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SETTEMBRE 2010 METRORACCONTO # 8

LETTO A DUE PIAZZE


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mmmhhh, rurrr, grunf, ah.


Non riesco ad articolare pensieri. Non ho pensieri. Sono morto, sorridendo, ma
sono morto. Sono un uomo nell’istante successivo a un orgasmo faticosamente
conquistato in un torrido pomeriggio di metà agosto: poco più di un ammasso di
muscoli rilassati, moooooolto rilassati, testa vuota come i testicoli.
Speriamo solo che lei ora non mi chieda nulla, speriamo che abbia pietà dello
sforzo sovraumano appena compiuto e rispetto silenzioso di questo momento di
profonda intimità deficiente. Altrimenti, se vuoi le chiacchiere, i commenti e le
promesse bugiarde, bella mia beh allora metti almeno l’aria condizionata.
No per fortuna mi lascia in pace, posso abbandonarmi all’ebetismo.
Mmhh, rurrr, grunf, ah.
Tonalità di rosso, subito al di là, accerchiano le palpebre dubbiose.
Non ce la farei ad aprire gli occhi, e poi per cosa? non ho forza per muovere un
muscolo. Forse son proprio bloccato, immensa fatica, calura.
Resta imbrigliato, nella griglia delle pesanti ciglia, un ricordo d'infanzia. In effetti
come stavo bene in quell'albergo con l'aria condizionata, anche se tornando in
camera poi la spegnevo, come mi aveva insegnato mamma.
Queste sono le mie prime vacanze senza mamma, ormai troppo vecchia per
venirmi dietro la mia cara mammina.
Ma questa misera ventola un po' asmatica non mi sogno lontanamente di
spengerla, cara mamma, che ne vuoi sapere tu del sesso pomeridiano di
mezza estate, tu che probabilmente mi hai partorito vergine. Ora che ci penso,
questa ragazza appena conosciuta in spiaggia, mi ricorda tantissimo mia
madre, seni abbondanti, occhi indulgenti ed inclini al perdono...
Perdono di cosa? Sono uno stinco di santo senza forze, per ora. Tra poco,
appena profferirò le prime parole sbagliate, saprò già procurarmi qualche colpa.
Domani, forse, avrò addirittura sensi di colpa. Quindi sto zitto, rimando la mia
condanna.
Entro in uno stato di semiveglia faticoso, immagini vaghe si formano dietro le
palpebre.
Poi quella voce amata che sento in lontananza chiamare il mio nome.

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Mamma.
Mamma.
E lei è davanti a me, bella e luminosa. Apre le finestre, muove le tende, mi
sgrida per il disordine. Si muove leggera tra le mie cose sparse sul pavimento.
Ride e muove la testa, i capelli brillano e pare che suonino campanelli
d'argento.
Mamma.
Dove sei..
Mmhh, rurrr, grunf, ah.

Oddio che imbarazzo. Ma perché esiste il dopo? Non potrebbe l’uomo


volatilizzarsi un secondo dopo aver adempiuto ai suoi doveri di letto? Beh
facciamo qualche secondo in più, perché quando lui pensa di aver adempiuto
egregiamente in realtà finisce sempre che noi siamo lì lì per essere soddisfatte.
Alla fine questa giostra del sesso è nella maggior parte dei casi un “stavo lì lì”.
Ma cosa vuoi spiegare a questa bella confezione di addominali bronzei e glutei
pallidi, preoccupato unicamente di svuotarsi la coscienza - e non solo - un
attimo dopo aver superato la media nazionale di durata? Io lo voglio incontrare
quello che ha messo in giro la voce falsa che per le donne più dura e meglio è.
Per carità, dio mi scampi sempre dai precoci, ma questo che ha passato 73
minuti a grondare sudore sulla mia pancia, a sperticarsi in pose alla Momix
nonostante i 39 gradi percepiti, per poi perdere coscienza e afflosciarsi
maledettamente prima che io potessi pensare che ne è valsa la pena… beh
questo che ora starà pensando di essere un supereroe, della sessualità
femminile non ha sicuramente capito una mazza.
Ma oggi non ne potevo proprio più, ero diventata claustrofobica sotto quella
cappa di ombrelloni cuciti l’uno all’altro.
Non le sopporto proprio le folle della spiaggia, io.
E nemmeno le follie, come i panini infarciti di formaggio e prosciutto, la borsa
frigo, le palette e il suono ritmato, ossessivo dei racchettoni.

