Professional Documents
Culture Documents
Interna
Compendium Omniae Medicae Scientiae
PARTE PRIMA
MALATTIE IMMUNOLOGICHE
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 11
Inoltre, recentemente è stata dimostrata la presenza di un corecettore, che deve essere presente
contemporaneamente nella cellula per rendere efficace l’adesione dell’HIV. Esso è diverso per le varie
categorie di cellule che il virus infetta, ed esattamente:
→ CXCR4 per i linfociti
→ CCR5 (recettore per una chemochina) per i macrofagi .
Essendo questo recettore una proteina ridondante, esiste una teoria secondo la quale alcuni dei soggetti “non
responders” all’infezione siano in realtà mutanti delettivi per questa proteina.
2. Fusione del virione con la membrana della cellula, a carico della gp41 che funziona da integrasi per la
membrana fosfolipidica.
3. Trascrizione del genoma ad opera della trascrittasi, in DNA a doppia elica; il genoma integrato (detto
provirus), rimane permanentemente nella cellula e può essere attivato da particolari stimoli o rimanere
silente.
4. Assemblaggio delle proteine trascritte e tradotte a livello della membrana, dopo che esse hanno subito una
serie di glicosilazioni e di miristilizzazioni. Al nucleo virale si aggiunge una copia dell’rna virale e avviene
la gemmazione dalla membrana della cellula. Importante processo è quello del taglio delle proteine ad opera
della proteasi virale, enzima indispensabile dato che il genoma integrato viene trascritto tutto intero, e le
proteine prodotte devono essere tagliate per poter essere utilizzate.
Rapporto anale: rischio elevato per la fragilità della mucosa e la sua sottigliezza, per la presenza delle
cellule di Langerhans molto recettive subito sotto di essa, per la facilità con cui queste pratiche sono
traumatiche e danneggiano la mucosa.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 12
Rapporto vaginale: rischio minore perché la parete della vagina è meno soggetta ai traumi. La donna può
contagiare il partner tramite i fluidi vaginali infetti, ma il rischio è F:M 20:1, perché il maschio è esposto per
un periodo breve all’ambiente infetto, mentre lo sperma rimane nella cervice e nell’endometrio per molto
tempo. Inoltre, i sottotipi di HIV hanno diversa velocità di penetrazione fino alle cellule mucose e sono
quindi diversamente infettanti. Esiste una correlazione diretta fra presenza di lesioni genitali e rischio di
infezione.
Rapporto orale: meno rischioso degli altri, si associa comunque a buone possibilità di contagio, sia omo che
eterosessuale, praticato su entrambi i genitali maschili e femminili
Scambio di sangue o emoderivati: Il virus è poco concentrato nel sangue, circa 1000 u/mm3, ma questo è
sufficiente a far si che il 95% dei soggetti trasfusi con sangue infetto abbia contratto l’infezione. Categorie a
rischio sono: emofilici, tossicodipendenti (non solo le siringhe ma anche gli oggetti per la preparazione delle
droghe), trasfusi con sangue intero e anche con piastrine, soggetti che hanno fatto utilizzo delle gamma
globuline perché cronici o per altro motivo. Il rischio di infezione con trasfusione ed emoderivati è negli anni
dal 1970 al 1985, quando è diventata obbligatoria la ricerca del virione nel sangue.
Operatori sanitari: Il rischio di infettarsi dopo puntura con strumento chirurgico contaminato è basso, circa
dello 0,3%, contro il 20-30% dell’epatite B. Il rischio è basso finché rimane poca la quantità di sangue, a
causa della poca concentrazione di virus nel sangue. Il rischio di infezione dopo contatto con le mucose è
ancora più basso (0,01-0,05%).
Trasmissione madre – feto: L’infezione avviene sia durante la gravidanza che al momento del parto e
durante il periodo neonatale. Fortunatamente è più facile che si abbia infezione dopo la nascita e al momento
del parto. Il cesareo riduce notevolmente il rischio di trasmissione. Il rischio di trasmissione da madre non
trattata al feto o neonato è del 25%, ed è proporzionale all’avanzamento della malattia e alla viremia. Se la
madre contrae la malattia durante la gravidanza, il rischio infettivo è maggiore, a causa dell’elevata viremia
che si verifica subito dopo il contagio. Colostro e latte materno sono certamente un buon veicolo di
infezione.
PATOGENESI DELL’AIDS
La malattia è legata alla progressiva e continua deplezione delle cellule TH1, organizzatori centrali delle
risposte immune, e di tutte le cellule in generali CD4+, a seguito dell’effetto citopatico del virus, e alle
manifestazioni secondarie di tipo neurologico legate all’infezione diretta delle cellule nervose.
Sotto ad un certo livello di cellule Th1, il paziente diviene suscettibile alle infezioni opportunistiche che
determinano lo stato di AIDS conclamato.
Manifestazioni neurologiche e il sarcoma di Kaposi non possono essere associati alla diagnosi di AIDS
conclamato perché esse decorrono prima di un grave decadimento della funzione immunitaria.
Una volta entrato, l’HIV viene rimosso dal sangue da parte delle cellule dendridiche circolanti, che sono
degli ottimi veicolatori del virus ai linfociti TH4 e ai monociti linfonodali, i bersagli più colpiti. Il virus viene
quindi sequestrato nel linfatico (zona paracorticale dei linfonodi) e nella milza, dove si replica
incessantemente fino dare una intensa viremia, che si osserva nelle prime settimane dell’infezione.
La fase di disseminazione ematica che è caratteristica delle prime settimane di infezione si manifesta prima
che sia possibile per l’organismo montare una risposta immune efficace. Questo produce una disseminazione
a tutti i tessuti compreso il cervello.
Spesso questa fase da una sintomatologia sovrapponibile a quella della mononucleosi infettiva.
Dopo questa fase però il virus, pur infettando le cellule, smette di esprimere antigeni virali sulla loro
superficie integrando il proprio genoma all’interno della cellla ospite, e quindi entra in uno stato di
infezione cronica. Una volta che tutte le cellule infette sono in questa fase di “portatrici”, non si presentano
più in circolo gli antigeni virali, la risposta immune della fase acuta cessa ed il paziente entra nella fase
di latenza clinica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 13
Durante la fase di latenza clinica il virus continua a replicarsi nei linfonodi, e si mantiene una minima
viremia plasmatica. Negli individui infetti, il livello di CD4 scende costantemente e inesorabilmente,
rimanendo il paziente asintomatico per tutta la durata della latenza.
In questa fase le cellule infettate vengono continuamente sostituite da altre che vengono contaminate dalla
viremia periferica e soprattutto dalla presenza del virus nelle APC follicolari dendridiche. Questo processo
subisce un massiccio incremento soprattutto in quelle condizioni in cui le cellule infette vengono ad essere
attivate: infezioni, allergie, stati di stress provocano la produzione di specifiche citochine che attivano
la proliferazione T.
L’andamento della malattia è invariabilmente progressivo, nel senso che per ogni cellula che muore un
numero più grande di cellule viene infettato, mentre contemporaneamente diminuiscono le cellule target (i
CD4+). Questo processo che se pure lento è esponenziale è aumentato drasticamente dalle infezioni, nelle
quali il metabolismo e la riproduzione dei T aumenta e si porta dietro un incremento della sintesi di nuove
particelle virali.
Questo spiega perché, appena uscito dalla fase di latenza clinica, il quadro si aggrava rapidamente: ogni
nuova infezione provoca un circolo vizioso..
Infine si arriva alla fase di infezione avanzata di HIV. Si ha quando, indipendentemente dalla
sintomatologia, il soggetto registra una conta dei CD4 minore di 200. In quasi tutti i pazienti questo
corrisponde ad una massiccia attivazione di patogeni opportunisti e di riattivazione di batteri e virus
endogeni, più o meno controllati dal sistema immune, che risultano ora liberi e attivi.
Non tutti i pazienti hanno un identico decorso clinico e non tutti possono essere considerati uniformabili a
questo tipo di andamento. In effetti, esistono almeno due tipi di eccezioni per quello che riguarda la clinica.
→ Pazienti “long term survivors”: sono così definiti quei soggetti che ad una durata di 15 anni dalla
malattia iniziale sono ancora vivi. La maggior parte di essi presenta sintomi gravi ed immunodeficienza, ma
una percentuale di questi soggeti non scende mai al di sotto dei 200 CD4 senza che si conosca il motivo di
tale latenza.
→ Pazienti “long term non progressors”: soggetti che a una distanza di 10 anni dall’infezione hanno un
numero di CD4 assolutamente normale in assenza di una terapia specifica antiretrovirale. La non
progressività appare causata da una combinazione di fattori, fra cui difetti del virus e eterozigosi per la
mancanza del CCR5.
MANIFESTAZIONI CLINICHE DELLA MALATTIA
Variano a seconda degli stadi clinici della malattia, passando da una fase acuta infettiva alle manifestazioni
della fase avanzata. Si può empiricamente distinguere uno stadio precoce, uno intermedio e uno avanzato
basandosi sulla conta dei CD4; mentre molte delle manifestazioni infettive sono tipiche dello stadio
avanzato, il sarcoma di Kaposi e la malattia neurologica non sono correlate allo stato di
immunodeficienza: si trovano solo nella malattia avanzata perché il virus ha avuto tempo di prova
care questi danni.
Manifestazioni della fase acuta
Circa il 50 – 70% dei pazienti tende ad avere una serie di manifestazioni acute nel primo mese dopo
l'infezione. Tali manifestazioni sono variabili e si accompagnano ad una elevata viremia e alti livelli di p24.
E’ una sindrome che si presenta come una tipica infezione virale ed è paragonabile alla mononucleosi
acuta.
I sintomi più comuni sono: febbre, faringite, linfangite, cefalea con dolori retroculari, anoressia, disturbi
digestivi, letargia; meningite, encefalite, neuoropatia periferica, mielopatia; esantema maculo- papuloso,
ulcere cutanee e mucose.
La principale perturbazione dei linfociti è l’inversione del rapporto CD4/CD8, che si verifica fin dalle prime
fasi.
La maggior parte dei pazienti ha uno stabile deterioramento del numero di CD4, che procede nella fase di
latenza, ma alcuni possono transitoriamente riacquistare un livello di CD4 normale. Circa il 10% dei casi
muore nella fase acuta.
Manifestazioni della fase di latenza
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 14
In questo periodo di asintomatismo la malattia progredisce con una velocità che è proporzionale alla quantità
di HIV-rna presente nel siero. Molti pazienti non sono sintomatici per nulla, e lo sviluppo di una infezione
opportunistica è il loro primo segno; altri hanno per tutto questo periodo di tempo una linfoadenopatia
generalizzata.
Con pochissime eccezioni, il numero dei CD4 diminuisce costantemente ad un ritmo di 50 u/ul all’anno.
ARC (AIDS Related Complex)
E’ il periodo di transizione fra la fase di latenza e quella conclamata. E’ caratterizzata da alcuni segni.
→ Linfoadenopatia generalizzata: presenza senza causa di due o più sedi extrainguinali di linfonodi
ingrossati (>1cm) per oltre 3 mesi. Essendo un indice della attività immune contro l’HIV, la sua scomparsa è
un segno prognostico negativo. Bisogna fare la diagnosi differenziale verso il sarcoma di Kaposi nella fase
iniziale, e verso le infezioni batteriche opportuniste nella fase tarda (CD4 <200u/ul).
→ Lesioni orali: candida, mughetto, leucoplachia correlata ad EBV (queste ultime due correlate ad una
imminente progressione a stadio peggiore), ed ulcere. Il mughetto è un essudato cremoso e biancastro che
viene da una superficie iperemica, che si ritrova prima nel palato molle. La leucoplachia è fatta da lesioni
filamentose bianche. Le ulcere hanno eziologia ignota.
→ Riattivazione dell’Herpes Zoster: precoce, sintomo di un declino poco marcato dell’immunità. Il fuoco
di S. Antonio è comune fra i pazienti AIDS ma non grave, con raro coinvolgimento degli organi interni.
→ Trombocitopenia: la maggior parte mantiene livelli superiori alle 50000 u e non presenta necessità di
particolari trattamenti. Manifestano sanguinamento delle gengive e petecchie nelle estremità. L’esame
midollare è normale, e il danno piastrinico è mediato, come nella porpora trompocitopenica idiopatica, dalla
presenza di immunocomplessi.
→ Altre condizioni: porpora trombotica trombocitopenica (malattia con anemia emolitica, trombosi,
emorragie e danno renale), cefalea, carcinoma a cellule basali della cute, riattivazioni dell’herpes simplex.
→ Manifestazioni neurologiche: Queste manifestazioni sono responsabili della maggior parte della
mortalità. Oltre all’HIV, un nutrito numero di virus e di batteri e alcuni tumori ne sono responsabili
(toxoplasma, CMV, micobacterium, sifilide, HTLV1). Complessivamente colpiscono 1/3 dei pazienti, e
quelle specifiche per l’AIDS conclamato sono solo la demenza AIDS. Il danno si è detto è legato alla
infezione di macrofagi e glia o anche dalla produzione di citochine da parte di essi.
Praticamente tutti i malati hanno una infezione del SNC che però non sempre è sintomatica. Eventi molto
comuni sono pleiocitosi, isolamento del virus, proteinorrachia e sintesi intratecale di Ab. Queste sono:
Meningite asettica: tipica della fase acuta, a liquor limpido con glicorrachia diminuita.
Encefalopatia da HIV: detta anche demenza associata all’AIDS, è un insieme di segni e sintomi che
sono associati alla fase terminale della malattia. L’eziologia non è del tutto chiarita, ma comunque
riguarda la microglia della sostanza bianca sottocorticale, cosa che cataloga la malattia come una
demenza subcorticale al pari del Parkinson e della Corea, ma distinta dall’Alzheimer
Convulsioni: associate a parecchie delle infezioni che accompagnano l’AIDS, ma anche all’HIV stesso.
In molti pazienti la soglia convulsiva è bassa perché sono presentano squilibri elettrici.
Disturbi del midollo spinale: Il 20% dei pazienti AIDS ha una mielopatia, nel 90% dei quali essa è il
frutto di una demenza. Può assumere tre caratteristiche: mielopatia vaculare con degenerazione dei
cordoni posteriori, atassia sensitiva, parestesie degli arti inferiori.
Neuropatie periferiche: possono decorrere in varie forme e sono comuni. Tipica è una
demielinizzazione periferica infiammatoria che comporta alterazioni della sensibilità, del movimento
e dei riflessi. L’eziologia è autoimmune.
Miopatie: possono essere causate sia dall’HIV che dalla terapia, e hanno varia intensità clinica, dalla
sindrome asintomatica con aumento della creatina, alla mialgia con debolezza grave.
Infezioni opportunistiche
Si tratta di solito di complicazioni tardive dell’infezione quando i CD4 scendono sotto a 200, e sono
sostenute sia da batteri e virus opportunisti che da franchi patogeni, i quali fanno registrare infezioni di
eccezionale gravità e frequenza inusuale. Circa l’80% dei malati di AIDS muore per una di queste infezioni,
più spesso di tipo batterico.
Pneumocystis carinii
Il protozoo più comune, tenuto adesso sottocontrollo da una attenta profilassi, responsabile della polmonite
più diffusa fra pazienti AIDS, attualmente è responsabile della diagnosi di AIDS conclamato nel 20% dei
casi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 15
Polmonite con febbre, tosse poco produttiva e dolore retrosternale che peggiora con il respiro, con un
decorso subdolo e poco aggressivo, di difficile interpretazione. E’ possibile anche una infezione auricolare
che può avere conseguenze anche serie sull’udito, e non è infrequente la diffusione a tutti i parenchimi. La
profilassi è il presidio più importante per il paziente AIDS, con trimetoprim sulfametoxazolo, che però è
molto mal tollerato e quindi necessita di alternative efficaci.
Toxoplasmosi
Responsabile del 60% delle lesioni al SNC e del 38% di tutte le infezioni secondarie.I più comuni segni di
una riattivazione del toxoplasma sono febbre, cefalea e segni neurologici focali, soprattutto compressivi
correlati all’edema, e simili a quelli dell’encafalopatia. La diagnosi è radiologica con segni di necrosi focale
a volte circondati da un alone di edema. La conferma viene dalla biopsia celebrale, ma a causa della elevata
mortalità di essa si tende a farla solo nei soggetti sieronegativi.
Altre manifestazioni comuni sono corioretinite, orchite, polmonite, ascite.
Infezioni da micobatteri atipici (gruppo MAC)
Complicanza tardiva, spesso mortale. Sintomi:
-febbre
-sudorazione notturna
-calo ponderale
-micobatteriemia nell’85% dei casi
-aumento della ALP
-coinvolgimento epatico
Tubercolosi
Il malato di AIDS ha un rischio di contrarre la TBC attiva del 5%. Sebbene si tratti spesso di una
riattivazione, diventano sempre più frequenti casi di nuova infezione, spesso da focolai che hanno acquisito
la tendenza a resistere ai comuni antibiotici di profilassi e si diffondono in forma micro-epidemica. Nelle
aree a rischio (comunità nere di NJC, Miami e Paesi in via di sviluppo), solo il 30-70% dei nuovi casi sono
malati di AIDS, dato che indica il rischio epidemiologico.
La malattia è un evento anche precoce dell’infezione (mediana: 326 CD4/ul), e spesso può essere il primo
sintomo di AIDS conclamato.
Altre infezioni batteriche
I malati sono particolarmente sensibili alle infezioni da germi capsulati, specie S. pneumonie e H.
influenzae, che sono responsabili delle frequenti polmoniti e delle otiti, che aumentano nei pazienti con
AIDS. Anche lo S. aureus fa registrare casi di infezioni con elevata frequenza, in particolare come infezioni
di catetere e piomiosite in associazione con lesioni muscolari.
Salmonella, shigella, ed altri batteri intestinali nel 20% degli omosessuali maschi.Nei malati di AIDS la
shigellosi provoca una malattia grave. Anche Campylobacter si associa a diarrea con crampi addominali ed
eventualmente proctite, e tutte queste infezioni hanno una tendenza alla recidiva e sono resistenti alle terapie.
Treponema pallidum: la sifilide si manifesta negli HIV+ in maniera del tutto tipica, ma si possono anche
frequentemente osservare delle forme particolarmente aggressive e che decorrono in maniera atipica, con lue
maligna (vasculite necrotizzante con lesioni cutanee), febbri sconosciute, sindrome nefrosica e neurosifilide.
Candidiosi
Sono le più frequenti, e praticamente tutti i malati di AIDS ne hanno una, che spesso rappresenta l’esordio di
una immunodeficienza rilevante dal punto di vista clinico. Di solito il malato di AIDS non è associato alla
candidiosi disseminata e il fungo interessa solo le mucose, a causa del fatto che la malattia è controllata
dai neutrofili che non sono particolarmente messi male nell’HIV. Le manifestazioni della candidiosi
sono:
Mughetto, con essudato biancastro cremoso associato ad iperemia del palato
Infezioni vaginali da candida
Estensione dell’infezione all’esofago, ai bronchi, agli alveoli. Sono segni della malattia conclamata e
decorrono quando la conta dei CD4 scende al di sotto di 100
L’associazione mughetto, odinofagia, e pirosi retrosternale è il segno più comune di grave infezione da
candida. L’esofago appare coperto da grossolane alterazioni della mucosa evidenziabili con il solfato di
bario.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 16
Criptococcosi
Fungo dimorfico capsulato a 37°C, è la principale causa di meningite nei pazienti AIDS, e la sopravvivenza
media dall’infezione è di 9 mesi, specie in Africa dove infetta il 20% dei malati. Coinvolge il SNC quasi
sempre e quasi esclusivamente, con i segni di una meningoencefalite subacuta. Sintomi: febbre, nausea e
vomito (40%), alterazioni dello stato di coscienza (25%). In circa metà dei casi c’è interessamento
polmonare (la porta di ingresso è il respiratorio per le spore) con tosse, dispnea e infiltrati alveolari.
Istoplasmosi
Nonostante sia tipicamente una infezione polmonare, nel malato di AIDS si presenta come una riattivazione
con diffusione disseminata. Essa può dare:
-coinvolgimento del SNC
-epatosplenomegalia
-ulcere cutanee
-infiltrazione midollare con pancitopenia
-rari sintomi polmonari, di solito blandi
Diagnosi: ricerca antigeni nel sangue e isolamento colturale dal sangue e dal midollo.
Herpes Virus
E’ il problema principale delle infezioni secondarie perché oltre a causare malattie agiscono tutti come
cofattori della replicazione dell’HIV.
Citomegalovirus
CMV: Associato ad una conta di CD4 bassissima, sotto a 50. Si tratta nel 95% dei casi di una
riattivazione, che da segni soltanto in fase terminale, ma la replica del CMV è dimostrabile già in
precedenza. Le manifestazioni più comuni sono retinite, colite e esofagite.
HSV: Lesioni ricorrenti nella mucosa orale, genitale e anale, che diventano sempre più ricorrenti e
dolorose al progredire dell’AIDS. In concomitanza con le lesioni orali spesso compare una
esofagite, che si distingue dal CMV perché anziché un’ulcera sola di grande dimensione, c’è una
disseminazione di piccole lesioni.
HZV: La riattivazione dello zoster può essere una indicazione all’indagine per immunodeficienza,
specie da HIV, essendo una delle più frequenti manifestazioni precoci della malattia. Il male di
solito decorre bene, in contrasto con altre immunodeficienze, e non si ha quasi mai interessamento
viscerale. Invece se si verifica una infezione primaria (varicella) può essere letale. Il trattamento con
aciclovir aiuta la cicatrizzazione delle lesioni.
EBV: Molto frequente, si associa con il linfoma di Burkit e con la leucoplachia capelluta della mucosa
orale, con lesioni che possono essere confuse con la candida ma che comunque vanno incontro a
remissione spontanea; indicano un grave stato di immunodeficienza.
HHV 6: induce la replicazione dell’HIV in modo molto potente, essendo linfotropo. Si associa
probabilmente alla retinite da CMV come fattore predisponente
HHV 8: induce il sarcoma di Kaposi.
Virus JC
Agente della leucoencefalopatia multifocale progressiva (LMP), che è una importante causa di morte nei
malati di AIDS. Quasi tutti i soggetti hanno segni di una pregressa infezione. Nei malati AIDS tardivi non è
infrequente riscontrare una attiva replicazione con segni di demielinizzazione focale subcorticale che
tendono a confluire. L’infezione interessa la glia, che muore lasciando scoperte le fibre. Il decorso clinico è
lento e si associa a deficit neurologici focali senza segni di ritardo mentale.
Neoplasie associate all’AIDS
Sarcoma di Kaposi
Neoplasia a diffusione multicentrica, con noduli vascolari sulla cute (che hanno un caratteristico aspetto di
lesioni violacee, per il notevole contenuto di sangue), sulle superfici delle mucose e dei visceri. L’andamento
è vario, da una forma asintomatica ad una grave forma fulminante, che si estende rapidamente a tutto
l’organismo. E’ associato con un fattore virale (probabilmente l’HHV8) che si trasmette per via sessuale.
Di solito le lesioni compaiono senza una relazione con la conta dei CD4, nelle regioni fotoesposte, tipica la
punta del naso, e tendono a svilupparsi sui siti di precedenti traumatismi. Le lesioni sono rosso porpora con
aspetto di ecchimosi, e tendono alla confluenza. Sono spesso macule rilevate che quando confluiscono
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 17
provocano un linfedema del volto o danni disabilitanti delle estremità. Linfonodi polmone e intestino sono i
più colpiti, spesso è presente diarrea, ma praticamente ogni tessuto può essere interessato dalla malattia,
compreso cuore e SNC. Il coinvolgimento del linfatico non è associato a metastasi, è precoce ed è privo
di ogni significato prognostico, positivo o negativo che sia.
Sintomi particolari:
Coinvolgimento polmonare: tosse e dispnea da sforzo, con infiltrati caratteristici che si sovrappongono ai
margini del diaframma e sono un reperto radiologico importante
Coinvolgimento intestinale emorragico, con edema della mucosa che può anche dare ostruzione
intestinale
Coinvolgimento delle vie biliari, con ittero ingravescente
La diagnosi è basata sulla biopsia delle lesioni che interessa i noduli di proliferazione con coinvolgimento
delle cellule endoteliali, cellule fusate e stravaso dei globuli rossi.
Siccome meno del 10% dei pazienti muore per le manifestazioni del sarcoma, non si tratta mai con terapia
immunosoppressiva, ma si usa sempre un approccio sintomatico, al fine di evitare l’occlusione intestinale e
di rimuovere le lesioni deturpanti.
Linfomi
Aumenta l’incidenza di essi in tutte le immunodeficienze, e l’AIDS non fa eccezione. In essa l’incidenza è al
6%, circa 120 volte maggiore che nei soggetti sani. Al contrario del sarcoma di Kaposi, il rischio di linfoma
cresce esponenzialmente al peggiorare della conta dei CD4, ed è quindi di solito una manifestazione tardiva
dell’infezione.
I linfomi associati all’AIDS sono 3:
linfoma immunoblastico a cellule B di stadio III e IV
linfoma di Burkit
linfoma primitivo del SNC
Questi fenotipi sono probabilmente associati ad un elevato livello di attivazione policlonale B che si verifica
nell’infezione da HIV.
DIAGNOSI DI AIDS
Si fonda sulla dimostrazione di Ab antivirali in circolo dopo 4-8 settimane dall’infezione primaria. Il test di
elezione è l’ELISA, che si basa sull’assorbimento in una piastra con fissati antigeni dell’HIV 1 e 2 che
vengono legati agli eventuali Ab del siero del paziente, che poi sono evidenziati con Ab anti FC marcati con
un enzima.
Il test è altamente sensibile (99,5%) ma poco specifico, per cui di fronte alla positività ELISA si devono
eseguire test di conferma.
Il migliore è il western blotting, sugli antigeni che sono trovati nel siero, separati in base alla loro
dimensione, e poi ibridati con il siero del paziente. La positività al western è definita come la presenza di
bande in corrispondenza di tutti e tre i prodotti di Env, Gag e Pol, (almeno due fra gp160/120, gp41 e p24) ed
è una prova conclusiva della positività da HIV.
Alcuni western sono dubbi per via del fatto che alcuni antigeni dell’HIV possono interagire con alcuni Ab
normalmente presenti (sono la p24 e la p55). In questo caso deve essere eseguito un altro test dopo un mese.
Comunque anche lui può dare falsi positivi ed in alcuni casi è necessario (ad esempio con ELISA negativo e
western positivo) ricorrere alla PCR dell’RNA e del DNA virale.
Un parametro utile per eseguire un controllo della progressione della malattia è il dosaggio dell’antigene
p24 nel siero. Esso risulta dapprima ad un brusco aumento di esso, poi si instaura la risposta specifica e i
suoi livelli scendono gradualmente (tendono a scomparire con la terapia), rimanendo comunque dimostrabili
nel 30-50% dei soggetti. Infine, con la ripresa dell’attività virale, la [p24] aumenta gradualmente fino alla
morte.
C’è correlazione diretta fra [p24] e aggressività della malattia, anche a parità di numero di CD4. Esso può
essere usato come test di screening precoce perché la p24 si trova in circolo prima degli Ab a cui è sensibile
l’ELISA.
La PCR è estremamente sensibile e senza accurati controlli da dei falsi +, ma è utilissima. Si usano due
metodi, a DNA e a Rna, e la metodica è utile per analizzare le sequenze dei geni, e come diagnosi precoce .
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 18
I test che misurano la carica virale (cioè danno un’idea del numero di cellule infettate dal virus) sono la
misura della p24 antigene e la misura diretta dell’HIV-rna. Il secondo è molto specifico e misura le
variazioni di carica virale che avvengono nell’arco di ore.
Livelli di beta2 microglobulina: aumentano in tutte le condizioni in cui c’è una distruzione di linfociti. E’
considerata come l’indicatore più attendibile della progressione verso la malattia conclamata.
TERAPIA
Oggi si utilizzano protocolli composti da due a quattro farmaci che hanno come bersaglio diversi enzimi
virali (in genere la trascriptasi inversa e la proteasi). La monoterapia dell’AIDS è del tutto sconsigliata per la
facilità con cui il virus sviluppa resistenza.
Gli ultimi protocolli consigliano l’inizio della terapia quando i pazienti hanno:
una conta dei CD4 <500 u/ml
una carica virale maggiore di 400 copie/ml (anche con CD4 elevati)
Esistono attualmente 4 classi di farmaci per la terapia della malattia, da usare in varie combinazioni. Tre di
queste classi inibiscono la trascriptasi inversa, una le proteasi.
Inibitori nucleosidici della TI: ziduviduna, didanosina, zalcitabina… effetti collaterali: neuropatie
periferiche e pancreatite
Inbitori non nucleosidici della TI: nevirapina, delavirdina… effetti collaterali: neuropatie periferiche,
rash
Inibitori nucleotidici della TI: adefovir. Effetti collaterali sindrome di Fanconi
Inibitori della proteasi: saquinavir, indinavir, ritonativir, nefinavir… effetti collaterali nefrolitiasi,
dolori lombari, diminuzione della funzionalità renale
CAP 2 SARCOIDOSI
Malattia sistemica cronica ad eziologia sconosciuta. Esordisce frequentemente con malessere, senso di
affaticamento e manifestazioni gastrointestinali, che pertanto vanno tenute bene in considerazione dal
medico che dovrà procedere eventualmente a un RX del torace.
La caratteristica è l’accumulo di granulociti PMN e di TH1 in praticamente tutti i distretti corporei, e la
formazione di granulomi epiteliodi non caseosi. I distretti più colpiti sono la polmone, linfonodi, SNC,
cute, occhi.
Distribuzione
M<=F, no distribuzione raziale, ma è molto più comune fra le donne irlandesi che vivono a Londra (forse a
causa di esposizione a particolari antigeni). Età 20-40 più comune, distribuzione familiare anche se più
probabilmente legata alle condizioni di vita comuni dei gruppi familiari.
Eziopatogenesi
Primum movens: attivazione e proliferazione dei TH1 in risposta ad un antigene esogeno o endogeno, con
conseguente formazione granulomi, sotto lo stimolo dell’IL1 e dell’INF
Accumulo di cellule infiammatorie mononucleate, e di linfociti, in forma di granuloma nei vari tessuti,
sottoforma di granuloma
Il danno che la malattia produce non è legato allo stimolo infiammatorio lesivo per il tessuto sano, ma
al fatto che le cellule che si accumulano, libere o sottoforma di granuloma, costituiscono un
ispessimento che finisce per danneggiare l’architettura dell’organo e quindi la sua funzione.
Infatti le manifestazioni patologiche si hanno quando un numero sufficiente di granulomi ha colpito
l’organo in questione.
Dipende da quale organo è colpito il manifestarsi della malattia: essa infiltra ubiquitariamente tutti i
tessuti, ma sono l’occhio, il polmone, la cute e i linfonodi a dare evidenza clinica di questo, mentre
ad esempio il fegato sebbene infiltrato non reca segni clinici evidenti. Nel polmone invece la
malattia comprime le pareti degli alveoli, dei bronchi e dei vasi, producendo ectasia polmonare e
ipoperfusione alveolare.
Nella remissione della malattia il granuloma guarisce per la dispersione delle cellule infiammatorie o per
la proliferazione dei fibroblasti dall’esterno, con formazione di una piccola cicatrice. Se la malattia si
protrae a lungo si può formare una fibrosi che danneggia l’organo-
Clinica
La malattia viene nella maggior parte dei casi diagnosticata attorno ai 40 anni per un esordio improvviso di
1-2 settimane, o sintomi subdoli di 2-3 mesi, quali anoressia, calo ponderale, febbre e affaticamento.
Forma asintomatica: viene diagnosticata nel corso di esami di routine, e riguarda circa il 10-20% dei
casi. Soprattutto radiologie del torace.
Forma acuta: esordisce in 1-2 settimane con sintomi di malessere generale e a volte sintomi polmonari.
Esiste la forma di Lofgren, tipica delle donne scandinave e irlandesi, con quadro radiologico di
addensamento linfonodale ilare e sintomatologia articolare, e la sindrome di Heerfordt –
Waldenstroom con febbre, tumefazione delle parotidi e paralisi del faciale.
Alterazioni immunitarie: nel granuloma c’è iperattività dei T, rapporto CD4/CD8 1:10, e aumento dei
TH1, mentre nel sangue i T sono quiescienti, il rapporto CD4/CD8 è normale (1:2) e i TH1 possono
anche essere diminuiti. A livello sistemico c’è ipergammaglobulinemia, con Ab anti linfociti T
Polmoni: la sintomatologia polmonare è presente nel 90% dei soggetti a livello radiologico, e nel 50% a
livello della funzionalità. 10-15% sviluppa fibrosi. Nel polmone la malattia è tipicamente
interstiziale, con interessamento infiammatorio per vicinanza delle pareti esterne di alveoli,
bronchi e piccoli vasi. Si possono ascoltare rumori secchi, ma l’emottisi è rara. A volte la
compressione dei bronchioli ad opera dei linfonodi polmonari infiltrati o di un grosso granuloma può
produrre atelettasie distali. Nella forma della granulomatosi necrotizzante sarcoidosica prevale
invece la arterite dei grandi vasi polmonari, provocando alterazioni cliniche importante. La pleura è
poco interessata con un versamento, con essudato ricco di linfociti.
Linfonodi: molto comune la linfomegalia ilare, e anche quella sistemica, soprattutto inguinoascellare e
cervicale. Anche quelli retroperitoneali e della catena mesenterica. Mobili, non dolenti e di
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 20
consistenza compatta e gommosa, non vanno incontro ad ulcerazione come nella TBC; può dare
problemi di compressione.
Cute: ci può essere una serie di alterazioni nel 25% dei casi.
Eritema nodoso: noduli bilaterali dolenti e violacei sulle gambe, frequente nella forma acuta ed
associato con alterazioni delle articolazioni
Lesioni cutanee: placche purpuree non dolenti, spesso rilevate nel viso, glutei ed estremità, e
papule maculari del viso e degli occhi, attorno al naso.
Noduli sottocutanei delle estremità e del tronco.
Lupus pernio: idurimento blu-violaceo, traslucido, localizzato al naso, guance, labbra, orecchie
e ginocchia. Nella punta delle dita assumono un aspetto a bulbo e sono associate a varicosità.
Occasionalmente sono state osservate, come conseguenza della fibrosi polmonare estesa, dita a
bacchetta di tamburo.
Occhi: più comune di tutti è l’uveite, che conduce a fotofobia, offuscamento del visus e lacrimazione, e
può anche portare alla cecità. Comune l’interessamento della congiuntiva, con noduli giallastri. Se
viene colpita la ghiandola lacrimale, si può produrre una cheratocongiuntivite secca.
Vie respiratorie superiori
Laringe
Occlusione nasale
Tonsille
Raramente ostruzione completa
Midollo osseo e milza: L’interessamento di questi siti è poco comune, e ancora più rare le
manifestazioni che sono una modesta anemia e la splenomegalia.
Fegato: poco importanti alterazioni delle aree periportali, con alterazioni biochimiche di tipo colestatico.
Rara l’evoluzione a cirrosi.
Rene: raro interessamento dei tubuli. Più comune e la nefrolitiasi associata ad aumentato riassorbimento
del calcio, a sua volta prodotto dalla ipersecrezione di 1,25(OH2)D3 da parte dei fagociti attivati.
SNC: Il 5% dei pazienti presenta segni neurologici focali, che sono la paralisi del faciale, papilledema,
disfunzioni ipotalamo ipofisarie, meningite cronica e sviluppo di masse intracraniche.
Muscolo-scheletrico: Lesioni ossee cistiche rare, più comune l’atralgia delle grandi articolazioni e
l’artrite franca, che può essere migrante e transitoria oppure più raramente decorrere in maniera
cronica e dare origine a deformità.
Cuore: 5% dei pazienti dimostra un interessamento del ventricolo sx che può condurre ad alterazioni
della conduzione e aritmie.
Endocrino: asse ipotalamo ipofisario con diabete insipido. L’interessamento della adenoipofisi con
carenza di uno o più ormoni è abbastanza visto, mentre è raro l’interessamento di altre ghiandole.
Digerente: Raramente segni esofagei o gastrici.
La complicazione più frequente è la mancata ossigenazione dei tessuti derivata dalla fibrosi. Più raramente
l’erosione del parenchima può produrre una massiva emottisi. Altri eventi mortali possono essere lo
scompenso di cuore e le alterazioni del SNC.
Diagnosi
Esami di laboratorio: linfocitopenia, modesta eosinofilia, iperglobulinemia, aumento della VES e
aumento dei livelli di ACE.
Radiologia del torace: tre quadri caratteristici.
I: linfoadenopatia ilare bilaterale senza infiltrazione del parenchima
II: “ “ “ con infiltrazione del parenchima
IIIA: infiltrazione del parenchima senza adenopatia con fibrosi e retrazione del lobo superiore
IIIB: “ “ “ “ “ senza “ “ “ “ “
Questi quadri radiologici non sono stadi della malattia, anche se il tipo I ha una prognosi migliore degli altri
due.
PFR: diminuzione dei volumi polmonari e della capacità vitale, con normale VEMS.
Scintigrafia con GA67 : indica una captazione maggiore del normale nelle aree nodulari.
Lavaggio bronchioloalveolare: caratteristico aumento dei linfociti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 21
La prognosi della malattia è buona, di solito, e rappresenta la causa di morte solo nel 10% degli affetti. Di
solito se rimangono delle lesioni d’organo permanenti esse sono benigne e non progressive.
Terapia
→ Pazienti asintomatici o paucisintomatici: nessun trattamento eccetto che per l’ipercalcemia sostenuta
→ Corticosteroidi. La terapia non viene intrapresa solo per risolvere il processo in se, in quanto esso si
risolve spontaneamente nel 50% dei casi, ma soprattutto per evitare le conseguenze dell’infiammazione
polmonare.
Prednisone 15-20 mg/die PO. In forma acuta il trattamento dura 1-2 settimane nelle riacutizzazione, 1 anno
nella forma cronica (mantenimento: 5mg/die PO).
CAP 3 VASCULITI
Le vasculiti sono malattie infiammatorie dei vasi sanguigni, con restringimento del lume e conseguente
ischemia dei tessuti irrorati a valle. La sintomatologia può essere molto vasta perché si tratta di malattie che
colpiscono tutti i tipi di vasi e di arterie. Possono essere una malattia a parte, oppure la manifestazione
secondaria di un altro processo patologico.
CLASSIFICAZIONE E PATOGENESI
Vasculiti sistemiche necrotizzanti
Panarterite nodosa
PAN classica
Poliangioite microscopica
Malattia di Churg-Strauss
Sindromi da overlap
Granulomatosi di Wegener
Arterite temporale
Arterite di Takayasu
Vasculiti da ipersensibilità a stimoli esogeni
Porpora di Schonlein-Henoch (da agenti infettivi)
Malattia da siero
Da farmaci
Vasculiti da ipersensibilità a stimoli endogeni (Ab conto antigeni self)
Vasculiti associate a neoplasie (soprattutto linfoidi)
Vasculiti associate a connettiviti (LES, artrite reumatoide, sclerodermia, sindrome di Sjogren)
Si pensa che la maggior parte di queste malattie riconosca una componente immunogenetica, in particolare
sembra comunemente implicato il ruolo degli immunocomplessi e la loro deposizione sulla parete del vaso,
anche se non si riesce ad identificarlo con certezza in tutte le malattie. La deposizione degli IC provoca poi
l’attivazione delle componenti del sistema immune con danneggiamento della parete del vaso, fibrosi e
occulsione, con ischemi a valle.
PANARTERITE NODOSA CLASSICA
Vasculite necrotizzante sistemica che colpisce le arterie muscolari di piccolo e medio calibro, senza
interessare le arterie polmonari.
Una variante è la poliangioite microscopica in cui c’è scarsa o nulla la deposizione di immunocomplessi, ma
è più frequente la glomerulonefrite e la malattia dei capillari del polmone.
Fisiopatologia
Lesioni segmentari delle arterie che si estendono per pochi mm attorno alle biforcazioni e alle ramificazioni,
ma possono diffondere nei piani circostanti ed interessare le vene adiacenti. Il danno, provocato dai
neutrofili, è la nmecrosi fibrinoide.
Sono caratteristiche e patognomoniche le dilatazioni aneurismatiche della parete, anche di 10 mm di
diametro
Non sono caratteristiche e non si trovano mai le infiltrazioni di eosinofili, tipiche della angioite allergica
e della granulomatosi.
Clinica
Non interessa le arterie polmonari, ma può dare diverse manifestazioni sistemiche:
Rene: insufficienza renale e ipertensione. Lesioni di natura arteritica, ma nel 35% dei casi glumerulitica.
Muscoloscheletrico: Artrite, artralgie e mialgie
SNP: mononeurite multipla
Digerente: dolore addominale, nausea, vomito, sanguinamento, infarto, perforazione intestinale,
colecistite, infarto di pancreas e fegato.
Cute: Rash, porpora, noduli, infarti cutanei e fenomeno di Raynaud
Cuore: ICC, infarto, pericardite
Genitali: dolore testicolare, ovarico o dell’epididimo.
SNC: alterazioni mentali, accidenti vascolari celebrali e convulsioni
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 23
Possono essere presenti, nel 50% dei pazienti, sintomi sistemici come febbre, perdita di peso, malessere
generale, anoressia, cefalea, dolori addominali e mialgie.
Diagnosi
Dimostrazione bioptica delle lesioni arteriose e osservazione di aneurismi all’arteriografia. La biopsia degli
organi sintomatici è spesso positiva, mentre quella alla cieca di organi silenti è per lo più negativa.
Laboratorio:
Aumento della VES, leucocitosi con neutrofilia.
ANCA positivi nei pazienti con poliangioite microscopica
Arteriografia positiva per alterazioni aneurismatiche
Terapia
→ Sospensione delle condizioni scatenanti (compresi i farmaci)
→ Prednisone 60 mg/die, scalare ai primi segni di miglioramento
→ Ciclofosfamide 2-3 mg/Kg/die in associazione ai cortisonici quando non controllano la malattia
→ Terapia antipertensiva e controllo del regime idrico
ANGIOITE GRANULOMATOSA ALLERGICA (SINDROME DI CHURG-STRAUSS)
E’ una malattia simile alla panarterite nodosa, ma si distingue da essa per una serie di parametri, come:
Elevata frequenza dell’interessamento polmonare
Interessa anche le venule e i vasi sanguigni di tutti i tipi e le dimensioni
Ci sono granulomi nella parete vascolare
Ci sono infiltrati tissutali e nei granulomi stessi di eosinofili
C’è una forte associazione con asma grave
C’è eosinofilia periferica
La caratteristica della malattia sono i granulomi con infiltrato eosinofilo, che si localizzano a livello
tissutale, ma anche dentro alle pareti dei vasi, e che sono diffusi per lo più nel polmone, in netto contrasto
con la PAN. La sua patogenesi non è chiarita, ma sembra associabile a fenomeni di ipersensibilità e senza
dubbio ad una alterazione immunitaria.
Clinica
Sintomi non specifici analoghi alla PAN
Interessamento polmonare: dominano il quadro clinico con attacchi asmatici e infiltrati polmonari.
Lesioni cutanee: circa nel 75% dei pazienti, con noduli e porpora
Sintomi sistemici come nella PAN, ma senza l’interessamento polmonare
Rene: in genere meno grave della PAN e meno frequente
Diagnosi e terapia
Associazione di lesione bioptica di tipo granulomatoso con infiltrato eosinofilo e eosinofilia periferica. La
prognosi è sfavorevole se non trattata, per il coinvolgimento del cuore e del polmone. Laboratorio:
Eosinofilia marcata (anche >1000u/ul)
Positività per i p-ANCA
Con glucocorticoidi (prednisone ad alte dosi) si sopravvive a 5 anni in più del 50% dei casi.
GRANULOMATOSI DI WEGENER
Malattia granulomatosa ben definita, abbastanza rara, caratterizzata da granulomi nelle vene, arterie e vie
aeree superiori e inferiori. Si distingue dalla malattia di Churg-Strauss per:
La mancanza di eosinofilia periferica e di infiltrati eosinofili nel granuloma.
L’interessamento delle vie aeree superiori
Il grave e predominante interessamento renale
La malattia si manifesta con una serie di noduli cavi, multipli e bilaterali nel polmone, che possono dare,
per la loro genesi vascolare e quindi vicino ai bronchi, ostruzioni e atelettasie, prodotte anche dal processo
fibrotico di riparazione.
E’ correlata probabilmente ad una ipersensibilità ad antigeni esogeni o endogeni che entrano nelle vie aeree
Clinica
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 24
Triade sintomatologica: Interessamento delle vie respiratorie superiori, inferiori e del rene.
URW: sinusiti, dolore dei seni paranasali, secrezione purulenta ed ematica dal naso, con o senza
ulcerazioni della mucosa; otite media sierosa da blocco del condotto di Eustachio; perforazione del
setto nasale
LRW: tosse, emottisi, dispnea e disturbi toracici; nel 16% dei pazienti stenosi subglottidea con grave
ostruzione delle vie aeree minacciosa per la vita del paziente.
Occhi: dalla congiuntivite alla dacriocistite, sclerite e uveite.
Cute: papule, macule e noduli ulcerati tutti con componente granulomatosa.
SNC: neurite dei nervi cranici e più raramente vasculite encefalica.
Cuore: 8% dei pazienti con pericarditi e vasculite delle coronarie
Rene: di solito domina il quadro clinico. Inizia con una glomerulonefrite con proteinuria, ematuria e
cilindri ialino-epiteliali, e progredisce con insufficienza renale progressiva.
Laboratorio: VES elevata, modesta anemia, iperglobulinemia, titolo di fattore reumatoide aumentato.
90% dei pazienti sono c-ANCA positivi.
Diagnosi e terapia
Dimostrazione di una infiammazione granulomatosa in pazienti con alto titolo di c-ANCA e interessamento
clinico delle vie aeree superiori ed inferiori, specie in presenza di glomerulonefrite in fase attiva.
Gli ANCA possono restare positivi anche per molti anni dopo la malattia senza indicare il segno di una
recidiva.
La terapia con glucocorticoidi ha indotto qualche miglioramento. Oggi si controlla la malattia con la
ciclofosfamide (1-2mg/Kg/die) anche in associazione ai glucocorticoidi (prednisone 1mg/Kg/die), che riesce
a mantenere la remissione completa senza deprimere eccessivamente il sistema immune (neutrofili >1500). Il
75% dei malati ottiene remissione completa, di questi la metà va incontro a recidive, di solito ancora
trattabili. Il limite è lo sviluppo di lesioni permanenti soprattutto al rene, che possono portare alla necessità di
un trapianto renale.
Nei casi di intolleranza al farmaco, è possibile sostituirlo con il metotrexate (20-30 mg/sett) o azatioprina
Diagnosi e terapia
Diagnosi clinica. Biopsia della temporale con prelievo di un segmento di qualche cm è risolutiva
La malattia e le sindromi associate sono particolarmente sensibili alla terapia steroidea con prednisone.
Iniziare immediatamente per prevenire la cecità.
→ Prednisone: 60 mg/die per 2-4 settimane. Scalare progressivamente di 5-10 mg/sett fino a 1 mg/die. In
genere si sospende la terapia dopo 1 anno.
→ In caso di gravi effetti collaterali: metotrexate, azatioprina, dapsone. Scarsa efficacia clinica
ARTERITE DI TAKAYASU
Malattia infiammatoria stenosante dell’arco aortico e delle sue diramazioni, per questo detta anche sindrome
dell’arco aortico. La malattia predilige le diramazioni aortiche, succlavia in testa, e può colpire anche la
polmonare e la renale, con conseguente ipertensione.
L’infiltrato di cellule mononucleate provoca la fibrosi e la proliferazione dell’intima, con conseguente
occlusione del vaso e ischemia a valle.
Dal punto di vista clinico, si distinguono due gruppi di sintomi e segni: uno aspecifico, comprendente
malessere, febbre, anoressia e affaticamento, e uno specifico comprendente tutti i segni derivati
dall’occlusione del distretto interessato.
Questa malattia perciò ha vari quadri di insorgenza a seconda delle arterie che interessa:
Succlavia: claudicatio dell’arto superiore, scomparsa del polso succlavio. Circolo anastomotico con la
carotide interna tramite il poligono di Willis e la basilare. Lipotimia ogni volta che si usa l’arto del
vaso leso.
Carotide comune: disturbi del visus e sincope. Circolo anastomotico inverso a quello precedente.
Aorta addominale: disturbi ischemici dell’intestino, ipertensione, circolo anastomotico intercostale con
soffi da ipercinesi nella parte alta del torace posteriore
Interessa anche vertebrale, carotidi, tronco celiaco, mesenteriche, iliaca, polmonare. Il decorso può
essere improvviso e fulminante oppure stabilizzarsi e rendersi responsabile di una serie di manifestazioni
croniche e di alterazioni del circolo.
Si diagnostica per lo più nelle donne giovani, che presentano variazioni dei polsi periferici e anisosfigmia, ed
è confermata dalla presenza di lesioni angiografiche.
Il decorso è variabile e si possono avere remissioni spontanee. La mortalità è varia, ma la terapia associata
con prednisone e angioplastica chirurgica la abbassa al di sotto del 10%.
VASCULITI DA IPERSENSIBILITÀ A STIMOLI ESOGENI
Sono dette anche vasculiti con prevalente interessamento cutaneo¸ perché hanno come comune
denominatore l’interessamento dei vasi della cute. La maggior parte di queste forme ha come responsabilità
una risposta di ipersensibilità ad un antigene esogeno, che provoca una risposta di tipo linfocitolitico. Il
quadro comunque può avere anche molte variazioni, in relazione al fatto che non sempre interessa solo la
cute, ma anche gli altri tessuti, anche se in misura minore rispetto alle vasculiti necrotizzanti sistemiche.
Il tipico riscontro è la vasculite dei piccoli vasi, principalmente delle venule post-capillari. Nella fase
acuta è prevalente un infiltrato di neutrofili nella parete, mentre nelle fase cronica si riscontrano per lo più
monociti e a volte eosinofili. I detriti dei neutrofili della fase acuta danno un caratteristico quadro detto
leucocitoclasia.
La patogenesi è praticamente sempre legata ad un complesso immune che si forma con un antigene esogeno.
Le forme di vasculite associate ad uno stimolo endogeno sono una conseguenza della presenza di
anticorpi contro un antigene self, e questo provoca oltre alla vasculite lo sviluppo di una patologia ben
più grave. Queste malattie, che hanno una vasculite da ipersensibilità come associazione, verranno
trattate a se e sono:
LES
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 26
Sclerodermia
Artrite reumatoide
Sindrome di Sjogren
Il quadro predominante è quello cutaneo, e si manifesta con porpora palpabile, e anche altre lesioni come
macule, papule, noduli, ulcere, vescicole, bolle, orticaria cronica o ricorrente. Si può avere anche
interessamento viscerale, ed anche nei pazienti con interessamento cutaneo e basta c’è spesso febbre,
malessere, astenia e anoressia.
Le lesioni sono più ricorrenti sulle zone declivi (per via della pressione idrostatica che grava sulle venule
postcapillari), come piedi e zona sacrale. Ci può essere edema e in corrispondenza delle lesioni croniche non
è incomune trovare iperpigmentazione.
Si diagnosticano con la biopsia vascolare, e attraverso l’anamnesi e tutta una serie di prove specifiche si
cerca di stabilire l’antigene esogeno implicato o la presenza contemporanea di un processo infiammatorio
sistemico.
Nella maggior parte dei casi si risolvono spontaneamente, ma altre forme hanno un quadro altalenante con
remissioni parziali. In genere non hanno una terapia soddisfacente che ne influenzi il decorso, ma la loro
relativa benignità non le rende minacciose per la vita del paziente. Nel caso di interessamento d’organo, la
malattia deve essere trattata con prednisone e se non basta con ciclosfamide, come le vasculiti sistemiche.
Porpora di Schonlein-Henoch
È una vasculite da ipersensibilità di tipo sistemico causata da Ag esogeni, ed è associata ad una
glomerulonefrite che si manifesta nel 40% dei casi.
Può comparire a qualsiasi età anche se predilige quella pediatrica (dove provoca il maggior numero di GN
secondarie); il suo decorso è caratterizzato da remissioni ed esacerbazioni.
Fa seguito ad un’infezione delle vie aeree superiori da parte dello streptococco β emolitico di gruppo A che
causa la produzione di IC costituiti da IgA, IgG e properdina. Questa roba si deposita nel glomerulo e fa
attivare il C3.
Nel 50% dei casi si riscontra un incremento delle IgA sieriche come nella malattia di Berger.
La malattia è recidivante cioè si manifesta ad ogni successivo incontro con l’agente infettivo.
Le lesioni a livello renale vanno da un quadro di minime alterazioni fino ad una franca glomerulonefrite
proliferativa mesangiale, a volte addirittura con semilune.
Il quadro clinico, a sua volta, è infatti molto variabile.
→ Clinica
La sintomatologia si manifesta dopo circa 2 settimane dall’infezione con febbre (per la componente
infiammatoria) porpora ed artrite. La porpora interessa gli arti a livello delle superfici flessorie ed estensorie
(parte posteriore delle braccia ed anteriore delle gambe).
E’ caratterizzata da:
Danno renale: molto variabile, può avere
Proteinuria
Ematuria
Cilindri urinari costituiti principalmente da eritrociti
Oliguria
Ematuria
Iperpotassiemia
Iperazotemia
Ipercreatinemia
La bassa perfusione a livello renale determina l’attivazione del sistema renina-angiotensina che
determina ipertensione sistemica cronica.
Nei casi gravi e progressivi la deposizione degli IC nella membrana basale provoca la glomerulonefrite
membranosa caratterizzata da proteinuria grave (3-5mg/die) con perdita soprattutto di albumina, riduzione
della pressione oncotica ed edema generalizzato soprattutto nelle parti declivi.
Si ha un aumento della quantità di IgA in circolo e la presenza di depositi di IgA alla biopsia renale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 27
Interessamento addominale: dolori tipo colico con vomito, sanguinamento di regola occulto, a volte
fino alla franca melena. Importante e frequente è la possibilità di invaginazione intestinale.
Interessamento articolare: sono colpite soprattutto le grandi articolazioni (ginocchio, caviglia, anca
gomito). Per lo più negli arti inferiori; si manifesta con uno spettro variabile da semplici artralgie
fino a artrite deformante vera e propria.
Interessamento cutaneo: nel 100% dei casi si ha una porpora diffusa rappresentata dal pomfo
eritemato emorragico che spesso si diffonde agli arti inferiori e soprattutto ai glutei. La porpora è a
limiti netti.
→ Diagnosi
Qualunque sia la lesione istologica l’immunofluorescenza rivela una deposizione di IgA a livello mesangiale
talvolta associate a IgG e C3 con una distribuzione simile a quella della nefropatia ad IgA.
Aumento delle IgA sieriche
Aumento del coplemento (modesto)
Non sono comunque esami patognomonici, e in genere la diagnosi è basata su associazione di sintomi clinici
e non presenta molte difficoltà; nei casi dubbi si ricorre alla biopsia renale
→ Terapia
Se si identifica un fattore causale, si provvede alla sua eliminazione, altrimenti è sintomatica.
- Corticosteroidi: prednisone 2 mg/Kg/die
- Immunosoppressori: ciclofosfamide + prednisone PO + metilprednisolone EV
Vasculite farmaco-indotta
Porpore palpabili, di solito delle estremità ma anche di altre aree, non infrequentemente associate a
vescicole, ulcere od orticaloidi.
Possono verificarsi anche reazioni sistemiche e non è infrequente la febbre e il malessere generale. Tra i
farmaci responsabili ci sono allopurinolo, tiazidici, penicillina, sulfonamidici, fenitoina.
Vasculite da siero
Il primo contatto con proteine eterologhe o con alcuni farmaci che hanno una reattività simil-siero, produce
entro 7-10 giorni una serie di manifestazioni come febbre, orticaria, poliartralgie e linfoadenopatia,
ovviamente legate alla deposizione di immunocomplessi. La malattia si manifesta in capo a 2-4 giorni alla
seconda esposizione all’antigene. Alcuni pazienti possono presentare una venulite cutanea tipica che
raramente evolve in una vasculite sistemica.
Vasculiti da malattie infettive
Occasionalmente si può manifestare una vasculite leucocitoclastica con prevalente interessamento cutaneo ed
estensione rara ad altri organi in corso di endocardite batterica subacuta, infezione da EBV, epatite cronica
attiva, HIV e colite ulcerosa.
La vasculite può anche essere associata a tumori maligni, specie linfoidi e reticolocitari. Importante
l’associazione fra la tricoleucemia e la PAN classica. In genere queste malattie interessano particolarmente
la cute, ma non è raro che possano “sconfinare” ad un coinvolgimento sistemico. Sebbene possano anche
essere aggressive, solitamente la neoplasia che le ha originate costituisce la causa di morte dei pazienti
interessati.
SINDROME POLIANGIOITICA MISTA
Si da questo definizioni a tutte le condizioni di vasculite necrotizzante sistemica che non rientra in nessuna
forma classificativa precisa.
MALATTIA DI BEHCET
Malattia sistemica che esordisce con ulcere ricorrenti nei genitali, cavo orale e interessamento oculare.
Colpisce i giovani adulti, con manifestazioni peggiori nei maschi. E’ una malattia autoimmune ad eziologia
sconosciuta, in cui la lesione principale è costituita dalla vasculite, e nel 50% dei casi si trovano Ab contro la
membrana basale della mucosa orale e immunocomplessi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 28
La manifestazione principale sono le ulcere del cavo orale, e sono anche il primo criterio diagnostico.
Hanno un diametro di circa 2-10 mm, fondo profondo e centralmente un’area necrotica giallastra; si
distribuiscono a chiazze o a grappoli, nel cavo orale e nei genitali.
Nella cute è presente follicolite, esantema, eritema nodoso e raramente vasculite. L’interessamento oculare è
la manifestazione più temuta, perché si può avere irite, uveite, e neurite ottica. Talvolta è presente
sintomatologia trombotica imponente, come embolia polmonare e trombosi della cava superiore, con quadri
drammatici. L’interessamento delle arterie, con aortite o aneurismi è raro (5% dei pazienti arterite della
polmonare). Possibile anche l’interessamento del SNC con ipertensione endocranica benigna.
Il decorso è benigno, la malattia si attenua con il tempo. Se si esclude l’interessamento del SNC, la
complicazione più grave è la cecità.
Artrite: processo infiammatorio a carico delle articolazioni. Si presenta con Arrossamento, Calore e
Gonfiore della parte lesa, e con artalgia, cioè dolore articolare. E’ una delle possibili cause di artrosi.
Artrosi: processo cronico degenerativo di una articolazione, causato da artrite o da varie cause, che si
presenta con Dolore, Invalidità, Deformità e Rigidità.
ARTRITE REUMATOIDE
Malattia sistemica cronica, ad eziologia sconosciuta. Caratterizzata da molte manifestazioni cliniche, ma
principalmente da una sinovite infiammatoria persistente che interessa le articolazioni in modo
simmetrico. L’artrite è simmetrica, erosiva e deformante. Ha un decorso molto variabile, da forme
destruenti e progressive, senza remissione, a forme più blande e legate ad un decorso intermittente.
Prevalenza 0,8% F>3M, prevalenza aumenta con l’età (picco di incidenza fra 35 e 50 anni).
Predisposizione genetica associata all’HLA-DR4, ma coadiuvata da fattori ambientali, come il clima e il
grado di urbanizzazione del territorio.
Eziologia
La causa è ignota; più accreditata è la causa da “virus lenti” con anomala risposta immune in soggetti
predisposti (HLA-DR4 per la forma poliarticolare, HLA-DR5 per la forma sistemica, HLA-DR8 forma
monoarticolare).
Patogenesi
Il primo movens è la liberazione di un antigene a livello articolare, e successivamente la produzione di IgG
contro questo antigeni. In seguito i linfociti infiltrano la mucosa e producono anticorpi contro queste IgG; si
producono dunque immunocomplessi e si provoca una infiammazione locale.
Quindi:
Produzione di antigeni (probabilmente virali) a livello articolari
Infiltrato di linfociti e proliferazione sinoviale (formazione del panno). Produzione di anticorpi contro
gli Ag
Produzione di autoanticorpi diretti contro le Ig umane (fattore reumatoide).
Produzione di immunocomplessi e attivazione del complemento (che provoca anche vasculite sistemica)
Attivazione dei fibroblasti e degradazione della matrice cartilaginea
Esposizione di neoantigeni e mantenimento del processo
Inoltre nella AR i fibroblasti che ricoprono la sinovia sono particolarmente attivi nel produrre proteine che
degradano la matrice cartilaginea (catepsina e collagenasi). Nelle aree dove c’è erosione ossea, sono attivi
anche gli osteoclasti.
Le manifestazioni della artrite reumatoide, sia sistemiche che locali, sono mediate da una serie di citochine
prodotte a livello articolare dalla popolazione cellulare infiammatoria..
Non sono noti i meccanismi che danneggiano la cartilagine e l’osso: benché il liquido sinoviale, ricco di
cellule infiammatorie migrate, contenga molti enzimi potenzialmente litici, il danno si verifica in
corrispondenza del contatto fra la sinovia infiammata e la cartilagine articolare. Questo tessuto è detto
panno, ed è formato da tessuto di granulazione prodotto da fibroblasti, piccoli vasi, e cellule mononucleati.
Questo tessuto produce una grande quantità di proteine litiche, come la collagenasi e la stromelisina.
Clinica
Esordio: la malattia è una poliartrite cronica. All’esordio ci sono di solito sintomi insidiosi di
affaticamento e di malessere sistemico, finché non si presentano i segni di sinovite. Gradualmente
compaiono i segni specifici, con interessamento simmetrico di molte articolazioni, come mani,
polsi, ginocchia, piedi. Il 10% dei pazienti esordisce in maniera brusca con febbre,
linfoadenomeglia e splenomegalia. La simmetria è caratteristica della malattia, ma ci possono essere
delle eccezioni.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 30
Inizialmente il dolore rende impossibile il movimento: la capsula sinoviale è gonfia per l’accumulo di liquido
e per l’ipertrofia delle cellule sinoviali, e il paziente mantiene l’articolazione in flessione per permettere la
massima estensione articolare. In seguito l’anchilosi fibrosa ossea provoca deformità stabili.
Con il progredire della malattia, vari fenomeni concorrono alle manifestazioni di deformità permanenti: la
distruzione della capsula o dei tessuti molli di supporto, la lassità dei legamenti, la distruzione della
cartilagine, la trazione muscolare sbilanciata, eccetera. Oltre alle deformazioni della mano disegnate nella
figura, esiste una deformazione a zeta della mano, con deviazione radiale del polso e deviazione ulnare
delle dita, spesso associata a sublussazione delle falangi prossimali.
Altra caratteristica è la deviazione interna del piede, (paziente che cammina sulle tibie), sublussazione
dell’alluce e diverse altre.
Manifestazioni extrarticolari
Di solito non sono frequentissime, ma quando sono presenti possono essere la predominanza del quadro
clinico. Sono associate a pazienti con alto titolo di fattore reumatoide (IgM anti FC delle IgG).
Noduli reumatoidi: a livello delle strutture periarticolari, nelle aree soggette a pressione e nelle
superfici estensiorie, ma anche nelle pleure o nelle meningi. Tipici olecrano, tendine d’Achille e
occipite. Sono in genere asintomatici ma possono rompersi o infettarsi. Assomigliano a granulomi, e
questo conferisce all’AR il titolo di malattia granulomatosa; sono costituiti da una zona centrale
necrotica con fibrille di collagene, circondata da macrofagi a palizzata e una zona più esterna
formata da tessuto di granulazione.
Atrofia muscolare dei gruppi presenti in sede periarticolare.
Vasculite reumatoide: può esistere in forma molto grave (polineuropatia, mononeuriti multiple, ulcere
cutanee con necrosi del derma, gangrena digitale e infarto viscerale). Queste forme sono molto rare.
Le forme più comuni sono comunque
associate a soggetti con alto fattore
reumatoide, e possono essere una
neuropatia sensitiva distale o manifestazioni
cutanee.
Manifestazioni pleuriche e del polmone:
pleurite, fibrosi interstiziale, polmonite e
noduli, che se si associano alla
pneumoconiosi possono produrre un
processo fibrotico diffuso (S. di Caplan). I
noduli possono ulcerarsi e dare origine a
pneumotorace, o comprimere la laringe.
Pericardite asintomatica nella maggioranza dei
casi, ma che può anche diventare costrittiva.
Sindrome di Felty: AR cronica associata a
splenomegalia, trombocitopenia e neutropenia. Si ritrova in soggetti che hanno la malattia da molto
tempo, ed ha alto fattore reumatoide, noduli sottocutanei e interessamento sistemico. La
neutropenia, che è la principale evidenza clinica, porta allo sviluppo di infezioni.
