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I INCONTRO (6 MARZO 2010)

Tecniche di progettazione partecipata

Sara Seravalle (Urbanista, Politecnico di Milano)

La progettazione può dirsi partecipata solo quando gli attori contribuiscono in modo attivo al
raggiungimento di scelte e di decisioni. Il processo partecipativo è finalizzato ad accrescere il
livello di condivisione delle scelte.

Tutte le tecniche di progettazione partecipata (Ost, town meeting, planning for real) si inseriscono
in un percorso, che solitamente prevede l’articolarsi di tre fasi:

1) DISGIUNZIONE  apertura ai diversi punti di vista. Organizzazione di eventi come


occasioni finalizzate alla moltiplicazione delle idee
2) (?) [MOLTIPLICAZIONE DELLE OPZIONI E DISCUSSIONE] confronto dei diversi
punti di vista]
3) CONGIUNZIONE  l’insieme eterogeneo delle proposte viene riassemblato in un progetto
condiviso

Esercizio
Organizzare una festa di condominio rispondendo alle seguenti domande:
- che tipo di festa è?
- quante persone sono invitate?
- dove si svolge la festa?
- come si invitano le persone?
- quanto dura la festa?
- cosa si vuole proporre?
- a che cosa siamo disposti a rinunciare?
- su che cosa non si discute?
- su che cosa si può discutere negoziando?

CONDIZIONI PER L’ORGANIZZAZIONE DI UN OST


- si cerca di organizzare un evento creativo
- si cerca di farlo con il più alto numero di partecipanti, partendo dalle persone che si hanno
più vicine
- si sceglie un tipo di iniziativa e la si arricchisce con le idee di tutti
- si sceglie un luogo e ci si dà un appuntamento, prediligendo l’invito porta a porta
- non si parla del problema, e si cerca di bandire tutti i discorsi critici. Si cerca di stabilire
un’atmosfera rilassata
- si informeranno i non presenti con un verbale/resoconto, comunicando anche la data del
prossimo incontro, e specificando quale potrà essere il loro contributo
- prevale la logica dei piccoli passi (logica che spesso spiazza le istituzioni)
- si tratta di un processo a forte carica identitaria, perché è un processo in grado di riattivare
un senso di appartenenza e di rete.

La prima fase, quella di preparazione di un qualsiasi processo partecipativo deve mirare alla
costruzione della fiducia (fase di outreaching). In questa fase la comunicazione deve essere
virale. Tecniche utili per il raggiungimento di questo obiettivo possono essere:
- storie di vita
- osservazione partecipante
- ascolto attivo
- scenario workshop
Fase di outreaching = creare fiducia
Corteggiare
Coinvolgere
Responsabilizzare
Scambiare informazioni (preferibilmente in modalità face2face)
Moltiplicare idee
Costruire protagonismo locale
Consolidare iniziative di successo

Un processo può realmente dirsi di tipo partecipativo quando:


diritto di parola  diritto di ascolto
diritto di contraddittorio  diritto di moltiplicazione delle idee
diritto di maggioranza  diritto di creazione (creatività)
Questo è un processo senza vinti, né vincitori, è un processo a somma zero (win-win)

La partecipazione serve a svegliare “il can che dorme”, ma ha anche un costo. Bisogna capire
quanto le persone sono pronte a mettere in gioco in termini di impegno, perché spesso pensano
che si tratti di una perdita di tempo, o di un’attività impegnativa. Per poter superare questo tipo
di timori sono necessarie alcune condizioni fondamentali:
- mettere al centro gli INTERESSI COMUNI e non le singole percezioni
- responsabilizzare e fare insieme
- rappresentare tutti gli sguardi (anche le idee apparentemente ignobili)
- aprire un dibattito creativo e visionario
- considerare imprevisti ed emozioni alleati
- creare sinergie autonome, anche attraverso il web

Si tratta di una strada caotica e complessa, ma che finirà con il stupirvi  STUPORE
II INCONTRO
L’Open Space Technology

Gerardo de Luzenberger
(Scuola Superiore di Facilitazione – Genius Loci facilitation & development)

Confusione = caos = ost

L’ost nasce dall’intuizione dell’americano Harrison Owen, consulente aziendale, antropologo.