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Ho una visione anni '60 della spiaggia, non riesco a togliermela dalla mente.
Che poi, a me, tutta quella gente assiepata, fusa insieme al calore della sabbia
e del sole, mi sa di sporco.
No, io amo le spiagge deserte, il mare azzurro che bacia l'orizzonte.
Un orizzonte senza vele, senza boe, senza pattini, senza...
Un azzurro senza compromessi.
E così ho deciso di inventarmi un gioco: ediamo questa faccia da provolo che
crede di essere uscito dal cartellone pubblicitario dell’intimo Armani quanto
tempo è disposto a perdere se gli faccio annusare il profumo di un diversivo
pomeridiano.

Forse sto esagerando, forse sembrerò maleducato se non parlo, se non la


rassicuro un po’. Mi ricompongo quanto basta, apro gli occhi e riporto in
tensione gli addominali. Scekero, scekero per trovare il meglio dei miei
pensieri, solo questo posso accettare salti fuori dai miei deliri. Ma perchè
l'immagine di un monokini mi perseguita? No no, mi schiarisco la voce e cerco
una faccia sensibile.
“Guarda che cielo limpido tra le persiane, azzurro come i tuoi occhi. E’ la prima
cosa che ho notato di te, il primo giorno che ti ho vista alle docce dello
stabilimento. Pensa che l'altra notte ti ho sognata e, pensa, era azzurro pure il
tuo vestito.
Mi piace stare nudo, ora sto qui nudo, mi sento libero. Tu mi fai sentire bene,
anche se non parlo, nel mio fluire ininterrotto di pensieri ci sei tu, sempre.
Penso alla spiaggia, a tutte le persone che ho incrociato e dalle quali sono
fuggito per stare con te.
E sono felice di essere finalmente qui, quanto ti ho desiderata. In realtà
pensavo che noi, in fondo, fossimo solo un sogno. E invece oggi è stato proprio
un miracolo, un desiderio da notte di san lorenzo che si avvera”.

Oddio e ora Momix che vuole?


Dopo che ho ammazzato quello che ha inventato la teoria della durata mi devo
ricordare di ammazzare pure quello della teoria del sentimento postumo. Ma

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perché gli uomini non accettano l’idea che anche noi, come loro, possiamo
desiderare semplicemente un po’ di svago? Questo ha abboccato all’amo come
un citrullo e ora mi vuole tranquillizzare? E se fingessi di dormire?

“Non mi è parso vero di alzare lo sguardo, come mi chiedesti oggi avvicinandoti


oggi al mio lettino. Ho fatto tutto ciò che mi hai chiesto perché morivo dalla
voglia di stare con te.
Desideravo solo appartenerti completamente, in modo irrazionale, pur sapendo
che era impossibile. Tu sei tutto quell'azzurro, tu ed io.
Nessuna folla, nessuno da schivare, nessun cattivo odore, non c'è spiaggia,
non c'è ombrellone, non c'è niente.
Solo io e te e l'azzurro del mare.
Prima avevo chiuso gli occhi, ma non posso dormire, non ho sonno, non riesco
a smettere di pensare. Eppure ho voglia di sognare. Se chiudo gli occhi potrò
sognare senza dormire ?
Se ti penserò tanto forte da fare male, tu mi riuscirai a sentire?”