Osteoporosi: comune ed è aggravata dall’uso di glucocorticoidi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 31
Circa il 15% dei malati va incontro ad una forma blanda con remissione spontanea e nessun danno
permanente. In genere le alterazioni progrediscono in maniera più lenta man mano che la malattia avanza,
con massima velocità solo nei primi sei anni. Ma quelle lesioni che fin dall’esordio compaiono
precocemente, progrediscono a velocità molto rapida.
La vita del paziente con AR è accorciata di 3-7 anni in media. In realtà la malattia di per se non è affatto
pericolosa, se non per quelle forme con grave neutropenia, e per le complicazioni entero-emorragiche della
terapia.
Diagnosi
Il quadro clinico, entro 1-2 anni, assume un quadro tipico inconfondibile: poliartite simmetrica delle
grandi articolazioni con risparmio delle strutture scheletriche assiali, ad eccezione del rachide
cervicale. Altri elementi sono la rigidità mattutina, la presenza di noduli, il fattore reumatoide, le lesioni
ossee particolari.
Il fattore reumatoide, sebbene sia il bersaglio di tutti i test per la malattia, non è affatto specifico ed è
presente anche nel 5% dei soggetti sani. Questo numero aumenta con l’età, cioè proprio con l’incidenza della
malattia, rendendolo ancor meno specifico. Oltre che nel 70% dei pazienti di AR, è presente anche nel LES,
nella sclerodermia e in altre malattie. Tuttavia ha un significato prognostico, essendo più frequente nei
pazienti con noduli o vasculite ed associato ad una prognosi peggiore.
La anemia e la leucopenia sono indici di elevata attività della malattia.
Ves elevata e proteina c-reattiva alta sono associati ad una prognosi peggiore.
Farmaci glucocorticoidi: riducono i sintomi, ma bisogna usarli il meno possibile perché hanno
importanti effetti tossici. Prednisone 15-20 mg/die (nelle dermatiti da sali d’oro); prednisone 7,5
mg/die (nel controllo cronico della malattia)
Immunosoppressivi: ciclofosfamide e azatioprina. Sono molto tossici e devono essere usati per quei
pazienti che non hanno risposto alla terapia antireumatica. Metotrexato 2,5-20 mg/sett. a salire
secondo le necessità; azatioprina 1mg/Kg/die a salire dopo 6-8 settimane; ciclofosfamide 25 mg/2
volte la settimana SC (meno usata per l’elevata tossicità).
→ Fisiochinesi terapia delle contratture in flessione e recupero del tono muscolare dopo il processo
infiamamtorio.
→ Terapia chirurgica: sinoviectomia artroscopica in caso di insuccesso della terapia farmacologica;
impianti di anca e ginocchio in caso di lesioni particolarmente invalidanti.
MORBO DI STILL
Il morbo di Still è la forma giovanile dell’AR, ad insorgenza in genere compresa fra i 2 e 15 anni.
Si conoscono tre varietà principali della malattia:
Artrite cronica primaria, caratterizzata da febbre, compromissione degli organi interni, tumefazione
delle articolazioni specie del ginocchio, polso, caviglia, dita delle mani, rachialgie. E' presente anche
ingrossamento di milza e fegato;
Artrite reumatoide poliarticolare, con scarso interessamento sistemico e più spiccata compromissione
articolare. Nel 30% dei casi e' assente il Fattore Reumatoide (immunoglobulina con specificità
anticorpale diretta contro le IgG) e la prognosi e' migliore;
Artrite reumatoide pauciarticolare, alla quale però può associarsi una temibile iridociclite con danni
oculari permanenti.
Clinica e diagnosi
In ognuna di queste forme è importante valutare il FR (serve anche per distinguerle fra loro). I due esami per
identificarlo sono:
Reazione di agglutinazione di emazie di montone → Waler Rose
Reazione di agglutinazione in lattice → Reuma test
→ Forma sistemica
E’ caratterizzata dalla prevalenza dei sintomi sistemici su quelli articolari.
Viene anche chiamata Malattia di Still. 12% dell’ARG, colpisce i due sessi indifferentemente prima dei 5
anni di età. Un altri picco si ha fra 9-12 anni.
L’esordio è in genere acuto altamente febbrile, di tipo intermittente, con escursione ampia (anche 5°) nella
stessa giornata. Alla febbre si associano anche irritabilità, apatia, dimagrimento.
Altri sintomi sono:
Esantema: nell’80% dei casi, molto caratteristico. E’ un esantema maculare (1-2 mm) prevalente al
tronco e agli arti che compare e scompare con la febbre
Linfoadenite: distrettuale o generalizzata, è presente nel 75.85% dei casi. Spesso c’è anche
epatosplenomegalia
Pericardite, pleurite, peritonite: rare, e comunque spesso clinicamente poco significative
Interessamento oculare: raro in questa forma (2% iridociclite)
Interessamento renale: frequentemente la malattia sviluppa una amiloidosi secondaria che porta ad una
pesante GN
Articolazioni: in questa forma può mancare del tutto l’interessamento articolare, e per lungo tempo si
possono avere solo delle semplici artralgie. Tuttavia non è impossibile la presenza di una sinovite
che è:
Simmetrica
Piccole e grandi articolazioni
Interessamento frequente del rachide cervicale
→ Forma poliarticolare
20% delle forme giovanili, predilige il sesso femminile. Si hanno:
Forma sieropositiva: predilige l’età maggiore di 10 anni, ed ha in comune con l’AR dell’adulto il
seguente pattern:
Articolazioni piccole colpite simmetricamente
Noduli reumatoidi
Possibilità di vasculiti
Forma sieronegativa: esordisce indifferentemente prima o dopo i 10 anni, ed ha molte differenze con
l’AR dell’adulto:
Spiccato interessamento delle grosse articolazioni
Rachide cervicale
Interessamento ATM
Manifestazioni sistemiche (meno intense che nel morbo di Still, ma più dell’AR)
In genere colpisce poche articolazioni, massimo 4, specialmente le grosse (principale il ginocchio), con
andamento cronico. Non sono mai presenti importanti complicazioni sistemiche.
L’unica cosa veramente temibile è l’iridociclite, che provoca inizialmente arrossamento e fotofobia , ma può
cronicizzare portando rapidamente alla cecità. Può accompagnare insidiosamente la malattia oppure seguirla
anche a distanza di mesi (importante il follow up oculistico periodico).
Il laboratorio può essere anche del tutto negativo. Gli AMA sono però presenti nell’80% dei casi, e ancora
di più se siamo di fronte ad una forma con complicanze oculari.
Sacroileite: la lesione più frequente è una infiammazione dell’articolazione sacroiliaca. Alla fine del
processo l’articolazione risulta completamente saldata.
Colonna: lesione principale è la infiammazione con tessuto di granulazione alla congiunzione fra l’anello
fibroso della cartilagine distale e il margine dell’osso vertebrale, che forma così una escrescenza fra
la vertebra e l’inizio della successiva articolazione, che viene detta sindesmofita. Crescendo, esso
forma un ponte osseo fra le due vertebre adiacenti, dando alla fine il caratteristico aspetto della
colonna a canna di bambù.
Artrite periferica: mostra una iperplasia della sinovia, con infiltrazione linfoide e proliferazione del
panno sinoviale.
Entesiti: le entesi sono i siti di inserimento di tendini e legamenti nell’osso, e sono una sede tipica di
danno, con infiammazioni che tendono a osseificare.
Uveite anteriore acuta in circa il 20% dei pazienti.
Insufficienza aortica in una piccola percentuale dei pazienti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 34
Nella fase iniziale della malattia è spesso presente una dolorabilità ossea provocata o spontanea, e predomina
il quadro clinico una rigidità articolare con scarsa mobilità di colonna vertebrale, assieme ad una ridotta
espansività del torace. Queste manifestazioni, che non pongono dubbi nella diagnosi differenziale con l’AR,
sono legate non tanto al grado di erosione ossea, quanto alla rigidità muscolare che viene provocata dal
dolore.
Il decorso della malattia è variabile, sia dal punto di vista delle lesioni ossee e delle articolazioni interessate,
che da quello della gravità dell’anchilosi.
E’ possibile la frattura della colonna irrigidita, per traumi anche lievi. E’ la complicazione più grave che può
portare a tetraplegia.
Diagnosi e laboratorio
Gene HLA B27 nel 90% dei pazienti
VES elevata
Aumento della proteina C reattiva
Lieve anemia, ALP lievemente aumentata
Aumento delle IgA sieriche
Assenza costante del fattore reumatoide e degli ab anti nucleo.
Test di Schober: paziente in piedi a piedi uniti. Si segnano due punti nella colonna, a 5cm sotto e 10cm
sopra la giunzione lombosacrale (linea che congiunge le spine iliache posterosuperiori). Si invita il soggetto
a piegarsi in avanti il più possibile: normalmente la distanza fra i due punti segnati aumenta di più di 5cm. Se
tale aumento è <4cm, si può diagnosticare ipomobilità della colonna.
Test di espansione toracica: Misura della circonferenza toracica al di sotto del 4° spazio intercostale (nella
donna: al di sotto della mammella) in espirazione e in ispirazione. Normale è >5cm
I criteri diagnostici per la spondilite anchilosante sono uno dei tre criteri sotto elencati in aggiunta alla
sacroileite radiologicamente documentabile:
Anamnesi di dolore della colonna di tipo infiammatorio:
Età inferiore a 40 anni al momento della insorgenza
Esordio insidioso
Durata superiore a tre mesi
Rigidità mattutina
Miglioramento con il movimento
Riduzione della motilità del rachide (test di Schober positivo)
Riduzione della espansione toracica
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 35
Terapia
→ FANS: a dose più bassa possibile, si utilizzano gli stessi dosaggi massimi previsti per l’AR
→ Corticosteroidi: limitato valore terapeutico, molti effetti collaterali. Si usano per l’irite acuta, oppure per
via intrarticolare.
→ Sulfasalazina: 500 mg/die aumentando di 500 mg ogni settimana, fino a 2000 mg/die in 2 frazioni
→ Terapia radiante della colonna: ultima risorsa, aumenta di 10 volte il rischio di leucemia acuta.
SINDROME DI REITER
Capostipite delle artiti reattive, è una artite sieronegativa con una triade caratterizzata da lesioni
mucocutanee, cervicite o uretrite, congiuntivite.
La patogenesi sembra legata alla presenza di Clamida Tracomatis nell’articolazione.
La diagnosi è essenzialmente clinica. Presentandosi i sintomi progressivamente nel tempo, è possibile che la
diagnosi di certezza richieda diversi mesi.
Dati di laboratorio:
Nella fase acuta, VES elevata, anemia e aumento delle proteine di fase acuta
Spesso è possibile rilevare un titolo anticorpale elevato per i patogeni responsabili, a dimostrazione di
una infezione recente. Raramente l’infezione è ancora dimostrabile nella fase attiva della malattia.
Positività per HLA-B27 (50%)
Il trattamento consnsite nell’eradicazione della Clamidia con tetraciclina per 3 mesi. Le manifestazioni
sistemiche in genere non richiedono trattamento, ad eccezione dell’irite che richiede corticosteroidi
oftalmici.
→ iniezione di corticosteroidi nell’entesi
→ immunosoppressione
Dal punto di vista sintomatologico, l’atrite può essere trattata come l’AR o con sulfasalazina.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 36
ARTRITE PSORIASICA
Artite sieronegativa che si verifica nel 7% dei paziente con psoriasi cutanea o ungueale, specie se HLA b-27.
Assume diversi aspetti clinici:
Forma asimmetrica: dita a salsicciotto, interessa le interfalangee delle mani, meno comunemente
ginocchia e caviglie. Caratteristico coinvolgimento delle unghie che non va parallelo all’artrite. La
psoriasi precede anche di molti anni la comparsa di queste manifestazioni. Scarsa evoluzione verso la
forma destruente.
Forma simmetrica: simile all’AR, con rigidità mattutina e interessamento delle grandi articolazioni in
modo simmetrico. Esordisce assieme alla psoriasi ed ha una frequenza doppia nelle donne.
L’interessamento ungueale pressoché costante la differenzia dalla AR. Circa il 50% dei pazienti
sviluppano artriti destruenti e mutilanti.
Forma spondilitica: precede la malattia una psoriasi di alcuni anni. Si manifesta con artrite della colonna
lombare associata a rigidità mattutina. Rispetto alla spondilite anchilosante tende a non essere erosiva
e a progredire in modo meno aggressivo. Caratteristica l’infiammazione dei legamenti specie del
tendine achilleo e della fossa plantare.
Il trattamento è simile all’AR, specialmente sulfasalazina, al quale si associa il trattamento della psoriasi
(etretinato 0,5-1 mg/die e fototerapia).
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 37
La riduzione della secrezione ghiandolare è frutto di una flogosi cronica. E’ essenzialmente una
distruzione bilaterale dell’epitelio congiuntivale e corneale (cheratocongiuntivite secca).I fenomeni più
rilevanti a carico dell’occhio sono:
80% sensazione di corpo estraneo
76% bruciore
59% dolore
38% fotosensibilità
17% sensazione di secchezza
Come si vede i sintomi dell’occhio sono per lo più correlati all’infiammazione piuttosto che alla secchezza.
Ci sono alcuni test per valutare la funzionalità lacrimale (principale: test di Schirmer) e l’integrità della
cornea (test al rosa Bengala).
Test di Shirmer: si mette una striscia di carta assorbente sul fornice congiuntivale: se l’imbibizione della
striscia è maggiore di 5mm, il test è positivo e la funzionalità lacrimale normale. Va ripetuto più volte perché
la sua affidabilità è relativa.
Test al rosa Bengala: si mette il colorante nella cornea e questo permette di valutarne l’integrità dopo
l’osservazione con la lampada a fessura.
Altre malattie che danno secchezza oculare sono la sclerosi multipla e l’ipovitaminosi A.
La componente orale è responsabile di una difficoltà a deglutire i cibi secchi, atto che si accompagna a
bruciore. La mucosa orale si presenta secca ed iperemica. La carenza di salivazione produce anche un
aumento della suscettibilità alle infezioni, data la sua azione antibatterica.
Test importanti per valutare la funzionalità orale sono:
Sialometria: incannulamento del dotto di Stenone e successiva stimolazione alla salivazione con succo di
limone. E’ un test invasivo.
Scintigrafia: consente di svelare fenomeni flogistici con un isotopo radiomarcato
Sialografia: infusione del mezzo di contrasto nel dotto di Stenone. L’albero ghiandolare della salivare è
alterato se ci sono stimoli flogistici.
Biopsia: Evidenzia gli infiltrati linfocellulari focali tipici della malattia.
Altre condizioni di xerostomia sono psicogene, da traumi, da farmaci, infezioni batteriche, infezioni virali
(virus della parotite: singolo episodio), sarcoidosi (simula anche molti altri sintomi).
La diagnosi si fa con i test visti prima, con la valutazione clinica delle caratteristiche sintomatiche e con la
laboratoristica. La correlazione con altre malattie anche gravi impone al diagnosi differenziale con tutte le
condizioni che provocano xerostomia e secchezza oculare.
temica
Terapia
→ Sintomi oculari: trattamento della cheratocongiuntivite secca con lacrime artificiali prima del sonno,
evitare gli ambienti ventilati e climatizzati. In casi resistenti, occlusione chirurgica del puntino lacrimale.
→ Complicanze orali: liquidi, masticare gomma, sostituto della saliva (carbossimetilcellulosa per sciacqui).
Evitare i farmaci che diminuiscono la secrezione salivare (anticolinergici e antistaminici).
→ Connettivite: steroidi e immunosoppressori sono indicati soltanto occasionalmente a dosaggi bassi.
POLICONDRITE RECIDIVANTE
Patologia cronico recidivante che colpisce la cartilagine, i connettivi (orecchio, articolazioni, naso, cartilagini
delle vie respiratorie), rene e vasi sanguigni.
M=F, mezza età.
Esordisce caratteristicamente con dolore e tumefazione ad entrambi gli orecchi, associati ad una artrite
simmetrica delle piccole e grandi articolazioni. Caratteristicamente interessate quelle condrocostali.
Successivamente è interessata la cartilagine nasale, poi i connettivi oculari, i tessuti cartilaginei delle vie
aree, e solo in ultima fase il rene e il cuore.
Il decorso è caratterizzato da poussé che regrediscono in poche settimane o al contrario durano mesi-anni;
nelle fasi finali il rammollimento dei connettivi finisce per provocare anomalie visivie, uditive, vestibolari.
La diagnopsi è clinica; la biopsia del tessuto cartilagineo può dirimere eventuali dubbi.
La malattia ha una prognosi pesante (30% muore a 5 anni per l’interessamento delle cartilagini respiratorie).
Si può trattare con i FANS nei casi livi, altrimenti prednisone (30-60 mg/die, a scalare rapidamente) o
metotrexato alla minima dose efficace (7,5-20 mg/settimana).
La ciclofosfamide è risparmiata per i casi gravissimi.
SCLEROSI SISTEMICA
Malattia autoimmune molto variabile, caratterizzata da una fibrosi progressiva dalla cute, dei vasi sanguigni
e di organi come il polmone, il rene, il tubo digerente e il cuore. La gravità delle lesioni e l’interessamento
sistemico variano nei pazienti. Esistono comunque tre grandi raggruppamenti clinici:
Sclerodermia cutanea diffusa, che si manifesta con ispessimento cutaneo di tutti i distretti e un
interessamento viscerale più grave
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 39
Sclerodermia cutanea limitata, con ispessimento della cute delle estremità e del volto e interessamento
sistemico contenuto (cioè CREST: Calcinosi, fenomeno di Raynaud, Esofago ipomobile,
Sclerodattilia e Teleangectasia).
Sclerosi sistemica senza interessamento cutaneo.
La sopravvivenza è legata alla gravità delle manifestazioni a carico del cuore, dei reni e del polmone. La
sclerosi sistemica può manifestarsi anche in associazione con le manifestazioni di altre connettiviti. Questi
quadri clinici sono stati denominati Overlap Syndrome.
Patogenesi
Danno delle cellule andoteliali, dovuto ad una serie di meccanismi di danno immunomediati, provoca
adesione piastrinica e ispessimento vascolare, con conseguene ischemia cronica e proliferazione fibrosa a
valle. Nel processo sembrano però implicati direttamente anche i fibroblasti, attivabili in maniera eccessiva.
Clinica
Cute: Un compatto strato di collagene è ricoperto da un sottile strato di epidermide, connesso ad esso da
una serie di digitazioni fatte dal collagene stesso. Inizialmente nello strato profondo del derma c’è un
infiltrato leucocitario. Gli annessi cutanei sono atrofici. La prima fase è edema delle aree interessate,
che sono prevalentemente avambracci, gambe e volto (le mani quasi mai). La fase edemigena, che
dura qualche mese, lascia poi il posto ad un induramento con stretta aderenza al connettivo
sottostante (cute ipomobile). Dopo qualche tempo (pochi anni) il processo finisce per interessare tutti
i distretti. Un rapido interessamento in poco tempo indica un rischio maggiore di interessamento
viscerale; di solito le manifestazioni durano 3-5 anni e poi cominciano a regredire, lasciando la cute
rigida e atrofica, oppure si ha un ritorno allo stato normale. Complicazioni delle lesioni cutanee
possono essere:
Contratture in flessione per la ridotta estensibilità della cute delle articolazioni
Ulcere che possono infettarsi
Intensa pigmentazione della cute del volto, delle mani e in corrispondenza dei vasi sanguigni
superficiali e dei tendini
Secchezza della cute per la perdita delle componenti sebacee e sudoripare.
Secchezza vaginale
Gastroenterico: La manifestazione principale è una atrofia della tonaca muscolare dell’intestino, che
generalmente risparmia il terzo superiore dell’esofago. Questa condizione favorisce lo sviluppo di
diverticoli con larga base di impianto. Questa lassità della muscolatura provoca disturbi di
svuotamento gastrico, disfagia da ostacolo al transito esofageo, pseudostruzione intestinale per
insufficienza della peristalsi. L’ostruzione dei linfatici a causa della fibrosi può condurre invece ad
una sindrome da malassorbimento con cachessia e anemia. L’intestino crasso atonico può portare a
stipsi cronica e fecalomi, con ostruzione intestinale.
Polmone: Fibrosi interstiziale diffusa, ispessimento della membrana alveolare e fibrosi peribronchiale. I
setti alveolari, divenuti fibrosi, sono meno resistenti e possono rompersi, dando delle aree di
enfisema bolloso. Altro filone sono i fenomeni di fibrosi delle arterie polmonari, con ipertensione e
cuore polmonare cronico. Oggi i sintomi polmonari sono la principale causa di morte dei pazienti con
sclerodermia (le manifestazioni renali si curano meglio). I sintomi evidenti sono la dispnea da sforzo
progressivamente ingravescente, cui segue infine insufficienza del cuore destro, e una diminuzione
della capacità vitale della VEMS, a causa della costrizione fibrosa dei bronchi. La prognosi dopo il
verificarsi della ipertensione polmonare è di circa due anni.
Muscoloscheletrico: Edema della sinovia con infiltrato leucocitario e fibrosi. Anche nel muscolo si ripete
lo stesso quadro, con infiltrazione linfocitaria prima e fibrosi poi. Dolore, rigidità e tumefazioni delle
dita delle mani e delle ginocchia. Si può avere una sindrome del tunnel carpale e artrite simmetrica
che ricorda l’AR. Caratteristico delle fasi avanzate è il crepitio tipo “cuoio vecchio” delle
articolazioni in movimento. Miosite. Riassorbimento osseo delle falangi distali, delle coste, delle
clavicole e dell’angolo mandibolare.
Cuore:
Degenerazione delle fibre cardiache e fibrosi interstiziale Æ scompenso cardiaco
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 40
Terapia
Non può essere guarita, ma è molto importante il trattamento della patologia d’organo. Importante è il
monitoraggio della funzione renale, polmonare e della crasi ematica.
→ Terapia antipiastrinica, che può prevenire il danno della parete vascolare;
→ Glucocorticoidi per prevenire il danno infiammatorio, soprattutto la pericardite;
→ Penicilamina 0,5-1 g/die per diminuire l’ispessimento cutaneo
→ Prevenzione del fenomeno di Raynaud (nifedipina a 20mg/ X2 die);
→ Antiacidi per trattamento della esofagite da reflusso (cimetidina 300 mg prima dei pasti)
→ Tetraciclina PO 1g/die previene la soprainfezione batterica delle anse intestinali dilatate
→ FANS per i sintomi articolari;
→ Ace inibitori contro l’ipertensione renale
Clinica
Nel muscolo le lesioni principali sono riconducibili ad una patognomonica infiltrazione di cellule
infiammatorie (linfociti, macrofagi, plasmacellule e rari eosinofili) in sede perivenosa. Altro aspetto
caratteristico è la degenerazione delle cellule muscolari, che accompagna l’infiltrazione. Nelle forme che
hanno associata anche la dermatite si ha un interessamento notevole della componente capillare.
→ Polimiosite idiopatica primitiva – Un terzo di tutti i casi di malattia infiammatoria del muscolo. Di
solito è progressiva nell’arco di mesi o anni, mentre in casi più rari produce rabdomiolisi e debolezza
muscolare in pochi giorni (evento che prevale nelle donne, 2:1).
Il soggetto lamenta debolezza prima ai muscoli prossimali prima dell’arto inferiore (difficoltà a genuflettersi
e a salire le scale) poi di quelli superiori (difficoltà ad alzare le braccia e pettinarsi). Nella maggior parte dei
casi questo procede senza dolore. Se a questo si associano anche sintomi di disfagia e debolezza dei flessori
del capo, si deve cominciare a sospettare la polimiosite. Nel 75% dei casi sono risparmiati i muscoli distali e
quasi mai sono interessati quelli oculari.
Non si osservano di norma contratture e diminuzione dei riflessi, che anzi possono anche essere più vivaci
del normale, forse per irritazione dei recettori muscolari.
Complicazioni importanti ma non molto frequenti (5%) sono la grave compromissione respiratoria e
l’insufficienza cardiaca.
→ Dermatomiosite idiopatica primitiva – Un terzo dei casi di miosite è associato con interessamento
eritematoso della cute, diffuso o localizzato, eruzione maculo-papulare, dermatite da eczema (croste). Il
reperto più classico è un rash cutaneo violaceo (eliotropo), delle mani, guance, naso (distribuzione a
farfalla come quello del lupus), gomiti e ginocchia. Il rash si associa a volte a prurito, e la sua presenza in
associazione con la miosite permette di formulare la diagnosi di dermatomiosite. Essa può essere idiopatica o
associata al gruppo 3, 4 o 5 a seconda della patologia concomitante.
→ Dermatomiosite (polimiosite) associata a neoplasia – Non c’è differenza nei sintomi dalle altre forme.
La neoplasia può seguire o precedere la miosite di uno o due anni, ed è molto più frequente nell’età adulta
rispetto all’infanzia. E’ una situazione da tenere presente quando si effettua il follow-up di un paziente
malato di polimiosite, e si devono eseguire controlli di screenig periodici. Neoplasie più frequenti sono
quelle del polmone, ovaio, mammella, gastroenterico e malattie linfoproliferative.
Miosite nodulare focale: sindrome ad evoluzione rapida con noduli focali infiammatori dolorosi, che
talvolta si sviluppa in modo sequenziale in muscoli diversi. La diagnosi differenziale comprende per
un nodulo singolo una neoplasia del tessuto muscolare per differenziarlo dall’infarto muscolare
(poliarterite nodosa) e da fasciti proliferativi.
Forme secondarie ad infezioni, HIV, corpi inclusi
Fascite eosinofila: Infiltrazione della fascia profonda della cute, del perimisio e dell’epimisio da parte di
cellule mononucleate ed eosinofili, con ispessimento cutaneo delle estremità, contratture e
mioastenia.
Diagnosi
Enzimi muscolari. Al contrario di quello che si osserva nelle malattie epatiche, il grado di innalzamento
degli enzimi in ordine di entità è il seguente: Ck, aldolasi, GOT, LDH, GPT.
Elevamento della VES, fattore reumatoide e anticorpi anti nucleo
Altri auto anticorpi in associazione con altre malattie
Mioglobinuria quando l’interessamento muscolare è esteso
Criteri diagnostici
Rash cutaneo + ipostenia;
Sofferenza muscolare all’EMG (segni di attività spontanea in assenza di segnali motori);
Elevati livelli di CK;
Biopsia muscolare positiva
I primi tre criteri sono richiesti per la diagnosi di dermatomiosite, mentre nella polimiosite idiopatica ci
vogliono tutti e quattro.
Terapia
Trattamento con glucocorticoidi (prednisolone 30-60 mg/m2/die) ad alte dosi fino al miglioramento (in
genere dopo 1-4 settimane) e poi progressiva riduzione del dosaggio di 5mg/die ogni settimana.
Consigliabile il trattamento a giorni alterni.
Farmaci citotossici se con gli steroidi non si ottengono miglioramenti in 1-3 mesi (azatioprina, metotrexate,
ciclofosfamide, ciclosporina.)
Il trattamento viene seguito con il dosaggio della CPK, e alla normalizzazione di questo indice si tende a
ridurre il dosaggio di prednisolone.
La malattia tende a chiudere il quadro per le complicanze polmonari, cardiache e renali, ma di norma nel
75% dei casi c’è sopravvivenza a 5 anni. La prognosi è migliore con i bambini e migliora con la precocità del
trattamento terapeutico. Molti pazienti riacquistano la normale funzionalità. Una recidiva si può manifestare
in ogni momento.
POLIMIALGIA REUMATICA
Malattia infiammatoria cronica dei muscoli prossimali senza astenia e atrofia, con aumento di VES e segni
aspecifici di infiammazione, a patogenesi sconosciuta.
E’ associata in alcuni pazienti all’arterite temporale con cefalea, disturbi visivi e dolore muscolare in corso di
masticazione.
F > M, età > 60 anni.
Si manifesta acutamente con dolore del collo e del cingolo scapolare, a riposo (mattutina) e rigidità
muscolare che si manifesta caratteristicamente dopo la cessazione delle attività fisiche (fenomeno del
gelling).
EMG: negativa
Biopsia: negativa
Segni associati:
VES elevata
Anemia normocromica normocitica
PCR elevata
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 43
Le articolazioni colpite da dolore e rigidità non hanno segni di erosione e di sinovite (diagnosi differenziale
con AR)
.
Terapia
→ Prednisone mg/die (salire a 60mg/die in caso di concomitante arterite temporale). Scalare fino a dose
minima efficace al controlo dei sintomi.
FASCITE EOSINOFILA
Disordine simile alla sclerodermia caratterizzato dalla infiammazione simmetrica, con tumefezione e
indurimento, delle braccia e delle gambe nella porzione distale.
L’eziologia è sconosciuta. Tipica del sesso maschile, mezza età.
Si manifesta con dolore, tumefazione e infiammazione della cute, in genere in maniera insidiosa con
graduale riduzione dei movimenti. In seguito la zona colpita si indurisce e la cute diventa a buccia di arancia.
Oltre agli arti, possono occasionalmente essere interessate la faccia, il tronco, e comparire la sindrome del
tunnel carpale, mentre è costantemente assente il fenomeno di Raynaud.
Compaiono infine contratture muscolari, astenia e perdita di peso.
La maggior parte dei pazienti risponde bene ad alte dosi di prednisone (40-60 mg/die), con successiva
riduzione e sospensione della terapia in 2-5 anni. In alternativa idrossiclorochina (200-400 mg/die)
LES
Malattia ad eziologia sconosciuta con lesioni tissutali e cellulari Anticorpi comuni del LES freq
provocate da auto anticorpi anti DNA e deposizione di Antinucleo 98%
immunocomplessi. Colpisce le donne 9:1 nell’età fertile. I meccanismi Anti-DNA 70%
immunopatogenetici sono: Anti SM (peptidi associati a RNA) 30%
attivazione policlonale e antigene-specifica dei B e dei T
Anti RNP 40%
mancata regolazione di questa attivazione
Anti RO SS-A 30%
Anti LA SS-B 10%
Alla base di queste alterazioni ci sono sia fattori genetici che ambientali.
Le associazioni più comuni sono con alcuni aplotipi MHC (C4AQ0 e B8DR3DW2) e gli ab anti DNA. Altri
dati suggeriscono la presenza di fattori genetici distinti dall’HLA, che le femmine esprimerebbero più dei
maschi.
I fattori ambientali sono ancor meno caratterizzati, in particolare risulta abbastanza chiarita solo
l’associazione fra raggi UVA e dermatite lupoide (essendo molti pazienti fotosensibili).
Insomma i soggetti hanno una predisposizione genetica al lupus: l’esposizione a differenti fattori ambientali
ed altre variabili individuali sconosciute concorrono poi per realizzare diversi quadri clinici, ognuno dei quali
soddisfa diversi criteri per la diagnosi di lupus con diverse manifestazioni cliniche.
Clinica
La malattia può esordire come patologia sistemica o interessare inizialmente un solo organo (nel qual caso
altre alterazioni si sviluppano presto). Gli auto anticorpi sono sempre presenti fin dall’inizio. La malattia di
norma segue un iter di continue riacutizzazioni dopo breve periodi di quiescenza, ma può anche avere una
forma aggressiva rapidamente fatale. Solo il 20% dei pazienti va incontro ad una remissione completa.
L’esordio, comunque, varia enormemente da caso a caso.
Sintomi sistemici: Molto evidenti, nausea, febbre, anoressia, perdita di peso, malessere
Muscoloscheletrico: Atralgie e mialgie con dolore spesso sproporzionato all’obbiettività clinica di un
gonfiore simmetrico delle articolazioni (interfalangee, polsi e ginocchia). Noduli sottocutani e
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 44
miopatia infiammatoria. Le poliatriti acute e intermittenti sono presenti nel 90% dei soggetti e
possono persistere per anni prima che si abbiano altri sintomi.
Cute: Rash maculare “a farfalla” nelle guance e nel dorso del naso, fotosensibile e non cicatrizzante,
esteso anche alle orecchie. Comune anche un rash più diffuso delle aree esposte al sole, indice di
una prossima riacutizzzione. Alopecia, con tendenza alla ricrescita dei capelli. Alcuni pazienti
presentano un sottogruppo detto LECS (Lupus eritematoso cutaneo subacuto), caratterizzato da
lesioni cutanee estese e ricorrenti, fotosensibili, ipopigmentate e non cicatrizzanti, ma non c’è
coinvolgimento del SNC e del rene. Sia nel LECS, LES e LED si possono avere vasculiti, porpora,
ulcera del cavo orale, gangrena delle dita.
LED (Lupus eritematoso discoide): caratterizzato da lesioni deturpanti circolari, con una zona centrale
cicatrizzante con perdita completa degli annessi. Tali lesioni sono del cuoio capelluto, del viso e
delle aree scoperte delle braccia, schiena e collo. Il 20% dei LES sviluppa LED; il viceversa avviene
solo nel 5% dei casi.
Rene: In quasi tutti i pazienti si riscontrano depositi glomerulari di Ig e di immunocomplessi, ma solo
nel 50% si ha una nefrite con proteinuria persistente. Di questi, molti presentano una
glomerulonefrite mesangiale o proliferativa focale. Questi si limitano alla nefrite e non c’è bisogno
di una terapia aggressiva. Altri sviluppano una GN proliferativa diffusa o una GN membrano-
proliferativa, in cui la progressione all’insufficienza renale è garantita se non c’è una terapia
immunosoppressiva potente. Il monitoraggio degli indici renali e la scelta della terapia sono cose
importanti. Vedi oltre per la classificazione della nefropatia lupica.
SNC: Tutti i distretti possono essere interessati, sia le meningi che i nervi che il midollo spinale. Spesso
le manifestazioni acute si hanno quando la malattia è già in fase avanzata. Le manifestazioni più
frequenti sono modeste alterazioni cognitive, convulsioni di qualunque tipo, depressione e ansia.
Sono presenti con minor frequenza una serie di manifestazioni neurologici focali. La diagnosi delle
alterazioni neurologiche non è sempre facile perché possono non essere correlate agli altri segni di
malattia, e quindi richiede l’esecuzione di analisi come l’osservazione del liquor e la RMN.
Sistema vascolare: Una delle complicazioni più temute è il verificarsi di trombosi in ogni distretto.
Invece che alle vasculiti, sembrano legate all’associazione fra anticorpi antifosfolipidi e processi
coagulativi. Inoltre le continue alterazioni endoteliali associate alla deposizione degli
immunocomplessi, e l’iperlipidemia secondaria alla terapia steroidea possono provocare
coronaropatia con angina instabile.
Ematologia:
Anemia da disordine cronico. In casi più rari anemia emolitca può essere provocata dalla
presenza di anticorpi anti-eritrociti.
Piastrinopenia e linfocipenia in genere modeste. Più raramente è possibile che si verifichi una
sindrome emofagocitica acuta con pancitopenia fulminante.
Presenza di anticoagulante lupico, che è un ab anti fosfolipidi che può associarsi a
trombocitopenia e stato di ipercoagulabilità (diversamente da come suggerisce il nome) e
produrre una sindrome peculiare detta “sindrome da anticorpi antifosfolipidi”, con:
Trombocitopenia
Aumento del TPT
Trombosi arteriosa o venosa
Aborti spontanei (da trombosi dei vasi placentari)
Perdita del feto nel 3° trimestre di gravidanza
Apparato cardiopolmonare:
Pericardite con versamenti che possono causare tamponamento. La pericardite costrittiva è rara.
Miocardite con aritmia e morte improvvisa
Pleurite ricorrente
Polmonite lupica con infiltrato transitori
Causa più comune di polmonite associata al LES è una atipica provocata da infezioni che evolve
verso la fibrosi.
Complicazioni rare ma pericolose sono l’ARDS e l’emorragie intralveolare massiva
Gastroenterico: Nausea, diarrea e senso di malessere correlabili con una peritonite lupica. Altre
manifestazioni possono essere vasculiti intestinali che possono portare alla perforazione. Come
manifestazione della malattia di base o effetto della terapia si può avere una pancreatite acuta.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 45
Manifestazioni oculari: Vasculite retinica. Brutta manifestazione che può portare a cecità nell’arco di
pochi giorni. Altre minori sono la congiuntivite, episclerite, neurite ottica e sindrome sicca.
Altre manifestazioni:
Adenopatia generalizzata
Splenomegalia (10%)
Endocardite di Libman-Sacks (vedi parte di cardiologia)
Vasculite delle coronarie
Nefrite lupica
Compare nel 50% dei pazienti, ed è estremamente variabile dal punto di vista clinico e anatomopatologico.
E’ la principale fonte di mortalità e morbilità nei pazienti con LES.
La patogenesi è la deposizione di IC circolanti, e si diagnostica con l’agobiopsia renale, utile anche per la
classificazione e il follow-up.
Sono possibili falsi positivi nelle reazioni per la sifilide, specialmente se sono presenti anticorpi
antifosfolipidi.
Per la diagnosi clinica di LES devono essere soddisfatti almeno 4 degli 11 criteri riportati qui di seguito:
Rash malare
Lupus discoide
Fotosensibilità
Ulcere al cavo orale
Artrite
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 46
Sierositi
Nefropatia
Danno neurologico
Alterazioni ematologiche (compresa la sindrome da anticoagulante lupico, e quindi gli aborti ripetuti)
Disordini immunologici
Anticorpi antinucleo
Malattia grave
Immediata terapia corticosteroidea, a dosaggi diversi a seconda della manifestazioni:
Porpora, anemia: 60 mg/die
Sierosito: 20-60 mg/die
Danno renale: 40-60 mg/die
Terapia con immunosoppressori (azatioprina o ciclofosfamide) per danno renale grave e interessamento
del SNC
Eparina e Warfarina per trombosi o embolia polmonare
Trattamento energico delle infezioni intercorrenti, soprattutto in gravidanza
In gravidanza, trattamento preventivo con eparina per scongiurare gli aborti spontanei da
trombosi dei vasi placentari
LUPUS ERITEMATOSO DISCOIDE
Forma frusta di LES che colpisce prevalentemente la cute con macule nettamente circoscritte eritematose,
con occlusione follicolare e desquamazione.
Le macchie, inizialmente eritematose di 5-10 mm, si diffondono agli zigomi e alla radice del naso, e sul
cuoio capelluto.
Possono persistere per anni e recidivare: forme più gravi si hanno con macchie estese a tutta la regione
superiore del corpo.
In genere sono fotosensibili, compaiono sulla cute esposta e peggiorano con il sole; l’interessamento delle
mucose è frequente e grave (specie in bocca).
La singola lesione, non trattata, si estende graudalmente in periferia mentre la zona centrale si atrofizza
lasciando una cicatrice che non retrae.
E’ frequente l’alopecia, e possibile un coinvolgimento sistemico in genere non grave.
Si diagnostica clinicamente, e l’unico problema è distinguere un LES con lesioni cutanee discoidi da un LED
con interessamento sistemico (ma alla fine sono molto simili). Comunque, nel LED di solito non ci sono gli
AB anti DS-DNA.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 47
Il trattamento è precoce:
Limitazione dell’esposizione al sole, uso di filtri solari
Lozoni topiche cortisoniche (betametasone)
Idrossiclorochina per via sistemica
CONNETTIVITE MISTA
Malattia caratterizzata dall’associazione di manifestazioni del LES, della sclerodermia, della polimiosite e
dell’artrite reumatoide. La presenza di anticorpi anti RNP (ribonucleoprotenine) plasmatiche permette di
catalogarla come una malattia a sé.
Insorge preferenzialmente nella seconda-terza decade e colpisce di più le donne.
I meccanismi patogenetici sono quelli delle malattie da cui deriva.
Clinica
Esordio classico: fenomeno di Raynaud, mani gonfie, artralgia, mialgia e astenia. Le varie manifestazioni
che completano il quadro si sviluppano nel corso di mesi o anni.
Tumefazione delle dita con possibile evoluzione verso la sclerodattilia.
Alterazioni di tipo sclerodermico della cute delle estremità distali e del volto, mai del tronco
Alcuni rash maculare (a volte discoide) e fotosensibilità
Dolori, rigidità e tumefazioni delle articolazioni periferiche
Deformità delle mani come nell’AR ma senza erosione ossea
Lesioni muscolari tipiche della polimiosite, con alterazioni dell’EMG e aumento degli enzimi muscolari
85% dei pazienti presenta interessamento polmonare in genere asintomatico. Abbastanza comune la
pleurite.
25% presenta glomerulopatia membranosa in genere molto lieve.
70% manifestazioni gastroenteriche, alterazioni dello sfintere esofageo e reflusso gastrico
30% pericardite e disturbi del cuore
Anemia da disordine cronico
Test di Coombs + nel 60% dei pazienti ma rara l’anemia emolitica
Ipergammaglobulinemia e fattore reumatoide frequenti
Anticorpi anti U1 RNP, specifici per una proteina di 70KD legata all’RNA a basso peso molecolare.
Il trattamento di questa patologia è lo stesso delle forme cliniche che si presentano. Di per sé è abbastanza
benigna, più della metà dei pazienti ha un decorso favorevole, ma dipende parecchio dal tipo di connettivite
che si sviluppa in seguito. La sopravvivenza a 10 anni è dell’80%.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 48
PARTE SECONDA
MALATTIE GASTROENTEROLOGICHE
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 49
Cause esofagee:
Ipotonia del LES (sclerodermia, fumo di sigaretta, beta adrenergici, esofagite, farmaci calcioagonisti e
colinergici.
Inappropriato rilascio del LES (aumento del numero e della durata dei rilasciamenti)
Manovre chirurgiche ed endoscopiche
Diminuzione della clearence esofagea
Esofagite e diminuzione della resistenza della mucosa facilitano la produzione
Cause gastriche: di lesioni del LES
Ritardo dello svuotamento
Reflusso duodeno – gastrico, da asincronismo della peristalsi dei due organi
Aumento del volume gastrico (pasti abbondanti)
Vicinanza del contenuto gastrico con la giunzione esofagea (clinostatismo)
Aumento della pressione gastrica (obesità, gravidanza, ascite, abiti stretti)
Ernia iatale da scivolamento (perdita della componente crurale della barriera)
Sintomi tipici sono la pirosi e il rigurgito (risalita nella bocca di materiale gastrico)
Sintomi invece definiti atipici sono:
il dolore toracico non cardiaco singhiozzo
l’eruttazione odinofagia
la scialorrea bolo isterico
alterazioni del gusto disfagia (indica l’evoluzione a stenosi peptica)
Complicazioni importanti della malattia da reflusso possono essere una modesta emorragia, lesioni
dell’apparato respiratorio quando il reflusso è importante e c’è aspirazione del materiale refluito.
Una importante sequela di complicazioni sono i danni alla mucosa:
Esofagite lieve: infiltrato di cellule infiammatorie granulate, iperplasia delle cellule basali e
allungamento delle papille dermiche, in assenza di lesioni endoscopiche di rilevante evidenza.
Esofagite erosiva: lesioni evidenti all’endoscopia, con iperemia molto evidente, friabilità e ulcerazioni
che provocano sanguinamento ed emorragia digestiva
Stenosi peptica: danno della mucosa secondario alla fibrosi infiammatoria, produce disfagia ed è
presente nel 10% dei soggetti con un reflusso. Le stenosi del reflusso sono lunghe pochi cm e distali
(giunzione fra epitelio cilindrico cardiale e pavimentoso esofageo.
Esofago di Barrett: progressiva sostituzione dell’epitelio pavimentoso pluristratificato dell’esofago con
I criteri oggi necessari alla diagnosi si basano invece sulla vicinanza del reperto dalla ZZL e sul tipo di
metaplasia: in anatomia patologica, una metaplasia di tipo fondo gastrico non è da considerarsi un
Barrett.
La metaplasia intestinale di Barrett è di tre tipi:
tipo gastrico
tipo cardiale
tipo intestinale: questa forma può evolvere in adenocarcinoma della giunzione esofago-gastrica, che si
manifesta con calo ponderale e disfagia rapidamente progressiva.
Diagnosi
Anamnesi con fattori di rischio e indicazione dei sintomi tipici
Evidenza di reflusso alla radiografia. Si ha solo nelle forme molto avanzate
Registrazione del pH intramurale esofageo, con un elettrodo ingerito dal paziente, e Phmetria dinamica
nelle 24 ore. L’elettrodo viene fissato 5cm al di sopra del LES, e il test è positivo quando il pH non
cambia fra questo livello e lo stomaco, e diminuisce in seguito a manovre di compressione gastrica.
I fenomeni di reflusso sono ortostatici nel 10-33%, clinostatici 25-46%, biposizionali nel 65-75%
dei casi. Cut-off fissato a pH 4.
Esofagogramma con pasto bariato. Utile per identificare le erosioni e le stenosi peptiche, nonché
l’evidenza di un adenocarcinoma.
EGDS con prelievi bioptici multipli: diagnosi del Barrett in assenza di alterazioni radiografiche.
Evidenzia anche esofagite erosiva e stenosi peptica distale
Manometria completa: fornisce informazioni sull’attività del LES e sulla funzione motoria dell’esofago.
Test di Bernstein: infusione nell’esofago di HCL 0,1 N. Questo crea pirosi retrosternale solo nei pazienti
con esofagite. Il test è controprovato dalla ingestione di soluzione fisiologica, che non provoca
bruciore nei soggetti normali.
Test di clearance acida dell’esofago: valutazione pHmetrica del numero di deglutizioni necessarie perché
l’esofago si liberi di 10ml di soluzione di HCL 0,1 N.
Terapia
Riduce il reflusso, neutralizza l’acidità del materiale refluito, migliora la clearance esofagea, protegge la
mucosa.
Evitare cibi e sostanze ipotonizzanti del LES, evitare di dormire con la testa bassa, perdita di peso,
abolizione delle cause che provocano aumento della pressione addominale
Evitare l’assunzione di liquidi abbondanti durante i pasti
Antagonisti per i recettori H2
Farmaci procinetici 30’ prima dei pasti e prima di dormire
Inibitori della pompa protonica
Dilatazione chirurgica e/o farmacologica della stenosi peptica
Monitoraggio endoscopico dell’esofago di Barrett (evoluzione ad adenocarcinoma 8-10%).
Trattamento chirurgico: avvolgimento del fondo gastrico attorno al LES
Trattamento della malattia da reflusso biliare: neutralizzazione degli acidi biliari con colestiramina,
NaAl, sucralfato (buon citoprotettore)
CARCINOMA DELL’ESOFAGO
Interessa prevalentemente la parte media dell’esofago (parte toracica), ha una incidenza che non è
elevatissima ma comunque estremamente variabile e una mortalità invece molto elevata (50%).
Epidemiologia
Aree ad alta incidenza che si spiegano con peculiarità delle abitudini alimentari.
Maschi > femmine 3:1, eccetto in Iran.
In Italia la situazione è la seguente: incidenza 6/105 maschi, 1,5 femmine (più frequente al nord, 10-12 casi)
Età media di insorgenza verso la 5°-6° decade.
Eziopatogenesi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 52
Diagnosi
Il carcinoma da segno di se quando occupa il 60% del lume, e in questo caso è regolarmente troppo tardi per
un intervento chirugico. Ogni volta che si instaura una disfagia progressiva, si deve ipotizzare la possibilità
di un carcinoma.
L’esame di elezione è l’EGDS con biopsie multiple; importante l’ECO-EGDS per l’indagine in
profondità della parete.
La radiografia con mezzo di contrasto mette in evidenza lesioni già sintomatiche.
Esami utili per la stadiazione sono:
TAC
Broncoscopia (analisi di metastasi e perché gli stessi fattori di rischio per il carcinoma
dell’esofago sono implicati nella genesi di tumori del bronco e del collo)
Ecografia
RMN
Laparoscopia (ricerca di metastasi)
Diffusione ematica: polmoni e fegato. Queste metastasi non hanno in genere nessuna possibilità di
terapia risolutiva, nemmeno chirurgica.
La prognosi è così sfavorevole soprattutto perché non avendo l’esofago una sierosa, la diffusione è
immediata.
Terapia
Essendo la prognosi gravemente infausta (sopravvivenza a 5 anni <5%), molti medici preferiscono un
trattamento palliativo, ad esempio:
Eendoprotesi dilatativa
Terapia fotodinamica
Laserterapia endoscopica
Mucosectomia endoscopica
La chirurgia è palliativa nella maggior parte dei casi, quando la forma scoperta è non localizzata. La forma
più localizzata può invece essere asportata con resezione chirurgica, ma solo nel 40% dei casi, e spesso
rimangono recidive ai margini della lesione.
Il ricorso alla chemioterapia da effetti difficilmente valutabili, spesso anche in relazione alle generali
condizioni del paziente, che sono di norma scadenti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 54
La forma cronica della gastrite è una evoluzione di quella superificiale, che si apprfonda nella mucosa fino
ad un quadro di atrofia gastrica¸ con una diminuzione della mucosa, dell’infiltrato a spese del connettivo. La
parete nel complesso risulta assottigliata, e all’esame endoscopico è possibile vedere la rete vasale
sottostante.
Con l’evoluzione della malattia, si osserva una metaplasia intestinale di tipo colonnare, che può avere un
rischio di progressione a carcinoma gastrico.
Modificazioni della composizione del muco gastrico con aumento della sensibilità della mucosa
Diminuzione della secrezione gastrica dell’acido ascorbico e favorisce la secrezione di composti
cancerogeni nitrosi
Infiammazione della mucosa gastrica che produce iperplasia
Sviluppo del tessuto linfatico associato alla risposta immune (aumento del rischio per MALT)
→ Gastrite autoimmune: vecchia classificazione A delle gastriti, è una delle forme più rare, che colpisce
specificamente corpo e fondo. La gastrite atrofica autoimmune si associa spesso alla presenza di Ab anti
cellule parietali e anti fattore intrinseco, ed è alla base della anemia perniciosa di Addison Biermer. In più
del 50% dei casi di gastriti di tipo A c’è anemia perniciosa. Infatti le cellule che secernono il FI sono le
stesse che producono HCl. La secrezione di gastrina rimane invece normale perché le cellule dell’antro sono
risparmiate, e quindi secernono l’ormone in risposta all’innalzamento del pH; l’aumento della secrezione
della gastrina può produrre una iperplasia delle cellule ECL con produzione di un tumore carcinoide.
Abuso di fumo-alcool
Reflusso duodeno-gastrico
Radiazioni
Idiopatica (eosinofila, granulomatosi, vasculiti)
ULCERA GASTRODUODENALE
Ulcera gastrica
Lesione profonda, penetrante anche negli strati al di sotto della muscolaris mucosae (a differenza delle
erosioni).
La maggior parte delle ulcere gastriche è localizzata nell’antro, immediatamente distale alla fine della
mucosa acido secernente del corpo stomacico (cioè in media a 2/3 della piccola curvatura). Le ulcere che si
sviluppano nel fondo gastrico sono spesso associate ad HP.
Max incidenza nella sesta decade, modesta prevalenza dei maschi sulle femmine. La patogenesi della
malattia è anche qui legata, come nell’ulcera duodenale, alla secrezione peptica.
C’è una correlazione importante fra ulcera gastrica e duodenale e H. Pylori
Altre cause importanti sono i FANS, responsabili del 15-20% delle ulcere, il reflusso duodeno gastrico, che
produce ristagno di cibo e retrodiffusione degli idrogenioni, e tutte le cause di gastrite che, mantenendosi nel
tempo, possono portare all’ulcera.
Clinica
Dolore epigastrico: evocato o accentuato dalla ingestione di cibo. L’ingestione di antiacidi è
meno efficace nel controllarlo. Il dolore dell’ulcera gastrica è tipicamente post-prandiale, a
differenza di quella duodenale in cui è notturno.
Nausea e vomito anche in assenza di una ostruzione meccanica (nella duodenale si hanno quasi
solo nella stenosi pilorica)
Calo ponderale secondario all’anoressia e al rifiuto del cibo, causa scatenante del dolore
Emorragia in circa il 25% dei casi
Perforazione molto più frequente che nell’ulcera duodenale, a causa dell’età media più
avanzata, del ritardo diagnostico e dell’interessamento peritoneale che è esteso
Le complicanze sono:
Sanguinamento (25%)
Perforazione (20%)
Cancro (> 5%)
Diagnosi
→ Esame radiologico con pasto bariato e EGDS. Le ulcere gastriche sono più frequentemente localizzate
nella piccola curvatura dell’antro.
Le lesioni piccole e che non compaiono nel contesto di una massa sono di solito benigne (diametro < 3cm).
Per definire con esattezza la natura si fanno 6 prelievi bioptici del fondo e dei margini.
L’acloridria, pur essendo rara, è un indice piuttosto specifico di carcinoma gastrico.
Importanti test per determinare la presenza di HP sono il test dell’ureasi su campione bioptico, il test del
respiro con urea marcata.
lcera duodenale
Più del 90% delle ulcere duodenali si trovano nella prima porzione del duodeno, ad una distanza di 3 cm dal
piloro. La prevalenza della malattia si assesta attorno al 10% nei soggetti con la malattia, ma cresce con l’età,
raggiungendo un apice di circa 50-60% nei soggetti anziani. Si osserva raramente nei soggetti < 15 anni, al
contrario della gastrica che si ha anche nei bambini di 5 anni.
Ulcera duodenale
Eziopatogenesi
Si tratta di uno squilibrio fra fattori protettivi (muco e bicarbonato, PG, flusso sanguigno intramucoso,
velocità di turnover cellulare di 24-36h), e fattori aggressivi (pepsina, acido), adiuvati da fattori
ambientali come H. Pylori e il fumo.
Il fattore più importante sembra però la citotossina vacuolizzante del gene Cag-A ta, e i ceppi che ne sono
portatori sono quelli implicati nella patogenesi dell’ulcera duodenale.
Altre infezioni
Radio / chemioterapia
Mentre il 95% dei soggetti con ulcera gastrica è HP+, solo l’80% di questi paziente risulta positivo per il
batterio. Se si eradica l’infezione, la possibilità di avere recidive diminuisce fortemente.
Clinica
Dolore: Il dolore è il sintomo più tipico, in sede epigastrica, acuto a carattere urente. Compare
tipicamente a 90 – 180 minuti dal pasto, ed è alleviato dall’ingestione di cibo. Compare inoltre la
notte e spesso sveglia il paziente. Il cambiamento del tipo di dolore è di solito segno di prossime
complicazioni come la perforazione
Modalità di insorgenza: la malattia è tipicamente parossistica, con accessi dolorosi che durano giorni,
settimane o mesi, dopo i quali si mantiene in remissione per periodi di tempo generalmente più
lunghi. Il paziente spesso è asintomatico, così da sottovalutare la reale prevalenza della malattia.
Iperalgesia epigastrica: localizzata sulla linea mediana. In caso di perforazione, addome a tavola con
Blumberg diffusamente positivo
Ulcera pilorica: è considerata come duodenale per le caratteristiche della mucosa pilorica, ed ha in
effetti gli stessi sintomi, ad eccezione del fatto che il dolore si accentua con il cibo, e in caso di
stenosi pilorica può anche accompagnarsi a vomito.
Ematemesi, melena, più raramente enterorragia nel 20-30% dei casi
In alcuni casi c’è dispepsia non ulcerosa: nausea, vomito, difficoltà digestive e senso di malessere
generale in assenza di cause dimostrabili.
Circa 2/3 dei gastrinomi sono maligni, e un paziente su tre sviluppa metastasi, per lo più nei linfonodi
regionali e nel fegato.
Nelle fasi iniziali della malattia viene riscontrata una aumentata secrezione acida, con sintomi tipici
dell’ulcera peptica, ma di entità maggiore, di più lunga durata, e di difficile risoluzione con la terapia
farmacologica.
Il 75% delle ulcere hanno la tipica localizzazione antrale, ma si trovano anche nel duodeno e nel digiuno.
Meno frequentemente esistono anche steatorrea (inattivazione acida della lipasi pancreatica) e diarrea (da
irritazione del tenue). La steatorrea può anche dipendere dalla incapacità delle micelle di aggregarsi a pH
acido.
La terapia ideale è la rimozione del gastrinoma. I trattamenti che in genere si fanno per le ulcere non
producono grandi benefici, e c’è una grande individualità nella risposta ad essi.
L’adenocarcinoma ha alta incidenza in Giappone, Cile e Finlandia. In tutto il mondo l’incidenza di questi
tumori è in costante e netta diminuzione, principalmente per il miglioramento delle condizioni di
conservazione dei cibi.
Questi fattori aumentano i nitriti prodotti dai batteri nitroriduttori. Gli alimenti avariati contenenti batteri e
l’HP incrementano la riduzione dei nitrati, i conservanti e il fumo di sigaretta introducono nitrati dall’esterno.
Un altro fattore che aumenta questa possibilità cancerogena è la presenza di batteri
Altro filone eziologico è la presenza di lesioni ulcerative o erosive della mucosa, che possono portare
attraverso un processo infiammatorio a metaplasia intestinale..
Dal punto di vista anatomopatologico, si osservano queste due forme, con caratteristiche cliniche e
morfologiche diverse:
Adenocarcinoma gastrico di tipo diffuso: tipico dei soggetti giovani, ha una prognosi peggiore. Le
lesioni interessano tutto lo stomaco, compreso il cardias, e provocano una diminuzione della
distensibilità parietale, dando il tipico aspetto a borsa di cuoio.
Adenocarcinoma gastrico di tipo intestinale: soggetti anziani, aree ad alta incidenza. E’ il tipo di
carcinoma che origina dalla metaplasia intestinale secernente sialomucine. Si tratta di lesioni spesso
ulcerate, localizzate per lo più nell’antro e nel corpo, e precedute da stimoli infiammatori di lunga
durata. La prognosi è lievemente migliore.
Clinica
In genere i tumori asportabili sono asintomatici. Con il crescere della massa, inizia un senso di pienezza al
quadrante superiore dell’addome, fino ad un dolore marcato e persistente. Anoressia, sebbene molto
frequente, non è di solito un sintomo d’esordio.
A seconda della porzione interessata, l’esordio della malattia cambia:
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 59
La diffusione metastatica avviene frequentemente per continuità, al fegato, colon e pancreas. Il tumore di
Krukenberg metastatizza frequentemente all’ovaio per via transcelomatica. Può esserci metastasi ai linfonodi
addominali e sopraclaveari.
Diagnosi
CEA: di scarsa utilità nello stomaco, ma molto utile nel tumore del colon. Non è specifico, ma è utilizzato
nel follow-up dei pazienti, perché il suo elevamento può indicare la ripresa della malattia.
All’esame obiettivo, spesso normale, può evidenziarsi una massa epigastrica, epatomegalia, ascite,
cachessia. Sono segni che però accompagnano un tumore nello stadio avanzato.
Esame radiologico: evidenzia lesioni anche piccole, ma soprattutto mette in evidenza la presenza di
diminuita distensibilità, segno abbastanza precoce
Endoscopia con biopsie multiple delle ulcere, anche se non presentano all’esame radiologico segni di
malignità. Le lesioni limitate alla mucosa e alla sottomucosa guariscono nell’80% dei casi. Le
biopsie devono essere molto profonde, a causa della necessità di individuare anche i linfomi gastrici
che sono localizzati nella sottomucosa.
TAC spirale
Ecografia endoscopica
RMN
La terapia dipende dallo stadio di avanzamento del tumore. Precoce e localizzato ha successo l’asportazione
chirurgica, avanzato si fa palliazione con chemioterapia, tenendo però presente che ha poca risposta. Il
tumore gastrico non risponde quasi assolutamente alla radioterapia radiante.
In genere la terapia chirugica radicale è possibile solo in un terzo dei casi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 60
Criteri oggettivi:
Aumento della massa fecale al di sopra di 200 grammi
Aumento della frequenza delle evacuazioni oltre 3 in 24h
Diminuzione della consistenza delle feci (liquide o poco formate)
Criteri soggettivi
Urgenza evacuativa
Tenesmo rettale
Incontinenza
Dal punto di vista patogenetico, la diarrea può essere distinta in 4 tipi a seconda del meccanismo con il quale
si instaura:
Secretoria: aumento della secrezione di ioni idrogeno e acqua, con o senza inibizione del normale
assorbimento intestinale. Infatti l’intestino assorbe ioni Na+ e glucosio tramite un sistema amp-
ciclico dipendente, ed estromette cloro e bicarbonato tramite un sistema sempre amp-ciclico
dipendente. L’aumento di amp-ciclico, dovuto a diverse tossine, produce la diminuzione del
riassorbimento e l’aumento della secrezione.
Osmotica: accumulo di sostanze attive nel lume, che richiamano acqua o sodio. Si verifica
nell’intolleranza al lattosio, nell’accumulo di Mg (lassativi osmotici), caramelle che contengono
sorbitolo.
Irritativa: alterazione infiammatoria della parete intestinale che provoca aumento della peristalsi e del
transito
Presenza di sangue o pus nel lume
Processi infiammatori della mucosa (S. dell’intestino irritabile)
Stimolo alla produzione di PG
Altre cause: forme miste
Diarree infettive
Fino al 50% delle diarree infettive riconosce come eziologia un virus
AGENTE FREQUENZA ETÀ STAGIONALITÀ
Rotavirus 30-35% 6-24 mesi (prima infanzia) Invernale
Altri virus 10-15% Prima infanzia Invernali – autunnali
Campilobacter 5-14% Prima e seconda infanzia Estivo
E. Coli 6-7% Tutte Estivo
Salmonelle 1-5% Tutte Fine estate, autunno
Shigelle 0-7% Tutte Indifferente
Yersinia enterocolitica 0-2% Inferiori a 5 anni Autunno
Eziologia sconosciuta 23% - -
Descriveremo adesso vari tipi di diarrea infettiva in relazione non all’agente infettivo, ma al meccanismo con
cui esso o le sue tossine agiscono.
Enterotossina liberata nel cibo (→D. ipersecretiva)
Si ha quando il cibo non contiene più il germe, ma soltanto la tossina.
I batteri implicati sono:
Stafilococco aureo enterotossigenico: cibi contaminati dopo la cottura o la preparazione. Gelati, creme,
latticini e latte sono i principali. Il periodo di incubazione è breve, 1-6 ore.
Bacillus cereus: farine, riso, altri cibi secchi non cotti. 12 ore.
Clostridium botulinum: cibi insaccati, inscatolati, conserve prodotti in maniera non sterile. Le spore
batteriche, che resistono alla bollitura, si aprono e si riproducono nel contesto di ambienti anaerobi
all’interno del cibo, producendo tossina. 12-36 ore.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 61
La sintomatologia è essenzialmente una diarrea secretiva (feci liquide, alcaline, ricche di elettroliti) non
sanguinolenta.
Non c’è febbre e segni infettivi: infatti non è presente il batterio, ma solo la tossina.
La guarigione è rapida, di solito in 24-48 ore, per l’esaurimento dell’attività tossinica che non viene più
prodotta.
Il botulino, invece, da una sintomatologia molto più grave con la ben nota (e temibilissima) paralisi flaccida
progressiva, ad alta mortalità. I sintomi GE sono del tutto secondari al quadro neurologico.
Colonizzazione dell’intestino e produzione in loco di tossina (→D. ipersecretiva)
Alcuni ceppi batterici colonizzano l’intestino, ma non provocano danno direttamente, bensì con la
produzione di una tossina.
Sono essenzialmente due ceppi molto simili, l’ETEC (Entero Tossigenic Escherichia Coli) e il Vibrio Colera,
che producono due tossine molto simili (la tossina colerica e la tossina VERO)
Le tossine provocano una aumento di AMP ciclico e di altri messaggeri analoghi, provocando il blocco della
pompa del sodio come descritto prima. Tutto questo non tocca la parete intestinale, indenne e la diarrea non è
sanguinolenta.
Tuttavia la sintomatologia è molto grave, soprattutto per il colera. Dopo una incubazione di 12 ore – 3 giorni,
si ha un esordio con dolori addominali crampiformi e anche vomito, sintomi infettivi, febbre alta.
Inizia la produzione di feci mucose, acquose, che rapidamente prosegue come perdita intestinale di materiale
molto liquido, con muco filante (feci ad acqua di riso).
Tale perdita, che può raggiungere anche i 15-20 litri al giorno, provoca rapidamente disidratazione e shock
del paziente.
La terapia è il sostegno del circolo, la reidratazione mediante flebo, e la somministrazione del siero
antitossina e antibiotici specifici.
Adesione diretta dell’enterocita da parte del patogeno (→D. osmotica)
Rotavirus
Giardia
EAEC (Entero Adesive Escherichia Coli)
Esiste un periodo di incubazione, in cui i germi colonizzano la mucosa e danneggiano. In realtà, sembra che
la cellula epiteliale non sia invasa, ma che i germi vi aderiscano provocando una semplice esclusione della
superficie assorbente dei villi.
Rimandando solo quindi funzionanti le cripte, avremo una prevalenza della secrezione sull’assorbimento, e
diarrea secretivo.