Organizzò il convegno internazionale di questa scuola di cui faceva parte ed impiegò due anni di
preparazione. Tutti invece parlarono dell’esperienza dei coffee break, che era l’unico aspetto non
organizzato. Quando decise di riorganizzare un altro convegno cercherò di codificare in qualche
modo un coffee break. La gente ama i coffee break perché parla solo di quello che veramente
interessa e lo fa solo con persone che hanno gli stessi interessi e nel breve spazio strettamente
necessario per discutere di quell’argomento. E questo è l’ost. Su Internet breve guida
www.scuoladifacilitazione.it breve guida open space technology, sulla sezione biblioteca. Comunità
open space su www.openspaceworldmap.org e www.openspace.com e www.openspaceworld.com .
Parlare di open space significa anche parlare di spazi. Cartoncini con istruzioni.

Importanza dello SPAZIO nel processo di apprendimento. Forse il titolo non serve, ma forse il
“cosa ci faccio qui?” può essere il titolo più adatto. Guardare le persone presenti. Pensare alle idee,
alle energie degli altri a tutto quello che si può fare partendo dagli altri. L’argomento è talmente
importante che può anche essere non dichiarato.
Sessioni di lavoro e report relativi.

Fase: Invito a tutti per dichiarare un problema sul quale si vuole lavorare. Scrivere su un foglio un
problema che si vuole discutere con il proprio nome e poi indicare l’area di lavoro e l’ora. Attaccare
il biglietto sulla bacheca

4 principi:
1. chiunque venga è la persona giusta. Si tratta di comprendere anche posizioni conflittuali.
Atteggiamento aperto e di ascolto

2.qualsiasi cosa accada è l’unica che possiamo fare. Quello che succederà è l’unica risorsa che
possiamo avere. Togliersi i paraocchi, aprire lo sguardo. Massimizzare la propria presenza per
cogliere ciò che accade.

3. quando comincia è il momento giusto. Cavalcare l’onda della creatività.

4. quando è finita è finita. Una discussione potrebbe esaurirsi presto.

Legge unica che governa l’OST: la legge dei due piedi: se in qualsiasi momento ci si ritrovasse
nella statuizione di non esser nel posto giusto  spostarsi dovunque per noi sia utile. Non siate
miseri! Ascoltare la voce interna e andare dove si vuole. Legge del rispetto reciproco. Levarsi da
una situazione che non è produttiva. Libero me stesso e gli altri dalla mia presenza disinteressata.

Si può anche decidere di essere dei BOMBI o delle FARFALLE, che è quello che fanno i loro
omologhi in natura. Le farfalle volano, si posano su altri luoghi… stanno con noi ma
apparentemente non volano. Forse stanno aspettando una sessione successiva per andare dove si
sentono meglio. Forse hanno bisogno di riflettere su qualche cosa che poi sarà molto importante
dopo.
Il bombo è l’impollinatore. I bombi nell’ost traghettano le idee da un gruppo all’altro.

Chiunque abbia proposto un gruppo può coordinare il gruppo o quantomeno prendersi cura del
gruppo. Fare il report.

Abbiamo proposto problemi simili: si fa lo stesso gruppo? Si possono unire due gruppi simili,
purché quelli che li hanno proposti siano d’accordo.

Sessione nella quale vorrei partecipare a molti gruppi, mentre ce ne è un’altra in cui non c’è nulla.
Rimodulare il programma, spostando l’argomento ad altro momento, ma sempre con il consenso di
chi ha proposto il gruppo.

Ammonimento finale dell’ost: siate pronti ad essere sorpresi! Se le aspettative saranno


completamente soddisfatte l’ost non ha funzionato, mentre raggiunge il suo obiettivo nel momento
in cui le aspettative di ognuno cambiano sulla base di quanto abbiamo appreso da altri.

Dopo le varie sessioni: novità serali durante una sessione plenaria. Ognuno dice quello che ha
voglia di dire, se ne ha voglia.

Sottostimare la partecipazione: su 100 persone circa 1/3 delle persone può avere una proposta, circa
8 ad area. Avere sempre aree di riserva, tenere preparate aree di lavoro di riserva in caso servano.

Solo le persone sanno di che cosa hanno bisogno: anche se non parlano può andar bene lo stesso.