Caspita, e ora che gli dico? Questo deve aver fatto un corso, dove le ha lette
queste tecniche di produzione di latte alle ginocchia? Tengo ancora gli occhi
chiusi. Quasi quasi accendo il walkman.
Che nome assurdo.
Come se uno dovesse ascoltare la musica solo camminando.
Io la musica l'ascolto quando sto ferma!
Non cammino affatto, mi distrae camminare mentre ascolto musica.
Apro gli occhi e gli sorrido meglio che posso, lasciandogli credere quello che
vuole e, a costo di sembrare scortese, allungo il braccio verso l’ipod sul
comodino, collegato alle casse portatili.
Click. Play.
Occhi chiusi.
Il mio corpo nudo che ora vorrei coprire. Il suo corpo nudo che piano piano si
ricompone.

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“Lo so, so cosa stai pensando, che da oggi le sue canzoni saranno quel filo
sottile che ci legherà per sempre. Le sue note entrano dentro me, le sento
dentro me.
Ascolto, sento le tue e le mie parole. Quelle che ora non dici e che preferisci far
dire a lui. Chissà se un giorno riascoltando questa canzone, m'immaginerai
così, solo, con me, ma da solo con te.
E l'azzurro del mare all'orizzonte. Quello che ci ha uniti questa estate.
"E scusa se non parlo piano
ma se non urlo muoio".

“Ehm, perdonami, è solo l’ipod di mia sorella”, provo a sdrammatizzare. Cambio


argomento. “Ma ti ricordi la frescura? Quando ancora d’estate ci si poteva
rilassare di pomeriggio in quel dolce, frizzante vento che sollevava le tende.
Mannaggiammè che non ho comprato l'anguria!”. Rido forzatamente, lui no.

“Già...!”

Non si sarà mica offeso per avergli smorzato la poesia?


Ma che ne puoi sapere tu di quando una donna ha bisogno di sentirsi amata
davvero? Che ne sai tu da chi una donna vuole sentirsi amata?

“A cosa stai pensando?”

“Niente, pensavo di stare per dormire, ma mi chiedo perché chiudo gli occhi e
sto nel letto se non ho sonno! Non mi sopporto! Mi succede spesso, anche di
notte, e normalmente mi vesto ed esco. Oppure quando capisco che non è
proprio il caso di dormire, accendo il pc e mi imbatto in qualche blog divertente,
a volte rido da sola davanti allo schermo, sento che esiste un esercito di
persone che hanno deliri simili ai miei, che hanno idee e parole. E a quel punto
mi addormento sicura di aver trovato un altro posto dove potrò passare spesso
con il mio vagone di fesserie”.

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“Ti capisco, anche io quando non dormo passo le ore su facebook, che ridere,
ce l’ho pure sul telefono. Poi alla fine, per riuscire a prendere sonno, chiudo gli
occhi e lascio scorrere le immagini nella mia mente, il mare, la sabbia, i corpi
abbronzati, ho anche pensato a te qualche sera fa, mmmm che bella quella
ragazza con il costume a fiori! Non ridere, ma a quel punto la mia mano è
scivolata in basso e ho cominciato a trastullarmi finchè stremato, appagato e
rilassato mi sono addormentato”.

Credo di preferire la versione poetica di Momix. Mi domando dove ho messo il


lanciafiamme. Ora fru go tra le cianfrusaglie dello sgabuzzino, sgabuzzino le
cianfrusaglie di un frugo, le cicale mi assordano creandomi dislessia da stress.
Aria aria. Secondo me le cicale aumentano la temperatura. Se trovo il
lanciafiamme prima incenerisco Momix e poi spalanco le persiane urlando
"Cantate adesso, puttane", mentre incendio zone a caso tra l'appartamento ed
un giardino pieno di alberi. Forse è questo il motivo per cui di rado la gente
detiene dei lanciafiamme, perché c’è sempre un Momix che potrebbe rischiare
di lasciarci le penne e i glutei ignudi.
“Hai fame? Vado a prendere qualcosa da sgranocchiare?”

“No grazie, a pranzo ho mangiato decisamente troppa peperonata...


