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MAURO MIRCI

CLASSE 1980
Perché quattro ultrasettantenni se ne vanno in giro in un'auto piena d'armi?
Cosa è successo nel lontano 2013?
Per quale motivo il Premier non invecchia mai?

Mauro Mirci

CLASSE 1980

"Allora mi credete." "Che importa," disse Mazzola, "siamo qui: arriviamo sino in fondo." Con
tutta l'energia dei loro muscoli invecchiati corsero giù, a fare una nuova rivoluzione.
Classe 1980

“Non si vedono macchine così tutti i giorni,” disse Labbro Leporino scollegando
l'alimentatore della DE Volvo. Fu solo l’ultimo di una serie di sfottò.
“Quanto viene?” chiese con voce inespressiva.
“Cinquanta euri, zio,” disse il ragazzo, con un sorriso che gli conferì un aspetto
truce.
“Tieni il resto” disse Vanelli porgendogli un biglietto da cinquanta euro. Il sorriso
del ragazzo svanì.
“Mi pigli per il culo, nonno?”
“Ci mancherebbe” disse Vanelli. Mazzola, ci avrebbe giurato, lo guardava
compiaciuto. Si cercò in tasca e cacciò fuori un pugno di monetine. “Ecco, questi puoi
tenerli davvero. Fatti aggiustare il labbro.”
“Lei non è cortese per niente.” Il ragazzo era livido di rabbia, ma prese lo stesso le
monete. “Potrei anche chiamare la Stradale, sa? A occhio e croce avete superato tutti
l'età per la patente, lì dentro.”
“E già, ragazzo mio. Ma ritornando alla tua faccia: lo sai che ai miei tempi certi difetti
li correggeva l'assistenza sanitaria pubblica?”
“Vaffanculo.”
“Grazie, anche a te faccia di coniglio.”
Vanelli premette lo start e il vecchissimo motore elettrico s’avviò.
“Adesso dovrei andare, giovane coglione.” Accelerò. Il ragazzo rimase immobile,
con le monetine nelle mani a conca.
Generazione senza palle, pensò Vanelli, magari è pure laureato. Osservava il ragazzo
dallo specchietto retrovisore. Dai, dai, pensò. Mantenne un'andatura lentissima. Alla
fine successe qualcosa: quello li inseguì per alcuni metri, insultandoli, ma la sperata
gragnuolata di monete non venne. Labbro Leporino rimpicciolì nel retrovisore, e alla
fine scomparve dietro una curva. Teneva sempre strette al petto le monete.
“Mi era sembrato,” rise Mazzola.
“Ho sbagliato,” disse Vanelli. “Metti che ci segnali veramente alla Stradale.”
Pensò all'arsenale custodito nel bagagliaio e alle pistole nascoste sotto i sedili. “Ho
fatto una cazzata” disse. “Dobbiamo cambiare auto.”
“Ma non si poteva darla vinta a quell'imbecille, ci ha presi in giro tutto il tempo.”
“Sono fatti così, che ci vuoi fare.”
Romero e Murolo, dal sedile posteriore, ruppero il silenzio. “Che ce ne frega,
cambiamo macchina.”
"Vediamo," disse Vanelli. Al contempo si diede dello stupido.
Nel Paese che anche lui aveva contribuito a costruire, rimaneva poco, assai poco
che gli piacesse. Si erano battuti per evitare il golpe del '13. Lui stesso aveva fatto parte
della scorta personale del Premier, scudo umano durante il discorso in parlamento nel
quale aveva annunziato il nuovo corso democratico. Lui, proprio lui, s’era preso la
raffica destinata al Premier, quello stesso giorno, all'uscita dal parlamento.
E quel ragazzino dal cervello guasto aveva riso quando gli aveva mostrato la tessera
di credito da militare in congedo.
"Ma non valgono niente," aveva detto.
"Io e quelli come me abbiamo fatto il tuo Paese come lo vedi oggi."
"Bel Paese di merda. Potevate impegnarvi di più.