Darsi delle regole all’interno del gruppo: può succedere che poi alla fine si finisca di parlare del
metodo anziché dei contenuti del gruppo. Non si può sapere a priori quale può essere il metodo
giusto. Approccio tradizionale alla progettazione partecipata del tipo “crocerossina”: far parlare tutti
(empowerment). Il facilitatore fa in modo che tutti partecipino, nell’open space invece non ci sono
facilitatori, è tutto spontaneo. L’idea di fondo è che nell’ost si dà l’opportunità, se poi uno se la
vuole prendere sa di poterlo fare, altrimenti va bene lo stesso. Di solito si devono preventivare
almeno tre giornate, perché durante la prima si chiacchiera solo, è invece di solito alla terza giornata
che si inizia a parlare del dove, come etc… L’idea che c’è sotto l’ost è che nell’ambiente artificiale
si ricreino le condizioni naturali.

Regali dell’ost
1. come forma inaspettata di leadership
2. luogo di pace dove il conflitto può essere espresso  apertura degli spazi
3. la performance  auto-organizzazione e auto-selezione volontaria. All’inizio prevale il
conformismo, ma man mano che si va avanti i bombi e le farfalle cominciano a volare. Solo quando
loro cominciano a volare l’ost è nel suo pieno, perché ci si libera del conformismo. Sotto tutto
questo però c’è un grande rispetto per gli altri, per quello di cui hanno bisogno
4. bisogno dell’ansia della performance: il dover uscire con i risultati, con qualcosa. Una delle
regole è non avere fretta di arrivare alle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera del
viaggio. Liberarsi dall’idea che il risultato è la cosa più importante. La parte più utile è il processo,
è importante quello che accade casualmente. Le cose si imparano in modo disinvolto. Bisogna
imparare ad amare il caso, la creatività è frutto del disordine
5. ma che fa il facilitatore dell’ost? La cosa più difficile è lasciare andare le cose da sè. Il controllo è
subdolo, è la cosa alla quale siamo più abituati. Gli unici principi sono qui e ora. Bisogna lasciare
andare la cosa, abbandonare il luogo. Finché resti nella stanza sei il punto di riferimento, ti verranno
a chiedere cose alle quali non c’è una risposta sempre. Si deve ribaltare la domanda “tu che faresti
al mio posto?” “fallo!” L’unica cosa che si può fare è andarsene. Questo significa credere nelle
persone. Il facilitatore deve essere presente, ma assolutamente invisibile. Che cosa fa? Si occupa dei
report, tiene pulito, si prende cura dello spazio, che deve essere accogliente, che invoglia a lavorare,
mettere a posto le aree di lavoro quando la gente ha finito di lavorare. Esserci, ma lasciare che le
cose seguano il loro corso.

Autoselezione volontaria: il cerchio normalmente mette a disagio le persone, può essere fonte di
disagio. Fogli a terra, perché l’idea è che tutto è un viaggio, non deve essere agevole, deve poter
costare un piccolo sacrificio. Il messaggio che si deve veicolare è che non si deve essere obbligati a
fare nulla. Qui l’idea è molto diversa da quella che vede la partecipazione come una cosa che deve
essere vissuta tutti insieme, condivisa.

Ost come grande invito a lavorare. L’invito deve parlare la lingua della gente. Mettere a
disposizione delle persone tutto quello che potrebbe essere utilizzato.
Tema della sostenibilità dei risultati  l’obiettivo dell’ost è che poi le persone si muovano da sole.
Nell’ost non è il risultato che conta. L’idea è che se io voglio che le persone si muovano è che le
persone arrivino fino dove vogliono arrivare. Mai fare il passo più lungo della gamba

Scale della partecipazione:


- zero partecipazione
- primo livello = informazione
- secondo livello = individuazione dei bisogni
- terzo livello = consultazione
- quarto livello = decidiamo insieme cosa fare
- quinto livello = facciamo insieme

Come si passa dalla fase di discussione alla fase di convergenza? Due criteri di fondo: 1) essere
inclusivi; non si tratta di scegliere la proposta migliore, ma di valorizzare tutti i contributi 2) l’ideale
è che la fase di convergenza giunga dopo un ost di almeno due giorni e mezzo. L’idea della
convergenza è che tutto proceda per far emergere i punti in comune di tutti i contributi.
- distribuire a tutti la copia di tutti i report
- lasciare un quarto d’ora circa per farsi un’idea di quello che è successo durante le sessioni di
lavoro (lettura di tutti i report)
- scrivo tutti i titoli delle proposte sul muro
- idea dei bollini: 5 voti ciascuno, votare le proposte che si ritiene siano più interessanti/utili
da portare avanti.
- Come traghettare alla vita normale, di tutti i giorni quello che è stato prodotto durante l’ost