Senti, io vorrei chiederti una cosa. Mi spieghi perché quando mi hai portato via
dalla spiaggia mi hai chiesto di seguirti sotto quel caldo torrido per le stradine
tra le vigne? Ho sempre pensato che tu fossi una persona romantica, si vede
lontano un miglio già solo da come sorseggi il caffè, forse un po’ tutte voi donne
lo siete. Ma non sono sicuro che i pensieri romantici possano sopravvivere alle
temperature della campagna di agosto. Tu mi trascinavi per viuzze torride e io
pensavo che volessi infrattarti e poi invece dicevi “guarda le pietre incastonate
in modo così impreciso e casuale da non esser altro che pennellate d'artista”.
Ma io, ti giuro, vedevo solo salite e discese scoscese su selciati curati e sentivo
l’affanno nel seguirti. Secondo me lo fai spesso quel percorso, perché sembra
che segui percorsi noti e non ti perdi. Cunicoli bui, rifugi già diurni dal sole che

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scotta. Asfalto su curve così strette da far paura ai ciclisti, un sali-scendi fra
colline ad affiancare guard-rail. Quando tra le vigne la luce appariva in un
attimo era già troppa. Salite fra sterpaglie secche. More selvatiche e tu che mi
dici “se vuoi quelle le possiamo assaggiare, attento alle spine, veloce,
dobbiamo andare, è già tardi”. E poi ancora sterpaglie e rovi, in compagnia di
cavallette grosse e marroni, mimetiche nei colori di questa estate di fuoco.
L'arsura e tu che mi prendi pure per il culo dicendo “mi raccomando di non
cascare, guarda: la vigna del babbo”. Insomma io sono arrivato qui già
stremato, sudato e graffiato dai rovi: è vero che morivo dalla voglia di stare con
te, ma che fatica, che conquista. La prossima volta veniamo in motorino eh?

Glielo confesso che volevo prendermi gioco di lui che da due settimane faceva
il ganzo in spiaggia con l’occhio da pesce lesso, il costumino attillato
microscopico e il fiato trattenuto? No, è troppo stupido, ha già pagato
abbastanza. Ho pronta poesia prête-à-porter per i suoi denti.
“Sai quelle viti le ho innestate io, lavoro dell'anno scorso, vengon su bene, vuol
dire che ho fatto un bel lavoro. E’ il mio vanto, volevo condividerlo con te. Anche
quella è stata una fatica, ma che conquista”.

“Tesoro, sei proprio dolcissima. Comunque la prossima volta in motorino!”

E’ stupido, ma in fondo è simpatico sto citrullo sudato.


“Scusa ma non pensavo che soffrissi così il caldo. Ti immaginavo più abituato
visto che passi le ore immobile su quel lettino rovente, in decima fila che manco
uno spiffero per sbaglio quando girano le pagine delle settimane enigmistiche.
Sì, ti vedevo tutto… ammappuciato – come si dice dalle parti mie - e stoico e
quindi pensavo che un uomo sgualcito di natura, non soffrirà mai nulla,
tantomeno il caldo, anzi questo non farà che corroborare la sua sgualcitura.
Soffrirà piuttosto nei luoghi lindi e ordinati in cui si troverà a disagio. Il caldo
come il freddo sono per lui sensazioni soggettive e, si vede, lui è il tipo che sta
bene sempre e comunque, sempre e ovunque”.

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Che bei complimenti che mi stai facendo. O almeno così mi pare.

Ecco, hai detto bene, ti pare, è la prima volta che uno prende per complimento
“ammappuciato”. E’ talmente stupido che quasi mi fa tenerezza. Ma ora che fa?
La sua mano lenta lenta scivola fra le mie labbra socchiuse. Oddio, la
vendetta… I miei denti sfiorano le sue dita, sempre più mordaci. Non farlo, no ti
prego… non farlo, fermati… ti ho portato qui per scherzo, ora lo scherzo è finito.
Siamo troppo puzzolenti e collosi, e poi le cicale, il lanciafiamme, le vigne del
babbo… no una seconda volta no, ti prego, d’estate è vietato.
Oops. Ok mi arrendo Momix, avete vinto, tu e la mia carne debole che non
conosce cinismo.

