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I
Caravaggisti
Roberto
Vassallo
[Nome
società]
I
caravaggisti.
Ciò
che
inizia
con
l’opera
di
Caravaggio
è
molto
semplicemente
la
pittura
moderna.
Andre
Berne‐Joffroy
Più
che
una
vera
e
propria
corrente,
il
caravaggismo
è
piuttosto
l'orientamento
che
assume
quasi
tutta
la
più
importante
pittura
europea
del
XVII
secolo
dopo
la
morte
di
Caravaggio
(1573‐1610),
il
cui
realismo,
il
cui
modo
di
trattare
e
dividere
nettamente
la
luce
dall'ombra
e
i
cui
soggetti
spesso
crudeli
e
violenti,
come
le
scene
di
martirio,
hanno
profondamente
rivoluzionato
il
modo
di
dipingere
e
influenzato
i
maggiori
artisti
in
Italia
e
in
Europa.
Una
fase
caravaggesca
hanno
avuto
in
Italia
Guercino
e
Guido
Reni
e
caravaggeschi
o
caravaggisti
sono
stati
a
Roma
il
Manfredi,
Mattia
Preti,
Orazio
Gentileschi
che
fu
anche
un
propagatore
del
caravaggismo
in
Francia
e
in
Inghilterra,
e
la
figlia
Artemisia
Gentileschi;
a
Napoli
il
G.
B.
Caracciolo,
detto
il
Battistello
e,
in
seguito,
Luca
Giordano;
in
Sicilia
Pietro
Novelli,
in
Francia
Valentin
de
Boulogne,
Tournier,
Georges
la
Tour,
il
Le
Naïn
e
per
qualche
verso
anche
Vouet
e
Poussin
che
pure
detestava
il
Caravaggio;
nelle
Fiandre
i
cosiddetti
Tenebrosi
di
Gerard
van
Honthorst,
detto
Gherardo
delle
notti,
Matthias
Stomer,
Hendrick
Ter
Bruggen
e
gli
esponenti
del
Circolo
dei
caravaggisti
di
Utrecht,
oltre
naturalmente
a
Rembrandt,
Rubens
e
Vermeer;
nel
Ticino
Giovanni
Serodine;
in
Spagna
il
primo
Velazquez
e
Diego
Ribera,
il
più
noto
forse
dei
caravaggeschi
e
il
più
affine
anche
umanamente
alla
personalità
del
Caravaggio.
Di
là
da
queste
personalità
di
primo
piano,
il
caravaggismo
ha
rappresentato
una
tendenza
largamente
diffusa
in
tutta
la
pittura
italiana
ed
europea
anche
nei
suoi
esponenti
minori
e
in
una
miriade
di
artisti
rimasti
sconosciuti,
di
cui
ci
sono
pervenute
le
opere.
Fondamentale
fu
perciò
l'influenza
del
Caravaggio
e
la
diffusione
del
caravaggismo
nella
preparazione
e
nello
sviluppo
della
nuova
sensibilità
barocca
in
Italia
e
in
Europa.
Né
si
può
dire
che
l'influenza
del
Caravaggio
sia
limitata
al
solo
XVII
secolo,
perché
ancora
se
ne
possono
vedere
le
tracce
nell'Ottocento
ad
esempio
nell'opera
di
Géricault.
Caratteristiche
della
pittura
del
Caravaggio
Caravaggio
è
tra
i
primi
a
elevare
il
genere
della
natura
morta,
fino
a
quel
momento
considerato
inferiore,
al
pari
della
pittura
sacra
e
di
storia.
Nel
celebre
Canestro
di
frutta
presenta
con
esattezza
fotografica
frutti
maturi
e
altri
bacati,
foglie
fresche
e
appassite,
appartenenti
a
stagioni
diverse.
Alle
prese
con
una
composizione
di
figure,
Caravaggio
tratta
il
tema
della
natura
morta
con
attenzione,
combinando
gli
elementi
visivi
in
un
insieme
proporzionato.
Al
centro
del
cesto
il
rametto
verticale
di
una
pesca
contrasta
il
piano
orizzontale
del
tavolo.
In
alto
a
sinistra
una
grande
foglia
di
fico
bilancia
quella
di
vite
in
basso
a
destra.
Frutti
di
forma
e
colore
diverso
risaltano
in
uno
splendido
gioco
di
luce,materia
e
trasparenza.
La
cesta
di
frutti
è
anche
un’immagine
della
fugacità
della
giovinezza
e
del
tempo
che
la
consuma.
La
stessa
posizione
del
cesto,
sul
bordo
del
tavolo,
suggerisce
un
senso
d’instabilità
e
provvisorietà.
Prima
di
Caravaggio
nessuno
aveva
mai
realizzato
una
natura
morta
presentandola
in
primo
piano,
appoggiata
in
equilibrio
precario
con
effetto
trompe
l’oeil.
Caravaggio
Cesto
di
frutta
Luci
e
ombre.
Nei
suoi
quadri
Caravaggio
riserva
un’attenzione
particolare
alla
luce
e
al
buio,
per
questo
è
detto
anche
“il
pittore
della
luce
tenebrosa”.
Le
figure
escono
dall’ombra
densa
che
le
circonda
come
colpite
da
un
riflettore
che
crea
volume
e
al
tempo
stesso
sottolinea
i
volti
e
i
gesti
più
importanti.
La
luce
di
Caravaggio
svolge
un’azione
costruttiva
e
drammatica
sui
corpi
che
sporgono
dal
fondo
nero.
In
questo
modo
dona
alla
scena
una
grande
immediatezza
espressiva,
come
un’istantanea
che
sorprende
e
coinvolge
l’osservatore.
Nella
Cena
in
Emmaus
della
Pinacoteca
di
Brera
l’evento
è
raffigurato
in
modo
umile
e
quotidiano.
All’interno
di
una
taverna
alla
presenza
dell’oste
e
della
donna
che
porta
le
vivande,
due
uomini,
testimoni
della
benedizione
del
pane,
riconoscono
stupiti
Cristo
risorto.
