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studi e ricerche
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Precari ieri e oggi,
quale il domani?
Prima indagine longitudinale
sui lavoratori flessibili
in Toscana
A cura di
Francesca Giovani
Il Rapporto di ricerca, affidato all’IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Econo-
mica della Toscana), è stato coordinato da Francesca Giovani.
Pur essendo frutto di un lavoro comune, le parti di questo volume sono così ripartite: Fran-
cesca Giovani ha curato i capitoli 1, 4, 5, le conclusioni e l’allegato 2. Teresa Savino i capitoli
2, 7 e l’allegato 3. Michele Beudò il capitolo 6. Il capitolo 3 è stato curato da Emilio Reyneri
dell’Università di Milano Bicocca. Vanno attribuiti a Stefano Rosignoli l’allegato 1 e a Fran-
cesca Tallarico l’allegato 4.
L’indagine diretta ai lavoratori della Pubblica Amministrazione è stata coordinata da Teresa
Savino che si è avvalsa, per la conduzione di alcuni focus group, della collaborazione di
Giulia Marchetti.
L’indagine telefonica ai lavoratori dipendenti è stata effettuata da Eurema con il coordi-
namento di Roberta Pini che ha curato, insieme a Laura Vannucci, anche le elaborazioni
statistiche relative all’indagine (capitoli 4, 5 e 6).
Valentina Patacchini ha curato le elaborazioni statistiche relative all’Indagine ISTAT sulle forze
di lavoro (capitolo 2) e ai dati del Conto annuale del Personale negli Enti Locali (capitolo 7).
Al servizio editoriale dell’IRPET si deve l’allestimento del volume.
Un ringraziamento particolare va a tutti gli intervistati che hanno dedicato parte del loro tempo a
raccontarci la loro storia lavorativa e personale, rendendo possibile la realizzazione dell’indagine.
331.109455 (21.)
1. Lavoro temporaneo – Toscana 2. Occupazione – Toscana I. Giovani,
Francesca
Giunta Regionale
Direzione Generale
Politiche Formative, Beni e Attività Culturali
Area di Coordinamento
Orientamento, Istruzione, Formazione, Lavoro
ISBN 978-88-8492-491-9
Gianfranco Simoncini
Assessore all’Istruzione,
alla Formazione e al Lavoro
della Regione Toscana
1.
Introduzione
1.1. Premessa
15
Parte prima
Tabella 2.1. Occupati dipendenti. Toscana e Italia. 1997-2006. Valori assoluti in migliaia
% occupati a
Occupati Occupati TOTALE termine
temporanei permanenti OCCUPATI sul totale
occupati
Toscana Italia Toscana Italia Toscana Italia Toscana Italia
19
Grafico 2.1. Incidenza dell’occupazione a termine sull’occupazione complessiva. Toscana.
1993-2006. Valori %
20
Tabella 2.2. Dipendenti a tempo determinato sul totale dei dipendenti.
Province toscane. 1997-2005. Valori %
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
Massa Carrara 8,4 9,0 8,2 9,7 9,7 10,7 11,3 11,1 11,0 11,7
Lucca 4,5 3,3 6,5 9,8 9,3 9,6 9,3 10,1 8,6 11,7
Pistoia 7,6 8,7 9,3 8,3 9,1 7,9 9,4 10,7 12,5 14,4
Firenze 5,5 6,1 6,2 7,9 6,7 7,0 7,3 11,0 11,5 11,3
Livorno 6,8 7,4 8,3 7,8 10,0 7,7 8,8 13,4 15,2 12,2
Pisa 7,5 8,7 6,4 10,2 6,0 8,7 10,9 11,6 10,1 10,3
Arezzo 6,1 12,1 7,8 9,4 8,1 8,2 7,2 11,5 11,9 12,9
Siena 9,7 7,4 9,8 11,2 10,5 10,0 9,6 14,6 16,3 16,0
Grosseto 11,4 13,0 13,7 14,7 17,1 12,9 10,3 16,0 19,4 18,5
Prato 8,7 9,2 10,0 9,5 8,9 9,6 14,1 9,1 11,7 12,7
Toscana 6,7 7,4 7,8 9,4 8,8 8,6 9,3 11,6 12,2 12,5
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro
L’anno 2004 rappresenta una vera e propria cesura nell’Indagine nazionale
sulle forze di lavoro, con l’avvio di un nuovo metodo di rilevazione, che rende
particolarmente faticosa la possibilità di effettuare confronti negli ultimi due
anni. Le novità previste dall’Indagine continua, in particolare i nuovi criteri
di definizione dell’occupazione basati non più sull’autopercezione da parte
21
tuttavia tale dinamica è uno scenario plausibile, che potrebbe
dipendere sia dall’entrata a regime delle leggi sul lavoro atipi-
co, sia dagli effetti della congiuntura economica, assolutamen-
te negativa, che ha caratterizzato la nostra regione nel biennio
considerato.
Infine, a partire dal 2005 la dinamica dell’occupazione dipen-
dente torna ad essere positiva, con un contributo di entrambe le
componenti, ma soprattutto del lavoro standard (Graf. 2.2).
22
Tabella 2.3. Tasso di occupazione per posizione lavorativa e classi di età in Toscana.
Maschi e femmine. 2000-2006
15-29 30-49
2000 2004 2006 2000 2004 2006
Maschi
Occ. temporanea 2,5 10,3 12,1 2,7 4,2 5,2
Occ. con contratti causa mista. 4,8 1,3 1,7 0,8 0,2 0,1
Occ. permanente 34,1 29,9 28,3 59,7 58,6 57,5
Occ. indipendente 12,7 12,0 10,3 31,3 31,5 31,6
TOTALE 54,2 53,5 52,3 93,7 94,4 94,3
Femmine
Occ. temporanea 4,6 12,3 14,2 4,6 8,8 9,3
Occ. con contratti causa mista. 3,6 1,0 0,6 0,7 0,3 0,1
Occ. permanente 26,6 24,6 22,6 45,3 46,7 50,2
Occ. indipendente 8,3 5,1 5,4 16,7 15,4 13,2
TOTALE 43,0 43,1 42,8 66,6 71,0 72,7
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro
Tabella 2.4. Tasso di occupazione per posizione lavorativa, orario e classi di età in Toscana.
Femmine. 2000-2006
15-29 30-49
2000 2004 2006 2000 2004 2006
Dip. permanente full time 22,8 19,0 16,7 37,3 33,9 34,8
Dip. permanente part-time 3,8 5,7 5,9 8,0 12,8 15,4
Dip. temporaneo full time 5,3 9,0 8,5 2,8 5,5 6,2
Dip. temporaneo part-time 2,9 4,3 6,3 1,9 3,2 3,1
Indipendenti 8,3 5,1 5,4 16,7 15,4 13,2
TOTALE 43,0 43,1 42,8 66,6 71,0 72,7
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro
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Tabella 2.5. Occupati a termine per tipologia contrattuale in Toscana per classi di età e
genere. 2004 e 2006. Valori %
Maschi Femmine
15-29 30-49 50-64 TOTALE 15-29 30-49 50-64 TOTALE TOTALE
2004
Contratto di formazione lavoro 15,7 6,0 1,0 10,6 10,1 4,3 4,6 6,8 8,3
Contratto di apprendistato 43,2 - - 22,9 29,3 - - 12,4 16,6
Contratto a tempo determinato 24,9 67,0 69,1 44,9 42,8 80,8 71,6 64,0 56,2
Altro tipo di contratto 5,4 15,9 16,3 10,4 6,5 8,8 19,6 8,8 9,4
Non sa 10,7 11,1 13,6 11,2 11,3 6,1 4,1 8,1 9,4
TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
2006
Contratto di formazione lavoro 14,1 2,5 0,0 8,6 5,8 1,2 0,0 3,0 5,5
Contratto di apprendistato 33,2 1,3 0,0 18,4 25,4 0,1 0,0 10,2 14,0
Contratto a tempo determinato 45,3 82,8 92,9 63,4 62,0 92,4 92,3 80,3 72,5
Altro tipo di contratto 4,6 12,7 7,1 7,9 5,3 5,4 7,7 5,5 6,6
Non sa 2,7 0,8 0,0 1,8 1,6 0,9 0,0 1,1 1,4
TOTALE 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - Forze di Lavoro
Il mancato decollo del contratto di apprendistato è imputabile ai ritardi nella
emanazione delle disposizioni applicative del D.Lgs 276/03 da parte delle Re-
gioni. La Toscana fa parte del ristretto gruppo di Regioni che hanno provve-
duto all’emanazione della disciplina regionale relativa all’apprendistato pro-
fessionalizzante, che risulta operante dal 1 Aprile 2005.
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contrazione dei rapporti di lavoro con finalità formative è tale
che si verifica una sorta di effetto sostituzione di questi con il
più generico contratto a termine.
In diminuzione anche la categoria residuale delle altre tipo-
logie contrattuali e degli occupati che non hanno saputo indica-
re il loro tipo di contratto.
I risultati di indagini dirette alle aziende, condotte sia a livel-
lo regionale che nazionale, sopperiscono a tali lacune informa-
tive, indicando come la nuova normativa non abbia modificato
affatto il panorama di riferimento delle imprese nella scelta e
nell’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali. La prima indagi-
ne IRPET sulla flessibilità del lavoro in Toscana (Giovani, 2005)
ha evidenziato da parte degli imprenditori scarsi livelli di cono-
scenza della Legge 30/2003 (e delle novità in materia di istituti
contrattuali) e basse previsioni di utilizzo delle nuove forme di
lavoro flessibile.
Anche a livello nazionale l’indagine di Confindustria indica
per il 2004 un utilizzo più che marginale dei rapporti di lavoro
riconducibili alle nuove disposizioni normative, attribuito da un
lato alla scarsa conoscenza da parte degli imprenditori, dall’al-
tro all’assenza della necessaria disciplina di dettaglio, come nel
caso dello staff leasing (Guelfi, Trento, 2006; Centro Studi Con-
findustria, 2006).
In riferimento al lavoro parasubordinato, l’introduzione del-
la collaborazione a progetto era, nell’intenzione del legislatore,
lo strumento per far emergere le false posizioni di lavoro auto-
nomo e trasformarle in rapporti di lavoro subordinato.
In realtà analisi recenti basate su elaborazioni di dati INPS
mostrano come, a distanza di due anni dall’entrata in vigore del-
la Legge 30/2003 e dei relativi decreti attuativi, non solo non si
sia verificato un ridimensionamento del fenomeno, ma per mol-
ti collaboratori poco è cambiato dal punto di vista sostanziale
(IRES, 2005; NIDIL CGIL, 2005).
La maggioranza dei co.co.co. ha solo modificato la propria
denominazione, passando ad essere collaboratori a progetto,
ma i caratteri della loro prestazione lavorativa continuano ad
essere simili a quelli del lavoratore dipendente: in generale i col-
laboratori dichiarano di avere un unico committente, lavorano
prevalentemente presso la sede del committente, sono tenuti a
rispettare un orario di lavoro.
Assai rari sono i casi di stabilizzazione con un contratto a
tempo indeterminato, mentre rilevante è il fatto che in non po-
chi casi il collaboratore è stato indotto alla apertura della parti-
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ta IVA. Al 2004 in Italia si contano quasi 300mila collaboratori
professionisti, cresciuti del 10% rispetto all’anno precedente,
soprattutto perché, dopo l’approvazione del decreto attuativo
della Legge 30/2003, è stato il datore di lavoro a chiedere loro di
aprire la partita IVA. L’indagine nazionale dell’IRES promossa
da NIDIL CGIL (2005) mostra come in generale i professionisti
con partita IVA non si differenzino dall’intero universo dei colla-
boratori: hanno una posizione molto simile a quella del lavora-
tore subordinato, lavorando per un unico committente, con una
presenza per lo più quotidiana presso la sede del datore di lavo-
ro. Alta è la percentuale di chi si percepisce un dipendente non
regolarizzato piuttosto che un libero professionista, tant’è che
l’apertura della partita IVA è vissuta prevalentemente come una
condizione imposta dal datore di lavoro o legata al tipo di pro-
fessione svolta, piuttosto che una scelta da parte del singolo.
Evidentemente l’obiettivo della Legge 30/2003 di eliminare le
irregolarità nell’uso delle collaborazioni, rendendo manifeste le
posizioni di falsa autonomia, è fallito e in non pochi casi i colla-
boratori non solo non sono riusciti ad ottenere un contratto di
tipo subordinato, ma con l’apertura della partita IVA si trovano
anche nella condizione di non godere più di quelle poche tutele
che la posizione di collaboratore garantiva, oltre a dover sop-
portare maggiori oneri fiscali derivanti dalla tenuta della partita
IVA.
Per quanto riguarda la Toscana, i dati delle Forze di lavoro
non mostrano livelli diversi rispetto al quadro nazionale. Al 2006
i collaboratori risultano poco più di 35mila, pari al 3,1% sul totale
dell’occupazione dipendente, lievemente al di sopra del dato me-
dio nazionale (2,8%). Dopo la flessione registrata nel 2005 (quan-
do i collaboratori sono diminuiti da circa 37mila a 33mila), nel
2006 il dato riprende a crescere.
Per quanto concerne le modalità di lavoro, anche nella no-
stra regione i dati ISTAT evidenziano un’occupazione a carattere
prevalentemente dipendente: l’88% lavora per una sola azienda,
il 79% lavora presso la sede del datore di lavoro, il 58% non
decide l’orario di lavoro. La monocommittenza, il lavoro pres-
so l’azienda e l’accettazione di un orario di lavoro prestabilito
riguarda circa la metà dei collaboratori. Il 39% ha un contratto
inferiore a dodici mesi.
Osservando il percorso nell’ultimo anno, ovvero l’attuale
condizione di coloro che un anno prima risultavano occupati
come co.co.co., si osserva che nel 2006 un’ampia maggioranza
dei collaboratori lo era già l’anno precedente (76%), immagi-
27
nando che la principale transizione sia stata da collaboratore
coordinato e continuativo a collaboratore a progetto. Solo il 3%
si è stabilizzato con un impiego a tempo indeterminato, il 3,5%
è un dipendente con un contratto a termine, il 2% ha avviato
un’attività autonoma. Degno di nota il fatto che oltre il 15% de-
gli ex co.co.co. oggi non lavora, perché disoccupato (6%) oppure
perché uscito dal mercato del lavoro e entrato nella condizione
di inattività (9%) (Tab. 2.6).
28
3.
La flessibilità del lavoro
in Toscana: un confronto
con il quadro nazionale
29
no altri di segno opposto per quanto riguarda l’ulteriore diffu-
sione dei lavori instabili, che sono ormai diventati la via princi-
pale seguita dalle imprese e dalle organizzazioni pubbliche per
assumere, in particolare i giovani al loro primo impiego. Uno
studio della Banca d’Italia (2006) ha mostrato che la quota delle
posizioni a termine (che comprendono anche le collaborazioni e
le prestazioni occasionali, oltre ai rapporti di lavoro dipendente
a tempo determinato) è molto più elevata tra i “nuovi assunti”,
cioè tra coloro che hanno trovato un’occupazione nei 12 mesi
precedenti l’indagine sulle forze di lavoro condotta dall’Istat, e
che questa differenza è in netto aumento dal 2004 al 2006. Come
si può vedere dalla tabella 3.1, la quota dei neo-assunti con con-
tratto a termine è salita da poco meno del 39% del 2004 a quasi
il 45% del 2006, superando il 50% per i lavoratori con meno
di 30 anni. Se si escludono coloro che hanno trovato un’occu-
pazione indipendente, le assunzioni da parte delle imprese si
ripartiscono praticamente in parti eguali tra contratti a termine
e a tempo indeterminato, ma le assunzioni con rapporti perma-
nenti diventano sempre più minoritarie per i giovani sino a 29
anni, la maggior parte dei quali si può pensare al loro primo
impiego. L’incidenza del lavoro a termine è ovviamente molto
minore se si considera l’occupazione totale e per di più dal 2004
al 2006 cresce solo di un punto percentuale, ma di quasi quattro
punti per i giovani. Da questa fortissima differenza tra il flus-
so delle nuove assunzioni e lo stock dell’occupazione totale si
trae l’indicazione che una larga parte dei rapporti a termine sarà
successivamente trasformata in rapporti a tempo determinato,
ma su questo punto si tornerà più oltre riprendendo i risultati
dell’indagine longitudinale e quelli di altre elaborazioni sull’in-
dagine continua Istat delle forze di lavoro.
Tabella 3.1. Occupati per condizione professionale. Italia.
A tempo indeterminato A termine Indipendente
Non Non Non
Tutti occupati (b) Tutti occupati (d) Tutti occupati (f)
(a) 1 anno - (a) (c) 1 anno - (c) (e) 1 anno - (e)
prima (b) prima (d) prima (e)
2004
Tutti 62,9 39,0 -23,9 10,7 38,6 27,9 26,4 22,4 -4,0
Tra 15 e 29 anni 59,6 38,1 -21,5 23,7 46,4 22,7 16,7 15,5 -1,2
2005
Tutti 63,4 39,4 -24,0 10,8 40,5 29,7 25,8 20,1 -5,7
Tra 15 e 29 anni 59,5 37,2 -22,3 25,0 49,8 24,8 15,5 13,0 -2,5
2006
Tutti 63,0 35,5 -27,5 11,7 44,8 33,1 25,3 19,8 -5,5
Tra 15 e 29 anni 56,6 32,5 -24,1 27,4 50,5 23,1 16,0 17,0 1,0
Fonte: Banca d’Italia (2006) per il 2004 e il 2005, elaborazione da dati ISTAT per il 2006.
