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Introduzione

Questa guida è la prima di cinque puntate, pensate come supporto agli utenti che si addentrano
per le prime volte nel mondo della fotografia digitale. A questa guida, che vuole essere un aiuto
per chi deve scegliere la prima fotocamera, seguiranno quindi altri articoli con diversi temi:

• Inquadratura
• Esposizione
• Profondità di campo e istogrammi
• Struttura delle fotocamere reflex

Non è certo facile parlare di tecnica fotografica se non si conosce la preparazione e il livello del
proprio interlocutore, prima di tutto perché la fotografia è un'arte, in secondo luogo perché
abbraccia uno svariato numero di applicazioni, ognuna delle quali si caratterizza per parametri
propri e linee guida particolari. La scelta migliore è quindi quella di partire dall'inizio e
cominciare assieme il viaggio che ci porterà dall'acquisto dell'agognato “scatolotto raccogliluce”
alla stampa di stupendi paesaggi, ritratti, animali o tutto quello che scolpito dalla luce attirerà la
nostra attenzione.

L'acquisto: tra le centinaia di apparecchi che troviamo nelle vetrine o sugli scaffali vi chiederete
quale è quello che fa per voi? Vi lascerete sedurre dal prezzo? Dai megapixel? Dalle
dimensioni dello schermo LCD? Prima di tutto dovete sapere che esistono due grandi famiglie
di fotocamere digitali, entrambe derivate dalle sorelle analogiche a pellicola: le compatte e le
reflex.

Una compatta e una reflex a confronto

Le fotocamere compatte sono piccole, possono essere trasportate agevolmente nella borsa o
nel taschino della camicia, solitamente hanno la forma di un parallelepipedo e sono
caratterizzate posteriormente da un discreto schermo LCD che permette di inquadrare, cioè di
vedere, cosa si sta per fotografare. Ne esistono di tutti i tipi con funzioni e prestazioni più o
meno avanzate che fanno oscillare il prezzo dai 99 euro di fascia economica fino a 500 euro e
oltre degli ultimi modelli del mercato, caratterizzati da un sempre maggior numero di megapixel
e da una riduzione delle dimensioni. Vedremo in seguito che la risoluzione del sensore non è
tutto e che spesso le pubblicità a riguardo possono anche ingannare. I pregi principali di questo
tipo di fotocamera sono:

• La trasportabilità, potete averle sempre con voi.


• La facilità di utilizzo, attraverso software interni dedicati permettono di ottenere quasi
sempre immagini limpide; bisogna solo osservare cosa si sta per immortalare nello
schermo posteriore e schiacciare il pulsante di scatto.
• La velocità con la quale si può da subito fare fotografie, non serve alcuna preparazione
specifica.
• La possibilità di registrare filmati con tanto di audio incluso.

Inoltre i modelli più avanzati permettono di regolare manualmente i parametri di scatto dando
maggiore libertà creativa a chi le usa; il prezzo poi è abbordabile e anche senza svenarsi si può
portare a casa una bella macchina. Se il vostro interesse è quello di fotografare per tenere dei
ricordi degli amici o delle vacanze senza dovervi preoccupare troppo di come fare, una
compatta è sicuramente la macchina che fa per voi. D'altra parte, una compatta lascia poco
spazio all'interpretazione personale. In condizioni di luce critiche come l'alba oppure il tramonto
o un concerto potreste non ottenere mai il risultato sperato e se va male, ottenere solo delle
macchie colorate. Il limite tecnico che viene imposto dal software di elaborazione non può
essere superato e ci si dovrà accontentare di come la fotocamera vede la realtà.

Fotocamere reflex

La famiglia delle reflex sarà quella sulla quale in futuro spenderemo più parole perché
oggettivamente permette il controllo totale; si può interpretare la realtà a proprio modo e nelle
situazioni di luce critiche ingannare il software e superarne i limiti tecnici. Con questo non si
vuole togliere nulla alle fotocamere compatte, come dice il titolo ogni artigiano usa degli attrezzi
specifici, il trucco sta nel servirsene propriamente ed essere coscienti di cosa la macchina fa, di
come la macchina “vede”.

La fotocamera reflex è concettualmente, quindi meccanicamente diversa da una compatta.


Semplificando molto, una compatta vede la realtà attraverso l'obiettivo, la elabora e la
trasferisce sul display; il fotografo non può intervenire in alcun modo in questo processo
totalmente automatizzato. Osservando una compatta si nota che oltre allo schermo è presente
anche un mirino ottico attraverso il quale si può inquadrare ma purtroppo questo mirino non
restituisce la stessa inquadratura che legge la macchina poiché non è collegato in alcun modo
al sistema di lenti dell'obiettivo: è solo un vetro cui guardiamo attraverso. Con l’innovazione
tecnologica raggiunta gli ultimi modelli stanno gradualmente perdendo il mirino ottico, che ormai
non viene praticamente mai usato.
Una fotocamera compatta

Una reflex al contrario permette di vedere nel mirino ottico esattamente quello che vede la
macchina. Per di più le macchine reflex hanno la possibilità di usare più tipi di obiettivi che
vengono innestati sul corpo della fotocamera, ogni obiettivo vede in maniera diversa la realtà;
se con una compatta non si può sapere cosa si sta inquadrando attraverso il mirino ottico, con
una reflex si capirà subito se è montato un grandangolo oppure un mediotele, oltre al fatto che
si può controllare finemente anche il punto di messa a fuoco.

Tutto questo è possibile grazie ad uno specchio ed al pentaprisma presente nel rigonfiamento
del corpo nella parte superiore. Lo specchio in posizione di riposo devia la luce nel mirino e
permette la visione attraverso le lenti dell'obiettivo; quando lo specchio si alza scopre il sensore
che a questo punto registra l'immagine.
Il percorso della luce in una fotocamera reflex

Quando si inquadra lo specchio devia l'immagine sul pentaprisma, attraverso vari passaggi la
luce viene riflessa al mirino esattamente come appare alle lenti. Nel momento in cui si schiaccia
il pulsante di scatto lo specchio si solleva lasciando che il sensore venga impressionato, il
mirino si oscurerà per tutto il tempo in cui lo specchio rimane sollevato.

Ecco che abbiamo già spiegato due caratteristiche principi di un sistema reflex, la visione
coerente attraverso il mirino e la possibilità di intercambiare le ottiche. Il parco ottico di ogni
casa costruttrice soddisfa tutte le esigenze, dal super grandangolo 180° al super tele obbiettivo
che permette 44 ingrandimenti. Come già accennato, attraverso la regolazione dei parametri di
scatto, ovvero tempi e diaframmi, è il fotografo a decidere la quantità di luce che colpirà il
sensore e di conseguenza è il fotografo a decidere come verrà la foto. Tutte le reflex digitali
possiedono dei programmi di scatto preimpostati che scelgono per l’utente i parametri più adatti
alla situazione, quindi anche se neofiti in materia possiamo ugualmente ottenere delle fotografie
corrette.

L'altro lato della medaglia è il costo: il corpo macchina di una entry-level non costa meno di 500
euro fino ad arrivare ai 1200 € di una pro-sumer ed agli sbalorditivi 4000 € di una professionale;
il peso e l'ingombro non permettono certo di tenerla in una borsetta, tanto più che questo
cambia a seconda dell'obiettivo che montiamo. D'altra parte se vogliamo fare fotografia con la F
maiuscola una macchina di questo tipo è di certo l'approccio più completo.

Risoluzione

Se le vostre esigenze vi fanno propendere per una compatta, potete porre attenzione ad alcuni
particolari che fanno la differenza, soprattutto se siete orientati verso apparecchi di fascia
bassa. La risoluzione (è un discorso valido per ogni tipo di macchina): ormai anche compatte da
99 euro arrivano tranquillamente alla soglia dei 5-6 megapixel che sono più che sufficienti per
stampe dettagliate in formato 20x30 cm.

Di seguito si spiegherà quale relazione esiste tra risoluzione, dimensione di stampa e memoria
occupata. Un’immagine digitale non è altro che un file, prima di tutto ponete attenzione a non
confondere lo spazio che questo file occupa sul nostro hard disk o scheda di memoria, con
quelle che sono le dimensioni della foto che questo file rappresenta. Le dimensioni della foto
vengono espresse in pixel, ovvero “picture element”: punti. Il peso del file in byte o multipli
come i MB.

Ogni pixel porta con se le informazioni colore espresse in bit di profondità, la regola ci dice che:
dati n bit di profondità colore, possiamo rappresentare 2n colori. Quindi se il sensore lavora ad
un bit rappresenteremo due colori solamente. Quasi tutte le fotocamere lavorano con 10,12 o
14 bit, ogni pixel è in grado di assumere, ad esempio, 2^14=16384 colori. Posto che 8 bit = 1
byte, possiamo calcolare quanto spazio memoria occuperà la foto generata dal nostro sensore
da 4,3 Mpixel. 2544 x 1696 = 4,3 Mpixel x 14 bit = 60,2 Mbit / 8 = 7,5 Mb. La nostra macchina a
rigor di logica dovrebbe produrre foto da 7,5 Mb, nella realtà il peso sarà effettivo intorno ai 2- 3
Mb dovuto al tipo di compressione (jpeg, tiff) ed algoritmo della macchina.

Il supporto Compact Flash è molto diffuso per la memorizzazione delle immagini

La macchina a rigor di logica dovrebbe produrre foto da 12,9 Mb, nella realtà il peso effettivo
sarà intorno ai 2-3 Mb dovuto al tipo di compressione (jpeg, tiff) e algoritmo del software
interno. Tutto questo a livello fotografico non è molto interessante ma permette di capire quali
relazioni entrino in gioco.

Tutto questo a livello fotografico non è molto interessante ma ci permette di capire quali
relazioni entrino in gioco, vediamo ora come si passa dalla risoluzione del sensore alle
dimensioni di stampa. La nostra foto 2544 x 1696 viene visualizzata a monitor con una
risoluzione dello stesso di 72 dpi (deep per inch) punti per pollice (gli schermi più moderni
hanno una risoluzione anche di 100 dpi). Un pollice equivale a 2,54 cm. Convertiamo la
risoluzione da pixel/pollice in pixel/cm 72/2,54= 28,3.