Che pomeriggio! E chi se lo sarebbe mai aspettato che a tre giorni dal rientro il
monokini a fiori avrebbe finalmente ceduto. C’è cascata! Certo, strana è strana,
con la sua storia delle vigne del babbo: un po’ troppo romantica per i miei gusti.
Però ora, dopo una prestazione da guinness come quella di oggi, ora che sono
di nuovo a casa finalmente al fresco e che ho sentito mamma al telefono, ora
provo una sensazione di pace e armonia mescolata a quella certa inquietudine
che l'oscurità porta sempre in me. Mi crogiolo in queste sensazioni con la
malinconia di una vacanza ormai giunta alla fine, con la curiosità di quella parte
di vita non ancora vissuta. Ah, questa vita! Con tutte le emozioni e le sue
sfaccettature, vorrei non finisse mai! Tutto sommato è divertente e quando
meno te l’aspetti ti capita la sorpresa.

Se n’è andato. Sollievo e delizia. Un intero pomeriggio tra sterpaglie e lenzuola


sgualcite. E poi chi se le sarebbe aspettate tutte quelle romanticherie? Roba da
alcaselzer. E io che volevo solo fargli uno scherzo e fargli rimpiangere in un
bagno di sudore un mese di sguardi affamati lanciati al mio topless!
Chiudo occhi senza sonno ma poi il sonno arriva, e anche la frescura, nel
sogno, tra ghiacciai, prima di montagne, poi di mare, iceberg, e poi mi sveglio
sul far del mattino, che fa freddo per un temporale appena finito e,
inaspettatamente, dò vita ai pensieri, alle risposte che non oggi non gli ho dato.

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In un attimo dimentico chi sono stata in favore di chi sarò, di chi in fondo vorrei
essere, nel silenzio di un istante a persiane chiuse da cui filtrano tremolanti
tutte le parole che non ho mai detto a nessuno e che mai dirò...
E invece incosciente afferro il cellulare prima di cambiare idea e invio un sms:
"sono innamorata di te". Cazzo l’ho detto, cazzo l’ho fatto. Io, Angela la cinica, il
tritamassi che prende tutti in giro, mi sono lasciata infinocchiare da quattro
parole da manuale con retrogusto di peperonata. E gli chiedo pure di
rispondermi, di non tenermi in balìa delle onde che troppo spesso mi hanno
travolto. Certa di non aver equivocato i suoi atteggiamenti melensi, ciò che mi
aveva detto nel delirio del dopo. Invio. Aspetto, mentre il ronzio del ventilatore
raffredda la mia anima e intorno tutto è silenzio. Anche le cicale sono andate a
dormire. O qualcuno le ha fatte fuori con un lanciafiamme.
Non c'è nulla. Solo l'attesa. Tutto è sospeso, anche il respiro. E. Il bip del
cellulare mi fa trasalire.
Trepidante lo apro. Un romanzo di dodici sms appiccicati. Un papiello, come si
dice dalle mie parti.
Lo scorro in affanno, veloce, per cercare subito l’esorcismo della figura di
merda che ho appena fatto.

