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EUGAD is one of the actions that implement the European Commission Programme of Public awareness and education
for development in Europe
EuropeAid Contract: DCI-NSA ED/2008 153-791
Programme reference: EuropeAid/126341/C/ACT/Multi
Interview to Stakeholders
Reference for EDUCATORS and MEDIA OPERATORS
by Wilma Massucco
Serge Latouche, Professor of Economic Sciences at the University of Paris - Sud (France), is an expert of economic
and social connections between North and South of the world and the main exponent of the Degrowth theory
Let's give a name to the future: Development or Degrowth? Are these two theories, both named to face the most urgent
human and environmental issues of our planet, in strong opposition each other or shall we find a point of connection to
make the world, through the two different approaches, really sustainable?
The so-called “society of growth” has been inducing Advanced Countries to consume as much as possible, no
matter of their real needs. This way of living implies a strong increase of depression, stress, psychosomatic
deceases, impoverishment of relational goods, i.e. a general worsening of the quality of our life; and the natural
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EUGAD : European Citizens working for the global development agenda
EUGAD is one of the actions that implement the European Commission Programme of Public awareness and education
for development in Europe
EuropeAid Contract: DCI-NSA ED/2008 153-791
Programme reference: EuropeAid/126341/C/ACT/Multi
resources of the planet are going to come to an end as well. We, common people, however, usually do nothing
to change this style of life as we don’t realize all of that: our brain has been colonized by the religion of the
economy of growth.
Degrowth (Decrescita in Italian language, in French: décroissance) is a provocative slogan, finalized to point
on evidence the absurdity of growth for growth, i.e. infinite growth in a limited world, as it is for the modern
rich societies
As a matter of fact, the Degrowth movement don’t ask for a reduction of consumptions all over the world. It
asks the Advanced Countries to strongly reduced their consumptions (or, better, to consume in a sustainable
way), in order to allow the Developing Countries grow more and more (as these last Countries really need to
increase their consumptions in order to improve the quality of their life).
The Degrowth approach implies a theoretical approach (the so – called 8 R: Re-evaluate, Re-conceptualize,
Re-structure, Re-localize, Re - distribute, Reduce, Re - use, Recycle - see for more information the book, by S.
Latouche, La scommessa della decrescita) and a political approach (see for more information the book, by S.
Latouche, L'invenzione dell'economia). The theoretical approach is revolutionary and aims to a radical change
of mind, while the political program is moderate, as it needs compromises – and time - to be applied in the
concrete society.
A reduction of GDP (Gross Domestic Product, i.e. PIL in Italian language) may be not sufficient to
effectively improve the quality of life, of environment , of the relational goods. It’s however a must, to be
accompanied with a real change of mind of common people, i.e. the decolonization of brain.
The military expenditures have a significant weight on the value of GDP. As consequence, those who -
supporting Degrowth - choose to reduce the value of GDP should reduce, firts of all, their military
expenditures. Together with the military expenditure we must consider also the costs for citizens security
(recently increased a lot after the communication campaigns focused on developing fear among common
people). They are both levers which can be used to exercise power on people, and we should reduce both. But
then, what about those Countries which, deciding not to reduce their PIL and as consequence not even their
military expenditures as well? Will these Countries exercise more power than the Countries which will chooce
the Degrowth approach? ..... it's a hard issue
The Degrowth theory can’t cooperate with the Sustainable Development theory: for Serge Latouche,
Development can’t be sustainable, for definition. It implies growth, however. As consequence, he points on
evidence the Degrowth approach just because he wants to intentionally break with the paradigm of
Development (no matter of the international imbalance which might derive).
Read in the following the article, written integral edition- Italian language
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EUGAD : European Citizens working for the global development agenda
EUGAD is one of the actions that implement the European Commission Programme of Public awareness and education
for development in Europe
EuropeAid Contract: DCI-NSA ED/2008 153-791
Programme reference: EuropeAid/126341/C/ACT/Multi
di Wilma Massucco
Sono queste due teorie, Sviluppo e Decrescita, entrambe nominalmente votate ad affrontare le grandi problematiche
umane e ambientali del nostro pianeta, in stretta contrapposizione tra loro, o potremo trovare un punto d'incontro che
permetta di costruire davvero, attraverso il contributo di entrambi gli approcci, un pianeta migliore?
Chiudiamo gli occhi per trenta secondi e pensiamo alle tre cose che augureremmo ai nostri figli o ai nostri nipoti o ai
nostri migliori amici. Credo che la maggioranza di noi, almeno così risulta dalle statistiche, abbia pensato a una buona
salute, un lavoro dignitoso e pieno di soddisfazioni, un sacco di amici, una vita piena. Bene, se così è, chiediamoci ora
in che modo questi parametri si rapportano con la crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo), cioè con la crescita di quel
parametro che misura il movimento di denaro, e che fino ad oggi è stato considerato dagli economisti come il principale
indicatore del benessere ….