Rifacendo i calcoli precedenti si capisce che 300 dpi equivalgono a 118 punti/cm, da ciò
2544/118=21,55 cm e 1696/118= 14,3 cm. In conclusione la macchina appena acquistata da
4,3 Mpixel produrrà stampe di qualità fotografica delle dimensioni di 21,55 x 14,3 cm, portare la
stessa ad un ingrandimento 20 x 30 cm non pregiudica la qualità in modo sensibile. Ora
chiedetevi se per il tipo di scatti che volete fare vi servono veramente 10 Mpixel! Tutto questo
non per scoraggiare l’acquisto degli ultimi modelli ma per imparare cosa sta dietro e capire cosa
realmente serve e cosa si può fare con quello che si ha. D’altra parte è nello spirito del
fotografo essere curioso.
Batteria e ottiche

Batteria al litio: molte macchine entry-level non vengono vendute con batteria dedicata ma
sfruttano le normali batterie stilo; questo può comportare delle limitazioni sia di durata che di
corretto funzionamento poiché le normali stilo potrebbero non erogare abbastanza corrente per
alimentare i circuiti. Le batterie dedicate sono studiate appositamente e permettono di fare un
alto numero scatti. Se proprio dovete affidarvi alle stilo, fate attenzione a sceglierle ricaricabili
da 2500 mAh e usate il trucco di caricarle tramite un caricatore lento in maniera da favorirne la
durata. Nel caso ci si voglia rivolgere verso caricatori veloci è bene scegliere quelli 'intelligenti',
in grado di evitare una carica eccessiva, mettendo al riparo da danneggiamenti delle batterie o
situazioni pericolose.
Esempio di fotocamera che accetta batteria proprietaria e stilo

Le ottiche possono essere del tipo più disparato, in particolare per quanto riguarda la portata
dello zoom. Uno zoom è un’ottica che copre diverse lunghezze focali ovvero permette di
ingrandire il soggetto tanto più quanto la sua estensione è grande. Poche di queste, tuttavia,
coprono l'area effettiva di un grandangolo risultando quindi non pratiche nel momento in cui si
fotografano ambienti all'aperto di elevata dimensione o scene di gruppo. E' bene quindi leggere
attentamente le informazioni tecniche alla ricerca dell'effettiva area di copertura dell'obiettivo,
privilegiando le ottiche capaci di aperture grandangolari agli zoom teleobiettivo spinti.

Per facilitare la lettura delle caratteristiche viene spesso riportata la lunghezza focale
equivalente al formato 35 mm: quest’ultimo è il formato reflex standard che rappresenta la
diagonale dell’area di pellicola impressionata; nel formato reflex standard vengono considerate
grandangolari tutte le ottiche con lunghezza focale minore o uguale a 35 mm. In particolare un
buon grandangolo è un’ottica come il 28 oppure il 24 mm.

Due ottiche dedicate al sistema Alfa di Sony

Salendo in fascia medio alta, la presenza dello stabilizzatore di immagine è sicuramente una
linea di confine. Ogni casa lo chiama con sigle differenti. Attraverso un sistema di azione
reazione la macchina percepisce il movimento che le trasmette la mano e lo compensa con un
movimento uguale e contrario del sensore oppure delle ottiche. Assicuratevi che sia
effettivamente uno stabilizzatore e non solamente la capacità di aumentare la sensibilità per
ottenere tempi di scatto più rapidi, questo infatti fa crollare la qualità. Lo stabilizzatore è utile?
Decisamente si! Con l’esperienza se ne può fare a meno ma di certo è una marcia in più in
diverse situazioni di scatto. Non faremo qui test e confronti tra le diverse case costruttrici,
sfogliando le pagine del sito potete avere un idea delle diverse soluzioni presenti sul mercato,
dopo di che il vostro fotografo di fiducia saprà certamente consigliarvi per il meglio. Non ci resta
che augurarvi buona scelta!
Introduzione
Questa guida è la seconda di cinque puntate, pensate come supporto agli utenti che si
addentrano per le prime volte nel mondo della fotografia digitale. A questo indirizzo potete
trovare la prima puntata di questa guida, che vuole essere un aiuto per chi deve scegliere la
prima fotocamera, mentre nelle prossime settimane seguiranno altri articoli con diversi temi:

• Esposizione
• Profondità di campo e istogrammi
• Struttura delle fotocamere reflex

In questa seconda puntata ci occuperemo dell'inquadratura, andando a scoprire alcune semplici


regole che permettono di scattare fotografie con buoni risultati estetici. Sia per i fotografi alle
prime armi che per quelli un po’ più navigati le regole base per fare delle belle foto sono sempre
ed essenzialmente due:

• Equilibrio
• Cromatismo

Intorno a questi due concetti ruotano tutti gli artifici della tecnica fotografica. L’inquadratura è
uno degli aspetti principali che permettono di lavorare sull’equilibrio, questo perché
fotografando bisogna cercare di inserire il mondo in quel rettangolo delimitato dal mirino in
maniera armoniosa; fare si che l’immagine occupi i giusti spazi permette di ottenere un effetto
bilanciato, pulito. Lo stesso soggetto può diventare centro dello scatto oppure complemento, un
ritratto essere incisivo come un pugno o leggero come l’aria, un paesaggio armonioso oppure
drammatico.
Paesaggi

Alcuni degli errori più comuni sono quelli di lasciare troppi spazi vuoti all’interno del fotogramma
o di non tenere conto delle linee geometriche sia del soggetto che, più spesso, dello sfondo; un
ottimo esercizio per evitare questi inconvenienti e fare pratica sulla regola dei terzi e sulla
regola della diagonale.La regola dei terzi divide il fotogramma in nove rettangolini, tre sezioni
per la base e tre sezioni per l’altezza.

Val SanValentino - Canon eos 20D Tokina 80 mm; 1/400 @ F16 ISO 400
In questa foto scattata nel Parco dell’Adamello Brenta la regola dei terzi si legge in orizzontale:
il terzo più basso nel fotogramma è occupato dagli ultimi ciuffi d’erba e dalla morena in ombra, il
terzo centrale è riempito dalla montagna mentre il terzo superiore è riservato al cielo. La lettura
in verticale vede il terzo di sinistra completamente occupato, in alto dalla nuvola e al centro ed
in basso dalla montagna, il terzo centrale lascia spazio ad una porzione di cielo mentre il terzo
di destra si apre seguendo il profilo della montagna e lasciando ancora più cielo in maniera da
dare respiro all’immagine.Bisogna cercare di dividere in piani l’immagine, ogni piano ne
occuperà appunto un terzo; tenete presente che avete a disposizione nove sottospazi in cui
posizionare liberamente gli elementi compositivi dell’immagine.La regola della diagonale segue
lo stesso principio ma dividendo il fotogramma in due triangoli, uno sopra e l’altro sotto la
diagonale.
Alpone, ValDumentina - Canon eos 20D Sigma 18 mm. 1/125 @ F10 ISO100
In questa foto la divisione è estremamente semplice, terra nel triangolo in basso, cielo nel
triangolo in alto.I paesaggi sono di consueto il primo tema che si affronta nel fare fotografia, per
prima cosa perché sono lì, non si muovono! Si ha tutto il tempo di riflettere con calma e
meditare lo scatto, si potrebbe ingenuamente dire che sono facili; in secondo luogo perché la
natura offre esplicitamente all’occhio del fotografo le basi compositive di cui ha bisogno. Basta
guardare un qualsiasi paesaggio per riconoscere immediatamente quali elementi si riferiscono
al primo piano, quali al secondo e quali allo sfondo; proprio abituandosi a fare questo esercizio
si allena l’occhio a creare inquadrature, sarà così facile trasporre questa tecnica da un soggetto
statico come il paesaggio a soggetti dinamici che in una manciata di secondi vi lasciano appena
il tempo di imbracciare la macchina, esporre e scattare. La foto seguente ne è un esempio.
Lucertola, ValGrande – Canon eos 20D Sigma 200 mm. 1/125 @ F 7,1 ISO 100
Le regole dei terzi e della diagonale sono sempre valide, qualunque sia il soggetto della vostra
foto.
Architetture

Le foto che riprendono edifici, statue ed elementi architettonici vanno curate con particolare
attenzione: le linee di fuga verticali devono essere parallele tra loro e rispetto al bordo verticale
del fotogramma, stesso dicasi per le linee di fuga orizzontali; le linee di fuga che sfuggono
all’orizzonte o in diagonale devono essere simmetriche e devono evitare di spostare l’equilibrio
della foto.Quello che succede spesso è che le deformazioni indotte dall’obiettivo si risolvano in
linee di fuga non rette ma curve, gli edifici sembrano così piegarsi sopra la nostra testa oppure
spanciare ai lati del fotogramma; è un problema di natura fisica che chiama in gioco diversi
fattori:

• la focale dell’obiettivo: tutti gli obiettivi inducono deformazione, soprattutto ai bordi della
foto, nei grandangoli questo è più evidente perché nello stesso fotogramma devono far
stare più spazio, piegandolo inevitabilmente.
• La qualità dell’obiettivo: gli obiettivi economici risentono maggiormente di questo
inconveniente soprattutto se sono zoom con elevata escursione focale. Obiettivi a focale
fissa sono sempre più curati e mantengono le deformazioni.
• Il punto di ripresa: per evitare il problema delle linee cadenti si deve rimanere in asse
con il soggetto; fare riprese da angolazioni spinte, molto basse o molto disassate
rispetto la simmetria dell’edificio sono sicuramente d’effetto ma complicano
tremendamente le cose!

Per chi si appassiona alla fotografia d’architettura la scelta d’acquisto di un obiettivo ricadrà
doverosamente su un obiettivo decentrabile; questo tipo di ottica molto costosa permette di
variare l’angolazione del barilotto per compensare le linee cadenti. Lo stesso risultato si può
ottenere in maniera più casalinga attraverso le prolunghe a soffietto: dei tubi di tessuto
semirigido che si innestano da una parte sulla macchina e dall’altra sull’obiettivo; il sistema
fotografico viene sostenuto da una guida rigida che permette di modificare l’angolazione relativa
tra corpo macchina ed ottica. Per chi vuole sperimentare è sicuramente un gioco divertente ma
deve fare i conti con la grande caduta di luce che ne consegue.Ora alcuni esempi:

P.Garibaldi, Milano – Canon eos 20D Sigma 18 mm. 1/200 @ F 11 ISO 200
Le linee cadenti si notano immediatamente, il palazzo di sinistra sembra crollare su quello di
destra; tutto il complesso è proiettato all’indietro. La foto è stata scattata con un grandangolo da
una posizione troppo bassa e disassata, il lettore più attento può notare sul palazzo di sinistra
l’effetto barilotto introdotto dall’obiettivo che deforma le linee curvandole.La foto seguente ritrae
lo stesso edificio inquadrato da una posizione differente che permette di ottenere un migliore
parallasse, le linee cadenti sono appena percettibili, la foto mantiene una buona simmetria.