“Angela mia, che giornata! Quando sono andato via beato da casa tua corsero i
miei occhi lungo la strada grigia, ad incontrare altre strade, poi piante, poi
colline ed in fondo il mare. Poi mi sono voltato e ho pensato Ecco, tu sei lì, in
fondo a quella strada e lì, in quella casa senza aria condizionata, ho lasciato litri
di liquidi e di parole frastornate. Poi a casa sono scivolato in un sonno leggero
pieno di sogni. Io che non sogno quasi mai, ultimamente invece ricordo spesso
i sogni, non solo gli incubi. Questo sogno era affollato di gente che conosco che
si sussegue confusamente... E alla fine ci sei tu, che mi abbracci, e non mi
disturba il caldo del tuo abbraccio perchè le tue braccia sono casa.
Quando mi sveglio sei lì, seduta a fianco a me. Hai socchiuso le imposte, entra
una brezza piacevole, e la luce del tramonto. "Ti spalmo la crema doposole, sei
arrossata. Dovresti stare più attenta piccina mia, sai che hai la pelle tanto
delicata". Guardo il tuo sguardo tenero ed adorante e pregusto la camminata

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sulla spiaggia, al buio, in pace, con la tua mano che stringe la mia. Poi con
l’immagine di noi due ancora abbracciati mi sono svegliato, e allora – lucido –
ho pensato: ma sul più bello, quando stavo lì lì per catapultare te, me e tutti i
santi del paradiso nel vortice dell’incoscienza, tu tesoro mio dovevi proprio
starnutirmi in faccia??? E allora ho capito, Angela mia, è stata solo una bella
scopata, fattene una ragione”.

Lapidata a morte. Con parole che non mi aspettavo. Troppo dure, soprattutto
per uno che non lo è mai stato per tutto il pomeriggio, dolce ai limiti dello
stucchevole, senza possibilità di equivoco. Offensive come se avessi
commesso un crimine efferato. In fondo che sarà stato mai? Uno starnuto!
Mi alzo,il cellulare abbandonato come un cadavere tra le pieghe del lenzuolo,
l'sms illuminato beffardemente. Socchiudo le ante aperte da un colpo di brezza-
immaginata o reale?- mi rimetto a letto, involucro vuoto di attese, speranze e
illusioni. Il falso vento del ventilatore mi accarezza la pelle, i capelli mi sfiorano
il viso. Non penso, respiro a malapena. Ci vuole poco per rimuovere un nome
dal cuore e soffiarlo via al ritmo monotono del ronzio elettrico. Poco quanto in
fondo ci è voluto per scrivercelo, il tempo di un pomeriggio e di quattro bugìe da
alcova.
In fondo è ancora estate. E c'è sempre l'abbraccio dell'unico amante sincero
che abbia mai avuto: il mare. Il mare tornerà ad abbracciarmi molto presto.
E solo lui.
In attesa di.
Sempre.
Ripiombo in un sonno amaro. Mi sveglio d'improvviso e sono bagnata in viso e
sul collo.
Questa volta non è sudore.
Ma lacrime che riempiono, ancora, il vuoto dell’assenza.
Perché adesso sto piangendo ?
In fondo era solo un gioco. Ho perso.

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SI RINGRAZIANO (in ordine di apparizione)

fracatz, che cerca ancora mamma nelle scollature delle altre; patèd'animo,
che non riesce a schivare gli starnuti inopportuni; Mau, e la sua peperonata di
mezza estate; Fiorettolo che shekera pensieri in topless; Spavaldo, indeciso
tra la pace e l’autosfinimento dei sensi; Vaniglia, che un giorno sicuramente
sarà e riuscirà a dire quelle parole; Il rospo dalla bocca larga, con il suo
vagone di piacevoli fesserie notturne; lauracanta, e il dolce ricordo di una
madre; CharlieB. e la sua anguria dimenticata; Mk e i suoi sms incauti e i
dolorosi strascichi ammappuciati; ancora Fiorettolo, orgoglio del nonno, e le
sue vigne del babbo; Uno, e la sua fuga dalle folle, con i suoi pensieri e la sua
musica che non cammina; Emix, e la sua caccia alle cicale con il lanciafiamme;
mezza strega, che sa che gli abbracci graditi non disturbano, con il loro calore,
nemmeno ad agosto; Gians, uomo sgualcito di natura, che sa stare bene
ovunque; Alberto, che sogna refrigerio e provoca temporali. E poi nicbellavita
ed Efesto, che non ci sono ma sanno esserci.

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