La
composizione
è
semplice,
sul
tavolo
sono
appoggiate
poche
cose
che
gettano
ombre
profonde
sulla
tovaglia.
La
luce
illumina
i
volti,
risalta
il
gesto
della
mano
benedicente
di
Cristo,
rende
evidente
il
pane
e
lo
scorcio
di
natura
morta
sul
tavolo.
Questo
nuovo
modo
di
illuminare
la
scena
con
forti
contrasti
di
luce
e
buio
dà
avvio
a
un
filone
di
ricerca,
detto
caravaggesco,
ispirato
all’opera
di
Caravaggio.
Caravaggio
Cena
da
Emmaus
Cena
in
Emmaus
Racconto
biblico
che
narra
l’incontro
di
Gesù
risorto
con
Pietro
e
Clèopa
a
Emmaus,
vicino
a
Gerusalemme.
Gesù
si
presenta
loro
come
un
viandante.
I
discepoli
non
lo
riconoscono
e
lo
invitano
a
cena.Quando
sono
a
tavola
il
viandante
spezza
il
pane
e
lo
benedice.
Con
grande
meraviglia
i
discepoli
si
rendono
conto
di
essere
di
fronte
a
Gesù,
ma
in
quel
momento
egli
sparisce
dalla
loro
vista.
Orazio
Gentileschi.
Nasce
a
Pisa
il
9
luglio
del
1563;
il
padre
Giovanni
Battista
Lomi
è
un
orefice
fiorentino.
Trascorre
l'infanzia
a
Firenze
e
probabilmente
compie
qui
anche
la
sua
prima
formazione
artistica
come
allievo
del
fratellastro
Aurelio
Lomi,
esponente
del
Manierismo
fiorentino.
Trasferitosi
a
Roma,
ancora
adolescente,
dopo
la
morte
del
padre,
viene
ospitato
dallo
zio
materno,
capitano
delle
guardie
a
Castel
Sant'Angelo
da
cui
Orazio
adotterà
il
cognome
Gentileschi.
Non
ci
resta
alcuna
documentazione
sul
suo
tirocinio
romano,
ma
sicuramente
prosegue
la
sua
carriera
come
pittore,
ma
nel
1588‐89,
è
impegnato
a
Roma
con
il
fratello
Aurelio
ed
altri
artisti
di
notevole
livello,
nella
decorazione
della
Biblioteca
Sistina
in
Vaticano.
La
prima
opera
certa
è
l’affresco
con
la
Presentazione
al
Tempio
in
Santa
Maria
Maggiore,
databile
al
1593,
quando
nasce
la
figlia
Artemisia,
che
sarà
anche
lei
pittrice.
Orazio
Gentileschi
avrà
sei
figli
con
la
moglie
Prudenza
Montoni,
che
morirà
giovane
come
due
dei
figli.
Negli
anni
'90
è
impegnato
in
numerosi
incarichi
per
affreschi
e
pale
d'altare,
ed
è
in
questo
periodo
che
si
forma
una
buona
affermazione
professionale
nell'ambiente
romano.
Ottiene
anche
l'incarico
di
decorare
due
cappelle
nell'antica
abbazia
benedettina
di
Farfa
(1597‐1598),
sui
monti
Sabini,
poco
distante
da
Roma.
Nel
1600
incontra
Michelangelo
Merisi,
il
Caravaggio
e
testimonia
a
suo
favore
nel
processo
per
diffamazione
intentato
dal
Baglioni
contro
l'amico
la
cui
amicizia
favorisce
una
maturazione
nel
suo
stile
pittorico.
Fino
a
quell'incontro
Gentileschi
si
attardava
nello
stile
del
Tardo
Manierismo
Toscano
e
solo
la
frequentazione
e
lo
studio
dei
dipinti
del
Caravaggio
rinnovano
il
suo
stile.
Orazio
Gentileschi
lascia
Roma
dopo
il
processo
per
stupro
della
figlia
Artemisia
contro
l'amico
pittore
Agostino
Tassi
e
soggiorna
a
Fabriano
nelle
Marche,
dove
lascia
ampie
testimonianze
della
sua
pittura.
Dal
1621
al
1623
il
pittore
si
trova
a
Genova,
dove
dipinge
su
committenza
sabauda
per
Carlo
Emanuele
I,
l'Annunciazione,
conservata
nella
Pinacoteca
Sabauda
di
Torino
e
poi
a
Parigi
alla
corte
della
Regina
di
Francia,
Maria
de
Medici,
la
quale
aveva
raggruppato
intorno
a
se
numerosi
artisti
di
origine
toscana,
importando
le
novità
della
pittura
italiana
nell'Europa
del
nord.
Nel
1626
Orazio
Gentileschi
lasciò
la
corte
francese
per
quella
inglese
di
Carlo
I:
le
sue
opere
permeate
di
novità
e
classicismo
è
stato
molto
gradito
dall'aristocrazia
inglese.
Qui
fece
parte
del
cenacolo
culturale
di
Lord
Arundel,
a
contatto
con
i
protagonisti
della
cultura
britannica
del
Seicento,
fra
cui
con
tutta
probabilità
anche
Francis
Bacon.
Santa
Cecilia
e
l’angelo
San
Francesco
e
l’angelo
Suonatrice
di
liuto
Davide
e
Golia
Artemisia
Gentileschi.
(Roma
1593
Napoli
1652/53):
Pittrice
romana
(battezzata
nella
parrocchia
di
San
Lorenzo
in
Lucina),
nasce
dal
pittore
Orazio
Gentileschi,
pisano
allora
trentenne,
e
da
Prudenza
Montone,
che
morì
quando
lei
aveva
dodici
anni.
Prima
di
sei
figli
(tutti
maschi),
è
istruita
in
tenerissima
età
alla
pittura
dal
padre,
seguace
della
maniera
caravaggesca.