Isola, Milano – Canon eos 20D Sigma 70 mm. 1/250 @ F 11 ISO 400
D’altra parte le linee cadenti possono essere sfruttate volutamente per ottenere effetti creativi
ed astrarre il soggetto: la regola dei terzi è rispettata e le linee di fuga convogliano lo sguardo
all’orizzonte amplificando l’effetto di profondità.

Milano Marittima - Canon eos 20D Sigma 18 mm. 1/100 @ F13 ISO 400
Persone

Si è accennato precedentemente alle linee geometriche del soggetto e dello sfondo: finché il
soggetto è caratterizzato da geometrie definite, come un paesaggio o gli elementi architettonici
di un edificio, esse sono la parte principale della inquadratura ed è naturale dedicarvi maggiore
attenzione; quando al contrario paesaggi o edifici fanno da sfondo ad un diverso soggetto,
come potrebbe essere una persona, ci si dimentica della loro esistenza incappando in errori
grossolani.
Rinfresco, Milano Piazza Castello – Canon eos 20D Sigma 200 mm 1/400 @ F 16 ISO 400

Questa simpatica signora che si gode il fresco della fontana in pieno centro a Milano è stata
un’occasione da non perdere per ottenere uno scatto divertente: la posizione ed il viale che mi
separavano dal soggetto non mi permettevano di spostarmi, in più il soggetto stava uscendo
dalla fontana, così preso dal momento ho scattato senza soffermarmi troppo; le linee
geometriche dello sfondo hanno compromesso l’equilibrio della foto.

Sottolineato in rosso il cambio di piano tra la piazza ed il castello, il risultato è quello di aver
diviso la testa del soggetto a metà mentre la linea di fuga disturba l’attenzione dell’osservatore.
La giusta soluzione del problema poteva essere quella di salire in piedi sulla fioriera che avevo
di lato per abbassare l’angolo di ripresa e sperare che bastasse a far entrare la testa del
soggetto nel piano della piazza.
In questa ripresa in interno è stato il bordino del muro a compromettere la scena, di certo la
ragazza ritratta non sarebbe contenta di vedersi spuntare due linee dalla testa! Lo stesso errore
capita frequentemente al mare o sul lago, riprendendo una persona con lo sfondo dello
specchio d’acqua fate attenzione a posizionare la linea dell’orizzonte sopra la testa oppure
sotto il bacino.

L’inquadratura usata nel ritratto va’ curata a dovere: se non c’è la necessità di contestualizzare
l’ambiente è preferibile che il soggetto riempia il fotogramma lasciando pochi spazi vuoti;
un’attenzione particolare la dovranno tenere i fotografi di alta statura, abbassatevi per
fotografare le persone, soprattutto se molto più basse di voi, altrimenti rischierete di farle
sembrare dei nanetti. Tenete sempre la messa a fuoco sugli occhi, essi devono essere il polo
d’attrazione dello sguardo di chi osserva la foto. Nelle riprese a mezzo busto rispettate la regola
dei terzi ed inserite la testa del soggetto in alto, porla al centro della foto lascerebbe vuoto metà
fotogramma e non darebbe forza al soggetto.

Ritratto

In questa foto di backstage si evidenzia la regola dei terzi non rispettata: la ragazza oltre ad
essere posizionata male fa da complemento ad un contesto che non è caratterizzante; il cestino
in secondo piano è sicuramente da evitare.L’impressione è che la modella sia capitata
casualmente in uno scatto del quale non fa parte.
Backstage, regola dei terzi non rispettata, equilibrio compromesso.

Lo scatto corretto: la ripresa a mezzo busto è centrata, la regola dei terzi viene rispettata e la
modella riempie interamente il fotogramma; lo sfuocato delle foglie sullo sfondo non disturba il
primo piano ma ci informa che la ripresa è stata fatta in esterno.Non sono presenti linee di
orizzonte che spezzino il soggetto.
Francesca, Canon eos 20D Sigma 150 mm 1/80 @ F 8 ISO 100

Se il soggetto che ritraete sta compiendo un’azione oppure guarda in una determinata
direzione, decentratelo e lasciate spazio in maniera da enfatizzare il gesto e dare profondità al
suo sguardo, renderete partecipe chi guarda la foto.

Nella prima foto l'inquadratura lascia troppo spazio a destra e troppo poco a sinistra, senza
dare quindi profondità allo sguardo della ragazza. Nel secondo caso l'oservatore è coinvolto
all'interno della scena: la sua curiosità è stimolata e vuole sapere cosa ha attirato l'attenzione
della ragazza.

Facciamo un altro esempio usando un ritratto animale, la prima foto di questa civetta delle nevi
non è bilanciata, è stato lasciato troppo spazio a sinistra quando il rapace guarda dalla parte
opposta; l'inquadratura corretta nella seconda immagine, più spazio esattamente dove è rivolto
lo sguardo del soggetto.

Provate a riflettere sul fatto che quello che entra nell'inquadratura, spazi vuoti compresi, deve
completare l'immagine in maniera armoniosa e nel contempo avere un senso descrittivo. Spazi
vuoti che portano il soggetto ad essere complemento marginale dello scatto difficilmente sono
piacevoli alla vista.

Ancora una volta notate come si sia giocato sulla regola dei terzi. Tutte queste regole servono
certamente per fare pratica ma rimangono unicamente delle linee guida, sperimentare è la
parola d’ordine e questo significa anche uscire dalle regole!Buon divertimento!
Introduzione

Questa guida è la terza di cinque puntate, pensate come supporto agli utenti che si addentrano
per le prime volte nel mondo della fotografia digitale. A questi indirizzi potete trovare la prima e
la seconda puntata di questa guida, che vogliono essere un aiuto per chi deve scegliere la
prima fotocamera, e per chi si avvicina per la prima colta al concetto di inquadratura. Nelle
prossime settimane seguiranno altri articoli con diversi temi:

• Profondità di campo e istogrammi


• Struttura delle fotocamere reflex

Fotografare significa scrivere con la luce, essa è l’elemento caratterizzante la fotografia. Si può
avere una predisposizione naturale nel comporre inquadrature e chi la possiede è di certo
fortunato, risparmia metà del lavoro; purtroppo non si può nascere con il dono dell’esposizione.
Esporre correttamente significa valutare la giusta quantità di luce che deve impressionare la
pellicola/sensore per ottenere la più fedele riproduzione della situazione reale senza bruciare le
alte luci e senza annerire le basse luci.

Si cercherà in questo tutorial di introdurre i concetti necessari in maniera sequenziale, di modo


che il livello tecnico sia via via crescente e permetta anche ai neofiti di ottenere un quadro
completo che abbia una consequenzialità logica.

Agli albori della fotografia le fotocamere erano delle camere stenoscopiche in miniatura: scatole
di legno completamente sigillate tranne che per un foro su di un lato, il quale permetteva il
passaggio della luce; questa ultima colpiva la lastra di vetro e sali d’argento che fungeva da
pellicola registrando l’immagine che su essa veniva proiettata.

Quanta luce doveva entrare nella camera per ottenere una esposizione corretta? Né troppo
chiara, né troppo scura. Si doveva lavorare per tentativi poiché le lastre di registrazione erano
preparate artigianalmente ed ognuna era diversa dalle altre. Il fotografo poteva gestire un unico
parametro: il tempo. Il tempo in cui lasciava aperto il foro e permetteva il passaggio della luce.
Lasciare aperto il foro per molto tempo significava fare una lunga esposizione ovvero far
entrare nella camera più luce. La pellicola rimaneva impressionata maggiormente. Lasciare
aperto il foro per poco tempo significava fare una breve esposizione ovvero fare entrare nella
camera meno luce. La pellicola rimaneva impressionata di meno.
L'esposizione

Ancora oggi il principio è lo stesso e le moderne reflex utilizzano la tendina dell’otturatore per
aprire e chiudere il foro che permette il passaggio della luce; la ghiera di regolazione dei tempi
presente su ogni fotocamera regola il tempo per il quale la tendina rimane aperta. I numeri che
appaiono sul display o all’interno del mirino sono frazioni di secondo:

scritto B 15 30 60 125 180 200


va letto Bulb 1/15 sec 1/30 sec 1/60 sec 1/125 sec 1/180 sec 1/200 sec
La
posa bulb permette di tenere aperto l’otturatore fintanto che rimane premuto il pulsante di
scatto, è utile con scarsa luminosità o in riprese notturne.
ISO 100: 1/125, f-8 - esposizione come da esposimetro

ISO 100: 1/250, f-8 - sottoesposizione di uno stop, la foto è più scura
ISO 100: 1/60, f-8 - sovraesposizione di uno stop, la foto è più chiara

Nelle reflex analogiche sono riportati direttamente sulla ghiera dei tempi che spesso è formata
da una seconda ghiera coassiale: questa consente di tarare l’esposimetro. Ecco un utile
strumento che i fotografi stenopeici non avevano! L’esposimetro è uno strumento costituito da
elementi fotosensibili come silicio, selenio o alcuni solfuri che permette di valutare la corretta
quantità di luce espressa in EV, cioè Exposure Value o Valore di esposizione, tramite un ago
galvanometrico ed una scala graduata oppure una scala digitale su lcd. Nelle reflex digitali è
spesso rappresentato nella seguente maniera:

Lo zero è il livello corretto di esposizione, i valori positivi si dicono di sovraesposizione quelli


negativi di sottoesposizione; una foto sovresposta sarà più chiara di quella corretta, una foto
sottoesposta sarà più scura di quella corretta. Il cursore di riferimento (rosso in questo caso) si
sposta lungo la scala fornendo le dovute informazioni. Si verificherà in seguito che
l’esposimetro è unicamente un sussidio al fotografo poiché comunica solamente se la quantità
di luce è ottimale per la sensibilità che si sta utilizzando, non assicura che la foto rispetti il
risultato sperato e voluto!
La sensibilità ISO

Inizialmente si è parlato di lastre di vetro artigianali, di fatto le progenitrici della pellicola come la
conosciamo oggi; nel 1871 nasce la prima pellicola su supporto in gelatina e nel 1880 la Kodak
su supporto di carta, infine nel 1891 fa la sua comparsa la prima pellicola su celluloide avvolta
in rulli. A seconda della composizione e della granulosità del materiale chimico che compone le
pellicole, la loro sensibilità alla luce cambia. A parità di luminosità del soggetto pellicole poco
sensibili necessiteranno di tempi di esposizioni elevati, mentre pellicole molto sensibili
espongono nella stessa maniera in tempi molto brevi; da qui la divisione in pellicole lente,
rapide e ultrarapide.