Apertura dell’ost:
1. focalizzare il gruppo. Presentazione dell’ost da parte del committente. Girare nel cerchio e
far guardare le persone, comunicando di far uscire le energie. Comunicare l’idea del qui e
ora. Silenzio
2. lanciare il tema. Lanciare la domanda e spiegare il tema cercando di non mettere a disagio le
persone. Indicare tutti gli elementi (programma – bacheca – copertina del report). Spiegare
come funziona la bacheca. Bacheca a matrice  tendenza a riempire gli spazi 
comportamento da compitini. Bacheca per giorni  più disordinato, ma focalizzato più
sugli argomenti. Dal centro spiegare come funziona la bacheca. Mi metto in ginocchio,
scrivo l’argomento (xxxx) con il mio nome. Ribadire che non si è obbligati a farlo. Attacco
il foglio sulla bacheca, ci attacco il post it con l’ora e l’area di lavoro. Poi si può spiegare il
meccanismo del report. Spiegare anche come funzionano le aree di lavoro. L’ideale sarebbe
lavorare in un unico grande ambiente. (attenzione all’acustica)
3. spiegare come funziona il metodo: 4 principi + la legge dei due piedi + bombo + farfalla
4. finita questa fase si lascia spazio alle domande  il facilitatore si allontana, si mette in
ginocchio in disparte
5. raccolta delle proposte. Quando finisce la raccolta delle proposte? Imparare ad aspettare. C’è
un momento in cui il facilitatore si sente che è finita. Da quel momento aspettare ancora 5
minuti… ricordare di dire: “quando avete finito tornate ai vostri posti”. Fare un po’ di
terrorismo “non ci sono più proposte. Ma a questo punto vi è chiaro che se uscite da qui
pensando: è tutto bello, ma peccato che non si è parlato della cosa più interessante, sapete
già di chi sarà la colpa.” Ricordate a questo punto del pennarello rosso, che servirà ad
aggiungere sulla bacheca ulteriori altre proposte che verranno strada facendo.
6. spiegare il report [check Avventura urbane - Torino loro hanno lanciato un format]
7. raccolte le proposte si spiega il report e l’agenda: unione dei gruppi e spostamenti.
8. si chiude con l’ammonimento finale: preparatevi a stupirvi. Se le vostre aspettative saranno
pienamente soddisfatte l’ost non avrà funzionato.

Wiki (what i know is)  parola hawaiana che significa veloce

La preparazione (fase di outreach) è fondamentale, come è fondamentale il dopo. La ownership può


rimanere in mano al facilitatore oppure può passare direttamente ai partecipanti.
Il passaparola è fondamentale. Va bene l’invito, ma occorre il tam tam. “Il problema di tutti è la
mancanza di comunicazione”  ma quanto ci mettono a comunicarsi un pettegolezzo? Il problema
è un problema di canali e di modalità. La fase di preparazione serve a testare la domanda di
apertura. L’elemento di volontarietà è fondamentale.

La domanda di apertura deve parlare la lingua di quelli che parteciperanno, di quelli che
partecipano. Il facilitatore deve tradurre le domande del cliente in domande per i partecipanti.

L’OST è uno strumento efficace in presenza di particolari condizioni e funziona solo in una
situazione che comporta:
(cinque condizioni)
1. l’esistenza di un problema reale e concreto su cui lavorare
2. un’elevata complessità
3. molteplici punti di vista
4. una conflittualità diffusa
5. la necessità di trovare una soluzione

“puoi portare il cavallo al fiume ma non puoi costringerlo a bere”.

Obiettivi piccoli, semplici, passo dopo passo.

