editrici di quotidiani;
-all’iscrizione al registro si aggiunge l’obbligo di deposito dei bilanci aziendali.
Il controllo del registro e dei bilanci è affidato inizialmente al Dipartimento per la
Radiodiffusione e l’editoria, nel 1990 al Garante (che nel 1990 grazie alla Legge Mammì
-223- acquista il vero e proprio ruolo di autorità di regolazione del settore, con poteri di
repressione e sanzione. Completa estromissione del governo dall’esercizio delle funzioni
amministrative in materia di stampa).
-allo scopo di consentire la riconoscibilità dell’indirizzo dell’impresa editoriale, diventa
obbligatoria l’identificazione personale di coloro che controllano l’impresa.
-per garantire l’assenza di influenze politiche dall’informazione stampata, è sancito il
divieto, per gli enti pubblici, le società a prevalente partecipazione statale e quelle da loro
controllate di possedere aziende editoriali che non siano strettamente tecniche sull’attività
dell’ente.
Possono le cooperative di giornalisti e i consorzi di coop giornalisti+coop non giornalisti.
Del tutto rinnovati quelli di tipo indiretto: (in seguito aumentano i fondi e ne beneficiano
anche gli editori di libri) :
-vengono creati due fondi speciali di contribuzione.
-mutui agevolati.
-riduzione tariffe telefono, telegrafiche, postali, trasporti.
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- Incentivazione pubblicitaria ed economica per la promozione del libro e della lettura.
- Sostegno dei lavoratori delle aziende in crisi nel settore editoriale.
3. Distribuzione e vendita
Quadro italiano caratterizzato dalla scarsa rilevanza di sistemi alternativi al normale punto
vendita.
In quest’ottica è necessario assicurare il rispetto della par condicio tra le testate da parte
dei distributori (che devono garantire la distribuzione a tutte le testate).
Per quanto riguarda i venditori, essi hanno bisogno di un’autorizzazione alla vendita
rilasciata dal comune(tiene conto della densità popolazione e caratteristiche di una zona,
ecc.); l’attività può essere svolta solo a livello familiare, parità di trattamento a tutte le
testate.
Legge 108 del 1999 sperimenta la distribuzione dei giornali in rivendite di generi di
monopolio, bar e distributori di benzina con una certa superficie per vedere se le vendite si
dividono o aumentano.
Il più grande problema del sistema è considerato la strozzatura del processo di
distribuzione, causa secondo i più della scarsa vendita rispetto agli altri paesi europei.
4. La professione di giornalista
L’attività giornalistica è stata per la prima volta vista come professione nel 1925, dopo la
legge che aveva costituito l’Ordine dei Giornalisti.
C’era il fascismo, e la gestione degli albi fu attribuita al sindacato unico fascista dei
giornalisti, che con una legge successiva ottenne forti poteri di controllo ideologico sulla
composizione dell’albo. Nel ’44 la gestione passò ad una commissione nominata dal
ministro di grazia e giustizia, ma per il resto fino al 1963 tutto restò invariato.
L’istituzione di un ordine professionale sembrava necessario x garantire la preparazione,
la serietà e l’integrità morale dei professionisti; e si riteneva che agli organi di gestione
degli albi andasse affidata la tutela sindacale dei lavoratori.
Ci sono forti perplessità circa la compatibilità dell’ordine dei giornalisti con la libertà di
manifestazione del pensiero.
Il primo aspetto della discussione è che le qualifiche professionali previste dalla legge
sono formalmente molto rigide ma spesso c’è un’analogia delle mansioni.
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Inoltre la legge non definisce esplicitamente l’oggetto di questa professione, e non esiste
neanche uno specifico percorso formativo che ne dia il titolo.
La disciplina del praticantato è inoltre molto carente, poiché per poter sostenere la prova
di idoneità di giornalista professionista è obbligatorio aver passato un periodo di tempo nel
mondo del lavoro. Ma l’ammissione a quest’ultimo è del tutto arbitraria, perché il datore di
lavoro non sceglie in base a criteri precisi.
Altro contrasto sulla contrapposizione tra la definizione di libera professione e la
condizione giuridica di lavoratore subordinato la supremazia gerarchica del capo vincola
l’attività intellettuale e quindi la manifestazione del pensiero.