A parte il linguaggio comune esiste uno standard detto ISO che è composto da due scale: la
scala lineare ASA e la scala logaritmica DIN. Ormai entrate in disuso ci si riferisce
genericamente alla sensibilità di una pellicola tramite il termine ISO lineare, lo stesso vale per la
sensibilità del sensore delle fotocamere digitali. Le sensibilità più comuni che possiamo trovare
sui sensori digitali sono: 50 100 200 400 800 1600 3200 ISO

Si dice che una pellicola è lenta se al di sotto dei 64 ISO, si capisce bene quindi che lavorando
in digitale è come se si usassero sempre pellicole rapide e ultrarapide. Maggiore è la sensibilità
a parità di luce e minori dovranno essere i tempi di esposizione per ottenere lo stesso risultato
alle diverse sensibilità.

ISO 100: 1/125, f-8


ISO 200: 1/250, f-8

ISO 400: 1/500 ad f-8


ISO 800: 1/1000 ad f-8

Queste foto sono state scattate tutte con uguale illuminazione ma a sensibilità differenti, il
risultato è pressoché identico e le esposizioni tutte corrette, facciamo alcune osservazioni:

• Raddoppiando la sensibilità si dimezza la quantità di luce necessaria alla corretta


esposizione, d’altra parte la relazione è di tipo lineare;
• Via via che aumenta la sensibilità aumenta il livello di rumore del sensore che si traduce
in un peggioramento della qualità della foto, potremmo dire che è come se
riproducessimo la granulosità più marcata delle pellicole ultrarapide;

• La quantità di luce che colpisce il sensore è espressa in funzione di una coppia di valori:
un tempo e un diaframma;
Il diaframma

La numerazione dei diaframmi è singolare ed è espressa in valori f, ovvero frazioni della


lunghezza focale dell’obiettivo che esprimono il diametro del foro attraverso cui passa la luce:
un valore f=1,4 su un obiettivo da 50 mm equivale ad un foro del diametro di 50/1,4=35,7 mm,
rappresenta un diaframma aperto; mentre un valore f=22 equivale ad un foro del diametro di
2,27mm e rappresenta un diaframma chiuso; ogni obiettivo avrà il suo specifico range di valori f
caratterizzati dall’apertura massima, indice della massima luminosità raggiungibile
dall’obbiettivo, e dall’apertura minima.

A parità di illuminazione e sensibilità esistono diverse combinazioni delle coppie tempo-


diaframma che possono esporre correttamente la stessa scena, un trucco molto semplice da
ricordare è la regola del 16: supponendo di essere in condizione di luce pari ad una giornata di
pieno sole, si esporrà correttamente utilizzando il diaframma f-16 ed il tempo pari all’inverso
della sensibilità della pellicola/sensore. Ad esempio se utilizzo 100 ISO di sensibilità il suo
inverso è 1/100, il valore di tempo standard che più gli si avvicina è 1/125 di secondo, la coppia
tempo-diaframma corretta è 1/125 a f-16. A partire da questo valore si può costruire la tabella
delle coppie equivalenti ricordando che: il diaframma esprime il diametro del foro equivalente
attraversato dalla luce, ciò significa che la superficie attraversata dalla luce è pari a
pigreco*((Focale/diaframma)/2)^2.

Coppie tempo-diaframma a diversi ISO in pieno sole


50 ISO 1/30 f-22 1/60 f-16 1/125 f-8 1/200 f-4
100 ISO 1/60 f-22 1/125 f-16 1/200 f-8 1/400 f-4
400 ISO 1/200 f-22 1/400 f-16 1/800 f-8 1/1600 f-4
Se le
condizioni di luce cambiano, anche le coppie tempo-diaframma si modificheranno facendo
entrare più o meno luce a seconda delle necessità; Ogni volta che modifichiamo il tempo
oppure il diaframma in maniera da dimezzare o raddoppiare la quantità di luce che entra nella
fotocamera si dice che si è effettuato un salto di uno stop: ad esempio se l'esposizione iniziale è
1/125;f-16 si può sottoesporre di uno stop portandosi a 1/200;f-16 oppure sovresporre di uno
stop portandosi a 1/60;f-16. Lo stesso discorso vale per i diaframmi: mantenendo il tempo ad
1/125 si sottoespone di uno stop diaframmando ad f-22 oppure si sovrespone di uno stop
diaframmando ad f-11 (vedi primo set di foto). I salti di diaframma che permettono di eseguire
salti di uno stop l’uno dall’altro sono: 1,4 - 2 - 2,8 – 4 – 5,6 – 8 – 11 – 16 – 22 – 32 ecc.

Ma allora, se esistono più coppie tempo-diaframma che espongono correttamente la stessa


scena, quale è la scelta migliore? La scelta migliore è funzione dell’effetto creativo che si vuole
ottenere, se si vuole congelare l’azione di una partita di tennis si sceglieranno tempi di scatto
brevissimi, dell’ordine di 1/500 o 1/1000; se al contrario si vuole rendere il dinamismo di un
azione o trasmettere il movimento si opterà per tempi di scatto lunghi, sotto 1/30.

Anche i diaframmi permettono di isolare il soggetto dallo sfondo (che risulta fuori fuoco) se si
utilizzano piccoli valori f, o al contrario mantenere nitidi tutti i piani dell’immagine usando grandi
valori f. La scelta è quindi da effettuarsi sulla base del soggetto.
La latitudine di posa

Sia la pellicola che il sensore hanno delle limitazioni nel registrare tutte le variazioni luminose
presenti in una scena, dall’ombra più scura al bianco più chiaro, si dice che hanno una limitata
latitudine di posa. Partendo dalla regola del 16 si possono dividere le condizioni luminose che
vanno dal pieno sole alla luce naturale di una stanza in dieci passi o, come detto
precedentemente in 10 stop, certi di rappresentare il 95% delle condizioni di scatto che
potrebbero capitare;
supponiamo di scattare ad f-8 con sensibilità di 200 ISO, ecco i tempi relativi ad ogni stop:

Pieno sole in esterni 1/1000


Una giornata di timido sole 1/500
Giornata luminosa ma con qualche nuvola 1/250
Giornata luminosa con ombre chiare 1/125
Giornata luminosa con ombre marcate 1/60
Cielo coperto 1/30
Prima di un temporale o alla fine di una giornata 1/15
Interno di una stanza illuminato 1/8
Interno di un palestra o auditorium 1/4
Interno di una stanza in luce ambiente 1/2
Per chi ha capito il gioco è facile intuire che se si è ad un concerto in un auditorium è
impensabile ottenere foto nitide scattando ad ¼ di secondo, si otterrà un risultato migliore
esponendo comunque in maniera corretta portandosi a f-3,5 e scattando ad 1/30.

Imparare a conoscere la luminosità dei propri obiettivi è molto importante, con l’avvento delle
reflex digitali è facile lasciarsi impigrire dalla presenza del monitor lcd e prestare poca
attenzione ai dati di scatto, tanto si può vedere subito il risultato! Questa è una grande comodità
ed utilità che non viene messa in dubbio ma se davvero si vuole imparare a scrivere con la luce
bisogna avere pazienza e voglia di buttare nel cestino tanti scatti. Si dovrebbe essere in grado
di guardare il soggetto e senza usare l’esposimetro sapere già come impostare la foto, fate la
prova, può diventare anche un gioco divertente e di certo aumenterà la vostra sensibilità.

Fatto questo discorso sulla latitudine di posa, si può meglio comprendere come l'esposimetro
effettui una valutazione oggettiva della scena, potremmo dire che non sa cosa si stia
fotografando e si limiti a misurare la luce media che percepisce come se questa fosse quella
riflessa da un soggetto grigio neutro, ovvero il 18% della luce incidente. Il sistema
esposimetrico delle moderne reflex si chiama TTL ovvero Through The Lens perché effettua
appunto questa misurazione attraverso le lenti dell’obiettivo. Nella pratica alcuni aspetti della
misurazione esposimetrica cambiano poiché:

• Le moderne fotocamere dotate di microprocessore possiedono una libreria di situazioni


di scatto che vengono confrontate ogni volta con il caso reale per ottenere il migliore
risultato; la macchina in realtà sa quale tipo di foto stiamo scattando.

• L'esposimetro può effettuare la misurazione in diversi modi, le reflex entry-level oramai


possiedono tutte questa opzione che fino a qualche anno fa era appannaggio di
macchine semiprofessionali.
Il controluce e i tempi di sicurezza

Capita spesso che il software di elaborazione non riesca comunque a gestire in maniera
ottimale ciò che si propone all'esposimetro, una delle condizioni più comuni che può trarre in
inganno è il controluce: dovendo fotografare un soggetto su sfondo chiaro, l'esposimetro darà
maggior peso alle alte luci provocando una sottoesposizione del soggetto. Per far fronte a
questo inconveniente il fotografo accorto saprà sovresporre volutamente di uno o due stop
rendendo visibile il soggetto altrimenti troppo scuro.