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In fondo aveva ragione. Avevano fatto proprio un Paese di merda.

S'erano congedati insieme, molti anni prima. Conservavano con orgoglio la medaglia
consegnata dal Premier in persona, d'oro a Vanelli, d'argento agli altri. Erano stati mesi
esaltanti. Fu la fine delle persecuzioni politiche, delle azioni di polizia arbitrarie contro i
membri del governo, degli attacchi alle istituzioni di politici imbarazzanti e magistrati
compiacenti.
Avevano immaginato riconoscenza per coloro che avevano fatto la Terza Repubblica
e la nuova Costituzione. E invece nulla era stato come l'avevano immaginato. Dopo un
paio d'anni la lettera di congedo e tanti auguri per un futuro sereno. S'erano persi di
vista. Era stato Vanelli a riunirli, dopo tutti quegli anni. "Siete gli unici ancora abili," aveva
detto. "Gli altri stanno sottoterra oppure col catetere." Spiegò loro le sue intenzioni.
"Ve la sentite?"
Fu Mazzola a parlare per tutti. "Capitano, ce la sentiremmo pure, ma a quest'età…"
"Ho dedicato la giovinezza alla Patria," ruggì Vanelli, "e cosa ho avuto in cambio? E
tu Mazzola? Un diplomino di congedo e trent'anni di vita borghese. Come campavi?"
"Autista d’autobus."
"E voi?"
"Il barista," rispose Romero. E Murolo: "L'operaio."
"V’è bastato?"
"E tu, capitano?" disse Mazzola. "Che hai fatto in questi anni?"
"Mi sono preparato per rifare la rivoluzione."

L'auto della Stradale li raggiunse dopo pochi minuti. Il ragazzo se l'era presa
davvero. Il poliziotto a bordo fece segno di accostare. Mazzola scarrellò un colpo nella
canna dell'automatica.
"Faccio io, tranquilli," disse Vanelli, anche lui con la pistola pronta. Anche Murolo e
Romero si armarono. L'agente era anziano e sovrappeso. Scese faticosamente dall'auto
e s’aggiustò sbuffando il cinturone. Anche Vanelli smontò, celando la pistola dietro la
schiena. Quando l’altro giunse a meno di due metri gli spianò l'arma in mezzo agli
occhi. "Non ce l'ho più la patente," disse. "Mi dispiace."
Il poliziotto era sbalordito. Disse: "Ma cosa fa?" Poi alzò le mani.
Vanelli si fece consegnare la pistola d'ordinanza. "Fuori tutti," urlò poi, "si cambia
macchina. Murolo, pensa tu a trasferire tutto da una bagagliaio all'altro."

L'agente si chiamava Luigi Brambilla. Vanelli ne indossò giacca e berretto e occupò il


posto di guida. Al suo fianco sempre Mazzola. Sul sedile posteriore Romero e Murolo
strinsero al centro il poliziotto ammanettato. Romero gli ficcò nel fianco la canna
dell'automatica. Sembravano parecchio scomodi.
"Ragazzi, ma che vi siete messi in testa di fare?" fece Brambilla, tutto rosso in viso.
Mazzola si voltò.
"Ragazzi? Ma ci hai guardati bene?"
Brambilla balbettò qualcosa. Sudava copiosamente.
"Nemmeno tu mi sembri di primo pelo," disse ancora Mazzola. "Quanti anni hai?"
"Sessantacinque" rispose l'agente.
"E a questa bella età stai ancora di pattuglia?"
Vanelli si fece sentire. "Lascialo stare. Senti, come ti chiami?"
Brambilla glielo disse.