I rotavirus hanno una incubazione lunga, e coesiste una sintomatologia delle vie aree. La febbre dura poco,
fino al 2° giorno, e la diarrea dura 3-4 giorni.
Le feci sono liquide, acide, ricche di sostanze riducenti, acido lattico ed elettroliti.
Non sono presenti sangue, muco, leucociti
Lesione e invasione della mucosa (→D. infiammatoria)
Salmonelle minori
Salmonella Tiphi e paratiphi
EIEC (Entero Invasive Escherichia Coli)
EHEC (Entero Hemorragic Escherichia Coli)
Shigelle
Yersinia
Questi batteri invadono direttamente la mucosa, e in individui non resistenti si può avere attraversamento
dell’epitelio intestinale con setticemia.
L’invasione della mucosa provoca una diarrea osmotica sia per deficit digestivo che per il venir meno della
funzione assorbitiva; la flogosi può aumentare la produzione di PG e avere un effetto flogistico.
I batteri produttori di enterotossine possono incrementare la secrezione.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 62
In ogni caso avremo diarrea acquosa, con muco e sangue, e granulociti neutrofili. Le feci sono acide,
riducenti, con normali elettroliti.
Ci sono due tipi di complicazioni importanti e pericolose di questo tipo di infezione intestinale:
I ceppi EHEC e le Shigelle possono iniziare la produzione della tossina di Shiga o della SLT1 e 2
(Shiga Like Tossin). Questa tossina va in circolo, ha un effetto emorragico ed emolitico, e provoca
oltre alla sepsi e allo shock settico, una sindrome uremico-emolitica quasi sempre fatale
Le salmonelle tiphi e paratiphi vanno in circolo, provocando una infezione sistemica del SRE e dei
linfonodi di Peyer nota come “febbre tifoide”.
Colite pseudomembranosa
Malattia da antibiotici, assunti per via IM fino da due settimane prima, o per via orale di recente. Alcuni
antibiotici, fra cui in testa c’è la clindamicina (ma anche Vancomicina, Cefalosporine, Aminoglicosidi,
Penicillina) possono modificare la flora batterica intestinale aerobica, uccidendola a spese di quella
anaerobica. Essa è prevalentemente rappresentata dal C. difficilis, che vive nel colon normalmente in
competizione con i batteri commensali. Il colon si infiamma e produce delle membrane di fibrina ed altri
essudati, da cui il nome della malattia. Le membrane si osservano bene alla colonscopia, e ciò unito alla
coprocultura è sufficiente a fare una diagnosi, fortemente indicata anche dalla sola anamnesi.
La terapia specifica non è sempre necessaria, in quanto basta spesso sospendere la terapia antibiotica per
ottenere la guarigione.
Altre cause
Cause endocrine:
Ipertiroidismo
Addison
Feocromocitoma
Diabete mellito
Postchirurgiche:
Colecistectomia
Gastro resezione
Resezione intestinale
Malassormìbimento degli acidi biliari
Alcool
Farmaci (malox)
DIARREA CRONICA
Queste forme di diarrea seguono in genere cause diverse, e solo in una piccola parte sono infettive.
Essenzialmente si ha diarrea cronica per:
Enzimopatie intestinali
Sindrome dell’intestino irritabile
IBD e altre cause infiammatorie
Carico osmotico di soluti
Ipersecrezione di peptidi intestinali
Intolleranza alimentare (latte vaccino)
Malformazioni intestinali
Sindromi da malassorbimento e pancreatiti
Cause idiopatiche
Enzimopatie intestinali
Le enzimopatie intestinali sono le malattie in cui i disaccaridi derivati dalla digestione dell’amido nelle altre
zone dell’intestino non sono a loro volta assorbiti per il deficit degli specifici enzimi digestivi, le
disaccaridasi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 63
Sono i monosaccaridi, infatti, che possono essere assorbiti tramite un trasporto attivo facilitato (con carrier)
Na dipendente.
L’accumulo dei disaccaridi intestinali provoca un loro accumulo nel lume intestinale e un forte gradiente
osmotico, per cui si produce una diarrea importante, di natura, ovviamente, osmotica.
Ma non solo: gli zuccheri non assorbiti sono nutrimento per la flora intestinale, che li fermenta producendo
acidi grassi a corta catena che:
Aumentano ancora l’osmolarità intestinale
Provocano irritazione della mucosa
Le disaccaridasi che sono coinvolte in questi processi sono principalmente la lattasi e la maltasi. Entrambe
le patologie possono essere congenite (e in questo caso avere anche un esordio tardivo nell’età adulta), o
secondarie a qualsiasi altra condizione di danno intestinale: infatti questi enzimi si trovano in genere nella
parte apicale del villo e vengono quindi facilmente danneggiati.
La sintomatologia è una diarrea di tipo osmotico, acida, con elevata quantità di acidi grassi a corta catena
derivati dalla fermentazione del lattosio che irritano il perineo e possono essere misurati: il pH è 5-6, c’è
CO2 e ci sono residui di zuccheri non digeriti (sostanze riducenti misurabili al test di Kerry).
Sindrome dell’intestino irritabile
Detta anche sindrome del colon irritabile, è una delle patologie dell’alvo più frequente. La malattia pur
avendo del tutto benigna, può essere estremamente fastidiosa per il paziente. Non riconosce in genere una
causa organica, biochimica od infettiva, ma è praticamente una alterazione funzionale.
Principalmente, si osservano disturbi alternati dell’alvo, diarrea e stipsi, e una bassa soglia di stimolazione
intestinale. Tipicamente, in questi soggetti, basta un catetere da 50cc con aria insufflata nell’intestino, mentre
normalmente ce ne vogliono 200-250.
Altri criteri per la diagnosi sono:
Dolore o fastidio addominale, alleviato dalla defecazione e accentuato dal cambio di tipo di disturbo
(stipsi ÍÎ diarrea)
Cambio della frequenza dell’alvo
Cambio della consistenza delle feci
Distensione addominale
Tenesmo e sensazione di evacuazione incompleta
Feci mucose
I pazienti con questa malattia possono presentare altri sintomi extraintestinali, ginecologici o della
minzione, bolo isterico o difficoltà della deglutizione
I sintomi principali descritti sopra in genere insorgono in maniera progressiva, e prevalentemente in età
giovanile. I sintomi sono costanti in tipo e gravità, e un cambio improvviso ed importante della
sintomatologia deve essere indagato.
I sintomi durano per più di 2 anni, e sono assenti durante il sonno notturno, non trattandosi di una diarrea che
sveglia il paziente. Mancano inoltre i segni di malattia sistemica (calo ponderale, febbre, sanguinamento
intestinale, anemia); è importante la presenza di stipsi e diarrea alternate.
Alcune caratteristiche del dolore invece importanti per la diagnosi della malattia:
Dolore che si attenua con la defecazione
Le feci sono più molli in concomitanza dell’insorgenza del dolore
La defecazione, stitica o diarroica, è più frequente quando insorge il dolore
Il dolore si accentua in concomitanza del cambio di disturbo dell’alvo
Il miglior approccio è la modificazione dietetica, evitando caffeina, latte e derivati, sorbitolo e fruttosio, e di
cibi che possano favorire il meteorismo come i legumi. Si traggono benefici anche da una assunzione di fibre
maggiore.
→ anticolinergici: ioscamina 125 mg 30’ prima dei past
→ in caso di diarrea: difenossilato 5mg; loperamide 2-4 mg prima dei pasti
→ antidepressivi: → desipramina; amitriptilina 50-150 mg/die
Diarrea infiammatoria
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 64
Febbre, intenso dolore addominale, sangue e leucociti nelle feci, con alterazioni infiammatorie della mucosa
intestinale visibili alla biopsia.
Nei pazienti con malattie sistemiche contemporaneamente associate, il primo sospetto è di una IBD, mentre
quando non siano presenti sintomi sistemici e c’è sanguinamento, si deve sospettare il cancro del colon o la
proctite ulcerosa.
I processi infiammatori danneggiano la mucosa e stimolano la liberazione di sostanze secretogeniche, prime
fra tutte le PG. Altre condizioni sono la terapia radiante, la gastrite eosinofila, la malattia di Behçet e la
GVHD.
Diarrea osmotica
Può manifestarsi in seguito ad un carico esogeno di sostanze osmoticamente attive, oppure al
malassorbimento di esse. In questo caso, i sintomi sono caratteristicamente diversi a seconda della malattia di
base. In particolare si ha steatorrea nel deficit di assorbimento di grassi.
Molti di questi quadri sono secondari ad affezioni a carico del pancreas, come:
Pancreatiti croniche da qc.
Ostruzione duttale pancreatica
Fibrosi cistica
S. di Scwachman
Somatostatinoma (raro)
Diarrea secretoria
Tumori carcinoidi gastrointestinali metastatici che secernono peptidi attivi
Sindrome di Zollinger-Ellison (vedi)
Altri adenomi pancreatici non beta
Carcinoma midollare della tiroide
Sindromi da malassorbimento (celiachia)
La celiachia è una patologia da intolleranza alle prolamine, una famiglia di proteine diffuse nei cereali
(grano, orzo, segale, ma non avena).
La più diffusa di queste proteina è la gliadina. Si trovano anche nella birra e nel Whisky.
La malattia si manifesta, per un meccanismo immunitario non del tutto noto (ma che coinvolge la produzione
di anticorpi contro la transglutaminasi della mucosa intestinale) in soggetti predisposti (HLA DQ2, DQ8)
soltanto in concomitanza dell’ingestione di una di queste proteine.
Studi recenti indicano la possibilità di una trasmissione AR nella quale sarebbe implicato un gene nel
cromosoma 5.
La malattia è tipica della razza bianca, nella quale ha incidenza di 1:500 nati vivi. In realtà, studi molto
recenti indicano una incidenza di celiachia nascosta addirittura di 1:80.
Diarrea osmotica
Crampi e dolori addominali
Deficit di accrescimento muscolare (proteine), osseo (vitamina D), del pannicolo adiposo (grassi)
Anemia ferrocarenziale
Molti sono però i sintomi atipici e le forme così dette “spurie”. Oggi la diagnosi clinica si sta orientando
molto verso queste sintomatologie atipiche, rivalutandone l’importanza, perché emerge che la maggior parte
della malattia celiaca è legata ad una di queste manifestazioni piuttosto che alla forma conclamata.
Queste sono:
Diarrea e stipsi alternata
Anemia carenziale cronica
Bassa statura
Difetto di dentizione
Malattia erpetiforme di Duhring
Infertilità e disturbi mestruali
Osteopenia o osteoporosi precoce
Deficit neurologici
La diagnosi di malattia celiaca si fa oggi con test clinici su sangue capillare, nel quale si ricercano con la
metodica ELISA gli anticorpi anti transglutaminasi o antiendomisio (meno affidabili). Gli AGA
(antigliadina) non vengono più utilizzati.
La metodica è affidabile e sensibile, e i test, poco invasivi ed economici, vengono usati come screening.
Gli anticorpi significativi sono della classe IgA, per cui vanno dosate le IgA sieriche prima di procedere al
test, e in caso di deficit di IgA il test non ha valore.
La biopsia duodenale, invece, è la diagnosi di conferma.
La terapia è l’esclusione perpetua del glutine dalla dieta. Questa non va effettuata prima della diagnosi
altrimenti avremo una negativizzazione dei test istologici.
All’inizio della terapia il grave danno della mucosa richiede anche la sospensione del lattosio dalla dieta.
Lo stato continuo di irritazione cronico della mucosa, nel paziente non trattato, provoca un aumento molto
importante di linfomi del tenue (rarissimi in assenza di malattia celiaca).
STIPSI
Anche qui dipende da una combinazione di criteri soggettivi ed oggettivi.
Oggettivi: scariche <2 evacuazioni alla settimana
Soggettivi:
feci dure o caprine
Sensazione di evacuazione incompleta
Notevole sforzo evacuativo
Manovre per facilitare l’evacuazione
Eziopatogenesi
→ Stipsi cronica idiopatica: riconosce alterazioni della motilità del colon e dell’ano-retto. In genere si tratta
di una malattia che colpisce gli adulti (8-20% della popolazione) e ha una prevalenza nelle donne F>M 4:1.
Nei bambini, invece, M>F 2:1. E’ favorita da fattori come sedentarietà, sindromi depressiva, scarsa
asssunzione di liquidi e7o fibre durante i pasti, eccessiva inibizione o differimento dello stimolo defecatorio.
Molti farmaci poi sono indicati come concause:
preparati contenenti Fe++ o Ca++
anticolinegici
Levodopa e antiparkinsoniani in generale
Antidepressivi e antipsicotici
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 66
Diagnosi differenziale: con la pseudodiarrea, in cui il paziente pur andando di intestino fino a 10 volte al
giorno non riesce ad eliminare una massa fecale normale, perché elimina sangue e muco, e con il Soiring, un
grosso fecaloma che dilata lo sfintere anale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 67
Dal punto di vista clinico la presenza di un malassorbimento si associa in genere a diversi segni. A seconda
del tipo di sindrome e dell’età di comparsa alcuni di questi possono essere più o meno evidenti, o del tutto
assenti.
Causa Sintomo
Deficit assorbimento calcio Ritardo di crescita e rachitismo
Osteomalacia
Spasmi carpopodalici
Assenza di riflessi tendinei
Deficit dell’assorbimento della vit K Ecchimosi cutanee
Emorragie GE
Metrorragie
Permanenza di materiale osmoticamente attivo Diarrea
Flatulenza e meteorismo
Steatorrea
Deficit nutrizionale Anemia microcitica (ferro)
Anemia megaloblastica (folati, b12)
Parestesie (tiamina)
Glossite e stomatite angolare (riboflavina)
Edema (deficit proteico)
Debolezza muscolare (potassio)
Per diagnosticare un malassorbimento sono fortemente indicativi diarrea, anemia e calo ponderale
associati.
Esistono diversi test da eseguire:
Misurazione diretta dei grassi fecali: la steatorrea rappresenta una evidenza assoluta del
malassorbimento, ma non è sempre presente
Ispezione delle feci: feci untuose, mal formate, con presenza di materiale indigerito
Test specifici dell’assorbimento: si usano in genere per l’intolleranza ai carboidrati. Il test di
assorbimento dello xiloso è una misura diretta dell’assorbimento nella parte prossimale del piccolo
intestino.
Sideremia, ferritina, transferrinemia: indici del malassorbimento di ferro
Test di assorbimento dei folati
Test di assorbimento di B12 (cianocobalamina radiomarcata)
L’Rx in genere è poco specifico, la biopsia del piccolo intestino a livello digiunale è molto più sensibile e si
esegue di ruoutine durante la EGDS.
Infine esistono due test sulla funzione pancreatica:
Test di Lundh: misura della concentrazione di lipasi dopo somministrazione di secretina
Test alla bentiromide: misura della scissione della betiromide da parte della chimotripsina pancreatica
Intolleranza ai carboidrati
Vedi diarree croniche
Malattia celiaca
Vedi diarree croniche
Morbo di Wipple
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 68
Detta anche lipodistrofia intestinale, è una rara malattia causata dall’infezione intestinale da parte del
Tropheryma Whippelii.
Il disordine interessa molte parti del corpo, ma in particolare la mucosa del piccolo intestino con lesioni
caratteristiche (macrofagi schiumosi PAS positivi) che rendono la biopsia diagnostica.
Sono frequenti:
Malassorbimento (costante)
Pigmentazione cutanea
Sintomi articolari
Perdita di peso e diarrea
Anemia
Interessamento polmonare (tosse e versamento pleurico)
Linfoadenopatia ilare
Dolore addominale
La malattia se non trattata è progressiva e fatale, ma il patogeno è sensibile a molti antibiotici (specie
cloramfenicolo e penicillina G procaina seguita da eritromicina).
Linfangectasia intestinale
Malformazione congenita o più raramente acquisita dei linfatici intestinali che si manifesta con
ipoproteinemia e di conseguenza edema massivo, diarrea intermittente, ascite, dolore addominale.
Si accompagnano anche linfocitopenia e marcata riduzione dell’albumina, IgA e IgG.
L’assorbimento è compromesso quasi solo per le proteine (non sempre c’è steatorrea e l’assorbimento dello
xiloso è normale), e si evidenzia il deficit con albumina marcata, che non viene asorbita.
Si diagnostica con la biopsia duodenale che mette in evidenza le linfangectasie villari. La terapia è il
supporto dietetico.
Short Bowel Sindrome
Sindrome da malassorbimento dovuta o alla resezione chirurgica di un tratto di piccolo intestino, o alla
presenza di un bypass. L’inadeguata superificie assorbente causa deficit specifici:
Inadeguato introido calorico → astenia, debolezza, dimagrimento
Deficit di vitamine del gruppo B
Deficit di CA e Mg → encefalopatia, convulsioni, rachitismo, tetania
I carboidrati fermentano nel colon e provocano la produzione di acido D-lattico, che entra nel plasma ma
non viene rapidamente metabolizzato, con conseguente acidosi
Elettroliti: ipokaliemia e ipofosfatemia
RETTOCOLITE ULCEROSA
Malattia infiammatoria che colpisce prevalentemente la mucosa del colon, specie del retto.
L’interessamento della mucosa è continuo (senza aree di intervallo nel tratto colpito) e uniforme (la
superficie è colpita a 360°).
La mucosa è danneggiata in superficie (basso rischio di perforazione), ed appare erosa e facilmente
sanguinante all’endoscopia.
La sintomatologia clinica varia molto a seconda delle forme cliniche, e può essere anche molto sfumata.
Tipicamente, la malattia provoca scariche di diarrea muco-ematica e dolore addominale, con segni di
interessamento sistemico come:
VES elevata
Anemia sideropenica
Perdita di peso
Tenesmo, anoressia
L’andamento tipico è cronico recidivante, e sono possibili molte complicazioni. Le più frequenti sono:
Varietà emorragica: una delle complicazioni della RCU è una vasculite necrotizzante della mucosa, e
in questi casi può essere indispensabile la colectomia
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 69
Megacolon tossico: atonia del colon con dilatazione dovuta ad interessamento della parte muscolare
della parete con danneggiamento del plesso nervoso, che causa una dilatazione del colon stesso nota
come megacolon tossico.
Artropatia
Pustola gangrenosa
Carcinoma del colon: il rischio di questa complicazione aumenta proporzionalmente alla durata della
malattia. Le neoplasie che insorgono in corso di RCU sono spesso multifocali, piatte e difficili da
diagnosticare. Inoltre metastatizzano in maniera molto rapida. Dopo un certo numero di anni, è
indicato effettuare delle colonscopie preventive, anche se il paziente è asintomatico, con biopsie
multiple ogni 15-20 cm.
Pericolangite (infiammazione degli spazi portobiliari e flogosi concentrica attorno ai dotti biliari
intraepatici) con assenza di manifestazioni cliniche e innalzamento della ALP.
Colangite sclerosante, infiammazione cronica ad eziologia ignota, che interessa i dotti intra ed extra
epatici (infatti alcuni ritengono la pericolangite la forma intraepatica della colangite sclerosante),
che non risponde a terapia cortisonica e che anzi aumenta il rischio di insorgenza di
colangiocarcinoma.
Sebbene dal punto di vista anatomopatologico il quadro sia lo stesso sia che ci sia un interessamento del
tenue che del colon, la clinica, e in una certa misura il decorso, cambiano molto se c’è un interessamento
dell’uno o dell’altro settore intestinale. I principali sintomi sono:
Diarrea non sanguinolenta
Febbre
Dolore addominale
Astenia
Calo ponderale (rarissimo nella RCU, elemento per diagnosi differenziale)
Ascessi anali
Diarrea e dolore sono i sintomi predominanti nelle forma coliche, dove non è influenzato l’assorbimento
intestinale.
Il sanguinamento e soprattutto la proctorragia sono molto rari, perché la malattia interessa la parte profonda
della parete e non la mucosa.
Le complicanze ano-rettali, come le fistole, le ragadi, gli ascessi, devono sempre sollevare il sospetto di
Crohn perché spesso si verificano prima che si evidenzino i sintomi classici.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 70
Le complicazioni sono:
Fistole
Sindrome da malassorbimento per l’ileite terminale
Episclerite
Uveite
Eritema nodoso
Ulcere aftose
Ulcera peptica del duodeno, che può anche progredire a stenosi pilorica
Calcolosi della colecisti, dovuta ad una diminuzione del riassorbimento della bile e aumento della sua
litogenicità. Possono anche verificarsi calcoli di ossalato, sia per la disidratazione secondaria alla
diarrea, sia per il maggior riassorbimento di ossalato stesso.
pioderma gangrenoso
irite ed episclerite
nefrolitiasi (30%)
Dieta: Nella maggior parte dei casi è il fattore ambientale che aumenta il rischio di incidenza di questa
malattia, tanto che il max di incidenza si ha nei Paesi occidentali e nelle aree urbane. Così come accade per
le patologie cardiovascolari, esiste una relazione diretta fra il cancro del colon e numero di calorie, grassi
animali, proteine nella carne e oli. I fattori genetici non sono in questo caso influenti, dato che i gruppi
migranti acquistano il rischio delle popolazioni ospiti.
La dieta occidentale contiene più grassi animali, che probabilmente determinano un aumento della flora
batterica intestinale anaerobica, che converte i sali biliari in cancerogeni, e inoltre è povera di fibre, con
conseguente rallentamento del transito intestinale, ristagno di cibo e accumulo di cancerogeni nella mucosa.
Soprattutto l’elevata introduzione di grassi animali sembra il principale fattore non ereditario, associato alla
scarsa introduzione di vitamine antiossidanti come A,C,E
Poliposi del colon: la poliposi del colon è una condizione ereditaria rara caratterizzata dall’insorgenza di
migliaia di polipi in tutto l’intestino crasso. La mutazione si trasmette come carattere autosomico dominante,
ed è caratterizzata da una delezione del braccio lungo del cromosoma 5, con perdita degli oncosoppressori
implicati nella trasformazione maligna dei polipi adenomatosi. I pazienti affetti cominciano a sviluppare
polipi entro il 25° anno di età, e se non trattati praticamente tutti hanno un carcinoma del colon. Una volta
identificati questi pazienti devono essere trattati con colectomia totale. I figli di soggetti malati devono essere
controllati fino al trentacinquesimo anno di vita, e per farlo basta la sigmoscopia in quanto i polipi si
distribuiscono uniformemente in tutto il crasso.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 71
Cancro familiare non poliposico del colon: detta anche malattia di Lynch, è una condizione ereditaria
autosomico-recessiva, caratterizzata da un’aumentata incidenza all’interno del gruppo familiare del cancro
del colon. A differenza della poliposi, la frequenza di insorgenza del carcinoma è massima nella porzione
prossimale del colon, e l’età di insorgenza è più bassa che nella popolazione generale. Spesso i pazienti
hanno in associazione altre condizioni di neoplasie associate
Malattia infiammatoria intestinale: come altrove messo in evidenza, esiste una stretta associazione, che si
rafforza con il tempo, fra la RCU e l’insorgenza di una neoplasia del colon-retto.
Colon DX:
vegetanti o a cavolfiore
Origine: x lo + dalle ghiandole mucose. Trattasi quindi di adenocarcinomi nel 95% dei casi. Negli ultimi anni
la localizzazione a destra è aumentata.
Clinica
Colon SX Colon DX
Sanguinamento rosso vivo assente (sangue occulto)
Variazioni dell’alvo +++ (falsa diarrea o stipsi) ------
Ostruzione + +/-
Anemizzazione +/- ++
Una variazione dell’alvo improvvisa in un paziente di mezza età deve indicare un allarme per un possibile
carcinoma. Le variazioni dell’alvo non si manifestano molto se il tumore è localizzato a destra, perché le feci
sono liquide quando arrivano dall’ileo, e quindi non vengono ostacolate dalla presenza del carcinoma. A
sinistra si osservano anche crampi addominali, occasionale ostruzione e persino perforazione. Invece a destra
c’è più spesso sanguinamento, che può essere anche così intenso da dare anemia acuta, tachicardia e
palpitazioni, perché le lesioni carcinomatose spesso si ulcerano.
I carcinomi del retto, che spesso si associano a ematochezia o proctorragia, danno regolarmente tenesmo, e
basta l’esplorazione rettale per differenziarle da un carcinoma del colon.
Diagnosi, prevenzione e screening
Storia clinica
Esame obiettivo
CEA
Clisma opaco con doppio mezzo di contrasto
Colonscopia con biopsie multiple
TAC
RMN
L’identificazione di neoplasie piccole, non infiltranti e in individui asintomatici migliora di gran lunga la
terapia chirurgica, e questo è sufficiente a giustificare i programmi di screening in soggetti predisposti, ma
anche nell’intera popolazione sopra i 50 anni. Di solito si fanno sui parenti di primo grado di malati.
Inoltre più del 60% delle lesioni sono localizzate nel retto-sigma, e quindi facilmente accessibili.
I protocolli per lo screening dei soggetti a rischio sono i seguenti:
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 72
Nei pazienti con il cancro del colon la prognosi dipende dal grado di penetrazione della parete e
dall’interessamento linfonodale, e dalla presenza di metastasi a distanza. E’ stata quindi costituita la
stadiazione di DUKES, equiparata al TNM, come riportato di seguito.
Il danno epatico di norma provoca dei movimenti enzimatici. Questi possono essere provocati e dagli
epatociti, e dalle cellule delle vie biliari. Nel primo caso, saranno GOT e GPT ad essere alterati, mentre nel
secondo saranno ALP e gammaGT.
Altri indici importanti di funzionalità epatica sono il tasso di albumina sierica e il TPT. Questi infatti sono
parametri che riguardano due sostanze prodotte dagli epatociti. In particolare il TPT è più affidabile, perché
la protrombina ha una emivita di poche ore, e quindi la sua funzionalità è direttamente correlata alla
produzione epatica.
I valori normali di bilirubina sono di 1mg/dl , di cui il 40% è diretta, il 60% indiretta. Quella diretta è non
coniugata. L’ittero franco si ha con valori al di sopra di 3 mg/dl, mentre fra 1 e 3 si parla di subittero.
Epatite cronica autoimmune
Malattia non frequente, caratterizzata da continua necrosi epatocellulare e infiammazione di solito con
fibrosi, che tende a progredire verso la fibrosi e l’insufficienza epatica, a volte anche in modo molto rapido,
essendo responsabile della morte del 40% dei pazienti nei primi 6 mesi di malattia.
Patogenesi
Gli anticorpi diretti contro strutture autologhe che si ritrovano con maggior frequenza, e che hanno una
rilevanza diagnostica, sono in genere di tre tipi:
ANA (antinucleo)
SMA (anti muscolatura liscia)
anti LKM (microsomi epatici)
Altre proteine della membrana epatocitaria
Un ruolo patogenetico importante ce l’ha anche l’immunità cellulomediata, soprattutto per la genesi delle
artralgie, vasculiti cutanee e glomerulonefriti da immunocomplessi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 74
Clinica
Sebbene possa assomigliare ad una epatite acuta virale per il suo esordio improvviso, in genere la malattia è
caratterizzata da un procedere con fasi alterne di remissione e riacutizzazione.
In molte di queste pazienti ALP, globuline, bilirubina sono nella norma e le GOT e GPT sono solo
moderatamente aumentate. Invece il TPT è spesso alterato, soprattutto nelle fasi avanzate della malattia.
Diagnosi
I criteri diagnostici si dividono in criteri di certezza e di probabilità
Criteri di certezza
Assenza di markers di infezioni virali
Assenza di fattori di rischio di contagio per via parenterale
No assunzione di alcool o farmaci
IgG >= 1,5 x valori normali
ANA, SMA, anti-LKM: titolo almeno 1:80
GOT, GPT aumentate di 4-6 volte
Necrosi periportale
Assenza di lesioni biliari, granulomi, siderosi, depositi di rame. In questi casi è invece probabile una
sindrome da overlapping. Queste purtroppo sono molto comuni e confondono la diagnosi.
HLAB8, DR3, DR4
Criteri di probabilità
Aumenti più contenuti di IgG, autoanticorpi
Anticorpi anti SLA, ASGP-R (asialoglicoproteine – Recettore)
HLA B8DR3/DR4 (criterio necessario)
Sesso F
Terapia
La terapia è basata sui glucocorticoidi, che migliorano la sopravvivenza dei pazienti, il quadro clinico e
biochimico, ma non sembra possano intervenire con efficacia nella prevenzione della cirrosi.
Prednisone e Azatioprina.
Epatiti infettive
Epatite B
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 75
L’HBV è un virus a DNA mantellato in grado di integrarsi nel genoma epatocitario determinando
l’espressione dei geni virali. Ciò sembrerebbe essere alla base della correlazione tra epatite B e
epatocarcinoma.
Nel periodo iniziale dell’infazione si ha presenza in circolo di virioni insieme ad un eccesso di particelle di
HbsAg, HbeAg, DNA e DNA polimerasi.
Il virus si trasmette per via parenterale.
Attualmente l’HBV è la seconda causa di epatite virale, anche per via della prevenzione e della vaccinazione.
Tuttavia la prevalenza rimane alta nel mondo (300 milioni circa, la maggior parte dei quali concentrati in
Africa, dove il 10% della popolazione è siero+ ed è elevata anche l’incidenza dell’HCC primitivo.
L’epatite B si attecchisce soltanto nel 35% dei contagiati, e può avere i seguenti aspetti:
85-90% tipica o autolimitante
5-10 cronica
cronica attiva che evolve verso la guarigione anche se tardiva
cronica persistente che evolve verso la cirrosi epatica
portatore sano
1-3% fulminante
→ La forma acuta classica, detta anche itterica, inizia con febbre, artriti ed esantema maculo-papulare su
base immunitaria; fa seguito poi il periodo itterico, che non è MAI accompagnato da febbre (se è presente Æ
sospettare altre condizioni concomitanti come colangiti e anemia emolitica).
Fattori prognostici negativi:
clinici: torpore e inversione del rapporto sonno-veglia, segni di encefalopatia epatica, fegato diminuito di
dimensioni (x necrosi massiva e non per reale risoluzione del processo infiammatorio)
laboratoristici: aumento del tempo di protrombina, aumento delle transaminasi GOT (isoforma
mitocondria-le)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 76
→ La forma cronica, dopo una fase iniziale ad alti livelli di replicazione il virus in cui si osservano in
circolo i marcatori di replicazione virale (HbeAg, DNA e DNA polimerasi) si integra nel genoma
dell’epatocita, l’ HbcAg scompare negli epatociti ed il danno necrotico infiammatorio diminuisce fino a
scomparire del tutto.
Non sono più dimostrabili in circolo i marcatori di replicazione virale quali HbeAg, DNA e DNA polimerasi
mentre l’HbsAg continua ad essere presente.
La probabilità di sviluppare una cronicizzazione dipende dall’età in cui è stata contratta l’infezione:
generalmente questa nei bambini produce un’infezione acuta clinicamente silente che sfocia al 90% in una
infezione cronica. Al contrario negli adulti la % di cronicizzazione è del 20% e la > parte di questi casi si
associa a infezioni acute di scarsa/nulla evidenza clinica.
La malattia cronica si presenta in un vario spettro di sintomi da asintomatica (solo modesto movimento delle
transaminasi) ad una malattia debilitante con sintomi classici che progredisce fino all’insufficienza epatica
terminale, preceduta da esacerbazioni passeggere. Spesso la diagnosi viene fatta quando compaiono i sintomi
classici della cirrosi.
I dati di laboratorio consistono in un’ipertransaminasemia (che può fluttuare tra 100 e 1000), con l’Alt >
dell’Ast – il rapporto si inverte nella cirrosi. L’ALP non è indicativa e gli altri valori (bilirubina, PT,
protidemia) si alterano solo nelle fasi terminali.si osserva riduzione delle γ−globuline.
→ Il portatore cronico è asintomatico e presenta nel siero la presenza di HbsAg senza altri marcatori di
infezione. Non vi è presenza di HbsAb perciò il soggetto ha la capacità di trasmettere la malattia. Inoltre
questi soggetti hanno una aumentata probabilità di andare incontro al CEC.
I candidati migliori per l’avvio di una terapia antivirale sono pz. Immunocompetenti, con epatite B ben
compensata in fase replicativa, meglio se acquisita in età adulta e la cui durata sia + bassa possibile (<1,5
anni). La terapia si fa con IFNα e consiste in un ciclo di 4 mesi di iniezioni giornaliere sottocutanee di ca. 5
milioni di unità; essa produce una sieroconversione verso la fase non replicativa nel 40% dei casi. Un buon
risultato si accompagna anche a un’elevazione delle transaminasi, per l’effetto potenziante dell’IFN
sull’attività citotossica diretta contro gli epatociti infettati. Le recidive dopo la sieroconversione sono molto
rare (1-2%).
Un’alternativa all’IFN sono i corticosteroidi, che usati a lungo sono sicuramente deleteri ma se sono
somministrati brevemente inducono un aumento dell’espressione degli Ag virali sulla membrana degli
epatociti di modo che i L.T, una volta riacquistate le capacità pretrattamento potrebbero aggredire con +
efficacia le cellule infette.
Nei portatori asintomatici la terapia peggiora la malattia e aumenta l’entità del danno epatico mentre nelle
forme croniche terminali l’unica opzione valida è il trapianto di fegato.
Epatite D
L’HDV o agente δ è una particella virale difettiva a RNAche necessita della contemporanea infezione
epatica da parte del virus B (o di un altro HepaDNAvirus), per comporsi correttamente ed entrare nella
cellula.
Si può avere una coinfezione ad opera di HBV e HDV o una superinfezione di HDV in soggetti già infetti da
HBV:
La confezione con l’HBV non peggiora significativamente la prognosi
La superinfezione è un’evenienza più rara ma anche molto più grave, poiché può causare una necrosi
epatica acuta fatale o accelerare enormemente la progressione a cirrosi.
La diagnosi viene fatta tramite la ricerca dell’HDV nel sangue o in biopsia epatica o tramite la ricerca di IgM
anti-HDV.
Il vaccino anti-epatite B protegge anche dall’epatite D.
L’IFNα può produrre remissioni durature e prolungata riduzione della replicazione virale ma sono
necessarie dosi molto alte e a lungo. Pz in fase terminale rispondono positivamente al trapianto e solitamente
solo il virus d recidiva nel fegato nuovo con < conseguenze.
Epatite C
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 77
Il virus C è un virus simile ai flavivirus, con una alta capacità di mutare: in effetti l’infezione produce
anticorpi in parte neutralizzanti (e questo ne limita la diffusione ai familiari), ma questi sono di breve durata,
e non sono protettivi né nei confronti di una seconda infezione da parte dello stesso sierotipo, e né da parte di
altri virus.
Ancora oggi è difficile identificare il virus C. I metodi di elezione, la PCR e l’ibridazione con sonde di DNA
rimangono costosi e complessi.
L’epatite C si trasmette tramite sangue ed emoderivati, incerta è la trasmissione sessuale e da madre a feto.
Il contagio non comporta necessariamente infezione poichè insieme al virus possono essere trasmessi anche
gli anticorpi.
Nonostante la scarsa sintomaticità nel 50% dei casi si ha l’evoluzione da epatite acuta in epatite cronica che
spesso degenera in cirrosi che predispone all’insorgenza del carcinoma epatocellulare.
L’HCV è considerato un virus cancerogeno a tutti gli effetti ed è la prima causa di epatocercinoma.
L’epatite cronica si caratterizza per l’astenia (il sintomo + frequenteancorchè generico), l’ittero è raro come
pure le manifestazioni extra-epatiche, ad eccezione della crioglobulinemia mista (o essenziale).
Comunque sono possibili anche qui danni da IMC come la Sindrome di Sjogren e la porfiria cutanea tarda. I
valori delle transaminasi tendono a oscillare ma comunque sono bassi nella malattia di vecchia data..
La diagnosi viene fatta tramite ricerca del virus e dell’RNA virale a livello sierico tramite PCR.
La presenza in circolo di HCV può essere indice di risposta immune ma non necesssariamente di attività
della malattia, mentre la presenza di RNA è indice dell’attività della malattia.
Un altro marcatore è l’HCV Ab anticorpo no protettivo che indica quasi sempre infezione.
La prognosi a lungo termine di pz HCV+ politrasfusi non è tanto diversa da una popolazione di controllo
sana, poiché l’epatite cronica C-relata tende a progredire molto lentamente anche se con esito quasi sempre
grave. La progressione può essere + rapida in individui geneticamente predisposti, con alti livelli di HCV-
RNA nel sangue o con epatopatie concomitanti o deficit di α1 – antitripsina.
Terapia
IFNα2b 3 milioni di unità per via sottocutanea 3 volte alla settimana per 6 mesi. In alternativa si può usare
la ribavirina.
La terapia non è applicata ai pz con malattia lieve o asintomatica e nemmeno a quelli con cirrosi
scompensata (Ætrapianto), con qualche rara eccezione se è presente crioglobulinemia sintomatica.
Epatite E
Simile all’HAV, è un virus a RNA+ a singola elica, di 32 nm, a trasmissione orofecale, presente in Asia,
Africa e America centrale. Per molte caratteristiche appartiene agli alfavirus, ma è sierologicamente diverso
da ogni altro.
L’epatite E è clinicamente simile all’epatite A e si associa a gastrenterite.
Non è ancora disponibile un test di routine per lo screening. La malattia ha una letalità trascurabile tranne
nelle donne incinte dove inspiegabilmente raggiunge il 20%.
Epatite G
Flavivirus a RNA da 9,4 Kbp con trasmissione parenterale scoperto nel 1960. Piuttosto raro, sebbene
identificabile solo con la PCR, sembra che non sia in grado di dare una infezione clinicamente evidente se
non in associazione con l’HCV.
Epatiti croniche da farmaci
Le sostanze tossiche che possono dare un danno epatico diretto e prolungato sono moltissime. Per questo
motivo, ogni paziente che arriva con ittero ed interessamento epatico deve essere attentamente valutato con
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 78
anamnesi e screening vari sulla possibilità di un contatto professionale, medico o ambientale con le seguenti
categorie di composti:
Sostanze di provenienza industriale: tetracloruro di carbonio, fosforo giallo, tricloroetilene.
Octapeptidi biciclici: avvelenamento epatico da funghi (amanita e galerina)
Vari farmaci comuni: paracetamolo, metildopa, isoniazide, sodio valproato, alotano, fenitoina,
clorpromazina, amiodarone, eritromicina, contraeccettivi orali, steroidi anabolizzanti, trimetoprim.
Le sostanze tossiche elencate agiscono spesso come tossina diretta o come effetto dei metaboliti epatici
prodotti in loco. Gli effetti sul fegato sono dose-dipendenti e sono prevedibili sulla base dell’esposizione.
Questo non vale nel caso di reazioni idiosincrasiche a farmaci, quando l’effetto è imprevedibile e
indipendente dalla dose. Tali reazioni sono giustificate sulla base di una reattività immunologica e anche
sulla personale capacità metabolizzante del DMES, del P-450 e sulla capacità detossificante dei sistemi
microsomiali.
Vengono di seguiti descritti i meccanismi di azione di alcuni dei composti più importanti.
Paracetamolo: Danno epatico diretto, necrosi centrolobulare. Dose letale a 25g, danno epatico clinicamente
manifesto a 10-15g. Dopo 4-12 ore dall’ingestione si verificano nausea, vomito, diarrea e shock, che
successivamente si attenuano e compaiono i segni di tossicità epatica. Le transaminasi possono arrivare a
10.000. Il danno è sostenuto da un metabolita tossico prodotto dal P-450, che è inattivato tramite
coniugazione con i glutatione. Quando è in eccesso, si lega covalentemente a molte molecole intracellulari.
Alotano: Reazione idiosincrasica a questo composto usato prevalentemente nella pratica anestetica, e
strutturalmente simile al cloroformio. Abbastanza rara. Succede per lo più nelle donne, e si manifesta dopo
7-10 giorni con febbre, leucocitosi ed ittero. C’è necrosi epatica massiva come per l’epatite virale.
Metildopa: Lievi reazioni con modeste alterazioni della funzionalità epatica nell’1-5% dei pazienti in
terapia, che di solito scompaiono da soli senza bisogno di sospendere la terapia. A volte però c’è necrosi a
ponte simile all’epatite virale, che di solito si risolve alla sospensione della terapia.
Isoniazide: Questo farmaco antitubercolare produce nel 10% dei pazienti un innalzamento delle transaminasi
a valori di solito inferiori alle 200 unità. Nei soggetti più anziani, c’è però la possibilità di un danno più
grave, simile all’epatite virale, che ha una mortalità del 10%. Questa tossicità diretta viene potenziata
dall’alcool e dall’assunzione della rifampicina.
Eritromicina: L’effetto più importante è la reazione colestatica, per altro rara, che si ha nelle prime 2-3
settimane di trattamento. La malattia ricorda una colica biliare acuta, e alla biopsia si osserva infiltrato
periportale che provoca la stasi. E’ una reazione idiosincrasica infiammatoria.
Altri composti che danno la reazione colestatica sono i contraccettivi orali, alcuni antibiotici e gli steroidi
anabolizzanti
Epatiti e lesioni epatiche da alcool
Fattori che infulenzano il danno epatico da alcool.
Quantità e modalità dell’abuso: pericolosi sono quantitativi giornalieri maggiori di 60g nell’uomo e 40
g nella donna. E’ importante anche la durata (la cirrosi si sviluppa dopo 10-15 anni)
Sesso: la donna è più vulnerabile, per un ridotto Vd e minor efficacia di ossidazione del p450
Fattori genetici: polimorfismi del P450 e del MEOS
Fattori nutrizionali: la malnutrizione aggrava i danni da alcool
→ Steatosi epatica
E’ il reperto più frequente, è caratterizzata da accumulo di lipidi prevalentemente localizzati negli peatociti
della zona centrolobulare; il fegato è aumentato di volume ma con consistenza normale, il paziente si
presenta generlmente asintomatico ed i test biochimici si presentano solo lievemente alterati, la sospensione
dell’alcol porta ad una progressiva risoluzione del quadro clinico con scomparsa degli accumuli lipidici.
→ Epatite alcolica
E’ caratterizzata da necrosi ialina degli epatociti e rapida evoluzione verso la fibrosi e la cirrosi, la lesione
istopatologica consiste nella triade: ialinosi,infiltrazione di leucociti polimorfonucleati e sclerosi delle vene
centrolobulari, il quadro clinico è più grave e progredisce verso l’insufficienza epatica e gli esami biochimici
rivelano una alterazione della funzionalità epatica, la prognosi è peggiore della steatosi e nella maggior parte
dei casi si ha progressione verso la cirrosi (la mortalità e dell’80% a causa delle alterazioni metaboliche)
Il quadro tipico è anoressia, nausea, vomito, malessere, calo ponderale, disturbi addominali e ittero, con
febbre elevata nella metà dei casi.
Nei casi gravi possono essere anche presenti i segni delle complicazioni della cirrosi, ascite, edema,
encefalopatia e sanguinamento. Anche questi casi estremi tendono a migliorare e addirittura a regredire
completamente con l’astensione dall’alcool, ma lo fanno con estrema lentezza, e possono aversi crisi di
insufficienza epatica perfino fatali.
Nelle lesioni epatiche da alcool, il quadro clinico di malattia epatica si accompagna anche a sintomi che
denotano il coinvolgimento multisistemico:
ipertrofia delle parotidi
ipoglicemia
ulcera peptica
pancreatite cronica
malnutrizione
malassorbimento
alterazioni del SNC come il delirium tremens che si verifica quando viene sospeso il consumo di alcol
(da non confondere con l’encefalopatia portositemica)
scadimento intellettivo
atassia (da danni al cervelletto)
atroifa cerebrale
cardiomiopatia alcolica
disturbi ematologici come anemia megaloblastica dovuta sia a ridotto assorbimento di vitamina b12 che
a danno midollare
miopatia dovuta a neuropatia
→ Cirrosi alcolica
E’ del tutto sintomatica nel 10% dei pazienti ed è riscontrabile in associazione all’epatite alcolica, nella
maggior parte dei casi è di tipo micronodulare, il quadroclinico ed i test di laboratorio sono quelli
corrispondenti ai diversi stadi propri della cirrosi.
La cirrosi da etanolo è tipicamente centrolobulare a differenza di quella virale che parte per lo più dagli
spazi portali.
Oltre a quelli già descritti, altri meccanismi con cui l’etanolo produce danno nel fegato sono lo stimolo
diretto alla sintesi del collageno, alterazioni immunologiche delle proteine del citoscheletro e della
membrana, inibizione della sintesi della B12 e quindi del DNA.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 80
Dal punto di vista macroscopico, si può avere una cirrosi ipotrofica quando il fegato assume un peso ridotto,
minore di 1,5 Kg, che di solito è micronodulare (ma non è la regola), e una cirrosi ipertrofica, con peso > di
1,5 Kg, di solito macronodulare (ma non sempre).
Specifica è l’anemia, macrocitica, da carenza di B12, più raramente ipocromica da carenza di Fe++ e
secondaria alla malnutrizione, ma anche alla diretta soppressione della funzionalità midollare da parte
dell’alcool. In alcuni soggetti è stata descritta anche acantocitosi, dovuta all’ipercolesterolemia.
Un dato importante è il rapporto GOT/GPT (AST/ALT) che è > 2. Questo rapporto, che è inverso rispetto
a quanto si verifica nell’epatite virale, è legato alla inibizione diretta dell’alcool nella sintesi della ALT, che
può essere rimossa con la somministrazione di PLP.
A differenza della cirrosi da qualsiasi altra causa, quella alcolica richiede un trattamento con dieta
iperproteica, per controbilanciare gli effetti della malnutrizione e della dispersione proteica con la
paracentesi.
Farmaci particolari come i diuretici devono essere somministrati con cautela, a causa del ridotto metabolismo
epatico. In particolare, sedativi, che possono essere utili nel trattamento di un alcolista e delle crisi di
astinenza hanno questo tipo di problema.
CIRROSI EPATICA
Malattia cronica del fegato caratterizzata da un completo sovvertimento della normale architettura epatica
per la necrosi con successiva formazione di noduli di rigenerazione (che mancano della normale
architettura lobulare) in un tessuto cicatriziale di tipo fibrotico.
La fibrosi a livello degli spazi interlobulari determina il sovvertimento dell’architettura vascolare epatica
determinando ipertensione portale.
La conseguenza diretta della cirrosi è l’ipertensione portale e l’insufficienza epatica, che costituiscono le
manifestazioni sintomatologiche della malattia.
Insufficienza epatica
Clinica:
Sintomi epatici: Anoressia, Astenia, Ittero
Sintomi da ipertensione portale: Epatosplenomengalia, dolorabilità epatica e dolore addominale,
ascite, edemi, varici esofagee e circoli collaterali cutanei, caput medusae, emorroidi, raramente
sindrome da ipersplenismo
Sindromi da diminuzione del metabolismo degli steroidi: questa patologia provoca ginecomastia nel
maschio, assieme a diminuzione della peluria, ipotrofia degli annessi cutanei e atrofia testicolare.
Nella donna può produrre amenorrea e aumento del rischio di carcinoma della mammella. Molti casi
di carcinoma mammario dell’uomo sono legati a queste condizioni di iperestrismo. La presenza di
elevate concentrazioni di estrogeni è probabilmente alla basa della formazione, nei due sessi, di
particolari telangectasie, in altre condizioni idiopatiche, dette nevi a stella (spider nevi). Si tratta di
dilatazioni arteriose, che compaiono specie nel dorso delle mani e delle braccia, e che si
caratterizzano per la direzione di riempimento che va dal centro alla periferia. Gli estrogeni hanno
anche un effetto mineralcorticoidemimetico, e questo può portare a ritenzione idrica, aggravando il
già compromesso bilancio idrico e l’ascite. Nella donna sono inoltre possibili la sindrome di Stein
Lewental e cicli anovulatori, irsutismo, manifestazioni cushingoidi
Sindrome da accumulo di sali biliari: Eritema palmare, ittero, prurito, accumulo articolare con
infiammazione gottosa
Diminuzione della sintesi delle proteine del plasma: la albumina, la principale proteina plasmatica,
viene normalmente sintetizzata dal fegato e fra le sue funzioni c’è quella di regolare la pressione
osmotica plasmatica. La sua concentrazione di 3-4 g/l è infatti la più elevata fra le proteine
plasmatiche. La carenza di questo fattore produce edemi e aggrava il quadro dell’ascite
Sindrome da accumulo di ammoniaca: encefalopatia epatica
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 81
Diminuzione della sintesi dei fattori della coagulazione: la vitamina K assorbita a livello intestinale è
utilizzata nel fegato per la produzione di tre fattori della coagulazione, attraverso la reazione
addizione di glutammato. La vitamina K viene assorbita di meno anche per effetto dell’ascite che
provoca una congestione dei vasi linfatici della mucosa intestinale, con diminuzione
dell’assorbimento delle sostanze liposolubili. Questo effetto provoca sanguinamento grave delle
eventuali complicanze emorragiche dell’ipertensione portale, e la presenza di petecchie
emorragiche. Rende complicato lo svolgimento della paracentesi, e delle biopsie epatiche.
Diminuzione del catabolismo dei farmaci: Il parenchima epatico è sede del complesso del citocromo p-
450 e del DEMS. Il mancato funzionamento di questi due sistemi è spesso alla base di reazioni
eccessive e di facili intossicazioni da farmaci. L’alcolista che necessita del trattamento con farmaci
neurolettici deve essere monitorato con estrema attenzione. Farmaci come il paracetamolo o
l’eritromicina sono sconsigliati. Si possono invece dare il Tavor (arazepam) e il Serpox, che non
hanno nessun metabolismo epatico.
Laboratorio
transaminasi sieriche (ALT e AST) sono in genere solo modestamente alterate
γ−GT sono elevate soprattutto in corso di cirrosi alcolica o di epatocarcinoma essendo un indice
sensibile della colestasi presente in queste forme
fosfatasi alcalina risultano elevate nel 70% dei pazienti con cirrosi soprettutto nei casi ad impronta
colestatica oppure in corso di cirrosi biliare o di epatocarcinoma.
Albumina indice della capacità protidosintetica epatica è in genere ridotto soprattutto nei pazienti che
presentano edemi e ascite
Ipergammaglobulinemia policlonale (le IgA sono aumentate incorso di cirrosi alcolica, le IgG incorso
di cirrosi autoimmune e le IgM in corso di cirrosi biliare primitiva)
Tempo di protrombina è aumentato
Fattori della coagulazione (in particolare fattore V e VII) sono ridotti
Leucopiastrinopenia secondaria all’ipersplenismo dovuto all’ipertensione portale
Anemia di tipo macrocitico in corso di cirrosi alcolica per deficit di filati e di vitamina B12 o anemia
Fe carenziale secondaria al sanguinamento cronico delle vie digerenti
Ipertensione portale
La normale pressione della vena porta è molto bassa, a dispetto della grande quantità di sangue che vi
circola, perché si ha normalmente una resistenza epatica molto bassa (circa 10-15 cmH2O). Quando la
pressione supera 30, si instaura l’ipertensione.
→ Circoli collaterali
L’assenza di valvole nel circolo venoso portale facilita il reflusso del sangue dall’interno del parenchima
epatico alle radici della vena porta, dove la pressione è minore. Questo provoca l’accumulo di sangue nei
distretti a monte, e la presenza di due complicazioni dell’ipertensione portele: i circoli collaterali e le varici
esofagee.
I principali circoli collaterali si hanno a livello delle anastomosi porto – cavali:
Sistema del Retius: nello spazio retroperitoneale anastomosi esistenti fra le mesenteriche e le vene
tributarie delle iliache esterne.
Plesso emorroidario: la vena emorroidaria inferiore è tributaria della cava, mentre la media e la
superiore vengono dalle mesenteriche
Plesso coronario-stomacico: a livello gastrico esistono anastomosi fra le vene dello stomaco, tributarie
della vena splenica, e le vene esofagee tributarie delle azigos. Æ varici esofagee
Plesso periombelicale: anastomosi fra le vene del sistema della mammaria interna e dell’epigastrica e le
vene collaterali del legamento falciforme del fegato Æ caratteristico segno di caput medusae:
quando esiste anche ascite, assume le caratteristiche di una vera e propria ernia ombelicale.
→ Varici esofagee
L’evento più frequente (50%) per quello che riguarda le emorragie digestive nell’etilista e nel cirrotico in
generale è la rottura delle varici esofagee. Questa evenienza drammatica è responsabile della morte dei
cirrotici in maniera inferiore soltanto al carcinoma epatocellulare.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 82
Le motivazioni per cui le varici esofagee sono con tanta frequenza un evento drammatico sono molte; esiste
intanto una complessa serie di interazioni idrodinamiche che portano il circolo venoso dell’esofago ad avere
una pressione decisamente elevata.
Oltre a questo, le vene esofagee si trovano nel contesto di una parete piuttosto piccola, di spessore ridotto, e
con l’assenza della sierosa; la vicinanza di strutture come i pilastri diaframmatici e lo sfintere esofageo
inferiore possono inoltre comprimere le varici ed agevolarne la rottura.
A tutto questo può aggiungersi la sindrome di Mallory – Weiss, ossia la erosione della mucosa della
giunzione esofago-gastrica per il ricorrente verificarsi di episodi di pituitismo, nell’etilista cronico.
Le conseguenze vanno dalla anemizzazione acuta più o meno grave allo shock anche fatale; è importante la
diagnosi differenziale con altre cause di sanguinamento digestivo, anche in quei pazienti che hanno un
processo conclamato di varici. L’endoscopia EGDS è il metodo migliore per verificare questo ed è anche la
metodica di elezione nel trattamento del sanguinamento delle varici.
→ Ascite
L’ascite si diagnostica di solito in seguito all’osservazione spontanea da parte del paziente di un gonfiore
dell’addome progressivo, che può anche essere doloroso. Quando si raggiungono questi eventi, siamo
almeno sui 500 – 1000 ml, che rappresentano la soglia di individuazione alla percussione.
L’indagine ecografica è in grado di rilevare anche 100 – 200 ml di liquido libero nell’addome
Inizialmente si deve eseguire la paracentesi con ago sottile allo scopo di prelevare 200 ml di liquido per
analisi. Lo scopo della terapia è quello di ottenere una progressiva perdita di liquidi, da 500 a 1000 ml al
giorno, attraverso la diuresi spontanea se possibile, oppure con l’uso di diuretici, o alla fine tramite
paracentesi.
→ Sindrome epato-renale
Grave complicazione del paziente con cirrosi ed ascite, questa malattia è caratterizzata da una disfunzione
renale senza che vi sia una precisa causa eziologica. Clinicamente si manifesta con iperazotemia, aumento
della creatina, diminuito riassorbimento di sodio e oliguria. La concentrazione urinaria di sodio escreto
scende al di sotto di 10 mEq nelle 24h.
La prova che non si tratta di un danno primitivo renale è data dal fatto che il rene di questi pazienti, se
trapiantati, hanno una normale funzionalità.
Può essere scatenata da una serie di fattori, come l’emorragia o l’uso massiccio di diuretici, ma può anche
presentarsi in assenza di una causa precisa.
La malattia sembra la conseguenza dello sbilanciamento dei flussi nel cirrotico, in particolare per via del
sequestro splacnico di sangue. Questo mette il rene in una condizione di ipoperfusione e produce i danni
descritti. Un’altra possibilità è un alterato equilibrio di prostaglandine e altri metaboliti dell’acido
arachidonico.
→ Sindrome porto-sistemica
L’encefalopatia epatica è una condizione caratterizzata da alterazioni neurologiche, dello stato di coscienza e
del comportamento secondaria alla disfunzione epatica.
a-KG
Falsi neurotrasmettitori: composti prodotti accidentalmente nell’intestino e non più rimossi dal
metabolismo epatico. Fra questi figura anche il GABA stesso.
Spesso, soprattutto nei pazienti con cirrosi stabilizzata, la sindrome si manifesta solamente in seguito a
condizioni precipitanti, come una emorragia digestiva massiva, che mette grandi quantità di ammoniaca
nell’intestino dal catabolismo dell’eme, oppure l’assunzione di una pasto ricco di proteine.
Anche l’alcalosi iperkaliemica, provocata da vomito, da paracentesi o da eccessivo uso di diuretici, può
essere un evento scatenante importante, perché produce il passaggio dell’ammoniaca dalla forma ionizzata
(NH4+) alla forma neutra (NH3), ed è solo quest’ultima che passa la BBB.
In genere poi qualsiasi complicazione riguardante il fegato scatena con facilità la sindrome.
Un rischio notevole associato a questi pazienti è l’apparente stato di lucidità mentale che può spingere a
crederli capaci di guidare autoveicoli o effettuare lavori rischiosi. Spesso muoiono per incidenti stradali a
causa dell’aprassia.
Desciviamo ora le varie cause di cirrosi epatica, esclusa quella alcolica che è già stata trattata.
Cirrosi biliare primitiva
Ostruzione infiammatoria dei dotti biliari intraepatici, con danneggiamento del parenchima e fibrosi
progressiva.
La malattia, associata con molte condizioni autoimmuni e la produzione di AMA, è dovuta ad un attacco dei
linfociti CTL contro i dotti biliari.
La malattia colpisce solo i piccoli dotti intraepatici, è completamente negativia alla ERCP e interessa per lo
più le donne di mezza età. Clinicamente sono molto suggestivi:
Ittero con prurito notturno, resistente agli antistaminici, senza bolle
Aumento di IgM, AMA, bilirubina, ALP e AST
Donna di mezza età
La clinica è segni e sintomi di ostruzione biliare cronica, come ittero, prurito, dolore dell’ipocondrio destro e
colangite acuta.
In seguito compaiono ostruzione biliare completa, cirrosi secondaria, insufficienza epatica e ipertensione
portale con ascite.
Diagnosi: reperto colangiografico con dotti ispessiti a corona di rosario. La CRPE è la tecnica di
visualizzazione di elezione, anche se non può osservare i dotti intraepatici. La colangite sclerosante può
essere la base diagnostica per la presenza di altre malattie sottostanti.
Rispetto alla cirrosi biliare si distingue perché:
La malattia colpisce dotti gradi e medi, ed è visibile alla retrograda
Colpisce per lo più maschi in giovane età, ed è associata alla colite ulcerosa
Acidi biliari elevati
Negatività AMA
AST, ALT normali
La terapia con colestiramina controlla il prurito, mentre in caso di sovrinfezione batterica ci vogliono
antibiotici specifici.
La prognosi di questa malattia è sfavorevole (media di 4-10 anni) per la frequente ricorrenza di fibrosi e
cirrosi biliare epatica. La colangite sclerosante primitiva è infatti una delle principali indicazioni per il
trapianto di fegato.
Cirrosi cardiaca
Un danno cronico del fegato secondario a insufficienza cardiaca si può creare facilmente. Si deve distinguere
però le forme cirrotiche dalle sofferenze ischemiche o congestizie reversibili che si creano in altre
circostanze, e questo è possibile sulla base della presenza di fibrosi e di noduli di rigenerazione, gli aspetti
tipici della cirrosi.
La patogenesi è legata all’aumento del gradiente pressorio fra le vene epatiche e la vena centrolobulare, con
conseguente necrosi centrale e successivamente fibrosi che dalla vena centrale si estende verso la periferia
del lobulo, con caratteristico aspetto stellato.
Macroscopicamente il fegato appare congesto, edematoso, a noce moscata, e può esserci epatomegalia
dolorante per distensione della Glissoniana.
Clinicamente, la malattia non presenta suggestivi segni di laboratorio, che se ci sono appaiono per lo più
legati ad eventi acuti di ipoperfusione o di shock. I segni di congestione epatica, come la pulsatilità,
scompaiono non appena si sviluppa la cirrosi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 85
Invece l’ascite e gli edemi possono essere ben peggiorati dal sopraggiungere di una cirrosi, in quanto fanno
già parte della sintomatologia dello scompenso cardiaco.
La diagnosi è facile, ma si può confondere la cirrosi cardiaca con l’ascite grave e intrattabile della S. di
Budd-Chiari. L’elemento per la diagnosi differenziale è la assenza, in quest’ultima patologia, di segni di
insufficienza cardiaca.
MALATTIE EPATICHE DA ACCUMULO
Le trattiamo a sé, ma sono comunque delle cause di cirrosi.
Morbo di Wilson
Malattia AR che consiste in un deficit di escrezione del rame, il quale si accumula nel fegato e nei nuclei
lenticolari.
Accanto ai sintomi epatici, a volte l’insorgenza della malattia è caratterizzata dalla sintomatologia
neurologica, legata alla degenerazione lenticolare. Tali sintomi comprendono tremore volontario e a riposo,
spasticità, rigidità, corea, scialorrea, disfagia e disartria. Nonostante il rame si distribuisca ubiquitariamente
nel cervello, non sono mai presenti alterazioni del sensorio.
Un segno importante a livello oculare è una striscia circolare giallo brunastra nel limite esterno della cornea,
detta anello di Kayser-Fleisher, indice di un importante accumulo di rame, che se assente esclude
l’interessamento celebrale della malattia. Se si trovano sintomi neurologici in assenza dell’anello, non si è in
presenza del morbo di Wilson.
Nella maggior parte dei pazienti con questi disturbi sono presenti disturbi psichici, che possono anche non
regredire interamente con la sola sospensione di rame, e che necessitano spesso una psicoterapia.
Si tratta con la rimozione rapida del rame in eccesso appena posta la diagnosi, indipendentemente dai sintomi
del paziente. A questo scopo la penicillamina in dosi elevate è la migliore risorsa. Per evitare due importanti
effetti collaterali, l’effetto antipiridossinico e le reazioni immunitarie al farmaco, vengono in genere
somministrati contemporaneamente piridossina e prednisolone (quest’ultimo durante i primi 20 giorni della
terapia).
Emocromatosi idiopatica
Malattia ereditaria autosomica recessiva caratterizzata da un eccessivo assorbimento intestinale di ferro, che
provoca degenerazione di diversi parenchimi, in particolare fegato, pancreas, cuore e ipofisi. Il termine
emocromatosi è sbagliato, in quanto il ferro in eccesso non deriva dal sangue e il composto che si accumula
non è l’emosiderina.
Le manifestazioni più comuni sono la cirrosi, il diabete bronzino, la miocardiopatia e l’ipogonadismo
ipogonadotropo.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 86
La malattia ha alta prevalenza (1 eterozigote su 10), e una incidenza di malati di circa 3 pazienti su 1000.
L’assorbimento della mucosa di ferro normalmente corrisponde al fabbisogno, 1 mg/24h nell’uomo e 1,5
mg/24h nella donna con mestruazioni regolari. Nella malattia supera i 4mg. Non è noto il modo in cui la
regolazione dell’assorbimento è alterata.
Nelle fasi avanzate della malattia l’organismo può contenere anche 20 g di ferro, principalmente negli
epatociti e nelle cellule di Kupfer, dove il contenuto di ferro aumenta da 50 a 100 volte la norma. Altro
grosso serbatoio è il pancreas.
Il fegato presenta un aspetto macroscopico ingrandito e nodulare. Al taglio appare spiccatamente color ocra.
I depositi parenchimali epatici sono sottoforma di ferritina e emosiderina. Negli stadi precoci si trova un
accumulo principalmente negli spazi periportali e nelle aree più esterne del lobulo epatico. Successivamente,
questo stadio evolve verso la fibrosi perilobulare, e infine alla deposizione di ferro nei fasci fibrosi ispessiti
che separano gruppi di lobuli. Il quadro è quindi simile alla cirrosi biliare, a parte naturalmente il ferro.
A dispetto dell’epatomegalia e della fibrosi, che sono praticamente sempre presenti fin dagli stadi precoci, in
più della metà dei malati la funzionalità epatica rimane normale. Anche la cirrosi tende a complicarsi con
l’ascite in misura minore che in altre situazioni. Di grande rilievo è invece la tendenza a progredire verso
epatocarcinoma, che rappresenta la causa di morte principale di questi pazienti.
CARCINOMA DEL FEGATO
I tumori maligni del fegato possono derivare da due gruppi di cellule:
→ Le cellule di Kupffer e gli epatociti (epatocarcinomi)
→ Le cellule dell’epitelio dei condotti biliari (colangiocarcinoma
Il carcinoma epatocellulare primitivo è una delle neoplasie più comuni, di solito con eziologia legata alla
cirrosi (90%), e incidenza elevata in Paesi come l’Asia e l’Africa, dove in alcune zone raggiunge i 500 casi
per 100 mila abitanti.
In Europa è responsabile dell’1-2% delle neoplasie di riscontro autoptico; alle nostre latitudini il massimo
dell’incidenza si osserva fra i 40 e i 50 anni.
Eziologia
→ Condizioni che provocano cirrosi: Qualsiasi condizione che provoca un danno epatocellulare cronico e
stimola la mitosi delle cellule epatiche aumenta il rischio di carcinoma. Fra queste sono importanti:
Cirrosi alcolica
Emocromatosi
Deficit di a1AT
Schistostomiasi
Ipertirosinemia
→ Infezione associata da HBV e HCV: Il motivo dell’alta incidenza nelle aree di Africa e Asia è legato
alla prevalenza di questi virus, che in molti casi provocano cirrosi. Il paziente con infezione cronica da HBV
è a rischio di carcinoma anche se non ha la cirrosi (essendo il virus stesso un cancerogeno).
