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CLASSE 1980
Perché quattro ultrasettantenni se ne vanno in giro in un'auto piena d'armi?
Cosa è successo nel lontano 2013?
Per quale motivo il Premier non invecchia mai?
Mauro Mirci
CLASSE 1980
"Allora mi credete." "Che importa," disse Mazzola, "siamo qui: arriviamo sino in fondo." Con
tutta l'energia dei loro muscoli invecchiati corsero giù, a fare una nuova rivoluzione.
Classe 1980
“Non si vedono macchine così tutti i giorni,” disse Labbro Leporino scollegando
l'alimentatore della DE Volvo. Fu solo l’ultimo di una serie di sfottò.
“Quanto viene?” chiese con voce inespressiva.
“Cinquanta euri, zio,” disse il ragazzo, con un sorriso che gli conferì un aspetto
truce.
“Tieni il resto” disse Vanelli porgendogli un biglietto da cinquanta euro. Il sorriso
del ragazzo svanì.
“Mi pigli per il culo, nonno?”
“Ci mancherebbe” disse Vanelli. Mazzola, ci avrebbe giurato, lo guardava
compiaciuto. Si cercò in tasca e cacciò fuori un pugno di monetine. “Ecco, questi puoi
tenerli davvero. Fatti aggiustare il labbro.”
“Lei non è cortese per niente.” Il ragazzo era livido di rabbia, ma prese lo stesso le
monete. “Potrei anche chiamare la Stradale, sa? A occhio e croce avete superato tutti
l'età per la patente, lì dentro.”
“E già, ragazzo mio. Ma ritornando alla tua faccia: lo sai che ai miei tempi certi difetti
li correggeva l'assistenza sanitaria pubblica?”
“Vaffanculo.”
“Grazie, anche a te faccia di coniglio.”
Vanelli premette lo start e il vecchissimo motore elettrico s’avviò.
“Adesso dovrei andare, giovane coglione.” Accelerò. Il ragazzo rimase immobile,
con le monetine nelle mani a conca.
Generazione senza palle, pensò Vanelli, magari è pure laureato. Osservava il ragazzo
dallo specchietto retrovisore. Dai, dai, pensò. Mantenne un'andatura lentissima. Alla
fine successe qualcosa: quello li inseguì per alcuni metri, insultandoli, ma la sperata
gragnuolata di monete non venne. Labbro Leporino rimpicciolì nel retrovisore, e alla
fine scomparve dietro una curva. Teneva sempre strette al petto le monete.
“Mi era sembrato,” rise Mazzola.
“Ho sbagliato,” disse Vanelli. “Metti che ci segnali veramente alla Stradale.”
Pensò all'arsenale custodito nel bagagliaio e alle pistole nascoste sotto i sedili. “Ho
fatto una cazzata” disse. “Dobbiamo cambiare auto.”
“Ma non si poteva darla vinta a quell'imbecille, ci ha presi in giro tutto il tempo.”
“Sono fatti così, che ci vuoi fare.”
Romero e Murolo, dal sedile posteriore, ruppero il silenzio. “Che ce ne frega,
cambiamo macchina.”
"Vediamo," disse Vanelli. Al contempo si diede dello stupido.
Nel Paese che anche lui aveva contribuito a costruire, rimaneva poco, assai poco
che gli piacesse. Si erano battuti per evitare il golpe del '13. Lui stesso aveva fatto parte
della scorta personale del Premier, scudo umano durante il discorso in parlamento nel
quale aveva annunziato il nuovo corso democratico. Lui, proprio lui, s’era preso la
raffica destinata al Premier, quello stesso giorno, all'uscita dal parlamento.
E quel ragazzino dal cervello guasto aveva riso quando gli aveva mostrato la tessera
di credito da militare in congedo.
"Ma non valgono niente," aveva detto.
"Io e quelli come me abbiamo fatto il tuo Paese come lo vedi oggi."
"Bel Paese di merda. Potevate impegnarvi di più.
S'erano congedati insieme, molti anni prima. Conservavano con orgoglio la medaglia
consegnata dal Premier in persona, d'oro a Vanelli, d'argento agli altri. Erano stati mesi
esaltanti. Fu la fine delle persecuzioni politiche, delle azioni di polizia arbitrarie contro i
membri del governo, degli attacchi alle istituzioni di politici imbarazzanti e magistrati
compiacenti.
Avevano immaginato riconoscenza per coloro che avevano fatto la Terza Repubblica
e la nuova Costituzione. E invece nulla era stato come l'avevano immaginato. Dopo un
paio d'anni la lettera di congedo e tanti auguri per un futuro sereno. S'erano persi di
vista. Era stato Vanelli a riunirli, dopo tutti quegli anni. "Siete gli unici ancora abili," aveva
detto. "Gli altri stanno sottoterra oppure col catetere." Spiegò loro le sue intenzioni.