Dopo
la
vicenda
dello
stupro
e
il
relativo
processo,
vicenda
che
destò
scalpore
nella
Roma
dell'epoca,
nel
1612
Artemisia
‐
probabilmente
per
rendere
meno
pesante
la
propria
situazione
‐
sposa
il
fiorentino
Pierantonio
Stiattesi
e
si
trasferisce
a
Firenze.
Viaggia
però
molto
tra
Roma
e
Firenze,
realizzando
una
serie
di
opere
‐
come
la
Maddalena
e
Giuditta
e
Oloferne
di
Palazzo
Pitti,
nelle
quali
è
cospicuo
l'influsso
paterno.
Nel
1621
parte
con
il
padre
alla
volta
di
Genova,
l'anno
seguente
torna
a
Roma
per
rimanervi
tre
anni.
Nel
1627
circa
si
trasferisce
a
Napoli,
dove
i
suoi
lavori
riscontrano
un
certo
successo.
Inoltre
qui
Artemisia
ha
modo
di
instaurare
fecondi
scambi
culturali
con
pittori
locali
quali
Bernardo
Cavallino,
Massimo
Stanzione,
Francesco
Guarino.
L'influsso
della
corrente
naturalistica
in
voga
all'epoca
nella
città
partenopea
si
fa
prepotentemente
presente
nelle
opere
del
periodo
(Giuditta
e
la
fantesca,
Betsabea
al
bagno,
Nascita
del
Battista
e
Storie
di
San
Gennaro).
Tra
il
1639
e
il
1641
si
reca
in
Inghilterra
per
assistere
il
padre
anziano
e
malato,
fino
alla
fine
di
questi,
lavorando
a
più
riprese
per
la
corte
e
l'aristocrazia.
La
vicenda
esistenziale
e
professionale
di
Artemisia
non
può
essere
separata
da
quella
paterna,
della
quale
si
fornisce
di
seguito
una
sommaria
presentazione.
Giuditta
e
Oloferme
Autoritratto
Betsabea
al
bagno
G.
B.
Caracciolo
detto
il
Battistello
Giovanni
Battista
Caracciolo,
detto
il
Battistello,
nacque
a
Napoli
nel
1570.
Iniziò
la
sua
attività
sotto
l'influenza
di
Caravaggio,
di
cui
fu
il
migliore
seguace
a
Napoli.
Nella
sua
città
lasciò
opere
come:
Madonna
col
Bambino
e
San
Giovannino
(Museo
della
Certosa
di
San
Martino,
Napoli)
e
la
Liberazione
di
San
Pietro(chiesa
del
Pio
Monte
della
Misericordia,
Napoli).
In
seguito
la
sua
pittura
si
fece
più
personale
e,
pur
restando
modernissima,
riecheggiò
atteggiamenti
manieristici,
sorretta
sempre
da
un'ottima
tecnica
e
da
un
alto
senso
del
colore
come
dimostrano
gli
affreschi
nella
cappella
dell'Assunta,
in
quella
di
San
Gennaro
e
nella
certosa
di
San
Martino.
Importante
fu
per
il
pittore
la
conoscenza
dell'opera
di
Lanfranco,
con
il
quale
collaborò
nell'oratorio
dei
nobili
al
Gesù
Nuovo,
sempre
a
Napoli.
Uno
dei
primi
lavori
che
testimoniano
l'influenza
caravaggesca
fu
La
liberazione
di
San
Pietro
eseguita
per
la
chiesa
del
Pio
Monte
della
Misericordia
(quello
stesso
luogo
che
ospitava,
ed
ospita
tuttora,
il
capolavoro
caravaggesco
le
Sette
opere
di
Misericordia).La
sua
pittura
diventò
più
raffinata,
subito
dopo
il
suo
soggiorno
romano
del
1614,
dopo
essere
diventato
il
maestro
della
scuola
napoletana;
i
suoi
soggetti
preferiti
furono
quelli
religiosi
con
pale
d'altare
e,
in
modo
inusuale
per
la
pittura
caravaggesca,
affreschi.
In
effetti,
a
Roma
ebbe
modo
di
avvicinarsi
a
varie
correnti
e
quindi
poté
espandere
il
suo
orizzonte
figurativo,
non
tanto
allineandosi
con
il
Barocco
quanto
distaccandosi
progressivamente
dal
Caravaggio
e
accostandosi
al
manierismo
e
ai
Carracci.
Dal
1618
soggiornò
a
Genova,
a
Firenze
e
tornò
nuovamente
a
Roma,
dove
iniziò
a
manifestare
interesse
per
il
classicismo
del
Carracci
e
della
scuola
emiliana,
lavorando
per
sintetizzare
il
suo
personale
caravaggismo
con
queste
nuove
tendenze.
Di
nuovo
a
Napoli,
tradusse
questa
sintesi
nelle
grandiose
scene
d'affresco
raffigurate
nel
suo
capolavoro
La
lavanda
dei
piedi,
eseguito
per
la
Certosa
di
San
Martino.
Vocazione
di
San
Pietro
Luca
Giordano.
Luca
Giordano
nacque
a
Napoli
il
14
ottobre
1634
da
Antonio,
mediocre
pittore,
e
da
Isabella
Imparato,
e
fu
battezzato
nella
parrocchia
di
Sant'Anna
di
Palazzo.
I
biografi
del
tempo
non
parlano
di
tirocinio
"a
bottega"
d'altro
artista:
riferiscono
che
il
padre
lo
mandava
"a
disegnare
l'opere
più
rare
delle
chiese
e
gallerie
di
Napoli
e
che
poi
lo
condusse
con
sé
a
Roma
"per
farlo
studiare
sopra
l'antico,
et
opere
di
huomini
insigni".
Le
prime
opere
(1653),
un'incisione
Cristo
e
l'adultera
ed
una
tavola
Guarigione
dello
storpio,
sono
influenzate
dall'opera
dell'incisore,
pittore
e
trattatista
tedesco
Albrecht
Dürer,
massimo
esponente
della
pittura
tedesca
rinascimentale,
in
cui
confluivano
le
innovative
istanze
dell'arte
italiana
e
quelle
ormai
consolidate
della
tradizione
pittorica
fiamminga.