30
Peggiore dal punto di vista strutturale, ma congiunturalmen-
te in via di miglioramento appare la situazione dell’occupazione
in Toscana. Infatti, come mostra la tabella 3.2, costruita con gli
stessi criteri adottati dalla Banca d’Italia, tra chi ha trovato la-
voro nel corso dei 12 mesi precedenti l’indagine l’incidenza dei
rapporti a termine è molto più alta che non a livello nazionale
e cresce da poco più del 46% nel 2004 a quasi il 52% nel 2005,
ma diminuisce al 43% nel 2006, sia pure grazie solo alla ripresa
degli ingressi nel lavoro in proprio, che possono nascondere si-
tuazioni di occupazione dipendente precaria. Se si considerano
soltanto i giovani sino a 29 anni, la quota di assunti a termine
cresce da poco meno del 58% sino a sfiorare il 62%, per poi ri-
discendere al 56%. Se si escludono gli ingressi nell’occupazione
indipendente, la quota di assunti con rapporti a termine dalle
imprese supera nettamente il 60% e raggiunge addirittura il 70%
per i giovani.
31
dovrebbe indicare che in Toscana gli ingressi nell’occupazione
dipendente (per tutti, ma in particolare per i giovani) sono mol-
to più spesso instabili rispetto ai valori medi nazionali, ma che,
in compenso, più alta è la frequenza di una loro trasformazione
in posizioni stabili sicché l’incidenza dei rapporti instabili nel
complesso diventa simile a quella che si rileva a livello naziona-
le. Questa conclusione, tuttavia, va presa con prudenza, poiché
occorre considerare la diversa dinamica storica dei due valori
messi a confronto: l’incidenza dei rapporti a termine sul flus-
so dei nuovi impieghi è un dato annuo, che può variare veloce-
mente, mentre quella sullo stock dell’occupazione varia molto
più lentamente, perché è condizionata dal volume dei rapporti
di lavoro a tempo indeterminato stipulati in un passato anche
lontano. Quindi, se la Toscana avesse una maggiore “sedimen-
tazione” di rapporti permanenti contratti in passato, la sua più
elevata capacità di trasformare in stabili un più alto flusso di
ingressi instabili andrebbe ridimensionata. Siccome, però, tale
situazione è poco verosimile, non resta che constatare come la
Toscana attualmente si caratterizzi nel panorama italiano per
una più diffusa instabilità nell’ingresso al lavoro alle dipenden-
ze, compensata da una maggior frequenza delle trasformazio-
ni dei rapporti instabili in stabili. Solo il ricorso all’analisi dei
dati amministrativi sulla posizione degli occupati di fonte Inps
o Centri per l’impiego potrà confermare o smentire questa pecu-
liarità della Toscana rispetto al contesto italiano.
33
Tabella 3.3. Modelli di probabilità di avere un’occupazione diversa dal rapporto di lavoro
dipendente a tempo indeterminato. Toscana.
34
Tabella 3.3 segue
2006 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio
determinato professionisti e coadiuvanti
35
Tabella 3.4 segue
2006 Tempo Collaboratori Imprenditori e In proprio
determinato professionisti e coadiuvanti
37
3.3. Transizione, intrappolamento ed effetto isteresi
38
Tabella 3.5. Transizioni degli occupati nell’arco di un anno. Toscana.
A tempo indeterminato 93,6 1,4 0,0 0,1 1,6 0,6 2,7 100,0
A termine 17,8 66,3 3,6 0,3 3,9 4,0 4,0 100,0
Collaboratori 2,0 1,9 86,9 0,0 2,6 0,0 6,7 100,0
Imprenditori e professionisti 1,0 0,0 0,5 94,6 1,9 0,3 1,7 100,0
In proprio e coadiuvanti 0,7 0,1 0,4 2,1 92,8 1,3 2,7 100,0
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
Dipendente indeterminato 94,3 0,8 0,1 0,1 1,9 0,9 1,8 100,0
Dipendente determinato 11,5 70,3 1,1 0,2 1,9 7,2 7,9 100,0
Collaboratore 5,0 4,6 78,2 0,9 1,5 5,2 4,6 100,0
Imprenditori e professionisti 0,4 0,4 0,3 97,4 0,4 0,3 0,9 100,0
In proprio e coadiuvanti 0,6 0,5 0,1 0,1 95,8 0,7 2,2 100,0
A tempo indeterminato 93,7 1,2 0,1 0,3 1,1 1,0 2,7 100,0
A termine 14,6 68,5 2,6 0,4 1,7 5,1 7,1 100,0
Collaboratori 4,7 5,9 75,4 1,7 3,8 2,8 5,7 100,0
Imprenditori e professionisti 0,6 0,4 0,4 94,4 2,6 0,4 1,1 100,0
In proprio e coadiuvanti 1,0 0,4 0,1 1,2 93,9 0,5 2,8 100,0
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT.
39
Invece, per i lavoratori a termine e i collaboratori non sol-
tanto le percentuali di permanenza nella stessa posizione sono
nettamente inferiori (dal 60% all’80%), ma soprattutto molto
più elevate sono le percentuali delle “uscite” dall’occupazione
verso la disoccupazione ed anche l’inattività, benché la presenza
di giovani sia molto maggiore, mentre le transizioni verso le po-
sizioni stabili, dipendenti o indipendenti, sono addirittura meno
frequenti di quelle verso l’inoccupazione. Limitare il periodo
considerato ad un solo anno porta a sovrastimare la criticità del-
l’instabilità dei lavori flessibili, perché nelle uscite verso l’inat-
tività sono comprese quelle verso il ritorno allo studio a tempo
pieno dei giovani e quelle delle donne che fanno lavori stagionali
non tutti gli anni. Tuttavia, colpisce che, sia pure nell’arco di un
solo anno, transitano verso posizioni stabili nel caso migliore
poco più del 15% dei lavoratori dipendenti a tempo determinato
e del 10% dei collaboratori.
In un’ottica congiunturale, la situazione dei lavoratori flessibili
in Toscana peggiora nettamente dal 2004 al 2005, poiché diminui-
scono le uscite verso i lavori stabili (dal 17,2% al 15,7% per i lavo-
ratori a tempo determinato e dal 10,2% al 7,5% per i collaboratori)
e aumentano quelle verso l’inoccupazione (dal 13% al 24,6% per
i lavoratori a tempo determinato e dal 4,7% al 12,6% per i col-
laboratori). Tuttavia, dal 2005 al 2006, mentre la situazione dei
collaboratori sembra peggiorare ulteriormente, soprattutto poiché
cresce molto l’“intrappolamento” in tale posizione (sino a sfiorare
l’87%), quella dei lavoratori a tempo determinato migliora, poiché
le uscite verso i lavori stabili aumentano nettamente (al 22%) e
quelle verso l’inoccupazione crollano (all’8%). Infine, se poste a
confronto con le medie nazionali, le possibilità di transizione dei
lavoratori flessibili in Toscana che nel 2005 erano peggiori soprat-
tutto per i lavoratori a tempo determinato, nel 2006 risultano mi-
gliori proprio per tale posizione lavorativa, mentre si aggrava an-
che in termini relativi la situazione dei collaboratori. Ciò sembra
in contrasto almeno in parte con l’ipotesi che in Toscana siano più
frequenti i passaggi da assunzioni instabili ad occupazioni stabili,
di cui si è detto, ma occorre tener conto del troppo limitato perio-
do di tempo preso in considerazione.
L’indagine longitudinale, invece, ha consentito di cogliere il
percorso dei lavoratori assunti con un rapporto di lavoro insta-
bile per un più lungo periodo di tempo, poiché li ha intervistati
Tra i collaboratori sono inclusi qui anche i prestatori d’opera occasionale. Ciò
spiega le (piccole) differenze con le elaborazioni presentate nella tabella 2.11.
40
dapprima quattro anni dopo l’assunzione e poi dopo altri due
anni. È stato così possibile rilevare un fenomeno simile all’iste-
resi, ben noto agli studi sulla disoccupazione. Infatti, il tasso di
stabilizzazione (cioè la percentuale di assunti con rapporti fles-
sibili che sono poi riusciti ad acquisire una posizione occupazio-
nale stabile, dipendente o indipendente), dopo aver raggiunto
il 42% in quattro anni, nei successivi due anni cresce ancora
soltanto di 6 punti percentuali, raggiungendo il 48% nei sei anni
complessivi del periodo analizzato dal momento dell’avviamen-
to ad un rapporto instabile. Un andamento simile è stato osser-
vato in Veneto per i lavoratori assunti con un contratto a tempo
determinato: il loro tasso di occupazione con contratti a tempo
indeterminato cresce rapidamente sino a sfiorare il 40% a tre
anni di distanza, poi quasi si arresta (Veneto Lavoro, 2006).
Dunque, la percentuale di lavoratori flessibili che “stabiliz-
zano” la propria condizione occupazionale non aumenta affatto
in modo lineare con il passare del tempo: per chi non è riuscito
a “stabilizzarsi” entro un certo numero di anni (tre-quattro, se-
condo queste prime indagini) le probabilità di farcela succes-
sivamente si riducono drasticamente e crescono invece quelle
di restar intrappolato nel “carosello” dei lavori precari o peggio
ancora di “uscire” dalla condizione di occupato verso la disoc-
cupazione o l’inattività.
Per spiegare come per i disoccupati la probabilità di trovare
un lavoro dopo alcuni anni non cresce più e anzi diminuisce,
creando una sacca di lungo-disoccupati molto difficilmente oc-
cupabili, si è fatto ricorso all’ipotesi dell’isteresi. Secondo tale
ipotesi, sarebbe proprio la lunga durata dello stato di disoccu-
pazione a ridurre le probabilità di ritrovare un lavoro, da un
lato perché una troppo lunga assenza dal lavoro rende obsolete
le competenze acquisite, dall’altro perché la stessa lunga durata
della disoccupazione costituisce un segnale negativo per l’im-
presa (se nessuno l’ha ancora assunto, perché devo farlo proprio
io?) e riduce la possibilità di ricorrere alle reti di relazioni sociali
grazie alle quali nella maggior parte dei casi si trova un lavoro. A
questa ipotesi se ne è contrapposta un’altra che sottolinea invece
la grande diversità delle caratteristiche dei disoccupati, per cui
quelli più “forti” per caratteristiche personali, professionali o
sociali ritrovano prima un lavoro, mentre quelli più “deboli” fin
dall’inizio non ce la fanno e cadono nella condizione di lungo-
disoccupati. La letteratura socio-economica su tale alternativa è
molto ampia e le conclusioni differiscono a seconda del concre-
to caso studiato.
41
Per vedere quale ipotesi si adatti meglio ai lavoratori instabili
occorrerebbe disporre di indagini longitudinali molto approfon-
dite, tuttavia qualche osservazione sia teorica sia empirica offre
interessanti spunti di riflessione. Innanzi tutto, l’ipotesi dell’ob-
solescenza delle competenze, la prima elaborata per sostenere
l’isteresi, non regge perché i lavoratori instabili sono occupati in
attività che dal punto di vista del contenuto professionale non
si distinguono da quelle svolte dai lavoratori stabili. Anche l’ob-
solescenza delle relazioni sociali può riguardare soltanto quelle
connesse alle reti familiari, le più usate per trovare il primo lavo-
ro, ma non certo quelle che si stabiliscono nel mondo del lavoro,
nel quale i lavoratori instabili sono pienamente inseriti. Soltanto
un curriculum eccessivamente pieno di rapporti di breve durata
può costituire un segnale negativo, ma non certo per l’impresa
che ha “sperimentato” il lavoratore avendolo impiegato a termi-
ne. Per contro, l’indagine longitudinale sulla Toscana sottolinea
che le maggiori probabilità di restare intrappolati sono connesse
a caratteristiche personali del lavoratore: il genere femminile,
il basso livello di istruzione, l’età non più giovane. Si potrebbe,
quindi, pensare che l’arresto del tasso di stabilizzazione dopo
alcuni anni non sia dovuto tanto a un fenomeno di isteresi nel
lavoro instabile, quanto piuttosto al fatto che i più “forti” sono
ormai riusciti a trovare un’occupazione stabile e quelli rimasti
ancora instabili sono i più “deboli”, che l’esperienza del lavoro
flessibile, spesso presso diversi datori di lavoro, non è riuscita a
rafforzare sul piano professionale.
Tuttavia, per giungere a conclusioni più fondate occorre te-
ner conto sia del fatto che i rapporti di lavoro flessibili non sono
eguali, sia delle diverse opportunità che il mercato del lavoro
offre. L’indagine longitudinale in Toscana, così come l’analisi di
dati amministrativi in un’altra regione (Veneto Lavoro, 2006),
conferma che l’esito dei contratti a fini formativi è molto miglio-
re di quello dei normali rapporti a tempo determinato. Quindi,
anche la diversa natura dei contratti flessibili dovrebbe essere
inserita come variabile interveniente nell’analisi dell’insieme dei
fattori che incidono sugli esiti occupazionali dei lavoratori fles-
sibili, ma ciò richiede di ampliare enormemente il numero di
casi da prendere in esame nell’indagine.
Infine, va sottolineato che l’indagine longitudinale introduce
nell’analisi del destino dei lavoratori flessibili un fattore troppo
spesso dimenticato: la natura della domanda di lavoro. Da un
lato, infatti, le differenze nel tasso di stabilizzazione risultano
connesse anche alla struttura economica dei sistemi locali; dal-
42
l’altro, per spiegare le difficoltà di stabilizzazione dei laureati
si fa riferimento alla scarsissima domanda di laureati da parte
delle imprese private e al blocco delle assunzioni nel pubblico
impiego, che costringe soprattutto le amministrazioni locali a
ricorrere anche per compiti ordinari alle varie forme di lavoro
flessibile, dai rapporti a tempo determinato (trimestrali e seme-
strali) alle collaborazioni, e all’appalto a società private o del ter-
zo settore di interi servizi. L’importanza dei lavoratori instabili
nel settore pubblico è un fenomeno largamente trascurato, cui
l’indagine presentata in questo volume dedica finalmente l’atten-
zione che merita.
Le amministrazioni pubbliche risultano il peggior datore di
lavoro flessibile. Infatti i soggetti pubblici, anche se più spesso
stipulano contratti di lunga durata, sono quelli più propensi a
reiterare tali contratti con gli stessi lavoratori, ormai senza dare
loro ragionevoli prospettive di stabilizzazione. Dopo molti anni
di rapporti di lavoro instabile, nel settore pubblico quasi nes-
sun lavoratore ritiene che sarà assunto a tempo indeterminato
allo scadere del contratto, mentre moltissimi pensano che sarà
loro rinnovato ancora una volta il contratto a termine. Se fino
a qualche anno fa un rapporto a termine era considerato la via
migliore per poi partecipare con successo ad un concorso che
assicurava un posto sicuro sino alla pensione, tra i precari della
pubblica amministrazione, soprattutto tra quelli con un più alto
livello di istruzione, si è ormai diffusa la sensazione di essere en-
trati in un tunnel senza sbocco, dal quale non è possibile uscire
anche perché il settore privato non offre prospettive adeguate
alle loro competenze e aspirazioni professionali. Buona parte di
una generazione di laureati entrati con entusiasmo nella pubbli-
ca amministrazione per svolgere i nuovi servizi di qualità, che
è sempre più chiamata a fornire, vive ora una situazione di cre-
scente frustrazione. Nell’affrontare la questione del lavoro flessi-
bile occorre tener conto anche di questo problema.
48
4.2. Le caratteristiche degli intervistati
49
Tabella 4.3. Livello di istruzione per sistemi locali. Valori %
Rosignano
Firenze Mugello Santa Croce Follonica
Marittimo
50
è soprattutto tra la componente maschile che una quota più
elevata di intervistati risulta occupata (79% contro il 65% della
componente femminile). Le differenze tra la componente ma-
schile e quella femminile sono imputabili soprattutto alla quota
significativa di donne uscite dal mercato del lavoro come casa-
linghe (13,5%).
Tra coloro che lavorano come dipendenti il 72% ha un con-
tratto a tempo indeterminato, il rimanente un contratto a ter-
mine.
Tra i lavoratori flessibili le tipologie contrattuali più utiliz-
zate sono il tempo determinato e le collaborazioni coordinate e
continuative (entrambe più utilizzate per la componente femmi-
nile); seguono quote marginali di lavoratori con contratti causa
mista (formazione lavoro e apprendistato) che riguardano pre-
valentemente la componente maschile (Tab. 4.5).
51
Tabella 4.6. categoria professionale per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale
52
Tabella 4.8. Settore di attività per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale
53
Tabella 4.9. settore di attività per sistema locale. Valori %
Santa Rosignano
Firenze Mugello Follonica
Croce Marittimo
54
5.
I percorsi della flessibilità
55
in particolari fasi del ciclo di vita legate ad esigenze di cura della
famiglia (figli piccoli, anziani, ecc.). Ovviamente, esiste anche il
rovescio della medaglia, che rimanda a percorsi femminili fatti
di “lavoretti” con contratti a termine, senza protezione in caso
di malattia e senza contributi pensionistici che, in presenza di
coniugi/conviventi breadwinner, in possesso di lavori più stabili
e redditizi, possono anche risultare adeguati, ma al tempo stes-
so essere particolarmente rischiosi data la crescente instabilità
dei legami familiari. Inoltre, le accresciute possibilità di potere
stipulare contratti di lavoro “non standard” può divenire per le
imprese un incentivo a non assumere stabilmente, soprattutto
donne, per non dovere sostenere l’eventuale peso di future ma-
ternità e assenze per cause familiari (Saraceno, 2002).