A proposito invece della libertà di coscienza del giornalista, c’è stato un rafforzamento
della clausola di coscienza ovvero il diritto del giornalista di lasciare il posto di lavoro ma
mantenendo il trattamento di fine rapporto e senza necessità di preavviso,nel caso di un
sostanziale cambiamento nell’indirizzo politico del giornale.
Sempre nella stessa ottica ci sono degli obblighi per l’editore e il direttore responsabile
(esplicitare programma politico, far partecipare sindacato alla formulazione delle politiche
aziendali.. ).
Il Codice di Deontologia Professionale, previsto dalla legge 675 sulla privacy, nato x la
prima volta nel 1998.
In sostanza il codice ribadisce la specificità della professione giornalistica, che è protetta
dall’ art. 21 comma 1 e 2 della Costituzione e quindi costituisce esercizio della libera
manifestazione del pensiero, e non è assoggettabile a controllo preventivo come
l’autorizzazione e la censura.
Per quanto riguarda gli obblighi da osservare durante la raccolta dei dati personali, il
giornalista deve rendere nota la propria professione ed identità, e lo scopo della raccolta.
Deve inoltre evitare pressione psicologica o simili.
Se la redazione ha DB deve pubblicizzarle insieme al nome del responsabile del
trattamento.
Il giornalista può trattare dati sensibili purché siano fondamentali ai fini della completezza
dell’info.
Per i minori coinvolti in fatti di cronaca, ai giornalisti è vietato rivelarne il nome o altri
elementi che li facciano identificare. In questo specifico caso il diritto alla riservatezza
prevale su quello di cronaca.
Dipende dal consenso dell’interessato la pubblicazione o meno di fotografie in stato di
detenzione o con le manette ai polsi.
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Capitolo Terzo – L’informazione Teatrale e cinematografica
Teatro
Lo Statuto Albertino del 1848 nell’articolo 28 si occupava solo della libertà di
manifestazione del pensiero a mezzo stampa, non considerando le altre forme di libertà di
espressione.
Per questo motivo il legislatore ordinario fu molto più severo nei confronti delle altre
discipline, come il teatro e in seguito il cinematografo.
Innanzitutto c’era la legge di pubblica sicurezza del 1859, che assoggettava tutte le attività
di pubblico intrattenimento ad una licenza di polizia. Non erano stati stabiliti però dei criteri
precisi per assegnare o meno questa licenza, quindi era tutto a discrezione dell’autorità di
pubblica sicurezza.
Nel 1865 oltre alla licenza, per i soli spettacoli teatrali venne aggiunto l’obbligo di
un’autorizzazione prefettizia, che era rilasciata previo accertamento del rispetto della
moralità, dell’ordine pubblico, ecc.
Era consentito anche vietare lo svolgimento di rappresentazioni già autorizzate e
sospenderle durante lo svolgimento.
Viene introdotta però anche una garanzia per i soggetti interessati: la negazione delle
autorizzazioni doveva essere motivata, e contro questa motivazione si poteva fare ricorso.
Nel periodo fascista abbiamo il testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (t.u. della
P.S.), che mantengono le disposizioni autorizzatorie precedenti. Vengono però
reinterpretati i criteri del rispetto ordine pubblico, moralità ecc. (es. non si può parlare male
del governo, del papa, delle leggi, incitare a illegalità e vizi..).
Nel 1935 si istituì l’Ispettorato per il Teatro .
Cinema
Per quanto riguarda il settore della cinematografia, esso viene per la prima volta
disciplinato nel 1926 con il t.u. della P.S.
Fu introdotta una triplice autorizzazione: sui soggetti che esercitavano attività
cinematografica, sui gestori dei locali, sui locali stessi.
Le autorizzazioni venivano rilasciate in base a criteri tecnici (professionalità, caratt. dei
locali) e criteri personali (morale): la competenza era del Ministro degli Interni.
C’era inoltre l’obbligo per i produttori di pellicole o di spettacoli teatrali di registrarsi
all’autorità locale di PS.