I
lavori,
prima
menzionati,
e
le
grandi
tele
(1654)
Traditio
clavium
e
L'incontro
dei
Santi
Pietro
e
Paolo
condotti
al
martirio
di
S.
Pietro
ad
Aram,
risentono,
invece,
dell'opera
di
Ribera
e
dell'influenza
neo‐veneta
di
Mattia
Preti
del
primo
soggiorno
a
Napoli
(1653‐1660).
De
Dominici
annota
che
la
pala
con
San
Nicola
del
1655
a
S.
Brigida
è
costruita
"
Sullo
stile
del
grande
Paolo
Veronese"
e
risente
del
neo‐venetismo
barocco
con
soluzioni
che
ricalcano
quanto
proposto
da
Pietro
da
Cortona
a
Palazzo
Barberini.
In
una
delle
tele
di
S.
Maria
del
Pianto
ordinate
dal
viceré
G.
Bracamonte
come
voto
per
la
cessazione
della
peste
del
1656
è
forte
il
riferimento
agli
affreschi
delle
Porte
di
Napoli
di
Mattia
Preti
(3).
Nelle
sue
opere
Luca
Giordano
sembra,
quindi,
voler
ripercorrere
l'itinerario
della
pittura
a
Napoli
nel
primo
periodo
del
secolo,
con
l'interesse
per
il
naturalismo
post‐Caravaggesco,
con
la
replica
puntuale
di
Ribera,
quando
dalla
fase
vigorosamente
naturalista
passa
a
quella
dell'impreziosimento
cromatico
e
dell'intenerimento
espressivo,
con
la
disponibilità,
tramite
il
contatto
con
i
nuovi
filoni
veronesiani
e
correggeschi,
a
sperimentare,
nella
capitale
del
vicereame,
le
nuove
tendenze
barocche
in
pittura
senza
negarsi
nei
suoi
lavori
contributi
di
altre
esperienze
pittoriche.
Quando
tra
il
1662
e
il
1664
il
marchese
Agostino
Fonseca
ordinò
sei
quadri
tramite
i
suoi
intermediari
a
Napoli,
egli
si
presentò
a
Venezia
con
i
connotati
"ribereschi".
Tra
la
fine
del
1664
e
gli
inizi
del
1665
il
Fonseca
invitò
Giordano
a
Venezia.
In
questo
viaggio
di
lavoro
produsse
varie
opere
per
privati
e
per
edifici
di
culto,
assecondando
i
desideri
della
committenza.
Si
procurò,
inoltre,
in
questo
periodo
altre
commissioni,
come
la
pala
con
l'Assunzione
della
Vergine
per
la
chiesa
di
S.
Maria
della
Salute
che
sarà
eseguita
nel
1667
e
spedita
da
Napoli
dove
era
tornato
nell'estate
del
1665.
Questi
viaggi
consentirono
al
pittore
di
approfondire
la
propria
carica
espressiva
in
direzione
veneta
e
di
tradurre
in
pittura,
con
notevole
fantasia
e
creatività,
la
moderna
concezione
barocca
con
la
varietà
e
la
vastità
della
Natura
e
dell'Universo,
l'illimitata
estensione
del
tempo
e
dello
spazio,
l'infinità
continuità
di
ogni
vicenda
umana.
Giordano
riuscì
a
tradurre
fantasticamente
in
trasparenze
luminose
e
immagini
variopinte
l'inarrestabile
spettacolo
di
luci,
forme
e
colori
attraverso
cui
realtà
naturale
e
mondo
spirituale
si
manifestavano
agli
occhi
e
al
cuore
prima
che
alla
mente
e
alla
ragione;
da
napoletano
inquieto
e
sognante
riuscì
a
riprodurre
in
pittura
realtà
e
fantasia,
natura
e
immaginazione,
sensazioni
ed
emozioni.
Nel
1671
è
chiamato
ad
affrescare
la
cupola
di
S.
Gregorio
Armeno,
nel
1677‐1678
la
volta
della
chiesa
dell'Abbazia
di
Montecassino,
nel
1678
la
cupola
di
S.
Brigida,
nel
1679
la
navata
di
San
Gregorio
Armeno,
che
richiesero
la
collaborazione
di
più
allievi
e
il
supporto
dei
modelli
ribereschi,
rubensiani,
veronesiani
e
cortoneschi,
che
aveva
sedimentato
nel
corso
degli
ultimi
anni.
Tra
il
1663
e
il
1678
molte
opere
di
carattere
profano
di
Giordano
furono
ordinate
o
acquisite
a
Napoli
da
privati
collezionisti
italiani,
fiamminghi
o
spagnoli
e
nel
1677
diversi
suoi
dipinti
giunsero
a
Firenze.
L'interesse
che
la
pittura
di
Giordano
aveva
suscitato
tra
gli
intenditori
di
Firenze
aveva
portato
Filippo
Baldinucci
a
richiedere
all'artista
la
Relatione
del
1681;
in
seguito
ci
furono
un
soggiorno
a
Firenze
e
una
grande
quantità
di
commissioni
tra
cui
l'affresco
nella
cupola
della
Cappella
Corsini
al
Carmine
e
la
decorazione,
da
parte
del
marchese
Francesco
Riccardi,
dei
nuovi
ambienti
del
palazzo
costruito
da
Michelozzo
nel
Quattrocento
per
Cosimo
dei
Medici
(Cosimo
il
Vecchio).
I
bozzetti
di
questo
lavoro,
esposti
in
questa
mostra
e
attualmente
della
National
Gallery
di
Londra
sono
tra
i
più
studiati
dagli
storici
dell'arte
moderna.
I
lavori
iniziati
nel
novembre
del
1682
furono
interrotti
nella
primavera
del
1683
perché
Giordano
dovette
ritornare
a
Napoli
per
motivi
di
famiglia
e
ripresero
nella
primavera
del
1685.