I sintomi peraltro abbondanti possono passare inosservati con una certa facilità perché spesso in questi
pazienti esiste un quadro sottostante di ascite, e quindi si interpreta la sintomatologia come un
peggioramento di essa.
Le complicanze più temibili dell'epatocarcinoma sono l'ittero ostruttivo, l'enterorragia da rottura di varici
esofagee e l'emorragia intraperitoneale da rottura del tumore stesso
Una percentuale di pazienti può avere anche una sindrome paraneoplastica, per lo più associata alla
produzione da parte del tumore di:
Eritropoietina
Ipercalcemia
aFP, CEA, ALP, gGT
Ipoglicemia
Ipercolesterolemia
Porfiria cutanea tarda
Diagnosi
Ecografia: l’indagine di primo approccio per eccellenza, serve a monitorare la progressione della cirrosi e
l’eventuale comparsa di noduli primitivi in soggetti ad alto rischio, in etilisti cronici, in malati di epatite C.
TAC spirale: Tac differenziale che permette la risoluzione della diagnosi differenziale fra epatocarcinoma e
angioma epatico sintomatico, dubbio che si pone in una minoranza di casi e che non può essere risolto dalla
semplice ecografia perché il flusso sanguigno all’interno dell’angioma è troppo lento per dare origine
all’effetto Doppler e così l’intera struttura sembra avascolare.
Risonanza Magnetica Nucleare: Spesso è usata al posto dell’ecografia per la sua maggiore sensibilità, ma
ha un costo più elevato ed è più complessa da utilizzare.
Arteriografia dell’arteria epatica: Anche questa viene usata per la diagnosi differenziale con gli angiomi.
Scintigrafia con tecnezio99: Permette l’individuazione delle cellule di Kupffer dentro la massa tumorale, che
hanno una attiva captazione del mezzo di contrasto. La neoplasia epatica si differenzia così in
epatocarcinoma e colangiocarcinoma, oltre che per altri segni di cui si dirà dopo.
Gli esami di laboratorio, ricordati nella clinica della malattia, sono importanti anche per la diagnosi oltre che
per il follow-up post-terapeutico. I livelli critici di aFP sono superiori a 500 ug/l, in quanto livelli inferiori si
hanno nelle neoplasie di altro genere che metastatizzano al fegato, nell’epatite virale, eccetera. La persistenza
di alti livelli, oltre a 1000, è indice abbastanza sicuro di neoplasia epatica in presenza di un quadro clinico
compatibile.
Risolutiva nei confronti di una lesione identificata mediante le tecniche di imaging è la biopsia epatica
percutanea, oppure in via laparoscopica.
Terapia
Quando la malattia è scoperta per le sue manifestazioni cliniche in genere siamo davanti ad un quadro
troppo avanzato perché sia possibile un intervento efficace, e la sopravvivenza media è bassa, sotto 1-2 anni.
In genere però il paziente non trattato muore entro 3-6 mesi dall’evidenza clinica di neoplasia.
I soggetti in cui può essere effettuata una diagnosi precoce con lo screening spesso possono essere trattati
con migliore efficacia. La terapia chirurgica resta attualmente l’unico intervento in grado di dare realmente la
possibilità di risoluzione. La sopravvivenza a 5 anni tuttavia è bassa, perché molti pazienti non possono
essere trattati chirurgicamente.
Terapia chirurgica: Si può fare un intervento del genere in una limitata serie di circostanze. Il paziente deve
avere una neoplasia superficiale, facilmente raggiungibile per via laparoscopica. In circostanze come il
quadro di una cirrosi, diventa difficile avere casi di persone in grado di sopportare un intervento chirurgico,
per diversi motivi: la massa epatica da asportare può scompensare l’insufficienza, il quadro emo-coagulativo
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 88
può essere eccessivamente alterato, i farmaci anestetici possono dare reazioni anormali a causa della
diminuita biotraformazione.
Purtroppo, nonostante esistano esami di screening per la popolazione a rischio, quali l'ecotomografia e lo
studio di marcatori tumorali (AFP) e degli indici di funzionalità epatica, ancora frequentemente vengono
diagnosticati HCC non suscettibili di trattamento radicale (resezione o trapianto epatico). La scarsa
operabilità degli HCC è dovuta a diversi fattori, tra cui le dimensioni del tumore, la sua sede, le sue
caratteristiche isto-patologiche, la gravità della cirrosi e quindi la scarsa riserva funzionale epatica, l'età
avanzata del paziente, le condizioni fisiche scadenti.
TACE: Tra le opzioni terapeutiche acquista, quindi, un ruolo significativo la chemioembolizzazione
(transarterial chemoembolization, TACE). Partendo dal presupposto che i nodi di HCC sono spesso
ipervascolarizzati e che la loro vascolarizzazione è per più dell'80% di origine arteriosa, a differenza del
restante parenchima epatico che riceve il sangue prevalentemente dal sistema portale, questa metodica
consente la somministrazione loco-regionale di farmaci chemioterapici e di procedere all'occlusione dei vasi
arteriosi afferenti alla lesione, riducendo al minimo i danni al parenchima circostante.
Alcolizzazione per via percutanea: Si tratta di un processo di iniezione di piccole quantità di alcool con una
cannula intraperitoneale, nel luogo della lesione neoplastica. L’alcool etilico al 100% provoca la necrosi del
tessuto tumorale. E’ un protocollo di minor efficacia rispetto alla chemioembolizzazione, e che ha il rischio
di sgocciolamento del liquido nel peritoneo, con peritonite chimica. Inoltre è scarsamente applicabile nei
tumori provvisti di capsula perché l’etanolo tende a diffondere eccessivamente dal sito di inoculo e a causare
una perdita eccessiva di parenchima epatico. In questi casi, se proprio non esistono altre opzioni è opportuno
fare più somministrazioni frazionate. Questa metodica ha il vantaggio di essere pratica, estremamente
economica e con scarse complicanze (peritonite chimica e ascessi infetti)
RITA: La irradiazione della lesione mediante un ago con diverse espansioni che trasmette microonde ad alta
frequenza è un altro protocollo sperimentale. Il meccanismo d’azione terapeutico risiede nello sviluppo di
calore (la testina dello strumento sviluppa fino a 110°C) che causa necrosi coagulativa come l’etanolo ma in
maniera più controllabile. Vantaggi rispetto all’alcolizzazione: meno complicanze; svantaggi: metodica +
complicata, necessita di anestesia locale o profonda se il tumore è abbastanza vicino alla glissoniana.
Immunoterapia con Ab monoclonali coniugati con sostanze tossiche
Trapianto potrebbe essere una valida alternativa, ma la frequenza di recidive, e la presenza di metastasi a
distanza ne hanno scoraggiato l’applicazione.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 89
Eziologia
I fattori eziologici che portano alla pancreatite sono moltissimi. I principali fattori con il loro meccanismo
patogenetico sono:
Alcool: in Europa è la prima causa di pancreatite acuta, sia per effetto diretto sulle cellule pancreatiche
che per la sua capacità di attivare gli zimogeni intraduttali
Calcolosi: il ristagno di bile nella papilla di Water provoca il reflusso di enzimi pancreatici o di bile
stessa nel dotto di Wirsung.
Neoplasie della testa del pancreas
Fibrosi cistica
Vasculiti
Farmaci
Condizioni idiopatiche
In ogni caso il danno primario è il danneggiamento del parenchima funzionale da parte degli enzimi che
normalmente sono inattivi (secreti come zimogeni) e compartimentalizzati. Il ristagno nel dotto per qualsiasi
causa di ostruzione provoca l’autodigestione del tessuto ghiandolare e di conseguenza la lisi della ghiandola
e del suo tessuto, con le conseguenze che ne derivano.
In corso di pancreatite acuta il processo digestivo si estende molto nello spazio retroperitoneale, e inoltre,
per motivi non chiari, si osserva una diffusione dei liquidi negli spazi extracellulari in tessuti anche molto
distanti dal pancreas, come l’interstizio polmonare o il sottocute.
Si sviluppa quindi ipotensione, sia per la difficoltà del cuore a far fronte alle esigenze di vascolarizzazione
del tessuto periferico per la vasodilatazione e l’ipovolemia, con conseguente venomozione, sia per la
liberazione delle sostanza vasoattive.
Inoltre un altro effetto importante è la diminuzione della concentrazione di calcio, dovuta a diversi
meccanismi:
-diminuzione dell’albumina per effetto della produzione di essudato infiammatorio
-precipitazione dei sali di calcio nelle arie di liponecrosi
-diminuzione dell’attività delle paratiroidi
-aumentata liberazione di calcitonina
L’ipotensione si ripercuote soprattutto a livello di rene e polmone, dove si aggiunge anche il danno da
essudato. Gli effetti di questo sono una sindrome polmonare simile all’ARDS e una sindrome uremica renale.
Clinica
→ Dolore: il dolore pancreatico è presente praticamente sempre, ed ha caratteristica continua e diffusa,
sordo e ottenebrante. Tipicamente è localizzato nell’ipogastrio, esteso ai lati e a sbarra nel terzo inferiore
della schiena. Il paziente tende ad assumere la posizione antalgica a canna di fucile. Per la localizzazione del
pancreas, raramente si osserva reazione peritoneale di difesa.
→ Nausea e vomito compaiono spesso come sintomatologia riflessa. Il vomito non è a getto, come il vomito
centrale, e continua molto a lungo. Finito il vomito alimentare il paziente continua ad emettere succhi
gastrici e bile.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 90
La valutazione clinica della gravità della pancreatite acuta è importante, perché un trattamento medico delle
forme aggressive risulta efficace, mentre quelle blande possono risolvere spontaneamente anche in 24-48 h.
I criteri predittivi di Ramson sono importanti per valutare la mortalità. Sono undici parametri, che a seconda
di quanti sono positivi nel paziente indicano la mortalità: 0-3 criteri, 0.9%; 3-4 18%, 5-6 40%, >6 90%
Sono distinti in criteri al momento del ricovero e in criteri dopo 48 ore di osservazione.
Età > 55 anni
Leucociti >16000
Glicemia > 200
LDH > 350
SGOT >250
Dopo le 48 h:
Riduzione dell’Ht > 10%
Azotemia > 50
Calcemia < 8
PO2 < 60
Deficit di basi fino a 4 mEq
Sequestro di liquidi > 600ml
Le complicanze della pancreatite sono l’ascesso e la pseudocisti, associate ad altre complicanze minori,
meno frequenti.
L’ascesso è la raccolta di materiale necrotico, sangue e succo pancreatico in una cavità costituita da aderenza
fibrose post infiammatorie, ma prima di un rivestimento epiteliale proprio. L’infezione di questa raccolta,
che si sviluppa nel pancreas, nelle sue vicinanze ma anche nella pelvi, porta alla formazione dell’ascesso.
La pseudocisti, che raramente si forma per ostruzione del dotto in assenza di pancreatite acuta, alla sua
origine ha sempre una comunicazione con il sistema duttale, ma la può perdere in seguito.
Non si risolvono spontaneamente e sono caratterizzate dalla presenza di una dolorabilità alla palpazione della
sede interessata, dove compare anche una dolorabilità diffusa. Non è rara la compressione dell’intestino a
livello duodenale e la complicazione ostruttiva pilorica, con nausea e vomito.
Diagnosi
Il quadro labolatoristico è abbastanza esteso:
Amilasemia: aumenta in quantità variabili ma costantemente, da valori normali di 150-200 a punte di
anche 8000. Il picco si ha rapidamente nei primi 2-3 giorni della sintomatologia ma altrettanto
rapidamente scompare, anche in quei casi in cui si è determinata la distruzione completa della
ghiandola.
Amilasuria: nei pazienti con pancreatite acuta e normale funzionalità renale, la clearence dell’amilasi
può essere rapida e si avrà amilasuria anche in assenza di amilasemia. Questo rimane persistente
anche diversi giorni dopo la pancreatite cronica.
Clearence renale: dopo una pancreatite acuta la clearence dell’amilasi è maggiore. Allora esiste un
indice per valutare il rapporto fra amilasuria e clearence renale, cioè:
Amilasuria creatinemia
× × 100 . Se questo valore è < 3, non si tratta di patologia pancreatica, fra
amilasemia creatinuria
3 e 5 è incerto, oltre a 5 è sicuramente pancreas.
Lipasemia: aumento tardivo ma persistente nel tempo.
Calcemia: come si è detto diminuisce, ed è un criterio prognostico negativo
Valori elevati di enzimi cellulari: LDH, GOT, GPT
Attivazione del complemento
Criteri metabolici di Ramson
Bilirubina, ALP e γGT se c’è ostruzione al flusso biliare
PANCREATITE CRONICA
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 92
Clinicamente, il singolo episodio di pancreatite cronica è simile a quella acuta, a volte è presente solo un
dolore epigastrico che dura diverse ore o giorni.
La triade sintomatologica classica (calcificazioni pancreatiche, steatorrea e diabete mellito) è presente
solo nel 30% dei casi.
La pancreatite cronica è infatti, a differenza di quella acuta, un fenomeno progressivo di distruzione del
tessuto pancreatico. La distruzione provoca dolore, e la steatorrea si manifesta quando la riserva funzionale
delle cellule è minore del 10%.
Il dolore resta comunque il sintomo predominante: è intenso, difficile da trattare e può richiedere narcotici.
L’assunzione di un pasto abbondante, specie se contenente alcool o grassi, lo fa aumentare.
Possono esserci sintomi indicativi di malassorbimento, come perdita di peso e alterazione dell’alvo, ma
senza che ce ne sia un motivo preciso motivo non c’è mai carenza di vitamine liposolubili.
L’esame obiettivo è poco significativo
→ I livelli sierici di amilasi e lipasi sono nella norma, a differenza della forma acuta.
Si esegue in genere un test di stimolazione con secretina, che risulta positivo solo nel 60% dei casi.
Si possono dosare i livelli ematici di tripsina, che risulteranno classicamente bassi.
Rx addome: per lo più è indicativa di lesioni calcifiche, che sono caratteristiche dell’abuso di alcool e
indicano un danno grave del parenchima pancreatico. Le calcificazione in una certa % di pazienti
non sono permanenti e possono anche scomparire.
TAC
CPRE: unica metodica non chirurgica che permette la visualizzazione diretta dei dotti. Distingue fra
forma ostruttiva e non ostruttiva
Ecografia: permette di escludere un carcinoma o una pseudocisti, e identifica calcificazioni e
dilatazione duttale che costituiscono un segno importante di pancreatite cronica.
La terapia si basa su
Eliminazione dei fattori eziologici
Controllo del dolore
Trattamento delle complicanze a lungo termine
Prevenzione del malassorbimento
Questi scopi sono raggiunti in vario modo. Il trattamento del dolore ricorrente viene effettuato come nella
pancreatite acuta. Poiché però spesso i narcotici danno assuefazione, si cercano strategie alternative per la
riduzione del dolore.
In molti casi la rimozione chirurgica del tratto morfologicamente alterato (individuabile con la CPRE) da
sollievo e scomparsa del dolore. Spesso però, e soprattutto in pazienti alcolici, il danno al pancreas è esteso
non segmentale, e questo comporta la necessità di asportare buona parte del tessuto con sviluppo di
insufficienza esocrina ed endocrina.
Dosi elevate di enzimi pancreatici possono ridurre il dolore ed aiutano a controllare la sindrome da
malassorbimento. In effetti è sufficiente che vi sia una concentrazione di lipasi del 10% del normale per
annullare la steatorrea, ma purtroppo con i farmaci attualmente in commercio questa concentrazione non
viene raggiunta nemmeno somministrando concentrazioni elevate di enzimi. Per migliorare la
concentrazione di lipasi, si somministra assieme ad essa degli inibitori della secrezione gastrica.
Le restrizioni dietetiche sono importanti e devono essere applicate ai grassi e ai carboidrati, a beneficio
delle proteine. Assolutamente da evitare l’alcool.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 93
Più raramente, il tumore può comprimere le strutture vicine, dando ipertensione portale e splenomegalia.
La malattia ha una diffusione locale molto rapida, perché il pancreas non ha la tonaca sierosa essendo un
organo retroperitoneale.
Per contiguità diffonde rapidamente a duodeno, stomaco, vasi retroperitoneali.
Diffonde anche rapidamente per via linfatica e per via celomatica.
Diagnosi
La diagnosi precoce di questo carcinoma è molto difficile: infatti i sintomi e la clinica danno una evidenza
minima soltanto quando la neoplasia si è già diffusa: questo accade per la rapidità di diffusione metastatica.
I marker che esistono sono due:
CEA: sensibile ma poco specifico
CA19.9: sensibilità 81%, specificità 90%; non è però precoce. Attualmente si cerca di usarlo come
programma di Screening.
Ecografia: associata allo studio radiologico con mezzo di contrasto per escludere ulcera peptica ed ernia
iatale.
TAC: staging . Sensibilità per lesioni del diametro di almeno un cm, evidenzia l’80% delle lesioni maligne,
può dare falsi positivi.
Retrograda: diagnostica le stenosi del Wirsung. Pochi falsi negativi, ma diagnosi differenziale difficile con
la pancreatite cronica.
Agobiopsia con guida ecografica: conferma del sospetto clinico, evita l’intervento chirurgico, ma è
associata a rischio di disseminazione (seeding).
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 94
I tumori del pancreas sono tumori a cellule insulari; tali cellule sono di quattro tipi, le A secernenti
glucagone, le B secernenti insulina, le D che producono somatostatina e le PP che producono polipeptide
pancreatico. Ognuna di queste cellule è in grado di secernere anche altri peptidi regolatori, come gastrina,
VIP, ACTH eccetera. I tumori quindi possono secernere di tutto, e si classificano sulla base di quello che
producono prima che secondo le cellule da cui prendono origine.
Gastrinoma
Descritto nel 1955 da Zollinger ed Ellison (vedi), il tumore che produce la sindrome omonima, sebbene raro,
è la forma più frequente di neoplasia endocrina secernente. La sua incidenza è bassa anche nei gruppi
selezionati. Dal 25 al 50% dei tumori del genere si associano alla sindrome MEN1, ossia alla presenza di
neoplasie endocrine multiple, soprattutto con l’ipoparatiroidismo.
Circa l’80% origina dalle isole pancreatiche, gli altri prendono origine dal triangolo dei gastrinomi come già
detto altrove.
Il comportamento biologico varia, ma in genere è abbastanza aggressivo: dalla metà a due terzi di questi
tumori sono caratterizzati da andamento maligno, con metastasi al fegato e alle ossa. Sembra però che
attualmente le metastasi siano in diminuzione al momento della diagnosi, anche grazie a criteri più selettivi e
precisi.
Questo è importante soprattutto per il fatto che questo tipo di neoplasie si asportano bene quando sono
isolate. E inoltre le metastasi possono avere un comportamento diverso, e più aggressivo, delle neoplasie
originarie.
Insulinoma (a cellule beta)
Abbastanza comune, subito dopo il gastrinoma, questi tumori hanno la caratteristica invariabile di produrre
una ipoglicemia incontrollabile. Sono prevalenti nella popolazione con 8 casi su 10 milioni, ed insorgono per
lo più fra il 5° e il 7° decennio di vita. La malattia si manifesta classicamente con la triade di Whipple, così
definita:
Ipoglicemia a digiuno
Sintomi di ipoglicemia
Reversibilità di questi dopo infusione endovenosa di glucosio.
Attualmente la diagnosi viene posta considerando la presenza di ipoglicemia in presenza di normali o
aumentati livelli di insulina. Tutto questo è anche accompagnato spesso da diversi sintomi legati alla
ipersecrezione di insulina, e da obesità per eccesso di cibo ingerito ( e anche per aumento dell’anabolismo).
Caratteristicamente, i sintomi associati alla lesione inizialmente sono intermittenti, perché la secrezione di
insulina è transitoria. Questo è associato quindi spesso ad un periodo di digiuno. Con il progredire del tempo
si instaurano costantemente. In genere i sintomi sono così precoci che la diagnosi si fa per tumori ancora
molto piccoli.
Non sono molto facili da rilevare perché sono piccoli (spesso < 2cm) ma nell’85% dei casi l’ecografia
endoscopica riesce a rilevarli.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 95
Attenzione, per quei pazienti che non possono essere operati, a monitorare sempre la terapia cronica: in non
pochi casi possono insorgere metastasi secernenti glucagone che implicano un radicale cambiamento dei
farmaci somministrati.
Vipoma (sindrome da diarrea acquosa)
Malattia rara (1 caso su un 10 milioni) caratterizzata dalla presenza di un tumore entero-pancreatico
produttore di VIP.
Le manifestazioni cliniche sono secrezione endoluminare di potassio, con diarrea acquosa, ipokalemia e
insufficienza renale.
La diarrea può superare i 3 litri al giorno, e la perdita di bicarbonato con le feci produce acidosi e danneggia
il rene.
Il VIP induce la secrezione gastrica di glucagone, e anche la diminuzione del potassio. La secrezione di
insulina è diminuita dalla perdita di potassio. Le cellule insulari che controllano la glicemia sono infatti così
regolate. Il glucosio che entra dall’esterno attiva la glicolisi, produce ATP, e attiva la pompa del sodio, la
quale pompa all’intero potassio. La [K+] è quindi proporzionale a quella del glucosio. L’insulina quindi viene
secreta in presenza di alte concentrazioni di potassio, il glucagone durante la ipokalemia. Molti pazienti con
VIPoma sviluppano iperglicemia.
Glucagoma
Serie di tumori che secernono diversi peptidi, ma che hanno in comune la produzione di glucagone. Unici, di
grandi dimensione e a lenta crescita, più del 75% di questi tumori ha già metastatizzato, al fegato o alle ossa,
al momento della diagnosi. In alcuni casi sono associati alla MEN1.
Livelli di glucagone sopra ai 1000 ng/l sono indicativi, livelli più bassi possono essere associati al diabete ed
altre patologie del fegato.
Le alterazioni metaboliche nel catabolismo degli aminoacidi e nella produzione di glucosio producono
iperglicemia, diminuzione della concentrazione di aminoacidi anche del 25%, e ipocolesterolemia.
Una manifestazione caratteristica è un rash cutaneo migrante, a caratteristiche variabili da bolloso a
psoriasico a crostoso. Il diabete è di solito modesto e non si associa a chetoacidosi.
La terapia radicale chirurgica è risolutiva solo nel 30% dei casi: nonostante le dimensioni, infatti, non danno
sintomi importanti per molto tempo. La chemioembolizzazione dell’arteria epatica e l’alcolizzazione danno
risultati buoni, molto meglio della chemioterapia.
La lenta crescita comunque permette una lunga sopravvivenza anche di quei pazienti che hanno già
metastasi.
Somatostatinoma
Ultimai identificati nel campo dei tumori pancreatici, queste malattie hanno caratteristicamente una triade
sintomatologica:
Diabete mellito (probabilmente per la secrezione di altri peptidi)
Colelitiasi
Steatorrea (inibizione della secrezione pancreatica)
La sede primaria è il pancreas, seguita dall’intestino tenue, in cui si manifesta però una sintomatologia più
modesta.
In genere sono unici, voluminosi e metastatici al momento della diagnosi. Molti tumori secernono
somatostatina; le associazioni più comuni di somatostatinoma sono con la MEN-2.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 96
Il colesterolo è una sostanza relativamente insolubile in acqua che ha bisogno di una sostanza lipidica per
essere solubilizzato, la lecitina, e sostanze anfipatiche che sono in grado di formare con esse delle micelle, i
sali biliari.
I meccanismi che provocano la litiasi di colesterolo sono quindi principalmente di tre tipi:
Aumento della produzione di colesterolo:
Obesità
Dieta ipercalorica
Assunzione di farmaci come il clofibrato.
Aumento dell’attività dell’HMG-CoA, enzima collo di bottiglia della sintesi del colesterolo
Riduzione della conversione del colesterolo in acidi biliari
Diminuzione della produzione di acidi biliari
Diminuzione della capacità sintetica del fegato da difetti metabolici congeniti
Riduzione della circolazione enteroepatica di sali biliari
Riduzione della attività della 7alfaidrossilasi, enzima collo di bottiglia della sintesi epatica di
acidi biliari.
Formazione di vescicole difettive: normalmente le vescicole di colesterolo sono fatte in modo da essere
convertite in formazioni più stabili di fosfolipidi e colesterolo. Durante la loro formazione, le
vescicole possono acquistare troppo colesterolo, divenire instabile e favorire l’aggregazione di
cristalli di colesterolo.
Clinica
In genere i calcoli della colecisti sono asintomatici, fino a quando non migrano nel coledoco o nel dotto
cistico, e ne provocano infiammazione e/o ostruzione. A questo punto si verifica il classico episodio di
contrazioni ripetute che provocano la colica biliare, con un dolore intenso, costante, avvertito come una
pressione epigastrica o nell’ipocondrio destro, frequentemente irradiata all’area interscapolare o alla spalla
destra.
La colica inizia all’improvviso e dura anche 3-4 ore con notevole intensità. Può seguire una dolorabilità e un
dolore sordo che dura per diverse ore. Spesso c’è vomito e un leggero rialzo della bilirubina, ma non
superiore a 5 mg/dl.
In genere, ovviamente, la colica è scatenata dai pasti, non necessariamente abbondanti.
Il passaggio di calcoli nel dotto biliare si verifica nel 10-15% dei pazienti con colelitiasi, e aumenta in
relazione all’età. In genere questi sono calcoli di colesterolo.
Nella calcolosi primitiva del coledoco, invece, sono costituiti da pigmento, e si sviluppano in pazienti con
malattie emolitiche croniche, parassitosi epatobiliare, anomalie congenite dei dotti biliari (malattia di Caroli),
dilatazione, sclerosi o stenosi dei dotti.
La calcolosi del coledoco finisce spesso per dar luogo, oltre alle coliche, a complicanze importanti:
Colangite acuta: fin da subito in 3/4 dei casi si ha sovrapposizione di infezione batterica. Il quadro
clinico tipico è rappresentato da febbre con brividi, ittero e colica biliare (triade di Charcot). La
forma + comune è non suppurativa, che risponde al trattamento con antibiotico. Invece la forma
suppurativa si associa alla presenza di nausea, vomito e possibilità di shock con batteriemia. Queste
complicazioni si trattano con intervento endoscopico in maniera estremamente efficace.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 97
Ittero ostruttivo: si può avere quando si abbia una progressiva ostruzione del coledoco nell’arco di
settimane o mesi. Di solito si associa alla fine a dolore, e se non lo fa è più indicativo di un
carcinoma comprimente delle strutture circostanti. Inoltre, secondo il principio di Courvoisier, la
colecisti non è palpabile (se lo è, indica carcinoma). La bilirubina, non più escreta nelle feci, si
riversa nelle urine, formando bilirubinuria e feci acoliche. La bilirubinemia non sale mai tanto, non
sopra a 5.
Pancreatite: circa il 30% dei pazienti con calcolosi sviluppa pancreatite. Si diagnostica per il dolore, a
sbarra, il vomito protratto con ileo paralitico, e la presenza di versamento pleurico sinistro. In genere
l’interessamento pancreatico si risolve con la risoluzione della malattia litiasica.
Diagnosi
Radiografia dell’addome: di basso costo, ma individua solo quella quantità di calcoli che contengono
calcio in quantità tale da essere radiopachi, cioè il 50% di quelli pigmentati e il 20-30% di quelli di
colesterolo.
Ecografia della colecisti: Rapida, identifica accuratamente il 95% dei calcoli, e permette il controllo
contemporaneo anche del fegato, del pancreas e delle vie biliari. Essendo un esame in tempo reale,
permette di ricevere anche informazioni sulla motilità e la contrattilità della colecisti stessa. Non è
limitata da ittero e gravidanza, e identifica anche calcoli piccoli, di 2mm. La mancata visualizzazione
della colecisti in un paziente a digiuno è indice abbastanza sicuro di una malattia di essa. Permette
inoltre di differenziare la sabbia dai calcoli, in quanto la prima non produce ombre acustiche e si
muove con il cambio di posizione
Colecistografia orale: permette di verificare la pervietà del dotto cistico e la funzione di svuotamento
della colecisti. Permette inoltre di vedere i calcoli e verificare se sono calcifici. Rispetto all’ecografia
ha diversi svantaggi. Infatti non da risultati attendibili se:
Bilirubina >2-4 mg/dl
Impossibilità di ingerire compresse (disfagia)
Escrezione epatica alterata
Calcoli molto piccoli
Scintigrafia: Identificazione accurata dei calcoli e contemporanea valutazione delle condizioni dei dotti
biliari.
Terapia
Chirurgicamente, l’asportazione della colecisti profilattica nei confronti di complicazioni è limitata al
verificarsi di tre fattori:
Sintomi frequenti e importanti che interferiscono con la vita del paziente
Pregressa complicazione della malattia
Concomitante condizione che aumenta il rischio di malattia o calcoli molto voluminosi.
In genere l’età inferiore a 50 anni è un fattore che rende ragione della necessità di operare, ma non è una
regola. Il trattamento chirurgico per eccellenza è la terapia per via laparoscopica.
Dal punto di vista medico, il presidio terapeutico principale è l’UDCA, un acido biliare secondario, (Uridin
Deossi Colic Acid), che ha diverse attività:
Diminuisce la formazione di colesterolo inibendo l’HMG-Coa riduttasi
Produce una fase lamellare che scioglie il colesterolo
Ritarda la nucleazione
Il problema è che la terapia è lunga, costosa, attiva solo sui calcoli piccini e non mette al riparo da recidive.
Può essere usata anche però come trattamento delle recidive dopo l’operazione
C’è poi la frammentazione dei calcoli con onde sonore, che però non si usa molto perché la colecistectomia è
molto efficace, e comunque ci possono essere recidive.
COLECISTITE ACUTA
Colecistite litiasica
Consegue in genere all’ostruzione del dotto cistico ad opera di un calcolo, ed è legata fondamentalmente a
tre processi principali:
Infiammazione meccanica provocata da un aumento di pressione intraluminare, con ischemia della
mucosa e della parete della colecisti
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 98
Infiammazione chimica causata dalla liberazione di lisolecitina, per azione degli enzimi dei PMN sulla
lecitina biliare
Infiammazione batterica, che rappresenta un fattore importante perché si è visto che circa il 50 – 80%
dei calcoli ostruttivi si accompagna ad infezione, spesso da parte di Klebsiella, Streptococco,
Stafilococco e Clostridio.
La sintomatologia dolorosa iniziale è identica alla calcolosi biliare, di cui la colecistite costituisce infatti una
complicazione. Il dolore però non tende a risolversi spontaneamente dopo 3-4 ore, ma diventa invece diffuso
e peggio localizzato alla regione addominale destra. Anche in questo caso può irradiarsi alla spalla.
Spesso c’è vomito, e compaiono segni di interessamento peritoneale dell’infiammazione, con dolore da
rimbalzo che si accentua con l’ispirazione.
Segno di Murphy generalmente positivo. Caratteristicamente c’è febbre.
Altamente indicativa, in presenza soprattutto di una storia di calcolosi e coliche biliari, è la triade dolore
addominale superiore destro, febbre, e leucocitosi, in genere fra 10 e 15 mila.
L’aumenta della bilirubina è modesto, in genere entro 5 mg%, mentre le transaminasi possono salire ma non
oltre valori di 5 volte la norma (200 U/l).
Clinicamente rimane indistinguibile dalla forma litiasica, e si differenzia solo per l’assenza di calcoli e in
genere per l’associazione con un quadro sottostante di una malattia grave, della quale costituisce in pratica
una complicazione.
E’ inoltre associata ad un rischio molto maggiore di complicanze, e l’efficacia degli interventi terapeutici
dipende dalla precocità della diagnosi, e dall’intervento chirurgico precoce con controllo della fase post-
operatoria.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 99
PARTE TERZA
PATOLOGIE DELL’ENDOCRINO
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 100
→ L’ADH agisce su un recettore (V2) situato nella superficie basale e laterale delle cellule epiteliali dei dotti
collettori renali. Promuove la trasmigrazione sulla membrana di proteine canale (acquaporine) che
aumentano la permeabilità del dotto stesso all’acqua e all’urea.
Agisce anche nel tratto iniziale dell’ansa ascendente di Henle tramite il recettore V2 aumentando il trasporto
di urea verso l’interno e di sodio verso l’esterno. Promovendo la fuoriuscita di urea dal dotto collettore e
il riassorbimento nell’ansa di Henle, contribuisce a potenziare il meccanismo di concentrazione
osmotica controcorrente e quindi potenzia il riassorbimento di acqua anche per questo.
Il risultato è quello di aumentare la volemia e aumentare la concentrazione delle urine per riassorbimento
dell’acqua e del sodio. Grazie all’ADH vengono riassorbiti mediamente circa 15-20 litri di urina al giorno.
→ L’ossitocina promuove la maturazione della ghiandola mammaria, il picco di prolattina dopo la poppata,
le contrazioni uterine al momento dell’orgasmo, del parto, nel secondamento e nel post partum.
DIABETE INSIPIDO
Si definisce diabete insipido centrale quella forma di diabete caratterizzata da polidipsia e poliuria per una
diminuzione della secrezione di ADH, mentre il diabete insipido nefrogenico deriva da una insensibilità a
livello renale all’ormone normalmente secreto.
Tipicamente il senso della sete è conservato e questo di solito è sufficiente ad impedire la disidratazione,
mentre invece nell’anziano e nei pazienti chirurgici o in rianimazione il problema è rilevante.
Complicazioni possono essere l’insufficienza renale e la poliuria.
Diagnosi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 101
Test di disidratazione
Si sospendono i liquidi per circa 6 ore, fino ad ottenere una osmolarità urinaria costante per almeno tre ore
consecutive. In seguito viene fatto un bolo di 5 unità di ADH in soluzione acquosa. Dopo 30-60 minuti si
preleva un campione di urine e si valuta l’OSM urinaria.
Soggetto normale: aumento dell’OSM urinaria < 9% rispetto allo stato stabile
Diabete insipido centrale: aumento OSM U > 9%
Diabete insipido nefrogenico: nessun aumento OSM U
Potomania: come soggetto normale.
Non sono considerate cause della sindrome tutte quelle condizioni di ipersecrezione di ADH appropriate alla
volemia o all’OSM del plasma.
Si ha una escrezione urinaria con OSM elevata nonostante la normalità dell’OSM plasmatica. L’OSM
urinaria è sempre sopra a 300 mOSM/l, il PS sopra a 1025-1030. La diminuzione OSM plasmatica provoca
edema extracellulare, con disidratazione delle cellule per fuoriuscita di acqua dal loro interno, e quindi si
possono avere danni al SNC.
Il meccanismo che provoca principalmente i sintomi è l’iponatriemia: se questa si instaura lentamente e non
supera i 135-130 mmol/l, allora si ha nausea, vomito, anoressia. Nelle forme gravi predominano i sintomi
dell’edema cerebrale con irrequietezza, agitazione, tremori, fino alle convulsioni e il coma.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 102
La diagnosi si basa sui sintomi clinici ed evidenza di alti livelli di ADH in assenza di una causa che provoca
appropriata secrezione di ADH. Presenza di basso volume e PS urinario e contemporanea presenza di elevata
OSM plasmatica.
Nella sindrome della sella vuota abbiamo una debolezza congenita della dura madre, che provoca la
dilatazione dello spazio aracnoidale e compressione dell’ipofisi
Clinica
Queste cause in genere distruggono tutta o quasi la ghiandola, e quindi si hanno sindromi da carenza multipla
di ormoni.
GH: nel bambino provoca nanismo, nell’adulto provoca alterazione della regolazione del metabolismo
proteico e osseo (osteoporosi e obesità), ritardo della velocità della crescita, obesità, osteoporosi,
ipoglicemia, riduzione della massa muscolare, aumento della sensibilità all’insulina, aumento del
rischio di malattie CV
LH: nel maschio Æ diminuzione del testosterone e della spermatogenesi; nella femmina Æ
ipogonadismo, amenorrea.
FSH: infertilità maschile e femminile, per diminuzione della spermatogenesi e della maturazione dei
follicoli.
TSH: ipotiroidismo
ACTH: insufficienza surrenalica e diminuzione della pigmentazione cutanea per diminuzione di MSH
ADH: diabete insipido
Ossitocina: nessun effetto eccetto che al momento del parto e nella lattazione
Prolattina: si manifesta raramente un difetto della lattazione, e più spesso nella sindrome di Sheehan,
dove c’è un difetto primitivo della lattazione che precede di anni il danno all’ipofisi.
Ormoni surrenalici: atrofia cutanea, astenia, ipotensione, crisi ipoglicemiche, ritenzione idrica, obesità
L’ipopituitarismo può essere anteriore o posteriore, e non sempre si hanno tutti gli interessamenti ormonali
insieme, quindi si distingue anche in parziale o completo.
Cute: pallida (modesta anemia) e sottile, con rughe intorno agli occhi e alla bocca (deficit di
melanotropina, ormoni surrenalici ), perdita di annessi cutanei (deficit di ACTH + gonadotropine)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 104
Caratteri sessuali: perdita di peli dal volto, dal corpo e dal pube nell’uomo e nella donna, perdita della
libido, amenorrea e sterilità, diminuzione delle dimensioni di testicoli e prostata, atrofia dei genitali
esterni femminili, dell’utero.
Il diabete insipido è una questione controversa: in un paziente con ipopituitarismo totale la poliuria è
mascherata. Infatti la carenza di cortisolo è alla base di una inappropriata secrezione di ADH che maschera il
diabete insipido. All’inizio della terapia sostitutiva con cortisolo, il diabete si manifesta chiaramente.
Diagnosi
Valutazione dei valori basali e ritmo degli ormoni ipofisari: Le indagini di routine possono essere
fatte sia sull’ormone ipofisario primario che sulla funzione ghiandolare controllata dall’ormone
stesso; la valutazione dei valori basali avviene la mattina a riposo, a digiuno, dopo una notte di
riposo soddisfacente. Invece il ritmo viene valutato per quegli ormoni prodotti con un ritmo
circadiano, e si verifica la normalità di questo ritmo.
Test di stimolazione rapida con ACTH: è considerato il più affidabile test di screening per la diagnosi
di ipopituitarismo. Deve essere fatto entro le prime settimane o mesi di danno ipofisario acuto, in
quanto i surreni dopo un certo periodo di tempo vanno in atrofia e non sono più responsivi
all’ormone. Un risultato anomalo indica una sicura disfunzione dell’asse, un risultato negativo non la
esclude
Test di stimolazione all’insulina: dopo aver ottenuto una significativa ipoglicemia con l’insulina, si
deve osservare un picco di cortisolo e di GH. Il GH è responsivo anche all’arginina (che libera il GH
dall’inibizione della somatostatina), la L-dopa.
Test con RF ipotalamici: non hanno in genere un valore diagnostico importantissimo, ma possono
essere usati per predire i risultati della terapia stimolante con essi:
TRH: poco utilizzato, non dirime i dubbi di ipotiroidismo centrale o periferico
CRH: liberazione di ACTH. Utile per valutare la risposta dell’ipofisi allo stress e per la diagnosi
differenziale fra Cushing e ipopituitarismo
GnRH: liberazione di LH, FSH
GHRH: liberazione di GH
Si evidenzia in questo modo anche la sindrome della sella vuota. Normalmente la dura madre si spinge a
chiudere superiormente la sella turcica fino a raggiungere il peduncolo: questo fa si che lo spazio aracnoideo
con il suo liquor non sia a diretto contatto con il tessuto ipofisario, e che l’ipofisi sia normalmente a
contatto solo con la dura madre, che l’avvolge attorno, e solo il peduncolo sia a contatto con la aracnoide.
Nella sindrome della sella vuota si crea una erniazione aracnoidea nella dura, e si ha la sostituzione di parte o
di tutta l’ipofisi con liquor. Nei pazienti in cui si è misurata la P del liquor, questa è risultata normale e
quindi si pensa che la condizione sia per lo più indipendente dall’aumento della pressione endocranica.
Questo non è sicuro perché nella maggior parte dei casi la sindrome della sella vuota è associata a cefalea,
obesità, multiparità e ipertensione arteriosa, tutte condizioni che possono indicare ipertensione endocranica.
E’ necessario distinguere la sella vuota primitiva, dovuta a debolezza del diaframma sellario, da quella
dovuta alla degenerazione di un adenoma o tumore ipofisario.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 105
Nel primo caso, il volume della sella è normale, e si osserva liquor al posto del tessuto ipofisario mancante.
Nel secondo, invece, si ha un aumento di volume della sella, con segni di compressione delle strutture vicine,
e una successiva degenerazione del tumore che lascia uno spazio cistico al suo posto.
Infine, per l’interessamento del chiasma ottico, si possono utilizzare esami oculistici specifici.
Oftalmoscopia
Campimetria visiva
Potenziali evocati visivi
SINDROMI DA IPERFUNZIONE IPOFISARIA
Iperprolattinemia
L’azione della PRL sulla mammella inizia durante la gravidanza, inducendo la maturazione e lo sviluppo dei
dottuli e l’accumulo di tessuto, ma non la produzione di latte, perché i livelli alti di estrogeni della
gravidanza impediscono la lattazione a livello mammario (pur stimolando la produzione di PRL nell’ipofisi).
Dopo la nascita i livelli di estrogeni cadono rapidamente e comincia la lattazione.
Il controllo ipotalamico normalmente è negativo tramite la dopamina (recettori D2 ipofisari).
Eziologia
Ipotalamica
Danneggiamento ipotalamico da qualsiasi causa, congenita o acquisita. La diminuzione della dopamina
legata a questo può essere sufficiente a produrre un tumore secernente prolattina
Danni al peduncolo ipofisario
Insensibilità delle cellule lattotrope alla dopamina (mutazione recettore D2)
Eccesso di estrogeni Æ stimolazione delle cellule lattotrope
Aumento del TRH Æ stimola la produzione di TSH e prolattina insieme (motivo per cui spesso si
associa ipotiroidismo e iperprolattinemia)
Farmaci antagonisti della dopamina: fenotiazione, butirrofenoni, benzamidi; depletori della dopamina:
reserpina, αmetildopa, estrogeni, cocaina.
Ipofisaria
Prolattinomi, tumori del peduncolo e dell’ipotalamo (craniofaringiomi), malattie sistemiche che danneggiano
l’ipotalamo (sarcoidosi), stress, insufficienza renale cronica, cirrosi, ipotiroidismo.
Sistemica
Radioterapia
Traumi toracici: ustioni, interventi chirurgici, neuriti della parete toracica agiscono simulando lo stimolo
della suzione al capezzolo
Herpes Zoster toracico
Idipoatica
Clinica
Nella femmina da:
Ipogonadismo e infertilità con assenza dell’ovulazione (PRL Æ diminuzione
LH Æ diminuzione estrogeni)
Galattorrea
Amenorrea
Irregolarità mestruali (dismenorrea, metrorragia)
Irsutismo e obesità di tipo androide
Disturbi del surrene con iperandrogenismo
Alterazioni del campo visivo, cefalea ed altri disturbi da compressione e
distruzione dell’ipofisi e delle strutture vicine da parte di un
prolattinoma. Meno frequenti che nel maschio per via di altri sintomi più
precoci che portano alla identificazione precoce dei tumori piccoli.
La sintomatologia parziale può essere simile alla menopausa e mascherare una neoplasia prolattino
secernente.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 106
Rimozione chirurgica dei prolattinomi per via transfenoidale attraverso il setto nasale
Correzione di eventuali cause secondarie di iperprolattinemia (specie sospensione di farmaci)
Aumento sintesi di GH
Ha un caratteristico ritmo circadiano, con un picco al mattino attorno alle 8, che è il massimo della giornata,
e un calo la notte. Durante il sonno e la giornata ha 4 o 8 picchi minori, in corrispondenza dei pasti e del
sonno ad onde lente. Massima secrezione durante la pubertà, poi diminuisce gradatamente fino alla
vecchiaia.
La regolazione della secrezione viene fatta prevalentemente con GHRH ipotalamico e adrenalina, che
liberano il GH dall’ipofisi direttamente, e inibita con la somatostatina.
A sua volta, l’ormone ha effetti diretti e mediati da altre sostanze, le somatomedine o IGF. La principale di
queste sostanze è la IGF 1 (somatomedina C), che viene prodotto da fegato, rene, condrociti, ipofisi e tratto
GE.
Gli effetti fisiologici del GH e delle sue somatomedine sono:
Promozione della crescita nell’infanzia: correlazione non esattamente conosciuta
Captazione degli aminoacidi e aumento della sintesi proteica (anche GH direttamente)
Controregolazione glicemica in antagonismo con insulina (iperglicemia post ipoglicemica: l’ipoglicemia
è un potente stimolo alla liberazione dell’ormone)
Stimolazione della lipolisi
Eziologia
Adenoma Ipofisario: la causa più frequente
Iperplasia delle cellule somatotrope (cellule eosinofile)
Produzione ectopica di GH: carcinoidi bronchiali, intestinali, pancreatici, timici,
carcinoma midollare della tiroide. Di solito la produzione di GH è meno efficiente di
quella ipofisaria.
Produzione di GHRH: provoca una forma di acromegalia più rara, ma clinicamente
indistinguibile da quella ipofisaria.
Clinica
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 107
→ Effetti anabolici
Questi effetti provocano l’acromegalia, nei soggetti adulti, quando la crescita e la saldatura ossea è già
avvenuta, e il gigantismo nel bambino. Ma a parte l’effetto sull’osso, gli effetti anabolici degli organi e delle
cartilagini portano alle stesse conseguenze.
Aumento della dimensioni delle mani e dei piedi, macroglossia, prognatismo (aumento delle dimensioni
del volto, del naso, delle labbra e delle pieghe cutanee)
Aumento delle dimensioni della laringe e del faringe Æ abbassamento del tono della voce, OSAS
Aumento delle dimensioni del cuore Æ cardiomiopatia
Diminuzione della forza muscolare Æ astenia
Aumento della dimensione della gabbia toracica + OSAS Æ insufficienza respiratoria
Ispessimento della cute, con sudorazione intensa per aumento del metabolismo basale, fibromi e
irsutismo
Aumento del volume articolare e osseo Æ anchilosi, dolenzia, artrite di ginocchia, polsi, interfalangee,
sindrome del tunnel carpale, cefalea e parestesie, cifosi con aumento degli spazi intervertebrali per
depositi cartilaginei
Iperplasia arteriosa Æ ipertensione, ipertrofia ventricolare sinistra, aritmie, ICC.
Gozzo diffuso eutiroideo (raramente ipertiroideo), per la stimolazione dell’IGF-1 sulla tiroide.
Aneurismi intracranici.
→ Effetti metabolici
Intolleranza al glucosio e resistenza all’insulina, con progressione al diabete mellito: l’intolleranza
all’insulina provoca una risposta delle cellule β che possono andare incontro ad atrofia funzionale. Il GH
promuove la lipolisi e l’aumento dei NEFA nel plasma sembra il principale meccanismo con cui si determina
resistenza insulinica.
Diagnosi
Dosaggio ematico di GH e IGF
Si può osservare la perdita del ritmo circadiano di GH, con livelli persistentemente elevati ma stabili. Il test
non è molto sensibile per via della variabilità circostanziale che si può avere nei soggetti normali. Tuttavia, i
tumori GH secernenti molto raramente rispondono alla somatostatina in maniera tale da ridurre il GH ai
livelli normali. Inoltre rispondo a stimoli peculiari, come il TRH, e sono inibiti nella secrezione dai
dopaminergici (nei soggetti normali invece la secrezione in risposta a questo stimolo aumenta). Se GH e IGF
1 sono comunque stabilmente e contemporaneamente alterati, allora si considera il test valido.
RX e RMN
Identificazione preoperatoria del tumore
Terapia
Chirurgica: rimozione del tumore GH secernente per via transfenoidale
Radioterapia: irradiazione sia esterna che interna alla sella turcica
Medica: composti che diminuiscono la secrezione di GH.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 108
La terapia medica ha una particolare importanza in quando spesso risulta impossibile asportare del tutto il
tumore, e quindi è necessaria sia la radio che la copertura farmacologica. La somatostatina ha lo svantaggio
di avere una emivita molto breve e di necessitare di numerose somministrazioni giornaliere.
Una alternativa è l’octreotide (2-3 somministrazioni al giorno per SC), o l’octreotide LAR, in microsfere,
che permette una somministrazione IM al mese. Esiste anche il Lanreotide, IM ogni 2 settimane.
TUMORI IPOFISARI
In ordine di frequenza, i tumori ipofisari sono:
Prolattinomi
GH-omi
TRH-omi
Gonadotropinomi
I tumori ipofisari e ipotalamici in grado di dare una sintomatologia endocrina sono di tre tipi:
Tumori ipofisari funzionanti: sono il 75% dei tumori ipofisari, e danno sindromi da iperfunzione di un
singolo ormone
Tumori ipofisari non funzionanti: circa il 25%, in genere non danno sindromi cliniche, perché sono a
lenta crescita, benigni, e non si associano in genere alla distruzione estesa della ghiandola. Possono
però dare un allargamento della sella turcica e necessitano di diagnosi differenziale con la sindrome
della sella vuota, e causano comunque spesso una diminuzione della funzione ipofisaria
Tumori non ipofisari: non danno sindromi da iperfunzione, ma possono comprimere, infiltrare e
distruggere l’ipofisi, e sono una importante causa di ipopituitarismo. Colpiscono l’ipotalamo, l’osso
della sella turcica o le meningi. Fra questi, il più importante è il craniofaringioma
Clinica
A parte gli effetti dipendenti dalla secrezione di sostanze, ci sono effetti che dipendono dalla massa del
tumore.
Diagnosi
→ Radiologia
Aspetto a doppio contorno della sella turcica dei microadenomi, dato dall’abbassamento del pavimento
della sella nella zona circostante l’adenoma
Aspetto a palloncino della sella turcica, nella sindrome della sella vuota da necrosi di adenoma
Calcificazioni soprasellari nel craniofaringioma e nei meningiomi
Massa ipodensa in area più densa (microadenoma ipofisario)
Prognatismo, allargamento dei seni paranasali, iperostosi della protuberanza occipitale esterna, aumento
della densità ossea al centro della sella turcica sono segni in pazienti con un voluminoso tumore
sellare
→ Risonanza magnetica
Osservazione di invasione del seno cavernoso, del chiasma ottico e della base cranica da parte di
adenomi invasivi.
Identificazione di differente densità fra adenoma e tessuto normale solo nel 30-50% dei casi, ma si
possono vedere calcificazioni, emorragie, presenza di liquor, cisti.
Sindrome della sella vuota: peduncolo che affonda verso il basso in un pavimento abbassato, sella piena
di liquor
Tumore extrasellare verso l’alto: i disturbi iniziali sono minimi, sia per la lentezza del tumore che per
l’adattamento delle strutture compresse. Di solito sono visibili alla RMN, ma vengono diagnosticati
quasi sempre in ritardo.
Identificazione di meningiomi e adenomi con gadolino
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 110
CAP 3 TIROIDE
La tiroide secerne solo due ormoni, la tiroxina (sottoforma di T3 e T4, triodio e tetraiodio tironina), e la
calcitonina, secreta dalle cellule C della midollare della tiroide con funzioni di omeostasi del metabolismo
del calcio ma senza una particolare rilevanza nella fisiologia dell’organismo.
Solo il 20% della T 3 circolante deriva dalla secrezione diretta della tiroide, mentre la quota restante deriva
dalla trasformazione della T 4 in T 3 a livello periferico; la T3 è più attiva.
L’apporto di quantità adeguate di iodio è il requisito essenziale per una adeguata sintesi di ormoni tiroidei.
Lo iodio assunto con l’alimentazione viene assorbito sotto forma di ioduro; in presenza di una elevata
ingestione di ioduri la percentuale di ioduro captato dalla tiroide diminuisce e ne aumenta l’escrezione
urinaria e viceversa.
Gli ormoni tiroidei sono per la maggior parte legati a proteine plasmatiche(TBG e Albumina).
Un aumento delle proteine di trasporto che si può avere in corso di numerose patologie determina una
transitoria riduzione della quota libera di ormone tiroideo, viceversa una riduzione di proteine plasmatiche
determina un transitorio aumento della quota libera che viene corretto con il blocco della secrezione di TSH.
Il T4 prima di entrare all’interno della cellula bersaglio viene deiodinato e trasformato in T3 che essendo
liposolubile penetra nel citoplasma dove è substrato della deiodinasi, che lo attiva rendendolo in grado di
traslocare nel nucleo dove avviene la dimerizzazione e il legame al recettore.
→ Eccesso di iodio: nel soggetto normale, per i meccanismi di compenso della tiroide, non provoca
alterazioni di rilievo, mentre nei pazienti con gozzo semplice la somministrazione di iodio provoca, in una
rilevante quota di soggetti, l’insorgere di ipertiroidismo (gozzo basedowificato; Jod-Basedow); nei pazienti
ipertiroidei la somministrazione di iodio in dosi farmacologiche provoca inizialmente una riduzione della
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 111
tiroxinemia; continuando però il trattamento, l’effetto inibente dello iodio tende a diminuire o a scomparire
del tutto e la sospensione del trattamento può provocare una crisi tireotossica.
→ Difetto di iodio: la tiroide cerca di compensare, e si ha aumento della stimolazione ipofisaria. Aumenta la
produzione di TSH e, come conseguenza dell’iperstimolazione tireotropinica, si ha lo sviluppo del gozzo. In
alcuni pazienti, nonostante i meccanismi di adattamento, la tiroide non è in grado di produrre una quantità
sufficiente di ormoni tiroidei e si ha una condizione di ipotiroidismo.
IPERTIROIDISMO
E’ provocato in genere da:
ipertiroidismo centrale (da incremento di TSH o RTH ma anche di HcG da parte di tumori del
trofoblasto)
liberazione massiva di ormoni tiroidei per processi infiammatori e degenerativi (tiroidite) e fase
transitoria di processi autoimmuni (Hashitoxicosis) – in questi casi l’ipertiroidismo si autoestingue.
presenza ectopica di tessuto tiroideo (l’unica sede di produzione ectopica di ormoni tiroidei è l’ovaio
in caso di struma ovarico = teratoma monodermico specializzato contenente tessuto tiroideo
iperfunzionante)
ipertiroidismo iodio indotto
tireotossicosi fittizia da assunzione di carne contaminata da tessuto tiroideo animale (tireotossicosi da
Hamburger)
gozzo semplice diffuso tossico (morbo di Flajani-Basedow-Graves)
gozzo uninodulare tossico (morbo di Plummer)
gozzo multinodulare tossico
Clinica
Il quadro clinico della tireotossicosi è caratterizzato da una serie di segni e sintomi che sono riconducibili
alle modificazioni metaboliche e all’iperattività del sistema adrenergici.
Il paziente presenta la tipica facies ipertiroidea o ansiosa con sguardo fisso, occhi lucidi e sbarrati, volto
magro con lineamenti marcati.
I segni oculari sono dovuti all’incremento del tono simpatico che determina spasmo dell’elevatore della
palpebra superiore con sguardo sbarrato e l’incapacità della palpebra superiore di seguire il bulbo oculare
nello sguardo verso il basso (segno di Graefe), che è il segno più precoce di interessamento della tiroide.
La cute si presenta calda ed umida a causa della vasodilatazione e della iperidrosi da ipersudorazione,
l’incremento della calorigenesi infatti determina intolleranza al caldo con vasodilatazione e ipersudorazione
al fine di incrementare la dispersione del calore.
I capelli sono fini e fragili e le unghie fragili e sottili. Spesso si possono avere fenomeni di distacco delle
unghie (onicolisi o unghie di Plummer).
L’incremento del metabolismo basale e dei processi catabolici in particolar determina incremento
dell’appetito con polifagia accompagnata però da dimagrimento. In pazienti diabetici l’instaurarsi di una
condizione di ipertiroidismo determina l’aumento del fabbisogno di insulina. Inoltre la risposta insulinemica
al carico orale di glucosio è alterata.
Per quanto riguarda il metabolismo lipidico si ha diminuzione dei livelli di colesterolo e trigliceridi nel
sangue e aumento dei NEFA come conseguenza dell’aumentata mobilizzazione.
A carico dell’apparato digerente è presente aumento della motilità intestinale e frequentemente diarrea (si
può anche associare a gastrite atrofica autoimmune).
A livello muscolare si ha un incremento dei processi catabolici con atrofia e conseguente astenia e
soprattutto tremori fini agli arti superiori causati dall’incapacità di mantenere un adeguato tono muscolare.
A livello dell’apparato osteoscheletrico è presente osteoporosi per aumento del riassorbimento del Ca Æ
ipercalcemia. Più raramente si ha l’osteopatia ipertiroidea, con apposizione di nuovo osso a livello
subperiostale nel metacarpo.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 112
A livello dell’apparato respiratorio è presente dispnea con respiro superficiale dovuto alla facile
affaticabilità e respiro superficiale o in caso di gozzo voluminoso dispnea inspiratoria con stridore.
Sono presenti alterazioni neuropsichiche (nervosismo, labilità emotiva, insonnia) ed i riflessi osteotendinei
sono vivaci e incrementati di ampiezza. Il tremore tuttavia è l’aspetto più caratteristico e comporta una certa
difficoltà nell’esecuzione di movimenti fini. Interessa soprattutto le estremità.
Per quanto riguarda l’apparato riproduttivo, si ha un aumento della concentrazione della SBG (globulina
vettrice degli ormoni sessuali). Nella donna possono essere presenti alterazioni del ciclo mestruale dall’
oligomenorrea fino all’amenorrea. Nei maschi si può avere diminuzione della libido ma per cause legate per
lo più alle alterazioni psichiche.
Gli effetti cardiovascolari sono dovuti a diversi fattori: l’incremento della massa ematica secondario
all’incremento dell’eritropoiesi determina un incremento del volume telediastolico favorito anche
dall’incremento del rilasciamento diastolico cardiaco. La riduzione della RPT causata dalla vasodilatazione
periferica (per l’aumento della temperatura) e l’incremento della contrattilità miocardica determinano una
riduzione del volume telesistolico.
L’incremento del volume telediastolico e la riduzione del volume telesistolico determinano un incremento
della gittata sistolica che insieme all’incremento della frequenza determinano un incremento della gittata
cardiaca.
Tutto ciò determina una condizione di circolo ipercinetico che può portare in casi gravi allo scompenso
cardiaco ad alta portata.
Questa condizione ipercinetica si manifesta con polso ampio e celere, incremento della pressione
differenziale e soffio sistolico da eiezione.
Inoltre a livello tiroideo è presente il tipico soffio vascolare sistolico dovuto al fatto che la tiroide è
ipervascolarizzata.
Possono anche essere presenti aritmie ipercinetiche in particolare fibrillazione striale, extrasistoli e TPS.
Una complicanza grave è la crisi tireotossica: essa può insorgere improvvisamente in corso di stress acuto
come infezioni, IMA, diabete scompensato ed è caratterizzata da ipertermia continua (> 40°C), tachicardia,
fibrillazione atriale, scompenso cardiocircolatorio, agitazione psicomotoria, confusione mentale, psicosi,
convulsioni fino al coma.
Possono anche essere presenti nausea, vomito, dolori addominali, diarrea e disidratazione.
Terapia
La terapia in generale dell’ipertiroidismo è di tipo medico, radiometabolico e chirurgico.
La terapia medica si basa sull’utilizzo di farmaci tireostatici quali i tiourileni: tiouracile (PTU),
metiltiouracile, propiltiouracile, carbamidazolo, che determinano la riduzione della sintesi degli ormoni
tiroidei per inibizione competitiva della TPO.
In caso di gozzo uninodulare o multinodulare viene associato ai farmaci tiretossici anche il perclorato che
serve per l’eliminazione dello iodio accumulato.
Si tratta della terapia di prima scelta nel morbo di Basedow, in quanto è ancora possibile, diminuendo la
stimolazione, portare la ghiandola ad una normale funzione
Un utile impiego hanno anche i β bloccanti non selettivi privi di attività simpatico-mimetica intrinseca come
il propanolo; essi non possono però sostituire i tireostatici perché controllano solo i sintomi.
La terapia medica viene anche utilizzata in preparazione di quella chirurgica o radiometabolica.
La terapia radiometabolica si basa sull’uso di radioiodio e viene in genere utilizzata quando non c’è
risposta alla terapia medica. Non comporta rischi biologici in quanto la sostanza radioattiva agisce
selettivamente sulle cellule tiroidee che hanno una elevata captazione di iodio e non sul tessuto circostante
che quindi non risente degli effetti lesivi delle radiazioni. Tuttavia c’è un’elevata incidenza di ipotiroidismo
tardivo.
Le controindicazioni sono donne in gravidanza o allattamento e età minore di 20 anni.
La terapia radiometabolica rappresenta la terapia di elezione in soggetti con gozzo uninodulare o
multinodulare se non particolarmente grossi, oppure nel morbo di Basedow refrattario alla terapia medica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 113
La terapia chirurgica viene utilizzata in soggetti che rifiutano la terapia radiometabolica e per gozzi di
dimensioni maggiori di 4 cm che determinano sintomi da compressione della regione del collo (disfagia,
disfonia, stridore laringeo).
Viene fatta la tiroidectomia totale che determina ipotiroidismo postablativo che viene curato con terapia
sostitutiva con L-T4. Per il Basedow refrattario alla terapia medica Æ tiroidectomia subtotale.
Peculiarità delle varie cause di ipertiroidismo
Morbo di Basedow-Graves
Detto anche gozzo tossico diffuso, è la causa più comune di ipertiroidismo dell’adulto (prevalenza 2.5-3%).
Colpisce più frequentemente donne tra i 20 ed i 50 anni.
Presenta tre manifestazioni cliniche,
l’ipertiroidismo con gozzo diffuso
l’oftalmopatia
la dermopatia
Queste non sono presenti necessariamente tutte insieme e possono avere un decorso del tutto indipendente.
L’eziopatogenesi è di tipo autoimmunitario legata allo smascheramento di Ag tiroidei che determinano una
attivazione linfocitaria T con successiva stimolazione di linfociti B autoreattivi IgG che produco auto-Ab
rivolti verso le strutture tiroidee. Fra questi sono importanti i TSAb, gli anticorpi tiroidostimolanti che
attivano il recettore per il TSH.
Per quanto riguarda le manifestazioni extratiroidee si ritiene che anch’esse siano causate da una reazione
autoimmune contro un Ag comune, che potrebbe essere una proteina di 65 Kd espressa da fibroblasti e
muscoli oculari.1
I sintomi clinici sono quelli tipici dell’ipertiroidismo cui nel 20-40% dei casi si aggiungono segni e sintomi
oculari (oftalmopatia basedowiana o esoftalmo endocrino) e la dermatite.
Non infiltrativi: dipendono dall’ipertono simpatico e non sono specifiche del Basedow, potendosi
trovare nelle altre forme di ipertiroidismo. Possono anche essere valutati i seguenti segni:
segno di Graefe: invitando il paziente a fissare il dito indice dell’esaminatore che viene portato verso il
basso la palpebra superiore segue con un certo ritardo il movimento del bulbo oculare verso il basso
lasciando così scoperta una parte di sclera
segno di Jeffroy la fronte non si corruga nello sguardo verso l’alto
segno di Moebius: difetto di convergenza dei bulbi oculari
segno di Darymple: ampiezza anormale della rima palpebrale per contrazione del muscolo elevatore
della palpebra
segno di Stellwag: rarità nell’ammiccamento
Infiltrativi: caratteristiche del Basedow, sono dovute a un interessamento diretto dei muscoli intrinseci
dell’occhio e del grasso retrobulbare. L’edema, l’infiltrato e la deposizione di mucopolisaccaridi a
1 Secondo un concetto che tenta di unificare tutte le sindromi tiroidee autoimmuni (morbo di Basedow, of-
talmopatia, tiroidite di Hashimoto) le manifestazioni cliniche di queste sindromi deriverebbero dalla coesi-
stenza di classi distinte di autoanticorpi:
TSI: stimolanti la funzione (TSI = morbo di Basedow)
TGI: stimolanti l’accrescimento (Thyroid Growth Stimulating Immunoglobulin, TGI = gozzo semplice e
gozzo nodulare tossico)
Anticorpi citotossici: tiroidite di Hashimoto
Anticorpi bloccanti i recettori del TSH (tiroidite atrofica e mixedema).
Secondo questa ipotesi le sindromi tiroidee autoimmuni rappresenterebbero uno spettro continuo in cui le
singole manifestazioni possono comparire nello stesso paziente contemporaneamente o in epoche successive.
