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SAVITRA
Centro Studi Savitri

Carlo Chiopris, febbraio 2005

Meditazione, Concentrazione, Contemplazione


in Sri Aurobindo e Mère

Sono qui riportati vari passaggi da Sri Aurobindo e Mère sul tema della meditazione e
concentrazione. Sono passaggi molto citati e di facile lettura, anche se la comprensibilità
dipende ovviamente dalla consuetudine con questi temi e la familiarità con le esperienze
descritte.
Ho ritenuto di aggiungere ogni tanto qualche nota a questi testi sulla base di alcune
osservazioni sulla pratica nel mondo aurobindiano italiano fatta nell’arco di trent’anni.
In particolare penso vada sottolineato un problema nel fatto che la parola “meditazione” ha
un significato diverso nel linguaggio comune e in Sri Aurobindo. Nel primo indica una
gamma di pratiche di concentrazione, nel secondo, solo la forma più bassa e meno
efficace di queste pratiche, quella basata sul pensiero discorsivo. Ne segue che sovente le
affermazioni di Sri Aurobindo e Mère sulla scarsa utilità della meditazione (pensata) sono
prese come una dichiarazione di inutilità di qualunque pratica di concentrazione. Questo è
paradossale, quando invece entrambi i maestri ribadiscono l’importanza della
concentrazione.
Quella che segue è una delle più organiche descrizioni delle pratiche meditative in Sri
Aurobindo, che elenca tre forme principali: meditazione propriamente detta, cioè una
concentrazione del pensiero riflessivo e discorsivo su un tema; concentrazione su un
oggetto; osservazione di sé. Queste tre forme sono elencate in ordine di efficacia,
essendo la prima (che Sri Aurobindo chiama meditazione) poco utile.
Può essere interessante notare che la prima forma, la meditazione, è una pratica in uso
nel mondo occidentale e cristiano; la seconda (concentrazione) è quella che nel linguaggio
comune si intende con la parola meditazione; la terza infine e più efficace è quella
specifica di Sri Aurobindo, così come della Gita e del Buddismo.
Ci sono due parole per esprimere il concetto indiano di dhyana: 'meditazione' e
'contemplazione'. Meditazione, a rigore di termini, vuol dire concentrazione della mente in
un'unica sequenza di idee che elabora un soggetto unico. Contemplazione vuol dire
considerare mentalmente un solo oggetto, immagine o idea in modo che la conoscenza
dell'oggetto, immagine o idea possa sorgere naturalmente nella mente in virtù della
concentrazione. Entrambe sono forme di dhyana, poiché il principio di dhyana è
concentrazione mentale, nel pensiero, nella visione o nella conoscenza.
Ci sono altre forme di dhyana. C'è un passaggio in cui Vivekananda consiglia di ritrarsi dai
propri pensieri e di lasciarli scorrere nella mente a loro piacimento, semplicemente
osservandoli e vedendoli per quello che sono. Questa può chiamarsi concentrazione
nell'osservazione di sè.
Questa forma conduce ad un'altra: la mente è liberata da tutti i pensieri e lasciata in una
specie di vuoto attento e puro dove la conoscenza divina può venire a fissarsi,
imperturbata dai pensieri inferiori della mente umana comune e con la stessa chiarezza di
una scritta in gesso bianco sulla lavagna.
Nella Bhagavad Gita troverete come questo rifiuto di tutti i pensieri della mente sia uno dei
metodi dello yoga, anzi addirittura il metodo che essa sembra prediligere. Può essere
denominato dhyana della liberazione, poiché libera la mente dalla schiavitù del processo
meccanico del pensiero, permettendole di pensare o di non pensare, come vuole e
quando vuole, di scegliere i propri pensieri o di andare oltre il pensiero verso la percezione
pura della Verità, chiamata nella nostra filosofia Vijnana.
La meditazione è il procedimento più facile per la mente umana, ma il più limitato nei
risultati; la contemplazione è più difficile, ma migliore; l'osservazione di sé e la liberazione
dalle catene del pensiero è il più difficile di tutti, ma il più ampio nei risultati. Si può
sceglierne uno seguendo la propria inclinazione e capacità. Il metodo perfetto sarebbe di
impiegarli tutti, ognuno al momento opportuno e per il suo scopo specifico; ma questo
comporterebbe una fede consolidata, una pazienza tenace e grande forza di volontà
nell'applicarsi allo yoga.
Sri Aurobindo