Nella
Galleria,
in
particolare
nella
Glorificazione
della
dinastia
medicea
e
Le
vicende
della
vita
umana
gli
episodi
figurativi
sono
collegati
sia
nella
narrazione
sia
nella
composizione
al
senso
d'infinito
e
al
continuo
spettacolo
della
Natura
alla
base
del
Barocco
con
soluzioni
che
Luca
trova
in
Pietro
da
Cortona
a
Palazzo
Pitti
nelle
idee
espresse
da
Gian
Lorenzo
Bernini
e
tradotte
in
pittura
dal
Gaulli.
Esse
sono
caratterizzate
da
dilagante
luminosità
ed
esaltante
ariosità,
in
una
situazione
irreale
di
sogni
a
colori,
di
incanto,
di
apparente
naturalità,
abitato
da
mitiche
realtà
e
da
immagini
fantastiche
dove
si
concretizza
un
irraggiungibile
ma
essenziale
ideale
d'arte
e
di
vita.
Con
le
opere
realizzate
a
Firenze,
gli
incarichi
di
prestigio
e
le
commissioni
da
parte
di
collezionisti,
Giordano
consegue
un
successo
in
ogni
parte
d'Italia
e
d'Europa.
La
sua
pittura,
ariosa
e
coinvolgente,
di
carattere
sacro
o
profano,
influenzerà
l'attività
di
molti
giovani
pittori
sia
napoletani
(Francesco
Solimena,
Nicola
Malinconico,
De
Matteis)
che
fiorentini,
veneziani
e
stranieri
(Sebastiano
Ricci,
Corrado
Giaquinto,
Fragonard,
Goya).
Nel
1684,
mentre
si
trovava
a
Napoli,
affresca
la
controfacciata
della
chiesa
dei
Girolamini
con
la
Cacciata
dei
mercanti
dal
Tempio:
l'opera
è
permeata
da
un
senso
di
spazialità
continua
e
infinita,
rivelata
dal
fluire
ininterrotto
della
luce
attraverso
la
straordinaria
varietà
dei
piani
prospettici.
Preceduto
dal
successo
delle
sue
opere
inviate
a
nobili
e
collezionisti
spagnoli
nel
1692,
si
trasferì
a
Madrid
al
servizio
di
Carlo
II.
In
Spagna
produce
una
grandissima
quantità
di
dipinti
su
tela,
su
rame
e
a
fresco
di
soggetto
sacro
o
profano.
Giordano
iniziò
la
sua
attività
all'Escorial
nella
volta
dell'Escalera
con
l'evento
che
diede
occasione
alla
costruzione
del
monastero:
l'esaltazione
delle
gesta
di
Carlo
V
e
Filippo
II,
sovrapposto
a
un
lungo
fregio
a
olio
su
tela
con
la
Battaglia
di
San
Quintino.
Il
successo
gli
procurò
la
commissione
di
dipingere
tra
il
1693
e
il
1694
le
volte
della
Chiesa
con
storie
del
Vecchio
e
del
Nuovo
Testamento.
Quando
nel
1695
l'abate
Andrea
Belvedere
ritornò
dalla
Spagna
riferì
a
De
Dominici
che
"le
migliori
pitture
fatte
da
Luca
in
Napoli,
li
sembravan
da
nulla
a
petto
di
quelle
dipinte
nella
gran
chiesa
dell'Escuriale"
Impressionante
la
quantità
di
opere
che
riesce
a
produrre
in
Spagna
dove
viene
in
contatto
con
l'opera
di
Velázquez
e
realizza
le
opere
con
colpi
rapidi
di
pennelli
densi
di
materie
cromatiche
luminosissime
dai
toni
caldi
e
brillanti.
Nel
1702
torna
a
Napoli
dove
continua
a
produrre
una
grande
quantità
di
grandi
tele
e
a
rinnovare
la
sua
produzione
artistica
o
con
forti
contrasti
chiaro‐scurali,
dai
toni
bruciati
o
caliginosi,
come
nelle
tele
all'Egiziaca
a
Forcella,
ai
Girolamini,
a
Donnaregina
e
per
alcune
chiese
romane
o
con
il
dilagare
di
materie
cromatiche
sempre
più
lievi
e
delicate,
come
nella
decorazione
a
fresco
del
cupolino
della
Cappella
del
Tesoro
nella
Certosa
di
San
Martino.
Questa
pittura
che
porta
al
centro
il
Trionfo
di
Giuditta
e
intorno
alle
altre
storie
del
Vecchio
Testamento
racconta
l'ultimo
Giordano:
pittore
tra
sogno
e
realtà.
In
questa
opera
il
racconto
sviluppato
secondo
una
circolarità
ininterrotta
per
effusioni
di
luci
e
sottili
trapassi
cromatici
accresce
allusivamente
le
dimensioni
della
cupola,
aumenta
la
profondità
dello
spazio;
per
Ferraro
un'opera
"accordata
magicamente
come
un
universo
che
si
riflette
entro
una
lente
convessa,
armonica,
così
da
risultare
monumentale,
pur
entro
dimensioni
ridottissime;
il
più
straordinario
artificio
pittorico
realizzato
a
Napoli
nel
solco
dell'illusionismo
barocco
alle
soglie
del
Rococò
europeo".
Luca
Giordano
muore
a
Napoli
nel
1705.
Caronte
e
morfeo
Venere
e
Marte
Autoritratto
Pietro
Novelli.
Nato
nel
1603
a
Monreale,
Pietro
Novelli
è
il
figlio
di
Pietro
Antonio
Novello,
rinomato
pittore
e
musicista,
uomo
colto
la
cui
biblioteca
vanta
ben
100
volumi.
All'età
di
quindici
anni
si
stabilisce
a
Palermo
ove
vive
col
pittore
trapanese
Vito
Carrera,
in
esercizio
al
Palazzo
Reale,
assieme
al
Novello
l'altro
pittore
più
in
voga
a
Palermo
alla
fine
del
500'.