Questo concetto trova riscontro nell’esperienza clinica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 114
livello del tessuto retrorbitale determinano protrusione dei bulbi oculari o esoftalmo. Clinicamente,
oltre ad un vero esoftalmo con protrusione dei bulbi oculari si ha interessamento dei tessuti molli con
edema palpebrale, iniezione congiuntivale, fotofobia, chemosi, lagoftalmo. L’infiltrazione dei
muscoli estrinseci dell’occhio provoca oftalmoplegia e di conseguenza diplopia.
Æ Il gozzo presente in corso di morbo di Basedow è di tipo diffuso cioè non presenta nodularità ed è dovuto
all’iperplasia della ghiandola.
La diagnosi è:
→ Indagini di I livello sono rappresentate dal dosaggio degli ormoni tiroidei liberi (che risultano
aumentati) e del TSH che risulta soppresso per il feedback.
Æ Indagini di II livello sono rappresentate dal dosaggio di auto-Ab anti-TSH, anti-PTO e anti-Tg,
tireoscintigranfia con curva di captazione dello iodio e ecografia. La captazione di iodio radioattivo è
elevata con un picco entro poche ore.
Æ Le indagini di III livello sono la RMN della regione ipofisaria, che si fa solo se le altre sono negative, e
per sospetto di un adenoma secernente TSH.
Morbo di Plummer
Detto anche gozzo uninodulare tossico, è caratterizzato da un ipertiroidismo moderato per la presenza di un
nodulo iperfunzionante che sopprime la funzionalità del restante parenchima per la soppressione del TSH
(e quindi si accompagna ad un livello basso di TSH).
La scintigrafia mostra una singola area ipercaptante con scarsa o nulla fissazione del tracciante da parte del
tessuto circostante (per la depressione indotta dalla riduzione del TSH).
L’incidenza di reale ipertiroidismo clinico va dal 17 al 66% delle persone affette. Tra i sintomi prevalgono
quelli cardiovascolari.
Gozzo multinodulare tossico
La stimolazione cronica del TSH sollecitata da vari stimoli (come la carenza di iodio), determina iperplasia
della tiroide con successiva selezione ed espansione di alcuni cloni cellulari dotati di elevata ed autonoma
capacità secretiva e replicativa, si vengono quindi a creare aree nodulari di autonomia funzionale che
prendono il sopravvento sul restante parenchima determinando una riduzione del TSH (per effetto del
feedback).
Nella maggior parte dei casi compare dopo una lunga storia di gozzo semplice (dove il TSH è alto).
Alla scintigrafia si osserva un accumulo di iodio in foci irregolari (aree ipercaptanti mescolate ad aree
ipocaptanti) nel contesto della ghiandola o addirittura solo due o tre noduli, indicando una effettiva
autonomia e iperattività di alcune aree, che non risentono della diminuzione del TSH e sono responsabili
dell’ipertiroidismo.
Si osserva un notevole incremento di volume della tiroide che può raggiungere anche dimensioni mostruose
fino a 2000g.
Clinicamente la tireotossicosi e l’ipertiroidismo sono meno gravi che nel morbo di Graves, e non sono
presenti le alterazioni oculari e dermiche specifiche di quella malattia. Però le complicazioni a carico del CV
sono predominanti e possono essere anche facilmente fatali.
Ipertiroidismo centrale
È dovuto ad inappropriata secrezione di TSH da parte di un adenoma ipofisario secernente o
all’inappropriata secrezione ipotalamica di TRH. Se non è possibile rilevare l’adenoma si ipotizza
un’insensibilità delle cellule tireotrope dell’ipofisi all’azione degli ormoni tiroidei,
Si ha incremento di T3 e T4 accompagnato da elevati livelli di TSH.
Ipertiroidismo da eccesso di iodio
L’eccesso di assunzione di iodio può determinare ipertiroidismo soprattutto in presenza di gozzo preesistente
in quanto l’incremento di substrato può attivare aree di autonomia funzionale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 115
Inoltre l’incremento di iodio si può avere in caso di assunzione cronica di amiodarone. L’incremento di
iodio determina incremento di sintesi di ormoni tiroidei che dura finchè non viene smaltito lo iodio
accumulato (tireotossicosi iodio indotta di tipo I).
Inoltre un metabolita del farmaco il desetilamiodarone (DEA) ha un effetto tossico determinando
tireotossicosi distruttiva di tipo II che va trattata con terapia cortisonica.
Resistenza ipofisaria agli ormoni tiroidei
E’ una forma di ipertiroidismo ad alto TSH, dovuto al venir meno del feedback del T3 sull’ipofisi. I sintomi
clinici e i valori di laboratorio sono identici a quelli dell’adenoma ipofisario (ipertiroidismo centrale) e si fa
diagnosi differenziale solo con la TAC e RMN che non individuano masse adenomatose.
Esiste anche una GRTH, ossia una resistenza dei tessuti periferici agli effetti dell’ormone. In entrambi i casi
il blocco del feedback negativo determina un incremento di TRH, TSH, T3 e T4 che nel caso in cui i
recettori per T3 e T4 a livello tissutale siano normali determinerà un quadro di ipertiroidismo (resistenza
parziale) e nel caso in cui invece anche questi sino alterati determinerà un quadro di ipotiroidismo lieve
(resistenza totale).
TIROIDITI
Le affezioni infiammatorie della tiroide sono spesso causa di un transitorio ipertiroidismo, in quanto il
processo distruttivo a carico della tiroide si associa a liberazione in circolo degli ormoni, con permanenza di
elevate quantità di T4 e T3 per alcune settimane o mesi.
Tiroidite acuta batterica
È una infiammazione della tiroide secondaria ad infezione da parte di batteri piogeni che segue ad altri
focolai primitivi di infezione (tonsilliti, sinusiti etc.) o ad un trauma della regione del collo con infezione di
batteri dall’esterno.
La tiroide di presenta tumefatta e dolorabile e la cute sovrastante è calda ed arrossata.
La sintomatologia è caratterizzata da febbre con brividi e dolore nella regione anteriore del collo.
La diagnosi si basa sul riscontro di segni infiammatori e sulla leucocitosi neutrofila.
La terapia è di tipo antibiotico.
Tiroidite virale o subacuta
È detta anche tiroidite di De Quervain o tiroidite granulomatosa a cellule giganti.
La ghiandola tiroidea presenta un incremento di volume lieve-modesto spesso asimmetrico (d.d. con il
nodulo neoplastico: l’agoaspirato risolve il dubbio diagnostico). La tumefazione è vivamente dolente,
localizzata in un’area limitata della ghiandola; talora si osserva un fenomeno del tutto caratteristico della
malattia: la migrazione della tumefazione dolente in punti diversi della ghiandola (“tiroidite migrante”).
Clinicamente la tiroidite ha un esordio brusco con febbre, malessere generale e dolore intenso nella regione
tiroidea che si accentua con al tosse, la deglutizione e l’estensione del collo.
La sintomatologia generalmente fa seguito ad affezioni del tratto respiratorio superiore (faringiti o laringiti).
Durante la fase di infiammazione acuta si ha un transitorio ipertiroidismo dovuto alla distruzione dei follicoli
ma solitamente nell’arco di 6-8 settimane la funzione tiroidea viene ripristinata.
La diagnosi si basa sul riscontro di incremento della VES e delle proteine di fase acuta e leucocitosi, sulla
presenza in anamnesi di un’infezione dell’URT.
La terapia si basa su antinfiammatori e cortisonici ad azione sintomatica. Se non trattata questa forma tende
ad essere recidivante.
Tiroidite subacuta linfocitaria (indolore o silente)
È una forma di tiroidite autoimmune generalmente postgravidica che non da segni sistemici ed in genere si
risolve spontaneamente.
L’ipertiroidismo transitorio è più frequente che nella tiroidite di De Quervain, dalla quale si differenzia
anche per l’assenza di dolore e tumefazione e assente alterazione degli indici plasmatici di flogosi.
Tiroidite cronica linfocitaria o tiroidite di Hashimoto
È una infiammazione cronica della tiroide a patogenesi autoimmunitaria che si associa generalmente alla
presenza di gozzo.
È la causa più frequente di ipotiroidismo nell’adulto.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 116
È una malattia autoimmune organo-specifica a probabile base genetica che predilige l’età media ed il sesso
femminile.
Dal punto di vista eziopatogenetico, ha in comune con il Basedow la presenza di una reazione immunitaria
contro la tiroide, ma invece che anticorpi stimolanti, prevalgono in questo caso l’infiltrato linfocitario e i
sintomi sistemici.
Esistono 2 varianti:
variante gozzigena: è caratterizzata da un incremento di volume diffuso, talvolta asimmetrico della
ghiandola (aspetto lievemente nodulare) e consistenza gommosa. Prevalgono l’infiltrazione
linfocitaria e l’infiammazione, e si ha una degenerazione delle cellule follicolari che diventano
cellule di Hurle subendo la così detta metaplasia ossifila e arricchendosi di mitocondri
variante atrofica: è caratterizzata da abbondante fibrosi e scarso infiltrato linfoide. La tiroide non è in
genere aumentata di volume o è ridotta ed è di consistenza dura. La diagnosi differenziale con la
tiroidite di Riedel si basa sul fatto che in questa forma non si ha infiltrazione della capsula.
Clinica: con il passare del tempo la forma gozzigena tende a trascorrere in quella atrofica, la funzione
tiroidea decade progressivamente a causa della distruzione del parenchima e si instaura ipotiroidismo. Un
contributo importante è dato anche dagli Ab bloccanti il TSH quando presenti.
Occasionalmente si può verificare una fase transitoria di ipertiroidismo (hashitossicosi) associata ad
oftalmopatia esoftalmica dovuta alla presenza di Ab stimolanti il recettore per il TSH come nel morbo di
Graves.
Con il tempo in ogni caso si manifesta ipotiroidismo che può essere in alcuni solo subclinico, cioè con
semplice aumento dei livelli di TSH. Il rischio di sviluppare ipotiroidismo clinico dipende dai livelli di
TSH (> 10mU/ml) e di Ab anti TPO.
Tiroidite lignea o di Riedel
È una malattia rara di origine sconosciuta che colpisce soggetti in età medio-avanzata soprattutto di sesso
femminile.
La flogosi determina una marcata atrofia ghiandolare con sostituzione del parenchima tiroideo da parte di
materiale fibroso, e infatti spesso la tiroidite di Riedel viene scambiata per un nodulo maligno, anche perché
generalmente il processo fibrosclerotico comincia da un punto localizzato e si estende piano piano a tutta la
ghiandola e alle strutture vicine.
La sintomatologia è determinata da segni di compressione da parte del gozzo: senso di soffocamento,
disfagia e dispnea. L’esordio è però insidioso.
Si ha sempre ipotiroidismo, ma possono essere coinvolte anche le paratiroidi.
La terapia consiste nell’ablazione chirurgica (se vi sono segni di compressione di strutture limitrofe) e nella
somministrazione di T4.
IPOTIROIDISMO
È una sindrome clinica dovuta ad insufficiente azione degli ormoni tiroidei a livello tissutale.
Può essere distinto in:
→ primitivo
da riduzione della massa tiroidea: agenesia, disgenesia (deficit di differenziazione), ectopica (in genere
dovuta a mancata migrazione completa del dotto tireoglosso). Questi eventi si hanno o per deficit
della discesa nella tiroide tramite il dotto tireoglosso, oppure per mutazioni a carico dei numerosi
geni coinvolti nel processo di maturazione della ghiandola.
da ridotta funzione tiroidea: carenza grave di iodio, difetti dell’ormonosintesi, passaggio
transplacentare di farmaci o anticorpi
primitivo acquisito
da riduzione della massa tiroidea: processi autoimmunitari (tiroidite di Hascimoto o morbo di
Basedow) tiroidectomia o terapia con radioiodio (iatrogena), processi infiammatorio-degenerativi
(tiroidite)
da ridotta funzione: carenza di iodio, farmaci (sali di litio, perclorato, amiodarone, INFα), centrale
→ secondario (deficit di TSH)
deficit isolato di TSH
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 117
panipopituitarismo
resistenza del recettore ipofisario al TSH
ridotta attività biologica del TSH
Æ In passato veniva anche denominato mixedema poiché è caratterizzato dall’accumulo per ridotto
catabolismo di glicosaminoglicani in particolare acido ialuronico a livello del tessuto interstiziale.
L’accumulo di queste sostanze idrofiliche determina edema che è particolarmente evidente a livello di cute,
muscolo cardiaco e muscolo striato; il mixedema appare a livello del derma come un edema di consistenza
dura che non subisce l’impronta del dito, spiccato particolarmente interno agli occhi e sul dorso di mani e
piedi e nelle fosse sopraclavicolari.
Æ Nei quadri conclamati è presente la tipica facies ipotiroidea o mixematosa con espressione indifferente
stordita e sonnolenta, ingrossamento delle labbra e macroglossia, alopecia del terzo esterno delle
sopracciglia, occhi piccoli e socchiusi per la presenza di edema palpebrale.
Æ La cute è pallida e fredda (a causa dell’anemia, della vasocostrizione e della scarsa attività proliferativa
dello strato basale), secca e ruvida.
Æ I peli del corpo ed i capelli crescono con lentezza, sono secchi e ruvidi privi di lucentezza e tendono
cadere.
Æ L’ispessimento mixematoso delle membrane faringee e laringee determina la voce rauca o bitonale. Un
cambiamento improvviso della voce può essere, a volte, il sintomo di esordio.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 118
Æ È presente intolleranza al freddo. Questi sintomi sono molto caratteristici e vanno ricercati attentamente
assieme a quelli gastrointestinali perché il paziente tende ad accettarli passivamente.
Æ A livello del sistema cardiovascolare è presente bradicardia, riduzione delle pressione differenziale,
ipotensione, riduzione della gittata cardiaca con polso piccolo e tardo, cardiomegalia (per mixedema a
livello miocardico) che può associarsi a versamento pericardico.
Æ A livello del SNC è presente rallentamento generale delle funzioni intellettive con lentezza nell’ideazione,
eloquio lento, alterazioni del tono dell’umore e letargia, difetti di memoria.
Æ A livello del sistema muscolare sono presenti crampi muscolari, parestesie e debolezza muscolare,
soprattutto a carico dei muscoli prossimali del cingolo scapolare e pelvico. Questa condizione è detta
pseudomiotonia ipertiroidea o sindrome di Hoffmann e si distingue dalla miotonia classica per la mancanza
delle alterazioni elettromiografiche caratteristiche e per la buona responsività agli ormoni tiroidei. I riflessi
tendinei sono lenti.
Æ L’appetito è ridotto, vi è sovrappeso e stipsi da ridotta attività peristaltica, fino ad arrivare all’ileo
paralitico. Nell’ipotiroidismo autoimmune vi può essere gastrite atrofica autoimmune.
È presente ipertrigliceridemia e ipercolesterolemia che determinano incremento dell’ incidenza
dell’aterosclerosi.
Æ La funzione respiratoria è caratterizzata da respiri lenti, ridotta responsività all’ipossia e facile
depressione dei centri respiratori (Æ importante per la patogenesi del coma mixedematoso).
Æ Si può avere iperprolattinemia, alterazioni del ciclo mestruale con polimenorrea e metrorragie.
Vi può essere anemia dovuta a polimenorrea o menorragia o a carenza di ferro o di vitamina B12, nella
gastrite atrofica.
Æ I disturbi della sfera sessuale consistono in una diminuzione della libido, cicli anovulatori nella femmina e
involuzione dei tubuli seminiferi nel maschio, già in una fase precoce della malattia. Questi disturbi della
sfera genitale sono stati attribuiti alle molteplici alterazioni ormonali via via rilevate nell’ipotiroidismo:
alterato metabolismo periferico degli estrogeni, ridotti livelli di SHBG, ridotta secrezione di progesterone,
alterazione della ciclicità secretoria di LH ed FSH, iperprolattinemia. È probabile che tutte contribuiscano
alle alterazioni cliniche a carico dell’apparato genitale.
Coma mixematoso
E’ lo stadio finale dell’ipotiroidismo non trattato è il che può essere scatenato dall’assunzione di sedativi o
anestetici, traumi processi infettivi e altri eventi stressanti che causano ipossia cerebrale e depressione dei
centri respiratori.
Gli eventi che sono alla base del coma sono rappresentati da ritenzione di CO2, ipossia, squilibrio
elettrolitico (iponatremia) e ipotermia (< 34°C per diminuita attività della pompa Na/K). Dalla correzione di
questi dipende l’esito della vita del paziente. E’ importante riconoscere anche l’eventuale insufficienza
corticosurrenalica concomitante come si verifica nell’ipotiroidismo secondario a ipopituitarismo.
Il quadro clinico è caratterizzato da sonnolenza e letargia fino al coma con ipotermia, ipoventilazione,
ipoglicemia iponatremia, shock e morte.
Diagnosi
La diagnosi di ipotiroidismo presenta una maggiore difficoltà rispetto a quella di ipertiroidismo a causa della
lenta e insidiosa comparsa dei sintomi.
Æ Indagini di III livello sono scintigrafia, RMN e test da stimolazione con TRH. La scintigrafia permette di
rilevare anche digenesie come la tiroide linguale.
Si definisce ipotiroidismo subclinico la condizione in cui si hanno valori di T3 e T4 nell’ambito della norma
accompagnati da un incremento di TSH.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 119
Sono anche presenti Ab antitiroide che indicano la presenza di una tiroidite cronica autoimmune.
Terapia
È di tipo sostitutivo con L-tiroxina (L-T4) a tempo indefinito che ha una elevata emivita che consente
un’unica somministrazione di 1-2 µg/Kg la mattina a digiuno.
Il motivo per cui non viene somministrato T3 è che il T4 necessita una trasformazione ad opera della
deiodasi in T3 che avviene in modo graduale garantendo così una concentrazione plasmatica costante del
farmaco ed una sua azione prolungata. Infatti il T3 viene inattivato molto in fretta rispetto al T4.
Il fine della terapia è quello di mantenere costante il TSH, il T3 e il T4 che vengono monitorati ogni 6 mesi-1
anno.
ALTRE ALTERAZIONI DELLA TIROIDE
Sindrome a basso T3
L’assetto ormonale dell’asse ipofisi-tiroide può variare, nel corso di malattie acute o croniche o di gravi
carenze nutritive, anche in assenza di malattie primitive della tiroide o dell’ipofisi. Questa non rara
eventualità, nota come sindrome del malato eutiroideo o “euthyroid sick syndrome”, dagli Autori di lingua
inglese, è andata assumendo crescente importanza con l’estendersi del dosaggio degli ormoni tiroidei e del
TSH anche a pazienti senza evidenze cliniche indicative di iper o ipotiroidismo.
Le alterazioni interessano soprattutto i livelli circolanti di T 3 e T 4 o FT 3 e FT 4 , indipendentemente da
variazioni della TBG. Si osserva un’ampia gamma di variazioni degli ormoni tiroidei che riflette le
modificazioni dell’attività dell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide in rapporto alla modificata attività metabolica
dei tessuti periferici.
Il cambiamento più precoce e comune è rappresentato dalla riduzione dei livelli di T 3 (“low T 3 state”)
causata dalla ridotta deiodinazione periferica della T 4 in T 3 , talora associata ad aumento della reverse T 3
una forma di T3 derivata dalla trasformazione della T4 in eccesso , biologicamente inattiva. Questa riduzione
della T 3 in assenza di ipotiroidismo si osserva particolarmente in corso di croniche e gravi malattie e/o di
malnutrizione, tutte condizioni in cui è utile ridurre il metabolismo energetico stimolato dalla T 3 . La
riduzione della T3 può restare isolata oppure può associarsi ad aumento della T 4 , cosiddetta “ipertiroxinemia
eutiroidea”, oppure, quando la gravità e la durata della malattia di base sono particolarmente evidenti, si può
avere una riduzione della T 4 (“ipotiroxinemia senza ipotiroidismo”).
Modeste riduzioni del TSH si possono evidenziare transitoriamente poco dopo l’inizio di una grave
privazione calorica in pazienti che successivamente sviluppano uno stato da ridotta T 4 . Al contrario, il TSH
può aumentare modestamente durante la convalescenza di gravi malattie extratiroidee. Tuttavia, i valori di
TSH restano di regola nei limiti di norma e la loro misura è particolarmente utile per la diagnosi differenziale
di queste alterazioni della T 3 e della T 4 dall’ipotiroidismo e dall’ipertiroidismo. Le singole alterazioni
dell’assetto ormonale tiroideo in corso di affezioni sistemiche non sono caratteristiche di specifiche
condizioni morbose, ma riflettono piuttosto la gravità della malattia di base e/o dello stato catabolico. Esse
regrediscono totalmente con la guarigione della malattia di base.
Gozzo semplice (non tossico)
Per gozzo semplice si intende un incremento di volume della tiroide non determinato da infiammazioni
(tiroiditi) o neoplasie, non accompagnato da alterazioni funzionali (ipertiroidismo o ipotiroidismo a
differenza del gozzo tossico).
Gozzo endemico: viene definito come patologia che colpisce almeno il 5% di una popolazione giovanile in
una determinata area geografica. La principale causa di gozzo endemico è la carenza di iodio con gli
alimenti. Il gozzo prima è diffuso, per via della stimolazione del TSH (provocata dalla diminuita
ormonogenesi nella tiroide) a tutta la ghiandola, poi con il passare del tempo diventa multinodulare, con
noduli funzionalmente attivi (noduli caldi) e noduli inattivi (noduli freddi). Ciò è dovuto al fatto che le
cellule tiroidee sono eterogenee nella loro capacità di risposta al TSH e nella loro capacità replicativa
Gozzo familiare: E’ dovuto ad una ridotta sintesi di ormoni tiroidei con incremento del TSH e quindi
iperplasia compensatoria della ghiandola dovuta a difetti congeniti dell’ormonogenesi che vengono
trasmessi per via ereditaria.Nel caso di difetto completo si ha un quadro di cretinismo con gozzo mentre
in caso di difetto parziale si ha un gozzo non tossico con ipotiroidismo lieve
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 120
Gozzo sporadico E’ una iperplasia della tiroide che si verifica in casi isolati in aree non endemiche.
L’eziopatogenesi è ancora ignota: si suppone che i soggetti colpiti siano più sensibili ad una carenza
iodica in quanto portatori di minimi difetti dell’ormonogenesi o che presentino una eccessiva escrezione
urinaria di iodio. L’ipersecrezione di TSH è considerato il minimo comun denominatore di tutte le forme
di gozzo semplice diffuso.
La sintomatologia del gozzo è generalmente limitata al danno estetico che esso determina.
Nei gozzi di maggiori dimensioni si può verificare una sindrome mediastinica con disfagia, dispnea e
disfonia che assumono particolare importanza se il gozzo si estende dietro lo sterno (diventando anche più
difficilmente visibile).
In fase tardiva inoltre si può avere insorgenza di ipertiroidismo per il prevalere di aree autonome
iperfunzionanti o ipotiroidismo per il prevalere di aree in degenerazione ipofunzionanti.
Una complicazione possibile dei gozzi eutiroidei di tutti i tipi è la basedowficazione del gozzo, provocata
dalla terapia sostitutiva con iodio: può avvenire infatti che questa terapia stimoli alcune aree della tiroide in
misura maggiore di altre, con la creazione quindi di una o più zone iperattive e sregolate, che provocano
ipertiroidismo.
NEOPLASIE DELLA TIROIDE
Il cancro della tiroide corrisponde all’1-2% delle neoplasie oggi diagnosticate con una incidenza che sembra
aumentare in relazione probabilmente a fenomeni come le fughe radioattive (si sviluppano tipi istologici ad
aggressività crescente).
Prevalenza: 1-2% della popolazione
Incidenza: 40/1000 anno
Aggressivo, ha una prognosi intermedia fra follicolare e l’anaplastico. Si sviluppa per lo più nelle aree
carenti di I. Lì ci sono aree insulari di tessuto neoplastico, cellule tondeggianti e regolari. La prognosi, non
molto drammatica, dipende dalla tempestività della diagnosi
Adenocarcinoma midollare
Rappresenta il 5% dei tumori della tiroide, e colpisce in genere gli adulti oltre i 50 anni.
Si tratta di un APUD-oma, che origina dalle cellule C della tiroide, e che secerne prevalentemente
calcitonina, che si trova in concentrazione elevata nei sieri dei pazienti, ma anche serotonina, ACTH, MSH,
PG e somatostatina, nonché antigeni oncofetali come il CEA.
La manifestazione primaria del tumore, indipendentemente dalla forma, può essere varia:
Nodulo tiroideo + adenoma latero-cervicale omolaterale
Adenoma latero-cervicale in assenza di nodulo palpabile
Metastasi
Compressione e/o infiltrazione delle strutture adiacenti (dispnea, disfagia, singhiozzo tardivamente compare
tirage tracheale e infine crisi asfittiche)
E’ un tumore aggressivo che metastatizza frequentemente ai linfonodi regionali ma anche al polmone,
fegato, osso, SNC.
Si tratta con la tiroidectomia totale, soprattutto se non fa parte della MEN II, nel qual caso è possibile un
trattamento più conservativo
Una possibile individuazione precoce è la ricerca del protoncogene ret con il test del c-dna.
Carcinoma anaplastico
Tumore più maligno e più aggressivo, la maggior parte dei pazienti muore nell’arco di qualche settimana o
mese, perché si manifesta spesso che ha già dato metastasi diffuse e anch’esse aggressive. Si definisce
anaplastico perché nel suo contesto non si trovano strutture tissutali come follicoli o cisti, e le cellule che lo
compongono possono essere giganti o piccole: gli elementi giganti sono associate ad una malignità ancora
più elevata.
A volta può derivare dalla crescita maligna di altre neoplasie già discusse.
L’invasività tissutale è impressionante e sono molto frequenti i danni a carico di altri organi e tessuti vicini,
come l’infiltrazione della trachea e dell’esofago, e anche delle strutture vascolari.
Nella maggior parte dei casi non è operabile, e si tratta soltanto in modo palliativo per ridurre i disturbi
provocati dalla compressione
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 122
CAP 4 SURRENE
Formato da tre zone:
→ Glomerulare che secerne mineralcorticoidi sotto il controllo del sistema renina-angiotensina-aldosterone
→ Fascicolata e reticolare che producono glucocorticoidi e androgeni sotto il controllo dell’ACTH
L’ACTH stimola la steroidogenesi corticosurrenalica e il trofismo della ghiandola, inoltre stimola anche
l’espansione dei melanofori cutanei e mucosi tramite l’MSH.
La secrezione ipofisaria di ACTH è stimolata dal CRH che determina una secrezione pulsatile e secondo un
ritmo circadiano con un minimo alle 24 ed un massimo alle 6-8 (che però è anche influenzato dal ritmo
sonno-veglia).
La secrezione di ACTH dipende inoltre dalla vasopressina e da altri stimoli nervosi.
→ Gli steroidi surrenali ad azione androgena sono il deidroepiandrosterone (DHEA), il suo derivato solfato
(DHEA-S) e l’androstenedione.
→ Il principale ormone mineraloattivo è l’aldosterone, prodotto nella zona glomerulare del corticosurrene.
Solo le cellule della zona glomerulare possiedono infatti il patrimonio enzimatico necessario alla sua
biosintesi. Oltre all’aldosterone, altri steroidi surrenali, in particolare il corticosterone, il
desossicorticosterone (DOC) e lo stesso cortisolo possono legarsi al recettore dei mineralocorticoidi,
esercitando pertanto un’azione mineraloattiva che è tuttavia di scarsa rilevanza. La frazione libera del DOC
capace di penetrare nelle cellule e legarsi al recettore è quantitativamente modesta rispetto alla quota libera
di aldosterone, mentre il cortisolo viene inattivato dall’enzima 11-b idrossisteroido-deidrogenasi. I tessuti
responsivi all’aldosterone esprimono questa attività enzimatica a concentrazioni più elevate rispetto ai tessuti
non responsivi.
l’effetto mineraloattivo consiste essenzialmente nel promuovere il rias-sorbimento di ioni sodio che vengono
scambiati con ioni potassio e idrogeno a livello di vari sistemi secretori; riveste importanza preminente
l’effetto mineraloattivo che l’aldosterone esplica a livello del nefrone distale, dove gli ioni sodio vengono
riassorbiti dal lume del tubulo e gli ioni potassio e idrogeno vengono secreti nel lume tubulare e quindi
eliminati con le urine.
a differenza di quanto avviene per gli altri steroidi surrenali, il principale fattore di regolazione della
produzione di aldosterone non è rappresentato dall’ACTH, ma dal sistema renina-an-giotensina. Altri
fattori di regolazione sono rappresentati dal potassio, dallo stesso ACTH e, probabilmente, dal fattore
natriuretico atriale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 123
Il morbo di Cushing è la causa di gran lunga più frequente (68%) della sindrome di Cushing.
Clinica
Il quadro clinico si manifesta lentamente nel giro di 2-5 anni: le manifestazioni cliniche che accompagnano il
paziente all’esordio sono molto aspecifiche e incostanti, e quindi la diagnosi iniziale di Cushing non è affatto
facile.
Æ Sintomi generali: tipicamente si osserva obesità centrale o androide detta anche tronculare poiché il
tessuto adiposo si deposita a livello del tronco e del viso (facies lunare) e a livello delle fosse sopraclaveari
(gibbo a gobba di bufalo) mentre gli arti sono sottili. Questo avviene perché nella malattia si determina
iperinsulinismo (effetto iperglicemizzante e liberazione di aminoacidi dal muscolo dei glucocorticoidi) e
ipercortisolismo. L’insulina provoca lipogenesi, il cortisolo lipolisi. La diversa sensibilità ai due ormoni dei
tessuti adiposi delle varie parti del corpo fa si che nel tronco prevalga l’effetto dell’insulina, negli arti quello
del cortisolo. Si determina anche ipertensione (85%) per l’effetto mineralcorticoide del cortisolo.
Æ Cute: Il viso appare anche rosso e congesto in quanto il cortisolo determina anche un incremento di
eritropoietina con conseguente poliglobulia.
Si ha la presenza di strie cutanee rosso-violacee (strie rubre) a livello di addome, glutei e cosce dovute
all’atrofia della cute e del tessuto sottocutaneo e anche alla distensione della cute (dovuta all’obesità) che fa
intravedere i vasi sottostanti.
La fragilità vasale determina ecchimosi per traumi anche modesti. I processi di cicatrizzazione delle ferite
sono sempre lenti e difficoltosi.
Vi può essere iperpigmentazione cutanea dovuta a d eccesso di ACTH.
Si ha aumentata tendenza ad infezioni micotiche e candidosi orale a causa dell’immunosoppressione indotta
dai glucocorticoidi.
L’eccesso di androgeni determina irsutismo con acne e seborrea.
L’atrofia muscolare determina astenia.
Æ Osso e muscolo: è presente osteoporosi specialmente dei corpi vertebrali e delle coste: l’effetto è
mediato dall’iperparatiroidismo che si instaura a causa del ridotto assorbimento di Ca nell’intestino: infatti
nell’animale da esperimento l’osteoporosi recede con la paratiroidectomia. L’incremento di calcemia e
calciuria predispone alla calcolosi renale.
Astenia per ipotrofia delle masse muscolari, a causa delle deplezione di aminoacidi promossa dal cortisolo.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 124
Æ Genitale: molto frequente è anche lo stato di ipogonadismo con amenorrea o oligomenorrea secondaria,
calo della libido e della potenza sessuale. Nel maschio i livelli di testosterone circolante sono ridotti; nella
donna i livelli di estrogeni e progesterone circolanti sono di tipo anovulatorio, non subiscono cioè le
fisiologiche oscillazioni legate al ciclo ovulatorio. L’origine di queste alterazioni non è definita nei suoi
esatti meccanismi, ma sembrano legati all’interferenza dei glucocorticoidi con la regolazione della
secrezione delle gonadotropine ipofisarie.
Inoltre nelle donne con tumori surrenali ma non con adenoma ipofisario possono essere presenti virilismo e
irsutismo a causa dell’iperandrogenismo.
Æ SNC: a causa dell’azione dei glucocorticoidi a livello centrale soprattutto a livello limbico possono essere
presenti labilità emotiva, ansia, irritabilità, disforia e depressione.
Æ Altro: vi possono essere poliuria e polidipsia per l’incremento del VFG e la competizione del cortisolo
con l’ADH e anche per l’ipopotassiemia e la eventuale coesistenza di diabete mellito, che comunque è raro
visto che l’iperinsulinemia riesce per lo più a mantenere un buon controllo metabolico.
Infine l’ipercortisolismo insorto in età puberale determina un ritardo dell’accrescimento corporeo forse per
riduzione dell’espressione del recettore per la somatomedina C a livello della cartilagine epifisaria, indotta
dal cortisolo.
Diagnosi
Dosaggio plasmatico di cortisolo, DHEA, androsterone e ACTH.
I livelli nel morbo di Cushing sono normali o solo modestamente aumentati, tuttavia a causa della perdita
del normale ritmo circadiano di secrezione rimangono elevati per tutta la giornata. Risulta quindi importante
la valutazione del ritmo nictemerale, effettuata misurando la cortisolemia al mattino alle ore 8, nel
pomeriggio tra le 16 e le 20 e nella notte tra le 23 e le 24. Nel soggetto normale la secrezione segue un ritmo
circadiano con livelli di cortisolo.
A seconda del tipo di produzione si può avere:
Nella produzione ectopica di ACTH i livelli di questo ormone sono molto elevati e l’alto livello di
cortisolo inibisce la normale secrezione ipofisaria di ACTH anche sotto stimolo.
La secrezione autonoma di cortisolo da parte di neoplasie surrenaliche invece blocca la secrezione
ipofisaria di ACTH che è pertanto ridotta e determina quindi atrofia della ghiandola controlaterale.
Nell’iperplasia surrenalica l’ipercortisolismo può essere ACTH-dipendente o ACTH-indipendente a
seconda dei casi e della fase della malattia.
Dosaggio del cortisolo libero urinario (CLU)
Può dare falsi positivi in caso di stress acuti intercorrenti, obesità o interferenze farmacologiche (terapia
estrogenica).
Test stimolatori o dinamici
(consentono la valutazione della funzionalità del sistema ipotalamo-ipofisario):
1) Test di soppressione rapido con desametasone (test di Nougent è sensibile ma poco specifico)
costituisce un utile e semplice test di screening. Valutato il cortisolo basale si somministra 1 mg di
desametasone per os alle 24 e si preleva la cortisolemia al mattino successivo. Negli individui normali il
cortisolo si riduce sotto i 5 µg/dl mentre nei pazienti con sindrome di Cushing rimane > 10 µg/dl cioè non
c’è soppressione.
Questo test può fornire risultati falsamente positivi in individui con obesità, iperestrogenismo, alcolismo,
insufficienza renale cronica, depressione endogena, anoressia nervosa o durante l’assunzione di armaci che
accelerano il catabolismo del desametasone (fenitoina e barbiturici).
2) Test di soppressione con basse dosi di desametasone (test di Liddle a bassa dose è sensibile e specifico)
Si esegue somministrando 0.5 mg per os di desametasone ogni 6 ore per 2 giorni e valutando l’escrezione
urinaria dei 17-OHCS (17-idrossicorticoidi = cortisolo, cortisone e loro metaboliti).
Nell’individuo normale i valori si riducono al disotto di 4 mg/die, nei pazienti con sindrome di Cusching non
c’è soppressione.
È possibile rilevare anche il cortisolo libero plasmatico o urinario che nel paziente normale scendono
rispettivamente al di sotto di 5 µg/dl e 20 µg/dl.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 125
3) Test di soppressione con alte dosi di desametasone (test di Liddle ad alta dose è sensibile e specifico)
Si esegue somministrando 2 mg per os di desametasone ogni 6 ore per 2 giorni e valutando l’escrezione
urinaria del CLU o dei 17-OHCS. Negli individui normali si ha una riduzione del 50%.
La soppressione si verifica nei pazienti con morbo di Cusching in caso di microadenoma in quanto in questo
caso la secrezione di ACTH è solo parzialmente e non completamente resistente al feedback negativo
esercitato dal cortisolo, ma non in caso di secrezione ectopica o in caso di neoplasie surrenaliche.
Questo test permette quindi la diagnosi differenziale in caso di ipersurrenalismo ACTH-dipendente tra la
forma dovuta a secrezione ipofisaria di ACTH (morbo di Cushing) e le forme da secrezione ectopica.
Schema riassuntivo delle variazioni di ACTH nei vari tipi di tumore iprofisari:
I livelli di ACTH non sono sempre indicativi di tumore ipofisario (non sempre aumenta, oppure aumenta
per una disfunzione ipotalamica)
L’ACTH è soppresso se c’è un tumore surrenale secernente glucocorticoidi
E’ elevato se c’è un tumore ectopico che lo produce
.
Nel morbo di Cushing la sopprimibilità con desametasone è conservata, anche se il set-point è elevato, e si
osserva un’esagerata risposta al CRH ipotalamico.
Terapia
Nel morbo di Cushing viene fatta l’asportazione chirurgica dell’adenoma per via transfenoidale.
Nella sindrome di Cushing viene invece fatta surrenectomia associata a linfadenectomia in caso di tumore
maligno.
Nella chirurgia dei tumori surrenalici tenendo presente l’ipofunzione della ghiandola controlaterale e la
deplezione improvvisa dell’ormone determinata dall’intervento è necessaria la somministrazione intra e
postoperatoria di cortisone e ACTH finchè il surrene superstite non riprende la sua normale funzione.
insorge in età prepuberale provoca pseudopubertà precoce, isosessuale nel maschio, eterosessuale nella
femmina in cui si ha anche clitoridomegalia. I livelli plasmatici di DHEA – S sono molto elevati.
Sindrome paraneoplastica da ACTH: la cachessia neoplastica può mascherare l’obesità androide ma rende
più marcata l’atrofia muscolare. Oltre ad ipertensione, diabete insulino resistente si ha anche melanodermia e
iperproduzione di androgeni e mineralcorticoidi.
Iperplasia surrenalica nodulare: si ritiene derivi dalla cronica esposizione del surrene ad alte dosi di
ACTH che provoca dapprima un’iperplasia diffusa poi questa forma che sviluppa un certo grado di
indipendenza dall’ACTH stesso.
Cushing da abnorme espressione recettoriale: condizioni molto rare in cui l’adenoma esprime recettori per
il GIP o recettori β. Nel primo caso la secrezione di cortisolo è massima dopo i pasti.
Il danneggiamento del parenchima surrenalico è la causa che porta alla disfunzione endocrina. Si deve
raggiungere almeno il 90% di danno della ghiandola prima che la funzione ormonale sia significativamente
compromessa.
→ L’insufficienza corticosurrenalica acuta è una condizione che deriva dalla brusca caduta dei livelli
ematici degli ormoni surrenalici dovuta a:
infarto emorragico delle surrenali in pazienti che abbiano subito un intervento chirurgico e che
presentino CID
massiva emorragia surrenalica in corso di sepsi associata a CID e shock (sindrome di Waterhouse-
Friderichsen) – soprattutto nel bambino. Oppure trombosi della vena surrenalica in pazienti con
sindrome da anticorpi antifosfolipidi.
peggioramento di una insufficienza surrenalica cronica scatenata da sepsi o da un intervento chirurgico o
da farmaci inibitori della steroidogenesi (ketoconazolo, aminoglutetimide).
brusca sospensione della terapia sostitutiva.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 127
→ Forma tubercolare
È secondaria alla diffusione linfoematogena della TBC post-primaria, frequente è l’interessamento
contemporaneo anche dell’apparato urogenitale.
L’esame strumentale che permette la diagnosi definitiva è la TAC che permette di distinguere 3 diverse
forme:
forma atrofica bilaterale caratterizzata da calcificazioni bilaterali
forma pseudoneoplastica (tipica) caratterizzata da una ghiandola ingrandita con margini regolari e
densità omogenea più accentuata in periferia
forma mista in cui è presente una ghiandola ingrandita e una atrofica
Quando la perdita di tessuto surrenalico supera il 90% si ha un quadro completo di insufficienza surrenalica
cronica.
In caso invece di eventi acuti quali emorragie o infarti bilaterali il quadro clinico insorge improvvisamente e
drammaticamente (crisi addisoniana).
L’elemento caratteristico della forma primitiva è la melanodermia da incremento dell’ACTH e dei peptidi
POMC-derivati che si manifesta con iperpigmentazione cutanea soprattutto nelle parti esposte alla luce e
nelle zone sottoposte a pressione (viso, ginocchia, gomiti, mani). Anche le cicatrici insorte dopo l’inizi della
malattia sono scure. Questo ovviamente non si manifesta nella forma secondaria, dove manca la
secrezione di ACTH che causa a sua volta iposurrenalismo
Spesso si osservano chiazze scure a livello della cute ma anche delle mucose di bocca, lingue, areole
mammarie, capezzoli, letto ungueale, regione perianale e perivaginale. La pigmentazione mucosa è normale
nella razza nera tranne a livello della lingua (se la cute è già scura come nei neri si devono osservare le
mucose e le pieghe cutanee, inguinali e palmari). Spesso le aree melanodermiche contrastano con la
vitiligo che può essere presente.
La crisi iposurrenalica si manifesta con anoressia, nausea, diarrea, vomito e dolori addominali
prevalentemente epigastrici con un quadro che può simulare un addome acuto. Queste crisi compaiono
spesso dopo qualsiasi evento stressante che sarebbe agevolmente superato da individui normali.
Forma secondaria
Le manifestazioni cliniche sono le stesse di quelle del morbo di Addison tranne la mancanza di
iperpigmentazione (“Addison bianco”) e di sintomi da mancanza di aldosterone quali squilibri
idroelettrolitici e ipovolemia.
Possono essere presenti anche sintomi da compressione ipofisaria quali cefalea e disturbi visivi.
Altri parametri:
ipokaliemia
iperazotemia e ipercreatininemia (da insufficienza pre-renale)
ipercalcemia (meccanismo ignoto)
iponatriemia (88%)
anemia
esosinofilia
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 129
Terapia
La terapia della crisi surrenalica deve essere iniziata il più rapidamente possibile con dosi massive di
idrocortisone emisuccinato somministrato per via parenterale.
La terapia cronica si basa sulla somministrazione di dosi sostitutive di idrocortisone o cortisone acetato che è
rapidamente assorbito e convertito a cortisolo a livello epatico.
La somministrazione di mineralcorticoidi viene utilizzata solo nell’iposurrenalismo primario e non in quello
secondario e si basa sull’uso di 9 fludrocortisone. Altrimenti è necessario solo un supplemento di sale con la
dieta.
SINDROMI DA ECCESSO DI MINERALCORTICOIDI
Sono condizioni causate da un incremento della produzione di aldosterone che può avvenire sia in modo
autonomo (iperaldosteronismo primitivo) che in seguito allo stimolo da parte del sistema renina
angiotensina (iperaldosteronismo secondario).
I pazienti con deficit di 11β−idrossisteroidodeidrogenasi sia acquisito che congenito possono essere trattati
con desametasone che inibisce la secrezione di ACTH e quindi la produzione di cortisolo.
Il desametasone si lega con minore affinità ai recettori per i mineralcorticoidi.
Clinica
Nelle forme primitive l’incremento di aldosterone determina riduzione della secrezione di renina in quanto
lo stimolo alla secrezione di renina è rappresentato (oltre che dal tono simpatico e dalla pressione arteriosa)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 130
dalla concentrazione di sodio a livello del tubulo contorto distale che risulta aumentata a causa
dell’incremento del riassorbimento tubulare di Na.
Æ Sono presenti i sintomi di ipertensione senza edema: l’edema non si verifica perché l’aldosterone agisce
sui tubuli distali e riassorbe sodio, ma si produce anche il peptide natriuresico senoatriale che diminuisce il
riassorbimento di sodio in quelli prossimali (sfuggita dall’aldosterone)
Æ L’alcalosi ipokaliemica determina tetania, spasmi e mioclonie: essa è determinata dal fatto che nel tubulo
distale il sodio può alternativamente venire scambiato con K o H. Per ogni H controscambiato con Na, viene
riassorbito un HCO3-.
Æ A livello renale si instaura nefropatia ipokaliemia con poliuria, nicturia, isostenuria a causa del danno
tubulare e della ridotta sensibilità, che determina una ridotta capacità di concentrazione (diabete insipido
nefritogeno).
Æ Nelle forme di aldosteronismo primario è presente anche una riduzione della PRA (attività reninica
plasmatica) che viene dosata prima in condizioni di riposo ed in posizione supina e poi dopo attività fisica in
ortostatismo.
Nel soggetto normale infatti l’attività fisica determina un incremento di produzione di renina e di aldosterone
(a causa dell’attivazione simpatica).
In caso di adenoma surrenalico e iperplasia sensibile ai glucocorticoidi la PRA non si modifica mentre in
caso di iperplasia surrenalica si ha un incremento della PRA che comunque è inferiore alla norma.
Nell’iperaldosteronismo secondario invece si verifica un incremento della PRA: in questa affezione l’evento
iniziante è la diminuzione della volemia e la conseguente ipoperfusione renale.
Se con le tecniche di diagnostica per immagini non si riesce a evidenziare l’adenoma e la PRA è bassa,
occorre ricercare le cause di ipoafflusso ematico renale:
ipotensione ipovolemica
stenosi dell’arteria renale (ipertensione renovascolare)
alterata ripartizione dei fluidi (edemi)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 131
iponatremia
Se non si trova niente di tutto ciò indagare sul consumo di liquirizia, che contiene acido glicirrizico, una
sostanza ad azione sodio – ritentiva che produce un quadro assai simile con ipertensione.
Terapia
Il trattamento di scelta dell’adenoma e del carcinoma consiste nella surrenalectomia monolaterale mentre per
l’iperplasia surrenale viene trattata con una terapia medica.
L’ipokaliemia viene trattata con lo spironolattone e l’ipertensione con i Ca-antagonisti che contribuiscono
anche alla riduzione della secrezione di aldosterone visto che questa è determinata dall’incremento del Ca
intracellulare.
In caso di refrattarietà alla terapia medica viene eseguito l’intervento chirurgico.
FEOCROMOCITOMA
E’ una rara causa di ipertensione secondaria che va prontamente riconosciuta perché è suscettibile di terapia
chirurgica risolutiva. E’ più comune nei giovani e in età media.
Eziologia
È un tumore che origina dai feocromociti.
Le crisi ipertensive sono dovute alla brusca liberazione in circolo di catecolamine causata da una
stimolazione sul tumore che può essere di vario tipo:
Alcol e farmaci (metoclopramide, cloropromazina, antidepressivi triciclici, caffeina, teofillina)
Incremento della pressione sulla massa tumorale: esercizio fisico, cambi di postura, tosse,
defecazione, minzione, attività sessuale
Ansia, dolore, pasto abbondante, variazioni di temperatura
Le crisi ipertensive si manifestano con frequenza variabile più volte durante una settimana, ma anche più
vote al giorno e durano da pochi minuti fino a 15 minuti.
ortosimpatica poiché il sistema ortosimpatico è già completamente attivato, mentre il rene e gli altri sistemi
di controllo della pressione cercano di abbassarla.
In caso di feocromocitoma che produce sia NA che adrenalina si ha anche tachicardia che non è presente in
caso di paraganglioma che non produce adrenalina (poiché nei paragangli non è presente l’enzima FNMT)
I sintomi associati in corso di crisi ipertensiva sono:
Cefalea
Cardiopalmo (con angina pectoris nell’anziano)
Stato ansioso e tremore (azione dell’adrenalina a livello del SNC)
Sudorazione profusa
Astenia e dimagramento
Disturbi visivi
Nausea, vomito, dolori addominali e toracici
È presente inoltre intolleranza al glucosio dovuta all’inibizione della sintesi di insulina e alla stimolazione
della gluconeogenesi epatica causate dall’adrenalina, che predispone all’insorgenza di un diabete mellito
secondario.
Complicanze sono:
Emorragia cerebrale
Cardiomiopatia da catecolamine dovuta a lesioni ischemiche indotte dalla vasocostrizione mediata dalle
catecolamine o per un loro effetto tossico diretto
Infarto del miocardio (a causa dell’incremento del consumo di ossigeno del miocardio dovuto alle
catecolamine)
Aneurisma dissecante
Encefalopatia ipertensiva
Retinopatia ipertensiva (arteriole della retina vasocostrette “a fil di ferro”)
Lesioni ischemiche intestinali, renali e a livello degli arti
Megacolon (per l’atonia intestinale)
La mancata attivazione adrenergica in condizioni di stress inoltre predispone i pazienti con feocromocitoma
non diagnosticato a shock durante un trauma o un intervento chirurgico.
Diagnosi
Anamnesi: di grande aiuto per la tipicità delle crisi ipertensive
Clinica
Esami di laboratorio
Test
Esami strumentali
Le indagini di laboratorio si basano sul dosaggio urinario delle catecolamine e dei loro metaboliti soprattutto
l’acido vanilmandelico AVM e omovanilico (soprattutto in caso di paraganglioma), e della dopamina,
nelle urine.
E’ importante soprattutto raccogliere le urine e acidificarle nelle 24h dopo un parossismo ipertensivo.
Il dosaggio plasmatico delle catecolamine è importante non tanto in condizioni basali in cui potrebbe essere
normale ma nelle crisi ipertensive.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 133
Viene fatto poi il test al regitin che si basa sulla somministrazione in corso di ipertensione di fentolamina,
un α-bloccante reversibile a rapida azione in bassa dose il quale in corso di feocromocitoma tipicamente
determina un calo rapido di pressione di breve durata (crollo della pressione in meno di 1 secondo). Il motivo
è anche qui la impossibilità di mantenere in azione i meccanismi di compenso il quanto il simpatico è già
attivo al massimo.
Una volta posta la diagnosi eziologia si pone il problema della localizzazione: la massa tumorale è visibile
alla TAC e alla RMN e una sua migliore localizzazione viene fatta con angiografia (oggi meno) e
cateterismo venoso, con prelievi a livello di diversi distretti, soprattutto per localizzazioni extrasurrenalici.
Terapia
La terapia di elezione è quella chirurgica che deve però essere preceduta da terapia medica in quanto in
assenza di questa quando si toglie il tumore si ha una brusca vasodilatazione con shock.
Nei pazienti con tumori maligni non asportabili o metastatizzanti si può fare esclusivamente terapia medica
sintomatologica.
MEN (MULTIPLE ENDOCRINE NEOPLASIE)
Tutte le MEN condividono alcune caratteristiche:
Origine a partire da uno o più cloni cellulari in grado di produrre ormoni o amine biogene attive
(APUD) di derivazione dal neuroectoderma
Progressione istologica da iperplasia ad adenoma e talvolta anche carcinoma
Trasmissione ereditaria di tipo autosomico dominante.
Multicentricità dell’alterazione iperplastica, perché ogni clone cellulare deriva da una singola cellula
Clinica
Posto che le singole alterazioni endocrine non differiscono in alcun modo da quelle presenti in forma isolata,
distinguiamo 3 quadri clinici in base all’associazione delle ghiandole coinvolte:
MEN I
È detta anche sindrome di Wermer ed è caratterizzata da:
Adenomi insulari (in base al polipeptide secreto si distinguono gastrinomi, glucagomi, insulinomi,
VIPomi, somatostatinomi; in base ad esso dipendono anche i sintomi*)
Adenomi ipofisari
Adenoma o iperplasia delle paratiroidi
(regola delle tre P: Pituitary, Pancreas, Paratiroidi)
MEN IIA
È detta anche sindrome di Sipple ed è caratterizzata da:
Carcinoma midollare della tiroide: al contrario della forma sporadica si presenta per lo più in giovane età
e ha un’origine multifocale.
Feocromocitoma
Iperplasia (raramente adenoma) delle paratiroidi
MEN IIB
Questa sindrome è caratterizzata da carcinoma midollare della tiroide e da feocromocitoma, come la MEN II,
dalla quale si differenzia per alcuni aspetti:
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 134
E’ detta anche sindrome di Scmidt, e spesso il risultato dell’alterazione tiroidea è la disfunzione della
ghiandola in senso ipotiroideo o ipertoriodeo, ma può anche rimanere silente. Si associano anche alterazioni
dermatologiche, e ancora di più con timoma e miastenia gravis.
Clinica
La sintomatologia dipende dalla gravità e dalla durata dell’ipocalcemia.
Forme acute: predominano la tetania e altri segni/sintomi addebitabili a una brusca diminuzione dei
livelli di calcio.
Forme croniche: di più tardiva diagnosi, predomina la deposizione di sali di fosfato tricalcico a livello
dei tessuti molli.
Forme acute
Una rapida riduzione della concentrazione plasmatica di calcio determina la cosiddetta crisi tetanica
caratterizzata da un incremento dell’eccitabilità neuromuscolare.
I primi sintomi compaiono quando la calcemia è < 7.5 e la morte si verifica quando è = 4.
In caso di una rapida riduzione della calcemia si ha direttamente tetania e morte entro 30 minuti.
La tetania è in genere preceduta da parestesie (formicolio) a livello periorale o delle dita delle mani o dei
piedi e da cefalea.
Successivamente compaiono spasmi dei muscoli degli arti e del volto.
Agli arti superiori è caratteristica l’adduzione del braccio al tronco con flessione dell’avambraccio sul
braccio e della mano sull’avambraccio.
Si ha inoltre l’adduzione del pollice con flessione delle articolazioni metacarpofalagee ed estensione delle
articolazioni interfalangee (mano da ostetrico) e contrazione dei muscoli interossei.
A livello del volto è presente spasmo del muscolo orbicolare con protrusione delle labbra (“muso di carpa”).
Alla contrazione dei muscoli striati fa quindi seguito al contrazione dei muscoli lisci con disfagia, crisi
asmatiche, spasmo dello sfintere di Oddi con colica intestinale biliare.
Possono essere presenti aritmie in particolare extrasistoli cui può seguire tachiaritmia ventricolare con
arresto cardiaco.
Nei casi gravi soprattutto nei bambini si possono avere spasmi laringei anche gravi e potenzialmente fatali e
convulsioni generalizzate che possono essere di 2 tipi:
→ Crisi tetaniche generalizzate
→ Crisi epilettiche dovute al fatto che l’ipocalcemia riduce la soglia di eccitabilità dei foci epilettici (il
ripristino della calcemia riduce il numero delle crisi senza modificare il quadro dell’EEG)
Questi due importanti segni semeiologici possono essere messi meglio in evidenza facendo iperventilare il
paziente. Coesiste inoltre uno stato di ipereccitabilità psichica.
Forme croniche
Comparsa di segni di sofferenza del SNC con turbe mentali quali ansia, labilità emotiva e depressione. Nei
pazienti giovani si può avere un variabile ritardo mentale. Al contrario nelle forme acute predominano
l’irritabilità e le crisi d’ansia.
→ Calcificazioni dei gangli della base che inducono sindromi simil-parkinsoniane (per deposizione di
fosfato di calcio?).
→ Cataratta per calcificazione del cristallino.
→ Deposizione di sali di calcio lungo il decorso dei tendini con formazione dei piccole modularità diffuse.
→ Disturbi trofici dei tessuti di origine ectodermica: cute secca, facilmente desquamata, incremento della
frequenza di infezioni da candida, peli diradati al pube ed alle ascelle, unghie fragili e deformate con
striature trasversali, radici dei denti ipoplasiche e smalto fissurato con striature giallastre.
→ Sindrome da malassorbimento per deficit di sintesi dei sali biliari e degli enzimi pancreatici.
→ Allungamento del QT e aritmie ipocinetiche, come blocco AV.
Diagnosi
→ All’elettromiografia si evidenzia una riduzione della soglia di eccitabilità con comparsa di risposte
ripetitive o di attività continua dopo un singolo stimolo.
→ All’ECG sono presenti alterazioni tipiche quali allungamento dell’intervallo QT e onde T ampie
appuntite e simmetriche.
→ Per la diagnosi eziologica è fondamentale il dosaggio del Mg (per escludere l’ipomagnesemia) del PTH e
della creatininemia in caso di IRC.
→ La tetania ipocalcica deve essere differenziata dalla tetania che compare in corso di alcalosi.
Prima di tutto è importante distinguere le forma di ipocalcemia acuta transitoria che possono essere dovute a
ipoalbuminemia o ad alcalosi.
In caso di ipocalcemia cronica è importante l’anamnesi nutrizionale che può evidenziare un deficit apporto
dietetico di vitamina D o di calcio o una storia di alcolismo.
Un ipocalcemia di recente insorgenza in un adulto difficilmente è dovuta ad un ipoparatiroidismo o uno
pseudoipoparatiroidismo visto che queste condizioni sono in genere congenite.
Importante è indagare eventuali interventi chirurgici sul collo e l’assunzione di farmaci.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 137
La diagnosi di ipoparatiroidismo funzionale viene fatta tramite il dosaggio del Mg plasmatico che deve
essere < 1.5 mEq/dl.
Terapia
La terapia dell’ipoparatiroidismo di basa sull’uso di sali di calcio e calcitriolo. Il PTH non è usato perché
nelle formulazioni disponibili può causare reazioni allergiche frequenti e gravi.
I sali di calcio e la vitamina D in caso di ipoparatiroidismo ripristinano il bilancio del calcio ma non
compensano il ridotto riassorbimento tubulare del calcio, anzi la normalizzazione della calcemia tende ad
aumentare la calciuria.
L’ipercalciuria è pericolosa perché determina la formazione di calcoli pertanto è importante il controllo
tramite i diuretici tiazidici.
La terapia dell’ipomagnesemia si basa sulla somministrazione di Mg per via endovenosa che va continuata
oltre la normalizzazione della magnesiemia per reintegrare anche le scorte intracellulari di Mg.
PSEUDOIPOPARATIROIDISMO
È una condizione di resistenza all’azione del PTH di cui esistono 2 forme:
Pseudoipoparatiroidismo di tipo I A o osteodistrofia ereditaria di Albright (OEA) che determina non solo
resistenza al PTH ma anche ad altro ormoni peptidici che utilizzano il cAMP come secondo messaggero
(FSH, LH e TSH).
Pseudoipoparatiroidismo di tipo I B e tipo II in cui il difetto è di tipo recettoriale ed è specifico per il PTH
La resistenza periferica al PTH determina una iperplasia compensatoria delle paratiroidi con incremento del
PTH (iperparatiroidismo secondario).
Nella prima forma la somministrazione esogena di PTH determina incremento dell’escrezione urinaria di
cAMP e fosfati, mentre nella seconda forma determina un incremento della escrezione di cAMP ma non di
fosfati.
Il trattamento è analogo a quello dell’ipoparatiroidismo.
IPERCALCEMIA
Condizione di aumentata presenza di calcio nel plasma.
Eziologia
La forma più comune è l’iperparatioridismo, che per la sua rilevanza clinica è trattato a se. Altre condizioni
sono riportate qui di seguito.
L Terapia con litio: nel 10% dei bipolari trattati con litio si reperta una condizione di ipercalcemia dopo
lungo tempo, che dipende direttamente dal litio e regredisce con la cessazione della terapia.
L Ipercalcemia ipocalciurica familiare: difetto di “percezione” della calcemia da parte delle paratiroidi e
del tubulo renale, che provoca eccessiva secrezione di PTH ed eccessivo riassorbimento di sodio dal rene. La
diagnosi differenziale con le forme primitive di iperparatiroidismo viene fatta in base a:
Livelli di PTH: normali in questa forma, elevati nell’ iperparatiroidismo
Riassorbimento renale di calcio: maggiore del 99% in questa
La sintomatologia non è elevata, e l’ipercalcemia è prevalentemente asintomatica. La rimozione parziale del
tessuto paratiroideo non da alcun beneficio, e la rimozione totale viene invece a provocare ipoparatiroidismo,
meno ancora auspicabile.
L Malattia di Jansen: attivazione costitutiva del recettore del PTH, che provoca una gravissima
ipercalcemia con riassorbimento osseo massiccio, difetti dello scheletro. Fra l’altro è una causa di bassa
statura. Raramente i soggetti arrivano all’età adulta.
L Ipercalcemia paraneoplastica: frequente, difficile da trattare, non facilmente riconoscibile, questa forma
di ipercalcemia si accompagna a molti tumori, ed è dovuta alla produzione di mediatori da parte delle
cellule tumorali che sono simili, ma distinti, dal PTH.
L Eccesso di vitamina D: la forma congenita di questa alterazione è estremamente rara. Nei bambini,
inoltre, alcune condizioni in cui viene ad essere eccessivamente prodotta la D, come nei linfomi, possono
provocare ipercalcemia in quanto il feedback negativo sulla produzione di PTH risulta meno efficace che
negli adulti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 139
L’intossicazione da vitamina D, che avviene solamente per somministrazioni iatrogene, può essere
responsabile di una forma abbastanza grave di ipercalcemia.
L Sarcoidosi e altre malattie granulomatose: per le malattie granulomatose si suppone che i macrofagi
abbiano il ruolo di sintetizzare la D3, per studi effettuati su pazienti anefrici che hanno però livelli elevati di
questo ormone, avendo la sarcoidosi. D’altra parte, l’uso degli steroidi per controllare la malattia di base
influisce anche nel metabolismo del calcio.
L Diuretici tiazilici: nei soggetti normali danno un modesto e transitorio aumento di calcio, con la presenza
di altre malattie che interferiscono il metabolismo del calcio il problema diventa importante. Il farmaco
aumenta la risposta ossea e renale al PTH, con ipocalciuria. I tiazidici sono infatti usati come terapia
dell’ipoparatiroidismo.
L Insufficienza renale cronica: la perdita di calcio con le urine in corso di insufficienza renale è una
condizione molto frequente, e importante per l’associazione di essa con iperplasia delle paratiroidi. Il
risultato è che durante l’insufficienza renale si può verificare un iperparatiroidismo detto secondario (trattato
in seguito).
Nei pazienti con IR da lungo tempo si manifestano anche altre due patologie:
Deposizione di alluminio nell’osso, che è un fenomeno che si verifica nei dializzati ed è dovuto alla
dialisi.
Condizione nota come “sindrome da basso rimaneggiamento osseo”, cioè una condizione di stasi del
rimodellamento osseo che porta a fragilità per diminuzione del turn over.
Diagnosi
Dosaggio radioimmunologico del PTH: è aumentato nell’iperparatiroidismo primario e secondario
nonostante l’ipercalcemia, è diminuito nelle cause secondarie di ipercalcemia, normale o non
dosabile nei tumori.
Livelli di D3: aumentati in molti pazienti con iperparatiroidismo primitivo, e intossicazione da vitamina
D
Test specifici di malattie causa di ipercalcemia (tiroide, test genetici eccetera)
Terapia
Il trattamento acuto avviene con diversi farmaci, ma in ogni caso il trattamento cronico deve essere fatto
con la rimozione della causa scatenante, in quanto il trattamento farmacologico a lungo termine
dell’ipercalcemia non è sufficiente. Misure di ordine generale sono l’idratazione, l’aumento dell’apporto di
sale, la diuresi forzata. La combinazione di queste tre terapia si basa sul fatto che molto spesso le forme di
ipercalcemia acuta provocano una disidratazione per vomito o inanizione. La disidratazione influisce sulla
capacità renale di clearence, e quindi sulla possibilità di eliminare il calcio con le urine.
Una volta reidrato il paziente e riportata alla norma la VFG, è opportuno dare diuretici e sodio, che viene
escreto insieme al calcio. Soluzione fisiologica e furosemide sono l’accoppiata da usare in questi casi
Bisfosfonati: analoghi del pirofosfato con elevata affinità per l’osso. Stabili e resistenti alle fosfatasi, hanno
la caratteristica di inibire l’attività degli osteoclasti.
Calcitonina: inibisce gli osteoclasti e svolge una importante attività sul riassorbimento tubulare.
Mitramicina: simile ai bisfonati, ma con tossicità maggiore per cui di impiego raro.
Nitrato di gallio: inibisce il riassorbimento osseo ma agisce in modo potenzialmente nefrotossico.
Glucocorticoidi: aumentano l’escrezione urinaria e riducono l’assorbimento intestinale, ma promuovono
nel contempo il riassorbimento osseo. Per questo non sono utili nell’iperparatiroidismo primario, ma
solo nel trattamento delle neoplasie, dove uniscono un modesto effetto ipocalcemizzante ad altri
effetti specificamente antitumorali.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 140
Dialisi peritoneale: per il trattamento dell’IR. Nella dialisi si perdono grandi quantità di fosfato, che se
non reintegrato può far diminuire il prodotto di solubilità e precipitare l’ipercalcemia.
IPERPARATIROIDISMO
Eccessiva secrezione di PTH.
Se ne distinguono 2 tipi:
primitivo ipercalcemico
secondario normocalcemico: in genere compensatorio e reversibile tuttavia nel tempo può sfuggire dal
controllo e diventare autonomo e irreversibile (iperparatiroidismo terziario).
Iperparatiroidismo primitivo
L’iperparatiroidismo primitivo può essere sostenuto da:
adenoma (solitamente unico): si associa ad atrofia delle rimanenti tre ghiandole
iperplasia a cellule principali o a cellule chiare: la prima si associa quasi sempre ad adenomatosi
multipla, in particolare MEN I o IIa, mentre la seconda non ha familiarietà
carcinoma: meno frequente
Inoltre si ha una blanda forma di diabete insipido nefrogenico con modesta poliuria.