Prof. Latouche, cosa intende dire quando afferma che la ricchezza ha un carattere molto più patologico della povertà?
La società della crescita, la società dell’opulenza, ha tradito la sua promessa: non felicità bensì ricerca ossessiva di
efficienza, prestazioni, riduzione dei costi, flessibilità, profitto. Una società e un’economia sull’orlo di una crisi di nervi,
votati alla
frenetica accumulazione di beni di consumo, a cui si accompagnano aumento dello stress, dell’insonnia, delle turbe
psicosomatiche, delle malattie di ogni tipo (tumori, crisi cardiache, allergie varie). A seguire spese di compensazione e
di riparazione (medicine, trasporti, svaghi) resi necessari da una vita moderna, in cui i beni relazionali, legati cioè alla
qualità delle relazioni umane, si impoveriscono sempre di più. Viviamo in una società che è stata fagocitata da
un’economia che ha per unico fine la crescita, all’infinito. Si deve produrre e consumare sempre di più. Produrre per
consumare e consumare per produrre. Solo che nel medesimo tempo si distruggono le risorse naturali, che sono infatti
in via di esaurimento.
possibile, attraverso crescita, crescita, consumo, consumo. Bisogna invece cambiare il nostro rapporto con la natura.
L’uomo non è padrone della natura ma fa parte della natura: dobbiamo vivere in armonia con essa invece che sfruttarla
senza limiti, dobbiamo comportarci da giardinieri invece che da predatori. Il che si potrebbe assecondare ad esempio
attraverso la Rilocalizzazione della produzione: uno yogurt può essere prodotto impiegando il latte della fattoria del
vicinato. Non si tratta di consumare meno yogurt. Si tratta di consumare yogurt fatto in altro modo. Se consumiamo a
Km zero, allora lo sfruttamento delle risorse naturali si riduce molto (non abbiamo più bisogno di congelare il cibo, di
trasportarlo per 8.000 Km).
Dobbiamo anche valorizzare la lentezza invece dell’accelerazione: quindi, ad esempio, rispetto al cibo, contrastare il
Fast Food con lo Slow food. Il progetto Slow food fa totalmente parte della decrescita, prodotti stagionali, di ottima
qualità, più tradizionali, piuttosto che prodotti fatti male, con troppo zucchero, troppo sale, che portano all’obesità.
Si tratta di decolonizzare, dis-economicizzare il nostro immaginario: il che non è una cosa che si può fare con la presa
del Palazzo d’Inverno di Pietrogrado. E’ un processo molto più complicato, è una trasformazione sociale. Siamo entrati
nel capitalismo a poco a poco, non da un giorno all’altro, e usciremo sicuramente dal capitalismo, per amore o per
forza, ma non lo faremo da un giorno all’altro.
Come è attuabile, in concreto, il passaggio da una società votata alla crescita ad una società votata alla decrescita?
Il progetto della Decrescita percorre due livelli: quello della concezione teorica, e quello dell’applicazione sul piano
politico. Non offre un’alternativa, ma una matrice di alternative, che devono essere poi contestualizzate, di volta in
volta, in funzione della realtà specifica di un certo Paese. Ci sono comunque dei tratti che possono essere comuni a tutte
le società, e che possono essere sintetizzati nel percorso di interdipendenza che ho definito delle 8 R (vedi nota a
margine). Si tratta di cambiare valori e concetti, mutare le strutture, rilocalizzare l'economia e la vita, rivedere nel
profondo i nostri modi di uso dei prodotti, rispondere alla sfida dei paesi del Sud del mondo. Questo è il primo livello, e
non basta per essere concreto. Si capisce bene che “cambiare i valori" non può essere l’oggetto di un programma
politico. Il progetto, rivoluzionario nella sua concezione teorica, deve essere poi affiancato ad un programma politico
(vedi nota a margine), necessariamente riformista, e le cui riforme si devono introdurre a poco a poco. La distinzione tra
il progetto ideologico e il programma politico è importante. Il progetto ideologico è di rottura totale, mentre un
programma politico può essere realizzato solo attraverso dei compromessi.
Qual è il ruolo dello Stato nel promuovere una politica effettivamente a sostegno della Decrescita?
Come già detto, il progetto della Decrescita è un progetto politico, ma per come conosciamo lo Stato direi che non
possiamo avere fiducia in esso. Basta pensare a quello che sta succedendo in Grecia. Il popolo greco ha votato per un
programma e si vede imposto un programma totalmente diverso, che non ha scelto. Dobbiamo ricostruire dal basso tutta
la politica, e pensare ad un’altra forma di organizzazione sociale, piuttosto che allo Stato, in quanto Stato Nazionale. Per
fare questo ci vuole un movimento forte, che possa interpellare i politici, e che possa esercitare un contropotere. Penso
che dobbiamo resistere, e fare la dissidenza.
Basta far diminuire la crescita del PIL per far crescere la salute degli ecosistemi, della qualità della giustizia, delle
buone relazioni tra i componenti di una società, del grado di uguaglianza, del carattere democratico delle istituzioni?