Pietro
fa
il
suo
apprendistato
presso
il
nobile
Carlo
Maria
Ventimiglia,
matematico
e
maestro
delle
scienze.
Nel
1623,
sposa
Costanza
di
Adamo,
e
nel
1624,
quando
la
peste
affligge
tutta
la
città,
Pietro
accede
alla
sua
breve
ma
intensa
carriera.
Trascurando
qualche
cosuccia
precedente,
é
nel
1629,
con
la
commissione
dell'Abbazia
di
S.
Martino
delle
Scale
di
un
affresco
nel
refettorio
benedettino,
che
possiamo
vedere
il
vero
esordio
del
Novelli.
Nel
1630,
Pietro
entra
nella
Confraternita
della
Compagnia
del
Rosario
e
realizza
una
delle
opere
più
note,
l'affresco
per
l'Oratorio
del
Rosario
in
San
Domenico.
Pietro
ha
due
figli,
il
maschio
morto
in
giovane
età.
La
figlia,
Rosalia,
nata
nel
1628,
si
rivela
discepolo
tanto
fedele
al
modello
paterno
da
poter
essere
confusa
con
lui
per
l'attribuzione
di
certe
opere.
Il
22
agosto
1647,
una
rivolta
guidata
da
Giuseppe
d'Alessi
trova
il
pittore
in
Piazza
Vigliena
dove
è
ferito
con
arma
da
fuoco.
Muore
cinque
giorni
dopo
e
trova
sepoltura
nel
cimitero
dei
frati
in
San
Domenico.
Nel
1828,
per
opera
del
suo
biografo
Agostino
Gallo,
un
suo
busto
firmato
dal
Villareale
viene
posto
nella
chiesa
di
San
Domenico,
il
pantheon
di
Sicilia.
Apollo
e
Marsia
Caino
e
Abele
Madonna
del
Carmelo
Valentin
de
Boulogne
(15911632)
Valentine
de
Boulogne,
identificato
anche
con
i
nomi
di
Valentin
Valentin,
Le
Valentin
o
Moïse
Valentin,
nasce
tra
il
1591
e
il
1594
a
Coulommiers‐en‐Brie,
in
Francia,
ma
arriva
giovanissimo
a
Roma,
dove
risiede
fino
alla
morte.
La
sua
vita
è
abbastanza
oscura
e
il
suo
vero
nome
è
sconosciuto:
Moïse
(la
forma
francese
di
Mosè),
nome
talvolta
usato
per
riferirsi
a
lui,
non
è
all'origine
un
nome
proprio,
ma
una
storpiatura
italiana
del
francese
Monsieur
(signore).
Qualcuno
identifica
il
nostro
Valentine
De
Boulogne
con
un
certo
«Valentino
francese»
abitante
a
Roma,
nel
1611,
nella
parrocchia
di
San
Nicola
dei
Prefetti.
Legato
da
forte
amicizia
con
Bartolomeo
Manfredi,
dalla
cui
pittura
rimane
molto
influenzato,
divide
con
lui
la
passione
per
Caravaggio,
divenendo
uno
dei
suoi
migliori
seguaci
e
personalità
di
spicco
nell'ambiente
artistico.
Nonostante
la
sua
breve
vita,
(morirà
a
Roma
intorno
ai
quarant'anni,
sembra
per
un
tuffo
in
una
fontana
ghiacciata
mentre
era
ubriaco),
gli
sono
attribuiti
più
di
ottanta
dipinti
che,
benché
di
vario
soggetto,
dal
religioso
al
mitologico
e
ritratti,
sembrino
proporre
gli
stessi
modelli.
Valentine
De
Boulogne
raggiunge
l'apice
della
sua
carriera
con
la
commissione
di
una
pala
d'altare
per
San
Pietro:
Martirio
dei
Santi
Processo
e
Martiniano
eseguita
del
1629
al
1630.
Durante
tutta
la
vita
Valentine
De
Boulogne
rimase
fedele
allo
stile
caravaggesco,
senza
lasciarsi
tentare
dalle
nuove
mode
pittoriche.
Martirio
di
San
Bartolomeo
Giuditta
e
Oloferme
San
Giovanni
Battista
Nicolas
Tournier.
Nicolas
Tournier
(Montbéliard,
1590
–
Tolosa,
1638
circa)
è
stato
un
pittore
francese,
esponente
del
Barocco.
Nato
a
Montbéliard,
lavorò
a
Roma
tra
il
1619
e
il
1626
dove
fu
influenzato
dall'opera
di
Caravaggio.
Dopo
il
1626,
si
recò
nel
sud
della
Francia,
per
poi
morire
a
Tolosa.
Concerto
Georges
De
La
Tour
(1593‐1652)
Nacque
a
Vic‐sur‐Seille
nella
Lorena
francofona
il
10
marzo
1593.
Secondo
di
sette
figli
di
un
fornaio,
non
è
certo
se
la
sua
formazione
si
svolse
a
Vic
stessa,
oppure
nella
bottega
del
maestro
francese
Jacques
Bellange
che
lavorò
a
Nancy
dal
1602
al
1616.
La
Tour
fu
un
raffinatissimo
osservatore
della
natura
e
della
vita
quotidiana,
i
suoi
esordi,
come
testimoniano
le
opere
giovanili,
sono
da
collocare
a
fianco
dei
protagonisti
del
naturalismo
seicentesco.
Non
si
sa
se
per
un
viaggio
in
Italia,
durante
il
quale
Georges
La
Tour
ebbe
l'occasione
di
vedere
i
dipinti
del
Caravaggio
ed
il
suo
ricercato
gusto
per
il
mondo
naturalistico,
oppure,
se
ammirando
i
lavori
dei
Caravaggisti
olandesi
di
Utrecht,
il
giovane
pittore
arricchisce
la
sua
arte
di
giochi
di
luce
per
cui
è
considerato
dalla
critica
uno
dei
più
originali
prosecutori
della
scuola
caravaggesca.