Anche il caso di soggetto chiaro su sfondo scuro presenta lo stesso problema invertito; in
questo caso, per non bruciare il soggetto, si sottoesporrà adeguatamente. Questo succede
perché l’esposimetro tratta tutte le superfici riconducendole al 18% di riflettanza quando invece,
un muro bianco riflette in realtà il 37% della luce che lo colpisce ed un cavallo nero ne riflette in
realtà il 9%. Di quanto vada effettuata la compensazione dell'esposizione è una questione di
fotocamera, obiettivo e situazione luminosa, sarà quindi l'esperienza e la confidenza con la
vostra attrezzatura a guidarvi.
ISO 100: 1/1000 ad f-8, la dominante chiara del cielo ha ingannato l’esposimetro, la torre è
quasi in silouette

ISO 100: 1/160 ad f-8, si è compensato fino a 2,5 stop per ottenere un esposizione corretta del
primo piano

Notate come il cielo abbia perso la propria tonalità azzurra a causa della
sovraesposizione;Avendo accennato alle modalità di misurazione dell'esposimetro, se ne
esemplificheranno le tre più comuni:

• Valutativa: l'esposimetro legge tutta la superficie del mirino dando più importanza ad
alcune zone di maggior interesse tonale; è l’impostazione predefinita su molte
fotocamere, le modalità di scatto automatiche utilizzano questo tipo di lettura.
• Parziale media pesata al centro: l'esposimetro legge l'80% del mirino e ne fa una media
dando maggior importanza al centro, dove solitamente si trova il soggetto; lo stesso
sistema veniva usato sulle vecchie reflex a pellicola.
• Parziale spot: l'esposimetro legge limitatamente la parte centrale; molto utile nella
caccia fotografica o negli eventi sportivi dove si vuole la certezza di esporre
correttamente il soggetto subendo il meno possibile la luce del contorno.

L’ultima parola è conveniente lasciarla ad una accortezza che a molti sembrerà banale ma che
in realtà non lo è, ovvero i tempi di scatto di sicurezza; non tutti i tempi di scatto a nostra
disposizione permettono di ottenere foto nitide, prive di mosso o micromosso. Questo è dovuto
al fatto che sia il fotografo, sia la meccanica della fotocamera, trasmettono delle vibrazioni alla
macchina che vengono registrate sul sensore e che pregiudicano la qualità dello scatto. In
generale si può affermare che il tempo minimo di sicurezza per evitare il micromosso è pari alla
lunghezza focale dell’obbiettivo che si sta utilizzando; con i teleobbiettivi sarebbe bene
dimezzare questo valore.

Esempio: se si scatta con un 50 mm, 1/60 di secondo è un tempo di sicurezza che con la
pratica può scendere fino ad 1/30 e se si è bravi ad 1/15. Al di sotto di 1/15 di secondo è
impensabile scattare a mano libera ed ottenere una foto nitida. Se si usa un teleobbiettivo ad
esempio da 300 mm, utilizzare 1/300 di secondo potrebbe già non essere sufficiente; per buona
pace della nitidezza è meglio affidarsi ad 1/600 o a tempi inferiori. In ogni caso, l’uso del
cavalletto è certamente di aiuto anche se spesso è scomodo e riduce la liberta di movimento.

Tutto ciò fa capire la ricchezza tecnica e la sensibilità che sono racchiusi in uno scatto
fotografico, due aspetti che il fotografo sa abbracciare contemporaneamente per ottenere il
risultato voluto. Anche questa volta la parola d’ordine è sperimentare, sperimentare,
sperimentare! Buon divertimento!
Introduzione

Siamo giunti alla quarta delle cinque puntate previste per questa prima guida fotografica,
dedicata ai neofiti della fotografia digitale. A questi indirizzi potete trovare la puntata introduttiva,
quella relativa all'inquadratura e quella dedicata all'esposizione. La prossima puntata, che
chiuderà il primo ciclo, presenterà in modo dettagliato la struttura della fotocamera reflex.

Nella prima parte del tutorial riguardante l'esposizione si è accennato come l'uso consapevole
di tempi e diaframmi sia il primo passo nell'interpretare personalmente lo scatto, una volta
acquisita dimestichezza nel produrre un'esposizione corretta è proprio la scelta opportuna della
coppia tempo-diaframma che trasforma una foto da leggibile ad interessante. Riprendendo
brevemente quanto detto riguardo ai tempi di scatto si può affermare che a 100 iso, con uno
zoom standard (18-55;18-85 mm) i tempi di sicurezza sono quelli più brevi di 1/125; ciò
consente di ottenere foto nitide nelle riprese di paesaggio, natura morta e ritratto.

Nel momento in cui il soggetto e la fotocamera hanno un'elevata velocità relativa entra in gioco
il fattore mosso. Il tempo di scatto da utilizzare sarà funzione dell'effetto desiderato: si vuole
mantenere nitidezza e congelare l'azione? Oppure si vuole restituire dinamismo, frenesia,
velocità? Se si opta per la prima scelta i tempi di scatto dovranno essere tanto brevi quanto più
il movimento relativo è accentuato: una persona che cammina si può bloccare a 1/125, due
bambini che si lanciano una palla possono essere congelati da 1/250 ma la palla probabilmente
sarà nitida solo a partire da 1/500. Così, una gara ciclistica od un'automobile in marcia lungo la
strada potranno richiedere 1/1000, va considerato infatti, anche come si muove il soggetto
rispetto alla fotocamera: gli sta andando incontro oppure attraversa la perpendicolare al piano
focale? Nel secondo caso il rischio di mosso sarà più elevato.

Se si opta per la seconda scelta saranno i tempi lunghi a fare da padroni: 1/30 ad una partita di
calcio, 1/15 ad un balletto o in mezzo al traffico dell'ora di punta, qualche minuto nella ripresa di
un cielo stellato. Sperimentare con i tempi lunghi è decisamente stimolante e ci si può
accorgere che gli effetti migliori li si ottengono con gli intervalli di esposizione più spinti.

Spiaggia di Acireale, 4 sec @f-22 ISO-100: l'esposizione di alcuni secondi ha reso l'effetto seta
delle onde
Tyto Alba, esercizi di falconeria, 1/200 @f-8 ISO-800: il tempo di scatto è bastato a bloccare il
corpo del barbagianni ma non quello delle ali

Il secondo parametro a disposizione del fotografo sono i diaframmi, li si è paragonati ad un


rubinetto: diaframmi aperti lasciano passare tanta luce, diaframmi chiusi ne lasciano passare
poca; la loro funzione principale è regolare la profondità di campo, ovvero l'ampiezza della zona
nitida davanti e dietro il piano di messa a fuoco.
Il Circolo di Confusione

Per capire cos’è la profondità di campo bisogna prima introdurre un altro concetto che è quello
di Circolo di Confusione: una persona, osservando un foglio bianco da circa 20-25 cm. di
distanza è in grado di distinguere due punti disegnati sul foglio che distino tra loro 1/16 di mm;
1/16 di mm. è il potere risolvente del nostro occhio, al di sotto di 1/16 questi punti non
vengono più percepiti come distinti ma diventano una sola macchiolina sfuocata, un circolo di
confusione appunto che si traduce nella distanza minima che permette di percepire due punti
come distinti. Siccome è proprio la nitidezza che ci interessa, ovvero riuscire a distinguere
dettagliatamente gli oggetti, si può già immaginare come il circolo di confusione sia
direttamente implicato nella determinazione della profondità di campo.

Quando si affrontò la questione a livello industriale, tecnologico, ci si rese conto che 1/16 di mm
era un parametro per lo più teorico e si decise così che anche 1/6 di mm (0,1667 mm) poteva
andare bene. Infatti 1/16 si ottiene sotto le migliori condizioni: luce perfetta, punti estremamente
contrastati ed osservatore sano; spesso succede che la luce non è ideale e tutti noi siamo più o
meno affetti da disturbi visivi. Agli albori della stampa fotografica industriale si notò che il cliente
in generale richiedeva stampe di piccole dimensioni, circa 5 volte le dimensioni del negativo 35
mm ed affinché un ingrandimento di questo tipo risulti nitido il circolo di confusione diventa
0,1667/5=0,0333 mm. Questo valore è quello utilizzato da molti produttori di lenti per testare i
propri obiettivi, viene espresso anche in linee pari per millimetro: 1/0,0333= 30 lp/mm; guarda
caso, 30 lp/mm è anche il massimo valore risolvente richiesto ad una stampa fotografica e così
si è assunto questo valore come standard.
Tenete conto che anche la distanza dalla quale si guarda la stampa ha un ruolo dominante,
tanto più si è distanti tanto più diventa accettabile un piccolo valore di lp/mm; per fare un
esempio pratico provate ad avvicinarvi molto ad un cartellone pubblicitario, noterete che la
distribuzione di inchiostro non è continua ma l’immagine è formata da tanti punti colorati, d’altra
parte è una stampa destinata ad essere vista da qualche metro in poi.

Assodato che il circolo di confusione è un parametro scelto dall’uomo in funzione della


dimensione di stampa da effettuare, vediamo ora come questo si lega alla profondità di campo
che, al contrario, è un preciso fenomeno ottico basato sulla scelta di un determinato circolo di
confusione. Come detto prima la profondità di campo è la zona di nitidezza davanti e dietro il
piano di messa a fuoco; quanto è estesa questa zona? Dipende dalla lunghezza focale
dell’obiettivo, dalla distanza del soggetto da fotografare, dai diaframmi utilizzati ed ovviamente,
dal circolo di confusione.

La profondità di campo

Attraverso una formula che verrà riportata in appendice si può calcolare il più vicino punto nitido
ed il più distante, che potrà spesso arrivare all’infinito; sempre in appendice si farà un breve
approfondimento per chi è già pratico nell’uso dei diaframmi, per il momento vi basti sapere che
piccoli valori f si traducono in una ridotta profondità di campo, mentre grandi valori f aumentano
la profondità di campo. Gli obiettivi a focale fissa riportano incisa sul barilotto una scala
graduata calibrata su 30 lp/mm che permette di valutare i metri di profondità di campo ad una
data apertura. Gli obiettivi zoom, proprio a causa della variabile data dalla focale mobile non
riportano questa scala, starà quindi al fotografo fare i dovuti conti: cliccando qui potete scaricare
un utile programmino freeware che facilita enormemente il calcolo!

Una credenza comune è che obiettivi grandangolari abbiano una maggiore profondità di campo
dei teleobiettivi, in realtà, a patto di inquadrare il soggetto in modo che occupi la stessa
superficie di inquadratura la profondità di campo non varia; la variabile che permette questa
compensazione è la distanza dal soggetto, passando da un grandangolo ad un tele, per poter
inquadrare nella stessa maniera bisogna infatti allontanarsi dal soggetto.

Utilizzando un diaframma aperto si ottiene un foro del diametro equivalente pari alla lunghezza
focale/valore f, maggiore è il diametro del foro equivalente, maggiore sarà la luce che potrà
passare e di conseguenza, per esporre correttamente si userà un tempo breve; questo fa si che
solo il piano di messa a fuoco sarà impressionato in modo nitido mentre gli altri piani non
avranno il tempo di fissarsi sul sensore e definire tutti i propri dettagli, il che si traduce nella
sfocatura.