Tra l’esigua minoranza di coloro che dichiarano di avere scel-
to la flessibilità (18%), le motivazioni più segnalate sono risultate
essere di tipo strumentale: “perché era l’unico modo di svolgere il
lavoro desiderato” (44%); “per integrare il reddito familiare” (20%);
“per la flessibilità degli orari” (12%); “per fare un’esperienza forma-
tiva” (8%).
Il fatto che la domanda di autonomia e di individualizzazio-
ne del rapporto di lavoro proveniente dai lavoratori stessi non
sia stata rilevante (28%) non deve sorprendere più di tanto, in
quanto i lavori di cui si parla, che abbiamo visto essere rappre-
sentativi della gran parte dei lavori flessibili, sono in realtà atipi-
ci, nel senso di “non standard”, non tanto nel contenuto, quanto
nelle modalità contrattuali. Sono infatti lavori che complessiva-
mente si svolgono con modalità non troppo dissimili tra lavora-
tori stabili e flessibili, come orari rigidi, mansioni ben definite,
ecc. (cfr. Cap. 6).
Grafico 5.1. È stata una sua scelta lavorare con forme contrattuali a termine? Valori %
56
È ovvio quindi ipotizzare che, per coloro che non sono orien-
tati verso lavori di tipo dipendente, la vera alternativa possa es-
sere rappresentata dal lavoro autonomo tout court (Saraceno,
2002) oppure, in alcuni casi, dalle collaborazioni coordinate e
continuative, tipologia contrattuale formalmente al confine tra
l’autonomia e l’indipendenza, che però, coma mostra anche la
nostra indagine, spesso si svolgono in realtà con modalità del
tutto identiche a quelle dei lavoratori standard.
Osservando i dati disaggregati per genere (Graf. 5.2), tra le
donne si rileva una percentuale più rilevante di percorsi fina-
lizzati all’autonomia e flessibilità degli orari, mettendo in luce
come modalità lavorative flessibili possano rappresentare, so-
prattutto per il genere femminile, uno strumento per conciliare
tempi di vita e di lavoro.
Grafico 5.2. Perché ha scelto di lavorare con forme contrattuali flessibili? (risposta multipla).
Valori %
57
gionale sono notoriamente legate alla domanda di un sistema
produttivo di piccola e piccolissima impresa non in grado di as-
sorbire l’offerta di lavoro proveniente dai laureati e diplomati
dando luogo a livelli particolarmente elevati di job-mismatches
che segnalano un’allocazione inefficiente e un sottoutilizzo del
patrimonio umano.
Grafico 5.3. Non hanno scelto di lavorare con forme contrattuali flessibili per livello di
scolarizzazione. Valori%
I dati Excelsior, che attraverso indagini svolte dalle CCIAA forniscono le pre-
58
5.2. I percorsi dei lavoratori temporanei
In questo paragrafo sono esclusi dall’analisi tutti coloro che, nel campione ini-
ziale, risultavano al 2000 aver un contratto a tempo indeterminato part-time, in
quanto oggetto dell’analisi è in questo caso l’instabilità del lavoro e gli effetti di
quest’ultima a distanza di 4 e 6 anni. Per lo stesso motivo sono stati esclusi tutti
coloro che sono risultati inabili al lavoro (3 individui) e pensionati (9) al 2006.
Nell’indagine precedente (Giovani, 2005), a distanza di quattro anni da un
avviamento con tipologia contrattuale instabile, risultava essersi stabilizzato
il 41% degli intervistati (il 36% degli intervistati con un contratto a tempo in-
determinato e il 5% con un’attività di tipo autonomo; il 24% risultava ancora
flessibile; l’11% era in cerca di lavoro; il 20,5% risultava uscito dalle forze di
lavoro.
59
Presumibilmente la causa di questa battuta di arresto
va ricercata, in periodi di permanenza troppo lunghi in una
condizione lavorativa instabile (mediamente 6 anni), che
hanno un’elevata probabilità di avere come esito un “intrap-
polamento” in carriere lavorative discontinue, interrotte e
instabili (Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005), come confermato
anche dalla crescita di sequenze occupazionali di tipo “job
carousel”, caratterizzate dal susseguirsi di diverse esperienze
di lavoro e non lavoro, condizione ulteriormente aggravata
da una fase economica sicuramente non positiva.
Come mostra il grafico 5.5, la componente femminile è risul-
tata complessivamente svantaggiata rispetto a quella maschile
sia nei percorsi di stabilizzazione verso un lavoro dipendente
(solo il 38% ha ad oggi un rapporto di lavoro a tempo indeter-
minato contro il 49% degli uomini) che autonomo (il 4% contro
il 12%). Inoltre, una quota più elevata di donne è alla ricerca di
lavoro (il 15% contro l’11% degli uomini), e il 14% è uscita dalle
forze di lavoro come casalinga.
Grafico 5.7. Flessibili al 2000 per condizione attuale e per livello di scolarizzazione. Valori %
61
lifica, sia più facile che la flessibilità si coniughi con percorsi
lavorativi di tipo “job carousel”. Le laureate sono invece coloro
che hanno un minor rischio di cadere nella disoccupazione e di
uscire dalle forze di lavoro, ma anche le probabilità più alte di
permanere nella flessibilità (36,5% contro il 16,5% delle diplo-
mate e il 19% delle senza titolo).
Per i maschi la relazione è esattamente opposta: ai titoli più
bassi corrispondono i più elevati tassi di stabilizzazione, mentre
i laureati sperimentano i livelli più bassi. Vediamo perché.
I maschi dal livello di scolarizzazione basso sono più stabiliz-
zati (68,5% contro il 63% dei diplomati e il 37% dei laureati), ma
bisogna ricordare che hanno un’età media più elevata e quindi
da più tempo permangono nel mercato del lavoro. In questo sen-
so un ruolo importante è stato svolto anche dal lavoro autonomo,
in quanto in questo gruppo troviamo in assoluto la quota più ele-
vata di coloro che si sono messi in proprio (16% contro il 10% dei
diplomati e il 9,5% dei laureati). I maschi non scolarizzati sono
anche coloro che sperimentano le maggiori probabilità di cadere
nella disoccupazione (18% contro il 7% dei diplomati e il 14% dei
laureati) a conferma di quanto percorsi a rischio possano verifi-
carsi soprattutto per figure di basso profilo.
Il risultato legato agli alti livelli di istruzione, che vede i
maschi laureati stabilizzarsi meno degli altri e permanere più
a lungo nella flessibilità (26% è ancora flessibile contro il 18%
dei diplomati e il 14% dei senza titolo), che a prima vista può
apparire controintuitivo, in realtà si inquadra pienamente nel-
le dinamiche occupazionali della forza lavoro istruita, che vede
i laureati sperimentare performance lavorative ascendenti nel
tempo e premianti nel lungo periodo, a partire però da livelli
iniziali anche inferiori a quelli dei soggetti meno istruiti.
Occorre a tal riguardo interrogarsi, infatti, da cosa dipenda
la maggiore permanenza dei laureati e delle laureate nella fles-
sibilità. Un aspetto che si lega a quanto appena ricordato può
dipendere, innanzi tutto, dall’età dei laureati che nel campione
da noi analizzato sono caratterizzati da un’età media piuttosto
bassa e quindi una bassa anzianità lavorativa che risulta spesa
I maschi senza titolo hanno un’età media di 37 anni contro 30 dei diplomati e
33 dei laureati. Anche le donne senza titolo hanno un’età più elevata rispetto
alle altre (42 anni contro 34 delle diplomate e delle laureate). In questo caso la
relazione è però diversa perché la donna, scarsamente scolarizzata e non più
giovane, tende maggiormente ad uscire dal mercato del lavoro come casalin-
ga.
62
prevalentemente nell’ambito del lavoro flessibile. Ma la perma-
nenza nella flessibilità può anche dipendere dalla volontà del
lavoratore in possesso di un elevato livello di istruzione: si per-
mane nell’ambito dei lavori flessibili per accumulare esperienze
in attesa di trovare il lavoro desiderato, magari coerente con il
livello di istruzione posseduto (Mele, 2005b). Una volta conse-
guito un dato livello di istruzione e quindi una volta formata una
data aspirazione professionale, non basta trovare un’occupazio-
ne, ma occorre che questa sia coincidente con quella desiderata
e quindi coerente con il livello di istruzione. In questo senso,
quindi, la flessibilità permette a tali soggetti di utilizzare moda-
lità contrattuali che consentono loro di accumulare esperienze
professionali nell’attesa di trovare il lavoro “scelto”10.
Una volta esaminata l’influenza delle caratteristiche indivi-
duali sui percorsi di transizione andiamo a verificare l’influenza
di variabili attinenti il tipo di attività svolto.
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali di partenza
(Graf. 5.8) è soprattutto la causa mista (formazione lavoro e ap-
prendistato), da sempre principale canale di ingresso dei giovani
nel mercato del lavoro, che ha avuto i migliori esiti dal punto
di vista della stabilizzazione, sia nel lavoro dipendente a tempo
indeterminato (il 50% contro il 39% di coloro che al 2000 aveva-
no un contratto a tempo determinato), sia dal punto di vista dei
percorsi di tipo autonomo (l’8% ha un’attività in proprio contro
il 6% del tempo determinato). È in cerca di lavoro il 10% di chi
aveva un contratto di questo tipo al 2000 (contro il 15% dei tem-
po determinato).
Particolarmente svantaggiata la situazione di chi risultava
avviato con un part-time flessibile che registra la più bassa per-
centuale di stabilizzazione nel lavoro dipendente (15%), la quota
più elevata di coloro che permangono nella flessibilità (38,5%
Come abbiamo visto nella nota precedente i laureati hanno un’anzianità mol-
to più bassa rispetto ai senza titolo ma uguale (nel caso della componente
femminile) o superiore (per quella maschile) rispetto ai diplomati. è evidente
però che il laureato rispetto al diplomato ha intrapreso mediamente percorsi
lavorativi più brevi.
10
Come abbiamo visto anche nel paragrafo precedente tra quanti sono risultati
ad oggi ancora instabili, sono soprattutto coloro che hanno un’alta scolariz-
zazione a dichiarare di non avere avuto altra scelta (75% contro il 59% dei
diplomati e il 52% dei senza titolo) a conferma di come sia difficile soddisfare
le proprie aspettative per i laureati, in un mercato del lavoro come quello
toscano, fatto di piccola-media impresa, dove è particolarmente basso il fab-
bisogno da parte delle imprese di giovani usciti dall’Università.
63
contro il 19,5% della media campionaria) e una percentuale ri-
levante di disoccupati (23%). L’unico dato positivo per questa
categoria di lavoratori è la quota più significativa in assoluto
di coloro che hanno intrapreso un percorso di tipo autonomo
(15%).
Per quanto riguarda i percorsi di transizione secondo il set-
tore di attività avvenuti nel periodo 2004-2006, la tabella 5.1 ci
mostra come sia in particolare il settore delle attività manifattu-
riere/costruzioni quello dove le percentuali di esiti positivi, avve-
nute nell’ambito del settore di provenienza stesso sono risultate
più elevate (40% di dipendenti stabili e 4% di autonomi). Seguo-
no, a notevole distanza, i servizi alle imprese (24% dipendenti
stabili e 8% autonomi) e il commercio (28% dipendenti stabili).
A ruota vengono i servizi alle persone (21% dipendenti stabili e
2% autonomi) e gli alberghi e i ristoranti (21% dipendenti stabi-
li). È soprattutto in questo ultimo settore che è risultato partico-
larmente elevato il peso degli inoccupati (29%), a testimonianza
di come tale ambito di attività rappresenti, come noto, possibi-
lità di lavoro stagionale e quindi favorisca percorsi di instabilità
caratterizzati da frequenti entrate e uscite dal mercato del lavo-
ro, ma anche opportunità per i giovani o per le donne che non
hanno possibilità di lavorare continuativamente per tutto l’anno
(impegni scolastici, carichi familiari, ecc.)11.
Grafico 5.8. Tipologia contrattuale al 2000 per condizione occupazionale attuale. Valori %
11
L’esercizio non è stato effettuato per il settore agricolo perché caratterizzato
da numeri assoluti troppo bassi.
64
Tabella 5.1. Settore di attività al 2004 per condizione occupazionale attuale12. Valori %
Stabilizzati Autonomi
Altri
nello stesso nello stesso Inoccupati TOTALE
occupati
settore settore
12
Dal calcolo sono esclusi gli inabili e i pensionati e tutti coloro che al 2004 non
lavoravano. Tra gli altri occupati sono inclusi tutti coloro che lavoravano in un
settore di attività diverso da quello del 2004 sia in modo autonomo chedipen-
dente (sia stabile che flessibile).
65
metallo, carta, stampa, editoria, chimica e farmaceutica). Area
che notoriamente offre ampie opportunità occupazionali alla
propria popolazione residente – e non solo, come confermano
gli ingenti flussi pendolari in ingresso – dove i livelli di scola-
rizzazione sono elevati ed in cui la quota di giovani disoccupati
appare inferiore alla media (Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati appartenenti al sistema
fiorentino possiede un livello di istruzione significativamente più
alto del totale (il 78% ha un titolo di studio medio-alto contro il
66% della media campionaria). Il settore di attività (Graf. 5.9)
è prevalentemente il terziario (77%) suddiviso in: commercio
(18%), servizi alle imprese (20%) servizi alle persone (33%) e al-
berghi e ristoranti (7%). Le attività manifatturiere sono meno ri-
levanti rispetto alla media campionaria (21% contro il 25,5%).
Grafico 5.10. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Firenze. Valori %
67
Dal punto di vista degli sbocchi occupazionali (Graf. 5.12) è
il sistema che, subito dopo l’area fiorentina, sembra offrire le più
elevate probabilità di stabilizzazione (51%); inoltre è il sistema
dove si rilevano le più basse possibilità di caduta nella disoc-
cupazione (7,5% contro il 14% del dato medio); in linea con la
media la quota di coloro che sono rimasti flessibili (19%).
Grafico 5.12. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Mugello. Valori %
68
• Santa Croce (Distretto industriale)
Distretto industriale caratterizzato da una natura fortemen-
te industriale con specializzazione produttiva nel settore della
moda (concia delle pelli e del cuoio, calzature).
Tale area presenta livelli occupazionali elevati ed una quota
di giovani disoccupati nettamente inferiore alla media toscana.
Non sorprende, quindi, il basso livello di istruzione, tipico di
tutte le aree di piccola e media impresa dove la facilità nel tro-
vare lavoro anche con livelli di istruzione medio-bassi tende a
spiazzare la prosecuzione degli studi a vantaggio di un precoce
ingresso nel mondo del lavoro (Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati è ovviamente in linea
con le caratteristiche che abbiamo appena delineato dell’area:
ha un livello di istruzione significativamente più basso del totale
(il 45% ha un titolo di studio basso contro il 34% del totale).
Il settore di attività prevalente è quello dell’industria (40% con-
tro il 25,5% del totale) (Graf. 5.13).
Grafico 5.13. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Santa Croce. Valori %
69
dia risulta ad oggi disoccupata (14%). Una percentuale più bassa
rispetto alla media è rimasta flessibile (12% contro il 20%), ma
un quota più elevata rispetto alla media campionaria è uscita
dalle forze di lavoro (24% contro il 18%).
Le opportunità di stabilizzazione della componente femmi-
nile sono notevolmente più basse di quelle maschili, superiori
però rispetto alla media campionaria (45,5% contro il 42% del
dato medio) (Graf. 5.14).
Grafico 5.14. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Santa Croce.
Valori %
70
Il campione di lavoratori intervistati ha un livello di istruzione
significativamente più basso del totale (il 45% ha un titolo di studio
basso contro il 34% del dato medio). I settori di attività prevalenti
sono i servizi alle persone (28%) e l’industria (28%). Superiore ri-
spetto al dato medio la presenza nell’agricoltura (9% contro il 3%)
e negli alberghi/ristoranti (11% contro l’8%) (Graf. 5.15).
Grafico 5.16. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Follonica. Valori %
71
• Rosignano (Sistema turistico)
La forte vocazione turistica della zona è resa evidente dal-
l’importanza del settore alberghi e ristoranti. È necessario però
ricordare la tradizione industriale dell’area facendo riferimento
al polo chimico degli stabilimenti Solvay, attorno ai quali è cre-
sciuta e si è sviluppata l’omonima frazione di Rosignano Solvay.
Il settore della chimica che, pur presentando un’importanza su-
periore a quella assunta nel complesso della regione sta subendo,
ormai da tempo, un accentuato trend di ridimensionamento.
Altri settori importanti dal punto di vista occupazionale sono
il commercio al dettaglio e le costruzioni. L’indice di occupazio-
ne è inferiore a quello medio toscano, mentre quello relativo al-
l’incidenza di giovani disoccupati è decisamente al di sopra della
media. A ciò si accompagna un indice di istruzione leggermen-
te inferiore al dato medio toscano. Come nel caso di Follonica,
la significativa presenza del settore turistico e dell’agricoltura
determinano una presenza significativa di lavoro non regolare
(Bacci, 2001).