Nel
1617
Georges
La
Tour
si
sposa
con
Diane
Le
Nerf
e
dopo
pochi
anni,
si
trasferisce
e
apre
il
suo
studio
nella
città
natale
della
moglie,
Lunèville.
Centro
nevralgico
delle
comunicazioni
e
degli
scambi
fra
la
Borgogna,
Metz
e
Nancy,
e
residenza
preferita
del
duca
di
Lorena
Enrico
II
e
della
sua
corte
che
si
appassionano
ai
lavori
del
pittore
che,
nel
periodo
giovanile
predilige
le
scene
e
figure
di
genere
dipinte
in
gamme
di
colore
chiare
come
il
"Suonatore
di
ghironda"
e
la
"Buona
ventura".
Dal
1635
e
fino
al
1642,
la
Lorena
è
colpita
e
devastata
dalla
guerra
e
dalle
conseguenti
carestie
ed
epidemie;
in
particolare
Lunèville
nel
1638
fu
distrutta
da
un
incendio
nel
quale
andarono
distrutte
molte
opere
di
La
Tour,
presenti
nelle
chiese
e
nei
conventi,
oltre
a
quelli
della
sua
bottega.
Nel
1639
è
attestata
la
sua
presenza
a
Parigi
con
il
titolo
di
"pittore
ordinario
del
Re"
mentre
nel
1640,
un
contratto
precisa
che
La
Tour
è
"residente
alle
Gallerie
del
Louvre".
Dalle
date,
poste
su
alcuni
dipinti,
come
"Pentimento
di
San
Pietro!
del
1645
e
il
"Rinnegamento
di
San
Pietro"
del
1650,
fanno
supporre
che,
i
celebri
"notturni"
senza
data,
appartengano
alla
fase
matura.
Ritratto
di
giovanetto
Il
sogno
di
S.
Giorgio
de
la
Tour
Ritratto
di
giovane
Le
Nain.
Famiglia
di
pittori
francesi,
formata
da
tre
fratelli
che
tennero
bottega
a
Parigi
dal
1630.
Antoine
(Laon
1588‐Parigi
1648)
è
tradizionalmente
indicato
come
miniatore
e
autore
di
bambocciate
influenzate
dall'opera
del
fratello
Louis.
Tuttavia
le
poche
opere
che
gli
vengono
riferite
(i
fratelli
firmavano
sempre
solo
col
cognome,
rendendo
così
difficili
attribuzioni
sicure)
rivelano
la
conoscenza
della
pittura
di
genere
olandese
e
forse
anche
di
Velázquez,
per
la
solida
struttura
compositiva
e
per
una
certa
attenzione
agli
effetti
di
colore
(Riunione
di
famiglia,
1642;
Ritratto
in
un
interno,
1647,
entrambi
a
Parigi,
Louvre).
Louis
(Laon
1593‐Parigi
1648)
compì
probabilmente
un
viaggio
a
Roma
prima
del
1630,
dove
sarebbe
venuto
a
contatto
sia
con
i
bamboccianti
sia
con
i
caravaggisti,
oltre
che
con
gli
ambienti
accademici
ufficiali,
come
dimostrano
le
sue
opere
di
soggetto
religioso
e
mitologico.
Nel
1648
fu,
con
il
fratello
Antoine,
fra
i
membri
fondatori
dell'Accademia
di
Parigi.
Più
che
ai
quadri
mitologici
(Venere
e
Vulcano,
1641,
Reims,
Musée
Saint‐Denis)
e
religiosi
(ciclo
di
Storie
di
Maria,
disperso
in
varie
chiese
francesi,
di
cui
il
Presepe
si
trova
al
Louvre),
la
sua
fama
è
legata
a
quadri
che
raffigurano
il
mondo
contadino.
Pur
non
raggiungendo
la
tensione
drammatica
della
denuncia
sociale
propria
del
suo
contemporaneo
Callot,
Louis
ritrasse
realisticamente
un
mondo
povero
ma
dignitoso
e
fiero,
in
una
campagna
che,
ridotta
ai
suoi
elementi
essenziali,
acquista
una
dimensione
spaziale
di
classica
monumentalità
(Il
carretto
di
fieno,
1641;
Pasto
di
contadini,
1642,
entrambi
al
Louvre;
La
famiglia
della
lattaia,
San
Pietroburgo,
Ermitage).
Mathieu
(Laon
1607‐Parigi
1677)
collaborò
spesso
col
fratello
Louis
nelle
opere
di
soggetto
storico
e
mitologico,
continuandone
il
genere
contadino
dopo
la
morte.
Gli
è
inoltre
riferito
un
certo
numero
di
quadri
d’interni
raffiguranti
la
vita
brillante
del
tempo
(La
riunione
di
musici
dilettanti,
Parigi,
Louvre).
Luis
Le
Nain.
La
famiglia
felice
Mathieu
Le
Nain.
L’adorazione
dei
pastori
Antoine
Le
Nain.
Due
donne
e
tre
bambine
Gerard
van
Honthorst
Gerard
(o
Gerrit)
van
Honthorst
noto
anche
come
Gherardo
delle
Notti.
landese
di
nascita,
van
Honthorst
giunge
a
Roma
poco
dopo
la
morte
di
Caravaggio,
del
1610.
Diventa
subito
famoso,
ribattezzato
“Gherardo
delle
Notti”
perché
dipinge
in
una
maniera
assai
vicina
a
quella
di
Caravaggio,
in
un
momento
in
cui
la
pittura
caravaggesca
è
ancora
molto
apprezzata
e
richiesta.
Per
questo
motivo,
sembra,
i
Giustiniani,
si
offrirono
di
ospitarlo
nel
loro
palazzo.
Dove
c’era
una
delle
collezioni
più
prestigiose
della
città,
formata
da
opere
antiche,
rinascimentali
e
commissionate
appositamente
dai
proprietari,
il
cardinale
Benedetto
e
il
marchese
Vincenzo.