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Quello che segue descrive le condizioni che facilitano la meditazione. E’ interessante
notare che sono solo condizioni facilitanti, non essenziali: all’inizio della pratica è bene
curarle, ma più avanti la condizione meditativa deve essere estesa a tutto il tempo.
Interessante anche la conclusione finale, sul legame tra perfezione mentale e morale.
Non ci sono condizioni esterne essenziali, ma la solitudine e l'isolamento al momento della
meditazione, come anche l'immobilità del corpo, sono utili al principiante, a volte quasi
necessari. Ma le condizioni esterne non dovrebbero essere vincolanti. Una volta che la
consuetudine di meditare abbia preso forma, dovrebbe essere possibile praticarla in ogni
condizione, supini o camminando, nella solitudine o in compagnia, nel silenzio o in mezzo
ai rumori e così via.
La prima condizione interiore necessaria è la concentrazione della volontà contro gli
ostacoli che si frappongono alla meditazione, come il vagare della mente, l'oblio, il sonno,
l'irrequietezza fisica e nervosa, l'agitazione ecc.
La seconda è la purezza calma e crescente della coscienza interiore (citta) , dalla quale
sorgono pensiero ed emozione; cioè libertà da ogni reazione di disturbo, come rabbia,
dolore, depressione, ansia per gli avvenimenti della vita ecc. Perfezione mentale e morale
sono sempre intimamente legate fra loro.
Sri Aurobindo

La posizione seduta, immobile, è la posizione naturale per una meditazione concentrata,


camminare o stare in piedi sono condizioni attive. Solo quando si è in grado di mantenere
uno stato di riposo durevole e una coscienza passiva, diventa facile concentrarsi e
ricevere anche camminando o facendo qualcosa. Una condizione di fondo di passività
della coscienza raccolta in se stessa è il gusto atteggiamento per la concentrazione, e la
posizione seduta, immobile e raccolta del corpo è la migliore.
Si può praticare la concentrazione anche in posizione supina, ma è troppo passiva, tende
all'inerzia piuttosto che al raccoglimento. Per questa ragione gli yogi siedono sempre in
un''asana'. Ci si può abituare a meditare camminando, in piedi, supini, ma sedersi è la
posizione naturale primaria.
Sri Aurobindo

In questa conversazione Mère mette in guardia dal confondere la vita spirituale con la
meditazione, o con una errata concezione della meditazione.
Alcuni immaginano che il segno della vita spirituale sia la capacità di sedersi in un angolo
a meditare! Questa è un'idea molto, molto diffusa. Non voglio essere severa, ma la
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maggior parte delle persone che attribuiscono molta importanza alla loro capacità
meditativa, non credo che meditino nemmeno un minuto in un'ora. Quelli che meditano
davvero non ne parlano mai; per loro è un fatto del tutto naturale. Quando è diventato
naturale senza alcun vanto o proposito, potete cominciare a dirvi che fate progressi.
Coloro che ne parlano pensando che conferisca loro superiorità sugli altri, potete esserne
sicuri, per la maggior parte delle volte sono in uno stato di inerzia totale.
E' molto difficile meditare. Di meditazioni ce ne sono di tutti i tipi... Potete scegliervi un
piano e seguirlo per arrivare ad un dato risultato. Questa è la meditazione attiva; chi vuole
risolvere un problema o scrivere, medita in questo modo senza sapere che sta meditando.
Altri si siedono e cercano di concentrarsi su qualcosa senza seguire un piano - di
concentrarsi semplicemente in un punto per intensificare il proprio potere di
concentrazione; questo determina quanto di solito accade quando vi concentrate in un
punto: se riuscite a raccogliere a sufficienza la vostra capacità di concentrazione in un
punto, mentale, vitale o fisico, ad un certo momento lo attraversate ed entrate in un'altra
coscienza. Altri ancora cercano di scacciare dalla testa tutti i movimenti, le idee, i riflessi,
le reazioni, per arrivare ad una quiete veramente silenziosa. Questo è estremamente
difficile; c'è gente che ha tentato per venticinque anni senza riuscirvi, perché è come
prendere un toro per le corna.
Vi è un altro tipo di meditazione che consiste nello stare il più possibile calmi, ma senza
cercare di arrestare tutti i pensieri, poiché ci sono pensieri che sono puramente meccanici
e se cercate di arrestarli impiegherete anni e, per giunta, non sarete certi del risultato;
raccogliete invece totalmente la coscienza e rimanete il più possibile calmi e tranquilli,
distaccati dagli oggetti esterni, come se non vi interessassero affatto, e all'improvviso
rianimate la fiamma dell'aspirazione gettandovi dentro tutto quello che capita, così che la
fiamma possa levarsi sempre più in alto; identificatevi con essa e avvicinatevi al punto
estremo della coscienza e aspirazione, non pensando a nient'altro - semplicemente,
un'aspirazione che cresce, cresce sempre più, senza mai pensare al risultato, a cosa potrà
e specialmente a cosa non potrà accadere, soprattutto senza desiderare che qualcosa
avvenga - semplicemente la gioia di un'aspirazione che cresce, cresce e cresce
intensificandosi sempre più in una concentrazione costante. E posso assicurarvi che a
quel punto quanto accadrà sarà il meglio di quanto possa accadere; ossia il massimo delle
vostre possibilità di realizzazione in questa pratica.
Queste possibilità possono differire molto a seconda degli individui. Ma allora, tutto questo
affanno per tentare di stare in silenzio, di vedere oltre le apparenze, di chiamare una forza
che risponde, di aspettare una risposta alle vostre domande, tutto questo si dilegua come
una fantasia irreale. E se riuscirete a stabilirvi coscientemente all'interno di questa fiamma,
in questa colonna di crescente aspirazione, vedrete, anche se non otterrete il risultato
immediato, che dopo un po' qualcosa accadrà.
Mère