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"Non vogliamo farti nulla di male. Tu fai quello che ti diciamo e stai tranquillo.
Finisce tutto subito. Va bene?"
Brambilla assentì con vigore.
"Ascolta, siamo tutti parà in congedo. In congedo da un bel po', per la verità. Io
sono il capitano Vanelli, il signore al mio fianco è il tenente Mazzola. Quelli accanto a te
sono Romero e Murolo, marescialli tutti e due. Di che classe sei, Brambilla?"
"Eh?"
"Quando sei nato?"
"Nel 1990."
"Noi siamo tutti dell'ottanta." Fece un gesto col dito, come un circolo nell'aria.
"Tutto questo bordello qui l'abbiamo visto nascere. Anzi, abbiamo pure contribuito."
Brambilla sembrò perplesso.
"La Terza Repubblica, Brambilla, la Rivoluzione del 2013. Non ti dice nulla?"
"E'una cosa di politica, giusto. Non lo so, non seguo tanto la politica."
"Nemmeno nel 2013 la seguivi? Possibile? Ti sei perso tutta una rivoluzione?"
Il poliziotto trattenne il respiro per un attimo. Poi disse: "No, certo. La rivoluzione
me la ricordo, ci mancherebbe."
"Anche i carri armati al Quirinale?"
"Anche quelli."
"Vaffanculo, non ti ricordi niente, non ti ricordi." I carri armati li avevano evitati.
Almeno quelli.
L'auto della Stradale non era messa molto meglio della loro DE V. Era un modello a
idrogeno, ma difettava di manutenzione. Ai lati della statale grandi manifesti mostravano
il sorriso del Premier. Lo stesso volto di trentanove anni prima, ancora più giovanile
forse.
"Questa macchina fa schifo, Brambilla" urlò Vanelli
Brambilla tacque.
"Ma quanti chilometri ha?"
"Seicentomila. Ho fatto richiesta di sostituirla tre anni fa. Dice che la cambiano, ma
non la cambiano mai."
"E tu, come mai sei ancora in servizio?"
"Con la pensione non si campa. Ho fatto richiesta di rimanere ancora qualche
anno, fino a che mio figlio non si sistema."
"Che facevi nel '13, Brambilla?"
"Che cosa?..."
"Nel 2013, che facevi?"
"Richiesta di entrare in polizia, mi pare."
Murolo fece un risolino. "Fai sempre richieste, tu. Ma ti risponde mai qualcuno?"

La radio gracchiò parole quasi inintelleggibili.


"Che dice?" fece Romero, pungolando con la pistola le cicce di Brambilla.
"Che devo rientrare. Vogliono sapere se c'è qualcosa che non va."
Mazzola prese il microfono e lo porse al poliziotto.
"Digli che hai avuto un guasto. In una strada secondaria. Tanto, per com'è combinata
'sta macchina, avrebbe potuto pure capitarti."
Brambilla fece come gli ordinavano.

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Il piano era semplice. All'inizio avevano stentato a credere che potesse esserlo
tanto, ma Vanelli, nel suo rifugio di pensionato solo, una baracchetta a pochi metri dal
mare, aveva sciorinato planimetrie e fogli fitti di appunti.
"Cavolo, capitano," aveva detto Mazzola, "dove hai pescato tutte queste
informazioni?"
Un sorriso compiaciuto aveva illuminato il viso di Romero.
"Non ti hanno congedato, capitano Vanelli. Sei entrato nei servizi segreti, non è
vero?"
Vanelli fece un mezzo risolino.
Murolo, però, sembrava scettico. "Credi davvero di riuscire ad ammazzare il
Premier?" Sollevò uno dei fogli. "Guarda qua. Anche ammesso che riusciamo a entrare
nel Centro, dovremo affrontare una decina di carabinieri e altrettanti agenti dei
Servizi. Poi ci sono le guardie private. Noi, tra tutti e quattro, facciamo trecento anni. E'
una pazzia."
“E chi ha detto che dobbiamo ammazzarlo?" disse Vanelli.