Il campione di lavoratori intervistati ha un livello di istruzio-
ne significativamente più basso del totale (il 45,9% ha un titolo
basso contro il 34% del totale). Il settore di attività prevalente è
quello dei servizi alle persone (30%), seguito dalle attività mani-
fatturiere (23%). Superiore rispetto alla media la presenza negli
alberghi/ristoranti (15% contro l’8%) (Graf. 5.17).
Sicuramente è il sistema in cui sono risultate più basse le
possibilità di stabilizzazione del lavoro: solo il 29,5% degli inter-
vistati ha avuto un esito occupazionale positivo (contro il 48%
del dato medio). Più alte rispetto alla media campionaria anche
le quote di coloro che sono rimasti intrappolati nella flessibilità
(24% contro il 20%) e di quanti sono usciti dal mercato del lavo-
ro (31% contro il 18%).
Solo il 26% delle donne si è stabilizzata contro il 42% degli
uomini. Inoltre, tra le donne si registra la quota in assoluto più
elevata di uscite dalle forze di lavoro come casalinghe (25% con-
tro il 14% del dato medio) (Graf. 5.18). Nei mercati più deboli,
coerentemente con quanto avviene a scale territoriali più ampie,
è soprattutto la componente femminile ad apparire svantaggiata
e questo comporta un effetto scoraggiamento anche nella ricer-
ca del lavoro. Mentre infatti la quota di disoccupate è risultata in
linea con la media campionaria (15%), si registra in assoluto la
quota più elevata di casalinghe (25% contro il 14% della media
campionaria).
72
Grafico 5.17. Settore di attività dei lavoratori intervistati. Rosignano Marittimo. Valori %
Grafico 5.18. Condizione del 2004 per condizione al 2006 per sistemi locali. Rosignano Ma-
rittimo. Valori %
73
forze di lavoro (il 7% come casalinga e il 4% come studente)
(Graf. 5.19).
Grafico 5.19. Flessibili al 2000 disoccupati 2004 per condizione attuale. Totale.
Valori %
74
Grafico 5.21. Flessibili al 2000 e 2004 per condizione attuale. Totale. Valori %
Grafico 5.22. Flessibili al 2000 e 2004 per condizione attuale e genere. Valori %
75
Grafico 5.23. Flessibili al 2000, indeterminati al 2004 per condizione attuale e genere. Valori %
Grafico 5.24. Flessibili al 2000, autonomi al 2004 per condizione attuale e genere. Valori %
13
Per ovvi motivi dall’analisi che presentiamo sono esclusi coloro che al 2006
risultavano ritirati dal lavoro.
76
Grafico 5.25. Flessibili al 2000, casalinghe al 2004 per condizione attuale. Valori %
77
non stabili (20%), ad una riduzione dei passaggi al lavoro garan-
tito (un incremento medio annuo di 3,5 punti nell’ultimo biennio
contro gli oltre 10 punti medi annui dei quattro anni precedenti),
e ad una crescita delle uscite verso la disoccupazione (dall’11%
al 14%) che sembrano denunciare un aumento di coloro che non
riescono a transitare da un lavoro a termine verso un impiego
sicuro.
Nel biennio i più stabili sono risultati i lavoratori dipenden-
ti con contratto a tempo indeterminato (circa 90 su 100 sono
rimasti nella stessa posizione); seguiti dai lavoratori autonomi
(73 su 100). Molto diversi gli esiti dei lavoratori dipendenti con
tipologia contrattuali a termine che solo nel 42% dei casi han-
no avuto come esito una stabilizzazione nel mercato del lavoro
(37% a tempo indeterminato e 5% autonomo). Ancor più proble-
matiche le traiettorie di coloro che, a distanza di due anni da un
avviamento al lavoro con tipologia contrattuale instabile, sono
caduti in uno stato di disoccupazione; a distanza di ulteriori due
anni oltre la metà (51%) risulta ancora in cerca di occupazione.
Il quadro viene ulteriormente aggravato dal fatto che, rispet-
to all’indagine precedente, diminuisce il già basso numero di
coloro che hanno scelto la flessibilità lavorativa e cresce la quo-
ta di coloro che vivono la flessibilità come un’esperienza subita
perché costretti dalle logiche del mercato.
Sembrerebbe dunque che i percorsi di stabilizzazione
subiscano una battuta d’arresto, trascorsi periodi di perma-
nenza troppo lunghi in tale stato, come parrebbe conferma-
to anche dalla crescita di sequenze occupazionali di tipo “job
carousel”, caratterizzate dal susseguirsi di diverse esperien-
ze di lavoro e non lavoro (Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005),
che hanno un’elevata probabilità di avere come esito un “in-
trappolamento” in carriere lavorative discontinue, interrotte
e instabili.
Quali gli esiti per le persone coinvolte in traiettorie di questo
tipo?
L’indagine che presentiamo ha mostrato che i tassi di trasfor-
mazione sono molto diversi a seconda delle caratteristiche degli
individui e della tipologia di attività svolta. Le donne, i “non più
giovani”, coloro che hanno una bassa scolarizzazione, che vive
in sistemi produttivi “deboli”, risulta infatti complessivamente
avere intrapreso percorsi più precari, caratterizzati da ingressi e
uscite, nel mercato del lavoro.
Sembra dunque evidente che l’indagine non conforti la tesi
secondo cui i lavori atipici abbiano un effetto trampolino verso
78
il lavoro sicuro, soprattutto nei casi in cui si prolunghi oltre un
certo limite la durata e/o la sequenza di impieghi instabili nel
proprio percorso14.
Passare da un impiego all’altro non risulta un’operazione
priva di costi per tutti, basti pensare alla discontinuità delle car-
riere e alla bassa copertura previdenziale che sicuramente se-
gnalano la necessità di dare al welfare un profilo maggiormente
a misura delle nuove tipologie lavorative.
è forse questo il punto su cui dobbiamo ulteriormente ri-
flettere, cercando di immaginare un sistema di welfare univer-
salistico in cui chi intraprende un percorso di flessibilità possa
essere coperto da efficaci meccanismi di protezione dai rischi,
per far sì che il lavoratore involontariamente temporaneo non
debba soltanto accollarsi rischi, costi e persino penalità, come
mostrano stipendi percepiti mediamente più bassi dei lavoratori
maggiormente tutelati15.
14
Anche l’indagine l’Indagine longitudinale sulle famiglie italiane (Ilfi) mostra
che se si entra nel mercato del lavoro con una sequenza di impieghi atipici
diventa forte il rischio di intrappolamento in posti poco qualificati e a basso
salario.
15
Tra le varie proposte nel suo ultimo volume Accornero ben sintetizza alcune
fra le principali tutele che dovrebbero essere previste per i lavoratori instabili.
“A chi ha reiterato più impieghi temporanei nella medesima impresa si posso-
no accordare contribuzioni “figurative” per la pensione e un diritto di seniority
nelle assunzioni stabili. Si possono inoltre fissare – come in altri Paesi – dei
limiti alle reiterazioni del contratto. Si può garantire una piena esigibilità del-
le anzianità lavorative e delle credenziali assicurative maturate, anche ai fini
della “totalizzazione” dei contributi recentemente approvati. Si possono pre-
vedere un fondo per il mutuo casa a copertura delle garanzie bancarie, e dei
contributi per l’affitto di un’abitazione. Si possono uniformare le aliquote con-
tributive per tutti i rapporti di lavoro, come base materiale di una eguaglianza
delle opportunità previdenziali. Si può predisporre una copertura finanziaria
obbligatoria al di là delle singola durata contrattuale, per un’attività formativa
che aiuti lo sviluppo professionale e il riconoscimento delle competenze” (Ac-
cornero, 2006a).
79
6.
Le condizioni di lavoro:
lavoratori stabili e flessibili
a confronto
16
I lavoratori definiti “autonomi” sono costituiti per più dell’80% da liberi pro-
fessionisti (in maggioranza donne) e lavoratori in proprio (prevalenti gli uo-
mini), oltre che da imprenditori (14%) e, in numero estremamente esiguo, da
coadiuvanti familiari (2%).
81
relativa per alcuni aspetti connessi all’employment (possibilità
di autorealizzazione e di apprendimento, autonomia), passando
ad un’ottica di life-cycle utility, di traiettorie di vita, si manifesta-
no invece i “costi umani” degli itinerari discontinui sperimentati
sul lavoro, anzi tra i lavori: la percezione dell’insicurezza dell’at-
tuale occupazione tende a vanificare la pur presente positività
dei contenuti del lavoro, e come fanno notare anche i curatori
dell’indagine Il lavoro che cambia, si fa stridente il contrasto tra
“contenuti del lavoro che migliorano e tutele che peggiorano”
(Carrieri, Damiano, Ugolini, 2005).
Gli intervistati presenti nel campione con contratti instabili
sono 143, pari al 23% del totale17. Entrando più nel dettaglio del-
le forme contrattuali, si tratta di una maggioranza di individui
assunti con un contratto a tempo determinato (68% del totale
dei lavoratori “non standard”), di una minoranza che dispone di
altre tipologie contrattuali di durata temporanea quali appren-
distato, lavoro interinale, contratto stagionale e formazione-la-
voro (il 10,5%), e di circa un quinto del totale che ha un contrat-
to come co.co.co. o di collaborazione a progetto18.
La disaggregazione per genere vede la prevalenza numerica
delle donne (68% del campione), confermando come occasioni
di lavoro instabile siano più frequenti per il genere femminile
che maschile (Tab. 6.1).
Tabella 6.1. Lavoratori non standard: intervistati per tipologia contrattuale e genere.
Valori assoluti e valori %
Tipologia
Valori assoluti Valori %
contrattuale
Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
Dipendente a tempo
30 67 97 66,7 68,4 67,8
determinato
Collab. coord. e
9 22 31 20,0 22,4 21,7
cont./collab. a progetto
Altri contratti dip.
6 9 15 13,3 9,1 10,5
a termine (a)
Totale 45 98 143 100,0 100,0 100,0
(a) Altri contratti dip. a termine: comprendono interinali, contratti di formazione-lavoro,
di apprendistato e stagionali
17
Rimangono esclusi dalle elaborazioni qui presentate i lavoratori occasionali,
comunque numericamente irrilevanti nel campione.
18
Nel caso di più contratti si è fatto riferimento a quello principale (in partico-
lare per i collaboratori).
82
Il 43% dei lavoratori non standard è inserito nei servizi, il
16% nell’industria e nelle costruzioni, il 15% nei servizi alle im-
prese. Seguono alberghi e ristorazione (10%), commercio (9%),
agricoltura (6%) e altri settori (1%).
Rispetto al totale del campione, i flessibili risultano sottorap-
presentati nell’ambito del commercio e delle attività manifattu-
riere, e al contrario sovrarappresentati nel settore dei servizi alle
persone (Tab. 6.2).
Tabella 6.2. Lavoratori non standard: intervistati per tipologia contrattuale e settore d’impiego.
Valori %
Agricoltura Attività Commercio Alberghi e Servizi alle Servizi alle Altro Totale
manifatturiere e ristoranti aziende persone
costruzioni
Valori assoluti
Tempo Indeterminato 6 115 67 33 57 110 14 402
Flessibili 8 23 13 14 22 62 1 143
Autonomi 7 16 10 4 13 7 2 59
Totale 21 154 90 51 92 179 17 604
Valori %
Tempo Indeterminato 1,5 28,6 16,7 8,2 14,2 27,4 3,5 100,0
Flessibili 5,6 16,1 9,1 9,8 15,4 43,4 0,7 100,0
Autonomi 11,9 27,1 16,9 6,8 22,0 11,9 3,4 100,0
Totale 3,5 25,5 14,9 8,4 15,2 29,6 2,8 100,0
Grafico 6.1. Lavoratori non standard: intervistati per tipologia contrattuale e mansione
professionale. Valori %
83
Solo per il 18% degli instabili la flessibilità del lavoro è stata
scelta (cfr. § 5.1), mentre nella stragrande maggioranza è subita
(82%), in particolare per le donne (+8% rispetto agli uomini)19.
D’altronde, come testimoniato dalla letteratura in materia, la
condizione di atipico20 nella gran parte dei casi è tale solo per la
diversa forma contrattuale, dal momento che sono la netta mag-
gioranza coloro che lavorano per un unico committente in ma-
niera pressoché continuativa, presso la sede di questo e in orari e
con mansioni ordinarie, dunque con un profilo lavorativo sostan-
zialmente assimilabile a quello di un dipendente subordinato.
La flessibilità è subita soprattutto dai lavoratori che lavorano
per soggetti pubblici, dove la quota di coloro che “non hanno
avuto altra scelta” raggiunge il 96%. Nel settore privato e nel
terzo settore questi sono rispettivamente il 75% e il 67% degli
intervistati, perciò, pur rimanendo largamente maggioritaria la
quota di quanti hanno “subito” la flessibilità, questa è significa-
tivamente inferiore a quella del settore pubblico.
19
Sebbene con risultati meno polarizzati, questo scenario è confermato anche
da una recente ricerca su scala nazionale dell’Isfol (2004): in questa la percen-
tuale di quanti affermano di lavorare con un’occupazione temporanea “per
mancanza di alternative”, infatti, è di poco oltre la metà.
20
Si usa questa espressione nella sua accezione ristretta, dal momento che l’uni-
verso degli atipici è ben più ampio di quello dei lavori “instabili”, o “flessibili”
(ISTAT, 2005).
21
Fatta salva una leggera tendenza a durate maggiori per i collaboratori, in par-
te attribuibile alla presenza di lavoratori stagionali e interinali nel gruppo dei
“dipendenti con contratti a termine”.
84
cate. Le donne hanno in genere contratti più brevi, e soprattutto
risultano da un lato nettamente sottorappresentate nei contratti
di durata superiore ai 12 mesi (sono in questa situazione il 22%
dei maschi e il 7% delle donne), e dall’altro sovrarappresentate
nei contratti di durata fino a 3 mesi (16% contro il 9%) (Tab.
6.3).
Tabella 6.3. Lavoratori non standard: durata del contratto in mesi per genere. Valori %
Durata Maschi Femmine Totale
85
Tabella 6.4. Lavoratori non standard: durata del contratto in mesi per settore. Valori %
Agricoltura Attività Commercio Alberghi e Servizi alle Servizi alle Totale
manifatturiere e ristoranti aziende persone
costruzioni
87
Nel terzo settore, infine, la maggior parte dei lavoratori ha ri-
cevuto 2-3 incarichi dall’attuale committente, e gli occupati che
hanno stipulato più di tre contratti risultano essere solo l’11%.
Neanche in questo caso l’essere titolare di un contratto di
collaborazione, anziché di un contratto a tempo determinato,
cambia in maniera significativa il numero di incarichi sotto-
scritti col medesimo committente.
• Le prospettive occupazionali
Essere destinatari di un certo numero di contratti rinnovati
senza soluzione di continuità può essere un costo ritenuto ac-
cettabile nel caso vi sia, tra gli altri incentivi, la prospettiva di
una stabilizzazione. Ma, a questo proposito, la percezione che
gli intervistati hanno circa le loro prospettive occupazionali fu-
ture non è risultata ottimistica; chiesto loro cosa prevedibilmen-
te succederà alla scadenza dell’attuale contratto, solo il 13% ha
risposto che sarà assunto a tempo indeterminato22.
Significativamente, questa risposta è stata fornita dal 22%
degli uomini e solo dall’8% delle donne. Ben il 57%, invece,
conta di veder rinnovato l’attuale contratto, nella medesima
forma oppure con variazioni non sostanziali. Il 15% prevede
la fine del rapporto di lavoro (anche in questo caso sono forti
le differenze di genere: 19% delle donne contro il 9% degli uo-
mini). L’8% dichiara la massima incertezza del proprio futuro
(“non so/non ho idea”) e solo il 2% cambierà lavoro per scelta
propria (Tab. 6.8).
22
Gli intervistati si dimostrano del resto buoni profeti: come mostra un’indagine
del Cnel (2004), nell’arco del triennio 1998-2001 (dunque un periodo più favo-
revole alla conversione dei contratti dei lavoratori flessibili in impieghi stabili,
anche grazie agli incentivi presenti in Finanziaria 2001), la sorte degli occupati
a tempo determinato è quantomeno contrastata, coincidendo in circa la metà
dei casi in itinerari lavorativi ascendenti (soprattutto al Nord), nella permanenza
nella condizione di instabilità per un quarto del campione, nell’uscita dal merca-
to del lavoro di circa 1 lavoratore su 10, nel passaggio al lavoro autonomo del 4%
degli occupati fixed terms, infine nel passaggio a lavori in nero nel 5% del totale.
88
Tabella 6.8. Lavoratori non standard: “Cosa pensa che le sarà proposto allo scadere del
contratto?” per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale
Tabella 6.9. Lavoratori non standard: “pensando ai prossimi 12 mesi, lei prevede di poter
svolgere un’attività lavorativa...” per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale
89
Procedendo alla consueta disaggregazione per settore pub-
blico, privato o no-profit, emerge come solo nel settore privato
e nel terzo settore vi sia una quota di una qualche consistenza
degli intervistati che prevede di essere assunto, alla data della
naturale scadenza del contratto in essere, con un tempo inde-
terminato: rispettivamente, il 19% e l’11%. Nel settore pubblico,
invece, le prospettive di stabilizzazione si azzerano: solo il 2%
dei lavoratori interpellati dichiara che sarà assunto con un con-
tratto stabile.
Chi al contrario si dice ragionevolmente certo di non vedersi
rinnovato il contratto è il 12% dei lavoratori nel privato, il 15%
degli occupati nel pubblico, e ben il 44% degli assunti nel terzo
settore.