COME SI CHIUDE UN OST


The talking steak of ceremony. Giro finale con campanellino. Chi ha il campanellino
rispettosamente parla e gli altri rispettosamente ascoltano. “c’è molta poesia a stare zitti se non si ha
nulla da dire” (Lucio Dalla).
III Incontro
La gestione del conflitto

Marianella Pirzio Biroli Sclavi

Cercare una modalità di gestione dei conflitti diversa da quella che prevede vittime e vincitori.
“Getting to yes” (1981) + “getting past no” (come si fa a far partecipare le persone che si rifiutano
di negoziare, perché per loro la negoziazione è già una sconfitta) Testi di riferimento dal quale si
apprende a come gestire i conflitti a partire dai quartieri-ghetto. MIT nel Massachutes e Harvard.
Retroterra culturale di Obama madre antropologa. In questa scuola si sviluppa il metodo della
ADR + consensus building = “confronto creativo” (Sclavi), metodo adottato in molti contesti,
soprattutto nel contesto politico.

2006 primo incontro internazionale su democrazia deliberativa e gestione dei conflitti. Con la
partecipazione i conflitti aumentano perché crescono gli interessi e gli interessi sono contrastanti.
Non può esistere democrazia deliberativa senza gestione dei conflitti. Il battito tra i politologi della
democrazia deliberativa e i teorici dei conflitti è stato sempre separato, e va unendosi solo di
recente, grazie all’intervento della MIT.

È importante il lavoro del comitato che poi deve gestire il prodotto venuto fuori da tutte le proposte.
Rivista “Riflessioni sistemiche” (rivista on line).

Esperienza livornese LabLab, con sperimentazione dei workcafè

La ADR nasce attraverso un’analisi delle buone pratiche (dove il gradimento è espresso da tutte le
parti)  Consensus building approach quando il metodo è applicato alla sfera pubblica – progetto
unico a gradimento di tutti. Upgrading della democrazia = la democrazia rappresentativa nasce
nella prima metà dell’800 insieme all’invenzione del telegrafo = metodo ritenuto prima impossibile
che prevede che tutti i cittadini siano informati sulle stesse cose.

Principi che animano la democrazia deliberata:


Diritto di parola
Diritto di contradditorio
Diritto di voto
Formula di regolazione dei conflitti che è una conditio sine qua non per l’affermazione della
democrazia, ma si tratta di un processo che funziona bene e linearmente soltanto nei casi più
semplici. In tutti i casi contraddistinti da complessità, il processo deve essere un altro
Upgrading della democrazia
Diritto di parola  Diritto di ascolto (che si esercita quando gli altri ci fanno delle domande)
Diritto di contradditorio  Diritto di collaborare nella moltiplicazione delle opzioni
Diritto di voto  Diritto alla co-progettazione creativa

1. Se vuoi capire devi assumere che l’altro ha ragione  fare delle domande per capire come
mai l’altro pensi di aver ragione. Capire le preoccupazioni di fondo dell’altro. “vediamo se
ho capito… stai dicendo questo?”.
2. le opzioni non sono solo bianco/nero, ma si moltiplicano e il ragionamento è basato sulle
opzioni avanzate da tutti. Contradditorio = A/B che blocca il processo di crescita delle
opzioni
3. costruzione dell’asse portante della nuova idea  progetto finale che molto spesso è
accettato all’unanimità. Riconoscono la bontà del processo proprio perché hanno contribuito
a crearlo. Di fronte a questo, il voto di maggioranza è il minimo e non il massimo. Si fa solo
quando si dichiara il fallimento. Importante è dichiarare il fallimento. Per avviare questo
processo tutti i partecipanti devono dichiararsi disponibili = accettare le regole. Il facilitatore
è garante del fatto che queste regole vengano rispettate.

Consensus building handbook di Susan Podziba  Chealsea Story

“Dammi i tuoi input ed i tuoi feedback”. Confronto creativo = il documento si scrive tutti insieme.

7 requisiti del confronto creativo (Cfr. articolo su “Riflessioni sistemiche”).

Ogni gruppo decide delle regole ad hoc che sono importanti nell’ambito della propria cultura di
riferimento.

Il processo partecipativo è sempre consultivo, ed è giusto che sia così. Noi eleggiamo i nostri
rappresentanti i quali sono eletti a decidere per tutti. È molto importante anche definire una
scadenza del processo, trattandosi di processi lunghi ed impegnativi.