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Questa [la meditazione dinamica], è una meditazione che ha il potere di trasformare la
vostra natura. E' una meditazione che vi fa progredire, al contrario della meditazione
statica che è immobile, relativamente inerte, e non produce alcun cambiamento nella
vostra coscienza o nel vostro modo di essere. Una meditazione dinamica è una
meditazione di trasformazione.
Di solito la gente non pratica una meditazione dinamica. Quando entrano in meditazione -
o almeno in quella che chiamano meditazione - entrano in una specie di immobilità dove
niente si muove, e ne escono esattamente come vi erano entrati, senza cambiamento
alcuno nella loro persona o nella loro coscienza. E più immobile è, più felici sono.
Potrebbero meditare così per un'eternità, niente cambierebbe nell'universo o in loro. Ecco
perché Sri Aurobindo parla di una meditazione dinamica che è esattamente il contrario. E'
una meditazione trasformatrice...
Penso che la cosa più importante sia sapere perché si medita; è questo a conferire qualità
alla meditazione e a renderla di un genere o di un altro.
Potete meditare per aprirvi alla Forza divina, potete meditare per eliminare la coscienza
comune, potete meditare per entrare nelle profondità del vostro essere, potete meditare
per imparare ad offrirvi integralmente, potete meditare per ogni sorta di ragioni. Potete
meditare per entrare nella pace, nella quiete e nel silenzio - questo è quanto la gente fa
generalmente, ma senza troppo successo. Ma potete meditare per ricevere la Forza della
trasformazione, per scoprire gli aspetti che vanno trasformati; per tracciare la linea di
sviluppo. E allora potete meditare per ragioni molto pratiche: quando avete una difficoltà
da risolvere, una soluzione da trovare, quando avete bisogno d'aiuto per un'azione o per
qualunque ragione; potete meditare anche per questo.
Penso che ognuno abbia un suo modo di meditare. Ma se si vuole che la meditazione sia
dinamica, si deve avere un'aspirazione al progresso e la meditazione deve essere
praticata per servire a realizzare questa aspirazione al progresso.
Mère

Questo passaggio descrive modalità di meditazione appartenenti alle tradizioni indiane. E’