Utilizzando un diaframma chiuso, il foro equivalente diminuisce il proprio diametro e fa passare


meno luce, per esporre correttamente bisognerà usare tempi più lunghi; a questo punto sia il
piano di messa a fuoco che i piani limitrofi avranno il tempo di impressionare il sensore
arricchendolo dei dettagli che li caratterizzano, il campo di nitidezza aumenta, si dice che
diventa più profondo.

L'uso consapevole della profondità di campo permette di includere od escludere uno o più
elementi dall'inquadratura, pilotando l'attenzione dell'osservatore:
Etna-1, 1/250 @ f-7,1 ISO 100: fuoco sul primo piano
Etna-2, 1/250 @ f-7,1 ISO 100: fuoco sul secondo piano
Nelle due riprese dell'etna viene esemplificato come la stessa coppia tempo-diaframma possa
concentrare l'attenzione dell'osservatore sulla texture del primo piano oppure renderla la
cornice del secondo piano; questo si ottiene con una bassa profondità di campo ed attraverso
la scelta dell'opportuno punto di messa a fuoco.Una buona linea guida è quella di utilizzare
diaframmi aperti nella fotografia di ritratto e diaframmi chiusi in quella paesaggistica: la scelta è
dettata dal fatto che nel ritratto si vuole concentrare l'attenzione sulla persona escludendo il
contorno, lo sfondo.

1/ 80 @ f-8 ISO 100, 200 mm.: l'uso del teleobbiettivo e dei diaframmi centrali ha permesso di
escludere il soggetto dallo sfondo;
1/60 @ f-22 ISO 400: la profondità di campo concessa dalla minima apertura rende leggibili sia
le montagne in primo piano che quelle sullo sfondo;

Nella fotografia di paesaggio al contrario si vuole la massima nitidezza, più dettagli possibili, la
maggiore profondità di campo che si ha a disposizione. Altri campi in cui è necessario valutare
bene la profondità di campo sono sicuramente la macrofotografia e la fotografia
naturalistica: nel primo caso le piccole distanze di messa a fuoco obbligano al corretto
posizionamento della fotocamera rispetto al soggetto ed il rischio di ottenerne delle parti fuori
fuoco deve far riflettere sull'utilizzo della massima apertura come una situazione critica da
gestire con molta attenzione; nel secondo caso l'uso di teleobbiettivi molto spinti aumenta la
percezione dello sfuocato e di conseguenza bisognerà cercare di diaframmare almeno da f-8 in
su in maniera da ottenere tutte le parti del soggetto correttamente a fuoco.

Fuoco sul primo piano 1/250 f-5 - Fuoco sul secondo piano 1/250 f-5 - Fuoco tra il primo e il
secondo piano 1/160 f-11

Istogrammi

Dopo aver parlato di tempi e diaframmi chiudiamo questo primo approccio all’esposizione
affrontando gli istogrammi. Quest’ultimi sono i grafici che riportano la distribuzione dei livelli di
luminosità. Rappresentano i valori che vanno da 0, ombra assoluta, a 255, luce assoluta; tra
questi due valori prendono posto le ombre, i mezzitoni e le luci. Valutare l’esposizione di una
foto tramite istogramma è un metodo più sicuro, anche se meno intuitivo, che farlo tramite
schermo lcd della macchina. Approssimando molto le cose si può dire che un'esposizione
corretta viene rappresentata da un istogramma che copra tutti i valori di luminosità con una
distribuzione che ricorda il profilo di una catena montuosa.

Istogramma esposizione corretta

Una foto sottoesposta sarà invece rappresentata da una coda sulla destra, mancano le
componenti chiare dell’immagine.

Istogramma sottoesposizione

Una foto sovraesposta sarà un picco a destra oppure una profonda valle tra due picchi
appuntiti, mancano le informazioni relative alle ombre.
Istogramma sovraesposizione

Valutare in questo modo gli istogrammi è veritiero quando ci si trova in condizioni standard,
quando stiamo riprendendo una scena con una buona distribuzione di luci, ombre e mezzi toni.
Capita spesso di fare foto corrette con una forte percentuale di ombre, di luce oppure con il
soggetto molto contrastato rispetto allo sfondo, allora l’istogramma potrà sembrare strano,
come se si fosse esposto in modo scorretto; attenzione, non tutti i 255 valori di luminosità
danno sempre un contributo discreto! Verifichiamolo attraverso un esempio:

Questa foto della luna, visualizzata tramite Photoshop è affiancata dal proprio istogramma
ottenuto tramite il comando Livelli, guardando l’immagine noterete immediatamente che lo
sfondo è scuro, nero, un’ombra piena. Difatti, in corrispondenza del valore zero è presente un
picco estremamente appuntito, indica che la foto possiede una percentuale molto elevata di
quel valore di luminosità, o se vogliamo giocare sulle parole, “una percentuale molto elevata di
quel valore d’ombra”!!

E’ presente una discreta distribuzione di mezzi toni ma mancano pressoché totalmente le alte
luci, se dovessimo valutare l’istogramma senza sapere a quale condizione è riferito si direbbe
che la foto è stata sottoesposta e che le ombre sono state bruciate. In realtà l’esposizione è
corretta, il fondo scuro spiega lo spike in corrispondenza delle ombre, le alte luci mancano
poiché la luna riflette la luce praticamente come il grigio neutro al 18%; per esporre
correttamente è bastato seguire la regola del 16: a 100 iso, f-16 ed il tempo di 1/100.
Come regola generale è bene evitare che l’istogramma della foto presenti delle code, uno dei
primi passi da effettuare in post-produzione è proprio quello di tagliare queste code tramite il
comando livelli, quello che succede è che si riduce la gamma dinamica dell’immagine, spesso
questo è impercettibile ed anzi, migliora la qualità della foto aumentandone il contrasto ma è
bene non abusarne per non incorrere nella posterizzazione. L’istogramma di una foto cui siano
stati modificati i livelli di luminosità e contrasto è facilmente identificabile, per semplificare le
cose si può dire che diventi più rado:
Confrontate con l’immagine precedente e notate l’aumento del contrasto. Le code sono state
tagliate, il valore di luminanza di destra viene normalizzato a 255, quello di sinistra viene
normalizzato a 0, l’immagine ha perso parte delle proprie sfumature.

Anche se verificare la foto visualizzandola sull’LCD può sembrare più comodo, è bene imparare
ad interpretare l’istogramma poiché restituisce delle informazioni dettagliate che non avremmo
modo di ottenere tramite un piccolo schermo da due o tre pollici affetto dai disturbi derivati dalla
posizione e dalla luce ambiente.

In conclusione, un esercizio utile per rendersi conto del limite al quale ci si può spingere è
quello di fare diversi scatti dello stesso soggetto variando la profondità di campo oppure
cercando di utilizzare tempi di scatto sempre più lunghi. Utilizzate l'istogramma per verificare
l'esposizione ed esercitatevi a scattare a mano libera cercando di ridurre il mosso ed il
micromosso.

Appendice Profondità di Campo

Parlando di profondità di campo ci si è fermati al suo concetto generale ma non si è


approfondito come questa viene calcolata e se è possibile definirla prima di scattare. Per
dipanare questa matassa bisogna introdurre il concetto di distanza iperfocale, è la minima
distanza del punto di messa a fuoco, che ad una determinata apertura di diaframma, permette
di ottenere una profondità di campo infinita; dall’altro lato il punto più vicino alla macchina che
rimane ancora a fuoco è pari alla metà della distanza iperfocale.

In parole povere se con un 50 mm ad f-16 la distanza iperfocale è 5,2 metri, focheggiando a


questo valore la zona di nitidezza si estenderà da 2,6 metri fino all’infinito. La fotografia
paesaggistica si sviluppa proprio intorno alla distanza iperfocale. Come si arriva a definire
questi valori lo si ricava dalla seguente formula:

Distanza iperfocale= ( f^2 ) / F*c; calcolata in metri

Punto più vicino= c*F*(a^2) / ((f^2) + c*F*a); metri

Punto più lontano=c*F*(a^2) / ((f^2) – c*F*a); metri

Profondità di campo = Punto più lontano – Punto più vicino

Dove:
f: lunghezza focale;
F: valore di diaframma;
c: diametro circolo di confusione;
a: distanza dal soggetto;

Si può ora capire che se può essere agevole calcolare la distanza iperfocale quando si è in
cima ad una montagna, comincia a diventare meno immediato dover fare i conti sulla profondità
di campo, motivo per il quale è stato segnalato il programma freeware dedicato. A partire da
queste formule è possibile determinare da dove e per quanto si estenderà la profondità di
campo.

Per gli amanti delle diatribe digitale versus pellicola una domanda che ci si può porre è perché il
digitale schiaccia tra loro i piani immagine più di quanto faccia la pellicola? Ciò si traduce in una
maggiore difficoltà nel produrre un buono sfuocato. La risposta va ricercata nel fatto che il
sensore delle digitali è più piccolo del negativo 35 mm. il rapporto di ingrandimento che ne
consegue è artefice di questo effetto ma il calcolo della profondità di campo si effettua
esattamente nella stessa maniera, il concetto di circolo di confusione ovviamente non cambia.

Visto che proprio quest’ultimo è un parametro indipendente che può scegliere il fotografo si
riportano di seguito diversi diametri che possono essere usati per calcolarsi la propria
profondità di campo a seconda delle dimensioni della stampa.

• 0.03mm standard utilizzato per le stampe di medio bassa qualità;


• 0.025mm usato per la stampa di poster
• 0.02mm livello professionale (anche diapo)
• 0.01mm valore utilizzato per testare pellicole, sensori e lenti ( 100 lp/mm=0.01mm).
Introduzione
Eccoci arrivati all'ultima puntata del primo ciclo di guide fotografiche. Negli scorsi appuntamenti
abbiamo affrontato diversi temi, pensati come introduzione al mondo della fotografia digitale. A
questi indirizzi potete trovare la puntata introduttiva, quella relativa all'inquadratura, quella
dedicata all'esposizione e, infine, l'articolo sulla profondità di campo e gli istogrammi. Nei
prossimi cicli entreremo più nel dettaglio di concetti come la temperatura colore della luce,
l'utilizzo del flash, le riprese notturne, la fotografia di cerimonia, il workflow di postproduzione, e
via dicendo.