Il Centro Medico Sperimentale sorgeva al centro di un parco che si sviluppava per


decine di ettari. Aveva l'aspetto di una cupola in acciaio e vetro di ultima generazione.
Oltre sessanta metri di diametro. La gran parte della struttura si sviluppava sottoterra.
Il quarto piano sotterraneo era riservato al Premier.
"E' lì che riporta indietro le lancette" aveva spiegato Vanelli quando aveva esposto il
piano. E dopo avere osservato le facce meravigliate dei suoi compagni, aveva aggiunto:
"Ehi, sveglia. Quanti anni ha il Premier?"
"Novanta?" aveva azzardato Romero.
"E' nato nel 1936. Era già vecchio quando si nominò Presidente a vita" disse Vanelli
"Cazzo," esclamò Murolo. "Centoventi anni."
"Centodiciotto, per la precisione. Ne compirà centodicianove a fine settembre."
disse Vanelli. "Nessuno di voi s'è mai chiesto come fa? O vi siete rincitrulliti come tutto
questo Paese beota che vive alla giornata senza mai farsi domande?"
"Cazzo," disse Mazzola, "centodiciannove anni."
"Non è lui," disse Romero. "È un sosia messo lì per evitare l'elezione di un nuovo
Premier."
"Non è un sosia," disse Vanelli.
" È un sosia," insistette Romero, "lo sanno tutti."
Vanelli sorrise ironico. "E se lo sanno tutti perché nessuno dice nulla? Perché
nessuno si ribella?"
Romero fece spallucce.
"Voi, perché in tutti questi anni non avete fatto nulla?" li incalzò Vanelli.
Fu Mazzola a prendere la parola.
"Lo sai, Vanelli: in fondo non importa a nessuno. In fondo si sta bene. Nessuno
muore di fame. Altrove i conflitti sociali e politici hanno portato alla guerra civile o ci
sono andati vicini. Il Premier ha portato la pace sociale."
Vanelli scosse la testa.
"L'appiattimento di tutto, dovresti dire. Perché indire libere elezioni se solo in pochi
vanno a votare? Perché cambiare governanti se i prossimi saranno ladri e corrotti
come quelli che ci sono? Perché sperare in un mondo migliore se il problema più
impellente è riuscire a pagare il mutuo e le bollette? Perché garantire una sanità
pubblica quando quella privata è meglio? Eh? Ve lo dico io perché. Nessuno ha più
fame, Mazzola. È proprio come dici tu. Nessuno ha più fame di nulla. Siamo prigionieri

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dei nostri egoismi, dei nostri vizi. Desideriamo solo la macchinetta, le vacanze a poco
prezzo, la famigliola perbene che non litiga con nessuno e soprattutto non si
preoccupa di quello che succede fuori dalla porta di casa. Che trova normale farsi la
casa abusiva dove meglio gli pare, tanto prima o poi arriva il condono. Che se una
scuola o un ospedale pubblici non funzionano, invece di metterci rimedio, trova più
comodo chiuderli. Che non trova strano vivere in un mondo dove i privilegiati hanno
diritto a tutto, e gli altri ! e loro stessi !debbano accontentarsi delle briciole. Che
lustra il salottino, ma lascia l'immondizia dove capita. Siamo un popolo che desidera
solo farsi i cazzi suoi.”
"Calmati, capitano: rischi un collasso," disse Murolo.
Ma Vanelli, paonazzo e sudato, continuò. "Bisogna fare qualcosa. Quell'uomo è la
normalizzazione. E' l'assassinio di ogni speranza di innalzamento dell'uomo a qualcosa
di più del nasci-consuma-crepa. Un medico che genera pazienti dall'encefalogramma
piatto. E' sterco portato a esempio di virtù. Non sopporto d’aver contribuito a tutto
questo. Voi riuscite a sopportarlo? Se ce la fate andatevene."
Nessuno dei tre rispose. Ma non andarono via. Allora si rimisero a studiare il piano.