interessante osservare che in Savitri si troveranno molti esempi di tutte queste forme.
Se la difficoltà della meditazione consiste nel precipitarsi di pensieri di ogni genere, questo
non è dovuto alle forze ostili, ma alla comune natura della mente umana. Tutti i sadhak
hanno questa difficoltà e per molti dura a lungo. Ci sono diversi modi per liberarsene. Uno
consiste nell'osservare i pensieri e vedere qual'è la natura della mente umana, come essi
la mostrano, ma senza accordarvi alcun consenso, lasciandoli scorrere finché giungono a
un arresto - questo è un metodo consigliato da Vivekananda nel suo Rajayoga . Un altro
metodo consiste nel guardare i pensieri come non fossero i propri, e rimanerne distaccati
con l'atteggiamento del Purusha testimone, rifiutando loro il vostro consenso - i pensieri
vengono considerati come qualcosa proveniente da fuori, da Prakriti , e devono essere
percepiti come dei passanti che attraversano lo spazio mentale, con i quali non c'è
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contatto e per i quali non si prova interesse. Così di solito accade che, dopo un po' di
tempo, la mente si divide in due, una parte costituita dal testimone mentale che osserva
perfettamente indisturbato e tranquillo, e una parte costituita dall'oggetto di osservazione,
cioè la parte di Prakriti, nella quale i pensieri si incrociano o vagano. Dopo di ché anche la
parte di Prakriti si può condurre al silenzio o alla quiete.
Ce n'è un terzo, un metodo attivo col quale si cerca di vedere da dove provengono i
pensieri, e si scopre che non procedono da noi stessi, ma è come si trovassero fuori della
testa; se possono venire scoperti mentre arrivano, prima che entrino, allora vanno rigettati
completamente. Questa è forse la via più difficile e non tutti possono percorrerla, ma se
può essere percorsa è la strada più breve e formidabile verso il silenzio.
Sri Aurobindo

Non è facile entrare nel Silenzio. E' possibile solo espellendo tutte le attività mentali-vitali.
E' più facile lasciare che il Silenzio scenda in voi, cioè aprirsi e lasciarlo discendere.
Il modo per farlo e il modo per invocare i poteri è lo stesso. Consiste nel rimanere quieti al
momento della meditazione, senza lottare con la mente né compiere sforzi mentali per far
discendere il Potere o il Silenzio, ma serbando per loro solo un tacito desiderio e
aspirazione. Se la mente è attiva si deve imparare ad osservarla, tirarsene indietro senza
concederle nessuna approvazione interiore, fino a che le sue attività abituali o meccaniche
comincino ad acquietarsi per carenza di supporto interiore. Se è troppo ostinata, la sola
cosa da fare è un fermo rifiuto, senza sforzo né lotta.
Sri Aurobindo

Quella che segue è una nota che mi sembra interessante per inquadrare quanto la vera
concentrazione sia diversa dalla percezione ordinaria che se ne ha. In fondo, quanti film
non hanno mostrato personaggi che per concentrarsi stringevano i denti, tremavano e
sudavano? Un’altra considerazione che si può fare è che la concentrazione è la base
dell’aspirazione: questa quindi deve essere anch’essa quieta, non tesa, non ossessiva o
impaziente. La coesistenza di intensità e quiete non è facile da afferrare per la mente non
esercitata.
Sforzo e concentrazione non sono la stessa cosa. Lo sforzo implica impazienza e
tensione, mentre la concentrazione è, per sua natura, quieta e tranquilla. Se c'è
irrequietudine o impazienza, allora non è concentrazione.
Sri Aurobindo

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Qui viene introdotto il tema delle meditazioni collettive, croce e delizia…
Ecco perché Sri Aurobindo dice, in qualche altro passo, che è necessario un doppio
movimento e che lo sforzo per il progresso e la realizzazione individuali dovrebbe
combinarsi con lo sforzo per tentare di sollevare l'intera massa e metterla in grado di
progredire, il che è indispensabile per un progresso maggiore dell'individuo: un progresso
di massa, potremmo dire, che permetterebbe all'individuo di fare un ulteriore passo in
avanti.
E ora devo dirvi che è questa la ragione per cui ho pensato quanto sarebbe utile fare delle
meditazioni di gruppo, allo scopo di creare un'atmosfera comune che sia un po' più
organizzata...
Così, l'uso migliore che si possa fare di queste meditazioni, che stano diventando più
frequenti... è di andare dentro, nelle profondità del proprio essere, il più lontano possibile,
per trovare il luogo dove si possa sentire, percepire e perfino creare un'atmosfera di unità
dove una forza, di ordine e di organizzazione, sarà in grado di sistemare ciascun elemento
al suo posto, per fare sorgere un mondo nuovo e coordinato dal caos attuale.
Mère - Conversazioni 57/58