Il 67% dei lavoratori del settore pubblico prevede un rinnovo
del contratto; questa è anche la previsione del 53% dei lavoratori
presso soggetti privati, e del 44% del no-profit (Tab. 6.10).
Tabella 6.10. Lavoratori non standard: “Cosa pensa che le sarà proposto allo scadere del
contratto?”, per soggetto pubblico/privato/no profit. Valori %
Soggetto Soggetto Terzo Totale
pubblico privato settore
23
è necessario ricordare che, nel caso dei collaboratori, non sono previsti né il
trattamento di fine rapporto né integrazioni usualmente associate ai rapporti
di lavoro a tempo indeterminato (mensilità ulteriori rispetto alle dodici an-
nuali).
90
Il 47% dei lavoratori flessibili guadagna meno di 900 euro
al mese (40% il dato medio di tutti gli intervistati), il 41% ha
uno stipendio compreso tra i 900 e i 1200 euro (in linea con il
totale), e soprattutto solo il 4% va oltre i 1200 euro, là dove la
quota degli standard in questa fascia di reddito è del 10% (14%
gli autonomi, 9% il dato medio) (Tab. 6.11).
Tabella 6.11. Intervistati per ammontare dell’ultimo salario netto mensile e tipologia
contrattuale. Valori %
Fasce di reddito Tempo Indeterminato Flessibili Autonomi Totale
Tabella 6.12. Lavoratori con contratti standard e flessibili: ammontare dell’ultimo salario
netto mensile secondo la tipologia contrattuale e la mansione professionale. Valori %
Fasce di reddito Professioni medio alte Impiegati Venditori, commessi Operai specializzati e non
Tempo Tempo Tempo Tempo
Fles. TOTALE Fles. TOTALE Fles. TOTALE Fles. TOTALE
indet. indet. indet. indet.
Fino a 900 euro 33,3 30,0 32,0 32,6 50,0 37,7 50,8 36,8 47,4 40,4 50,0 42,5
901-1.200 euro 20,0 60,0 36,0 45,6 40,0 44,0 39,0 52,6 42,3 46,0 34,0 43,4
Oltre 1.200 euro 46,7 10 32 14,3 3,3 11,1 3,4 5,3 3,8 5,7 4 5,3
Non risponde 0,0 0,0 0,0 7,5 6,7 7,2 6,8 5,3 6,4 8,0 12,0 8,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
91
La debolezza economica dei lavoratori temporanei, unita al-
l’incertezza del posto di lavoro, avvicina pericolosamente i lavo-
ratori instabili ad una condizione di “vulnerabilità sociale”, spe-
cie in assenza di reti familiari che funzionino da argine rispetto
al rischio di povertà.
Si tratta di un aspetto forse sottovalutato dagli studi in mate-
ria, salvo le tesi di alcuni autori che recentemente hanno posto
l’accento sulla relazione tra “società del rischio” e lavoro tempo-
raneo (Ranci, 2002; Fullin, 2003).
E invece, in un sistema di protezione sociale come quello
italiano che, contrariamente a molti degli altri contesti europei,
non prevede alcuna forma di protezione sociale o di reddito mi-
nimo (vuoi “di inserimento”, “garantito”, “minimo” o di “ulti-
ma istanza”) rispetto ai “vuoti” retributivi che inevitabilmente
costellano le carriere di buona parte dei lavoratori instabili, vi
sono alcuni categorie sociali per le quali si può a ragione parla-
re di “criticità” e “vulnerabilità”. Sono in particolare gli adulti
con contratti temporanei, ossia gli “intrappolati” nella flessibili-
tà, e i membri di famiglie senza alcun reddito stabile (Reyneri,
2005b).
E, a questo proposito, va detto che tra gli intervistati, le si-
tuazioni in cui entrambi i coniugi siano inquadrati con contratti
a termine sono tutt’altro che infrequenti. Nel 54% dei casi di chi
ha un contratto a termine, il coniuge ha un contratto a tempo
indeterminato, ma per l’11% (quasi il doppio della media gene-
rale) l’inquadramento contrattuale della persona cui si è legati
affettivamente è quello del tempo determinato; nel 23% del to-
tale il partner è in cerca di occupazione oppure non è attivo sul
mercato del lavoro (comprendendo chi ne è uscito perché rasse-
gnato all’impossibilità di trovare un’occupazione), e nel 12% dei
casi svolge un lavoro autonomo (Tab. 6.13).
92
• Le tutele del lavoro
Passiamo infine a valutare le tutele del lavoro in senso stret-
to, e in particolare i trattamenti pensionistici, cominciando col
dire che solo il 17% del totale degli intervistati pensa di poter
avere in futuro una pensione adeguata. La gran parte dei lavo-
ratori (54%) non crede in questa possibilità; tanti sono anche
coloro che dicono di non saper valutare (28%).
Sono soprattutto i lavoratori oggi flessibili a ritenere impos-
sibile avere in futuro una pensione adeguata (60%), seguiti dai
lavoratori autonomi. I lavoratori “standard”, infine, sono più
degli altri incerti sul proprio futuro previdenziale; un giudizio,
questo, sul quale pesano evidentemente le molte riforme (e an-
nunci di riforme) del sistema pensionistico (Graf. 6.2).
Grafico 6.2. “Pensa di avere una pensione adeguata per vivere quando smetterà di lavorare?”
per tipologia contrattuale. Valori %
93
Grafico 6.3. Dipendenti con contratti a termine e collaboratori: “Pensa di avere una pensione
adeguata per vivere quando smetterà di lavorare?”. Valori %
95
Grafico 6.5. Dipendenti con contratti a termine e collaboratori: forme di tutela previdenziale
di cui si dispone (risposta multipla). Valori %
96
Infine, una minoranza dei lavoratori considera prioritario il
ricongiungimento dei contributi (13% circa per entrambi i grup-
pi); la formazione continua (più importante per i lavoratori stan-
dard che non per gli instabili: la segnalano il 12% dei primi con-
tro il 6% dei secondi); la presenza di agenzie di collocamento di
elevata qualità ed efficienza (9% degli stabili, 5% dei flessibili).
Tabella 6.15. “Quali sono secondo lei le politiche da attivare per i lavoratori a termine?” per
tipologia contrattuale (risposta multipla max. 2 risposte). Valori %
Tempo
Flessibile Totale
indeterminato
Incrementare il lavoro a tempo indeterminato 52,7 66,4 53,0
Ricongiungimento dei contributi 13,9 13,3 14,1
Tutele certe (malattia, maternità, infortuni) 30,1 20,3 25,7
Formazione continua 11,7 6,3 10,7
Indennità di disoccupazione 6,2 16,1 9,4
Buone agenzie di collocamento 8,7 4,9 7,4
Livelli retributivi più elevati (che permettano di
affrontare periodi di non occupazione, farsi una 26,6 18,2 24,4
pensione, ecc.)
Altro 2,2 2,1 2,9
Non so 3,5 2,8 3,6
24
Da questa evidenza empirica emerge dunque l’esistenza, per i collaboratori, di
un’attitudine a concepire l’attuale inquadramento come un percorso orientato.
Come vedremo meglio più avanti, tuttavia, la variabile decisiva in tal senso è
quella temporale.
97
Tabella 6.16. Collaboratori e dipendenti a termine: “Quali sono secondo lei le politiche da
attivare per i lavoratori a termine?” (risposta multipla max. 2 risposte)
Collaboratori Dipendenti a
termine
Incrementare il lavoro a tempo indeterminato 54,8 69,6
Ricongiungimento dei contributi 22,6 10,7
Tutele certe (malattia, maternità, infortuni) 35,5 16,1
Formazione continua 9,7 5,4
Indennità di disoccupazione 22,6 14,3
Buone agenzie di collocamento 6,5 4,5
Livelli retributivi più elevati (che permettano di affronta- 9,7 20,5
re periodi di non occupazione, farsi una pensione, ecc.)
Altro 3,2 1,8
Non so 3,2 2,7
25
Così come avviene per le imprese che pure sono le principali beneficiarie del
provvedimento.
98
Tabella 6.17. “Come giudica la legge 30/2003 (cosiddetta Legge Biagi) sulla riforma del merca-
to del lavoro?” per tipologia contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato
99
puntuale definizione dell’ISFOL), ed anche il livello di rego-
larità/irregolarità delle ore lavorate nell’arco della settimana,
o del mese.
Con il secondo, si focalizza l’attenzione sul fatto che il tem-
po lavorativo può rappresentare una “gabbia mal tollerata dal-
la quale non si può fuggire” (Rampazi, 1989), di cui si soffre
il carattere eterodiretto dall’esterno, se si stenta ad identificarsi
con le attività normate dai tempi e dai ritmi lavorativi, non rite-
nendoli significativi per la propria esistenza. In questa prospet-
tiva, il tempo del lavoro è potenzialmente tempo di qualità, se
di qualità sono i contenuti del lavoro, perché questi esprimono
la relazione positiva tra individuo e organizzazione sociale, e il
sentimento di adesione del primo rispetto alla seconda attraver-
so i significati del lavoro (Elias, 1986).
100
Tabella 6.18. Dipendenti “non standard” con contratto a termine full time/part-time. Valori
assoluti e valori %
Orario Valori assoluti Valori %
Collaboratori
A tempo pieno 14 45,2
A tempo parziale 17 54,8
Totale 31 100,0
103
Tabella 6.23. Dipendenti con contratto a termine: “Gli straordinari le vengono riconosciuti?”
per genere. Valori %
Maschi Femmine Totale Confronto:
% espresse
da occupati con
contratti a tempo
indeterminato
104
Quasi un lavoratore temporaneo su cinque, inoltre, lavora
abitualmente o più che abitualmente la domenica: anche in que-
sto caso il confronto con i lavoratori “standard” fa registrare un
certo svantaggio, anche se non di intensità eclatante, a sfavore
dei dipendenti a termine (Tab. 6.24).
Tabella 6.24. Dipendenti con contratto a termine: fasce orarie di lavoro serali/notturne
e festivi. Valori %
Orario Sempre Abitualmente Saltuariamente Mai Totale
Donne
Serale (Dalle 20 in poi) 4,0 5,3 5,3 85,3 100,0
Notturno 1,3 2,7 1,3 94,7 100,0
Sabato 29,3 6,7 13,3 50,7 100,0
Domenica 13,3 4,0 5,3 77,3 100,0
Uomini
Serale (Dalle 20 in poi) 5,4 10,8 21,6 62,2 100,0
Notturno 2,7 5,4 8,1 83,8 100,0
Sabato 21,6 16,2 16,2 45,9 100,0
Domenica 5,4 13,5 16,2 64,9 100,0
Tabella 6.26. Dipendenti con contratto a termine, per settore: fasce orarie di lavoro
serali/notturne e festivi. Valori %
Orario Frequenza Serale Notturno Sabato Domenica
(dalle 20
in poi)
106
6.3. La soddisfazione del lavoro
26
Vale a dire, il bisogno soddisfatto di stabilire con una certa libertà le condizio-
ni immediate del proprio lavoro, di determinare autonomamente la propria
condotta lavorativa (ISFOL, 2004) e, infine, lo “sganciamento” dall’autorità
aziendale gerarchicamente organizzata, che altre indagini mostrano esse-
re uno degli aspetti che più riduce la qualità percepita del lavoro, in special
modo nelle aziende di grande dimensione.
107
più degli altri fattori (66%). D’altro canto, l’autorealizzazione è
un aspetto tutt’altro che trascurato dai lavoratori dipendenti, dal
momento che compare come seconda risposta sia per gli assunti
a tempo indeterminato (15%) che per i flessibili (19%).
Per gli autonomi, il secondo fattore in ordine di importanza
è invece proprio la sicurezza del posto (22%). Per tutti i lavora-
tori, il terzo elemento è la condizione retributiva: lo segnala il
12% degli occupati standard, il 13% dei flessibili, e il 19% degli
autonomi.
Meno importanti di altri aspetti sono considerati, in ordine,
i rapporti con i colleghi e con i superiori (11%), la possibilità
di imparare cose nuove (4%), la possibilità di carriera (3%), il
prestigio sociale della professione (3%), infine l’orario di lavoro
(2%) (Tab. 6.27).
Tabella 6.27. L’aspetto della condizione di lavoro considerato “più importante” per tipologia
contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato
Sicurezza del posto di lavoro 46,5 34,2 22,0 41,0
Possibilità di carriera 1,7 4,4 3,4 2,6
Rapporti con i colleghi/superiori 11,4 10,8 6,8 10,8
Stipendio/reddito 11,7 12,7 18,6 12,6
Possibilità di autorealizzazione 14,9 19,0 35,6 17,9
Possibilità di imparare cose nuove 3,5 6,3 3,4 4,2
Orario di lavoro 1,2 4,4 3,4 2,3
Prestigio, stima degli altri 3,0 3,2 0,0 2,7
Non so 1,7 1,3 1,7 1,6
Tutti 3,7 3,2 3,4 3,6
Nessuno 0,5 0,6 1,7 0,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0
108
Tabella 6.28. Aspetti delle condizioni di lavoro: prime 3 risposte per numerosità per tipologia contrattuale
Tipologia Prima risposta Seconda risposta Terza risposta
contrattuale
“… il più importante”
Tempo indeterminato Sicurezza del posto di lavoro Possibilità di autorealizzazione Stipendio/reddito
Flessibili Sicurezza del posto di lavoro Possibilità di autorealizzazione Stipendio/reddito
Autonomi Possibilità di autorealizzazione Sicurezza del posto di lavoro Stipendio/reddito
“… il più soddisfacente”
Tempo indeterminato Rapporti con i colleghi/superiori Sicurezza del posto di lavoro Possibilità di autorealizzazione
Flessibili Rapporti con i colleghi/superiori Possibilità di autorealizzazione Possibilità di imparare cose nuove
Autonomi Possibilità di autorealizzazione Rapporti con i colleghi/superiori Possibilità di imparare cose nuove
“… il meno soddisfacente”
Tempo indeterminato “Nessuno” Stipendio/reddito “Non saprei”
Flessibili Sicurezza del posto di lavoro Stipendio/reddito Orario di lavoro
Autonomi Stipendio/reddito Orario di lavoro “Nessuno”
109
Tabella 6.29. L’aspetto della condizione di lavoro considerato “più importante”, per tipologia
contrattuale e grado di sicurezza percepita del posto di lavoro. Valori %
L’aspetto più importante Sicuro o abbastanza Poco sicuro o per niente
Tempo Flessibili Auton. TOTALE Tempo Flessibili Auton. TOTALE
indeterm. indeterm.
Sicurezza posto di lavoro 46,3 31,4 16,3 40,8 48,5 39,3 30,8 41,2
Possibilità di carriera 1,9 2,9 2,3 2,2 0,0 7,1 7,7 4,9
Rapporti con i colleghi/superiori 11,5 11,8 7,0 11,2 9,1 8,9 7,7 8,8
Stipendio 12,3 14,7 18,6 13,3 6,1 8,9 23,1 9,8
Possibilità di autorealizzazione 15,6 15,7 39,5 17,6 9,1 25,0 23,1 19,6
Imparare cose nuove 3,6 5,9 2,3 3,9 3,0 7,1 7,7 5,9
Orario di lavoro 0,8 5,9 4,7 2,2 6,1 1,8 0,0 2,9
Prestigio, stima degli altri 2,5 4,9 0,0 2,7 9,1 0,0 0,0 2,9
Non so 1,1 2,0 2,3 1,4 6,1 0,0 0,0 2,0
Tutti 3,8 3,9 4,7 3,9 3,0 1,8 0,0 2,0
Nessuno 0,5 1,0 2,3 0,8 0,0 0,0 0,0 0,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
110
condizione lavorativa – vedremo in seguito perché.
Il 10% dei lavoratori standard e il 9% dei flessibili indica
anche l’orario di lavoro come fattore più soddisfacente; l’ora-
rio non è invece altrettanto considerato dagli autonomi (5%),
che mostrano piuttosto di apprezzare – così come fanno i fles-
sibili – le possibilità di apprendimento formale o informale (“la
possibilità di imparare cose nuove”), cioè uno degli elementi che
insieme alla formazione, consentendo lo sviluppo delle compe-
tenze personali, incrementa l’autopercezione della propria occu-
pabilità, ritenuta in misura crescente dalle giovani generazioni
una valida difesa per l’incertezza lavorativa, talvolta più efficace
delle tutele contrattuali (Tab. 6.30).
Tabella 6.30. L’aspetto della condizione di lavoro di cui si è “più soddisfatti” per tipologia
contrattuale. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato
111
Tabella 6.31. Lavoratori flessibili: l’aspetto del lavoro considerato “più soddisfacente” per
congruenza dell’attuale occupazione rispetto al titolo di studio. Valori %
Sì, molto Sì, ma solo No, per
Totale
attinente in parte niente
112
posto di lavoro e i rapporti con i colleghi ed i superiori). Ne de-
riva l’impressione – come suffragato da altre elaborazioni – che
i lavoratori più istruiti, qualificati e con alle spalle un percorso
formativo coerente con l’attuale mansione, siano più attenti alle
opportunità di lungo periodo di una carriera per la quale hanno
studiato e che appare in grado di offrire loro una reale gratifica-
zione personale, piuttosto che agli aspetti “materiali” del lavoro.
I costi della flessibilità, di cui peraltro la stragrande maggioran-
za è perfettamente cosciente, sono in qualche modo “scambiati”
con il maggior valore delle aspirazioni individuali. In breve, con
i contenuti del lavoro.