"E questo qua?" Murolo indicava il poliziotto.


"Ammanettalo al volante. E spacca la radio e la cella a idrogeno," disse Vanelli. Poi si
rivolse a Brambilla. "Va bene, Brambilla? Non ti facciamo nulla. Tu rendici il favore e non
provare a liberarti: tanto ti trovano."
Il poliziotto li studiò impaurito. Romero l’ammanettò al volante e gli batté una
pacca sulla spalla.
"Ti lascio una mano libera. Sul sedile del passeggero hai una bottiglia d'acqua. Per
pisciare pazienza, ti tocca fare un po' di ginnastica." Aggiunse un buffetto sulla guancia.
"Senza rancore.” Poi raggiunse i compagni.
Il poliziotto li osservò mentre indossavano le divise di addetti alle pulizie e
nascondevano armi e granate nei secchioni di due carrelli. Mentre andavano via lo
salutarono con la mano.

Si presentarono a un cancelletto secondario presidiato da una guardia giurata.


Vanelli esibì un tesserino ed entrarono. Appena dentro legarono e imbavagliarono il
sorvegliante e lo chiusero nella guardiola. Quella li osservava incredulo. Sembrava non
riuscirsi a capacitare che quella pattuglia di pulizieri rugosi potesse realmente fare
quello che faceva.
Spingendo i carrelli delle pulizie, si diressero verso l’edificio. Passarono davanti
all'ingresso principale, sovrastato da un'insegna larga diversi metri con il simbolo del
Centro: uno specchio a forma di orologio. L’orologio non aveva lancette.
Il piano prevedeva che entrassero dall'ingresso riservato al personale, scendessero
in ascensore sino al secondo piano interrato, e poi tirassero fuori le armi per arrivare
al quarto, che era sorvegliato dalle guardie private.

"E che facciamo una volta arrivati al quarto?" aveva chiesto Mazzola la sera che
avevano predisposto il programma dell'incursione.
"Facciamo saltare tutto" aveva risposto Vanelli.
"E lui?"
"Lui non ci sarà."
"E allora," sbottò Romero, "allora che senso ha tutto questo?"
"Ha senso. Non potrà più riprogrammare l'orologio biologico."

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Vanelli ebbe l'impressione che i tre compagni avessero smesso di respirare.
"Ascoltate: ha quasi centovent'anni. Vi pare normale? Vi dico io qual è la verità: lo
riprogrammano. Il nostro destino biologico è scritto nel DNA. Non so come facciano,
ma i medici del Centro sono in grado di riprogrammare il suo DNA, e con quello
l’orologio biologico. Le sue cellule si riproducono come quelle di un uomo di sessanta
o settant'anni. Il suo corpo si rinnova, per questo non invecchia."
Mazzola storse la bocca.
"E queste cose come le sai?"
"Grazie ai macchinari del Centro lui è praticamente immortale. La tecnologia per
farlo è segreta, ma so che lì dentro entra in continuazione materiale radioattivo. Esiste
una correlazione tra l'ubicazione del Centro e quella di un hot spot, un punto di
emergenza delle correnti telluriche. Insomma, dalla terra emana un'energia
particolarmente intensa che rende efficace l'azione di certi macchinari."
"Cazzarola," disse Romero.
"Ripeto: e tu queste cose come le sai?” disse Mazzola.
“Dovete fidarvi,” disse Vanelli.

Tra il secondo e il terzo piano non incontrarono nessuno.