Anche qui viene ribadito che con meditazione Sri Aurobindo e Mère intendono un’attività
puramente mentale.
D: Qual'è la differenza fra meditazione e concentrazione?
La meditazione è un'attività puramente mentale, interessa soltanto l'essere mentale. Ci si
può concentrare mentre si medita, ma questa è concentrazione mentale; si può ottenere il
silenzio, ma questo è soltanto silenzio mentale e le altre componenti dell'essere sono
mantenute immobili e inattive per non disturbare la meditazione.
Potete passare venti ore al giorno a meditare e nelle altre quattro sarete un individuo del
tutto ordinario, perché solo la mente è stata impegnata - il resto dell'essere, il vitale e lo
psichico, è tenuto sotto pressione perché non disturbi.
Nella meditazione nulla è fatto direttamente per le altre parti dell'essere.
Certamente questa azione indiretta può avere effetto, ma... nella vita ho conosciuto
persone la cui capacità di meditazione era notevole, ma quando non meditavano erano
persone del tutto ordinarie, a volte persino irascibili, che si sarebbero infuriate se la loro
meditazione fosse stata disturbata. Avevano imparato a padroneggiare solo la mente, non
il resto dell'essere.
La concentrazione è uno stato più attivo. Vi potete concentrare mentalmente, vitalmente,
psichicamente, fisicamente e concentrare integralmente. La concentrazione, cioè la
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capacità di raccogliersi in un punto, è più difficile della meditazione. Potete raccogliere una
parte del vostro essere o coscienza, o potete raccogliere l'insieme della coscienza, o
invece alcuni suoi frammenti; vale a dire la concentrazione può essere parziale, totale o
integrale, e in ciascun caso il risultato sarà diverso.
Se avete la capacità di concentrarvi, la meditazione sarà più interessante e più facile. Ma
si può meditare senza concentrazione. Molti nella meditazione seguono una
concatenazione di idee - è meditazione, non concentrazione.
Mère - Conversazioni 30/31

In questo passaggio la concentrazione viene dichiarata la qualità indispensabile.


Inoltre, qualunque cosa vogliate fare nella vita, una cosa è assolutamente indispensabile e
alla base di tutto, la capacità di concentrare l'attenzione. Se siete capaci di riunire insieme
i raggi dell'attenzione e della coscienza in un punto e se potete mantenere questa
concentrazione con volontà persistente, 'niente' potrà resisterle - qualunque cosa sia, dallo
sviluppo più materiale e fisico a quello più altamente spirituale. Ma questa disciplina deve
essere seguita, si potrebbe dire, in maniera costante, imperturbabile. Non che dobbiate
stare sempre concentrati sulla stessa cosa - non voglio dire questo, intendo dire imparare
a concentrarsi.
Materialmente, per lo studio, lo sport, per ogni sviluppo fisico e mentale, è assolutamente
indispensabile. E il valore di un individuo è proporzionale al valore della sua attenzione.
Dal punto di vista spirituale è ancora più importante. Non c'è ostacolo spirituale che possa
resistere a un penetrante potere di concentrazione. Per esempio la scoperta dell'essere
psichico, l'unione con il Divino interiore, l'aprirsi delle sfere superiori, tutto si può ottenere
con un intenso e ostinato potere di concentrazione, ma si deve imparare a farlo.
Non vi è niente nel campo umano o anche superumano, di cui il potere di concentrazione
non sia la chiave.
Con quella capacità si può essere l'atleta migliore, lo studente migliore, si può essere un
genio artistico, letterario o scientifico, si può essere il più grande santo. E ognuno ne ha in
sé un minuscolo e piccolo principio - è dato a tutti, ma le persone non lo coltivano.
Mère - Conversazioni 57/58

Ci si può concentrare in uno dei tre centri, qualunque sia il più facile per il Sadhak o che
offra il migliore risultato.