"Ve la sentite?"
Fu Mazzola a parlare per tutti. "Capitano, ce la sentiremmo pure, ma a quest'età…"
"Ho dedicato la giovinezza alla Patria," ruggì Vanelli, "e cosa ho avuto in cambio? E
tu Mazzola? Un diplomino di congedo e trent'anni di vita borghese. Come campavi?"
"Autista d’autobus."
"E voi?"
"Il barista," rispose Romero. E Murolo: "L'operaio."
"V’è bastato?"
"E tu, capitano?" disse Mazzola. "Che hai fatto in questi anni?"
"Mi sono preparato per rifare la rivoluzione."
L'auto della Stradale li raggiunse dopo pochi minuti. Il ragazzo se l'era presa
davvero. Il poliziotto a bordo fece segno di accostare. Mazzola scarrellò un colpo nella
canna dell'automatica.
"Faccio io, tranquilli," disse Vanelli, anche lui con la pistola pronta. Anche Murolo e
Romero si armarono. L'agente era anziano e sovrappeso. Scese faticosamente dall'auto
e s’aggiustò sbuffando il cinturone. Anche Vanelli smontò, celando la pistola dietro la
schiena. Quando l’altro giunse a meno di due metri gli spianò l'arma in mezzo agli
occhi. "Non ce l'ho più la patente," disse. "Mi dispiace."
Il poliziotto era sbalordito. Disse: "Ma cosa fa?" Poi alzò le mani.
Vanelli si fece consegnare la pistola d'ordinanza. "Fuori tutti," urlò poi, "si cambia
macchina. Murolo, pensa tu a trasferire tutto da una bagagliaio all'altro."
"E che facciamo una volta arrivati al quarto?" aveva chiesto Mazzola la sera che
avevano predisposto il programma dell'incursione.
"Facciamo saltare tutto" aveva risposto Vanelli.
"E lui?"
"Lui non ci sarà."
"E allora," sbottò Romero, "allora che senso ha tutto questo?"
"Ha senso. Non potrà più riprogrammare l'orologio biologico."
Raggiunsero il quarto piano senza incontrare resistenza. La targa che indicava il loro
obiettivo apparve inaspettata. C'era soltanto un tizio in camice bianco. Quando li vide
rimase a bocca aperta.
"E voi chi siete?"
La porta del laboratorio era spalancata. Si attendevano di trovare computer e
apparecchiature incomprensibili. Invece videro solo una modernissima sala operatoria.
Spinsero il tizio in camice contro la parete e gli puntarono un pistola alla gola.
"Dove avete spostato le apparecchiature atomiche?" disse Vanelli.
Il tizio scosse la testa. "Che?"
Mazzola lo picchiò allo stomaco col calcio del fucile.
"In che sala portano il Premier quando viene al Centro?"
Quello, piegato in due e tremando, puntò l'indice verso la sala operatoria.
"Bugiardo." Vanelli colpì l'uomo in camice con un manrovescio. Lo pestarono tutti, a
turno. Alla fine dovettero convincersi che diceva la verità.
"Facciamola saltare lo stesso," suggerì Mazzola. "Qualsiasi cosa sia non potrà più
utilizzarla."
"Non potrà più utilizzarla comunque," disse l'uomo da terra.
Murolo, con enorme fatica, lo sollevò da terra.
"Che significa?" gli gridò in faccia.
"E' morto un'ora fa. C'è stata un'edizione straordinaria del notiziario net."
"Non è possibile, com'è morto?" urlò Vanelli.
La faccia insanguinata dell'ostaggio, incredibilmente, esibì un sorriso.
"Ehi, aveva centovent'anni. Non è che la chirurgia estetica risolve tutti i problemi."
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Mauro Mirci nasce a Piazza Armerina (EN) il 6 agosto 1968,
verso mezzogiorno tra le lenzuola del letto materno. Il pargolo
aprì gli occhi al mondo circondato dalle zie e dalla nonna, ed è
probabile che fosse anche presente un'ostetrica di passaggio.
Geologo per aspirazione, geometra per necessità, è un lettore
onnivoro e appassionato. Grande amante dei sudamericani
(Marquez, Cortazar, Vargas Llosae, Borges), ma anche di Calvino,
Sciascia e Buzzati, cerca ogni giorno pagine che gli regalino nuovi
stimoli. Inizia a scrivere compiuti i trentadue anni, dopo una crisi
di identità. “Attività terapeutica” sostiene lui. Ha collezionato
alcuni vittorie e piazzamenti in concorsi letterari nazionali. Il suo
racconto “Prima o poi torno” è stato pubblicato nella raccolta
“Racconti dal mondo” per i tipi della CIERRE edizioni, mentre il
racconto “Il vino di Tano” è comparso su carmillaonline.com.
Cura il sito www.paroledisicilia.it
Questo ebook è gratuito e condivisibile con altri.
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