I sintomi vengono distinti in 3 gruppi:
→ Crisi ipercalcemia
SNC: stato stuporoso fino al coma
Rene: necrosi tubolare acuta con IRA Æ il paziente da poliurico (per deficit della capacità di
concentrazione delle urine diviene improvvisamente oligurico/anurico
Cuore: diminuzione dell’eccitabilità con bradicardia e arresto sinusale
Per la diagnosi, si valutano i livelli di PTH immunoreattivo inappropriatamente elevati. Se invece sono bassi
ricercare altre cause di ipercalcemia come:
Intossicazione da vitamina D
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 141
Mieloma multiplo ( 1 )
Sarcoidosi ( 1 )
Intossicazione da vitamina A ( 1 )
Sindrome di Burnett (Milk-alkaly Syndrome)
Immobilizzazione prolungata
Tireossicosi ( 1 )
Insufficienza corticosurrenale ( 1 )
Morbo di Paget ( 1 )
Le altre alterazioni ematochimiche (iperuricemia, anemia, VES alta ecc..) non sono specifiche e perciò poco
utili.
La radiografia dell’apparato urinario può mostrare calcoli o fini calcificazioni del parenchima renale.
La radiografia del cranio mostra diffuse alterazioni, in eccesso o i difetto della mineralizzazione ossea, con
aspetto “a sale e pepe”.
La mineralometria mostra una (grave) ipomineralizzazione ossea, che conferma la riduzione della densità
ossea all’Rx.
La distruzione dei nefroni provoca diminuzione della calcemia, anche in rapporto al ridotto assorbimento di
calcio a livello intestinale, per rallentata sintesi di vitamina 1,25(OH)2 D 3. Nell’iperparatiroidismo
secondario ad insufficienza renale cronica, le alterazioni del tessuto osseo ascrivibili all’ipersecrezione di
PTH (osteite fibrocistica) si sommano a quelle dovute alla carenza del metabolica attivo della vitamina D,
1,25(OH)2 D 3 (osteomalacia), all’osteoporosi legata all’acidosi metabolica uremica ed agli eventuali
trattamenti con steroidi glicoattivi.
L’osteodistrofia domina il quadro clinico dell’iperparatiroidismo secondario ad insufficienza renale. Rara-
mente
Nelle fasi iniziali ipocalcemiche si possono avere sintomi di labilità neuromuscolare e tetania simili a quelli
descritti nell’ipoparatiroidismo e/o calcificazioni dei tessuti molli.
Il trattamento dell’iperparatiroidismo secondario è di tipo sintomatico e si integra con quello dell’insufficien-
za renale cronica. Le misure terapeutiche variano in rapporto con la gravità della compromissione renale e
con le alterazioni biochimiche che l’accompagnano.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 142
Nei primi stadi si somministrano una dieta povera di fosfati, supplementi di calcio, sostanze che riducono
l’assorbimento intestinale di fosfati (idrossido di alluminio) e piccole dosi di vitamina D. Negli stadi avanzati
può essere indicata la paratiroidectomia subtotale.
OSTEOMALACIA E RACHITISMO
Gruppo di affezioni caratterizzato dalla mancanza di vitamina D e/o di fosfati organici, che si traducono in
un difetto di sintesi della matrice ossea.
Fra le molte cause che possono provocare questo (insufficienza renale, difetti enzimatici di idrossilazione del
colecalciferolo, mancanza di esposizione al sole, deficit dietetici) assumono particolare importanza due tipi
di affezione:
Rachitismo vitamina D dipendente di tipo I: malattia autosomica recessiva caratterizzata dalla ridotta
attività dell’1α idrossilasi renale. Il deficit inizia a manifestarsi verso i 4-5 anni di vita in soggetti con
normale assunzione di calcio e vitamina D, normalmente esposti alla luce solare.
Rachitismo vitamina D dipendente di tipo II: trasmessa anch’essa come autosomica recessiva, ed è un
disordine misto che interessa i recettori della vitamina D ma anche dei glucocorticoidi, ormoni
tiroidei, mineralcorticoidi (interessa infatti un dominio zinc-finger ricorrente in tutti i recettori per
ormoni steroidei)
Il rachitismo fa generalmente il suo esordio entro il 1° anno di vita, potendosi però manifestare fino al
periodo prepubere.
Di solito la causa è imputabile a:
→ carenza di vit. D
→ esposizione solare carente
→ turbe dell’assorbimento intestinale (mucoviscidosi, celiachia e tutte le cause che si accompagnano a
steatorrea)
→ scarsa introduzione con gli alimenti: soprattutto neonati divezzati tardivamente o alimentati con latte
vaccino mal diluito non arricchito di Vit. D
→ prematurità (i prematuri hanno un > growth rate e pertanto hanno > richiesta di Vit. D
→ soggetti con pelle molto scura (blocco delle radiazioni UV)
→ carenza di 1,25 (OH)2 vit. D3
→ insufficienza epatica cronica
→ terapia anticomiziale (fenobarbital e idantoina deviano la 25- idrossilazione verso altri composti)
→ insufficienza renale cronica (mancata idrossilazione in posizione 1: non si forma il composto attivo): si
verifica iperfosfatemia, ipocalcemia e iperparatiroidismo che comporta un marcato riassorbimento osseo
(osteodistrofia renale)
→ rachitismo pseudocarenziale ereditario di Prader: il tipo I è il difetto della 1-idrossilasi renale, nel tipo II
c’è la resistenza degli organi bersaglio: si caratterizza per deformità ossee, a volte con fratture, ritardo di
crescita
Fisiopatologia
Il deficit riduce a livello intestinale l’assorbimento del calcio. Ciò provoca un aumento di PTH, ma con una
escrezione di fosfato a livello renale. L’ossificazione, cioè la deposizione del calcio nell’osso, avviene come
idrossiapatite, una forma che richiede una presenza elevata sia di calcio che di fosfato. Inoltre, l’aumento di
PTH provoca direttamente un modesto riassorbimento osseo, che aggrava il quadro clinico. Al di sotto di un
valore soglia critico, l’ipofosfatemia provoca già da sola osteomalacia.
Clinica
A seconda dell’età di insorgenza, si distinguono due quadri fondamentali:
L Osteomalacia dell’adulto
Il quadro in genere non è così drammatico, a causa del ridotto fabbisogno di calcio e della minor attività
richiesta per il mantenimento, e non per la costruzione, della massa ossea.
Ci sono dolori ossei spontanei con dolorabilità alla pressione, e deformità spesso piccole e inosservate. Il
dolore all’articolazione coxofemorale può determinare andatura antalgica e debolezza muscolare che spesso
provoca difficoltà nei movimenti. A volte si può avere il quadro del bacino a cuore di carta da gioco,
fratture spontanee delle vertebre e infine anche collasso vertebrale.
Diagnosi
Il rachitismo è facilmente diagnosticabile, l’osteomalachia un po’ meno a causa della minor gravità del
quadro. E’ importante una diagnosi eziologica.
Deficit di vitamina D: livelli di calcio normali, ridotta fosforemia e aumento del PTH
Insufficienza renale: iperofosfatemia con ipocalcemia di grado variabile,
I livelli di ALP e di OHPr urinaria sono di solito aumentati per via di un elevato turn over osseo. Le
alterazioni radiologiche più evidenti si hanno a livello della cartilagine di accrescimento. Nei casi
conclamati, le alterazioni delle ossa lunghe sono caratteristiche, e a differenza dell’osteoporosi interessano
sia la corticale che la trabecolare dell’osso.
Terapia
Carenza vitaminica o scarsa esposizione al sole Æ ergocalciferolo D2 o colecalciferolo D3
Olsteomalacia da assorbimento intestinale Æ stesso trattamento ma con posologia più alta o per via
parenterale
Deficit metabolici di idrossilazione della D Æ metaboliti attivi o analoghi sintetici a seconda del livello
del blocco
Forme con contemporanea riduzione dei fosfati Æ vitamina D più fosfati per OS.
OSTEODISTROFIA RENALE
Si tratta di una serie di danni a carico dell’osso provocati essenzialmente dalla insufficienza renale. Questa è
anche la prima causa di iperparatiroidismo secondario, che si manifesta nel 50% dei pazienti in dialisi da
oltre 10 anni.
Oltre che per i motivi che esporremo sotto, la presenza di insufficienza renale si associa a problemi ossei
anche tramite la dialisi stessa. Essa infatti induce nell’organismo un aumento dell’alluminio, che interferisce
con l’ossificazione.
Patogenesi
La distruzione di nefroni e la diminuzione della VFG provoca una diminuzione della clearence di fosfati e
iperfosfatemia. Il fosfato in eccesso si lega con il calcio e produce ipocalcemia, e quindi si ha aumento di
PTH. Questo è l’ipeparatiroidismo secondario: il PTH normalizza la calcemia promuovendo il
riassorbimento di calcio dall’osso e stimolando la secrezione urinaria di fosfato. Oltre a questo, il quadro è
aggravato dalla perdita di parenchima renale e quindi della capacità di produrre 1α idrossilasi renale, e
quindi di produrre D3.
Clinica
Possiamo avere due quadri, quello dell’osteoite fibrosocistica, provocato dall’iperparatiroidismo (vedi),
sovrapposto al quadro dell’osteomalacia
Questi quadri compaiono quando il FG è < di 40 ml/min. Per valori di FG < di 60 ml/min si manifestano
invece soltanto le alterazioni dette prima (ipocalcemia e iperfosfatemia).
I quadri progrediscono con l’aggravamento dei parametri biochimici e della situazione dell’osso, fino alle
fratture spontanee che non regrediscono e alla calcificazione metastatica dei tessuti.
Il motivo per cui in corso di IR si crea una calcificazione metastatica dei tessuti è da ricercarsi
prevalentemente nell’aumento dei fosfati (nonostante la presenza di PTH, visto che il tessuto renale è
danneggiato), in presenza di una calcemia sostanzialmente normale (mantenuta a spese, però, del tessuto
osseo). In queste condizioni si ha abbastanza facilmente il superamento del prodotto di solubilità calcio
fosfato, e quindi la calcificazione metastatica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 144
Altro sintomo tipico è il prurito¸ legato alle microprecipitazione di fosfati nel derma, con attivazione dei
mastociti.
Il quadro osseo può essere infine aggravato dall’alluminio presente nel bagno dialitico o nella terapia con
chelanti dei fosfati, contenenti sali di alluminio. Il metallo si accumula a livello osseo rendendo ancor meno
efficace le produzione dell’osso.
Diagnosi
Si tratta essenzialmente di eseguire esami che permettano di rilevare i quadri clinici descritti altrove di
osteite fibrosocistica e osteomalacia, e i parametri di laboratorio descritti nella clinica.
Terapia
Normalizzare i livelli di Ca++, fosfati e PTH, correggere anomalie ossee, prevenire le calcificazioni
metastiche e naturalmente correggere l’IR.
Si deve iniziare precocemente il trattamento così da prevenire l’iperfosfatemia.
Riduzione dei fosfati alimentari, chelanti del fosforo (con cautela per il loro contenuto di alluminio)
La soluzione unica è il trapianto renale. In questo caso però si può arrivare al quadro dell’iperparatiroidismo
terziario, in cui le paratiroidi sono diventate ipertrofiche e la produzione di PTH continua in eccesso anche
una volta risolta l’IR. Allora si deve fare anche un paratiroidectomia subtotale.
IPERLIPIDEMIE
Ci sono diversi tipi di lipoproteine.
Lipoproteina Densità (g/dl) Diametro (nm) Trigliceridi (%) Colesterolo (%) Fosfolipidi
(%)
Chilomicroni 0,95 75-1200 80-95 2-7 3-9
VLDL 0,95-1,006 30-80 55-80 5-15 10-20
IDL 1,006-1,019 25-35 20-50 20-40 15-25
LDL 1.019-1,063 18-25 5-15 40-50 20-25
HDL 1,063-1,21 5-12 5-10 15-25 20-30
I chilomicroni provvedono al trasporto dei lipidi esogeni dall'intestino ai vari tessuti, le VLDL-IDL-LDL
trasportano i lipidi endogeni dal fegato ai tessuti periferici o di nuovo al fegato, le HDL sono responsabili del
trasporto inverso del colesterolo dai tessuti periferici al fegato.
Assieme ai chilomicroni sono assemblate le tutta una serie di apoproteine, che ne condizionano la funzione e
il metabolismo
Apopoproteina Funzione
Apo-B48 Sintesi intestinale; proteina strutturale dei chilomicroni
Apo-B100 Prevalente sintesi epatica; proteina strutturale delle VLDL, IDL,LDL e di legame con i
recettori per le LDL
Apo-E Sintesi epatica; proteina di legame per i recettori LDL e forse per i recettori LRP; si
ritrova nei chilomicroni, nelle VLDL, IDL e nelle HDL
Apo-A-I Sintesi intestinale (chilomicroni) ed epatica; proteina strutturale delle HDL; attiva LCAT
Apo-A-II Sintesi intestinale (chilomicroni) ed epatica; presente in alcune HDL con funzione ignota
Apo-A-IV Sintesi intestinale (chilomicroni) ed epatica; faciliterebbe il trasferimento di altre
apoproteine tra HDL e chilomicroni
Apo-C-I Sintesi epatica; presente in tutte le lipoproteine tranne le LDL, inibirebbe la captazione di
chilomicroni e VLDL remnants
Apo-C-II Sintesi epatica; presente in tutte le lipoproteine tranne le LDL, attiva la lipasi lipoproteica
Apo-C-III Sintesi epatica; presente in tutte le lipoproteine tranne le LDL, inibisce la lipasi
lipoproteica e inibirebbe la captazione epatica di chilomicroni e VLDL remnants
Apo (a) Sintesi epatica, forse interferisce con la fibrinolisi e sarebbe un fattore di richio
cardiovascolare
Iperlipidemie primitive
Per iperlipidemie si intendonole alterazioni quantitative dei lipidi plasmatici secondarie ad una aumentata
sintesi o ad un ridotto catabolismo delle lipoproteine (iperlipoproteinemie).
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 145
Sono considerati desiderabili livelli di trigliceridi < 160 mg/dl e di colesterolo < 200 mg/dl.
Il modo più semplice di classificare le iperlipemie consiste nel distinguerle in:
→ Ipercolesterolemie
→ Ipertrigliceridemie
→ forme miste.
Descriviamo brevemente alcune delle forme più frequenti:
→ Ipercolesterolemia familiare monogenica: È una malattia autosomica dominante, dovuta ad una
mutazione dei recettori ApoB-LDL. I soggetti omozigoti non possono captare le LDL per via recettoriale,
mentre i soggetti eterozigoti hannouna riduzione della captazione recettoriale delle LDL del 50%. Le LDL in
eccesso di accumulano nel plasma ed infiltrano la parete delle arterie iniziando il processo di aterosclerosi e
si accumulano nei macrofagi e negli istiociti dando origine agli xantomi.
Il quadro clinico della forma omozigote è molto precoce e caratterizzato dalla comparsa di xantomi cutanei
e tendinei e di un'aterosclerosi coronarica accelerata con episodi di infarto già nella seconda decade di vita.
Le manifestazioni della forma eterozigote sono simili ma più tardive.
Le complicanze vascolari compaiono nella terza/quarta decade di vita nel sesso maschile e circa 10 anni
dopo nelle donne.
La colesterolemia è elevata sin dalla nascita e gli eterozigoti con meno di 20 anni hanno valori compresi tra
230 e 500 mg%, gli adulti valori tra 300 e 600 mg%.
→ Deficit familiare di LPL: Questo deficit enzimatico si trasmette per via autosomica recessiva e
comporta un blocco del metabolismo dei chilomicroni. I chilomicroni non essendo catabolizzati dalla LPL si
accumulano nel plasma. Nei capillari pancreatici essi sono sottoposti all’azione della lipasi pancreatica che
idrolizza parzialmente i trigliceridi con formazione di acidi grassi e lisolecitina che sono tossici per il
parenchima pancreatico e possono portare all’insorgenza di una pancreatite acuta.
Le prime manifestazioni cliniche si hanno nell'infanzia e sono caratterizzate da quadri di addome acuto
conseguente a pancreatiti ricorrenti e dalla presenza di xantomi eruttivi (papule giallastre con alone
eritematoso distribuite nelle zone cutanee sottoposte a pressione).
L'accumulo di istiociti ricchi di trigliceridi causa epatomegalia e splenomegalia, mentre non si osserva un
aumento dell'aterosclerosi.
La terapia consiste in una dieta povera di grassi (circa 20 g/die) con preferenza di grassi a catena intermedia
(6-10 atomi di carbonio) che si legano direttamente all'albumina e non necessitano dei chilomicroni per
essere trasportati in circolo.
L'ipertrigliceridemia compare dopo la pubertà; spesso si manifesta in pazienti adulti con diabete mellito di
tipo II, ipertensione arteriosa, obesità ed iperuricemia contribuendo al quadro della sindrome
plurimetabolica.
La diagnosi si basa sulla presenza di una trigliceridemia compresa tra 200 e 500 mg% (fenotipo IV,
raramente V), in assenza di patologie associate, o superiore a 500 se è presente diabete e nel riscontro di
ipertrigliceridemia in almeno il 50% dei parenti di primo grado.
La terapia consiste nella dieta ed, eventualmente, olii di pesce e/o fibrati.
→ Dislipidemia diabetica
Nel diabete mellito di tipo I la carenza di insulina determina una riduzione dell’attività della LPL con
conseguente ridotto catabolismo delle VLDL e dei chilomicroni.
I pazienti con diabete mellito di tipo 2 rispetto ai non-diabetici hanno più di frequente elevati livelli di
trigliceridemia e ridotti livelli di colesterolemia HDL, mentre colesterolemia totale e LDL sono simili a
quelli della popolazione non-diabetica.
L’ipertrigliceridemia spesso precede la comparsa clinica del diabete ed è caratteristica della sindrome
plurimetabolica caratterizzata da:
→ insulino-resistenza e iperinsulinemia
→ obesità androide o centrale
→ dislipidemia (aumento dei trigliceridi e riduzione delle HDL)
→ alterazioni endoteliali con incremento del PAI che predispongono all’aterosclerosi
Si ritiene che il primum movens della sindrome metabolica sia l’eccesso di grasso viscerale che associato
alla sedentarietà si traduce in un aumentato afflusso di acidi grassi non esterificati (NEFA) al fegato. I NEFA
si depositano localmente (steatosi epatica) e promuovono la gluconeogenesi. In periferia, i NEFA
competono con il glucosio per l’utilizzazione muscolare. Si verifica, pertanto, un incremento della glicemia
che stimola la secrezione insulinica. Iperinsulinemia ed iperglicemia a loro volta inducono ulteriore insulino-
resistenza. L’insulino-resistenza comporta un aumento della lipolisi, aumentato afflusso di NEFA al fegato,
minore inibizione della produzione delle VLDL che si arricchiscono in trigliceridi e permangono più a lungo
in circolo a causa della ridotta idrolisi da parte della lipasi lipoproteica.
Pertanto, la dislipidemia diabetica si caratterizza per la presenza della cosiddetta triade aterogena :
→ Ridotto colesterolo HDL
→ Aumento LDL piccole e dense
→ Ipertrigliceridemia
La particolare aggressività aterogenetica è dovuta al diminuito trasporto inverso del colesterolo e alla facilità
con cui le LDL piccole e dense attraversano l’endotelio e vanno incontro ad ossidazione.
Ciò è causato dall’insulino-resistenza che determina un incremento delle VLDL che vengono
successivamente catabolizzate a LDL.
→ Dislipidemia da eccesso di GH
È determinata dall’insulino-resistenza.
→ Dislipidemia da alcolismo
In corso di alcolismo si ha ipertrigliceridemia in quanto l’etanolo inibisce l’ossidazione epatica degli acidi
grassi che si accumulano e vengono esterificati in trigliceridi.
Questi in parte si accumulano nel fegato dando steatosi epatica ed in parte entrano a far parte delle VLDL.
L’incremento delle VLDL difficilmente determina una ipertrigliceridemia in quanto aumenta anche il loro
catabolismo, ma ciò si verifica in caso di predisposizione genetica.
→ Dislipidemia da farmaci
Sia i β−bloccanti che i diuretici tiazolici possono determinare un modico incremento dei trigliceridi dovuto
ad un incremento della sintesi epatica di VLDL.
I diuretici possono anche aumentare il colesterolo e le LDL, mentre i β−bloccanti determinano una riduzione
delle HDL.
Diagnosi
Nella gran parte dei casi per diagnosticare un'iperlipoproteinemia sono sufficienti l'anamnesi familiare,
l'esame clinico ed il dosaggio della colesterolemia e della trigliceridemia.
Raramente, deve essere richiesta per un sospetto tipo III (rapporto tra colesterolo e trigliceridi nel plasma è
compreso tra 0,3 e 1) l'elettroforesi lipoproteica e l'isoelettrofocusing, nel tipo I il dosaggio dell'ApoC-II e
dinanzi ad un'ipercolesterolemia familiare la sequenza aminoacidica dell'ApoB-100.
Terapia
La terapia delle dislipidemie si avvale della dieta, dell’attività fisica e dei farmaci ipolipemizzanti.
L’obiettivo è quello di ridurre il rischio aterosclerotico nei pazienti con ipercolesterolemie e quello di
pancreatite acuta neipazienti con ipertrigliceridemia.
L’intesità dell’azione terapeutica deve essere maggiore in presenza di altri fattori di richio cardiovascolare
(cardiopatia ischemica, diabete mellito, fumo, ipertensione arteriosa, familiarità).
Dieta
Il migliore risultato (riduzione del 10-15% dei lipidi plasmatici) si ottiene con una dieta con un apporto
calorico proveniente dai grassi compreso tra il 26 ed il 30% delle calorie totali.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 148
Mantenendo le calorie totali apportate dai grassi saturi a valori inferiori al 7-10% si riesce a contenere
l’introito giornaliero di colesterolo a valori inferiori a 300 mg%.
Riduzioni ulteriori dei grassi dietetici non sono vantaggiose perché costringono ad aumentare troppo
l’introito dei carboidrati che a loro volta tendono ad aumentare la trigliceridemia.
Bisogna assicurare 20 g di fibre per ogni 1000 Kcal introdotte, l’incremento delle fibre è importante per la
loro azione sull’assorbimento intestinale dei lipidi e dei glucidi.
Il massimo beneficio si ottiene quando la dieta è associata all’esercizio fisico.
Esercizio fisico
L’esercizio fisico di tipo aerobico praticato in maniera regolare (per esempio 20 minuti al giorno oppure 35-
40 minuti 3\4 volte a settimana) riduce il rischio di mortalità cardiovascolare.
Gli effetti benefici dell’esercizio fisico sono:
Calo di peso
Abbassamento della pressione arterioso
Aumento HDL e riduzione LDL
Terapia farmacologica
I principali farmaci ipolipemizzanti sono i sequestranti biliari, i fibrati e gli inibitori della sintesi del
colesterolo (statine).
→ I sequestranti biliari (colestiramina, colestipolo) sono delle resine a scambio ionico che agiscono
attraverso il legame ai sali biliari che ne impedisce il riassorbimento intestinale (circolo entero-epatico).
Questo meccanismo ha l’inconveniente di ridurre la concentrazione di colesterolo libero negli epatociti che
aumenta la sintesi di colesterolo endogeno.
Tuttavia la riduzione del pool intracellulare di colesterolo determina anche l’incremento dell’espressione dei
recettori per le LDL.
Gli effetti indesiderati delle resine includono stipsi, meteorismo e riduzione dell’assorbimento di altri
farmaci (digossina, coumadin) che, pertanto, vanno somministrati ad almeno tre ore di distanza.
Inoltre, i sequestranti biliari tendono ad aumentare la trigliceridemia, soprattutto nei pazienti con
ipertrigliceridemia.
Per questo motivo è opportuno evitare l’uso isolato della resina nei pazienti con dislipidemia combinata.
I fibrati sono indicati nel trattamento della disbetalipoproteinemia familiare e della ipertrigliceridemia.
La terapia con fibrati (gemfibrozil) è in grado di ridurre la mortalità coronarica in prevenzione secondaria.
Tra gli effetti collaterali dei fibrati vanno tenuti presenti l’intolleranza gastrica, la litiasi biliare e la miopatia.
Quest’ultima complicanza può essere prevenuta monitorando ogni 3-6 mesi GOT, GPT e CPK ed evitando la
somministrazione dei fibrati ai pazienti con insufficienza renale.
→ Le statine riducono il colesterolo LDL in percentuali variabili tra il 10 ed il 50% a seconda del dosaggio e
del tipo di statina, non modificano sostanzialmente o aumentano di poco il colesterolo HDL.
Per quanto riguarda la trigliceridemia gli effetti variano da non-significativo a decrementi sino al 30%.
La simvastatina e, soprattutto, l’atorvastatina hanno un maggiore effetto ipotrigliceridemizzante.
Statine Posologia die
Simvastatina 5-20 mg
Cerivastatina 0,2-0,3 mg
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 149
Pravastatina 10-40 mg
Fluvastatina 20-40 mg
Atorvastatina 10-80 mg
Le statine riducono la colesterolemia mediante l’inibizione dell’enzima chiave della sintesi del colesterolo
(HMGCoA reduttasi) .
La riduzione del colesterolo libero intracellulare aumenta l’espressione sulle membrane cellulari dei
recettori per le LDL.
L’azione ipotrigliceridemizzante è dovuta ad una minore produzione epatica di VLDL.
A. Ipoglicemie esogene.
Da insulina.
Ipoglicemizzanti orali. Sulfaniluree ad azione protratta (clorpropamide)
Alcool. È una causa molto frequente, la cui azione si esplica a livello epatico con inibizione della glico-
neogenesi. Le crisi ipoglicemiche in questi casi sono favorite dalla denutrizione e dal digiuno.
Sofferenza cellulare. Si manifesta essenzialmente con una sintomatologia neurologica, per il fatto che i
neuroni sono strettamente glucosio-dipendenti per i loro processi metabolici vitali. Si potranno riscontrare
quindi cefalea, astenia, disturbi comportamentali, disturbi visivi (diplopia), convulsioni ed eventualmente
coma. La sofferenza cellulare può esplicarsi anche attraverso sintomatologia di tipo anginoso.
Seconda tappa molto importante è la raccolta di una anamnesi accurata riguardo all’insorgenza della sinto-
matologia ipoglicemica ed alla sua risoluzione (importante l’orario in cui vengono riferite le ipoglicemie)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 151
con accurato rilievo alle sostanze ingerite o ad eventuali terapie farmacologiche. Dovranno quindi essere
analizzati i dati clinici obiettivi relativi a patologie concomitanti o scatenanti (tumori, endocrinopatie, ecc.).
1. Determinazione contemporanea di insulinemia e glicemia in condizioni basali per più volte.. In persone
normali il rapporto è inferiore a 0,4 mentre nella maggior parte dei casi di insulinoma, il rapporto
insulina/glucosio è superiore a 0,4, spesso oltre 1,0.
2. Determinazione di insulinemia e glicemia durante digiuno di 24-48-72 ore. Nei soggetti normali i livelli
insulinemici tendono ad abbassarsi, mentre negli insulinomi i livelli rimangono quelli di partenza.
Terapia
→ Intervento chirurgico in caso di insulinoma.
→ Trattamento farmacologico (diazossido, difenilidantoina, β-bloccanti) e dietetico (dieta povera di
carboidrati) nelle ipoglicemie reattive.
→ Trattamento causale nelle altre situazioni. Nella crisi ipoglicemica somministrazione di glucosio ev o per
os, oppure glucagone im o ev.
DIABETE
Il diabete è una sindrome caratterizzata da:
Iperglicemia con alterazioni del metabolismo proteico, lipidico ed eletterrolitico
Poliutiria e polidipsia, polifagia con dimagrimento
Parestesie, astenia e debolezza muscolare
Pruriti vulvari per aumento delle infezioni genitali (favorite dall’aumento del glucosio)
Il criterio per la identificazione di un livello di cut off della malattia non è più quello della distribuzione
normale della glicemia nella popolazione, ma l’identificazione del livello minimo di glicemia in grado di
provocare danni a lungo termine.
Glicemia 2 ore dopo carico orale di glucosio: 75 g di glucosio in 200-300 ml di acqua. Misurazione prima
e 2 ore dopo l’assunzione. Positivo se dopo 2 ore la glicemia rimane sopra a 200 mg/dl
Test a digiuno
< 90 normalità
90 – 100 soggetto da tenere sotto osservazione
100 – 110 forte sospetto di intolleranza al glucosio
110-126 intolleranza al glucosio (rischio lieve)
> 126 diabete (rischio elevato)
Classificazione
→ Diabete mellito di tipo I o insulino-dipendente IDDM
Forma a patogenesi immunitaria
In passato veniva indicato come forma giovanile, può manifestarsi ad ogni età ma insorge in genere prima
dei 20 anni. Rappresenta il 15-20% di tutte le forme, la prevalenza è del 0.2-0.5%.
E’ associato ad una reazione autoimmune contro le cellule di tipo beta. La patogenesi è legata sia ad una
predisposizione genetica che a fattori ambientali.
La predisposizione genetica è dovuta ad una alterazione dell’immunoregolazione testimoniata dal fatto che i
pazienti nel 10% dei casi soffrono anche di altre malattie di natura autoimmunitaria: sono più suscettibili a
sviluppare IDDM i pazienti con HLA DQ 3.2 e HLA DR3
La distruzione delle cellule B è correlata alla presenza di auto-Ab:
ICA contro le insule pancreatiche
ICSA contro la superficie insulare
C’AMC Ab citotossici anti-insule
IAA anti-insulina
GAD anti-glutamatodecarbossilasi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 152
La caratteristica fondamentale del diabete di tipo II è la presenza di resistenza insulinica e il deficit relativo
di secrezione insulinica cioè inadeguato al carico di glucosio presente in circolo.
Nei soggetti con predisposizione genetica a sviluppare diabete mellito di tipo II la malattia è precipitata da
fattori ambientali che di per sé sono in grado di determinare insulino-resistenza (che non determina diabete
negli individui normali):
→ Obesità: presente nell’80% dei pazienti con NIDDM spesso nell’ambito della sindrome plurimetabolica:
causa direttamente iperinsulinemia, anche nei pazienti non diabetici, in quanto il tessuto adiposo è
relativamente insensibile all’azione dell’insulina e continua a liberare acidi grassi nella vena porta che
arrivano poi al fegato e vengono trasformati in glucosio.
→ Gravidanza
→ Farmaci
→ Malnutrizione in utero
→ Patologie endocrine
→ Rare mutazioni del gene per l’insuline
L’insulino-resistenza è l’incapacità dei tessuti a utilizzare il glucosio la quale determina iperglicemia che
stimola le cellule B alla produzione di insulina con iperinsulinismo compensatorio.
L’iperinsulinismo inoltre comporta una riduzione dei recettori periferici dell’insulina contribuendo a
determinare la resistenza insulinica.
Spesso inoltre coesistono difetti postrecettoriali a livello dei tessuti periferici.
→ Sindrome plurimetabolica (sindrome da insulinoresistenza)
Si tratta di una condizione derivata dalla presenza di insulinoresistenza. Questa produce obesità androgena e
ipertensione, iperinsulinemia. Questi fattori, con l’alterazione del metabolismo lipidico, producono
alterazioni dell’emodinamica e della parete arteriosa (importante anche l’aumento dell’attività dell’inibitore
del plasminogeno prodotta dall’iperinsulinemia). Tutto questo produce alla fine aterosclerosi.
La resistenza insulinica conduce alla fine ad una forma di diabete molto simile a quello di tipo 2, ma con una
notevole prevalenza delle malattie cardiovascolari. In realtà, si può dire che la sindrome plurimetabolica è un
aspetto del diabete di tipo 2.
Altri aspetti particolari dovuti alla resistenza insulina sono la acantosi nigricans (una iperpigmentazione
della cute con formazione di papillomi) e la sua associazione con la sindrome dell’ovaio policistico. Su
queste sindromi, i farmaci che aumentano la secrezione di insulina hanno effetto positivo
→ Diabete gestazionale
Effetto diabetogeno della gravidanza. Può essere di tipo 1 o 2 come storia clinica
Insorge nel 2% della gravidanze e si associa ad una più elevata mortalità e morbilità perinatale.
La tolleranza glucidica in genere si normalizza dopo il parto.
Entro 10 anni circa il 40% di queste donne sviluppa diabete manifesto.
→ Diabete associato a difetti genetici di funzione
In passato veniva definito MODY e veniva considerato come una forma giovanile del diabete di tipo II.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 153
La secrezione cellulare di insulina diminuisce costantemente durante lo sviluppo della malattia ben prima
che ci siano sintomi. Se si prende il pz in questa fase la durata della latenza può essere molto aumentata (luna
di miele) o addirittura si può bloccare il danno con gli immunosoppressori, ma la terapia è più pesante della
sostituzione di insulina e quindi non la si usa.
Esiste una variante detta LADA, che è il diabete autoimmune ad insorgenza nell'adulto, con una caratteristica
lentezza che ha fatto supporre erroneamente che si trattasse di diabete di tipo 2, e si differenzia solo con gli
autoanticorpi (specie anti Gad, tipici degli adulti, mentre nei bambini sono più spesso presenti anti insulinici)
Diabete di tipo II
Lunga fase di latenza asintomatica con assenza di ab. Il paziente spesso si presenta dal medico non per i
sintomi classici del diabete, che spesso mancano, ma per la presenza di gravi complicazioni (ulcere,
alterazioni oculari…).
Diabete gestazionale
Normalmente, anche se non richiede insulina per la sopravvivenza, viene trattato più aggressivamente del
diabete di tipo 2, per ottenere una assoluta normalizzazione della glicemia in caso di gravidanza. Se la
dieta non è sufficiente, e i farmaci ipoglicemizzanti orali non bastano, si ricorre anche all’insulina.
Fisiopatologia
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 154
Gluconeogenesi
Chetogenesi
IPERGLICEMIA
Glicosuria
Diminuzione della Diuresi osmotica
riserva di alcali Diminuzione elettoroliti
COMA Disidratazione cellulare
ACIDOSI Ipovolemia
Insufficienza renale
Clinica
Nel diabete mellito di tipo I l’esordio della malattia è in genere improvviso.
→ Poiché il glucosio è osmoticamente attivo vengono perse con le urine notevoli quantità di liquidi ed
elettroliti determinando poliuria che nel bambino può dare luogo ad enuresi nel bambino la soglia renale da
carico di glucosio è di 160 mg/dl, non di 180).
La perdita di liquidi e l’iperglicemia determinano iperosmolarità plasmatica con disidratazione cellulare e
conseguente attivazione del centro della sete con polidipsia.
→ Si possono anche avere disturbi visivi per l’esposizione del cristallino e della retina ai liquidi
iperosmolari. I danni retinici, complicanza acuta a lungo termine, non si associano mai a perdita della
visione, in quanto la porzione di retina che deve essere danneggiata prima di arrivare alla cecità è enorme.
→ L’incremento dei processi catabolici a livello muscolare e del tessuto adiposo determina dimagrimento
nonostante la polifagia e la proteolisi aggrava l’astenia muscolare. Le alterazioni del metabolismo proteico
contribuiscono a determinare la ritardata cicatrizzazione delle ferite e nel bambino il deficit di accrescimento.
La chetoacidosi determina nausea e vomito che peggiorano l’ipovolemia, tachipnea per eliminare l’acetone
(che determina il cosiddetto alito di mele marce) e la CO2 in modo da compensare l’acidosi con respiro di
Kussmaul (respiri rapidi e profondi) e dolore e resistenza addominale fino ad un quadro di addome acuto
Laboratorio:
Ú l’iperglicemia è sempre maggiore di 200 mg/dl e spesso tra 400 e 700 mg/dl con glicosuria importante.
Ú Si ha incremento della chetonemia e della chetonuria.
Ú Il livello plasmatico dei bicarbonati è diminuito e la pCO2 è < 40 mmHg per il tentativo di compensare
l’acidosi.
Ú La kaliemia è normale o aumentata e deve essere monitorizzata per il rischio di aritmie. Inizialmente si
verifica iperkaliemia perché in corso di acidosi si verifica scambio di K+ intracellulare con H+
extracellulare. Con l’inizio della terapia a causa del ripristino del volume plasmatico e dell’effetto
dell’insulina sui canali del K+ si ha ritorno del K+ nella cellula e quindi riduzione della sua concentrazione
plasmatica.
Ú Si ha incremento del gap anionico e iperosmolarità che quando raggiunge i 300 mOsm/Kg determina
coma.
Ú Si ha incremento di acidi grassi e acido lattico.
Ú Si hanno inoltre variazioni ormonali con incremento degli ormoni antinsulari: GH, cortisolo e
catecolamine.
Ú Modesto aumento dell’osmolarità plasmatica
Ú Perdita della riserva di basi
Ú Acidosi
Terapia
Il primo provvedimento da prendere è il rimpiazzo di liquidi tramite infusione di soluzione fisiologica che
ristabilisce la perfusione renale permettendo l’eliminazione del glucosio (25%), dei corpi chetonici e degli
ormoni antinsulari (in particolare le catecolamine che sono incrementate anche per l’ipotensione).
Inoltre il ripristino della volemia permette una adeguata perfusione tissutale che agevola l’azione
dell’insulina a livello dei tessuti.
Nella fase acuta in cui si deve garantire la sopravvivenza del paziente è necessaria l’infusione di 1l/h mentre
nella fase di recupero metabolico (glucosio plasmatico ritornato a valori intorno a 200 mg/dl) si passa a 250 e
poi 150ml/h.
L’insulina va somministrata per via endovenosa che ha una migliore cinetica di assorbimento rispetto alla
via sottocutanea in cui la vasocostrizione peggiora l’assorbimento.
Inizialmente vanno somministrate 6U/h (quantità maggiori determinano soltanto un aumento dei rischi dopo
la normalizzazione della glicemia) successivamente vanno somministrate 2-4U/h fino alla normalizzazione
della glicemia.
La somministrazione può essere fatta anche per via intramuscolare, in questo caso si somministrano prima
20U e poi 5-6U/h.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 156
Nel momento in cui la glicemia inizia a diminuire va somministrato anche glucosio nella fisiologica (5-10
mg/dl) con una dose di 250 ml/h il quale serve a facilitare lo smaltimento dei corpi chetonici.
Il potassio va somministrato in dosi di 20-30 mM/h con velocità di infusione tale da mantenere una
concentrazione plasmatica pari a 4-5 meq/l.
Se il pH scende al di sotto di 6.9 va fatta somministrazione di HCO3- 50 meq/h fino a che il pH non torna
7.
Gli effetti controproducenti della somministrazione di bicarbonati sono: nessun beneficio se la riduzione di
pH è minima, riduzione del feedback negativo sulla produzione di acidi, effetto negativo sullo smaltimento
dei corpi chetonici.
Se l’osmolarità è maggiore di 350 mosm/l viene fatta anche terapia anticoagulante a causa della sindrome
da iperviscosità che si instaura.
Coma iperosmolare
Si ha in pazienti con diabete mellito di tipo II in cui la secrezione residua di insulina è sufficiente a prevenire
la chetogenesi ma non l’iperglicemia.
È determinato da un ridotto apporto di liquidi che non è in grado di compensare la disidratazione
intracellulare iperosmotica, secondaria alla poliuria da iperglicemia.
Colpisce soprattutto individui anziani con riduzione del senso della sete o impossibilità di bere.
L’ipovolemia che ne consegue determina riduzione della VFG che peggiora l’ipoglicemia in quanto
determina una riduzione della escrezione renale di glucosio.
L’iperglicemia è a valori compresi tra i 600 e i 2400 mg/dl con notevole incremento dell’osmolarità che
supera i 350 mosm/l.
La sintomatologia è caratterizzata da poliuria e polidipsia con marcata disidratazione e interessamento del
SNC con obnubilamento del sensorio fino al coma.
Queste viste adesso sono complicanze acute, ma il diabete può andare incontro a importanti manifestazioni
cliniche dirette, anche se tardive della malattia.
Macroangiopatia
È una forma di aterosclerosi che colpisce i soggetti diabetici con una frequenza maggiore di 2-5 volte rispetto
ai soggetti non diabetici, in particolare quelli affetti da IDDM (sindrome plurimetabolica).
Clinicamente si manifesta con:
cardiopatia ischemica
vasculopatia a livello dei grossi vasi
ischemia dei vasi periferici
cerebropatia
La macroangiopatia dipende anche dalla coesistenza di diversi fattori di rischio che vanno quindi
attentamente controllati:
Ú fumo
Ú alcol
Ú dieta iperlipidica
Ú ipertensione arteriosa che è il principale fattore di rischio che deve essere monitorizzato
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 157
Microangiopatia
E’ caratteristica del diabete poiché è dovuta essenzialmente all’iperglicemia.
Colpisce i vasi arteriosi periferici del diametro di 90 cm, (arteriole) a livello di tutti i distretti cioè
ubiquitariamente ma si manifesta principalmente in alcuni distretti:
occhio : retinopatia (principale causa di cecità per motivi non traumatici)
rene : nefropatia (una delle cause principali di IRC)
nervi : neuropatia sia somatica che autonomica
arti inferiori : ulcere trofiche fino alla gangrena (principale causa di amputazioni non traumatiche)
L’ischemia da fibrosi a sua volta determina il rilascio di fattori di crescita endoteliali che stimolano
l’angiogenesi.
La neoangiogenesi però da luogo alla formazione di vasi anomali che aggravano la patologia in quanto
essendo di forma anomala danno facilmente microaneurismi ed alterazione del tessuto in cui crescono.
Retinopatia diabetica
È una complicazione che dipende dalla durata e dallo stato di compenso del diabete.
In genere dopo 25 anni è sempre presente e dopo 30-40 anni il 35% dei pazienti non trattati ha una
retinopatia grave che è in grado di compromettere anche la visione.
→ Fase preclinica
• Microaneurismi: sono spesso localizzati al polo posteriore, isolati o a gruppi. Sono difficili da rilevare
all’esame oftalmologico, mentre invece si vedono bene con la fluorangiografia retinica
• Edema retinico: consegue alla permeabilità dei capillari e provoca ispessimento della retina. Questo può
portare a discromie e diminuzione del visus
• Maculopatia: complicanza della retinopatia che può verificarsi in qualsiasi momento a partire dagli stadi
iniziali, e che si manifesta come diminuzione del visus
• Emorragie retiniche: sono di due tipi. A fiamma (allungate e superficiali, vicino alle fibre nervose), o a
punto (scure e rotondeggianti, negli spazi più profondi). Sono molte e numerose, ma di scarso significato
clinico
• Essudati duri: accumuli principalmente di materiale lipidico, e microglia che lo fagocita. La comparsa di
questi essudati è indice di sofferenza ischemica e caratterizza la così detta fase preproliferativa, nella
quale inizia lo stimolo alla formazione di neovasi.
• Emorragie preretiniche: i vasi fragili crescono nello spazio fra la retina e il vitreo, e quando si rompono
formano una raccolta ematica in questo spazio
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 158
• Emorragie vitreali: occasionalmente il sangue si raccoglie nell’umor vitreo, con formazione di una
ematoma che può portare al riempimento di tutto l’occhio di sangue, con perdita della visione all’improvviso.
• Distacco di retina da trazione: il ciuffo di neovasi formati sulla retina si porta con se una quantità di
tessuto connettivale, formando dei ponti fibrosi con la retina stessa. Tutta questa struttura fibrosa forma quindi
una trazione retinica che se è a livello maculare è una causa di calo del visus, ma se è estesa può provocare il
distacco della retina
• Glaucoma neovascolare: se l’ischemia retinica è molto grave, i neovasi si formano anche sull’iride
(probabilmente viene prodotto più fattore angiogenetico e questo si diffonde di più anche anteriormente). In
questo modo si forma la rubeosi dell’iride (iride completamente attraversata dai neovasi), che esita nella
completa chiusura dell’angolo irido-corneale con formazione di glaucoma. Qui siamo ad uno stadio terminale
della patologia retinica, in cui il controllo medico è molto difficile, e il controllo glicemico inutile.
Nefropatia diabetica
Il termine nefropatia diabetica sta ad indicare l’insieme delle lesioni che si instaurano in un rene diabetico,
esse interessano principalmente i glomeruli ma anche le arteriole e l’interstizio possono essere colpiti.
La nefropatia diabetica rappresenta una complicazione cronica che insorge nel 50% dei pazienti con diabete
di tipo I e nel 20% dei pazienti con diabete di tipo II.
Le alterazioni morfologiche glomerulari sono date da:
→ Ispessimento della membrana basale glomerulare che fa parte del quadro della microangiopatia
diabetica che si accompagna anche a quello del mesangio e della membrana basale dei tubuli
→ Glomerulosclerosi obliterativa diffusa (frequente nei soggetti affetti da diabete da più di 10 anni) che è
data da un aumento diffuso della matrice mesangiale che si espande obliterando la componente cellulare
giungendo ad occupare l’intero glomerulo;
La patogenesi è strettamente connessa con quella della microangiopatia diabetica ed è cioè principalmente
dovuta all’incremento della sintesi di collageno di tipi IV e alla riduzione dei proteoglicani a livello della
MBG che le conferiscono la carica negativa.
Inizialmente la vasodilatazione a livello glomerulare determina un incremento della VFG fino a 160 ml/min
che determina incremento del volume del rene documentabile ecograficamente.
Successivamente con l’incremento della permeabilità capillare glomerulare compare microalbuminuria che
inizialmente è transitoria e compare soltanto dopo sforzi fisici.
Tuttavia in seguito la microalbuminuria diventa persistente e compare quindi la microalbuminuria.
A questo punto le lesioni renali non sono più reversibili con un buon controllo glicemico e si ha un
progressivo deterioramento della funzione renale.
Si instaura ipertensione sistemica in seguito all’attivazione del sistema renina-angiotensina determinato dalla
riduzione della VFG.
Alterazioni vascolari:
1. stenosi dell’arteria renale con conseguente ipertensione renovascolare dovuta alla macroangiopatia
diabetica.
2. arteriolosclerosi ialina che coinvolge non solo l’arteriola afferente ma anche la efferente (evento raro nei
non – diabetici) e che può dare nefroangiosclerosi con ipertensione o insufficienza renale.
Neuropatia
→ Mononeuropatie: si tratta di un evento legato all’occlusione dei vasa vasorum dei grossi tronchi in più.
L’esordio in genere è acuto, accompagnato da dolore provocato dall’ischemia e da deficit motorio. Sono
colpiti prevalentemente i nervi cranici (III, IV, VI) e il mediano, l’ulnare, il femorale, il peroniero e lo
sciatico. Alterazioni dell’udito, della vista e sindrome del tunnel carpale sono i sintomi più frequenti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 159
→ Neuropatia perferica simmetrica: forma in assoluto più comune, si manifesta prevalentemente agli arti
inferiori. Il quadro clinico è caratterizzato da parestesie, ipoestesie e dolore. Ed è insidioso e progressivo. Ci
sono due cose caratteristiche: la scarsità di dolore, che se è presente si manifesta soprattutto di notte, e la
perdita di sensibilità progressiva dalla periferia a salire (a calza).
La patogenesi è probabilmente legata ad alterazioni di tipo metabolico dovute all’accumulo intracellulare di
sorbitolo a livello delle cellule di Schwan che comporta demielinizzazione dei nervi.
Ai deficit sensitivi possono associarsi anche deficit motori con debolezza ed ipotrofia dei muscoli intrinseci
delle mani e dei piedi.
I deficit motori possono anche determinare malposizione dell’appoggio plantare.
Tutto ciò determina la cosiddetta artropatia di Charcot, caratterizzata da disfunzioni articolari, edema e
deformazione del piede.
→ Neuropatia autonomica.
Si tratta dell’interessamento del sistema nervoso vegetativo. Pùò essere asintomatica o determinare:
Ú Disturbi della sudorazione
Ú Incremento della salivazione soprattutto prima dei pasti
Ú Arresto respiratorio con morte improvvisa
Ú Assenza del riflesso pupillare alla luce
Ú Tachicardia, perdita della normale aritmia sinusale respiratoria (a causa di riflessi cardiovascolarianomali)
ipotensione arteriosa ortostatica (per riduzione del riflesso ortosimpatico)
Ú Edema neuropatico (da vasodilatazione) importante da differenziare dall’edema cardiaco
Vasculopatia
Particolarmente importanti nei pazienti diabetici sono le alterazioni aterosclerotiche a carico dei vasi degli
arti inferiori.
Il quadro clinico può essere quello della claudicatio intermittens per interessamento dei grossi vasi o ulcere a
livello dei piedi per interessamento delle arterie di piccolo calibro e delle arteriole.
Si ha inoltre la formazione di shunt arterovenosi che riducono l’irrorazione degli arti.
A livello degli arti inferiori infatti sono presenti diverse alterazioni legate alla neuropatia
Alterazioni dermatologiche
Le lesioni dermatologiche tipiche del diabete sono 2:
Ú Necrobiosis lipidica diabeticorum che è caratterizzata da lesioni a placca con un centro giallastro e
argini spesso rialzati e iperpigmentati, che si localizzano soprattutto sulla superficie anteriore degli arti
inferiori e tendono ad ulcerarsi
Ú Dermopatia diabetica caratterizzata da lesioni di tipo papulare localizzate per lo più nella regione pre –
tibiale che guarendo lasciano un’area atrofica iperpigmentata
Altre complicazioni
→ Riduzione degli ormoni controregolatori in risposta all’ipoglicemia (che determina nel diabete in fase
avanzata un incrementato rischio di crisi ipoglicemiche)
→ A livello gastroenterico: disturbi della motilità esofagea, ritardo dello svuotamento gastrico fino alla
gastroparesi, disturbi dell’alvo con stipsi e diarrea e incontinenza fecale (che possono determinare
alterazione dell’assorbimento degli alimenti che può interferire con il controllo della glicemia)
→ I disturbi genitourinari sono prevalenti nei maschi: disturbi della minzione, ipotonia della vescica con
incremento del residuo minzionale, eiaculazione retrograda ed impotenza
Terapia
Obiettivi:
Evitare complicanze acute
Prevenire complicanze croniche
E’ importante differenziare il trattamento del diabete di tipo I e quello di tipo II: alla fine entrambi i tipi di
pazienti diventano dipendenti dall’insulina, ma il diabete I richiede subito il trattamento con essa. Invece un
trattamento con cortisonici è in grado di ridurre notevolmente la comparsa del deficit insulinico, nel diabete
di tipo I, se iniziato quando si abbia la positività agli autoanticorpi. In questo modo, il soggetto manifesta un
rallentamento marcato della progressione del danno insulare e a volte una temporanea regressione di esso
(luna di miele).
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 160
1. Dieta. In tutte le forme di diabete è stata riconosciuta l’importanza di una corretta dieta. Infatti, il rapido
assorbimento di carboidrati può incrementare la glicemia e la glicosuria e peggiorare i sintomi del diabete.
Per questo motivo, nel passato, l’orientamento era verso una riduzione dei carboidrati dietetici, il che
costringeva ad incrementare la quota di grassi presenti nella dieta. Oggi è riconosciuto che questa riduzione
di carboidrati è inutile purché si evitino gli zuccheri rapidamente assorbiti (per es., il saccarosio) e si
assumano carboidrati complessi in forme dietetiche tali da renderne lento l’assorbimento. Questo risultato è
raggiunto facilmente se la dieta contiene alimenti ricchi di fibre, tra le quali le più utili sono quelle gelatinose
presenti, per esempio, nei legumi. Perciò, purché si abbia l’avvertenza di consumare alimenti naturali ricchi
di fibre (o di aggiungere a bella posta fibre gelatinose alla dieta, attraverso l’assunzione di alcune
preparazioni farmaceutiche appropriatamente designate a questo scopo) è possibile che i diabetici assumano
una dieta equilibrata, non troppo ricca di grassi, con i carboidrati che forniscono circa il 50-55% delle calorie
quotidiane. Secondo le raccomandazioni del Food and Nutrition Board degli USA per la maggior parte degli
adulti l’apporto calorico quotidiano può essere di 36 kcal/kg per gli uomini e di 34 kcal/kg per le donne.
Queste quantità possono essere aumentate o diminuite in dipendenza
della età.
Sarà opportuno che l’apporto calorico giornaliero venga mantenuto relativamente costante, pur con tutte le
variazioni qualitative (tra alimenti considerati equivalenti) che sono necessarie per evitare che la dieta risul-ti
monotona. Il calcolo dell’apporto calorico quotidiano per singolo ammalato deve essere basato su
considerazioni individuali. Nei diabetici di tipo II obesi occorre ridurre le calorie perché la semplice perdita
di peso può ristabilire la sensibilità dei tessuti all’insulina e far riguadagnare la normalità metabolica.
Nei diabetici non obesi, soprattutto se in trattamento con insulina, le calorie andranno calcolate sulla base del
fabbisogno ideale, tenendo conto del tipo di vita condotto dal soggetto e degli aumenti dovuti per la atti-vità
fisica abituale.
2. Insulina. Nel diabete di tipo I, nel quale esiste carenza assoluta di insulina, e nel diabete di tipo II resi-
stente alle terapie dietetiche e con antidiabetici orali, questo ormone deve essere somministrato come terapia
sostitutiva. Le insuline correntemente adoperate sono di origine bovina (che differisce da quella umana per
tre residui aminoacidici) e suina (che differisce da quella umana solo per il residuo aminoacidico in
posizione 30 della catena ). Recentemente si è resa disponibile anche l’insulina umana, ricavata per
sostituzione aminoacidica dell’insulina suina, o prodotta da ceppi di Escherichia coli nei quali sono stati
inseriti i geni che codificano le due catene peptidiche dell’insulina umana. La origine dell’insulina impiegata
a scopo terapeutico ha importanza, in alcuni casi, per la antigenicità della molecola. Le preparazioni
tradizionali di insulina sono contaminate da varie impurità che vengono pure estratte dal pancreas:
proinsulina, VIP, peptide pancreatico, glucagone.
Si tratta di sostanze potenzialmente antigeniche.
Un progresso sostanziale è stato perciò, nei tempi più recenti, la realizzazione di preparazioni altamente
purificate, cosiddette “monocomponenti”. Queste possono essere molto utili per evitare alcuni inconvenienti
della terapia. Infine l’insulina può essere preparata in forma cristallina ed in forme alternative meno solubili
che assicurano perciò, dopo iniezione sottocutanea, una più lunga durata di azione.
A questo riguardo i parametri di cui occorre tenere conto sono tre: tempo di inizio dell’azione, tempo di
massima attività, e durata totale dell’azione. Esistono molti tipi di insulina, ma schematicamente vengono
raccolti in tre categorie: a breve durata, intermedie e a lunga durata.
Ú Le insuline a breve durata di solito iniziano ad agire entro 30 min, hanno il massimo di attività entro 2-4
ore ed agiscono in totale per 6-8 ore. In questo gruppo viene anche classificata la cosiddetta insulina
semilenta, che agisce entro 1 ora, ha massimo di attività entro 4-6 ore e durata d’azione di circa 12 ore.
Ú Le insuline a durata intermedia hanno inizio di attività entro 1-2 ore, massimo d’azione tra 5-8 ore per
alcune e 6-10 ore per altre, e durata di circa 18-24 ore.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 161
Ú Le insuline a durata lunga hanno per lo più inizio d’attività entro 3 ore, massimo d’azione tra 8-12 ore
(anche di più per certe forme), e durata di circa 30-40 ore per alcune e 60-80 ore per altre (cosiddette insuline
ultralente, complessate con lo zinco).
Solo l’insulina cristallina (a breve durata) può essere somministrata endovena, ed in questo caso la sua
emivita plasmatica è così breve che è bene che venga impiegata la infusione continua. Di solito l’insulina è
somministrata per via sottocutanea (è possibile anche quella intramuscolare, ma la durata d’azione è minore)
e a questo tipo di somministrazione si riferiscono le durate d’azione di cui abbiamo parlato.
Protocolli
Il migliore protocolli è tre dosi di insulina rapida prima dei pasti principali (colazione, pranzo e cena), e una
dose di insulina miscelata (80% lenta e 20% rapida) alle ore 23, per la notte, e per evitare una iperglicemia
da rimbalzo al mattino per fenomeni di ipoglicemia notturnal
3. Antidiabetici orali. I più importanti antidiabetici orali appartengono alla classe delle solfaniluree e sono
indicati in pazienti con funzionalità residua delle cellule, e perciò praticamente solo in diabetici di tipo II che
non sono in equilibrio metabolico con i soli provvedimenti dietetici. L’azione di questi farmaci è duplice: da
un lato sensibilizzano le cellule agli effetti stimolanti del glucosio ematico ai fini della secrezione di insulina,
da un altro agiscono sui recettori periferici dell’insulina rendendo le cellule più sensibili a questo ormone.
Meno importanti sono i farmaci della classe delle bi-guanidi come la metformina, che possono essere
efficaci anche in assenza di una secrezione insulinica residua, e perciò tanto nei diabetici di tipo I che in
quelli di tipo II ma che in pra-tica vengono adoperati solo in una frazione di questi ultimi, in associazione
alle solfaniluree, allo scopo di potenziarne l’azione. Le biguanidi abbassano la glicemia con vari
meccanismi: riducono il trasporto di glucosio ed aminoacidi attraverso la parete intestinale, inibiscono la
gliconeogenesi epatica e incrementano la glicolisi nei tessuti extraepatici. Hanno l’inconveniente di
aumentare la produzione di acido lattico da parte dei tessuti e perciò sono controindicati in corso di
coronaropatie o insufficienze arteriose periferiche. In casi estremi la produzione di acido lattico può essere di
tale entità da condurre a grave acidosi metabolica (coma lattacidemico).
Infine in taluni casi viene usato l’acarbosio, che è un inibitore della glucosidasi intestinale che idrolizza gli
zuccheri e ne permette un più facile assorbimento.
Glitazoni: farmaci che diminuiscono la resistenza periferica all’insulina. Sono farmaci molto nuovi e
potenti, che potenziando l’effetto dell’insulina residua ritardano efficacemente la progressione del diabete,
specie quello di tipo 2 e della sindrome plurimetabolica. L’effetto avverso principale è la epatotossicità.
Trapianto di insule pancreatiche: questo protocollo può essere importante per quelle forme di diabete
insorte in seguito a danni vascolari del pancreas, neoplasie o altre cause secondarie di diabete mellito. Il
trapianto di pancres esocrino pone dei problemi aggiuntivi, per via del controllo della secrezione enzimatica
della ghiandola. Si preferisce quindi il trapianto delle sole insule, più efficace. Le insule trapiantate vengono
a volte incapsulate per renderle inerti, e sono “programmate” per rilasciare un quantitativo costante di
insulina in grado soddisfare le necessità basali del paziente. In genere, per le complicanze dovute alla terapia
immunosoppressiva, viene fatto il trapianto solo nei pazienti che necessitano anche del trapianto di rene.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 162
Classicamente si distingue:
→ Insufficienza postrenale: ostruzioni neoplastiche o litiasiche
→ Insufficienza renale parenchimale: ischemia, vasocostrizione, danneggiamento tubulare, malattie dei
grossi vasi, glomerulonefriti
→ Insufficienza prerenale: diminuzione critica del VFG per via di un ipoafflusso ematico al rene (shock,
emorragia, vasocostrizione…)
In genere, l’insufficienza prerenale tende a trasformarsi in una parenchimale: all’inizio infatti la stimolazione
dell’ipotensione sistemica raggiunge i barocettori aortici e carotidei, e provocano l’attivazione del sistema
nervoso simpatico. Nel rene la pressione è altrettanto bassa, e questo, assieme allo stimolo dell’adrenergico,
provoca rilascio di renina, e quindi angiotensina II e aldosterone.
L’effetto è:
Vasocostrizione sistemica e shunt dei circoli “non essenziali” (cute e splacnici)
Contrazione della diuresi renale (adrenalina) e della perdita di sali
Stimolazione della sete e del desiderio di acqua (sete del ferito)
Diminuzione della sudorazione
Questo meccanismo di compenso ha un limite intrinseco che comincia a manifestarsi attorno agli 80 mmHg,
e che è dovuto alla progressiva diminuzione della pressione dell’afferente. Nei soggetti anziani, già a questi
livelli pressori è possibile che l’insufficienza prerenale, che per sua definizione prevede la presenza di una
struttura renale intatta, si trasformi in insufficienza parenchimale.
L’utilizzo di farmaci inibitori delle PG (FANS) e di ace-inibitori in queste situazioni è molto pericoloso.
L’ischemia renale provoca deplezione di ATP, con diminuzione di attività Na+/K+, quindi rigonfiamento
cellulare e accumulo di Ca++ intracellulare.
Clinica
Sindrome uremica: da incapacità di eliminare le scorie azotate
Espansione del volume extracellulare: inevitabile conseguenza della ridotta escrezione di acqua e di sodio.
Si formano edemi, prima declivi poi l’anasarca, ascite, edema polmonare, ICC, alterazioni neurologiche,
convulsioni
Iperkaliemia: il potassio negli anurici aumenta di 0,05 mmol/l al giorno. Acidosi metabolica concomitante
può aggravare la fuoriuscita del potassio dalle cellule, rabdiomilisi ed emolisi possono ulteriormente far
salire alle stelle la potassiemia. La complicazioni più frequente e temuta sono le aritmie
Acidosi metabolica: da impossibilità di eliminazione degli acidi fissi e per ↓NaHCO3
Iperfosfatemia: quasi costante, può portare a deposizione metastatica di fosfato di calcio per superamento
del prodotto di solubilità
Anemia: da ↓EPO, emolisi da ↑cataboliti tossici, emodulizione e lisi osmotica delle emazie.
Leucocitosi e trombocitopenia: da infezioni, stress, malattie concomitanti la prima, da perdita della
funzione midollare e lisi osmotica la seconda
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 163
Infezioni: si presentano nel 50-75% dei casi e sono alla base della morte di 2/3 dei pazienti con IRA, non si
capisce perché: ipotesi sono l’accanimento iatrogeno (cateteri, iniezioni, ventilazione assistita), e la
diminuzione dell’attività immunitaria per il liberamento di glucocorticoidi.
Complicanze cardiache
Sanguinamento GE
Sindrome uremica
Diagnosi
Diagnosi differenziale fra IRA e IRC: importante la presenza di reperti come anemia, rene grinzo,
osteodistrofia che indicano una IRC per via della carenza di EPO e di D3 dovute alla presenza di una
insufficienza renale di lunga durata. Gli elementi suggestivi di IRA sono gli elevati livelli di
creatinina e l’elevata azotemia, che si sono incrementati di recente.
Anamnesi: sete, ipotensione ortostatica, tachicardia, ridotta pressione venosa centrale, cianosi e ridotta
sudorazione sono suggestivi di IRA ischemica. Questa si mantiene anche se viene ripristinata la
volemia, come spiegato, se il danno al tubulo è consistente, per almeno una settimana. Importante
domandare l’esposizioni a farmaci e sostanze in grado di provoca una IRA tossica, la presenza di
infezioni e di malattie sistemiche (LES, mieloma) in grado di dare una tubulopatia interstiziale.
Cause particolari: sebbene l’insufficienza prerenale e nefrotossica siano le due cause che occupano ilm
90% della casistica, si possono avere altre forme, che possono essere indagate osservando:
Dolore lombare → possibile occlusione della arteria o vena renale / distensione della capsula
Noduli, livido reticularis, ischemia digitale → indizio di forme ateroemboliche
Sindorme nefritica, edema, ipoproteinemia → indicazione di GN
Ipertensione elevata, danni da ipertensione ad altri organi → ipertensione maligna
E’ importante anche valutare quelle condizioni (ritenzione vescicale, calcolosi, dolore lombare da
distensione del sitema collettore, indurimento della prostata, ematuria capricciosa, dolore a colica) che
possono indicare una ostruzione acuta.
Esame urino
Importante la distinzione del sedimento urinario:
Povero o inattivo: sedimento privo di cellule infiammatorie, che non contiene frammenti di cellule
necrotiche, ma è formato da sostanze presenti nelle urine che si sono aggregate, come la proteina di
Tam Horsfall, o le catene leggere. Indica che la causa è una sostanza che ha superato la solubilità nel
tubulo, ma che non c’è danno ischemico o tossico. In realtà si può avere, in determinate condizioni,
un sedimento povero anche in condizioni di danno ischemico
Attivo: sono quelli contenenti detriti cellulari, che orientano verso una origine ischemica o tossica. Si ha
spesso anche una modesta proteinuria (<1g/die) che non riflette un danno di filtrazione, ma uno
scarso riassorbimento.