Del resto, i lavoratori instabili sono anche il gruppo che fa
registrate in proporzione una maggiore attinenza dei contenuti
del lavoro rispetto ai titoli di studio (Tab. 6.32).
113
Tabella 6.33. “Come considera la sua condizione lavorativa attuale rispetto a quella di un
anno fa?” per tipologia contrattuale. Valori %
Tempo indeterminato Flessibile Autonomo Totale
115
soddisfazioni come le insoddisfazioni. Nel caso dei lavoratori
flessibili, più di un terzo definisce la propria posizione lavorativa
“poco o per niente” sicura (33% degli uomini, 37% delle donne),
contro il 16,5% del totale di tutti i lavoratori (Graf. 6.6).
Grafico 6.6. “Ritiene che il suo posto di lavoro sia…” per attuale tipologia contrattuale.
Valori %
28
Secondo l’ISTAT, la probabilità di perdere il lavoro nell’arco di un anno di un
lavoratore con contratto standard è del 4%; per un lavoratore flessibile è del
14%.
116
Tabella 6.36. Lavoratori che hanno dichiarato “poco o per niente” sicuro il proprio posto di
lavoro per tipologia contrattuale e ragione dell’incertezza. Valori %
Tempo Flessibile Autonomo Totale
indeterminato
Flessibili
Pubblico 49,0 51,0 100,0
Privato 71,1 28,9 100,0
Terzo settore 77,8 22,2 100,0
Totale 63,6 36,4 100,0
A tempo indeterminato
Pubblico 96,2 3,8 100,0
Privato 90,6 9,4 100,0
Terzo settore 94,3 5,7 100,0
Totale 91,7 8,3 100,0
117
Se, considerando ancora una volta i lavoratori flessibili, tor-
niamo ad analizzare le risposte rese alla domanda sugli aspetti
“meno soddisfacenti”, e distinguiamo quanti, al di là della posi-
zione contrattuale “temporanea”, affermano di essere comunque
moderatamente certi della continuità professionale, e quanti al
contrario percepiscono una grande incertezza a questo propo-
sito, l’ipotesi avanzata in precedenza di uno “scambio” tra sicu-
rezza del posto di lavoro/aspirazioni professionali e del percorso
lavorativo, va riesaminata.
Risulta infatti che ben il 54% degli “insicuri” del posto se-
gnala come elemento “più insoddisfacente” proprio la sicurezza
lavorativa, là dove i “sicuri” non indicano tale fattore se non nel
13% dei casi.
Anche all’interno del gruppo dei flessibili, dunque, è palese
l’esistenza di gradi differenti di insicurezza, che per taluni è ol-
tremodo sofferta, e per altri continua invece ad essere conside-
rata un fattore meno importante di altri.
Questa forbice così ampia consente di considerare “discrimi-
nante e sineddotica” per la nostra analisi la variabile “percezione
della sicurezza dell’occupazione” (ISFOL, 2004), e di distingue-
re, nel gruppo dei lavoratori instabili, i “flessibili” dai “precari”.
Tra queste due categorie, che indubbiamente disegnano per-
corsi professionali molto diversi nell’esito – più che nell’iniziale
approccio al lavoro – si dividono i lavoratori anche quando è
chiesto loro se vorrebbero cambiare occupazione.
Tabella 6.38. “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per tipologia contrattuale e sicurezza percepita del
posto di lavoro. Valori %
Sicuro o abbastanza Poco sicuro o per niente Totale
Tempo Fless. Auton. TOT. Tempo Fless. Auton. TOT. Tempo Fless. Auton. TOT.
indet. indet. indet.
Sì 22,5 24,5 7,0 21,6 51,5 37,5 15,4 39,2 24,6 29,1 8,5 24,2
No, sono soddisfatto 62,7 60,8 86,0 64,3 30,3 42,9 61,5 41,2 60,2 54,4 78,0 60,4
Non credo di poter trovare
13,2 12,7 7,0 12,5 15,2 17,9 23,1 17,6 13,4 14,6 11,9 13,6
un lavoro migliore
Non so 1,6 2,0 0,0 1,6 3,0 1,8 0,0 2,0 1,7 1,9 1,7 1,8
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
119
soprattutto, sale la percentuale di coloro che, incerti sulla conti-
nuità dell’occupazione, affermano di voler cambiare (38% con-
tro una media del 29%).
Concentrandosi ancora sui flessibili, la volontà di cambiare
lavoro è positivamente correlata all’attinenza dei percorsi scola-
stici e formativi (se questa è maggiore, risulta più elevato anche
il desiderio di cambiare lavoro), e anche al titolo di studio. In
questa distribuzione delle risposte emerge infatti la maggiore
dinamicità sul mercato del lavoro dei soggetti più qualificati ed
istruiti, ed anche un “effetto intrappolamento” di quanti possie-
dono un basso grado di scolarizzazione, che più degli altri “non
credono di poter trovare un’altra occupazione”. Analogamente,
chi lavora con mansioni che risultano incoerenti rispetto al pro-
prio percorso formativo, non crede di poter reperire un lavoro
migliore (21% contro una media del 15%) (Tabb. 6.39-6.40).
Tabella 6.39. Lavoratori flessibili: “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per attinenza del titolo di
studio ai contenuti dell’attuale occupazione. Valori %
Sì, molto Sì, ma solo No, totale
attinente in parte per niente
Tabella 6.40. Lavoratori flessibili: “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per grado di scolarizzazione.
Valori %
Basso Medio Alto TOTALE
120
mutare occupazione sono, com’era lecito attendersi, i lavoratori
classificati come appartenenti alle “professioni di medio-alto li-
vello”, e anche gli impiegati.
Naturalmente, la volontà di cambiare lavoro è anche inversa-
mente proporzionale alla retribuzione.
Ma la variabile maggiormente esplicativa della scelta tra pre-
ferenza per il posto attuale e volontà di cambiamento dell’attua-
le occupazione, è il settore di impiego.
Come si può osservare, i giudizi sono in questo caso estrema-
mente differenziati secondo il ramo di attività. Il 38% di chi lavo-
ra nel commercio e il 36% degli assunti nel settore dei servizi alle
imprese desiderano cambiare; questi risultati si spiegano tuttavia
con ragioni differenti. Tra i primi, infatti, pesa la congiunzione
orari di lavoro prolungati-scarsa gratificazione-retribuzione non
alta; per i secondi, il voler cambiare posto di lavoro è piuttosto
un segno di dinamismo e di apertura che non per caso è correlato
con livelli di scolarizzazione mediamente più alti.
Gli intervistati che vogliono cambiare lavoro sono in numero
nettamente più basso nei settori della manifattura, della ristora-
zione e del turismo, dei servizi alle persone (dove però molti sono
anche convinti dell’impossibilità di trovare un lavoro migliore).
L’elemento che appare discriminante, in realtà, è la combi-
nazione tra l’occupazione in un settore di impiego a scarsa gra-
tificazione individuale e la percezione dell’incertezza della con-
tinuità lavorativa; quest’ultima, in particolare, determina tra gli
occupati nei rami degli alberghi/ristoranti, delle attività mani-
fatturiere/costruzioni, e del commercio, un orientamento netto
al voler cambiare lavoro.
Mentre nei settori dove più si danno opportunità di qualifi-
cazione e di apprendimento29, vale a dire l’area dei servizi alle
imprese e alle persone, l’insicurezza del posto non sembra con-
dizionare oltremisura la volontà di permanenza in un’occupa-
zione che è sentita come propria, nei rimanenti settori30 il dop-
pio svantaggio di precarietà e bassa gratificazione professionale
rende inaccettabile l’idea dell’immobilità occupazionale, e per-
ciò si massimizza la propensione al cambiamento.
Così, negli occupati negli alberghi e nei ristoranti il 29% è
propenso a cambiare lavoro, ma tra gli incerti del posto la per-
29
Il maggior numero di lavoratori che ha svolto attività formative si ritrova nei
settori dei servizi alle aziende e alle persone.
30
Esclusa l’agricoltura, per l’irrilevanza statistica dei risultati.
121
centuale corrispondente sale al 100%; nel commercio, il 38%
in media vuole cambiare occupazione ma – di nuovo – tra chi
non è sicuro del posto le risposte di questo genere arrivano al
50%. Risultati analoghi si hanno per l’industria. Al contrario,
nei servizi alle imprese, la quota di lavoratori decisi a cambiare
occupazione sono il 36%, in linea con la percentuale di risposta
espressa dagli insicuri (34%), così come accade per gli assunti
nei servizi alle persone (26% il totale di chi vuole cambiare, 27%
il dato degli incerti) (Tab. 6.41).
Tabella 6.41. Lavoratori flessibili: “Vorrebbe cambiare lavoro?”, per settore e incertezza del
posto di lavoro. Valori %
Attività manifatturiere e
Commercio Alberghi e ristoranti Servizi alle imprese Servizi alle persone
costruzioni
Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE Di cui incerti TOTALE
Sì 60,0 26,1 50,0 38,5 100,0 28,6 33,3 36,4 26,7 25,8
No, sono soddisfatto 20,0 60,9 50,0 38,5 0,0 64,3 66,7 54,5 46,7 54,8
Non troverò un lavoro migliore 20,0 13,0 0,0 15,4 0,0 7,1 0,0 4,5 26,7 17,7
Non so 0,0 0,0 0,0 7,7 0,0 0,0 0,0 4,5 0,0 1,6
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0
Tabella 6.42. Lavoratori che desiderano cambiare l’occupazione: “Con quale tipo di contratto
vorrebbe lavorare?” per tipologia contrattuale. Valori %
Tempo Indeterminato Flessibili Autonomi Totale
Un lavoro dipendente con un contratto a tempo indeterminato 79,8 91,3 40,0 82,0
Un lavoro dipendente a tempo non indeterminato 1,0 2,2 0,0 1,3
Un lavoro autonomo 9,1 2,2 20,0 7,3
Collaborazione coordinata e continuativa 1,0 0,0 0,0 0,7
Altro 7,1 0,0 0,0 4,7
Non so 2,0 4,3 40,0 4,0
Totale 100,0 100,0 100,0 100,0
Tabella 6.43. Lavoratori con contratto a tempo determinato e collaboratori: “per avere un
lavoro stabile lei sarebbe disposto a sacrificare qualcosa del suo attuale lavoro?”. Valori %
Dipendenti a termine Collaboratori
Sì 48,2 51,6
No 42,0 32,3
Non so 9,8 16,1
Totale 100,0 100,0
123
Tabella 6.44. Lavoratori con contratto a tempo determinato e collaboratori: “Cosa sarebbe
disposto a sacrificare?”. Valori %
Dipendenti a Collaboratori
termine
SODDISFAZIONE
TIPO DI LAVORO
DEL LAVORO
SETTORE DI IMPIEGO
CARRIERA E RETRIBUZIONE
124
6.4. Riflessioni finali
127
7.
Un approfondimento
qualitativo: la flessibilità
del lavoro nella Pubblica
Amministrazione toscana31
7.1. Introduzione
31
L’indagine è stata realizzata nei primi mesi del 2006, all’indomani dell’appro-
vazione della Legge Finanziaria per il 2006, quindi l’analisi non tiene conto
delle misure di stabilizzazione per alcune categorie di lavoratori atipici nel
pubblico impiego previste dalla manovra finanziaria del 2007 e, per quanto
riguarda la Toscana, dalla Legge regionale n. 27 del 3 maggio 2007.
32
Il D.Lgs n. 29/1993, poi modificato dal D.Lgs n. 80 del 1998, dispone che le
pubbliche amministrazioni “si avvalgono delle forme contrattuali flessibili di
assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi
sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa”.
129
Le forme flessibili di lavoro si ritrovano in tutte le tipologie
di amministrazioni, con punte sensibilmente più elevate rispet-
to alla media (4,5%) nell’Università e nel comparto Regioni e
Autonomie locali, dove la quota di lavoratori a termine è pari
rispettivamente al 16% e al 14%.
Per quanto concerne la realtà degli Enti locali, nonostante
abbiano la facoltà di dimensionare e gestire le proprie risorse
umane, nell’ambito dell’autonomia organizzativa e normativa
attribuita dal D.Lgs. n. 267/2000, tuttavia negli ultimi anni Pro-
vince, Comuni e Comunità montane si sono trovati a rispettare
vincoli crescenti nelle dotazioni organiche imposti dal Governo
centrale, determinando un incremento nel ricorso a tipologie di
impiego non-standard.
La Finanziaria del 2006, però, con le stringenti limitazio-
ni previste per la spesa del personale33, potrebbe avere conse-
guenze negative sulla continuità lavorativa di questi lavoratori.
Taluni rappresentanti sindacali parlano di una riduzione tra i
90 e i 120mila nel triennio 2006-2008. Ovviamente, dal lato dei
lavoratori, la questione si pone in maniera grave in termini di
instabilità dei posti di lavoro; ma il problema diventa rilevante
anche per le stesse Pubbliche Amministrazioni in termini di pre-
carizzazione dei servizi rivolti ai cittadini: negli anni precedenti
l’ampio ricorso a queste tipologie contrattuali si è verificato in
molti casi non per esigenze specifiche e contingenti legate alla
realizzazione di un singolo progetto, ma per garantire lo svolgi-
mento ordinario delle funzioni essenziali – e quindi stabili – del-
l’Ente pubblico.
Alla luce di queste considerazioni, abbiamo ritenuto oppor-
tuno compiere un approfondimento specifico relativo ai lavora-
tori occupati nella Pubblica Amministrazione con contratti non
standard.
In questo capitolo, dopo aver inquadrato dal punto di vista
quantitativo la diffusione della flessibilità del lavoro nel pub-
blico impiego attraverso i dati del Conto Annuale del personale
degli Enti locali e della Regione Toscana (§ 7.2), riportiamo i ri-
sultati di un’indagine diretta svolta attraverso la realizzazione
di cinque focus group, che hanno coinvolto circa 50 lavoratori
impiegati presso Enti decentrati e agenzie collegate dell’area
fiorentina e pratese, di cui abbiamo cercato di analizzare non
33
Dal 2006 le amministrazioni pubbliche potranno ricorrere a forme di lavoro
non a tempo indeterminato, ma solo nel limite del 60% della spesa analoga
sostenuta nel 2003.
130
solo le problematiche relative al lavoro, ma anche le evidenti
implicazioni che la flessibilità determina nel vissuto quotidia-
no degli individui34 (§ 7.3).
34
L’approfondimento relativo al settore pubblico fa parte di un percorso di ri-
cerca più ampio sulla flessibilità del lavoro in Toscana, avviato nel 2003 e
promosso dal Consiglio Regionale. La ricerca si è svolta agli inizi del 2004,
all’indomani dell’approvazione della Legge 30/2003, e in quell’occasione ha
coinvolto 100 collaboratori di vari enti pubblici, in particolare Regione e
Agenzie regionali, Autonomie locali, Enti ministeriali (cfr. Savino, 2005).
35
Questo paragrafo riprende parte del contributo “Flessibilità e stabilità del la-
voro negli Enti decentrati” in La finanza locale in Toscana, a cura di S. Loren-
zini (2006), IRPET, Firenze.
131
(5%). Tuttavia, nel periodo analizzato va rilevata la crescita nu-
merica di queste due tipologie contrattuali, in particolare nelle
Amministrazioni comunali, e soprattutto l’incremento della loro
incidenza rispetto al più tradizionale lavoro a termine; proba-
bilmente su questa evoluzione incidono i vincoli sulle nuove as-
sunzioni che dalla Finanziaria del 2002 gravano sui rapporti di
lavoro a tempo determinato, da cui invece rimangono esclusi i
lavoratori interinali: sul totale dei dipendenti atipici, i lavoratori
con contratti di formazione passano da meno dell’1% al 5% nel
2004, i lavoratori interinali da meno del 3% al 6% (Tab. 7.2).
Tabella 7.1. Lavoratori con contratti flessibili e totale dipendenti negli Enti locali e in Regione
Toscana. 2001-2004. Valori assoluti e valori %
Dip. con contratti flessibili TOTALE DIPENDENTI % flessibili sul totale
Province
2001 121 4.698 2,6
2002 203 4.993 4,1
2003 228 4.993 4,6
2004 322 5.118 6,3
Comunità montane
2001 19 538 3,5
2002 22 558 3,9
2003 29 595 4,9
2004 30 562 5,3
Comuni
2001 2.478 33.603 7,4
2002 2.157 33.056 6,5
2003 2.503 33.254 7,5
2004 2.671 32.238 8,3
Enti locali
2001 2.618 38.839 6,7
2002 2.382 38.607 6,2
2003 2.760 38.842 7,1
2004 3.023 37.918 8,0
Regione
2001 162 2.646 6,1
2002 176 2.803 6,3
2003 208 2.834 7,3
2004 248 2.917 8,5
132
Tabella 7.2. Lavoratori con contratti flessibili per tipologia di contratto negli Enti locali. 2001-
2004. Valori assoluti e valori %
Valori assoluti Valori %
Tempo Formazione Interinale Totale Tempo Formazione Interinale Totale
determinato lavoro determinato lavoro
Province
2001 111 0 10 121 91,7 0,0 8,3 100,0
2002 190 9 4 203 93,6 4,4 2,0 100,0
2003 216 12 0 228 94,7 5,3 0,0 100,0
2004 310 11 1 322 96,3 3,4 0,3 100,0
Comunità montane
2001 16 0 3 19 84,2 0,0 15,8 100,0
2002 17 0 5 22 77,3 0,0 22,7 100,0
133
2003 21 2 6 29 72,4 6,9 20,7 100,0
2004 24 3 3 30 80,0 10,0 10,0 100,0
Comuni
2001 2.407 15 56 2.478 97,1 0,6 2,3 100,0
2002 1.997 46 114 2.157 92,6 2,1 5,3 100,0
2003 2.217 119 167 2.503 88,6 4,8 6,7 100,0
2004 2.346 141 184 2.671 87,8 5,3 6,9 100,0
Enti locali
2001 2.534 15 69 2.618 96,8 0,6 2,6 100,0
2002 2.204 55 123 2.382 92,5 2,3 5,2 100,0
2003 2.454 133 173 2.760 88,9 4,8 6,3 100,0
2004 2.680 155 188 3.023 88,7 5,1 6,2 100,0
134
la spesa sostenuta dall’amministrazione raddoppia nel giro di
un biennio, partendo da circa 800mila euro e attestandosi nei
tre anni successivi attorno a 1,8 milioni di euro, con un’inciden-
za sul totale del costo del lavoro che rimane sostanzialmente in-
variata nel triennio 2001-03 (1,6%), in lieve flessione nell’ultimo
anno di osservazione (1,2%).