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Il potere della 'concentrazione nel centro del cuore' è di aprire quel centro e con il potere
dell'aspirazione, dell'amore, della 'bhakti' , dell'abbandono, rimuovere il velo che copre e
nasconde l'anima, per riportare l'anima o l'essere psichico a guidare la mente, la vita e il
corpo, per mutarli e aprirli completamente al Divino, rimuovendo tutto quanto si oppone a
quel mutamento e all'apertura. Questo è quanto in questo yoga si chiama trasformazione
psichica.
Il potere della 'concentrazione sopra la testa' è di portare pace, silenzio, liberazione dal
senso del corpo, dall'identificazione con la mente e la vita, e aprire la strada alla coscienza
inferiore (mentale, vitale e fisica), così che questa possa salire invece in alto a incontrare
la coscienza superiore, affinché i poteri della coscienza superiore (la natura spirituale)
discendano nella mente, nella vita e nel corpo. Questo è quanto in questo yoga si chiama
trasformazione spirituale. Se si inizia con questo movimento allora il potere dall'alto, nella
sua discesa, aprirà tutti i centri (inclusi i centri inferiori), e rivelerà l'essere psichico; perché,
fin quando ciò non avviene, è probabile ci siano difficoltà e contrasti della coscienza
inferiore che ostruisce, si intromette, o anche rifiuta l'Azione Divina dall'alto. Se l'essere
psichico è già sveglio, questa lotta e questa difficoltà possono essere fortemente ridotte.
Il potere della 'concentrazione fra le sopracciglia' è di aprire quel centro, liberare la mente
e la visione interiori, e la coscienza interiore o yogica con le sue esperienze e i suoi poteri.
Anche da qui è possibile aprirsi verso l'alto ed agire anche nei centri inferiori; ma il pericolo
di questo procedimento è quello che ci si può trovare rinchiusi nelle proprie formazioni
mentali-spirituali, invece di uscirne verso un'esperienza spirituale libera e integrale, una
conoscenza e un mutamento integrali dell'essere e della natura.
Sri Aurobindo

D: Madre, perché è meglio concentrarsi nel cuore?


Sri Aurobindo dice che è più facile. Per alcuni è più difficile, dipende dalla proprie natura.
Ma è meglio perché, se vi concentrate là abbastanza a fondo, è là che avete il primo
contatto con lo psichico; mentre se vi concentrate nella testa, poi dovrete passare al cuore
per essere in grado di identificarvi con l'essere psichico. E se vi concentrate raccogliendo
le energie, è preferibile raccoglierle qui, perché è in questo centro, in questa regione
dell'essere, che troverete la volontà di progredire, la forza della purificazione, l'aspirazione
più intensa ed efficace. L'aspirazione che proviene dal cuore è molto più efficace di quella
che proviene dalla testa.
Mère - Conversazioni 1929

Intendo quello che è successo a X e ad altri come Y e Z. Le esperienze superiori non


fanno male nessuno -- il problema è che cosa si intende con superiori? Y ad esempio
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pensava che le sue esperienze fossero la stessa più alta Verità -- gli dissi che erano delle
sue immaginazioni, col solo risultato di farlo divenire furioso con me. Ci sono imitazioni di
esperienze superiori quando la mente o il vitale si si aggrappano a un'idea o a una
suggestione e la trasformano in una sensazione, e intanto c'è un infiltrarsi di forze, un
senso di esultanza e di potere etc. Arrivano ogni sorta di "intimazioni", visioni, forse "voci".
Non c'è niente di più pericoloso di queste voci -- quando sento da qualcuno che ha una
"voce" mi sento sempre a disagio, anche se ci possono essere delle voci genuine e in
grado di aiutare, e mi sento sempre incline a dire "Niente voci, per favore, -- silenzio,
silenzio e una mente capace di discernere". Ho fatto riferimento a questa regione di
esperienze imitate, false ispirazioni e false voci in cui entrano centinaia di yogi, e da cui
alcuni non escono mai, nella mia lettera sulla zona intermedia. Se un uomo ha una mente
chiara e un certo tipo di scetticismo spirituale, la può attraversare, e difatti lo fa -- ma
persone senza discernimento come Y o Z si smarriscono. E' soprattutto l'ego che entra e li
rende così attaccati alla loro splendida (?) condizione che rifiutano di uscirne. Ora, un ritiro
nella reclusione dà' ampio spazio a questo tipo di azione e permette di vivere interamente
nel proprio essere soggettivo senza altro controllo che quello che il proprio discernimento
originale può' apportare -- e se questo non è abbastanza solido? L'ego è ovviamente il
forte sostegno di questi errori soggettivi, ma ci sono anche altri sostegni. Lavorare e
mescolarsi con gli altri -- col contatto con la realtà oggettiva che questo porta -- non è una
difesa assoluta contro queste cose, però è una difesa e serve come controllo e come
forma di equilibrio correttivo. Io noto che chi entra in questa regione intermedia è
generalmente attratto dalla reclusione e insiste per averla. Queste sono le ragioni per cui
solitamente preferisco che i sadhak non entrino in completa solitudine ma mantengano
una certo equilibrio tra il silenzio e l'azione, interiore ed esteriore insieme.
Sri Aurobindo - Lettere

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