Oggi, utilizzando il percorso che la luce compie dall’obiettivo al sensore, si cercherà di fare
chiarezza sui principali elementi che concorrono alla creazione dell’immagine nella fotocamera:
problematiche delle lenti, tipologie di sensori e rapporti di moltiplicazione, elaborazione dei dati
e conversione degli stessi. Come accennato nella prima guida, la luce arriva alla lente frontale
dell'obiettivo praticamente con infiniti angoli di incidenza. Parte di questa luce viene persa per
fenomeni di riflessione e rifrazione e buona parte, quasi la totalità se l'obiettivo è di buona
fattura, entra nel corpo dello stesso, il barilotto. La lente frontale non è l'unica presente
all'interno dell'obiettivo, infatti sono diverse le lenti raccolte in gruppi che permettono di ovviare
alle aberrazioni indotte dalla prima lente e consentendo la costruzione di obiettivi di dimensioni
contenute anche se di elevata lunghezza focale.

Le aberrazioni sono gli errori indotti nel percorso della luce da parte della lente per via dei
fenomeni di rifrazione: la rifrazione è la capacità che ha un corpo attraversato dalla luce, in
generale da qualsiasi onda elettromagnetica, di deviarne la direzione. Nel nostro caso il corpo è
la lente ma pensate che anche strati d'aria a temperatura e percentuale d'umidità differenti
possiedono indici di rifrazione differenti. La luce che colpisce la lente frontale dovrebbe
raggiungere il sensore senza evidenti modificazioni, in realtà questo non succede a causa delle
deformazioni geometriche e cromatiche.

Per semplicità si utilizzino tre lunghezze d'onda relative ai colori Rosso, Verde, Blu: i raggi
paralleli tra loro che colpiscono la lente frontale, nell’attraversarla vengono deviati con angoli
diversi; questo accade perché ogni componente colore possiede una specifica lunghezza
d’onda che subisce una rifrazione di un determinato indice e di conseguenza, angolo.

Aberrazione cromatica

A livello fotografico tutto questo si traduce in soggetti dai bordi confusi; se sugli stessi bordi
predomina una componente colore, in gergo si dice che la foto è affetta da color fringing. Lo
stesso fenomeno è forse più noto con il nome di purple fringing poiché la componente rossa è
più visibile e viene maggiormente accentuata dal rapporto di ingrandimento dell’obiettivo; nella
pratica la causa che lo genera non è solamente la scarsa qualità dell’obiettivo, ma per
determinati sensori, anche la presenza di microlenti sulla superficie degli stessi. Di
conseguenza anche usando obiettivi di ottima fattura non si elimina del tutto la possibilità di
incappare nel purple fringing anche perché il software della fotocamera fa la sua parte e può
reagire in maniera diversa addirittura in scatti consecutivi.

Il color fringing è un’aberrazione cromatica, poiché funzione del colore ovvero lunghezza
d’onda; può essere ridotto utilizzando gruppi di lenti poste a valle della lente frontale che
compensino, attraverso i propri indici di rifrazione, la deflessione dovuta dalla prima lente. Si
dice che l’obiettivo è composto da lenti acromatiche o da coppiette-triplette apocromatiche. Un
altro sistema è quello di costruire lenti con materiali a bassissima dispersione come la fluorite,
ma obiettivi di questo tipo sono estremamente costosi.

Compensazione dell'aberazione cromatica

Le aberrazioni geometriche sono di diversi tipi, prima fra tutte si potrebbe citare l’aberrazione
sferica. Come tutti avrete potuto osservare, le lenti degli obbiettivi sono di tipo convesso e
riproducono quindi una porzione di superficie sferica; tuttavia la sfera non è la forma ideale per
costruire una lente anche se a livello tecnologico risulta più semplice. Proprio questa forma
induce un'aberrazione geometrica che causa una distorsione dell'immagine sul piano focale; la
soluzione è utilizzare delle lenti asferiche che risolvono proprio questo problema. Un'altra
soluzione è costruire la lente in maniera ottimale al suo scopo, ma qui si dovrebbe aprire una
parentesi sulla qualità degli obiettivi fissi e degli zoom scatenando un acceso dibattito.
Affronteremo l'argomento in altra sede.

Aberrazione sferica

Nella guida sull'inquadratura si è parlato delle difficoltà nel riprendere i soggetti architettonici
senza deformarli; questo è dovuto alla curvatura di campo legata ad un fenomeno chiamato
astigmatismo dei fasci obliqui. Il problema nasce dal fatto che la porzione d'immagine che si
trova fuori dall'asse dell'obiettivo/lente viene riportata sul piano focale come se fosse curvo.
Tutti gli obiettivi ora prodotti sono anastigmatici, ma così come le altre aberrazioni è un
fenomeno che può essere ridotto ma non eliminato completamente. Le due principali
deformazioni che si osservano sono quelle dette a barilotto e a cuscino: negli obiettivi zoom la
prima la si osserva soprattutto alla minima lunghezza focale mentre la seconda alla massima.

Sempre legato all'astigmatismo dei fasci obliqui, anche se in maniera diversa, è il fenomeno
della vignettatura, che spesso deve la sua causa a ragioni più banali come la presenza di filtri
montati in serie davanti all'obiettivo, o a paraluce non espressamente dedicati alla specifica
ottica. La luce ai bordi della lente finale, e quindi del fotogramma, arriva in misura minore
rispetto al resto dell'ottica e causa quel bordo scuro, la vignettatura appunto, che può essere
eliminata in fase di postproduzione. Schemi ottici semplici soffrono meno la caduta di luce al
bordo, che è sempre presente in maniera più o meno accentuata negli zoom tuttofare.
Ottiche

Quanto esposto nella pagina precedente consente di comprendere quali siano le caratteristiche
che descrivono un'ottica di buona qualità, senza per altro parlare di contrasto e nitidezza, altri
due parametri molto importanti e che cambiano realmente volto ad una foto. Per le compatte e
le bridge che non hanno la possibilità di intercambiare l’ottica, la scelta di una fotocamera
piuttosto che un'altra sarà dettata, a pari condizioni, proprio dalla qualità delle ottiche; per
quanto riguarda le reflex è bene ricordare che un buon corredo di qualità dura nel tempo e
restituisce risultati veramente soddisfacenti.

Se state ponderando l’acquisto dell’ultimo modello di fotocamera, forse è il caso di chiedervi se


sarebbe meglio investire in ottiche il budget che avete stanziato per soddisfare il vostro piccolo
desiderio. Un parco ottiche completo e di qualità costa molto più del singolo corpo macchina, di
conseguenza è bene riflettere sul tipo di sistema che vorrete adottare poiché ogni casa
produttrice ha i propri innesti e vincola quindi la scelta.

Per chi si chiede quando un parco ottico è completo, la risposta è funzione del genere di
fotografie che fate e della sensibilità che avete. La fotografia, infatti, spazia tra una vasto
numero di generi: ritratto, interni, macro, still life, reportage, cerimonia, sport, caccia fotografica,
paesaggio, architettura, oltre a una serie di sottogeneri e correnti più o meno creativi e difficili
da codificare. Ottiche con determinate lunghezze focali risultano più congeniali per un
determinato genere di foto ma nessuno vi obbliga a fare ritratti esclusivamente con medio tele
oppure paesaggi con un grandangolo! Sebbene la forte espansione degli obiettivi zoom
consenta di viaggiare più leggeri con un'ottica tuttofare è utile avere ben chiare in mente una
serie di indicazioni di massima. da fotografia classica insegna che sono sufficienti tre tipi di
ottiche al fotografo medio:

Grandangolo ≤ 35mm equivalente Elevato angolo di campo


Normale 50mm equivalente Angolo di campo simile alla visione umana
Medio Tele/Tele ≥ 70mm equivalente Piccolo angolo di campo
Il
termine equivalente vuole indicare che le lunghezze focali sono riferite al formato leica 35mm,
si analizzeranno in seguito i rapporti di ingrandimento dovuti alle dimensioni dei sensori.

Il grandangolo, grazie all’elevato angolo di campo permette di racchiudere nell’inquadratura


molto spazio ed è utile quando si fotografa in interni dove c’è poco spazio di movimento. Tali
obiettivi spesso sono caratterizzati da una distanza di messa a fuoco molto più piccola dei
fratelli di lunghezza focale superiore e soprattutto allungano i piani immagine dividendoli tra loro
ed amplificando l’effetto profondità.

L’obiettivo normale, o “il cinquanta”, viene chiamato così perché la sua focale è quella che si
avvicina maggiormente alla diagonale del formato 35mm permettendo un trasferimento
dell’immagine dalla lente al sensore/pellicola ottimale, in scala 1:1 e quindi senza rapporti di
ingrandimento o riduzione. Una caratteristica fondamentale dell'obiettivo con focale di 50mm è
l'ampiezza dell'angolo di campo, che si avvicina ai 46° dell'occhio umano.

Il medio tele/tele è un obbiettivo molto utile nei ritratti poiché permette di avvicinare il soggetto
con un ottima resa dello sfuocato e, al contrario del grandangolo, opera una sorta di
compressione dei piani immagine riducendo l’effetto profondità al crescere della focale. In
generale l’utilizzo dei teleobiettivi è utile ogni qual volta vi sia la necessità di riprendere soggetti
molto lontani: grazie all’ingrandimento dovuto all’ottica il soggetto verrà visto come se fosse più
vicino e, in ultima analisi, risulterà ingrandito.

All’interno del barilotto, poco prima della lente posteriore, si trova il diaframma: si è già spiegato
che il suo ruolo è quello di rubinetto per la luce, è formato da diverse lamelle parzialmente
sovrapposte che chiudendosi ad iride riducono o aumentano la superficie circolare attraversata
dalla luce. Non tutti gli obiettivi hanno lo stesso numero di lamelle a costituire il diaframma,
alcuni ne hanno sette, altri nove, altri ancora tredici; maggiore è il numero di lamelle, migliore
sarà l’approssimazione della forma del foro equivalente ad un cerchio.
Simulazione di un diaframma a numero di lamelle crescente

Questo si traduce in uno sfocato più morbido e graduale, e a minori artefatti luminosi dovuti ai
più ampi angoli di incontro delle lamelle. La difficoltà nel costruire obiettivi con un elevato
numero di lamelle fa lievitare il prezzo di questi ultimi che vengono spesso usati appositamente
per la fotografia di ritratto.