Cilindri eritrocitari: indicano un danno glomerulare acuto con ematuria. Meno spesso sono indice di
nefrite tubulo interstiziale acuta
Cilindri leucocitari e granuloso: indicativi di nefrite tubulo interstiziale
Cristalli di urati: possono essere dovuti alla concentrazione plasmatica e quindi indicare una IRA
prerenale, ma anche una nefropatia da urati
Proteinuria > 1g/24h: orienta verso una nefrite o verso la nefropatia da catene leggere del mieloma. In
questi casi è necessario esaminare le proteine con stik particolari che distinguono le catene leggere
dall’albumina. Ricordare che il trattamento con COX inibitori delle sindromi infiammatorie
glomerulari e interstiziali può provocare proteinuria
Indici di danno renale
Frazione di escrezione del sodio (FeNa): rapporto fra la clearance del sodio e quella della creatinina.
Nella IRA prerenale il sodio è avidamente riassorbito per mantenere la volemia, e quindi la FeNa
scende (< 1%, spesso <0,1%). Se il danno invece è tubulare, il paziente non riesce a riassorbire sodio,
e quindi la FeNa è sempre superiore a 1%. Molto simile, anche se calcolato diversamente, è l’indice
di insufficienza renale, che mette in relazione la creatinina plasmatica, quella urinaria, e l’escrezione
di sodio. E’ un po’ più sensibile
Indici di densità urinaria e concentrazione di sodio urinaria: sono poco dirimenti nella diagnosi
differenziale fra IRA pre e post renale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 164
Creatinina: indice più affidabile di IR, non subisce fluttuazioni in corso di aumento della concentrazione
di urea, come invece avviene per l’azotemia. Ha una correlazione temporale molto rapida con la
funzione emodinamica. Così è possibile differenziare le cause rapide di IRA (ischemia renale,
embolia), da quelle più lente (esposizione a mdc, farmaci tossici), osservando le variazioni della
creatinina nel tempo.
Indici di rabdomiolisi: K+, fosfati, ipocalcemia, ↑CK,
Radiologia
ECO, e alternativamente RX e TC, sono mezzi abbastanza efficaci per osservare una dilatazione del tratto
urinario dovuta a calcoli, ostruzioni o altro. Un’urografia deve essere evitata per la possibilità di aggravare
significativamente l’IRA per l’esposizione al mdc.
L’angiografia, meglio di ecodoppler, evidenzia embolizzazioni e ostruzioni vascolari.
Biopsia renale
Serve per la diagnosi di forme non prerenali e non ostruttive, non chiare, che se diagnosticate esattamente
possono rispondere ad una terapia specifica:
Sindrome di Goodpasture
GN necrotizzanti
Vasculiti
Sindrome uremico-emolitica
Porpora tromboembolica trombocitopenica
LES
Terapia
La mortalità dell’IRA è nel complesso il 50%. Questo avviene specialmente per la MOF. La naturale
progressione dell’IR è l’uremia.
La terapia viene distinta in prevenzione, terapia causale (specifica), terapia conservativa, terapia
sostituitiva
Prevenzione
Siccome la maggior parte delle IR è di tipo ischemico, da degenerazione dell’ipovolamia, il monitoraggio
delle funzioni vitali dei pazienti a rischio, specie dopo gli interventi chirurgici, è in grado di impedire il
verificarsi di molti casi.
Importante è anche l’uso dei farmaci implicati nell’IR nefrotossica con molta cautela nei pazienti a rischio. A
questo proposito è importante, in questi pazienti, prevenire l’ipovolemia, e promuovere l’eliminazione attiva
dei farmaci implicati tramite alcalinizzazione delle urine.
Terapie specifiche
Ostruzione: rimozione rapida delle cause, o se non è possibile, applicazione di ureterostomia o nefrostomia
Ischemia: rimozione rapida delle cause permette il non verificarsi dell’IR Importante la reinfusione di
liquidi simili a quelli persi (salina nelle perdite di plasma, come ustioni e pancreatiti, e globuli rossi
concentrati nelle emorragie).
Rimozione di fattori infettivi, farmacologici, neoplasie. Trattamento con glucocorticoidi delle forme
infiammatorie
Rimozione delle ostruzioni dei grandi vasi o trattamento dell’ostruzione dei piccoli vasi
Trattamento delle GN acute
Terapia conservativa
Controllo del bilancio idrico → diminuzione dell’apporto idrico per prevenire l’iperidratazione
Controllo elettrolitico, specie sodio e potassio
Controllo equilibrio acido-base
Apporto calorico e proteico adeguato
Controllo dell’Hb ed eventualmente trasfusioni
Terapia sostitutiva
[sostituzione temporanea delle funzioni renali]
Si basa essenzialmente sulle varie modalità di dialisi:
Emodialisi: preferita in quei pazienti per cui l’accesso al peritoneo può essere complicato (ad esempio in
quelli in cui è insorta IRA dopo un intervento di chirurgia addominale). Può essere intermittente, o se
non è sufficiente, continua, con uno shunt artero-venoso (in cui la P plasmatica del paziente genera
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 165
un ultrafiltrato attraverso una membrana artificiale), oppure veno-venoso (con un catetere a doppio
lume, con una pompa che genera la pressione necessaria)
Dialisi peritoneale: preferita in quei pazienti con funzione emodinamica instabile. Il peritoneo viene
utilizzato come membrana, ed è ugualmente efficace a quella ematica
Plasmaferesi: rimozione della parte liquida del sangue (plasma), importante nella rimozione di tossici,
soprattutto veleni da funghi.
INSUFFICIENZA RENALE CRONICA
La progressione di un danno renale perpetrato per lungo tempo supera le capacità di recupero dell’organo, e
porta alla fine a produrre un danno irreversibile. Questo è preceduto da una fase di ipertrofia funzionale dei
glomeruli residui, che però alla fine conduce inevitabilmente alla loro sclerosi.
La progressiva perdita di nefroni provoca un sovraccarico funzionale dei nefroni residui, con una
progressione verso l’IRC sempre più rapida.
Clinica
l grado di compromissione renale è inversamente proporzionale al numero di nefroni residui, perciò
l’insufficienza renale può essere classificata in stadi progressivi:
IRC iniziale: riduzione della riserva renale, non si osservano segni laboratoristici (FG >30-50%)
IRC moderata: segni iniziali di scompenso quali iperazotemia e ipercreatinemia. Iniziano segni di
alterazione dell’escrezione di acqua e della capacità di concentrare l’urina in caso di riduzione
dell’apporto idrico (FG >25-35%). Iniziano alterazioni di:
Acido urico
Fosfati
Ca++
H+
IRC grave: compaiono alterazioni biochimico metaboliche di uremia (FG >20-25%). Inizia a manifestarsi
una modesta acidosi metabolica. Nei nefroni residui la capacità di concentrare l’ammonio e quindi di
eliminare acidi fissi aumenta molto, cosa che permette di reggere l’equilibrio del pH a lungo.
Iniziano le alterazioni dell’escrezione dei sali meglio eliminati dal rene, come:
Na+
K+
IRC avanzata: sintomatologia uremica iniziale (FG <20%)
IRC terminale: sindrome uremica
A partire dallo stadio di IRC moderata diminuisce la riserva renale: questo significa che un paziente
completamente asintomatico può improvvisamente, per una situazione concomitante, come ad esempio
una infezione o lo stress, precipitare nell’uremia.
Tutti i tipi di nefropatia possono potenzialmente evolvere nell’insufficienza renale, ciò che varia è la velocità
di progressione
Gli effetti sul corpo umano di questo progressivo decadimento dipendono essenzialmente da 5 meccanismi:
Ritenzione di tossine uremiche
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 166
Alterazioni idro-elettrolitiche
Alterazione dell’equilibrio acido/base
Alterazioni del metabolismo glicolipidico
Alterazioni ormonali renali (epo, D3, renali), ed extrarenali in reazione agli squilibri elettrolitici (PTH,
Aldosterone, ormoni ipofisari e gonadici)
Il primo e più sensibile indice del deterioramento della funzione renale è, come ricordato, la
creatinina. L’urea risente troppo delle variazioni alimentari del paziente. La diminuzione della funzione
renale è perfettamente proporzionale alla diminuzione della clearance della creatinina (normale: 100 ml/min)
Metabolismo del calcio
L’acidosi, la ritenzione di fosfati, e la significativa ↓D3 porta ad una codnzione di ipocalcemia grave e
persistente.
Si ricorda che l’IRC è una delle più importanti cause di iperparatiroidsmo secondario. Questo provoca una
progressiva degenerazione del tessuto osseo, accompagnata da un aumento della resistenza periferica al
paratormone.
Oltre a questo, il quadro è aggravato dall’utilizzo di alluminio e magnesio che si accumulano nell’organismo
durante la dialisi.
Alterazioni cardiovascolari
La ritenzione dei liquidi in corso di uremia porta alla produzione di ICC e di edema polmonare. Questa,
come avviene per la pancreatite, può avvenire anche in assenza di significative alterazioni della volemia, per
alterazioni della permeabilità capillare, da imputare alla presenza in circolo di sostanze dette “tossine
uremiche”, che discuteremo dopo, e che sono sostanzialmente cataboliti non depurati dal rene.
Frequente anche l’ipertensione, comunissima complicanza, è dovuta principalmente all’ipervolemia e
all’aumento di renina. La dialisi è di solito sufficiente a controllarla. Spesso l’ipertensione prolungata
provoca cardiomiopatia dilatativa, dovuta anche alla presenza di tossine nel plasma.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 167
Una pericardite uremica si verifica in praticamente tutti i pazienti non dializzati, mentre con la dialisi
diventa una evenienza ranra.
L’anemia, normocromica normocitica, è invece una complicazione molto frequente, dovuta ad un insieme
di fattori:
↓ EPO (molto importante)
Emolisi intravascolare uremica (meno importante)
Presenza di sostanze inibitrici dell’eritropoiesi che deprimono la funzione midollare
Sanguinamento cronico da gastroenterite uremica (vedi)
La risoluzione dell’anemia è importante per il miglioramento delle condizioni di vita del paziente.
La neuropatia periferica è precoce, e inizia alle gambe con un senso di fastidio e di prurito, a cui segue
irrequietezza motoria (sindorme delle gambe senza riposo) e senso di fastidio ai piedi e alle gambe. In
seguito si ha la perdita dei riflessi osteo-tendinei, e infine la tetraplegia.
Per questo i primi segni di compromissione neuromuscolare sono da considerare una indicazione al
trapianto renale.
La demenza dialitica è una condizione dei pazienti che sono in dialisi da lungo tempo (aprassia del
linguaggio, mioclono, demenza e convulsioni), dovuta all’alluminio.
Altre alterazioni
Aumento della suscettibilità alle infezioni: si hanno alterazioni importanti della produzione linfocitaria
e danni alle strutture linfonodali. Alle infezioni segue una curva termica ridotta, per alterazioni della
funzione ipotalamica della regolazione della curva termica. Importante anche il consumo del
complemento per l’attivazione impropria contro le membrane artificiali nei dializzati.
Gastroenterite uremica: nausea, vomito, anoressia e sanguinamento intestinale sono le condizioni più
frequentemente associate a uremia terminale. La riduzione dell’uremia previene la nausea e il
vomito. L’alito uremico anche è una complicazione frequente. Importante anche l’ulcera peptica,
dovuto sia ad un incremento di gastrina che ad un aumento di HP. Associazione fra IRC e
diverticolosi del colon.
Alterazioni metaboliche:
Tirosina, aldosterone, cortisolo sono alterati
↓ notevole degli estrogeni (amenorrea precoce nell’uremia)
Bassi livelli di T, impotenza
Alterazioni della maturazione sessuale degli adolescenti
Ipotermia: forse inibizione della Na/K ATPasi da parte di qualche tossina uremica
Lieve intolleranza al glucosio (pseudodiabete uremico), che non da in genere iperglicemia a
digiuno
Ridotta tolleranza alle proteine: incapacità di eliminare i prodotti del metabolismo delle
proteine.
↑ trigliceridi, ↓ HDL, colesterolo di solito normale, ↑ Lp(A). Un motivo è l’inibizione della
lipoproteinlipasi A da parte delle tossine uremiche, che non viene corretta in modo
significativo dalla dialisi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 168
Alterazioni elettrolitiche:
Sodio: risulta essenzialmente una ridotta tolleranza. Di per sé non si verificano alterazioni della
volemia significative, ma se si assume sale o un carico di liquidi, il rene può non essere in
grado di smaltirli, e allora si creano ICC e edema polmonare. Un introito di liquidi di 500
ml/die è ben tollerato. Anche i meccanismi di risparmio di sodio e acqua sono
compromessi, e quindi una perdita eccessiva (sudorazione, vomito, diarrea) possono
condurre alla disidratazione
Potassio: finchè la VFG rimane al di sopra dei 10 ml/min, di solito non si hanno alterazioni, a
meno che vi sia un carico endogeno (emolisi, infezioni) o esogeno. La mancanza di
iperpotassiemia si osserva fino alle fasi finali dell’uremia, ed è dovuta all’aldosterone che
riesce a mantenere l’eliminazione di potassio elevata nel colon. Per questa ridotta riserva, si
devono usare con cautela:
Diuretici risparmiatori di potassio
Ciclosporina
Beta-bloccanti
Acidosi metabolica: comune e inevitabile man mano che progredisce il danno renale.
L’assunzione di citrato o bicarbonato di sodio sono spesso sufficienti a correggere l’acidosi.
Alterazioni dermatologiche:
Anemia → pallore
Ecchimosi ed ematomi → difetti dell’emostasi
Prurito, lesioni da grattamento → calcificazioni metastatiche
Atrofia cutanea → malnutrizione da anoressia
Secchezza, sottigliezza della cute → disidratazione
La sindrome uremico-emolitica
Le numerose complicazioni che si sono descritte si manifestano nel modo più grave alla fine dell’IRC,
formando nel complesso la sindrome uremica. Questa, sul piano clinico è caratterizzata da:
Acidosi metabolica scompensata
Alterazioni elettrolitiche (iperpotassiemia, ipercalcemia, ritensione di sodio, ipervolemia)
Alterazioni neurologiche fino al coma
Brina uremica, marcata anemia ed emolisi, alito uremico
Ipertensione, alterazioni ormonali (soprattutto PTH)
↑ creatinemia e azotemia
Responsabili di questa condizione sono le tossine uremiche, prodotti del metabolismo degli aminoacidi che
non sono eliminabili se non dal rene . Fra le più importanti:
Acido guanidinsuccinico → interferenza con la coagulazione
Sarcosina e metilguanidina → metabolita della creatinina
Terapia
Si tratta di una serie di misure conservative che vengono instaurate precocemente per controllare quei fattori
di rischio che possono influenzare la progressione della malattia. A questi protocolli devono essere affiancate
le misure preventive nei confronti delle cause eziologiche (soprattutto diabete ed ipertensione) e la cura della
malattie che possono progredire a IR.
Ci sono 5 tipi di calcoli che hanno alla base della loro genesi molti meccanismi, in parecchi casi comuni:
Calcoli di calcio: ossalato di calcio, fosfato di calcio, carbonato di calcio, misti 65%
Calcoli di urea 23%
Calcoli fosfo-amino-magnesiaci: legati alle infezioni, in diminuzione 2,5%
Calcoli cistinici 0,5%
Calcoli misti: di solito infezione sopra un nucleo di calcio o urato 9%
Eziologia
Litiasi da ipercalciuria
Deriva dalla eccessiva escrezione di Ca++ nelle urine.
Saturazione: ipercalciuria o iperuricemia
Diminuzione del volume urinario
Alterazione del pH (acidificazione → precipitazione dei sali)
Deficit di citrati e di sali di magnesio
Assorbitiva: in corso di dieta ad alto contenuto di calcio, ipervitaminosi D, ipofosfatemia. Il calcio viene
assorbito in eccesso nell’intestino, e il surplus viene escreto nel rene.
Perdita renale: mancato riassorbimento di calcio nel rene (ad esempio per deficit di PTH). In questo caso
avremo ipocalcemia e calciuria.
Danni primitivi dei sistemi di trasporto: come nella mancanza di PTH si ha deficit di riassorbimento
dai tubuli e calciuria, ma qui la ipocalcemia è prevenuta dal PTH, che aumenta il riassorbimento
osseo e intestinale. In questo modo, il calcio nel rene aumenta ancora.
Secondaria:
Iperparatiroidismo
Ingestione eccessiva di carboidrati e glucosio
Patologie varie con decalcificazione ossea
Candidiosi, neoplasie maligne metastatizzanti alle ossa,
Mieloma multiplo, leucemia, linfoma,
Ipertiroidismo, intossicazione da vitamina D
Sarcoidosi (aumento dell’assorbimento intestinale)
Cushing e intossicazione da glucocorticoidi (aumento del riassorbimento osseo)
Litiasi da iperossaluria
Primitiva: difetto enzimatico-metabolico
Secondaria :
Aumento assorbimento di ossalato dall’intestino:
Enterite regionale
Morbo celiaco
Malattie croniche pancreatiche o biliari
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 170
Resezione ileale
Bypass ileali
Eccessivo apporto di ossalato alimentare (cioccolata)
Alterato rapporto Ca++/ossalato nella dieta
Iatrogeno (una volta si dava fosfato di cellulosa per diminuire la concentrazione di calcio)
↑ produzione endogena di ossalato
Litiasi da iperuricosuria
I calcoli di urato sono di solito molto piccoli, e quindi la calcolosi vera e propria è rara. Si ha più spesso la
formazione di una fine granulazione nei depositi dell’urina (renella) sui quali si depositano poi però cristalli
di calcio.
Si può avere indipendentemente dall’aumento della produzione di purine:
Eccesso di proteine nella dieta
Farmaci uricosurici
Iporuicemia da tubulopatia urato-disperdente
Sindrome di Lesh-Nyhan
Deficit selettivo del riassorbimento tubulare di acido urico (molti diuretici e alcuni antibiotici sono escreti
con lo stesso trasportatore degli urati e possono dare competizione)
Deficit non selettivo come nella malattia di Fanconi, in cui diminuiscono le capacità di riassorbimento di
tutto il tubulo prossimale (nefrone a collo di cigno)
I calcoli che si formano sono detti racemosi, a corna di cervo, e spesso sono lo stampo delle vie urinarie.
Clinica
I calcoli hanno varie sedi a seconda delle quali si hanno vari quadri sintomatologici:
Rene: calici, pelvi Æ stenosi della giunzione pielo-ureterale
Ureteri: calcoli di origine renali , più raramente primitiviÆ ureterocele, ectopia, stenosi, neoplasie,
infezioni, compressione
Vescica: calcoli di origine ureterale o vescicale (se presenti alterazioni del detrusore o lesioni
neurologiche)
Uretra
Prostata
differenza delle neoplasie delle alte vie escretrici, c’è prima dolore e poi sangue (nelle neoplasie il
dolore è provocato dai coaguli che dopo un sanguinamento si accumulano nell’uretere).
Pollachiuria, urgenza minzionale, stranguria: questi disturbi urinari si hanno solo se il calcolo è
abbastanza basso da essere vicino alla vescica.
I sintomi dolorosi e l’ematuria si aggravano dopo una passeggiata, o una gita in macchina
Diagnosi di calcolosi renale
Anamnesi
Esame obiettivo: massa palpabile da idronefrosi (raro), dolorabilità a:
Giordano
Punto prevertebrale
Punto pielocostale
Punto ureterale superiore ed inferiore
Esami di laboratorio
L’esame delle urine rileva una microematuria eccettuati i casi in cui ci sia ostruzione completa del tratto
urinario. Presente sempre una modesta leucocituria. L’osservazione diretta al microscopio dei cristalli a volte
permette la diagnosi del tipo di calcolo.
Il dosaggio urinario dei sali da alcune indicazioni:
Uricosuria → calcoli di urato
Iperossaluria → calcoli di ossalato
Cistinuria → calcoli di cistina
Aumento di ammonio (< 50 mEq/24h), urinocoltura positiva → infezione
Aspetto radiografico
La radiografia diretta addome, in varie proiezioni per differenziare i calcoli renali da quelli biliari e dai
linfonodi, riesce ad identificare accuratamente tutti i calcoli radiopachi. L’opacità dei diversi tipi di calcoli è
variabile:
Radio opachi: fosfato di calcio, ossalato di calcio, carbonato di calcio, calcoli misti (UTI)
Debolmente opachi: fosfato di ammonio-magnesio (struvite), cisteina
Trasparenti: urato, xantinici, ammonio
Aspetto ecografico
All’ecografia, ogni calcolo che sia trasparente o meno respinge efficacemente gli ultrasuoni, producendo al
di sotto di esso un cono d’ombra facilmente identificabile.
Altri esami
Urografia: permette di raccogliere molte informazioni sulla posizione del calcolo (ma non sulla natura) e
di effettuare diagnosi differenziale con altre affezioni litiasiche delle vie biliari. Non deve essere
eseguita durante o dopo una colica renale, perché il mezzo di contrasto aggrava la distensione di esse.
Viene utilizzata essenzialmente per conoscere meglio il campo di indagine ed evidenziare eventuali
anomalie anatomiche che possono aver contribuito alla genesi del calcolo.
Angiografia: utile per l’identificazione di malformazioni del rene
TAC: importante per vedere l’estensione di un eventuale processo infiammatorio
Terapia della calcolosi
I presidi si basano sul trattamento e rimozione del calcolo e sul trattamento delle condizioni litogeniche.
Terapia medica dell’episodio acuto
FANS, antispastici, antidolorifici, agenti parasimpaticolitici che diminuiscono la peristalsi delle vie
escretrici. L’utilizzo di antispastici deve essere limitato, ed è meglio usare antidolorifici che non
interferiscono sulla peristalsi, in quanto essa facilita l’eliminazione del calcolo.
Nei pazienti che non hanno una dilatazione eccessiva e che hanno calcoli bassi, è utile anche l’idratazione.
Essa deve essere adeguata e distribuita nelle 24 ore per evitare sovraccarichi.
Terapia medica di elezione
Litiasi calcica: dieta e idratazione (previene le recidive), fosfati, citrati, diuretici tiazidici (promuovono il
riassorbimento di Ca++ nell’ansa di Henle), allopurinolo (previene la nucleazione del calcio sull’acido
urico e promuove l’escrezione di esso)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 172
Litiasi uratica: dieta a basso contenuto di purine, alcalinizzazione delle urine, inibitori della sintesi di
urati, allopurinolo (inibitore della xantino ossidasi)
Litiasi ossalica: idratazione, dieta ipossalica, piridossina (favorisce la conversione di ossalato a glicina),
colestiramina nell’ossaluria enterica, somministrazione di calcio orale. Eliminazione di spinaci,
bietole, tè, cacao, noci, vitamina C
Litiasi cistinica: idratazione e alcalinizzazione delle urine
Litiasi da struvite: trattamento antinfettivo con sulfametassazolina + trimetoprim
Batteriruria: presenza di germi nelle urine di almeno 100.000 unità per ml. Se i germi si riscontrano nelle
urine dopo la loro emissione si parla di contaminazione delle urine per raccolta o conservazione non sterile.
Frequenti nell’età infantile senza preferenze nei due sessi (nei primissimi anni, il maschio è più a rischio).
Dai 15 ai 40-50 anni sono più frequenti nelle femmine (uretra corta, sbocco vicino all’ano, perdite mestruali
con apporto di sangue che è un terreno di crescita per i germi). I rapporti sessuali favoriscono le infezioni per
la risalita dei germi.
Sopra i 60 anni sono i maschi ad avere la maggior frequenza, per l’incidenza dell’ipertrofia prostatica.
Fattori predisponenti:
Vaso anomalo
Calcolo: non essendo aggredibile dagli antibiotici, il calcolo è una sorgente inesauribile di germi
Uretere retrocavale
Neoplasie
Alterazioni dei meccanismi a valvola della vescica (reflusso)
Ostruzioni congenite del giunto vescico-ureterale
Flogosi
Compressioni estrinseche
Uretrocele
Sbocchi anomali
Aumento del volume prostatico
Brevità dell’uretra femminile
Stitichezza ed errata igiene intima (fenomeni dismicrobici con l’uso eccessivo di prodotti battericidi)
Gravidanza
Attività sessuale
Patogeni:
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 173
I germi gram – (E. Coli, Streptococco fecale, Proteus, Pseudomonas) sono responsabili da soli del 95%
delle infezioni. Importante in questi ceppi è la capacità di aderire alle strutture epiteliali con apposite
CAM che permettono al batterio di resistere al wash-out delle vie urinarie.
Proteus mirabilis: presenza di ureasi, che facilita la formazione di calcoli di struvite
La normalità dell’alvo ha una notevole importanza, in quanto il ristagno delle feci in ampolla ne favorisce
la colonizzazione da parte di patogeni che poi possono trasmettersi all’apparato urinario.
Clinica
Cistite acuta
Vari quadri istologici, fino ad arrivare all’evenienza della gangrena vescicale, gravissima.
La febbre è rara nella cistite. Se presente assieme a sintomi urinari deve far sospettare una infezione delle
alte vie o una prostatite.
La diagnosi differenziale fra cistite e altre infezioni alte dell’apparato urinario è possibile sulla base di due
considerazioni: l’associazione piuria – batteriuria – sintomi urinari c’è solo con interessamento infettivo della
vescica, e la febbre c’è solo con interessamento delle alte vie urinarie.
La piuria senza sintomi urinari può comparire nelle alte infezioni (e si accompagna a febbre), mentre i
sintomi urinari da soli compaiono nelle forme neurogene o nel carcinoma vescicale.
Cistite cronica
Processi infiammatori a lungo decorso in cui si ha l’estensione del processo in profondità nella mucosa della
vescica, con una spiccata evoluzione alla sclerosi. Possono dipendere da diverse condizioni, come la
presenza di germi particolarmente virulenti, o fattori che favoriscono il ristagno in vescica dell’urina.
Oltre alla sclerosi, permane l’arrossamento e la soffusione emorragica della mucosa, e si notato vegetazioni
infiammatorie (pseudopolipi) simili a quelli della colite ulcerosa.
I sintomi della cistite cronica non sono mai di tipo generale infettivo. Localmente ci sono sintomi urinari
simili alla cistite acuta, ma meno intensi:
Dolenzia e dolorabilità poco intensi
Pollachiuria, che se aumenta repentinamente è un segno di evoluzione verso la sclerosi vescicale
Ematuria microscopica
Piuria e batteriuria sempre abbondati
Pielonefrite
Di solito si tratta di colonizzazione ascendente della pelvi da parte dei germi gram – intestinali, ma può
anche essere dovuta alla diffusione dal sangue di batteri, soprattutto nei casi di ischemia renale o di
ostruzioni della via escretrice.
Nel bambino questi sintomi possono essere anche completamente diversi e si può avere febbricola, vago
dolore lombare e anemia.
Nelle pielonefriti croniche i sintomi sono in genere più sfumati con febbricola, vago dolore, disturbi della
minzione e modesta insufficienza renale.
Diagnosi
L La diagnosi eziologica delle infezioni urinarie si avvale di:
Esame urine e del sedimento urinario + urinocoltura: non si deve mai fare l’urinocoltura da sola
Tamponi uretrali
Spermiocoltura
Le raccolte di urina devono essere eseguite in modo scrupoloso per evitare la contaminazione. Il metodo
migliore è quello del mitto intermedio, e poi non si devono superare i 30-60’ dalla raccolta alla semina,
altrimenti si avranno cariche falsamente elevate.
Alcune strisce reattive cambiano colore in presenza di raccolte di leucociti e nitriti nelle urine permettono
un test rapido.
Dip-slide: vetrino contenente un terreno di coltura appropriato che si immerge nelle urine, e poi se vede
se dopo 24 ore si trovano almeno 100.000 colonie per vetrino. Se si trovano meno batteri potrebbero
essere microbi esterni contaminanti (problema ridotto con il mitto intermedio). Se il paziente urina
molto perché beve la soglia di positività può essere abbassata fino a 30.000 colonie. Un valore di
10.000 colonie riscontrato in un paziente che è stato trattato con antibiotici può essere considerato
positivo.
Prove con dischetti con antibiotici: individuazione dell’antibiogramma del patogeno coinvolto
L La diagnosi dei localizzazione si avvale sia della sintomatologia clinica, che quando è chiara orienta
decisamente verso una localizzazione precisa delle infezioni urinarie, sia di indagini dirette e indirette:
Tampone ureterale bilaterale: invasivo, rischio di infezione ascendente
Washout vescicale secondo Fairlet: svuotamento vescicale con catetere, riempimento della vescica con
soluzione antibiotica, che viene rimossa dopo un’ora. In seguito si raccoglie di nuovo l’urina e si fa
la coltura. In caso di infezione alta, l’urina risulta ancora contaminata
Test di dimostrazione nel siero e nelle urine di anticorpi
Dimostrazione di aumento delle proteine immunologiche delle urine (Tamm-Horsfall, β2
microglobulina, isoenzima 5 dell’LDH)
VES, proteina C reattiva
L Infine, la diagnosi patogenetica mira a identificare quelle condizioni che possono favorire le infezioni
urinarie nel paziente:
ecografia
TAC
RMN
RX
Allo scopo di identificare stasi, reflusso, calcolosi e tumori.
La chemioterapia deve essere mirata e iniziata dopo l’identificazione del patogeno e l’esecuzione
dell’antibiogramma e determinazione della MIC.
La coltura deve essere fatta tenendo conto delle particolari esigenze di crescita di batteri come ureaplasma,
micoplasma e clamidia. Queste colture vanno richieste su preciso sospetto clinico.
Si deve tener conto anche nella scelta dell’antibiotico delle sue caratteristiche di diffusione dal sangue ai vari
tessuti (testicolo e prostata) e della diluizione che esso subisce nelle urine.
L Condizioni particolari
Gravidanza: per indurre tolleranza al feto che rappresenta un oggetto estraneo, il sistema immunitario si
abbassa. Inoltre il peso dell’utero sulla vescica e sugli ureteri favorisce il ristagno
Infezione da TBC delle vie urinarie: oggi in aumento, l’infezione si diffonde per via ematica o linfatica
(molto raramente si può avere la colonizzazione ascendente dalla vescica ad un rene sano). Si
formano granulomi che possono interessare le vie urinarie (esiti in stenosi, perforazioni o fistole) o
nel parenchima (esito in una condizione in cui il rene appare in zone alternate rilevate e retratte, ed è
sostituito da tessuto caseificato circondato da tralci di reazione fibrosa, detto rene mastice
tubercolare).
GLOMERULONEFRITI ACUTE
Dal punto di vista clinico, conviene sempre distinguere la sintomatologia di queste sindromi a seconda del
tipo di sindrome che provocano (nefrosica o nefritica).
Valori patologici:
Ematuria: > 5GR/mm3
Leucocituria: > 5-10 GB/mm3
Proteinuria: lieve fino a 150mg/24h, grave oltre 1g/24 ore
Batteriuria: > 100000 colonie per ml
Distinguere una ematuria da causa glomerulare da una extraglomerulare è importante, e si fa tramite diversi
parametri ricavabili dall’osservazione del sedimento con microscopia a contrasto di fase.
Carattere Ematuria nefritica Ematuria non glomerulare
Globuli rossi Deformati e fratturati Integri
Cilindri + -
Coaguli di sangue - +
Proteinuria Spesso No o minima
Leucocituria No SI in corso di infezione
Batteriuria NO Spesso SI
Segni associati Edemi e ipertensione Colica, disuria, stranguria
Essa può indicare la sequela di glomerulonefriti acute post-infettive pregresse, oppure la presenza di
malattie glomerulari di vario tipo:
Malattia di Berger
GN membrano proliferativa
GN membranosa
GS segmentaria focale
GN in corso di:
LES
Vasculiti (SH)
E’ importante sapere che alcune forme (Alport, Berger, SH) hanno episodi di macroematuria su
microematuria di base, che sono scatenate da flogosi delle alte vie respiratorie. Il modo per distinguerle è
soprattutto l’anamnesi di lesioni associate alla Alport o alla SH, oppure la diagnosi istologica per la Berger
Proteinuria glomerulare (sindrome nefrosica)
La proteinuria può essere:
Lieve:
Non patologica → febbricola, sforzi…
Patologica → tubulare o glomerulare
Massiva con edemi
Sempre → glomerulopatia
Tali indici sono entrambi positivi per proteinuria non selettiva se il rapporto è superiore a 0,1.
Ipoalbuminemia (albuminemia minore di 3g/dl) che determina riduzione della pressione oncotica con
l’insorgenza di edema discrasico generalizzato
→ Ritenzione di Na+ dovuta all’incrementata secrezione di aldosterone mediata dall’incremento
dell’ormone antidiuretico secondaria all’ipovolemia
→ Riduzione del complemento e delle immunoglobuline che determina aumentata tendenza alle infezioni
soprattutto da germi capsulati gram + (stafilococchi e pneumococchi) visto che l’immunità umorale
rappresenta il principale meccanismo di difesa verso questi microbi
→ Riduzione del fibrinogeno per perdita attraverso le urine e per presenza del processo flogistico a livello
renale
→ Perdita di antitrombina III con aumentata suscettibilità alla trombosi (stato di ipercoagulabilità) che
determina una facile insorgenza di complicazioni trombotiche o tromboemboliche (ex. Trombosi dell’arteria
renale è molto frequente)
→ Perdita dei fattori di regolazione del metabolismo lipidico aumentata sintesi epatica di lipoproteine ed
alterato catabolismo delle lipoproteine con incremento sierico di LDL e VLDL (in alcuni pazienti anche
diminuzione delle HDL), ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia (iperlipemia) che determinano la presenza
di un siero lattescente e l’aumentata suscettibilità all’aterosclerosi
→ Lipiduria con presenza di corpi lipidici ovali nelle urine che rappresentano le lipoproteine riassorbite
dall’epitelio tubulare e poi liberate insieme alle cellule degenerate
→ L’edema oltre all’aumento della pressione oncotica è dovuto anche a:
Aumento del fattore antidiuretico
Ritenzione di Na+ per aumentato riassorbimento tubulare secondario alla resistenza all’ormone
natriuretico aumentato → Ipertensione (rara, quando presente è un importante segno
prognostico negativo).
Aumento dell’aldosterone
L’edema si manifesta in modo caratteristico a livello periorbitale, dove lo stroma connettivale è molto lasso.
→ Pallore, astenia, anoressia e depressione. La depressione segue la diminuzione dell’attività tiroidea per
via della riduzione della globulina che lega gli ormoni tiroidei.
A seguito della proteinuria si possono avere diverse alterazioni a carico del metabolismo lipidico, con
incremento del colesterolo, dei trigliceridi e delle HDL. La relazione non è nota, ma probabilmente sono
implicate la perdita urinaria di apoproteina C e di LCAT (che promuovono rispettivamente la mobilitazione
degli acidi grassi e la degradazione del colesterolo)
Negli adulti la prognosi è meno buona, solo il 60% dei casi guarisce spontaneamente
Reperti di laboratorio importanti per la diagnosi sono l’elevazione del titolo degli anticorpi antistreptolisinici
(TAOS = Ab anti-streptolisina O) e l’ipocomplementemia, Iperimmunoglobulinemia policlonale e la biopsia
glomerulare.
Non esiste una terapia specifica. Importante il trattamento sintomatico e di prevenzione dell’ipertensione,
con:
→ riposo a letto
→ dieta: apporto idrico limitato, restrizione di sodio; in caso di iperazotemia ridurre l’apporto proteico
→ antibiotici: non interferiscono con la malattia in atto, ma possono aumentare la rapidità di eliminazione
del patogeno e interrompere il processo di creazione di anticorpi. Si usa penicillina retard, in caso di
allergia, eritromicina.
Glomerulonefrite rapidamente progressiva
È una forma molto grave di glomerulonefrite che determina una sindrome nefritica con rapido e progressivo
declino della funzione renale che esita in una insufficienza renale irreversibile nel giro di settimane o mesi.
Si presume che questo avvenga quando la permeabilità dei capillari glomerulari è tanto aumentata da
permettere il passaggio di fibrina nello spazio di Bowman e quindi stimolare una intensa reazione
proliferativa.
E’ una complicanza di diverse GN (anche della postinfettiva) e di altre condizioni renali (SH, LES…)
→ proliferazione dell’epitelio
→ stravaso di fibrina e formazione di semlune che obliterano lo spazio di Bowman
→ distruzione della MB
Questi processi sono diffusi, globali e sincroni.
La glomerulonefrite proliferativa diffusa si manifesta con i segni clinici di sindrome nefritica e generalmente
tende a progredire fino alla severa oliguria nell’arco di qualche settimana.
Tipica è la presenza costante di un normale livello di complementemia, in tutte le frazione
Terapia
Dialisi cronica o trapianto. La terapia eparinica, in alcune condizioni, provoca un rallentamento
dell’evoluzione della malattia.
Esistono protocolli di trattamento con eparina, cortisone, immunosoppressori.
Glomerulonefrite proliferativa focale (sindrome di Berger)
Parleremo specificamente della Nefropatia ad IGA o malattia di Berger, che è una forma di
glomerulonefrite caratterizzata fondamentalmente dalla deposizione a livello mesangiale di IgA. La malattia
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 179
colpisce i bambini o i giovani adulti e si manifesta 1-2 giorni (diagnosi differenziale con la GN postinfettiva)
dopo una infezione della mucosa delle vie respiratorie, gastrointestinali o urinarie.
Il decorso è benigno nei pazienti pediatrici, con evoluzione alla guarigione spontanea, mentre diventa di tipo
lentamente progressivo negli adulti, dove nel 50% dei casi si instaura insufficienza renale cronica nell’arco
di 20 anni.
Caratteristico l’incremento isolato delle IgA sieriche, al quale non si associa ipocomplementemia per via
della scarsa tendenza delle IgA a legare il complemento.
La biopsia è, naturalmente, risolutiva.
Terapia
La malattia non risponde al trattamento con corticosteroidi o immunosoppressori: per questo, e per la sua
relativa benignità, non si fa terapia.
Nel 65% dei casi si associa a sindrome nefritica mentre nel 35% dei casi a sindrome nefrosica,
alternativamente può presentarsi solo con ematuria o proteinuria asintomatica. L’ipocomplementemia con
deplezione del C3 è costante.
Indipendentemente dalla modalità di esordio la malattia ha un decorso lentamente progressivo e circa il 50%
dei pazienti va in contro ad insufficienza renale nell’arco di 10 anni.
Queste condizioni sono accomunate dal fatto di provocare un’antigenemia persistente o la formazione
continua di ICC che sta alla base della patogenesi della malattia (infatti questa manifestazione si ha in
qualsiasi forma di malattia da siero).
La malattia in genere inizia con una sindrome nefrosica che si instaura gradualmente, e non raggiunge mai
una eccezionale gravità: la funzione renale di solito è solo modestamente compromessa.
Nel 25% dei casi la prognosi è benigna mentre nel 75% dei casi la malattia è progressiva, con un
peggioramento graduale fino alla uremia terminale (dopo circa 10 anni).
La sintomatologia è quella tipica della sindrome nefrosica in particolare sono presenti letargia, anoressia
depressione e strie biancastre alle unghie.
L’ipertensione è poco evidente.
Terapia
Steroidi e immunosoppressori sono piuttosto efficaci
Glomerulonefrite con ialinosi focale e segmentale
È caratterizzata da sclerosi di alcuni ma non tutti i glomeruli (focale) in particolare quelli iuxtamidollari, e
nei glomeruli colpiti solo una parte del ciuffo capillare è coinvolta (segmentale).
80-90% quadro nefrosico, 10-20% quadro nefritico.
Probabilmente è un fattore plasmatico come una citochina o una tossina circolante che viene catturata in
zone di maggiore permeabilità del glomerulo a causare il danno epiteliale.
Con la progressione della malattia un numero sempre maggiore di glomeruli viene interessato e la sclerosi si
diffonde all’interno di ogni glomerulo, tanto che il glomerulo finisce per diventare una sfera ialina. Ciò porta
con il tempo ad una sclerosi totale dei glomeruli con riduzione del flusso glomerulare che determina atrofia
e sclerosi tubulare (alcuni tubuli possono essere dilatati per compenso).
Si manifesta con una sindrome nefrosica con intensa proteinuria, lipiduria ed edema. Nel 90% c’è anche
microematuria.
L’ipertensione arteriosa in fase iniziale non c’è praticamente mai.
L’episodio acuto si esaurisce in pochi giorni, ma resta una proteinuria significativa (che non significa una
prognosi sfavorevole, come invece si può dire per la persistenza di microematuria).
Il 20% dei pazienti presenta una forma a decorso rapido (sclerosi focale maligna) che evolve in insufficienza
renale entro 3-5 anni. La prognosi nei bambini invece è migliore.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 181
Terapia
Alcune forme sono sensibili ai corticosteroidi: verificare caso per caso.
Glomerulonefrosi con lesioni glomerulari minime
La glomerulonefrosi lipoidea o “malattia a lesioni minime” è il prototipo della sindrome nefrosica.
Si ha quando la perdita delle proteine in 24 nelle urine supera i 4mg/Kg (40 mg in un bambino di 10 anni).
→ disfunzione immunitaria (mediata da una citochina?) che provoca la variazione delle cariche anioniche
della MB glomerulare, con iperfiltrazione
→ fusione dei pedicelli dei podociti (patognomonico) per lo stesso motivo
→ assenza di lesioni alla MO
.
I podociti inoltre si presentano come metabolicamente attivi (aumento del metabolismo delle sostanze
fagocitate)
Si ha un ottima risposta alla terapia con corticosteroidi (90%) anche se la patologia tende a recidivare.
Terapia
Prednisone 2 mg/Kg/die per 4 settimane; poi 1 mg a giorni alterni per altre 4 settimane.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 182
E’ probabile che questi antigeni vengano esposti all’azione del SI dall’inalazione di agenti tossici o
dall’azione di virus. La malattia inizia quasi sempre con sintomi polmonari e quindi il processo, con tutta
probabilità, inizia negli alveoli.
Si vedono all’immunofluorescenza degli anticorpi anti membrana basale e inoltre ammassi lineari di IC e
complemento.
Si tratta con steroidi e immunosoppressori combinati. Ancora meglio instaurare una plasmaferesi precoce.
Malattia policistica
Il rene policistico esiste in due forme:
Infantile: trasmissione autosomica recessiva → sindrome nefritica
Adulta: trasmissione autosomica dominante → ematuria, ipertensione, insufficienza renale a partire
dalla pubertà
Sindrome di Alport
Malattia nella quale la glomerulonefrite familiare è associata a :
sordità nervosa
dislocazione del cristallino
cataratta posteriore
distrofia corneale
I maschi tendono ad essere colpiti non più frequentemente, ma in modo più grave delle femmine. (eredità
autosomica dominante con maggiore espressività nei maschi).
Le alterazioni renali sono causate da una sintesi difettiva di MBG a causa di eterogenee alterazioni
genetiche (ex. Alterazioni dei geni per il collageno di tipo IV).
Cause congenite
Ureterali: (alte, medie, basse) stenosi, valvole, polipi, ureterocele
Vescicali: neuropatie, diverticoli
Uretrali: valvole, diverticoli
Cause acquisite
Iperplasia prostatica benigna
Neoplasie benigne primitive (vescica, uretra, prostata ) e secondarie (utero, vescica, colon)
Emopatie (infiltrazioni leucemiche, coaguli, compressione linfomatosa, precipitazione di paroproteine)
Fibrosi retroperitoneale (traumi, farmaci come il propanololo, aneurismi)
Vascolari (aneurismi, vasi anomali, vasculiti)
Agenti biologici (schistosomiasi, TBC, actinomicosi, miceti)
Neurologiche
Ostetriche e ginecologiche
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 184
Tutte le ostruzioni, acute o croniche, si accompagnano a stasi, con aumento della pressione e danno delle
strutture a monte. E’ il rene a risentire di più di questa situazione, con alterazioni della sua funzione
temporanee o permanenti, a seconda della tempestività della rimozione dell’ostacolo. Una volta che si
verifica una ostruzione al deflusso di urina, si verificano in successione i seguenti eventi:
Aumento della pressione endoluminale rapido (ipertonia) dalla norma di 6,5 mmHg fino anche a 70
mmHg 1 ora dopo l’ostruzione, con aumento della peristalsi dell’uretere (ipercinesia)
Stabilizzazione dell’attività peristaltica (l’uretere si “rende conto” dell’impossibilità di superare
l’ostacolo). Dalla 24° ora si raggiunge un valore pressorio pari al 50% di quella della prima ora, che
rimane stabile per circa 8 settimane
Tutta questa attività pressoria ha delle conseguenze nella funzione renale e sulla sua morfologia e funzione
→ Microscopica
Appiattimento della papilla e dilatazione del nefrone distale
Infiltrato monocitario interstiziale e periglomerulare
Aumento dello spazio di Bowmann
Dilatazione e necrosi dei tubuli collettori, con appiattimento dell’epitelio tubulare
Riduzione dello spessore della midollare e della corticale
→ Microscopica
Progressiva dilatazione delle vie escretrici alte
Edema renale con aumento di peso e atrofia parenchimale (successivi l’uno all’altro)
Colore blu scuro, venato del parenchima
Quando il collagene diventa prevalente sulla muscolatura la situazione è irreversibile. La diminuzione della
componente muscolare della parete produce una diverticolosi vescicale.
Nell’uropatia ostruttiva alta si ha anche dilatazione e allungamento dell’uretere che produce la flessione
della parte bassa di esso, ora sovrabbondante, condizione nota come inginocchiamento ureterale.
Alterazioni funzionali
Diminuzione della VFG
Diminuzione del flusso ematico renale (fino anche al 75%). Il flusso ematico diminuisce di più della
VFG, e c’è aumento della frazione di filtrazione Æ ischemia relativa Æ renina Æ ipertensione
arteriosa sistemica
Diminuzione della capacità di concentrare le urine (insensibilità all’ADH)
Alterazione di tutte le fasi del processo di controllo dell’equilibrio acido/base
Anuria riflessa del rene non interessato (attivazione del simpatico, fattore renotrofico umorale?)
Meccanismi di compenso
Aumento della pressione e della peristalsi
Stravaso di urina negli spazi peripelvici o perirenali
Reflusso pielo-caliceale (idronefrosi cronica)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 185
Il dolore è simile alla colica per l’ostruzione acuta, mentre invece compare durante la minzione se la causa è
un reflusso. Nella stenosi del giunto pielo-ureterale compare invece dopo idratazione o per l’utilizzo di
diuretici. Il dolore può anche mancare per l’ostruzione parziale monolaterale, che si determina lentamente.
Possono essere associati sintomi gastro-intestinali (ileo paralitico, vomito), per irritazione dell’uretere
Infezioni, pileonefrite, litiasi possono portare all’idronefrosi.
Complicanze:
Infezioni urinarie resistenti o ricorrenti
Calcolosi infettiva
Ipertensione
Policitemia
Ascite neonatale
Disuria (poliuria per ostruzione monolaterale parziale)
Colica renale
Diagnosi
Le alterazioni prenatali sono asintomatiche (spesso molte alterazioni congenite possono essere alla base
dell’uropatia ostruttiva) e si vedono all’ecografia materna
Quelle postnatali si dividono in acute e croniche:
Acute: dolore colico, ematuria (rara)
Croniche: asintomatiche o paucisintomatiche: dolore gravativo, disuria di grado variabile, infezioni,
ematuria, calcolosi
Terapia
Il primo obiettivo è la salvaguardia delle vie urinarie alte: se è possibile si inizia subito una terapia
conservativa, ma se le condizioni del paziente sono molto alterate può essere necessario ristabilire la
funzione renale con un intervento evacuativo e poi iniziare la terapia.
Catetere utile per ostruzioni delle vie urinarie basse, e successivamente terapia delle condizioni che hanno
prodotto la stenosi (ad es. prostatite o calcolosi)
Pielostomia ecoguidata: catetere percutaneo che drena il bacinetto renale
Dopo una ostruzione, la diuresi aumenta in maniera tanto più intensa quanto più grande è il carico osmotico
di fluidi e suluti trattenuti. E’ più intensa dopo risoluzione di una UO bilaterale o su rene unico.
Nella terapia occorre prevedere questo e instaurare un bilancio idrico ridotto per non prolungare l’iperdiuresi,
facendo attenzione a non disidratare il paziente.
Ostruzione urinaria cronica
Nella forma ostruttiva cronica¸ invece, gli effetti a lungo termine dell’AT II sono un aumento della
espressione del gene per il TGF-beta1, e un aumento della sintesi della matrice mesangiale. Si hanno inoltre:
↓ FPR
↓↓ VFG
↑ PG vasocostrittrici
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 186
L’eziologia delle forme acute e croniche può essere la stessa. In alcuni casi gli agenti lesivi agiscono in
maniera rapida o sono presenti in dosaggi molto alti, e allora si determina una forma acuta, mentre invece in
altre situazioni l’agente agisce lentamente o a dosaggi bassi, e il danno si estende in modo cronico.
Il deficit che si manifesta spesso è aspecifico, e sia la biopsia che l’analisi del sedimento urinario non
permettono di effettuare una diagnosi eziologica esatta.
Eziologia
Agenti tossici: analgesici, piombo, antibiotici, mezzo di contrasto, metalli pesanti
Metaboliti endogeni: urato, calcio, carenza di potassio, ossalato, cisteina…
Neoplasie
Malattie immunitarie: ipersensibilità (acuta), Sjogren, amiloidosi, rigetto di trapianto, estensione di
glomerulonefriti, HIV
Vasculiti: nefroangiosclerosi, aterosclerosi, anemia falciforme
Malattie ereditarie: S. di Alport, malattie cistica midollare, rene policistico, rene a spugna midollare
Malattie infettive: pielonefriti acute e croniche
Farmaci
Altro: radiazioni, reflusso vescico-ureterale
Nefropatia da agenti tossici
Il rene è molto sensibile agli agenti tossici, per tre motivi:
Riceve il 20% della gittata cardiaca, e quindi passano per il rene molti più tossici di qualunque altro
organo.
La midollare e la papilla producono una concentrazione interstiziale di soluti molto elevata, e pur
ricevendo il 10% del PFR sono la parte del rene più vulnerabile al danno da tossici proprio per questo
motivo.
Il pH acido di molte parti del tubulo può modificare le caratteristiche di ionizzazione e solubilità di alcuni
composti, confinandoli nell’interstizio e producendo quindi un danno maggiore.
Sebbene il rene sia vulnerabile agli insulti tossici, accade spesso che essi si manifestino tardivamente e in
modo non specifico, e si devono diagnosticare con l’aiuto di dati anamnestici e occupazionali, difficili da
raccogliere perché spesso l’esposizione a questi fattori è occulta.
Al contrario di molte altre condizioni, i tossici provocano un danno renale che può regredire con la
semplice cessazione dell’esposizione.
Analgesici
→ Fenacetina in associazione con acido acetilsalicilico, paracetamolo o caffeina.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 187
Il danno si produce nella midollare. Qui infatti il metabolita paracetamolo si concentra di dieci volte
all’interno dei vasa recta. E’ proprio al loro interno che comincia il danno, con una reazione infiammatoria
che porta ad ischemia della papilla, necrosi, fibrosi e infine calcificazione.
Risulta protettiva l’idratazione (↓ la concentrazione di paracetamolo), e invece l’acetilsalicilato aumenta il
danno perché disaccoppia la fosforilazione ossidativa nei mitocondri renali e inibisce la sintesi di PGE2, il
principale vasodilatatore renale.
Dosi tossiche: 1-3 g/die, oppure 2 Kg cumulativi con altri analgesici. Il peggioramento è graduale e
proporzionale all’uso.
Dati caratteristici:
Piuria asettica (50%)
Ematuria ed occasionalmente coliche renali (da incuneamento di frammenti necrotici nella papilla renale)
Anemia non proporzionale al grado di insufficienza renale
Modesta proteinuria (<1g/die)
ECO-renale rileva un pattern di calcificazione “a ghirlanda” attorno alla parte centrale del rene
Piombo
Associazione fra bambini che hanno assunto vernici scrostate contenenti piombo e adulti con insufficienza
renale. Lavoratori dei metalli e dei coloranti; uso di alcool distillato illegalmente facendo uso di radiatori di
automobili.
Il danno appare localizzato prevalentemente al tubulo prossimale, con fibrosi delle piccole arterie renali,
atrofia tubulare e degenerazione cellulare (rigonfiamento dei mitocondri). La presenza del piombo induce un
aumento del riassorbimento dell’acido urico e i pazienti sono tipicamente iperuricemici. Questo provoca la
così detta “gotta saturnina”. Infine, la progressione della malattia è solitamente l’IRC.
Sostanze esogene varie
Litio: terapia della depressione
Ciclosporina: danno renale acuto e cronico
Antibiotici: aminoglicosidi, amfotericina B
Mezzo di contrasto
Nefropatia da urato
La presenza di alte concentrazioni di urati nel sangue portano spesso ad una forma rapidamente progressiva
di nefropatia, che è caratterizzata dalla deposizione di cristalli di urato all’interno delle strutture escretive del
rene (tubuli, calici e pelvi). I pazienti sviluppano una forma di IRA rapidamente progressiva per
dell’ostruzione dei due reni. Nelle fasi precoci è possibile vedere cristalli di urato associati ad ematuria.
Se l’accumulo di urato è meno grave e prolungato nel tempo, si sviluppa invece una nefropatia interstiziale
ad andamento cronico detta nefropatia gottosa o uratica.
Il danno anche qui prevede una occlusione dei dotti da parte dei cristalli di urato, ma risulta più lento, e
soprattutto si osserva una deposizione di questi cristalli anche nel parenchima, dove si induce una reazione
infiammatoria importante e fibrosi interstiziale.
Nefropatia da calcio
L’alterazione più precoce dell’ipocalcemia è una necrosi focale dei tubuli prossimale, ansa ascendente
collettore. Questa necrosi porta ad ostruzione dei tubuli, con stasi della preurina, cosa che e favorisce la
precipitazione di calcio anche nel parenchima. Infine si osserva infiltrato di leucociti e fibrosi.
Il difetto più precoce dal punto di vista clinico è l’incapacità di concentrare l’urina, legata alla
compromissione dell’ansa ascendente.
Queste condizioni possono spesso accompagnarsi a nefrolitiasi, che contribuisce al danno della malattia.
Nefropatia da carenza di potassio
Il deficit prolungato di potassio provoca dapprima degenerazione vacuolare delle cellule epiteliali del tubulo
contorto prossimale, e poi ialinosi e fibrosi del glomerulo.
Altro importante effetto è il deficit di concentrazione delle urine, dovuto a danni dell’ansa di Henle e alla
elevata sintesi di PG. Questa poliuria provoca polidipsia, aggravata dalle alterazioni del cento ipotalamico
della sete che si verificano nell’ipokaliemia.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 188
In effetti molte glomerulonefriti si associano anche a danno tubulare. E’ il caso ad esempio della nefrite
lupica e delle nefriti da AB, in cui le Ig reagiscono sia contro la MB che contro i tubuli.
Altre nefropatie
Reflusso vescicoureterale
Le componenti del danno renale da reflusso sono due, le infezioni e il ristagno di urina che conduce alla
dilatazione della pelvi, dei calici e dei tubuli.
Gli esiti sono tipicamente cicatriziali, con sclerosi dapprima dell’interstizio e poi anche del glomerulo.
Radiazioni
Il fattore patogenetico principale è l’ischemia indotta dalla radiazione che provoca fibrosi e necrosi delle
arteriole renale. Il danno fibrotico si estende anche al glomerulo, ai tubuli e all’interstizio.
Tutte le funzioni renali vengono compromesse nel giro di poche settimane dall’irradiazione, con anuria,
ipertensione, anemia e proteinuria fino alla nefrosi.
Pielonefrite acuta
È una flogosi acuta suppurativa causata da infezione batterica.
Condizioni predisponenti sono rappresentate da:
ostruzione urinaria
congenita (malformazioni dell’uretere o del giunto pielo-ureterale o uretero-vescicale)
acquisita (stenosi cicatriziali, neoplasie uroteliali o addominali, displasia della tunica muscolare,
spasmo funzionale, ipetrofia prostatica, ptosi renale con inginocchiamento dell’uretere)
manovre strumentali a livello del tratto urinario quali cateterizzazioni
reflusso vescico-ureterale
gravidanza (provoca frequentemente batteriuria)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 189
Dopo l’episodio acuto si verifica la guarigione attraverso la formazione di cicatrici che possono dare origine
a depressioni fibrose sulla superficie della corticale. Caratteristicamente la cicatrice pielonefritica è associata
a infiammazione, fibrosi e deformazione del sottostante calice, della papilla e della pelvi.
Clinica
L’esordio è brusco caratterizzato da dolore all’angolo costo-vertebrale (Giordano positivo) e sintomi
sistemici di infezione quali febbre e malessere generalizzato. Frequentemente si hanno segni di irritazione
vescicale dovuta a cistite quali disuria e poliuria, tenesmo e bruciore durante la minzione.
L’ipertensione invece non si ha perché non c’è diminuzione della VFG.
Laboratorio
L’urina contiene molti leucociti (piuria) e cilindri granulosi costituiti da PMN e cellule di sfaldamento, la cui
presenza indica interessamento renale poiché questi si formano solo nei tubuli.
Nella fase acuta si ha proteinuria non glomerulare e cilindruria, causata dal disfacimento delle cellule
tubulari.
Terapia
La pielonefrite acuta in genere ha una prognosi benigna ed i sintomi scompaiono dopo pochi giorni
dall’introduzione di una terapia antibiotica adeguata.
I batteri tuttavia possono persistere nelle urine e può verificarsi una recidiva.
Pielonefrite cronica
È caratterizzata da una flogosi tubulo-interstiziale e da cicatrizzazione che coinvolge anche i calici e la pelvi.
È una causa importante di IRC, la quale può essere la prima manifestazione nelle forme rimaste inosservate.
nefroangiosclerosi maligna
Nefroangiosclerosi benigna
Alterazione presente a livello renale in corso di ipertensione arteriosa di tipo benigno caratterizzata dal punto
di vista anatomo – patologico da arteriolosclerosi ialina.
Le lesioni renali si instaurano dopo circa un anno dall’insorgenza dell’ipertensione e rappresentano una
conseguenza della condizione sistemica, solo successivamente esse stesse contribuiscono ad aggravare il
quadro in un circolo vizioso irreversibile senza l’ausilio della terapia antipertensiva.
Vi sono in genere lievi riduzioni del flusso plasmatico renale ma la VFG generalmente rimane normale o è
lievemente ridotta fino alle fasi avanzate della malattia. Comunque raramente si arriva all’IRC poiché
l’ipertensione causa severi disturbi cardiaci e cerebrali che portano il paziente a morte prima.
L’ischemia a livello renale determina attivazione del sistema renina-angiotensina, aggrava l’ipertensione
tramite la vasocostrizione e l’ipervolemia provocata dall’aumentato rilascio di aldosterone.
L’incremento della pressione determina danno a livello dell’endotelio trombosi piastrinica e coagulazione
disseminata che danno luogo ad ischemia contribuendo a perpetuare il circolo vizioso dell’iperreninemia
persistente.
All’inizio del rapido innalzamento pressorio (valori di PAD > 110 mmHg) si instaura una spiccata
proteinuria ed ematuria microscopica che successivamente progrediscono verso l’insufficienza renale.
Stenosi dell’arteria renale
È una causa relativamente rara di ipertensione definita ipertensione chirurgica poiché può essere guarita
tramite trattamento chirurgico, risolutivo nel 70-80% dei casi.
La causa più frequente di stenosi dell’arteria renale (70% dei casi) è l’occlusione da parte di una placca
ateromasica posta all’origine dell’arteria: la placca è di solito di tipo eccentrico spesso con trombosi
sovrapposta. Tuttavia la stenosi può anche essere provocata dalla displasia fibromuscolare dell’arteria renale.
Il restringimento del lume arterioso determina secondo un meccanismo consueto ischemia renale con
attivazione del sistema renina-angiotensina e conseguente ipertensione sistemica.
Microangiopatia trombotica
Rappresenta un gruppo di malattie caratterizzate da trombosi delle arterie interlobulari, delle arteriole
afferenti e dei glomeruli associata a necrosi ed ispessimento delle pareti vasali.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 191
Eziopatogenesi
I meccanismi patogenetici sono rappresentati dal danno endoteliale e dalla trombosi intravascolare. I fattori
scatenanti possono essere:
endotossine e citotossine batteriche
citochine
virus
Ab anti-endotelio
Essi agiscono fondamentalmente tramite il denudamento della parete endoteliale e la diminuita produzione
di prostaglandine ed ossido nitrico (che normalmente determinano vasodilatazione e inibiscono
l’aggregazione piastrinica) aumentando quindi la vasocostrizione e l’aggregazione piastrinica.
Clinica
Sono presenti anemia emolitica microangiopatica, trombocitopenia e insufficienza renale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 192
PARTE QUARTA
PATOLOGIA DELL’APPARATO
RESPIRATORIO
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 193
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 194
La normale concentrazione di ossigeno a livello arterioso è pari a 104 mmHg a livello dei capillari polmonari
e 95 mmHg a livello dei tessuti periferici, una sua riduzione determina ipossiemia.
Convenzionalmente si definiscono diagnostici di insufficienza respiratoria valori di pO2 < 60 mmHg
La normale concentrazione di anidride carbonica nel sangue arterioso è pari a 40 mmHg un suo incremento
determina ipercapnia.
Si definiscono diagnostici di insufficienza respiratoria valori di pCO2 > 45 mmHg.
Insufficienza polmonare dovuta ad alterazione del parenchima polmonare che determinano riduzione
degli scambi gassosi soprattutto a carico dell’ossigeno che è caratterizzata da ipossiemia manifesta
insufficienza di pompa dovuta a cause extrapolmonari che determinano riduzione della ventilazione che
è caratterizzata da ipossiemia accompagnata anche da ipercapnia
Possiamo inoltre distinguere in base alla rapidità di insorgenza e alla gravità delle alterazioni
emogasanalitiche:
→ insufficienza acuta
E’ la forma severa determinatasi in un arco temporale molto breve.
Qualora sia caratterizzata da ipercapnia si accompagna sempre a acidosi scompensata in quanto i meccanismi
di compenso non hanno tempo per entrare in azione.
Cause sono:
edema polmonare acuto
embolia polmonare massiva
pneumotorace iperteso
polmoniti
ARDS
→ insufficienza cronica
E’una forma a più lenta insorgenza e in genere associata ad una minore severità del quadro clinico.
Eziopatogenesi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 195
L’ipercapnia è un forte stimolo alla ventilazione e pertanto può determinare dispnea in condizioni acute ma
quando la situazione diventa cronica la stimolazione della ventilazione viene meno e si ha riduzione della
dispnea.
L’iperventilazione a lungo termine determina un incremento del lavoro respiratorio non viene tollerato a
lungo in quanto si instaura la cosiddetta fatica muscolare.
Diagnosi
Viene fatta tramite l’emogasanalisi arteriosa.
Vengono monitorizzati:
PO2
PCO2
PH ematico
Concentrazione di bicarbonati
Ciò permette di valutare oltre al grado di ipossiemia e ipercapnia anche la rapidità con cui l’ipercapnia si è
instaurata in base al fatto che si è realizzato un compenso su base metabolica (incremento del riassorbimento
di bicarbonati) o meno.
→ L’inquadramento della patologia di base che ha determinato l’insufficienza respiratoria viene fatto
attraverso diversi esami strumentali:
Spirometria
ECG (per evidenziare il cuore polmonare cronico)
Ecocardiogramma
Scintigrafia polmonare
Angiografia
Cateterismo cardiaco
La quantità di urine emesse nella 24 ore è un indice dello stato di perfusione renale che può essere ridotta per
un alterata portata cardiaca o per una vasocostrizione renale.
Può essere utile una valutazione dell’azotemia, della creatinemia e degli elettroliti sierici.
Una iperkaliemia può anche seguire all’acidosi per scambio tra gli ioni K+ intracellulari e gli ioni H+
extracellulari.
→ Ostruzione completa delle vie aeree (l’ostruzione incompleta da luogo all’enfisema a valvola)
può essere monolaterale o bilaterale, totale o localizzata (lobare, segmentale, lobulare).
Le principali cause sono:
tappo di muco (in corso di asma bronchiale, bronchiectasie, postoperatorio, bronchite cronica)
aspirazione di corpi estranei o coaguli
tumori polmonari
compressione estrinseca (linfonodi, aneurismi)
Le atelettasie localizzate di piccole dimensioni non comportano manifestazioni cliniche e sono in genere
scoperte dall’Rx torace o determinano complicazioni infettive.
Le atelettasie estese, lobari o totali, che insorgono acutamente si manifestano con un quadro di insufficienza
respiratoria acuta dominata da dispnea, tosse secca, dolore toracico di tipo costrittivo e turbe del ritmo
cardiaco.
Quasi sempre compare anche febbre a causa dell’instaurarsi di un processo infettivo sovrapposto
All’esame obiettivo in caso di ostruzione da cause intrinseche estesa l’emitorace interessato appare
ipoespanso e ipoespansibile, vi è riduzione o scomparsa del FVT e del murmure vescicolare e ottusità alla
percussione.