“Che succede?” disse Mazzola.
Si fermarono davanti alla porta tagliafuoco del terzo piano.
“Dove sono i sorveglianti?” chiese Romero.
“Andiamo,” fece Vanelli, impaziente.
“Adesso ce lo devi dire,” fece Mazzola a muso duro. “Chi ti ha dato le informazioni?
Eri davvero nei Servizi?”
"Non ho mai lavorato nei servizi segreti."
"Ce lo hai detto tu."
"No: l'avete creduto voi."
"E tu ce l'hai lasciato credere,” disse Mazzola.
Come vinto da una fatica immane, Vanelli appoggiò le spalle alla parete.
“Vogliamo sapere,” dissero Murolo e Romero.
"Per più di trent'anni l'ho visto entrare nel Centro e uscirne ogni volta col sorriso
stampato sulla faccia. Un giorno ho visto una foto su una rivista di prima della
Rivoluzione. Era il 2045: io invecchiavo e lui era uguale alla rivista."
"E i macchinari atomici e le correnti telluriche: cosa ne sai? Lavoravi qui?" disse
Mazzola.
“Eri nella sicurezza privata?” chiese Murolo.
Vanelli trasse un lungo sospiro e chiuse gli occhi.
“Nei servizi di pulizia,” sospirò. “Lucidavo i pavimenti.”
Lo fissarono frastornati.
“Però dovete credermi. Trent’anni ho lavorato qui dentro: non riusciremmo mai a
superare la scorta. Non a questa età, non solo in quattro. Abbiamo solo questa
opportunità: facciamo saltare il quarto piano e non potranno più riprogrammarlo. Ci
vorrà tempo per ricostruire tutto, sono macchine particolari e funzionano solo qui.
Morirà di vecchiaia, capite?, come tutti quanti. Come tutti noi.”
“Come lo sai?” disse Mazzola.
“Lo so.”
Seguirono lunghi minuti di silenzio.
Poi Romero fece un passo avanti.

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"Capitano, se arriviamo al quarto piano, noi non moriremo di vecchiaia. Lo sai,
vero?"
Ancora silenzio.
“Chissà perché non c’è sorveglianza,” disse Romero.
“Dev’essere successo qualcosa,” disse Murolo.
"Andiamo?" disse Mazzola.
"Andiamo," ripetè Murolo.
L'espressione di Vanelli fu un misto di stupore e gioia.
"Allora mi credete?"
"Che importa," disse Mazzola, "siamo qui: arriviamo sino in fondo."
Con tutta l'energia dei loro muscoli invecchiati corsero giù, a fare una nuova
rivoluzione.
Esterrefatti, un paio di veri addetti alle pulizia li videro passare.
"Ma se non eri nei Servizi, come ti sei procurato le armi?" riuscì a chiedere Mazzola
prima che il fiato gli si facesse troppo grosso.
Vanelli rispose solo con un sorriso.

Raggiunsero il quarto piano senza incontrare resistenza. La targa che indicava il loro
obiettivo apparve inaspettata. C'era soltanto un tizio in camice bianco. Quando li vide
rimase a bocca aperta.
"E voi chi siete?"
La porta del laboratorio era spalancata. Si attendevano di trovare computer e
apparecchiature incomprensibili. Invece videro solo una modernissima sala operatoria.
Spinsero il tizio in camice contro la parete e gli puntarono un pistola alla gola.
"Dove avete spostato le apparecchiature atomiche?" disse Vanelli.
Il tizio scosse la testa. "Che?"
Mazzola lo picchiò allo stomaco col calcio del fucile.
"In che sala portano il Premier quando viene al Centro?"
Quello, piegato in due e tremando, puntò l'indice verso la sala operatoria.
"Bugiardo." Vanelli colpì l'uomo in camice con un manrovescio. Lo pestarono tutti, a
turno. Alla fine dovettero convincersi che diceva la verità.
"Facciamola saltare lo stesso," suggerì Mazzola. "Qualsiasi cosa sia non potrà più
utilizzarla."
"Non potrà più utilizzarla comunque," disse l'uomo da terra.
Murolo, con enorme fatica, lo sollevò da terra.
"Che significa?" gli gridò in faccia.
"E' morto un'ora fa. C'è stata un'edizione straordinaria del notiziario net."
"Non è possibile, com'è morto?" urlò Vanelli.
La faccia insanguinata dell'ostaggio, incredibilmente, esibì un sorriso.
"Ehi, aveva centovent'anni. Non è che la chirurgia estetica risolve tutti i problemi."