ADR
- il primo passo è l’ascolto, ascoltare in modo creativo. Bibliotecaria (dice silenzio + rimette
le cose a suo posto) la finestra diventa il filtro attraverso il quale si capisce tutto quello che i
disputanti dicono. Bibliotecaria (quella che ha studiato la gestione dei conflitti)  mette la
finestra da parte, cercando di ascoltare solo le motivazioni  passaggio dalle posizioni agli
interessi, che permette di passare alla moltiplicazione delle opzioni. Questo processo non è
naturale, anche se sembra banale, una volta compreso. L’esito di questo processo è sempre
un esito equilibrato, che è sempre diverso da quelli prospettati inizialmente. In questo tipo di
processo il facilitatore non è né mite, né duro, ma alternativo. È mite con la persona e duro
sul problema = più c’è contesa, più bisogna essere miti con le persone, ma risoluti nella
gestione del problema. Si mettono a fuoco gli interessi e non le posizioni (principio della
reciprocità); si inventano nuove opzioni. Nessuno in un processo del genere sa dove andrà a
parare. Il negoziatore insiste su criteri oggettivi.

Nuovi principi della governance. I principi della democrazia deliberativa devono essere
implementati, non bastano più.

“Minoranza scontenta”: (diritto di ascolto delle minoranze) irreggimentare il singolo e le minoranze


vs “niente per noi senza di noi”. Ogni minoranza ha diritto di ascolto al di là delle percentuali. Tutte
le minoranze devono essere ascoltate e devono prendere atto di questa considerazione.

“Interesse generale”: posizione al di sopra delle parti in virtù del potere acquisito vs l’interesse
generale è il risultato di un processo creativo “tutto il mondo in una stanza”.

“Terreni comuni” (= appartenenza data per scontata in un ordine pre-moderno): Valori e legami
ereditati e scontati vs Valori costruiti congiuntamente

“Partiti”: incanalatori della volontà dei cittadini vs garanti del gioco dell’ascolto. L’attuale
situazione crea uno iato tra il momento partecipativo universale della votazione e i processi
decisionali. Il ruolo dei partiti deve essere rivoluzionato e scegliere per l’alta politica, quella che
assicura l’ascolto.

Importanza dei simboli in questo processo.


Legge di Ashby – Maestro: Curt Lewin fondatore della scuola legata al MIT.

Importanza della fase di outreach (corteggiamento)  uso della metodologia della storia di vita 
trasformazione delle interviste in restituzione polifonica presentata agli attori istituzionali attraverso
la viva voce. Può essere utilizzato per aprire l’OST. Inizio con proiezione delle frasi su uno schermo
di supporto alla consegna iniziale.

Importanza anche della formazione della popolazione per i facilitatori. Le persone che partecipano
al corso si mettono a disposizione per fare le interviste e far partecipare la gente. I facilitatori poi
vanno ad organizzare riunioni nei club, nelle case, nei bar, vanno a presentare il processo
partecipativo.

Fase “la città esplora”  smettere di iniziare a discutere dei problemi senza vederli. Invitare le
persone a vedere fisicamente i luoghi dei quali si parla. L’idea di fare in modo che il processo di
partecipazione all’Aquila decolli in modo tale da far partecipare

L’Aquila  Google earth www.comefacciamo.com si possono caricare le foto del dopo-terremoto


che vanno caricate su una mappa su streetview. Queste foto serviranno per popolare la mappa di
googlemap. Clickare su google-earth flag sulla costruzione tridimensionale. Sull’Aquila attualmente
esiste soltanto il castello realizzato in 3d. proposte di ricostruzione. Orologio e mappa del tempo
che dipende da quali immagini sono state caricate ad animare il sito. Spostare la linea del tempo nel
futuro per sperimentare ipotesi di ricostruzione.

Planning for real


Uso del plastico. Esperienza fatta in seno a Avventura urbana (Torino). Si tratta di un evento. Si
organizza un percorso lungo un tragitto fatto di cartone dove si segnalano le proprie preferenze. La
parte più importante è lo spirito che si crea  crescita del senso di responsabilità. Non si tratta di un
referendum, ma ognuno presenta le proprie idee. Importante è la commistione tra esperti e pubblici
cittadini. Le indignazioni possono anche esistere, ma devono coesistere con altre forme. In un
approccio di ascolto attivo, non si deve arrivare allo scontro, perché poi il processo si blocca lì.

