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Stefano Balassone I Mass Media fra società, potere e mercato 23/05/2010

book in progress - sezione I Mass Media e Società


capitolo 3: Mass Media e Stati
Abstract
La sovranità statale rispetto ai prodotti della comunicazione: chiuso – almeno
in occidente – il fronte ideologico, si è aperta la questione fiscale

Mass media e Stati..............................................................................................................................1


Ideologia...................................................................................................................................1
Fisco .........................................................................................................................................1

Mass media e Stati


Ideologia

Ogni potere statuale è sempre stato sensibile, da che mondo e mondo, alle correnti di idee che
percorrono la società. Gli imperatori romani scelsero un monoteismo come religione di Stato, da un
lato venendo incontro al completamento della unione mediterranea, dall’altro volendo tenere sotto
controllo ogni comportamento potenzialmente centrifugo, che partendo dalla religione potesse
trasmettersi alla struttura dello Stato. Questo aspetto del potere statuale è passato in secondo piano
nelle società europee che, da un paio di secoli, sono tenute insieme dal “mercato”, anziché dalla
forza fisica assistita da una narrazione metafisica, e per questo praticano la laicità. Resta da vedere
se e quanto la estensione della forma-mercato ad altri Stati (in particolare Cina, Paesi islamici)
produrrà effetti analoghi e se e quanto potrà risentirne il rapporto “liberale” fra i Mass Media e i
poteri statuali che si è affermato nelle società occidentali sulla spinta degli Stati anglosassoni.

Fisco

Al di là dei rilevanti, ma anche scontati, profili ideologici, è interessante osservare che la


comunicazione, mentre cresce di importanza economica tende, con la digitalizzazione e il web, a
perdere le radici statuali per divenire “impresa mondo”, con risvolti pesanti per i singoli Stati, che
hanno difficoltà a rilevare e tassare la attività delle imprese coinvolte. Il problema è recente.
Finché il cinema e la televisione dominavano nella loro forma classica, la situazione si è retta su un
solido equilibrio di interessi: da un lato gli USA, ovvero l’industria più forte, erano tranquillamente
a favore del libero commercio degli audiovisivi; dall’altro lato molti Stati erano preoccupati di
arginare la preponderanza USA e inventavano norme più assistenziali che protezionistiche in nome
della cosiddetta “eccezione culturale”, che giustificava trattamenti di sostegno ai produttori
nazionali (attraverso norme generali e/o “suggerendo” comportamenti di favore da parte delle tv
cosiddette di “Servizio Pubblico”).
La situazione è cambiata con l’espansione di Internet e con il profilarsi di ingenti flussi di ricavi per
i gestori della rete (motori di ricerca come Google, Yahoo etc), nonché per coloro che vendono e
acquistano di tutto on-line (dai prodotti finanziari ai libri). Il punto è: chi paga le tasse a chi? Se in
Italia compro un libro italiano messo in vendita su Amazon e segnalato da Google, l’IVA sul
prodotto è incassata dagli USA, dove risiedono Amazon e Google o anche dall’Italia, ovvero dal
Paese che fornisce sia il contenuto che il denaro?. A seconda di come si risponde alla domanda che
abbiamo appena posto si intacca o si conferma la sovranità e l’equilibrio economico degli Stati, e
conseguentemente la sicurezza che i debiti pubblici siano rimborsati, le pensioni pagate, gli
ammortizzatori sociali siano operativi, le infrastrutture civili e militari siano allestite etc..
Riportiamo, di Massimo Mucchetti (28 gennaio 2010), la messa a punto del problema.

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Stefano Balassone I Mass Media fra società, potere e mercato 23/05/2010
book in progress - sezione I Mass Media e Società
capitolo 3: Mass Media e Stati
C’ è un’azienda che vende pubblicità in Italia per 5-600 milioni di euro, è in rapida crescita nonostante
la recessione e però non figura in nessun rapporto ufficiale. C’è, insomma, un soggetto che fattura
inserzioni per una cifra pari o superiore a quelle che, sul mercato domestico, realizzano le
concessionarie degli editori più forti, da Rcs Media Group al Gruppo Espresso fino alla Mondadori,
ma non viene considerato nemmeno in quel calderone che è il Sistema integrato delle comunicazioni
censito dall’Agcom, l’Autorità di garanzia delle comunicazioni. Lo si direbbe un editore misterioso se
non fosse comico definire in tal modo un’azienda della notorietà di Google.

La filiale italiana, Google Italy, dichiara ricavi inferiori ai 20 milioni per lo più derivanti da servizi
resi a Google Ireland che, per conto del quartier generale di Mountain View, coordina le attività in
Europa, Nord Africa e Medio Oriente. La Guardia di Finanza di Milano aveva ipotizzato l’evasione
fiscale partendo da indagini secondo le quali Google Italy rappresenterebbe una stabile
organizzazione della multinazionale in Italia e non solo un punto di appoggio. In verità, all’Irlanda
interessa solo avere i 1500 posti di lavoro che Google vi ha collocato perché nell’isola non si
pubblicano i bilanci delle holding e, giocando con le royalty, non si pagano nemmeno le imposte.
Pazienza se questo dumping fiscale e regolatorio inquina il resto dell’Unione europea. Ma non tutto
ormai fila liscio. La Turchia, su un caso analogo a quello milanese, ha comminato a Google una multa
di 32 milioni di euro. La Francia si accinge a varare una legge che tassa alla fonte, con modalità che
potrebbero fare scuola, le attività di Google realizzate a partire dal suolo francese ancorché, come
quelle italiane e turche, siano astutamente fatturate online da Dublino

Sul terreno della fiscalità e della regolazione globale si profila il conflitto con l’America di Barack
Obama. La Casa Bianca è schierata senza se e senza ma a difesa degli interessi dei colossi dell’online.
Tra i primi atti di Obama c’è la sostituzione del presidente della Fcc, l’Agcom americana, con Julius
Genachowski, un partigiano della net neutrality, ostile a qualsiasi discriminazione nella veicolazione
dei contenuti sulla banda larga da parte delle compagnie di telecomunicazioni che pure vi dovrebbero
investire montagne di denaro.

In apparenza, sembra la rincorsa al più uno nella gara della libertà. In realtà, è il conflitto tra due
industrie: i motori di ricerca, Google in testa, contro le telecomunicazioni e la loro filiera industriale,
la prima radicata nella California obamiana, l’altra nel resto del mondo, e soprattutto in Europa. Ed è
singolare che, siccome hanno una patria, telecomunicazioni ed editoria subiscano una stringente
regolazione, mentre Google fa il furbetto a Dublino. E ora sfrutta i profitti della pubblicità
comodamente deregolata quale trampolino di lancio per entrare nella telefonia mobile con Adroid e
addirittura nel trading dell’energia elettrica.

Va segnalata la vertenza USA-Google vs Cina, in cui i due fattori di contrasto, ideologico e


economico, si presentano al massimo grado. Nonché, da ultimo, l’analogo scontro con gli interessi
editoriali italiani, che hanno accolto con un silenzio complice la condanna, da parte di un tribunale
italiano, di tre dirigenti di Google per la pubblicazione di un video di maltrattamenti a un giovane
down. Le ragioni di tali comportamenti sono ancor meglio spiegabili osservando le cifre del
bilancio di Google nella Sezione III.

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