Questi parametri, ripsetto al PIL, sono tra di loro in un rapporto a somma zero o possono essere tra di loro in un gioco a
somma positiva?
Anni fa un ex responsabile della Banca Mondiale aveva capito che la crescita del PIL porta alla crescita del benessere
materiale, ma oltre un certo valore non porta alla crescita del benessere vissuto. Si guadagna sempre di più ma allo
stesso tempo si deve spendere sempre di più per compensare i danni accelerati dalla crescita, e controbilanciare i
cosiddetti disturbi della crescita. Ha pertanto avuto l’idea di calcolare ciò che ha chiamato Genuine Progressive
Indicator, i.e. indice del progresso autentico o del benessere vissuto. Questo parametro differisce dal PIL per sottrazione
delle spese di compensazione e di riparazione, i.e. le spese generate dalla crescita. Si è verificato, per tutti i Paesi che
l’hanno calcolato, che questo valore cresce e supera il PIL fino agli anni ’70, ovvero fino al termine dell’era fordista.
Poi, negli anni 70, quando cioè si passa al neoliberismo, questo parametro diminuisce e scende, in concomitanza sempre
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EUGAD : European Citizens working for the global development agenda
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con l’aumento del PIL. Se ne consegue dunque che se riduciamo il PIL il GPI aumenta? Se il PIL decresce tante cose
migliorano, ma sicuramente non tutte. Questo non basta. Il progetto della Decrescita va molto al di là di un meccanismo
così semplice. Si deve necessariamente cambiare l’immaginario collettivo, questa è la cosa importante.
Per i Paesi in Via di Sviluppo la crescita è un’aspettativa, non è un problema. A questi Paesi cosa diciamo? Smettiamo
tutti di crescere?
Abbiamo sentito il bisogno di utilizzare questa parola forte, provocatoria, di decrescita, per liberarci dall’impero
dell’economia e per riaprire la strada alla diversità. Con questo non stiamo cercando la decrescita per la decrescita. In
realtà tante cose dobbiamo far crescere: qualità della vita, dell’aria, dell’acqua … tutto ciò che è stato distrutto dalla
crescita. Non si tratta neppure di dire ai popoli dell’Africa di decrescere: questo sarebbe un’assurdità, loro hanno
bisogno di consumare di più per vivere meglio. Si tratta di decrescere noi Paesi occidentali, e di molto anche, per
permettere a loro di crescere un po’ e di vivere meglio.
Se un Paese diminuisse la crescita del PIL automaticamente dovrà diminuire le spese militari. Ma se le spese militari di
tutti i Paesi non diminuiscono contemporaneamente, succederà che i più potenti militarmente, cioè quelli che
decideranno le politiche future, saranno proprio quelli che non avranno rinunciato alla crescita del Pil. Questo non
significherebbe che in futuro comanderanno proprio quelli che non rinunceranno alla crescita del PIL?
Sicuramente collettività quali quelle presenti in Bolivia, Ecuador, neo-zapatisti del Messico – hanno bisogno di una
forza militare per fare opposizione. Ora quello che vedo di più pericoloso è la militarizzazione della società. Vedo una
forma ibrida tra il militare e il poliziotto. Sta avvenendo una “poliziotizzazione” della società, che va di pari passo con
la militarizzazione. Mettono avanti l’insicurezza, la paura dell’insicurezza, per rafforzare il controllo sociale e
trasformare le cosiddette società democratiche in forme di totalitarismo, di Stato militare. Questo naturalmente è una
grande sfida. Ma non ho la soluzione a tutti i problemi del mondo ...
Non sarebbe meglio mettere l'accento sulla Partnership mondiale per lo sviluppo sostenibile e sulla rigenerazione delle
risorse umane, sociali e ambientali dove è più facile costruire collaborazioni, invece che porre l'accento sulla
"decrescita" , il che potrebbe invece provocare squilibri internazionali?
Non si può fare compromesso con lo Sviluppo sostenibile. Perché lo Sviluppo non è sostenibile. Lo sviluppo impone
una crescita, e la crescita è sempre infinita. Bisogna parlare di decrescita proprio per uscire da questo paradigma.
Decrescita - definizione
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produzioni globalizzate (cioè non locali), sia alla radice delle problematiche ambientali di lungo termine e
delle grandi diseguaglianze sociali, e per questo ritengono necessario da un lato ridurre i consumi dei Paesi
ricchi e dall’altro optare verso un modello di consumo sostenibile, basato cioè sull’impiego di risorse locali e
di produzioni realizzate sul posto, i.e. a km zero. Si tratta in sostanza di promuovere un nuovo stile di vita, che
non comporterebbe però un martirio individuale e la riduzione del benessere. Al contrario, la felicità e il
benessere aumenterebbero, proprio perché riducendo i consumi e il tempo dedicato al lavoro, si potrebbe
dedicare più tempo all’arte, alla musica, alla famiglia, alla cultura e alla comunità.