USO DELLE MAPPE


Quello che stiamo vivendo è anche una sorta di rivoluzione rinascimentale con il supporto dei
media. Un evento da proporre anche nella fase di outreach: mostra.

Modello del processo:


1. la città ascolta
2. la città esplora
3. la città propone
4. la città decide

RISOLUZIONE DEL PROBLEMA A NOVE PUNTI


Si disegnano nove punti. Si disegnano tre volte i nove punti e bisogna collegarli con 4 linee sena
mai alzare la penna.

… … …
… … …
… … …
Questo esercizio è molto importante, bisogna uscire dagli schemi. Il primo principio è quello di
cornice, il secondo quello di cambiamento. Tutti i tentativi sono dentro lo schema, ma la soluzione è
fuori dallo schema. Cambiamento.2 è la differenza, è il cambiamento fuori dalla cornice.
La cornice non è un punto di vista, ma un insieme di punti di vista. L’uscire dalla cornice è una
dinamica completamente diversa. Questa è la differenza tra problem solving e problem setting.
Double loop: uscire dal problema guardando al problema in modo diverso. Il problema è: che cosa
voglio ottenere? Es:crocifisso sì/no  l’obiettivo è che voglio ottenere un dialogo interreligioso. Il
problema non è allora il crocifisso, ma creare spazi interreligiosi  guardo esempi nel mondo che
hanno trovato alternative. Partire dall’obiettivo di fondo e poi rivederlo.
C2 = operazione razionale a posteriori = prima trovo la soluzione e poi me la spiego. Mentre mi
muovo non ho nessuna garanzia, è un’azione che crea incertezza, insicurezza, perché esploro mondi
sconosciuti. L’ascolto attivo è l’uscita dal quadrato. Il meccanismo automatico di interfacciamento è
quello di affermazione/replica. L’uscita potrebbe porsi come mancanza di senso, che però acquista
un suo senso una volta che trovo la soluzione. Riconosco la razionalità a posteriori. Io agisco come
se la soluzione ci fosse, ma non so quale sia. Devo avere fede, speranza e carità. Fiducia che la
soluzione c’è, speranza che ce la posso fare, carità che apprezzerò gli errori fatti sulla strada.

Allenamenti per abituarsi all’ascolto attivo:


situazione di partenza = situazione di contrasto. Atteggiamento argomentativo in cui ci si trova
direttamente immessi. La prima cosa che devo fare: non devo avere la presunzione di aver capito
quello che ha detto l’altra persona  ripeto con altre parole quello che ha detto l’altro  parafrasi.
Bisogna ripetere le cose ponendo molta attenzione alle emozioni espresse da ciascuno. Dico:
“fammi capire bene quello che hai detto” “se ho capito bene lei dice che…” bisogna essere molto
fedeli a quello che è stato detto, ma cercando di abbassare il tiro. A questo punto la persona,
sentendosi ascoltata, riesce a fare un passo avanti, spiegando ulteriori cose. Di nuovo il facilitatore
ripete esattamente, fa una nuova parafrasi e la persona si sente tranquillizzata e poi “bene questo ci
aiuta a capire il tuo punto di vista”. Si ascolta senza dare una risposta! Nell’ascolto attivo non si
deve pensare alla soluzione. Prima regola: non arrivare alla soluzione. Rimandare l’appreso nel
modo più comprensibile per loro, riproponendolo in forma più distesa. La sostanza è: il solo aver
dato una parafrasi più accettabile da parte di ciascuno, che riconosce le ragioni di tutti è un primo
passo. È un processo che mette da parte i difetti e valorizza le qualità. Una risposta efficace è non
rispondere, cioè non dare una soluzione. Provare a ripetere con senso di rispetto e riconoscimento è
già un’uscita dal quadrato. Rinunciare a dare la soluzione = sintesi di empowerment.
Processo in sintesi attraverso tre punti:
1. Parafrasi
2. i sentimenti (rendere espliciti i sentimenti)
3. il motivo che ha portato a quei sentimenti

Provare a chiedere: esistono dei punti in comune del vostro lavoro?  trovare dei punti di accordo

Chris Argyris  esercizio che viene sottoposto ai manager nelle politiche di gestione dei gruppi.
Pensare ad un’occasione concreta in cui questo conflitto si manifesta. Dividere il foglio a metà: non
detto (quello che penso e provo, ma nono dico) vs detto (quello che dico)

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