Superata l’ultima lente posteriore dell’obiettivo la luce può seguire due strade: riversarsi
direttamente sul sensore, come succede nelle compatte e nelle bridge oppure venire riflessa
dallo specchio verso il pentaprisma per riprodurre l’immagine a livello del mirino, come succede
nelle reflex. Anche in queste ultime, alla fine, dopo l’innalzamento dello specchio e l’apertura
delle tendine dell’otturatore, la luce arriva direttamente al sensore.
Sensori - tecnologie

In prima approssimazione il sensore ha lo stesso compito di coni e bastoncelli presenti nel


nostro occhio: è un trasduttore che rileva la quantità di fotoni che lo colpiscono e genera un
segnale elettrico di una determinata intensità; oltre a questo, il sensore opera una lettura delle
componenti cromatiche del fascio luminoso in modo tale da restituire correttamente i diversi
colori.

Più nel dettaglio, quanto spiegato sopra è possibile grazie ad elementi denominati fotodiodi, che
ricoprono quasi interamente la superficie del sensore. I fotodiodi sono caratterizzati da
dimensioni complessive di una decina di micron circa: in questo spazio, oltre alla parte "attiva"
del fotodiodo è compresa anche una porzione di elettronica che non partecipa al processo di
trasduzione. Lo spazio occupato da questa elettronica è denominato "fattore di riempimento". Si
può intuire come il fattore di riempimento sia un limite nell’acquisizione dell’immagine proprio
della tecnica digitale. La pellicola, infatti, essendo una soluzione chimica continua non presenta
questo tipo di problema.

Affinché la resa dinamica a livello fotografico risulti ottimale, sarebbe opportuno utilizzare
fotodiodi con una ampia (sempre nell'ordine dei micrometri) superficie sensibile in modo tale
che ogni singolo fotodiodo possa raccogliere un maggior numero di informazioni (fotoni). All'atto
di progettazione e costruzione di una fotocamera digitale ultracompatta, dove lo spazio
disponibile è ridotto, sarà quindi necessario operare una scelta di compromesso a parità di
dimensione del sensore: scegliere un numero minore di fotodiodi ad ampia superficie oppure,
viceversa, scegliere fotodiodi con superificie ridotta in modo tale da poterne adottare in numero
maggiore.

Tra il numero di fotodiodi presenti in un sensore e il numero di pixel che la macchina fotografica
è in grado di produrre, non esiste alcuna sorta di correlazione diretta. In taluni casi un sensore è
costituito da un numero inferiore di fotodiodi rispetto al numero di pixel con cui viene prodotta
l'immagine: in questo caso le informazioni sono interpolate direttamente dal software della
macchina fotografica. In altri casi, invece, accade che il numero di fotodiodi sia maggiore
rispetto ai pixel dell'immagine: in questo caso alcuni fotodiodi sono destinati ad altri usi (come
ad esempio analisi esposimetrica e di bilanciamento del bianco).

A livello concettuale si può pensare al sensore come ad una cassettiera senza cassetti sdraiata
sul pavimento dove ogni vano rappresenta un fotodiodo e raccoglie i fotoni che vi cascano
dentro. In un modello di questo tipo, tuttavia, non è possibile risalire ad alcuna informazione
relativa al colore, dal momento che l'unica cosa che può essere misurata è la quantità di luce
presente in ogni "vano". Al fine di ricostruire le informazioni cromatiche viene sovrapposta alla
cassettiera una scacchiera colorata i cui quadri sono rosso, blu e verde.

La scacchiera, chiamata filtro di Bayer, è una pellicola semitrasparente che permette ad una
sola componente colore di raggiungere il fotodiodo e di conseguenza il singolo fotodiodo potrà
leggere l’intensità luminosa di un solo colore primario. L’intero spettro colore viene così
ricostruito a posteriori via software facendo una stima sulla base dei fotodiodi adiacenti a quello
considerato. I sensori che adottano questo sistema prendono il nome di sensori di bayer e
rappresentano la stragrande maggioranza dei sensori presenti sul mercato.

Ogni pixel immagine è il risultato dell’interpolazione di almeno tre fotodiodi, uno per ogni colore
primario. Tempo fa Sony ha progettato una variante del filtro di bayer sostituendo ad uno dei
filtri verdi il colore Smeraldo Emerald, lo spazio colore che ne deriva passa da RGB ad RGBE.
Il motivo per il quale il 50% dei fotodiodi codifica per il verde mentre solo il 25% rispettivamente
per il rosso e per il blu, deriva dal fatto che anche il nostro sistema visivo è in grado di
distinguere un maggior numero di sfumature del verde piuttosto che degli altri colori.

I sensori chiamati Foveon si basano invece sul principio del film fotografico, grazie alla
differente capacità di penetrazione delle frequenze: ogni fotodiodo è costruito a strati e può
leggere tutte le componenti colore. Si può quindi avere un sensore con 12 milioni di fotodiodi,
dispositi su tre strati da 4 milioni l'uno. L'immagine finale viene poi effettivamente formata, per
interpolazione, da 12 megapixel, anche se a rigor di logica questa è divisa in realtà (guardando
il sensore frontalmente) da una griglia di 4 megapixel.

I sensori si dividono in due grandi famiglie a seconda della tecnologia di produzione, i CCD
(Charge Couplet Device) e gli APS (Active Pixel Sensor). Ai sistemi APS appartengono sensori
che fanno uso di tecnologie CMOS o LBCAST JFET. La differenza di tecnologia tra CCD e APS
porta anche a diversi modi di trasportare il segnale elettrico generato dai fotoni che colpiscono
l'area sensibile. Quest'ultimo fatto è responsabile inoltre delle differenti caratteristiche dei due
tipi di sensore.

I sensori CMOS hanno in generale alcuni vantaggi, tra cui un minor consumo energetico, dato
anche dalla possibilità di integrare sullo stesso chip la circuiteria sia digitale sia analogica. Fino
a qualche tempo fa i sensori CMOS erano destinati alle fotocamere più economiche (ad
esempio equipaggiano tuttora la totalità dei telefonini), mentre i sensori CCD hanno visto un
largo impiego su reflex e compatte. Eccezione fa Canon che ha sempre puntato, anche per i
suoi prodotti di fascia alta, sui sensori basati su tecnologia CMOS. La tecnologia LBCAST JFET
è stata invece lanciata dal produttore nipponico Nikon.
Sensori - elaborazione

Nel momento in cui si preme il pulsante di scatto, le informazioni luminose trasdotte dai
fotodiodi viaggiano alle unità di elaborazione delle fotocamere alle quali spetta uno dei compiti
più importanti. Stiamo parlando infatti del generare l’immagine combinando tra loro le
informazioni di intensità luminosa e colore, operazione che si vorrebbe venisse fatta con il
maggior dettaglio possibile ed il minimo rumore. Migliore è l’algoritmo adottato dalla
fotocamera, migliori saranno i risultati a parità di elettronica, anche se in fin dei conti la qualità
informativa iniziale è uno sbarramento che fa la differenza.

I sensori bayer sono quelli in cui l’algoritmo di elaborazione gioca un ruolo fondamentale, prima
ragione fra tutte è il fatto che le informazioni trasdotte sono povere, nel senso che ogni
fotodiodo porta una sola componente colore che non rappresenta il colore reale di quella
porzioncina di immagine. L’intensità luminosa del colore primario ricevuto viene interpolata con
almeno quella di altri due fotodiodi adiacenti. Cosa succederebbe se proprio in quella porzione
di fotogramma venisse rappresentato uno sfondo monocromatico attraversato da una sottile
linea di colore differente? Se sfortunatamente le informazioni colore della linea non venissero
lette da alcun fotodiodo che codifica si avrebbe per quel colore? Si otterrebbe solamente lo
sfondo monocromatico perdendo informazioni immagine.

Per evitare questo problema una ipotesi fondamentale dell’algoritmo di elaborazione è che
l’informazione spaziale non sia povera. Questo non può essere sempre assicurato e di
conseguenza si pone un filtro antialiasing di fronte al sensore che spalma le informazioni colore
parzialmente anche sui fotodiodi adiacenti in maniera da ottenere una ridondanza di
informazioni; questa operazione sfuoca l’immagine, come quando una goccia d’acqua bagna
l’inchiostro trasformando un punto definito in una macchiolina. Così facendo ci si assicura di
non perdere informazioni ma fatto questo, riaffiora l’obiettivo nitidezza; l’algoritmo di
elaborazione, nel suo complesso detto di demosaicing, deve essere in grado di ricostruire
l’immagine con il maggior numero di dettagli e a valle di quanto detto precedentemente questa
operazione diventa molto complessa. Migliore l’algoritmo, migliore il risultato finale. Se
l’algoritmo non risulta così efficiente quello che si ottiene è l’odiato effetto Moiré, la
desaturazione dei colori o l’aliasing dei colori con la comparsa di verdi, rossi o blu fantasma, i
cosiddetti artefatti jpeg. Sotto questo punto di vista i sensori Foveon hanno una vita più facile
poiché la necessità di interpolare le informazioni colore è minore.

Abbiamo parlato di artefatti jpeg, ma molte fotocamere non possono anche registrare in formato
Raw? Sì, ed effettivamente le cose possono migliorare nettamente: il formato jpeg Joint
Photographic Experts Group è un formato immagine standard compresso che non usa tutte le
informazioni che la fotocamera può registrare; il formato Raw al contrario è assimilabile ad un
negativo digitale, un file immagine così come viene letto dal sensore ed al quale non è stato
applicato il demosaicing. Il file Raw sfrutta tutti i 10, 12 o 14 bit che permette la fotocamera al
contrario del formato jpeg, che viene compresso ad 8 bit. L’operazione di demosaicing può
essere fatta a posteriori attraverso software specifici come Adobe Camera Raw®, LightRoom®,
Aperture®, AppleOne®, FreeRaw, ecc. e le informazioni riguardanti il bilanciamento del bianco
e di conseguenza colori e saturazione, livello di contrasto, luminosità sono disponibili alla
conversione sempre attraverso l’algoritmo migliore. Da una parte perché questi software
vengono continuamente aggiornati, dall’altra perché un computer può permettersi una potenza
di elaborazione nettamente superiore al convertitore Raw presente all’interno di una
fotocamera. Per assurdo, la stessa foto potrebbe migliorare col tempo!! Per concludere, basti
riflettere sul fatto che apportare modifiche ad un’immagine a 12 bit è certamente meno
degradante che farlo su una a 8 bit.

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