Alla fine del periodo fascista, nel 1945, un decreto legislativo abrogò gran parte del
sistema fondato sulle autorizzazioni, tranne il compito di vigilanza delle autorità di polizia,
che mantiene il potere di far osservare il divieto di tenere rappresentazioni che possono
turbare l’ordine pubblico o contrari alla morale.
Resta in vigore anche l’obbligo di licenza di polizia per le manifestazioni in luogo pubblico
teatrali o cinematografiche: i criteri seguiti per dare queste licenze sono però solo riguardo
all’agibilità dei locali e idoneità dei luoghi.
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Nel ’31 il potere di concedere o negare il nulla osta (che può essere revocato in ogni
momento) era affidato al Ministro della Cultura Popolare, affiancato da una commissione
di consulenti (madre, colonie, fascista, magistrato).
Nel ’62 viene eliminato ogni criterio di carattere politico nella valutazione x il nulla osta,
l’unico criterio è il buon costume.
Per il teatro la revisione è obbligatoria solo per le riviste e le commedie musicali, per tutti
gli altri spettacoli basta che il gestore della sala ne vieti la visione ai minori di 18 anni.
Le competenze per la revisione di film e teatro furono attribuite:
nel 1993 al Garante dell’Editoria e Radiodiffusione
nel 1995 al Presidente del Consiglio
nel 1998 al Ministero per i Beni e le Attività Culturali
inoltre il procedimento di revisione oggi rimane solo per le opere cinematografiche.
C’è un dibattito sulla c.d. “censura cinematografica”, tra chi vorrebbe togliere ogni controllo
e chi lo vuole mantenere.
Indicativo di una tendenza è il disegno di legge del 1998 dell’On. Veltroni (allora
ministro beni e attività culturali), oggi decaduto per fine legislatura:
il d.l. modificava radicalmente le disposizioni x la revisione , e allo scopo di uniformare la
disciplina italiana con quella europea, la tutela in via amministrativa del buon costume
viene mantenuta esclusivamente nei confronti degli adolescenti (si può vietare agli under
18 ma non a tutti).
Viene affermata una nozione di buon costume non limitata alla sfera sessuale.
Inoltre non è sufficiente una punibilità soltanto penale dei reati di oltraggio al buon
costume, è necessaria anche la coscienza e la volontà di delinquere. Senza di esse non
esiste il reato, ma tuttavia circolano pellicole oltraggiose.
Cinema:
- 1927: introduzione dell’Istituto della Programmazione Obbligatoria, e tutta una serie
di iniziative economiche (contributi e premi alla produzione);
- Forme di credito agevolato e anticipi sulle spese di produzione;
- Ai gestori delle sale cinema veniva imposto di riservare una quota delle giornate di
proiezione alla visione di produzioni italiane;
- Creazione dell’Istituto Luce, compiti propagandistici, e del Centro Sperimentale per
la Cinematografia con compiti di formazione culturale e professionale (// Accademia
Arte drammatica);
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Il presente
Promozione
Legge n.6 del 2001, che ha disposto la trasformazione obbligatoria da enti pubblici a
fondazioni di diritto privato degli enti definiti di interesse nazionale nel settore della musica.
Nuovi enti come il circuito dei Teatri Stabili e l’Ente Autonomo di Gestione per il Cinema,
che ha il compito di fornire una produzione nazionale di qualità artistica e culturale.
All’interno di questo ente operano l’Istituto Luce, Cinecittà e Italnoleggio.
Sostegno economico
1965 programmazione obbligatoria: per almeno 25 gg a trimestre devono essere proiettati
film con determinate caratteristiche nazionalità italiana di autore, regista, attori; esterni
girati qui; idoneità tecnica e artistica;
Questo dà accesso a mutui, contributi, premi qualità, esenzioni e abbuoni;
1994 legge 53
regola i rapporti tra cinema e TV no passaggio in tv di film prima di 2 anni, nel caso di
co-produzioni con tv criptate 1 anno; tv deve dare quota di programmazione a prod.
nazionali.
istituisce registro SIAE,
rende facoltativa la programmazione obbligatoria,
disciplina anti trust legge 287 del 1990, posizione dominante maggiore del 25%
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