I
giovani
artisti
erano
invitati
a
studiare
con
attenzione
le
opere
in
loro
possesso,
e
a
farne
di
nuove.
Tra
i
quadri
c’e
n’era
anche
uno
di
Luca
Cambiaso
che
rappresentava
Cristo
davanti
a
Caifa
in
un’affollata
scena
notturna.
Sicuramente
una
delle
fonti
cui
attinse
Honthorst,
assieme
a
Caravaggio,
Tintoretto,
Rubens.
Come
sappiamo
dal
Sandrart,
il
quadro
di
Honthorst
venne
eseguito
per
il
marchese
Vincenzo
Giustiniani,
destinato
a
una
delle
piccole
stanze
del
palazzo
al
centro
di
Roma.
Piccole
stanze,
appunto,
eppure
il
quadro
ha
le
dimensioni
di
una
pala
d’altare:
2,72
x
1,83
metri.
Probabilmente
occupava
quasi
un’intera
parete
e
lo
spazio
limitato
obbligava
a
una
lettura
ravvicinata
dell’opera.
Il
che
è
assai
significativo
ai
fini
della
sua
comprensione.
Si
vuole
ad
evidenza
coinvolgere
emotivamente
lo
spettatore,
tirarlo
dentro
al
quadro
rendendolo
esso
stesso
attore.
Con
alcuni
espedienti
di
matrice
caravaggesca
si
tenta
di
dare
l’illusione
di
una
finestra
sulla
realtà.
Le
figure
e
gli
spazi
sono
a
dimensione
“naturale”,
i
protagonisti
sono
in
primo
piano,
spinti
al
limite
estremo
del
quadro
e
resi
realisticamente.
E
poi
la
luce
della
candela,
così
simile
a
quella
che
illuminava
le
stanze
dei
palazzi
del
Seicento.
L’incontro
tra
Cristo
e
il
sacerdote
Caifa
è
uno
dei
momenti
più
drammatici
della
Passione
di
Gesù
(cfr.
il
Vangelo
di
Matteo,
26,
57‐66,
probabile
fonte
di
questo
dipinto).
Come
lo
traduce
Honthorst?
Il
quadro
è
gigantesco,
ma
non
tutto
lo
spazio
è
utilizzato.
Poche
sono
le
figure
e,
soprattutto,
un
terzo
del
quadro,
in
alto,
è
occupato
dal
nulla.
Un
vuoto,
un
silenzio,
che
pesa.
E
fa
sì
che
la
nostra
attenzione
si
concentri
esclusivamente
sui
due
protagonisti.
Nei
due
è
condensata,
infatti,
tutta
la
drammaticità
del
racconto.
Di
fronte
a
tanta
intensità
stupisce
la
quasi
totale
assenza
di
azioni
o
gesti
clamorosi.
Il
movimento,
l’azione
in
realtà
c’è,
ma
sono
interiorizzati.
Perciò
il
dramma
che
si
percepisce
è
così
profondamente
doloroso.
Sta
nel
nulla
che
grava
sui
due,
nella
diagonale
che,
senza
interruzioni,
guida
il
gioco
degli
sguardi.
Sta
nel
contrasto,
simbolico
e
reale
insieme,
tra
il
volto
grottesco
di
Caifa
e
quello
classico
di
Gesù,
che
la
luce
artificiale
della
candela,
vero
centro
della
composizione,
impietosamente
rivela.
Cristo
davanti
a
Caifa
Il
rinnegamento
di
Pietro
Matthias
Stomer.
(Amersfoort,
1600
ca.
–
Sicilia,
dopo
il
1650)
Si
forma
alla
scuola
di
Gerard
Van
Honthorst,
noto
anche
come
Gherardo
delle
Notti,
pittore
olandese
di
stile
caravaggesco.
Attivo
a
Roma
nel
1630,
entra
in
contatto
con
diversi
pittori
di
stile
caravaggesco:
Dick
Van
Baburen,
autore
di
opere
in
stile
caravaggesco
diurno,
caratterizzato
da
pennellate
dal
timbro
freddo
e
dalla
luce
naturale;
Trophime
Bigot,
pittore
francese
noto
come
il
Maestro
del
lume
di
candela;Bartolomeo
Manfredi,
che
imitava
le
scene
di
“genere”
di
Caravaggio.
In
Sicilia
contribuisce
a
diffondere
gli
stilemi
di
una
pittura
a
forte
contrasto
luminoso,
come
il
Cristo
Deriso
del
1640.
La
figura
di
Cristo,
nonostante
la
posa
umile,
domina
la
scena
abbigliata
con
il
manto
dalle
larghe
pieghe
e
colpita
da
una
luce
di
riverbero
artificiosamente
accecante.
Il
Cristo
deriso
Il
Cristo
davanti
a
Muzio
Scevola
Hendrick
Ter
Bruggen.
(Deventer,
1588
–
1
novembre
1629)
Hendrick
Terbrugghen
fu
sicuramente
il
più
innovativo
e
originale
tra
i
pittori
caravaggeschi
nordici.
Terbrugghen
si
stabilì
giovanissimo
a
Utrecht,
dove
diventò
allievo
di
Abraham
Bloemaert.
Nel
1604
si
trasferì
in
Italia,
a
Roma,
dove
rimase
fino
al
1614
e
dove
conobbe
Caravaggio,
Orazio
Gentileschi,
Giovanni
Serodine,
Carlo
Saraceni
e
molti
altri
pittori
seguaci
del
Caravaggio.
Tornato
in
patria,
tornò
brevemente
a
Roma
all'inizio
degli
anni
venti.
In
quel
periodo
rimase
affascinato
dalla
loro
arte
e
la
sua
tecnica
pittorica
ne
fu
grandemente
influenzata.
L’incredulità
di
S.
Tommaso
Concerto
Si
ringrazia
Wikipedia,
settemuse.it,
artcyclopedia.com,
storiadellarte.com,
per
la
collaborazione
alla
stesura
di
questo
e
–
book.
Agosto
2010
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