Per quanto concerne gli Enti locali, complessivamente la
spesa sostenuta per l’attivazione di collaborazioni è pari a oltre
34 milioni di euro, in sensibile crescita nel quadriennio di osser-
vazione. Il trend positivo riguarda tutti i livelli di governo, sia in
termini di livelli di spesa, sia in termini di incidenza sul totale
del costo del lavoro (Tabb. 7.3-7.4).
Tabella 7.3. Spesa per collaborazioni coordinate e continuative negli Enti locali e in Regione
Toscana. 2001-2004
Var. %
2001 2002 2003 2004 2004-2001
Tabella 7.4. Incidenza della spesa per collaborazioni coordinate e continuative sul costo del
lavoro negli Enti locali e in Regione Toscana. 2001-2004
2001 2002 2003 2004
36
Secondo i dati Excelsior relativi alle previsioni di assunzione per il 2005 da
parte degli imprenditori toscani, il titolo di studio meno richiesto continua a
essere quello universitario (7,6%) a fronte di una quota rilevante di occupazio-
ne potenziale per la quale è sufficiente l’obbligo scolastico (35%).
137
Io non ho chiaramente scelto di fare la collaboratrice coordi-
nata e continuativa. Avrei preferito essere una dipendente, avere
tutti gli oneri sociali dei dipendenti. Ma mi ero appena laureata
e trovare un lavoro di quel genere, che mi permetteva di sfruttare
la mia laurea in lingue, di conoscere i vari istituti europei, per me
era in quel momento lì una gran fortuna, e l’ho preso con grande
entusiasmo (laureata in Lingue, 38 anni).
Il problema è che sono stata per sei anni nello stesso posto di
lavoro, dove non sono cresciuta professionalmente, dove ho fatto
dal primo giorno in cui sono entrata fino ad oggi, sempre il me-
desimo lavoro, affiancata sempre dalla medesima persona, senza
avere la minima possibilità di crescere. Sono rimasta la borsista di
sei anni fa. È stata una scelta che poi però è risultata penalizzante,
anche dal punto di vista professionale. È una cosa che mi pesa,
anche perché ho 38 anni e sono nell’età in cui potrei dare vera-
mente … e però, insomma, non ne ho neanche venti. Sono in un
momento per cui o do ora oppure… insomma, la vedo dura anche
mettersi in marcia per crescere. Mi sento ingessata, ecco (laureata
in Architettura, 38 anni).
145
La stabilità non è sembrato essere un obiettivo desiderabile
sempre e comunque. Per alcuni intervistati la stabilizzazione è
una meta importante, per la quale tuttavia non rinuncerebbero
alla possibilità di svolgere un lavoro adeguato alle proprie com-
petenze e che sia fonte di soddisfazione.
147
In alcuni casi sono emerse situazioni di forte isolamento ri-
spetto ai colleghi, da cui scaturisce un diffuso senso di males-
sere di fronte alle difficoltà di ottenere un riconoscimento del
proprio ruolo e del proprio spazio lavorativo.
37
“Tagliare l’1% delle spese per il personale – si legge nel comunicato dell’ufficio
stampa del Comune – è un’operazione di due milioni di euro, che avrebbe
comportato una riduzione drastica del personale precario. In pratica mandare
a casa i circa 180 co.co.co., con conseguenze gravi sui servizi e sulla funziona-
lità del Comune. Detto in altro modo sarebbero scomparse non poche sezioni
di scuola materna, pregiudicata l’attività dell’Assessorato alla multiculturalità
in una città a forte presenza di immigrati, ridotti i servizi informatici che or-
mai fanno girare la macchina comunale”.
38
Nel dettaglio si proponeva: la rinuncia da parte del personale di ruolo a 400
mila euro complessivi del fondo dei dipendenti, per i dirigenti a 50 mila euro;
la decurtazione del 10% per il funzionamento degli organi istituzionali. Al-
149
La proposta ha sollevato non poche reazioni da parte sia dei la-
voratori dipendenti che delle organizzazioni sindacali, che hanno
portato prima al congelamento della delibera, poi al ridimensio-
namento dell’entità finanziaria della manovra fino ad arrivare al-
l’esclusione del fondo di produttività nel concorrere ai risparmi. I la-
voratori flessibili di Prato interpellati sull’evento hanno sottolineato
un’evidente presa di distanza non solo da parte dei propri colleghi
dipendenti, ma anche delle stesse organizzazioni sindacali.
La vicenda è tanto più illuminante se teniamo presente il con-
testo di riferimento, ossia un’area distrettuale, dove il lavoro per
decenni è stato fonte di integrazione e il dialogo sociale prassi
consolidata nelle relazioni industriali. In particolare il metodo
concertativo ha rappresentato uno dei punti di forza del sistema
locale, soprattutto nei suoi momenti più difficili, che ha reso Pra-
to un modello di riferimento non solo per il dinamismo imprendi-
toriale, i livelli di crescita economica e di benessere, ma anche per
la qualità delle relazioni tra gli attori pubblici e privati nell’area.
tre riduzioni potevano derivare dalla razionalizzazione sui servizi (300 mila
euro), dalla diminuzione dello stanziamento per le trasferte dei dipendenti
(120 mila euro), dal congelamento degli straordinari (50 mila euro), ecc.
150
che fa due cavolate, ciao ciao. Tu hai quei soldi lì, hai quei benefici
lì, però te li devi meritare fino in fondo, no? Io parlo in generale.
Credo che nel pubblico ci siano alcuni percorsi simili, però non
giustificati poi dal rendimento (laureato in Sociologia, 38 anni).
• Vivere flessibilmente
Nonostante le profonde trasformazioni degli ultimi decenni
del secolo scorso, il lavoro continua ad essere una dimensione
centrale nella vita di ciascun individuo, poiché da un lato ga-
rantisce la sopravvivenza e l’indipendenza economica, dall’altro
rappresenta il più efficace dispositivo di integrazione nella vita
adulta e nella società, il fattore che influisce maggiormente sul-
la stratificazione sociale, conferendo dunque identità sociale,
influendo sull’autostima individuale e sulla considerazione da
parte degli altri.
Pertanto parlare di flessibilità vuol dire introdurre questioni
che riguardano non solo la sfera del lavoro, ma tutte le dimen-
sioni della vita personale del singolo, e che toccano l’intera or-
ganizzazione della società. Una rilevante parte della letteratura
in materia si è concentrata proprio sull’analisi delle implicazio-
ni nel vissuto quotidiano dell’essere flessibile, sui rilevanti oneri
che i lavori instabili tendono ad imporre a carico dell’individuo,
della famiglia e della comunità (Gallino, 2001).
Nell’ambito della nostra indagine, il fenomeno della flessibili-
tà ha una precisa caratterizzazione generazionale, coinvolgendo
“giovani adulti”, che, proprio nella fase della vita caratterizzata
dalle scelte cruciali per il destino – non solo professionale ma
anche personale – vivono l’esperienza della flessibilità con l’in-
quietudine del futuro e l’incapacità di progettarne uno proprio.
Ciò che colpisce è che stiamo parlando non di lavoratori a quali-
ficazione medio-bassa, ma di soggetti con elevati titoli di studio,
che svolgono nella maggioranza dei casi professioni intellettuali
e tecniche con elevati livelli di specializzazione.
La precarietà dell’impiego e la percezione di importanti vin-
coli organizzativi ed economici connessi a tale condizione con-
tribuiscono a creare un contesto particolarmente difficile per
154
chi si trova a dover affrontare scelte importanti per il proprio
futuro.
Come è emerso dalle testimonianze raccolte durante i focus
group, molti continuano a vivere con i genitori, perché non han-
no un reddito sufficiente per pagare l’affitto o per comperare
la casa. Oppure, se usciti da casa, continuano a dover far ri-
ferimento alla rete familiare per affrontare la vita da soli o in
compagnia di un partner che, sempre più spesso, è anch’esso un
lavoratore temporaneo.
Anche decisioni meno importanti, ma che comunque si pre-
sentano nel corso della vita, come l’acquisto di un’auto o qual-
siasi altro acquisto con pagamento rateale, risentono in maniera
negativa dell’incertezza lavorativa.
Noi si vive in questo stato di limbo, per cui rimani figlio fino a
quaranta anni (laureata in Architettura, 38 anni).
156
Come donna, è fortemente penalizzante il fatto di aspettare la
stabilità per costruire una famiglia e fare un figlio. Io non ho figli.
Se potessi tornare indietro, probabilmente farei una scelta diversa.
Ritrovarsi a questa età e aver rinunciato a una cosa importante,
sinceramente è abbastanza grave. Ho un sentimento di rabbia nei
confronti di questa condizione che, per carità, in qualche maniera
mi sono anche scelta, nel senso che ho voluto continuare su que-
sta strada. Questa flessibilità lavorativa è stata fortemente condi-
zionante per me (laureata in Architettura, 38 anni).
Nel momento in cui io vorrò avere una famiglia e dei figli, que-
sta cosa della partita IVA potrà avere dei lati positivi, ma ne avrà
anche tanti negativi. La partita IVA mi potrà dare la possibilità di
fare il lavoro a casa, se fossi una partita IVA come dovrei essere…
Ma con la maternità… a parte che stai a casa e non becchi una
lira, ma una volta che esci da un circuito, poi non ci rientri (lau-
reata in Scienze della formazione, 27 anni).
162
Conclusioni
163
(Barbieri, Fullin, Reyneri, 2005), con passaggi fra occupazioni e
stati occupazionali diversi, dentro e fuori il mercato del lavoro,
o peggio ancora di uscire dalla condizione di occupato verso la
disoccupazione o l’inattività. I principali risultati dell’indagine
non sembrano fornire un quadro tranquillizzante: a distanza di
sei anni da un avviamento al lavoro con tipologie contrattuali
flessibili le trasformazioni in lavori stabili riguardano meno di
metà del campione (48%).
Da evidenziare, inoltre, che nell’ultimo biennio si assiste ad
una riduzione dei passaggi verso il lavoro garantito (un incre-
mento medio annuo di 3,5 punti negli ultimi due anni contro
gli oltre 10 punti medi annui dei quatro anni precedenti) mo-
strando come per coloro che non sono riusciti a “stabilizzarsi”
entro un certo lasso di tempo si incrementino le probabilità di
rimanere intrappolati nel “carosello” dei lavori precari, o peggio
ancora di divenire disoccupati o inattivi.
Sembra dunque evidente che i lavori atipici non abbiano
avuto un effetto trampolino (verso il lavoro stabile) efficace allo
stesso modo per tutti e ovunque. Il rischio di intrappolamento è
risultato particolarmente elevato per le donne, i non più giova-
ni, i meno scolarizzati, coloro che vivono in sistemi locali poco
strutturati e dinamici, ma soprattutto nei casi in cui si prolunghi
oltre un certo limite la durata e/o la sequenza di impieghi insta-
bili nel proprio percorso.
La presenza di una frattura tra condizioni lavorative di lavo-
ratori stabili e instabili è risultata evidente sotto diversi punti di
vista. Innanzitutto la flessibilità risulta sempre di più una con-
dizione non scelta ma subita, nonostante talvolta sia considera-
ta necessaria per il raggiungimento delle aspirazioni personali,
in particolare per i lavoratori più istruiti, qualificati e con un
percorso congruente con l’attuale mansione. Ulteriori svantaggi
consistono in stipendi più bassi degli stabili e in lavori che si
svolgono più frequentemente in orari “socialmente svantaggia-
ti”.
Ciò che appare più drammatico però è il fatto che anche le
prospettive occupazionali future non siano giudicate in modo
ottimistico dagli intervistati, che dichiarano di non riuscire ad
intravedere un futuro diverso e migliore.
Emblematica, da questo punto di vista, la condizione dei
lavoratori instabili del settore pubblico dove i reiterati blocchi
alle assunzioni adottati per frenare il disavanzo pubblico hanno
generato una schiera di lavoratori precari che svolgono lo stesso
lavoro e le stesse funzioni dei dipendenti a fronte di un’immeri-
164
tata disparità nell’accesso a tutele e diritti. Dopo anni di impiego
presso lo stesso ente (mediamente almeno tre anni), svolgendo
funzioni essenziali per il funzionamento ordinario della struttu-
ra presso la quale prestano servizio, la sensazione che hanno in
molti è quella di essere rimasti intrappolati in una condizione
di precarietà dalla quale diventa sempre più difficile uscire in
quanto l’investimento fatto ha consentito di sviluppare compe-
tenze e professionalità che, in molti casi, sono spendibili solo
nel pubblico o, ancor peggio, solo presso l’ente committente.
A questo diffuso senso di scarsa fiducia verso il futuro lavo-
rativo si accompagnano anche le incertezze relative al welfare39:
solo una minoranza degli intervistati si aspetta infatti di percepi-
re in futuro una pensione adeguata. è ovvio che questa mancan-
za di prospettive può spingere all’insofferenza o all’abbattimento
alimentando un malessere sociale che influenza e condiziona i
comportamenti individuali e collettivi, frustrando gli stimoli a
intraprendere, ad affermarsi, a creare (Accornero, 2006a).
Ma che cosa possiamo fare per superare la divisione dei la-
voratori in serie A e B? Qual è la ricetta da seguire affinché i gio-
vani coinvolti (ma non solo), che rappresentano il motore della
dinamicità sociale, possano ritrovare quella risorsa che sappia-
mo essere indispensabile per lo sviluppo e l’avvenire della nostra
comunità, la fiducia?
Innanzitutto attivare una rete di protezione universale e de-
corosa che al tempo stesso non disincentivi lo sforzo di ricerca
del lavoro. Il concetto è quello di “welfare delle opportunità”, in
luogo del welfare della protezione passiva che viene dal passato.
I suoi capisaldi dovrebbero essere rappresentati dall’istruzione,
39
Il senso di precarietà e di sfiducia ha del resto le sue valide ragioni di esi-
stere. Nonostante sia trascorso un bel po’ di tempo da quando, nel nostro
paese, sono stati introdotti elementi di flessibilità riguardanti le modalità di
ingresso nel lavoro (varati dal centro-sinistra nel 1997 con il cosiddetto “pac-
chetto Treu” e ulteriormente ampliati dal successivo governo di centro-destra
con Legge 30 del 2003), non è ancora stata impostato un sistema di sicurezza
sociale che tuteli i lavoratori nei confronti dei cambiamenti introdotti. Una
delle caratteristiche peculiari del sistema di welfare italiano è infatti l’assenza
di una prestazione di tipo assistenziale che intervenga a sostenere il reddito
dei disoccupati quando termina il diritto a percepire le prestazioni di tipo
assicurativo. All’esigenza di una safety net di ultima istanza, si è risposto in
modo né equo, né trasparente estendendo eccessivamente la durata di alcune
prestazioni assistenziali (Cig e mobilità), la platea dei beneficiari di altre pre-
stazioni (pensioni di invalidità e pensioni agli invalidi civili), i requisiti per la
concessione di prepensionamenti, pensioni di anzianità, ecc.
165
dalla formazione professionale, dalle politiche attive del lavoro
e dell’occupazione. Solo accompagnando la proclamazione dei
diritti con l’erogazione di servizi per l’occupabilità, si può assi-
curare ai lavoratori la tutela e la valorizzazione del loro capitale
umano, e quindi la loro libertà negoziale, lungo l’intero arco del-
la vita lavorativa.
Bisogna, inoltre, ridisegnare la cittadinanza sociale, tramite
politiche che allarghino le possibilità di ingresso e di crescita dei
giovani nel mercato del lavoro, limitando la precarietà connessa
alla flessibilità, riattivando i meccanismi di promozione sociale,
abbassando le barriere di ingresso alle professioni e alle nicchie
protette della società, ampliando il reclutamento di giovani in
posizioni di responsabilità nelle invecchiate gerarchie della vita
politica, economica, sociale (Livi Bacci, 2005).
Solo così potremo dare vita a una società futura caratterizza-
ta da un ricambio generazionale più armonioso e una struttura
demografica più sostenibile dal punto di vista economico.
166
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Allegato 1
Costruzione del campione e piano di campionamento
179
Il piano di campionamento utilizzato è di tipo casuale sempli-
ce stratificato in modo proporzionale con limitazione superiore
della numerosità campionaria negli strati. Le variabili di strati-
ficazione sono le seguenti:
• Genere
Ovviamente rappresentato da 2 strati:
– Maschi.