Un cuore pompa a mille all'ora; un corpo decrepito ignora l'ascensore e vince


tempo e malanni per scagliarsi in una corsa sfiancante lungo quattro piani di scale,
emerge nella hall. Vanelli brandisce il fucile d'assalto, le due o tre guardie private si
gettano a terra senza sapere esattamente che fare, se sparare o solo attendere che il
vecchio pazzo scompaia per chissà quale miracolo. Il capitano strappa con violenza
un'impiegata piccola e graziosa dalla sua poltroncina davanti al monitor. Il monitor
mostra il notiziario. Canali unificati, come si conviene agli eventi straordinari. Scorrono
immagini del Premier, il tono dello speaker è commosso mentre declama meriti e

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talenti. Vanelli urla di disperazione. Spara una raffica contro il soffitto. Calcinacci, vetro,
legno pregiato precipitano sul pavimento di marmo brasiliano. Le guardie private
decidono d’attendere l'arrivo della polizia. Vanelli corre fuori.
Il parco è una fiaba. Al di là del grande parcheggio davanti all'ingresso alberi esotici e
siepi artistiche, viali lastricati e vialetti di ghiaia candida. Cicale. Fiori. Statue. Un sole
abbagliante illumina ogni cosa e schiaccia per terra l'ombra di Vanelli, che vede ogni
cosa ruotargli intorno e non riesce a comprendere cosa c'entri tutta quella bellezza
con il disastro della sua anima. L'alta insegna del Centro, sopra la testa del capitano,
riflette ogni cosa. Lui fissa il grande specchio a forma di orologio e pensa che l'assenza
delle lancette avrebbe dovuto ricordargli che l’avversario era un baro. Preme il
grilletto. I proiettili raggiungono l'insegna, la fanno esplodere. Ed è tutta una pioggia di
frammenti che scintillano e moltiplicano per mille e mille parco, viali, alberi, siepi, cicale,
fiori, statue, il Centro, il parcheggio. E anche lui. Una pioggia luccicante cade su Vanelli,
nascondendolo dietro insopportabili riflessi di mondi incantati.

Mauro Mirci, luglio-agosto 2010

• Mauro Mirci Classe 1980 • pag. 10


CLASSE 1980

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© Mauro Mirci - 2010


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È consentita la sola lettura! ad uso personale e privato. L'utilizzo del testo!per qualsiasi altro
scopo deve essere! autorizzato dall'autore.
Mauro Mirci nasce a Piazza Armerina (EN) il 6 agosto 1968,
verso mezzogiorno tra le lenzuola del letto materno. Il pargolo
aprì gli occhi al mondo circondato dalle zie e dalla nonna, ed è
probabile che fosse anche presente un'ostetrica di passaggio.
Geologo per aspirazione, geometra per necessità, è un lettore
onnivoro e appassionato. Grande amante dei sudamericani
(Marquez, Cortazar, Vargas Llosae, Borges), ma anche di Calvino,
Sciascia e Buzzati, cerca ogni giorno pagine che gli regalino nuovi
stimoli. Inizia a scrivere compiuti i trentadue anni, dopo una crisi
di identità. “Attività terapeutica” sostiene lui. Ha collezionato
alcuni vittorie e piazzamenti in concorsi letterari nazionali. Il suo
racconto “Prima o poi torno” è stato pubblicato nella raccolta
“Racconti dal mondo” per i tipi della CIERRE edizioni, mentre il
racconto “Il vino di Tano” è comparso su carmillaonline.com.
Cura il sito www.paroledisicilia.it
Questo ebook è gratuito e condivisibile con altri.

Tuttavia per questo regalo vi chiediamo un altro regalo da parte vostra.

Fate una piccola ma importante donazione a:

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Grazie

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