– Femmine.
• Tipologie contrattuali
Sono state prese in considerazione 3 tipologie di contratti:
– Tempo determinato.
– Part-time (qualsiasi tipologia contrattuale).
– Causa mista (contratto di formazione lavoro e apprendistato).
Complessivamente, gli strati formati dall’intersezione delle tre
variabili categoriche, mostrati nella tabella 1, sono risultati 30,
per ciascuno è stato eseguita una estrazione casuale semplice
senza ripetizione con numerosità proporzionale alla dimensione
dello strato, ma limitata ad un numero massimo di unità cam-
pionarie pari a 100. La numerosità campionaria complessiva è
stata posta pari a 2000.
180
Tabella 1. Numerosità campionaria
Archivio Archivio
Pop. Pop. Archivio
Distr. Sezione Sesso Contratto Strati senza con Camp.
Distretti Sezioni totale telefono telefono
err% = |Θ-θ| / θ
ass = |Θ-θ|
σ
µ 1,96 ⋅ CV
err% = 1,96 ⋅ =
n n
182
Tabella 2. Errori % al 95% di confidenza
Numerosità/cv 0,1 0,4 0,7 1 1,3 1,6 1,9 2,2 2,5 2,8 3,1 3,4 3,7 4
20 4,4 17,5 30,7 43,8 57,0 70,1 83,3 96,4 109,6 122,7 135,9 149,0 162,2 175,3
40 3,1 12,4 21,7 31,0 40,3 49,6 58,9 68,2 77,5 86,8 96,1 105,4 114,7 124,0
60 2,5 10,1 17,7 25,3 32,9 40,5 48,1 55,7 63,3 70,8 78,4 86,0 93,6 101,2
80 2,2 8,8 15,3 21,9 28,5 35,1 41,6 48,2 54,8 61,4 67,9 74,5 81,1 87,7
100 2,0 7,8 13,7 19,6 25,5 31,4 37,2 43,1 49,0 54,9 60,8 66,6 72,5 78,4
120 1,8 7,2 12,5 17,9 23,3 28,6 34,0 39,4 44,7 50,1 55,5 60,8 66,2 71,6
140 1,7 6,6 11,6 16,6 21,5 26,5 31,5 36,4 41,4 46,4 51,4 56,3 61,3 66,3
160 1,5 6,2 10,8 15,5 20,1 24,8 29,4 34,1 38,7 43,4 48,0 52,7 57,3 62,0
180 1,5 5,8 10,2 14,6 19,0 23,4 27,8 32,1 36,5 40,9 45,3 49,7 54,1 58,4
200 1,4 5,5 9,7 13,9 18,0 22,2 26,3 30,5 34,6 38,8 43,0 47,1 51,3 55,4
220 1,3 5,3 9,3 13,2 17,2 21,1 25,1 29,1 33,0 37,0 41,0 44,9 48,9 52,9
240 1,3 5,1 8,9 12,7 16,4 20,2 24,0 27,8 31,6 35,4 39,2 43,0 46,8 50,6
260 1,2 4,9 8,5 12,2 15,8 19,4 23,1 26,7 30,4 34,0 37,7 41,3 45,0 48,6
280 1,2 4,7 8,2 11,7 15,2 18,7 22,3 25,8 29,3 32,8 36,3 39,8 43,3 46,9
300 1,1 4,5 7,9 11,3 14,7 18,1 21,5 24,9 28,3 31,7 35,1 38,5 41,9 45,3
320 1,1 4,4 7,7 11,0 14,2 17,5 20,8 24,1 27,4 30,7 34,0 37,3 40,5 43,8
340 1,1 4,3 7,4 10,6 13,8 17,0 20,2 23,4 26,6 29,8 33,0 36,1 39,3 42,5
360 1,0 4,1 7,2 10,3 13,4 16,5 19,6 22,7 25,8 28,9 32,0 35,1 38,2 41,3
380 1,0 4,0 7,0 10,1 13,1 16,1 19,1 22,1 25,1 28,2 31,2 34,2 37,2 40,2
400 1,0 3,9 6,9 9,8 12,7 15,7 18,6 21,6 24,5 27,4 30,4 33,3 36,3 39,2
420 1,0 3,8 6,7 9,6 12,4 15,3 18,2 21,0 23,9 26,8 29,6 32,5 35,4 38,3
440 0,9 3,7 6,5 9,3 12,1 15,0 17,8 20,6 23,4 26,2 29,0 31,8 34,6 37,4
460 0,9 3,7 6,4 9,1 11,9 14,6 17,4 20,1 22,8 25,6 28,3 31,1 33,8 36,6
480 0,9 3,6 6,3 8,9 11,6 14,3 17,0 19,7 22,4 25,0 27,7 30,4 33,1 35,8
500 0,9 3,5 6,1 8,8 11,4 14,0 16,7 19,3 21,9 24,5 27,2 29,8 32,4 35,1
^ S
2
CV =
X
183
In questo caso non è possibile stimare efficacemente l’errore
percentuale della stima rispetto alla proporzione vera in quan-
to, essendo la proporzione vera un valore compreso tra 0 ed 1
può avvicinarsi anche molto allo 0 rendendo l’errore percentua-
le smisuratamente elevato (anche quando le stime sono buone).
In questo caso si calcola semplicemente lo scarto assoluto tra
stima e parametro. Considerando che la distribuzione della pro-
porzione campionaria è una Binomiale relativa con media p e
varianza p(1-p)/n e notando che tale distribuzione tende asin-
toticamente ad una normale lo scarto assoluto può essere calco-
lato nel seguente modo:
P ⋅ (1 - P)
ass = 1,96 ⋅
n
184
• Gli intervistati
L’Osservatorio longitudinale, nel suo primo anno di attività, si è
posto quindi l’obiettivo di re-intervistare soggetti colti all’inter-
no del campione di intervistati che al 2004 erano risultati ancora
flessibili o che invece erano all’epoca usciti dalle forze di lavoro
(esclusi i pensionati).
Prioritario obiettivo conoscitivo è stato quello di analizzare gli
sbocchi occupazionali di questi lavoratori per cogliere, a distan-
za di altri due anni, qual è la loro posizione nel mercato del
lavoro, e se questa è scelta oppure subita. Lo scopo di questa ri-
levazione (e delle successive) è dunque quello di seguire nel tem-
po i percorsi lavorativi di lavoratori atipici, distinti per settore
di attività e sistema locale di appartenenza, per comprendere se
le tipologie contrattuali flessibili rappresentano un trampolino
verso la stabilizzazione nel mercato del lavoro o un intrappola-
mento nella precarietà.
Nel campione è stato deciso di intervistare, come gruppi di con-
trollo, anche coloro che al 2004 si erano stabilizzati con un con-
tratto a tempo indeterminato o con un lavoro di tipo autonomo.
Nelle tabelle 4 e 5 sono riportati gli esiti degli oltre 1.800 contatti
telefonici, avvenuti tra il 24 gennaio e il 13 febbraio 2006, che
hanno portato al risultato finale di 900 interviste.
185
Tabella 5. Interviste realizzate per strato
Condizione al 2004 Universo Intervistati Incidenza %
• L’intervista e il questionario
L’intervista, di tipo telefonico, con metodo CATI, è stata foca-
lizzata su alcuni nodi tematici, in particolare sui percorsi della
flessibilità, gli esiti, i costi, le aspettative. Un’attenzione partico-
lare è stata dedicata ai contenuti e alle condizioni di lavoro: ti-
pologia dell’attività svolta, luoghi, tempi di lavoro, soddisfazione
nei confronti di vari aspetti del lavoro. È stato, inoltre, indagato
circa i possibili rischi di precarizzazione, facendo riferimento
alle tutele di welfare e ai bisogni espressi in termini di rappresen-
tanza (vedi Allegato 2).
186
Allegato 2
Questionario
In quale settore?
Agricoltura
Attività manifatturiere e Costruzioni
Commercio
Alberghi e ristoranti
Servizi alle aziende
Servizi alle persone
Non ricordo
Altro
187
Quale era la categoria professionale?
Dipendente come:
Dirigente
Direttivo/quadro
Impiegato intermedio
Operaio subalterno e assimilati
Apprendista
Lav. a domicilio per imprese
Autonomo come:
Imprenditore
Libero professionista
Lavoratore in proprio
Coadiuvante nell’azienda di un familiare
Socio di cooperativa
188
Da quando ha cominciato a lavorare quale genere di rapporto ha
intrattenuto prevalentemente?
Dipendente a tempo indeterminato
Tempo pieno
Part-time
Dipendente a tempo determinato
Tempo pieno
Part-time
Lavoro interinale
Tempo pieno
Part-time
Collaborazione coordinata e continuativa
Con partita IVA
Senza partita IVA
Socio lavoratore delle cooperative
Contratti occasionali
Formazione lavoro
Apprendistato
Lavoro autonomo
Lavori senza contratto
Con varie tipologie di contratto
Stagionale
Non ricordo/ non sa
Altro
189
PER COLORO CHE LAVORANO
Lavoratore dipendente
A tempo indeterminato
Contratto di formazione lavoro sono scaduti
Contratto di apprendistato
Contratto a termine inquadrato in un contratto collettivo
Contratto con agenzia di lavoro interinale
Altro tipo di contratto a termine
Lavoratore con contratti di:
Collaborazione coordinata e continuativa senza partita IVA
Collaborazione coordinata e continuativa con partita IVA
Prestazione d’opera occasionale senza partita IVA
Prestazione d’opera occasionale con partita IVA
Autonomo come:
Imprenditore
Libero professionista
Lavoratore in proprio
Coadiuvante nell’azienda di un familiare
Socio di cooperativa
190
PER COLORO CHE LAVORANO A TEMPO
INDETERMINATO O IN MODO AUTONOMO
SOLO AI CO.CO.CO.
Lei lavora per una sola azienda e/o cliente o per più di una
azienda e/o clienti?
Per una sola azienda/cliente
Per più aziende/clienti
191
SE LAVORA PER UNA SOLA PERCHé?
Non ho altra scelta
Ho scelto di lavorare per l’azienda che mi garantisce possibilità
di stabilizzazione futura
Ho scelto di lavorare per l’azienda che mi garantisce possibilità
di crescita professionale
Ho scelto il committente che mi garantiva di lavorare con più
autonomia
SE HA LA PARTITA IVA
La decisione di prendere la partita IVA
è stata una scelta sua
è stata una scelta imposta dall’azienda
Abitualmente decide dove lavorare o è tenuto a lavorare
presso l’azienda e/o il cliente?
Decide dove lavorare
Lavora presso l’azienda/cliente
SOLO PER COLORO CHE HANNO UN CONTRATTO A
TERMINE INCLUSI CO.CO.CO.
Qual è la durata complessiva in mesi dell’attuale
contratto?
Meno di un mese
N. mesi
Il lavoro è a termine perché si tratta di:
Periodo di formazione
Periodo di prova
Lavoro stagionale
Lavoro occasionale (comprese supplenze nella scuola o
sostituzione di un lavoratore)
Lavoro per la realizzazione di un progetto
Occupare un posto vacante (incarico a termine nella scuola,
nella sanità, ecc.)
Altro
Non sa
Di che tipo di contratto a termine si tratta?
Contratto di formazione lavoro
Contratto di apprendistato
Contratto a termine inquadrato in un contratto collettivo
Contratto con agenzia di lavoro interinale
192
Altro tipo di contratto
ORARIO DI LAVORO
Lei ha un contratto a tempo pieno o part-time?
A tempo pieno
A tempo parziale
Altro
193
SOLO PER I PART-TIMERS
Per quale motivo lavora part-time?
Perché non ha trovato un lavoro a tempo pieno
Perché non desidera lavorare a tempo pieno
Perché studia o segue corsi di formazione professionale
Per problemi di salute/ personali
Per prendersi cura dei figli
Per prendersi cura di familiari non autosufficienti
Altri motivi
194
PER TUTTI I LAVORATORI DIPENDENTI E A TERMINE,
INCLUSI CO.CO.CO.
Serale
(dalle 20 in poi)
Notturno
Di sabato
Di domenica
195
Lei è solito lavorare
Nel comune in cui risiede
In un altro comune della stessa provincia
In un’altra provincia della toscana
Fuori regione
Non ha un luogo abituale di lavoro
Dipendente come:
Dirigente
Direttivo/quadro
Impiegato intermedio
Operaio subalterno e assimilati
Apprendista
Lav. a domicilio per imprese
196
CARATTERISTICHE AZIENDA
Settore di attività
Agricoltura
Attività manifatturiere e Costruzioni
Commercio
Alberghi e ristoranti
Servizi alle imprese
Servizi alle persone
Altro
Non risponde
SE AUTONOMO
In che anno ha cominciato questa attività?
197
PER TUTTI I LAVORATORI DIPENDENTI, A TERMINE,
AUTONOMI
CONDIZIONI DI LAVORO
Come considera la sua condizione lavorativa attuale
rispetto a quella di un anno fa?
Uguale
Migliore
Peggiore
198
Ed ora esamini alcuni dei principali aspetti attinenti la sua
condizione lavorativa e ci dica se rispetto ad un anno fa sono
Le condizioni salariali
Possibilità di recupero/riposo
Continuità del lavoro/sicurezza dell’impiego
Formazione
Malattia/infortuni
Diritti sindacali
Maternità/paternità
Possibilità di crescita professionale
Possibilità di formazione
Autonomia del lavoro svolto
199
SODDISFAZIONE NEI CONFRONTI DEL LAVORO
200
Se poco o per niente sicuro, per quale ragione?
Lavoro in un settore in crisi
Lavoro in un’azienda in difficoltà
Ho un contratto di lavoro precario
Oggi nessun posto di lavoro è sicuro
201
SOLO PER COLORO CHE HANNO UN LAVORO A TEMPO
INDETERMINATO/AUTONOMO
Sì No Non so
202
PER GLI INOCCUPATI
SE SÌ
205
PER TUTTI I LAVORATORI DIPENDENTI, A TERMINE,
AUTONOMI
206
INFORMAZIONI SULL’INTERVISTATO
Sesso
Maschio
Femmina
Anno di nascita
209
Allegato 3
TRACCIA DEL focus group con i lavoratori
“a termine” della pubblica amministrazione
1. Percorsi ed esiti
211
3. Le collaborazioni nella Pubblica Amministrazione alla
luce della Legge 30/2003 (Legge Biagi) e della finanziaria
2006
4. Diritti e rappresentanza
213
Allegato 4
La legge 30/2003
215
tratti di tipo “flessibile”, imprese e lavoratori avrebbero potu-
to “scegliere” forme di attività che per modalità di esecuzione,
orario di lavoro o altre caratteristiche avrebbero dovuto meglio
adattarsi alle esigenze di ciascuno e favorire, quindi, l’ingresso
nel mondo del lavoro di persone che hanno bisogno di coniuga-
re i tempi lavorativi con quelli dedicati alla famiglia, all’appren-
dimento o ad altri scopi.
Vediamo ora più in dettaglio quali sono le novità introdotte dalla
riforma.
1. La somministrazione di lavoro
2. Il lavoro part-time
219
4. Il lavoro intermittente
5. Il lavoro a progetto
7. Apprendistato
8. Contratto di inserimento
224
Indice
Presentazione pag. 5
1. Introduzione « 7
1.1. Premessa « 7
1.2. Alcune anticipazioni sul contenuto del Rapporto « 9
Parte prima
Il quadro regionale e nazionale
2.
Il lavoro flessibile in Toscana: un quadro di sintesi « 19
2.1. Più flessibilità, più occupazione? « 19
2.2. L’utilizzo delle diverse tipologie contrattuali « 24
3.
La flessibilità del lavoro in Toscana: un confronto
con il quadro nazionale « 29
3.1. Qualche osservazione congiunturale « 29
3.2. Le caratteristiche personali dei lavoratori instabili « 32
3.3. Transizione, intrappolamento ed effetto isteresi « 38
3.4. Una flessibilità sempre meno scelta e sempre
più subìta « 43
Parte seconda
Le indagini dirette
4.
Il percorso di ricerca « 47
4.1. Il disegno della ricerca « 47
4.2. Le caratteristiche degli intervistati « 49
4.3. La condizione attuale « 50
5.
I percorsi nella flessibilità « 55
5.1. Flessibilità del lavoro: scelta o costrizione? « 55
5.2. I percorsi dei lavoratori temporanei « 59
5.3. La flessibilizzazione nei diversi sistemi locali « 65
225
5.4. Le sequenze occupazionali « 73
5.5. Riflessioni finali « 77
6.
Le condizioni di lavoro: lavoratori stabili e flessibili
a confronto « 81
6.1. Condizioni, tutele e prospettive contrattuali « 81
6.2 Il tempo del lavoro « 99
6.3 La soddisfazione del lavoro « 107
6.4 Riflessioni finali « 125
7.
Un approfondimento qualitativo: la flessibilità del lavoro
nella Pubblica Amministrazione « 129
7.1 Introduzione « 129
7.2 Le dimensioni del lavoro flessibile nella
Pubblica Amministrazione toscana « 131
7.3 I risultati dell’indagine « 135
7.4 Riflessioni finali « 159
Conclusioni « 163
Allegati
1. Costruzione del campione e piano di campionamento « 179
2. Questionario « 187
3. Traccia del focus group con i lavoratori “a termine”
della Pubblica Amministrazione « 211
4. La Legge 30/2003 « 215
226
Finito di stampare nel mese di Novembre 2007
presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore S.p.A. - Pisa