In caso di atelettasia da compressione da cause estrinseche invece l’emitorace è iperespanso e
ipoespansibile.
.
In generale se l’insorgenza della malattia è precoce la componente allergica tende a prevalere mentre se la
comparsa è tardiva l’eziologia può essere di tipo non allergico o misto.
→Fattori scatenanti (responsabili dell’insorgenza degli attacchi asmatici acuti poiché in grado di stimolare
la ipereattività bronchiale aspecifica)
Esercizio fisico
L’iperventilazione induce una perdita di calore e di umidità delle vie aeree che determina disidratazione la
quale stimola i recettori vagali (asma da sforzo)
Infezioni delle vie aeree
Sono gli stimoli che più frequentemente sono in grado di riacutizzare le manifestazioni sintomatologiche
dell’asma.
Le infezioni in particolare virali infatti determinano lo sviluppo di una intensa risposta infiammatoria
caratterizzata da un aumentato numero di leucociti e eosinofili.
Inoltre l’infezione altera la struttura dell’epitelio bronchiale favorendo la penetrazione di agenti esterni e
abbassa la soglia di sensibilità dei recettori vagali subepiteliali nei confronti delle sostanze irritanti.
Fattori irritativi ambientali
Aria fredda e umida, fumo di sigaretta, smog, gas di scarico.
Fattori emozionali
Agiscono determinando iperventilazione.
Anche l’ansia legata alla paura dell’ascesso asmatico è in grado di facilitare l’insorgenza dell’ascesso stesso
creando un circolo vizioso.
Reflusso gastroesofageo
Agisce tramite 2 distinti meccanismi:
l’irritazione della mucosa esofagea può stimolare le terminazioni vagali determinando un
ipertono vagale con risposta riflessa di broncocostrizione
il materiale refluito in esofago può essere aspirato nelle vie aeree determinando una risposta
irritativa diretta
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 200
L’asma è provocato da una ipereattività specifica (agli allergeni scatenanti) e da una ipereattività aspecifica
(dovuta allo stato di sensibilizzazione dell’albero respiratorio).
→ Alla base dell’asma intrinseco sta l’iperreattività bronchiale aspecifica che è caratterizzata da una
risposta di spasmo a diversi stimoli della muscolatura liscia bronchiale.
Alla base dell’iperreattività aspecifica sta l’esistenza di alterazioni di uno o più meccanismi di regolazione
del tono della muscolatura liscia bronchiale.
→Diversi stimoli (soprattutto infezioni virali) sono in grado di determinare flogosi con alterazione
dell’endotelio con riduzione della soglia dei recettori vagali la cui attivazione determina broncocostrizione.
Il normale tono bronchiale è il risultato della regolazione nervosa e quella biochimica: pertanto
l’iperreattività bronchiale può essere data da iperreattività colinergica (congenita o acquisita) o
iporeattività β adrenergica (congenita o acquisita).
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 201
CLINICA
La broncostenosi determina un incremento delle resistenze al flusso nella vie aeree che si manifesta
soprattutto in corso di espirazione e determina un incremento del lavoro respiratorio.
La sintomatologia dell’asma è caratterizzata dalla triade:
dispnea prevalentemente espiratoria con tachipnea, espirazione prolungata e costrizione toracica,
messa in opera dei muscoli respiratori accessori
tosse inizialmente stizzosa e non produttiva poi produttiva
sibili udibili soprattutto in espirazione
La fine dell’attacco è di solito contrassegnata dalla comparsa di tosse produttiva con espettorazione di tappi
di muco a stampo (spirali di Curschman)
→ all’esame obiettivo:
ispezione: durante l’inspirazione rientramento degli spazi intercostali e sovraclaveari, impiego dei
muscoli respiratori accessori; nell’asma cronico deformazioni toraciche pseudo-rachitiche, per la
presenza di enfisema
palpazione: FVT ↓/assente
percussione: l’iperinflazione determina iperfonesi e abbassamento delle basi polmonari
auscultazione: permette di rilevare i tipici rumori aggiunti da stenosi bronchiale: fischi e sibili.
L’intensità di questo reperto è espressione del grado di severità della broncoostruzione, tuttavia quando
l’ostruzione è veramente serrata la ventilazione è abolita e con essa cessano i rumori respiratori.
In questi casi il silenzio auscultatorio costituisce un segno prognostico negativo.
Vi possono essere segni di impegno dei muscoli accessori della respirazione reclutati per superare il notevole
carico resistivo.
Importanti sono anche i segni cardiovascolari quali la tachicardia riflessa (per riflesso chemiocettivo) e il
polso paradosso dovuto all’abbassamento notevole delle pressione intrapleurica necessario per superare le
notevoli resistenze al flusso.
Nel corso degli ascessi gravi possono anche comparire ipossiemia e cianosi.
DIAGNOSI
All’anamnesi vanno ricercate informazioni sull’ambiente in cui vive il bambino (casa, asilo, scuola…), con
particolare attenzione al tipo di arredamento. Altrettanto utile è chiedere se soffre di altre malattie allergiche,
epoca e modalità di insorgenza dei disturbi, l’eventuale stagionalità e la presenza di eventuali fattori
scatenanti.
La valutazione clinica deve essere integrata da quella spirometrica che consente di determinare il livello di
severità della ostruzione e la sua reversibilità e l’esistenza di una iperreattività nelle fasi di latenza clinica.
L’inquadramento funzionale comprende anche il monitoraggio delle variazioni del grado di ostruzione
bronchiale durante tutta la giornata.
caduta della pressione endoalveolare che determina una riduzione della pressione transpolmonare fino alla
sua negativizzazione che determina il collasso delle vie aeree.
La curva pressione-volume inoltre permette di valutare la compliance polmonare che risulta aumentata a
causa dell’iperinflazione che riduce il ritorno elastico del polmone.
La diagnosi differenziale con le diverse patologie broncocostruttive (bronchite cronica e enfisema) viene
fatta tramite il test di reversibilità alla broncostruzione.
Nell'asma infatti tipicamente l’ostruzione è di tipo reversibile cioè regredisce dopo somministrazione di un
broncodilatatore tranne che nelle forme croniche.
Il test farmacodinamico di broncodilatazione consiste nella valutazione della variazione degli indici
spirometrici e della curva volume-flusso dopo somministrazione di un broncodilatatore (β-agonista a breve
durata di azione in genere il salbutamolo) rispetto ai valori di base.
Questo test oltre a permettere di distinguere il soggetti normoreattivo da quello iperreattivo (asmatico in fase
di normalità) permette di quantificare la gravità della malattia asmatica in base alla pendenza della curva, che
è crescente dall’asma lieve verso l’asma grave, e al livello del plateau.
Il riconoscimento di una broncoostruzione rapidamente ingravescente (assenza di plateau) è un indice
prognostico negativo in quanto identifica soggetti a rischio per eventi broncostruttivi gravi che possono
anche essere fatali.
L’emogasanalisi durante gli attacchi asmatici evidenzia ipossiemia accompagnata da ipocapnia secondaria
ad iperventilazione riflessa (riflesso chemiocettivo), il reperto di una normocapnia non deve trarre in inganno
ed essere ritenuto indice di miglioramento in quanto esso segnala il cessare dell’iperventilazione e dunque
costituisce un indice prognostico sfavorevole.
In caso di asma allergico vanno fatte indagini allergologiche: il prick test è molto semplice da attuare: si
appoggiano sulla cute diversi estratti contenenti i più comuni Ag e si scarifica la pelle: il test è positivo se
compare un pomfo di diametro > 3 mm dopo 20’.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 203
In casi dubbi si esegue una valutazione radioimmunologica delle IgE totali (PRIST) e quella delle IgE verso
specifici allergeni (RAST).
Il test di provocazione specifico che consiste nell’inalazione in aerosol di soluzioni molto diluite di allergeni
viene poco usato a causa della sua pericolosità.
→ Allo scopo di definire le linee guida per il trattamento è stata fatta una stadiazione in 4 livelli:
livello 1. sintomi intermittenti di breve durata (<1-2 volte la settimana), assenza di sintomi nelle fasi
intercritiche, PEF o FEV1 >80% del teorico, variabilità < 20%
livello 2-3. riacutizzazioni > 1-2 volte la settimana che influenzano l’attività ed il sonno, sintomi di asma
notturno > 2 volte al mese, sintomi cronici che richiedono l’uso di β-agonisti a breve durata, PEF o
FEV1 60-80% con variabilità del 20-30%
livello 4. riacutizzazioni frequenti, sintomi continui, frequenti sintomi di asma notturno, attività fisica
limitata dall’asma, PEF o FEV1 <60% con variabilità >30%
→ Diagnosi differenziale
la dispnea in corso di asma va differenziata dalla dispnea cardiaca (cosiddetto asma cardiaco) in quanto
quest’ultima migliora con la posizione seduta, è caratterizzata da un espettorato non vischioso ma
trasudatizio schiumoso e rosato (dovuto all’edema polmonare) e si associa non a sibili ma a rantoli crepitanti
alle basi.
L’asma va differenziata dalla bronchite cronica in cui non esistono periodi asintomatici e la tosse è presente
cronicamente anche se possono sovrapporsi fasi acute di dispnea espiratoria, la tosse inoltre è tipicamente
produttiva.
L’edema della glottide e le ostruzioni organiche da corpo estraneo o da neoplasia si associano ad una dispnea
che è prevalentemente inspiratoria e non espiratoria.
→ Prognosi
La prognosi quoad vitam è buona infatti solo raramente gli attacchi asmatici possono portare a morte.
La prognosi quoad valetudinem dipende dalla storia naturale della malattia comunque a differenza di altre
patologie ostruttive, l’asma nella maggior parte dei casi non va in contro a progressione involutiva
manifestando per tutta la vita un carattere irregolarmente intermittente.
TERAPIA
La terapia dell’asma comprende attualmente le seguenti classi di farmaci:
Sono somministrati di solito per aerosol, più raramente, in pazienti con difficoltà ad assumerli, per via orale
o IM, con aumento degli effetti sistemici.
Si è passati da farmaci aspecifici, come l’adrenalina, a β agonisti selettivi come l’isoproterenolo, fino a β2
selettivi come il salbutamolo.
Salbutamolo e terbutalina: per via inalatoria, effetto breve (4-6 ore) che si instaura in mezz’ora.
Salmeterolo: durata più lunga, circa 12 ore, ma effetto che si instaura lentamente
.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 204
Il loro uso a scopo profilattico è discusso in quanto facilmente vanno incontro a fenomeni di downregulation
che limitano poi la loro efficacia nell’attacco acuto. Si è notato che l’uso di questi farmaci in protocolli
terapeutici di associazione con glucocorticoidi diminuisce questa downregulation, ma può dare una
ipokaliemia potenzialmente seria.
Effetti collaterali:
Nell’asma hanno come effetto collaterale specifico il tremore, oltre agli effetti avversi dei β agonisti già
descritti; se usati erroneamente come misura profilattica danno facilmente tolleranza (→inefficacia
nell’attacco acuto!).
Farmaci xantinici
Composti come la teofillina, la caffeina e la teobromina sono composti naturali farmacologicamente attivi
usati a lungo nella cura dell’asma. Sono farmaci in declino, che possono essere usati negli attacchi molto
gravi e che hanno una basso indice terapeutico. Si tratta quindi di farmaci di seconda scelta o di
associazione con gli steroidi.
Esiste allo studio anche la enprofillina, che sembra avere minori effetti collaterali su rene e SNC, e una
durata d’azione più breve (t/2 = 2 ore). La teofillina è la più potente, seguita dalla caffeina.
Antimuscarinici
Principalmente usato è l’ipatropio bromuro, che viene usato in associazione con β agonisti e steroidi. Questo
farmaco, e l’analogo tiotropio, sono somministrati per via inalatoria ed hanno un effetto praticamente solo a livello
locale.
A differenza di altri antimuscarinici, l’ipatropio non diminuisce la clearence mucociliare, anzi, può avere un effetto
benefico diminuendo la secrezione di muco.
Effetto massimo dopo 30 minuti, che dura per 3-5 ore. Non passa la BBB
Rispetto all’atropina, ha degli importanti vantaggi:
Durata d’azione più lunga
Assenza di effetti sistemici
Non diminuisce la clearence mucociliare
Glucocorticoidi
Non presentando effetti di broncodilatazione, questi farmaci non sono molto efficaci nella fase immediata
dell’attacco asmatico. La loro utilità però è eccellente nel trattamento dell’asma cronico con una notevole
componente infiammatoria.
Hanno molteplici effetti:
Stimolano la sintesi di NEP e ACE che diminuiscono la bradichinina polmonare
Riducono la downregulation dei recettori β2
Riducono la produzione di IL3, la citochina che promuove lo sviluppo dei mastociti, e il loro uso a
lungo termine riduce quindi la sensibilità bronchiale agli allergeni.
L’azione si esplica circa dopo un’ora dalla somministrazione, a causa della loro attività prevalentemente di
induttori della trascrizione.
In genere vengono impiegati beclometasone e budesonide, che vengono somministrati per via inalatoria.
L’aerosol presenta dei problemi, per questo si hanno anche farmaci appositamente studiati, come la
flumesonide, fluticasone propionato, beclometasone dipropionato. Hanno infatti la caratteristica di essere
assorbiti per via orale, ma di subire un enorme effetto di primo passaggio che rende la biodisponibilità
orale molto bassa. Questo è importante, perché la somministrazione per aerosol richiede una corretta
coordinazione fra inalazione e vaporizzazione, che è difficile da ottenere e quindi circa il 90% del farmaco
erogato viene deglutito.
Questo però non limita i danni che possono crearsi nel cavo orale (candidosi e disfonia), che possono
comunque essere ridotti dall’uso di opportuni adattatori
In sperimentazione ci sono gli steroidi dissociati, una classe di composti come il butixocort 21
propionato, tiopredone, cicloesomide. Questi farmaci agiscono soltanto come repressori genici: hanno
quindi un minor effetto antinfiammatorio, ma sono quasi del tutto privi di effetti collaterali. I primi risultati
non sono però del tutto incoraggianti, in quanto non è vero che gli enzimi repressori sono responsabili solo di
effetti antinfiammatori e quelli induttori solo di effetti collaterali.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 205
Cromoni
Sodio cromoglicato e Nedocromil
Sebbene non se ne conosca bene il motivo, esercitano un effetto di riduzione della risposta asmatica
immediata e tardiva, che è massimo nei bambini. Per far questo devono essere usati come terapia
profilattica. La loro azione è in genere abbastanza blanda, e si manifesta con:
Diminuzione dell’infiltrato infiammatorio
Stabilizzazione delle mastcellule
Inibizione del rilascio di neuropeptidi
Sono assorbiti molto poco per OS e vengono dati in genere per via inalatoria.
Vengono usati nella prevenzione dell’asma lieve, soprattutto nei bambini, nei quali possono essere usati
anche come farmaci antinfiammatori sistemici, nella terapia dell’asma in associazione a GC (diminuzione
del dosaggio), come farmaci di seconda scelta nell’asma.
Antagonisti dei cistenil-leucotrieni
I cistenil-leucotrieni (CL) sono il LTC4, D4 ed E4, che sono responsabili della broncocostrizione e
dell’essudazione plasmatica. Hanno effetto cioè sulla muscolatura liscia e quindi sono detti miotropici,
mentre il LTA4 e il B4 sono chemiotattici, hanno effetti sulle cellule infiammatorie e sono detti quindi
leucotropici.
I CL vengono prodotti in grande quantità dal polmone in relazione a stimoli allergeni, e sono responsabili di
diversi effetti
Broncocostrizione innescata da esercizio fisico, allergeni, freddo, anafilassi
Stimolo della mucosecrezione
Diminuzione della clearence mucociliare
Essudazione
In commercio esistono già 3-4 composti che hanno attività di antagonisti recettoriali del CL. Sono farmaci
nuovi, ancora in fascia A e molto costosi, come Zafirluncast, Pranlucast.
La loro utilità è dubbia per il fatto che un dosaggio equiefficace di glucocorticoidi non da apprezzabili effetti
collaterali. Sono quindi farmaci molto buoni ma con scarsa efficacia.
Protocolli terapeutici dell’asma
L’attacco di asma deve essere trattato con broncodilatatori al bisogno. La profilassi cambia a seconda della
gravità dell’asma.
Accesso lieve: salbutamolo (< 4 anni: 2 mg in aerosol in 2 ml di fisiologica ogni 2 h; > 4 anni: 0,2-0,3
mg ogni 2-3 h); in alternativa salbutamolo per os (ma l’effetto si ha solo dopo 60-90’), fenoterolo
spray o trimetochinolo – la terapia va mantenuta per almeno 2-3 gg
Accesso di media gravità: β-stimolanti; teofillina 5-6 mg/Kg ogni 6 h; corticosteroidi (prednisone 1
mg/Kg in 2-3 somministrazioni x os; desametasone 0,2 mg/Kg); se dopo 4 h si apprezza un
miglioramento si scalano le dosi soprattutto quelle dei corticosteroidi, altrimenti si passa a trattare
come l’accesso grave
Accesso grave: β-agonisti; terapia idratante; corticosteroidi (come sopra ma a dosaggi lievemente >:
betametasone 0,3 mg/Kg in bolo e poi ogni 24 h in infusione continua); teofillina (6 mg/Kg in bolo
iniziale, poi aminofillina 1 mg/Kg/h x 5-6 h; se c’è miglioramento si può continuare con i soli
broncodilatatori; talvolta si rende necessaria l’ossigenoterapia con O2 umidificato e riscaldato a 5
ml/min
Profilassi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 206
Primaria: evitare nella madre durante la gravidanza e l’allattamento cibi potenzialmente allergizzanti come
latte vaccino, uovo, pesce, arachidi, crostacei. Tali cibi vanno evitati anche nel neonato, che va nutrito con
latte artificiale “alternativo”.
Importante la profilassi ambientale (pulizia della casa, arredamento, presenza di animali).
Nei soggetti che già presentano sintomi si fa una profilassi secondaria farmacologica:
sodio cromoglicato (4 inalazioni/die) oppure chetotifene (stesso meccanismo d’azione)
antistaminici
xantine (molto validi ma con basso indice terapeutico: tendenza a dare vomito, tachicardia, convulsioni)
steroidi
immunoterapia specifica (induzione di anergia tramite inoculazione SC dell’allergene): applicabile solo
se l’allergia è specifica
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 207
CAP 4 BPCO
È uno stato di malattia caratterizzato dalla presenza di un ostruzione al flusso delle vie aeree di tipo
progressivo che può essere parzialmente reversibile e accompagnato da uno stato di iperreattività
bronchiale.
È una condizione clinica eterogenea che sta fra due quadri estremi, quello della bronchite cronica e quello
dell’enfisema.
Il denominatore comune della broncopatia cronica ostruttiva è infatti la limitazione al flusso delle vie aeree
che è direttamente proporzionale alla forza di ritorno elastico polmonare e inversamente proporzionale alla
resistenza delle vie aeree.
→ La bronchite cronica semplice viene definita come una patologia caratterizzata da una abnorme
produzione di muco nell’albero tracheobronchiale che si manifesta clinicamente con tosse produttiva cronica
o ricorrente presente per la maggior parte dei giorni per un minimo di 3 mesi l’anno e per almeno 2 anni
consecutivi.
→ La bronchite cronica mucopurulenta rappresenta l’evoluzione della bronchite cronica in cui
l’espettorato inizialmente mucoso diventa mucopurulento a causa della sovrapposizione di infezioni
batteriche.
→ La bronchite cronica ostruttiva si verifica quando l’ostruzione delle vie aeree a causa
dell’infiammazione cronica diventa irreversibile.
→ Per bronchite cronica asmatica si intende la forma con crisi accessionali di dispnea e respiro sibilante in
seguito ad infezione delle vie respiratorie o esposizione a sostanze irritanti.
→ L’enfisema è una condizione morbosa caratterizzata da una dilatazione abnorme degli spazi aerei
distalmente al bronchiolo terminale che si associa ad una alterazione distruttiva delle pareti alveolari senza
fibrosi.
Mentre la bronchite cronica quindi è primariamente una malattia delle vie aeree di conduzione, l’enfisema è
una malattia del parenchima polmonare che soltanto secondariamente determina una alterazione delle vie di
conduzione.
La distruzione dei setti fibrosi alveolari infatti determina una riduzione della tensione radiale che mantiene
pervi i bronchioli terminali.
Mentre la distruzione della componente elastica polmonare è un fattore irreversibile le cause che
determinano la broncostenosi in corso di bronchite cronica sono fattori parzialmente reversibili:
contrazione e ipertrofia della muscolatura bronchiale
distruzione e obliterazione dei bronchioli terminali
ipersecrezione di muco
neoformazione e ipertrofia delle ghiandole caliciformi mucipare e mucose
Patogenesi
La bronchite cronica e l’enfisema condividono gli stessi meccanismi patogenetici.
L’eziopatogenesi si basa sul rapporto tra fattori aggressivi esogeni e meccanismi di difesa dell’organismo.
Esiste infatti una predisposizione individuale alla malattia ma l’intervento di fattori esogeni è fondamentale
per il suo sviluppo.
alcol
infezioni virali in età infantile
dieta povera di antiossidanti (vitamine A,C,E che antagonizzano l’antiproteasi)
fumo passivo in età infantile
sostanze ossidanti (idrocarburi e nitrosamine)
Fra questi fattori, il più importante è senza dubbio il fumo di tabacco che determina alterazioni delle vie
aeree in diversi modi:
ipersecrezione mucosa: l’irritazione cronica determina ipertrofia e iperplasia delle caliciformi mucipare
e delle ghiandole mucose della sottomucosa con conseguente incremento della secrezione mucosa
induzione della flogosi: il fumo richiama i macrofagi alveolari e accentua la tendenza al rilascio di
enzimi proteolitici, radicali ossidanti e fattore chemiotattico per neutrofili, che rilasciano ulteriori
quantità di proteasi e radicali dell’ossigeno;
inattivazione delle antiproteasi: i componenti ossidanti del fumo agiscono sulle antiproteasi
riducendone l’attività
alterazione dell’efficienza della clereance muco-ciliare che facilita le infezioni in particolare da
Streptococcus Pneumoniae e Haemophilus Influenzae
lesione dell’endotelio
paralisi del battito ciliare
perdita delle ciglia
incremento della densità delle secrezioni
ridotta efficienza della tosse
Fra questi fattori, è importante soprattutto il deficit di antitripsina: l’α1-antitripsina è una α1-globulina
prodotta dal fegato ad azione antiproteasica.
Essa diffonde dal sangue a livello dell’alveolo dove esercita la sua azione protettiva nei confronti degli
enzimi ad azione proteasica rilasciati in particolare dai neutrofili.
La produzione di questa proteina è posta sotto il controllo di 1 gene presente nel cromosoma 14 (locus
dell’inibitore della proteasi PI) che è trasmesso come carattere mendeliano.
Il 90% della popolazione è omozigote per il carattere M (fenotipo PI MM) che determina normali livelli
sierici di enzima (1.5-2 mg/ml) e capacità di incremento di sintesi in risposta a opportuni stimoli. Sono
diffusi poi l’allele S (meno efficace nella produzione) e quello Z (ancora meno efficace).
La presenza di almeno un allele Z si associa ad una lieve riduzione di sintesi dell’enzima mentre l’omozigosi
PI ZZ è caratterizzata da notevole riduzione dei livelli sierici <0.5 mg/ml.
I fenotipi PI MS, PI SS e PI MZ sono caratterizzati da un grado intermedio di presenza di enzima (0.5-1.5
mg/ml).
Sviluppo della malattia
In genere la storia naturale della malattia è caratterizzata da una cascata di effetti distruttivi provocati dagli
inquinanti esterni nelle vie aree. Questi danni si manifestano progressivamente, in tre fasi:
→ bronchite cronica semplice: l’irritazione cronica del fumo e/o di inquinanti atmosferici determina una
irritazione cronica sulla mucosa bronchiale direttamente o sui recettori nervosi che tramite stimolazione
continua porterebbero all’ipersecrezione di muco con ostruzione del lume bronchiale. Si ha riduzione del
calibro delle vie aeree maggiori che non determina un significativo incremento della resistenza delle vie
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 209
aeree, sono presenti anche alterazioni microenfisematose che determinano la cosiddetta malattia delle
piccole vie aeree. Clinicamente l’ipersecrezione di muco determina tosse ed espettorazione soprattutto al
mattino al risveglio allo scopo di espellere le secrezioni che hanno ristagnato nelle ore di riposo notturno.
→ bronchite cronica mucopurulenta: la riduzione dei poteri di difesa dell’albero respiratorio facilita
l’insorgenza di infezioni (Haemophilus Influenzae, Stafilococcus Pneumoniae, Adenovirus, Rhinovirus) che
determinano un infiammazione di tipo purulento con l’aggravarsi del danno parenchimale. Il carattere
dell’espettorazione, inizialmente mucoso, si fa purulento ed è presente ridotta tolleranza allo sforzo.
→ bronchite cronica ostruttiva e enfisema: la riduzione di calibro dei bronchi determina un meccanismo a
valvola per cui l’aria penetrata in ispirazione rimane intrappolata in espirazione (in cui si ha una ulteriore
riduzione di calibro dei bronchi che serve ad impedire il loro collasso) e distende gli spazi alveolari
determinando la rottura dei setti interalveolari con conseguente enfisema. La rottura dei setti determina la
riduzione della trazione elastica esercitata su bronchi e bronchioli e di conseguenza la loro ostruzione con
notevole incremento delle resistenze aeree.
Altre volte, però, il danno dipende da uno squilibrio fra le sostanze prodotte allo scopo di tutelare l’integrità
del parenchima alveolare (antiproteasi o inibitori specifici delle metalloproteinasi) come l’α1-antitripsina,
l’α2-macroglobulina e l’antileucoproteasi, e le proteasi prodotte dalle cellule infiammatorie.
In corso di bronchite cronica le ghiandole sierose (principali produttrici di antiproteasi) sono sostituite dalle
ghiandole mucose e la metaplasia dell’epitelio e l’iperplasia delle cellule caliciformi mucipare determinano
riduzione delle cellule di Clara con conseguente riduzione della produzione delle antiproteasi in particolare
dell’antileucoproteasi.
Qualsiasi alterazione dell’equilibrio proteasi-antiproteasi che faccia prevalere le prime (aumento delle
proteasi per infiammazione o deficit delle antiproteasi per metaplasia mucosa) determina una digestione
delle strutture proteiche del parenchima con riduzione in particolare della componente elastica
predisponendo all’insorgenza dell’enfisema.
rottura del bronchiolo respiratorio e/o dei setti alveolari che circondano il bronchiolo respiratorio in corso di
bronchite cronica ostruttiva (è quindi legato al fumo di sigaretta).
→ enfisema distale o parasettale: è caratterizzato da una dilatazione della parte distale dell’acino (alveoli
dotti e sacchi alveolari) che risparmia la porzione prossimale. È dovuto alla rottura dei setti interlobulari che
si trovano prevalentemente alla periferia del polmone vicino alla pleura, vicino ad aree di fibrosi, di
cicatrizzazione o di atelettasia ed è di solito più grave nella metà superiore del polmone.
→ enfisema interstiziale: è caratterizzato dalla penetrazione di aria all’interno dello stroma interstiziale del
polmone. Nella maggior parte dei casi la via di entrata è rappresentata da una lacerazione alveolare che si
sviluppa in corso di enfisema per ipertensione endoalveolare da ostruzione delle vie aeree da corpi estranei o
broncostenosi. Raramente la causa può essere una ferita toracica penetrante o da una costa fratturata che
laceri il parenchima polmonare.
Clinica e Diagnosi
In base al prevalere dei disordini di tipo flogistico-ipersecretivo o di quelli ostruttivi su base strutturale sono
possibili una vasta gamma di quadri clinici, ai due estremi si pongono 2 tipici quadri clinici:
Tipo A con prevalente enfisema
Prevalente sintomatologia dispnoica su quella ipersecretiva. Il paziente è in genere magro e longilineo e
presenta caratteristicamente dispnea soprattutto da sforzo mentre la tosse e l’ipersecrezione sono modeste.
La dispnea tipicamente espiratoria insorge progressivamente, inizialmente si manifesta dopo sforzo poi
diventa permanente e molto limitante nelle fasi avanzate.
L’espirazione è molto prolungata poichè dipende dal ritorno elastico che è ridotto.
Questi pazienti non vanno in contro alle crisi di insufficienza respiratoria da ipoventilazione in occasione
delle riacutizzazioni.
L’alterazione è fondamentalmente costituita dall’enfisema panacinoso che determina una distruzione dei
setti in corrispondenza delle parti periferiche dell’acino e anche i capillari che in essi decorrono.
Di conseguenza è mantenuto un normale rapporto V/Q anche se entrambi sono diminuiti e si ha una
normossia e assenza di cianosi a riposo.
Tuttavia l’estensione del letto capillare è comunque inferiore al normale e la durata dell’esposizione dei
globuli rossi agli scambi gassosi a livello dei capillari alveolari e ridotta.
Ciò non ha conseguenze a riposo perchè il tempo di transito dei globuli rossi è comunque sufficiente a
saturare l’emoglobina, in condizioni di attività invece il tempo di transito si riduce e determina un
insufficiente ossigenazione. Ciò sta alla base dell’ipossiemia da sforzo.
La dispnea da sforzo dipende invece dal fatto che la riduzione del ritorno elastico del polmone determina il
collasso delle vie aeree soprattutto nella respirazione forzata in cui si ha una notevole negativizzazione delle
pressione intrapleurica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 211
→ All’ispezione si ha un iperdistensione del torace con tendenza ad assumere la tipica forma a botte e
ridotta espansibilità (torace iperespanso e ipoespansibile).
È evidente difficoltà respiratoria soprattutto in corso di espirazione con uso dei muscoli accessori che
determinano nel corso dell’ispirazione uno spostamento dello sterno in senso antero-superiore.
→ È presente tachipnea con espirazione prolungata a labbra socchiuse poichè si crea una depressione che
allontana il punto di equilibrio con riduzione dello spazio morto funzionale.
Ad ogni inspirazione gli spazi intercostali si retraggono e alla palpazione è possibile evidenziare un
rientramento della parete toracica.
Il rientramento della pelle tra gli spazi intercostali è dovuto al fatto che la pressione atmosferica e maggiore
della pressione toracica (?), cioè alla negativizzazione della pressione intrapleurica.
In posizione seduta spesso il paziente si china in avanti e incrocia le braccia.
→ L’Rx torace mira ad individuare la duplice componente iperinflazione e distruzione del parenchima che
consente la distinzione dell’enfisema vero dalle forme di iperinflazione (asma bronchiale, enfisema
compensatorio).
Si ha un ipertrasparenza dei campi polmonari e un’attenuazione della trama vasale in direzione periferica,
così che questa non diventa più riconoscibile a breve distanza dall’immagine ilare (enfisema con riduzione
del disegno).
L’iperinflazione determina:
abbassamento del diaframma e concavità verso l’alto delle cupole diaframmatiche
aumento dello spazio chiaro retrocardiaco e retrosternale con spostamento in avanti dello sterno
(nella proiezione laterale)
slargamento degli spazi intercostali ed orizzontalizzazione delle coste
Sono spesso apprezzabili bolle multiple con contenuto puramente aereo (enfisema bolloso).
il paziente è generalmente brachitipo e in sovrappeso e accanito fumatore che da molti anni presenta una
tosse produttiva.
L’insorgenza della tosse è di tipo subdolo e progressivo, inizialmente è presente al risveglio al mattino e
raramente supera i 60 ml/die.
L’espettorazione mattutina ha lo scopo di espellere le secrezioni che hanno ristagnato nelle ore notturne a
causa della riduzione della clereance mucociliare e della riduzione del tono ortosimpatico broncodilatatore.
All’inizio la tosse si manifesta solo nei periodi invernali e poi diventa persistente con periodi di
espettorazione mucopurulenta o talvolta emorragica che si fanno sempre più frequenti, gravi e di durata
maggiore.
È spesso presente cianosi anche nelle fasi di stato stabile e i pazienti vanno spesso in contro a episodi di
ipoventilazione con esacerbazione dell’ipossiemia e comparsa di ipercapnia in occasione delle
riacutizzazioni da infezioni.
Le alterazioni sono dovute alla bronchite cronica che si associa ad enfisema centroacinoso che interessa la
porzione centrale del lobulo e compromette di meno quella periferica, dove sono più rappresentate le
strutture vascolari.
Pertanto il danno maggiore si esercita nei confronti della componente ventilatoria il che determina una
riduzione del rapporto V/Q con effetto shunt che determina ipossiemia e cianosi con ipercapnia.
Alla cianosi oltre che la desaturazione dell’emoglobina contribuisce anche la poliglobulia secondaria a
ipossia renale con incremento di eritropoietina.
L’ipossiemia determina vasocostrizione ipossica delle arterie polmonari con conseguente incremento delle
resistenze e cuore polmonare cronico che può condurre allo scompenso ventricolare destro con edemi
declivi, epatosplenomegalia e ascite.
I pazienti di tipo B per questi motivi vengono anche detti blue and bloater = blu e gonfi.
Gli episodi di apnea ostruttiva durante il sonno accentuano l’ipossiemia e con essa l’eritrocitosi e
l’ipertensione polmonare.
L’Rx torace è caratterizzato dal tipico disegno polmonare sporco: i contorni vasali sono irregolari e
sfumati, l’ispessimento delle pareti bronchiali e dei tessuti peribronchiali genera immagini a binario e opacità
tubulari.
Il ritorno elastico del polmone è ridotto e la capacità di diffusione del CO è normale o di poco ridotta.
Gli episodi di insufficienza respiratoria sono frequenti e associati alla presenza di infezioni che aumentano la
quantità, la viscosità ed il carattere purulento delle secrezioni determinando un incremento della
broncoostruzione.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 213
A differenza del tipo A il tipo B va facilmente in contro a carbonarcosi perchè ipoventila, quando infatti al
pCO2 è troppo elevata anziché stimolare la ventilazione la deprime (il paziente respira per stimolo ipossico e
non ipocapnico).
Indagini strumentali
→ Indagini di primo livello:
spirometria che da valori statici + curva flusso-volume
Rx torace
Ossimetria
Risposta a broncodilatatori (test di reversibilità della broncostruzione)
→ Indagini specifiche:
Studio dell’escreato
Dosaggio di AAT
TAC ad alta definizione per la localizzazione dell’enfisema
Test da sforzo (ergometria)
Pressione espiratoria massima
Terapia
Fondamentale è la prevenzione:
Astensione dal fumo di tabacco
Vaccinazione antinfluenzale
Gli agonisti β2-adrenergici per via inalatoria (erogatori spray a dose prefissata con distanziatore) sono i
farmaci di prima scelta per ottenere un rapido miglioramento in caso di broncospasmo acuto.
L’emivita di farmaci come metaproterenolo, terbutalina e talbutamolo è ridotta durante le esacerbazioni della
BPCO e ciò consente somministrazioni ravvicinate, se tollerate anche ogni 30-60 minuti, da ridurre a 2-4
erogazioni ogni 4 ore quando la sintomatologia inizia a migliorare.
In alternativa si possono utilizzare farmaci anticolinergici come il bromuro ipatropio che hanno una zione
più prolungata.
Gli anticolinergici presentano effetti collaterali inferiori ai β2-agonisti e non tendono a determinare
ipossiemia.
Durante la riacutizzazione la dose abituale di ipatropio (2 erogazioni ogni 6 ore) può essere aumentata fino a
4-6 erogazioni ogni 4-6 ore per ottenere una broncodilatazione ottimale.
In caso di enfisema per ridurre la distruzione parenchimale ad opera di enzimi litici rilasciati da cellule
infiammatorie vengono utilizzati corticosteriodi.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 214
Nelle riacutizzazioni della BPCO che necessitano l’ospedalizzazione i glucocorticoidi sono a volte indicati.
Si utilizza metilprednisolone 0.5 mg/Kg ev ogni 6 ore per 3 giorni, dopo alcuni giorni si passa la prednisone
40-60 mg/die per os da ridurre lentamente.
Ossigenoterapia
Indicazioni: PaO2 < 55 mmHg, danni d’organo (cuore polmonare cronico).
Con cannule nasali con volumi da 0.5-4 l/min con scopo di raggiungere PaO2 di 60 mmHg.
L’efficacia dell’ossigenoterapia va monitorata tramite ripetute emogasanalisi.
La necessità di utilizzare alte concentrazioni di ossigeno suggerisce la presenza di complicazioni.
Ventilazione meccanica
È indicata nei pazienti con insufficienza ventilatoria acuta.
La ventilazione non invasiva a pressione positiva con maschera nasale o facciale rappresenta una alternativa
all’intubazione nei pazienti vigili e collaboranti, stabili emodinamicamente ed in grado di mantenere la
pervietà delle vie aeree e di espettorare.
Terapia chirurgica
Resezione polmonare (penumoplastica riduttiva)
Trapianto di polmone (monopolmonare o bipolmonare) il limite è rappresentato dalla disponibilità di
organi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 215
→ Cause funzionali
Il faringe non possiede uno scheletro osteocartilagineo di sostegno e la sua pervietà è esclusivamente
assicurata dal tono del muscoli dilatatori.
Una riduzione del tono dei muscoli del faringe, come avviene durante il sonno in particolare REM,
determina il collabimento delle sue pareti in corso di ispirazione in cui la contrazione dei muscoli inspiratori
determina una depressione intratoracica che si trasmette anche al faringe.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 216
L’obliterazione parziale del lume faringeo determina il russamento mentre l’obliterazione totale determina
l’apnea.
Sono importanti nella patogenesi dell’OSAS anche fattori ambientali come il fumo, l’alcol e l’uso di sedativi.
Fisiopatologia
L’episodio di apnea ostruttiva in genere avviene durante la fase di sonno REM in cui si ha il massimo di
ipotonia dei muscoli dilatatori del faringe.
L’ostruzione delle vie aeree determina una interruzione del flusso respiratorio che in base alla sua durata
determina un certo grado di ipossia e ipercapnia.
In seguito allo stimolo ipossico e ipercapnico si verifica una stimolazione alla respirazione con uno sforzo da
parte dei muscoli respiratori sempre più intenso che determina la comparsa dell’arousal cioè di un
alleggerimento del sonno che solo raramente viene avvertito dal paziente come un vero e proprio risveglio in
cui si ha un brusco e forte incremento di attività dei muscoli dilatatori del faringe e quindi ripresa del
flusso aereo.
La ripresa del flusso è accompagnata da un intenso russamento e da una iperventilazione indotta dal riflesso
barocettivo che determina anche un incremento del tono ortosimpatico con incremento della frequenza
cardica e della pressione arteriosa per vasocostrizione.
L’iperventilazione riesce in breve tempo a riportare i valori dei gas arteriosi ai livelli preapnoici.
L’incremento della pressione sia sistemica che polmonare è inoltre dovuto alla vasocostrizione indotta
dall’ipossia che si verifica in corso di apnea.
Inoltre lo sforzo respiratorio determina una riduzione della pressione intratoracica con aumento del ritorno
venoso che determina bradicardia riflessa con battiti ectopici sopraventricolari che possono indurre
l’insorgenza di aritmie che possono a loro volta essere responsabili di morte cardiaca improvvisa.
La diminuzione della pressione toracica determina inoltre un incremento della pressione transmurale aortica
con conseguente aumento del postcarico del ventricolo di sinistra che può contribuire all’insufficienza
ventricolare sinistra.
D’altra parte l’ipertensione polmonare può contribuire all’insorgenza del cuore polmonare cronico e quindi
all’insufficienza ventricolare destra.
Clinica
L’OSAS si instaura in genere in soggetti che sono stati a lungo russatori.
Il russamento acquista tipicamente un carattere intermittente, ossia si osserva un ripetersi ciclico di pause
dovute all’apnea seguite da brevi sequenze di atti respiratori più frequenti e con forte russamento.
Inizialmente le apnee compaiono soltanto durante la fase REM e possono essere presenti solo quando viene
assunta la posizione supina.
Nei casi più gravi si succedono ininterrottamente per tutto il tempo del sonno, intervallate solo da brevi
pause ventilatorie e sono indipendenti dalla posizione assunta.
La presenza dell’arousal determina la frammentazione del sonno e la comparsa di sonnolenza diurna nei
casi più gravi accompagnata anche da deterioramento intellettuale, variazioni della personalità, disturbi
comportamentali.
La sonnolenza diurna associata all’obesità configura la sindrome di Pickwick.
Nei casi più gravi l’ipoventilazione notturna determina una condizione di insufficienza respiratoria cronica
con ipossiemia, ipercapnia e ipertensione polmonare persistenti anche durante la veglia, soprattutto se il
paziente soffre di altre patologie che determinano ipossiemia come la BPCO (sindrome da ovelapping).
Complicanze a breve termine dell’OSAS sono:
Incidenti stradali e lavorativi
Aritmie
Convulsioni
Epilessia
All’esame obiettivo vanno indagate le alterazioni delle vie aeree, alterazioni craniofacciali (esame
otorinolarigoiatrico) obesità, ipertensione, aritmie (visita cardiologica).
Indagini strumentali sono:
MSLT (multiple sleep latency test) che valuta la latenza e durata della fase REM e permette di
valutare obiettivamente la sonnolenza diurna (diagnostico se > 20 minuti)
Ossimetria notturna che permette di valutare le cadute di saturazione ossiemoglobinica, è
l’indagine di screening che permette di confermare la diagnosi se i criteri clinici sono positivi o
permette di escludere la diagnosi se i criteri clinici sono negativi, se invece i criteri clinici sono
positivi e l’ossimetria è negativa si procede alla polisonnografia che non viene fatta di routine
perchè è un test dispendioso e complicato
Polisonnografia che comprende il monitoraggio degli stadi del sonno (tramite EEC), dell’attività
ventilatoria (flusso aereo oronasale e movimenti toracoaddominali) della saturazione
ossiemoglobinica (ossimetria) dell’elettrocardiogramma e della posizione corporea
Valutazione ORL (pervietà nasale, stato locale di ugola tonsille e palato molle, ostruzione
retrolinguale e retroparietale (?)
Cefalometria (diametri Rx) non più utilizzata tranne che per il diametro orizzontale della mandibola
TC e RMN collo
Terapia
→ Modifiche comportamentali:
riduzione di fumo, alcol e sedativi
dimagrimento in individui obesi
variazione di posizione durante il sonno
→ Terapia chirurgica di uvulopalatofaringoplastica che consiste nell’asportazione dei tessuti molli faringei
in modo da ampliare il calibro delle vie aeree superiori (indicazione nel 5% dei casi poichè risolve solo la
componente anatomica e non quella funzionale)
→ Apparecchiature di ortodonsia che applicate prima di andare a dormire mantengono la pervietà delle vie
aeree spostando la mandibola e prevenendo l’adesione della lingua alla parete posteriore del faringe
Altri interventi chirurgici in casi specifici: accorciamento del muscolo genioglosso, correzione della
retrognazia, asportazione di polipi nasali e tonsille ipertrofiche
La somministrazione di benzodiazeprine è controindicata.
Durante il sonno la pCO2 scende al di sotto della soglia necessaria per l’innesco della ventilazione e si
sviluppa una apnea (compensatoria) che determina un innalzamento della PCO2 fino a quando questa non
ritorna al valore critico in grado di innescare la respirazione.
Se a questo punto interviene un risveglio (come si ha nelle fasi di addormentamento in cui si ha una
fluttuazione tra sonno e veglia) l’ipercapnia che si è instaurata determina una iperventilazione, quindi si ha il
riaddormentamento cui segue l’ipoventilazione.
L’apnea centrale può fare anche parte di una sindrome da ipoventilazione alveolare primitiva o secondaria.
La sindrome da ipoventilazione alveolare primitiva o maledizione di Odine è una malattia caratterizzata
da assenza del controllo chimico della respirazione.
I pazienti affetti sono in grado di mantenere una adeguata ventilazione durante la veglia grazie agli stimoli
connessi con lo stato di vigilanza ma cessano di ventilare nel sonno specie non REM, quando la ventilazione
dipende fondamentalmente dallo stimolo chimico.
La malattia si manifesta sin dai primi giorni di vita con ipoventilazione, cianosi, apnee e convulsioni
specialmente durante il sonno non REM.
La sindrome da ipoventilazione alveolare secondaria è dovuta a lesioni delle strutture centrali secondarie
a processi infettivi o vascolari.
Clinica
La sintomatologia è caratterizzata principalmente da insonnia (frequenti risvegli notturni) associata
eventualmente ad ipersonnia.
Come la OSAS le complicanze delle forme più severe sono principalmente rappresentate da disturbi
cardiovascolari di natura ipertensiva e aritmie.
Terapia
L’acetazolamide (100 mg/die) inibitore dell’anidrasi carbonica ha dato in una cerata percentuale di casi
buoni risultati riducendo il numero e la durata delle apnee.
La somministrazione di ossigeno a basso flusso comporta una riduzione delle apnee.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 219
In caso di pleurite ci può essere presente un dolore pleurico da irritazione in sede epicritica (cioè dove è
presente l’infiammazione) in genere di tipo gravativo ed esacerbato dagli atti del respiro e dalla tosse.
Il dolore da luogo al respiro interciso cioè determina l’interruzione dell’atto respiratorio.
Il dolore pleurico tende ad attenuarsi e a scomparire quando compare la raccolta liquida.
→ All’auscultazione sono presenti gli sfregamenti pleurici. Sono più evindenti in fase iniziale (quando il
liquido accumulato è poco) e in fase di guarigione (quando i liquido è stato in parte riassorbito).
→ Il murmure vescicolare appare ridotto e assente nel terzo inferiore del polmone interessato (zona
atelettasica).
È presente al limite superiore del torace un soffio pleurico che rappresenta l’anomala trasmissione del soffio
laringeo attraverso il versamento pleurico,
Nei versamenti pleurici di origine infiammatoria il margine superiore descrive una linea a convessità
superiore (linea di Damioseau-Ellis) che parte dalla linea vertebrale si dirige in alto e in fuori fino a
raggiungere il punto più alto in corrispondenza della linea ascellare posteriore e lì scende verso il basso e in
avanti descrivendo una curva con convessità in alto in anteroposteriore.
In caso di grave versamento è presente nella regione paravertebrale dell’emitorace sano una zona di ottusità
detta triangolo di Grocco dovuto allo spostamento del mediastino in senso posteroinferiore sotto la spinta
del liquido dell’emitorace opposto.
→ Il paziente in genere mantiene il decubito laterale inizialmente quando il versamento è di piccola entità
sul lato sano poichè la pressione sul lato malato aggrava il dolore pleurico successivamente, quando il
versamento si fa abbondante e scompare il dolore, sul lato malato in modo che il lato sano abbia una
maggiore mobilità ventilatoria.
Diagnosi
La diagnosi di natura del versamento è consentita dall’esame del liquido estratto tramite toracentesi.
L’esame chimico-fisico del liquido pleurico permette di stabilire in primo luogo se il versamento è di natura
essudatizia o trasudatizia:
Trasudato: concentrazione proteica < 3 g/dl, PS < 1015 e bassa cellularità
Essudato: concentrazione proteica > 3 g/dl, PS > 1015 e alta cellularità
Normalmente i tipi cellulari presenti sono elementi ematici e cellule mesoteliali di sfaldamento.
→ trasudato + PH acido
Urinotorace (per rottura dell’uretere)
L’esame colturale consente di identificare eventuali ceppi batterici sopratutto se il liquido si presenta
purulento e di verificare la loro sensibilità a vari antibiotici tramite l’antibiogramma.
La ricerca delle cellule neoplastiche può essere eseguita tramite Ab monoclonali soprattutto in caso di
neoplasie come il mesotelioma in cui c’è una scarsa esfoliazione.
All’Rx torace il versamento determina un’area di opacità di densità omogenea localizzata in genere in
posizione declive.
Il proiezione LL il limite superiore del versamento è invece concavo verso l’alto con punti più elevati
anteriormente e posteriormente.
In presenza di versamento massivo l’emitorace appare completamente opacato e si verifica abbassamento del
diaframma, aumento dell’ampiezza degli spazi intercostali e spostamento del mediastino verso il lato sano.
L’ecografia è in grado di evidenziare versamenti anche molto piccoli, non visibili all’Rx che appaiono
anecogeni e possono costituire una finestra acustica per lo studio delle strutture sottostanti.
L’ecografia inoltre può essere agevolmente effettuata al letto del paziente e fornisce una guida per il
drenaggio del versamento.
Può essere fatta anche una toracoscopia che si basa sull’introduzione di uno strumento ottico attraverso uno
spazio intercostale che permette di avere una visione diretta del cavo pleurico ed effettuare prelievi bioptici
mirati o il brushing.
PLEURITE
È una infiammazione dei foglietti pleurici che si accompagna a versamento di tipo essudatizio nel cavo
pleurico causato principalmente dall’incremento della permeabilità capillare a livello pleurico.
In base al tipo di essudato possiamo distinguere:
Pleurite sierosa
Pleurite siero-fibrinosa
Pleurite emorragica
Pleurite purulenta o empiema
In genere la parte la parte fluida dell’essudato viene riassorbita e la componente fibrinosa va in contro a
risoluzione o organizzazione con formazione di aderenze fibrose.
Sindrome di Megis = tumore ovarico o fibroma uterino che danno ascite con passaggio di
liquido dalla cavità peritoneale a quella pleurica
Farmaci (isoniazide, nitropantofoina = disinfettante delle vie urinarie)
Radiazioni
uremia
Emotorace
chilotorace
Embolia polmonare
L’embolia polmonare determina ipertensione polmonare e quindi versamento di tipo trasudatizio il quale
però può diventare anche essudatizio per 2 motivi:
Vi può essere un infarto polmonare con infezione secondaria
Vi può essere necrosi dei capillari con conseguente incremento della permeabilità
Pleurite parapneumonica
Una frequente causa di pleurite è la polmonite batterica tipica soprattutto Pneumococco, Stafilococco o
microrganismi anaerobi.
Il liquido pleurico rivela leucocitosi con incremento soprattutto di PMN.
La concentrazione di glucosio, LDH e il PH sono fondamentali per differenziare un versamento complicato
da uno non complicato:
Versamento non complicato: PH > o = 7.3, concentrazione di glucosio > 60 mg/dl e LDH < 500 U/l , si
risolve tramite terapia antibiotica
Versamento complicato: PH < 7.1, concentrazione di glucosio < 40 mg/dl e LDH > 1000 U/l , si procede
immediatamente al drenaggio
Pleurite tubercolare
Nel periodo primario la pleurite costituisce una manifestazione di elevata reattività, mentre nella fase post-
primaria essa può manifestarsi secondariamente a:
diffusione a partenza da un focolaio nel parenchima sottostante
propagazione da un linfonodo
disseminazione ematogena
Molto frequentemente si manifesta una pleurite siero-fibrinosa a carattere quindi essudativo.
L’evoluzione della pleurite di solito è la formazione di briglie aderenziali con retrazione cicatriziale che
può anche essere importante e portare a grave deficit funzionale.
La diagnosi si basa sull’esame colturale del liquido pleurico ma può essere difficoltosa a causa dello scarso
numero di microrganismi presenti nel campione.
Altre caratteristiche del versamento tubercolare sono il carattere essudativo (proteine > 50 g/l) il PH acido
la linfocitosi e la concentrazione di glucosio < 30 mg/dl.
È importante anche la ricerca dell’adenosindeaminasi (ADA) un enzima che si occupa della trasformazione
dell’inositolo.
La diagnosi definitiva di pleurite tubercolare può in alcuni casi derivare dalla dimostrazione dei tipici
granulomi su campioni di biopsia pleurica.
Pleuriti in corso di collagenopatie
Sono frequenti in corso di:
LES (20%)
AR (5%)
Che sono patologie sistemiche che si associano a sierositi ricorrenti cioè infiammazione delle sierose in
seguito a deposito di IC o loro formazione a livello locale.
Gli IC attivano il complemento con produzione di anafilotossine che incrementano la permeabilità capillare
ed hanno azione chemiotattica nei confronti delle cellule infiammatorie, soprattutto linfociti T.
La diagnosi viene fatta tramite il titolo di Ab specifici:
AR, fattore reumatoide (?) > 1 : 320
LES, ANA > 1 : 160
Pleuriti neoplastiche
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 223
La principale causa è un trauma toracico o la rottura di vasi epigastrici, delle intercostali o del parenchima
polmonare.
La rottura dei vasi maggiori del mediastino è rara ma provoca un emotorace massivo.
La presenza di un grave sanguinamento è drammatica perché oltre allo shock ipovolemico e
all’anemizzazione acuta, si assiste anche alla insufficienza respiratoria da impossibilità di espansione
polmonare.
Può essere dovuto anche ad endometriosi pleurica.
La diagnosi differenziale tra una pleurite emorragica e un emotorace viene fatta in base al valore
dell’ematocrito del liquido pleurico: se l’ematocrito è maggiore del 50% di quello del sangue periferico si
tratta di emotorace o in base alla concentrazione di globuli rossi: > 100.000 GR/ml si tratta di emotorace.
La diagnosi viene fatta con Rx torace, TC e ecografia e solo raramente si deve arrivare alla toracocentesi
esplorativa.
L’opacamento di un campo polmonare intero indica una perdita ematica di almeno due litri, mentre la
opacità di un seno costo-diaframmatico indica 500 ml.
Se c’è anche aria (emo/pneumotorace) si hanno dei livelli idroaerei.
A seconda della gravità della perdita e del sanguinamento in atto, si ricorre a diverse metodiche: il
sanguinamento si tratta con drenaggio pleurico se è superiore a 500 ml (il catetere di drenaggio viene posto
nell’VIII spazio intercostale), e con toracotomia di urgenza se la perdita si mantiene per oltre 200 ml/h.
Il sangue nella pleura si coagula molto lentamente, e con adeguati trattamenti dopo essere stato raccolto può
venir reinfuso.
PNEUMOTORACE
Viene definito come la raccolta di aria all’interno della cavità pleurica con conseguente retrazione del
parenchima polmonare sottostante.
Eziopatogenesi
→ Pneumotorace spontaneo
Primitivo che si sviluppa in soggetti apparentemente sani in modo acuto e senza alcuna causa apparente
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 224
secondario che si instaura come complicazione di una malattia polmonare in particolare enfisema e
bronchite cronica (anche fibrosi cistica, infezioni da pneumocistis (AIDS), tumori, polmoniti con
ascesso,neoplasie mediastiniche, metastasi polmonari o pleuriche, tubercolomi sub-pleurici che si
rompono formando una fistola), colpisce per lo più gli anziani e deriva da rottura di bolle pleuriche
→ Pneumotorace traumatico
iatrogeno diagnostico (cateterismo sbagliato, agobiopsie, toracentesi ecc.) o terapeutico in epoca
preantibiotica veniva utilizzato per favorire il collasso di caverne tubercolari in modo da
velocizzarne il riassorbimento, oggi l’unica indicazione l’emostasi di emorragie irrefrenabili
traumi toracici penetranti o non penetranti (dovuto a lacerazione pleuropolmonare)
Fattori scatenanti in grado di determinare la rottura delle bolle con passaggio dell’aria nello spazio
subpleurico sono:
Sport
Sforzo fisico intenso
Tosse e starnuti
Come intensità, uno pneumotorace parziale è il più lieve (frequente al primo episodio) mentre quello totale e
quello iperteso sono imponenti, così come quello aperto se la lesione è consistente.
Clinica
I sintomi dipendono dal grado di collasso e di compressione che si attua sul polmone e sul cuore.
Le forme lievi e piccole, parziali, possono anche essere asintomatiche.
I sintomi più comuni sono:
Dolore improvviso all’emitorace interessato (irritazione e distensione della pleura parietale)
Dispnea
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 225
Nello pneumotorace spontaneo lieve o modesto la dispnea da sforzo e la tosse tendono a regredire fino a
scomparire.
Nello pneumotorace di maggiori dimensioni invece la dispnea aumenta di intensità.
Nello pneumotorace ipertensivo la dispnea è ingravescente fino all’insufficienza respiratoria e si associa a
tachicardia, cianosi, sudorazione e ipotensione fino allo shock, nel tamponamento cardiaco.
Può essere presente turgore giugulare per angolazione della vena cava superiore (?).
Diagnosi
All’ispezione l’emitorace interessato si presenta ipomobile e iperespanso, alla palpazione è presente
riduzione del FVT, alla percussione è presente ipertimpanismo e all’ascoltazione riduzione del murmure
vescicolare.
RX torace in ortostatismo evidenza ipertrasparenza nella cavità pleurica ed ipotrasparenza del polmone
collassato.
L’assunzione di un radiogramma in fase espiratoria da indicazioni sul tipo di pneumotorace: se è chiuso
solo il polmone si ridurrà di volume mentre se è aperto il volume del polmone e dello pneumotorace si
ridurranno in modo identico.
Come terapia palliativa può essere utile la pleuroadesi chimica diretta a determinare una irreversibile sinfisi
dei foglietti pleurici, che trova indicazione in caso di versamenti cospicui e recidivanti che determinano
dispnea e peggioramento della qualità di vita dei pazienti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 228
La neoplasia origina dalla mucosa bronchiale e tende a svilupparsi sia all’interno del lume bronchiale
(sviluppo enbronchiale) che verso l’esterno (sviluppo extrabronchiale) infiltrando dapprima la parete
bronchiale e poi il parenchima circostante (sviluppo intraparenchimale).
Il prevalere dell’una o dell’atra modalità di accrescimento dipende dal calibro del bronco colpito e quindi
dalla sede della neoplasia.
I
n base alla distribuzione topografica possiamo distinguere:
forma centrale (75%) che interessa i bronchi di I II e III ordine
forma ilare interessa i bronchi principali o lobari e si sviluppa inizialmente all’interno del lume.
Essa si estende anche in senso circonferenziale ed in profondità nella parete bronchiale fino a
superarla ed invadere il parenchima polmonare e quindi le strutture mediastiniche.
Forma parailare interessa i bronchi di medio calibro, segmentari e sottosegmentari, il cui lume
viene precocemente ostruito, precoce è anche il superamento della parete bronchiale e lo
sviluppo intraparenchimale
forma periferica (25%) che interessa i bronchi > III ordine la neoplasia è completamente
intraparenchimale in quanto viene a svilupparsi elusivamente all’esterno dell’albero bronchiale.
Le metastasi di questo tipo di tumore sono essenzialmente per via linfatica e tardivamente ematica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 229
Linfatiche: i linfonodi più frequentemente interessati sono quelli polmonari, poi ilari e infine
mediastinici dello stesso lato, e successivamente si estende anche ai linfonodi controlaterali.
Soltanto infine si raggiungono le sedi linfatiche fuori dal torace. Quando si riscontra una tumefazione
palpabile a livello sopraclaveare, siamo di fronte alla inoperabilità della malattia.
Ematiche: ossa, cervello, surreni e fegato in ordine di frequenza
Da metastasi per via ematica e per via linfatica, e ha una prognosi grave, perché spesso compaiono prima i
segni delle metastasi (che sono rapide) e poi quelli del tumore stesso.
Carcinoma anaplastico a grandi cellule
Può essere sia centrale che periferico (principalmente periferico), meno frequente nel sesso femminile.
È probabilmente una variante estremamente indifferenziata delle altre forme.
E’ molto aggressivo, e le metastasi avvengono sia per via linfatica che ematica e molto rapidamente. Quelle
linfatiche sono più comuni a livello ilare.
Microcitoma
È un apudoma, origina cioè dalle cellule neuroendocrine che contengono all’interno del loro citoplasma i
tipici granuli di neurosecreto.
Ha un elevatissimo indice di replicazione (il suo tempo di raddoppiamento è pari 5 giorni).
→ I carcinomi endobronchiale che infiltrano il bronco lobare medio di destra determinano atelettasia sia del
lobo inferiore che del lobo medio (perchè il bronco lobare inferiore origina da quello medio) quelli che
infiltrano il bronco lobare superiore di sinistra determinano atelettasia sia del lobo superiore che della lingula
(perché bronchi lingulari originano dal bronco lobare superiore).
L’atelettasia e l’alterato drenaggio del muco può creare le condizioni favorevoli per bronchiti purulente o
bronchiectasie tipicamente ricorrenti.
Si distinguono quindi tre tipi di tumore, per ognuno dei quali ci sono dei criteri T specifici, per ogni stadio.
Essi sono i tumori ilari, i tumori intraparenchimali, e i tumori periferici.
Mentre il T preoperatorio è abbastanza affidabile, l’N non lo è per niente, a causa della possibilità di avere
micro metastasi che sono difficilmente visibili.
N0: assenza di metastasi
N1: linfonodi delle regioni peribronchiali e ilari omolaterali (linfonodi polmonari)
N2: linfonodi mediastinici omolaterali e sottocarenali
N3: linfonodi mediastinici e ilari controlaterali o sovraclaveari o scalenici sia omolaterali che
controlaterali
I linfonodi che possono essere interessati sono:
Linfonodi bronchiali: ilari (10-11-12) della biforcazione 7, tracheobronchiali 3
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 231
Linfonodi mediastinici anteriori: prevascolari (davanti alla cava superiore) preaortocarotidei (davanti
all’arco aortico e alla carotide comune sinistra) linfonodi della catena trasversa (davanti al tronco
brachiocefalico sinistro) linfonodi diaframmatici
Linfonodi mediastinici posteriori: iuxtaortici, iuxtaesofagei (8), interaortoesofagei, mediastinici posteriori
diaframmatici
Linfonodi della finestra aortopolmonare (5) tra arteria polmonare ed arco aortico in prossimità del nervo
ricorrente, possono determinare disfonia N1
Linfonodi paraortici 6 N2
T N M
Stadio IA T1 N0 M0 Non c’è interessamento linfonodale
Stadio IB T2 N0 M0
Stadio IIA T1 N1 M0 Ci può essere interessamento solo dei linfonodi
Stadio IIB T3 N0 M0 polmonari omolaterali
T2 N1 M0
Stadio IIIA T3 N1 M0
T3 N2 M0 linfonodi mediastinici omolaterali, senza
T2 N2 M0 invasione di strutture vitali
T1 N2 M0
Stadio IIIB T4 N3 M0 Linfonodi mediastinici controlaterali, con
invasione di strutture mediastiniche vitali ma
senza invasione extratoracica
Stadio IV T1-4 N0-3 M1 Metastasi a distanza
N.B. il limite di operabilità si situa tra lo stadio IIIA e IIIB anche se i tumori con T4 limitati alla carena
possono essere operabili in alcuni casi.
→ a forma intraparenchimale e quella subpleurica sono nel 15% dei casi asintomatiche o danno luogo ad
una sintomatologia legata al coinvolgimento di organi extrapolmonari.
L’interessamento pleurico si manifesta con dolore puntorio e versamento pleurico.
Il dolore della spalla irradiato al braccio (sindrome di Pancoast) è tipicamente provocato da un tumore del
solco polmonare superiore che non è visualizzabile all’Rx perché mascherato dal sovrapporsi delle strutture
osteomuscolari, deve essere quindi fatta una TC dell’apice polmonare o RM.
In caso di positività dell’Rx o quando nonostante la negatività permanga il sospetto di carcinoma viene fatta
la TC che permette di definire in modo più dettagliato le caratteristiche dell’opacità e studiare i suoi rapporti
con le strutture circostanti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 233
L’esame citologico dell’espettorato soprattutto nelle forme periferiche permette la caratterizzazione delle
cellule neoplastiche che si sfaldano nel bronco, ma possono essere presenti numerosi falsi negativi se si ha
l’ostruzione del bronco da parte della massa o di un tappo di muco.
La broncoscopia può fornire molteplici elementi diagnostici diretti (presenza di masse vegetanti o
infiltrazione stenosante della parete bronchiale) e indiretti (stenosi da compressione estrinseca, edema e
iperemia della mucosa) e permette il prelievo di campioni bioptici in caso di carcinoma endobronchiale e di
materiale citologico attraverso la broncoaspirazione, l’agoaspirazione, lo spazzolamento o il lavaggio
broncoalveolare.
Nel caso di forme periferiche non visibili endoscopicamente la diagnosi istologica può essere effettuata una
agobiopsia polmonare TC-guidata o una toracoscopia o toracotomia esplorativa.
Per confermare il sospetto sui dati della TC di metastasi o infiltrazione linfonodale possono essere effettuate
la mediatinoscopia cervicale o anteriore e la toracoscopia.
Possono essere dosati anche i markers tumorali di cui il più usato è il CEA.
I marker tumorali più che per la diagnosi vengono utilizzati per il follow-up del paziente dopo la terapia
chirurgica soprattutto se questa ha comportato una normalizzazione dei livelli ematici del marker, in quanto
un loro innalzamento è indice di recidiva o di metastasi.
Terapia
La terapia di un paziente con carcinoma polmonare dipende da: stadio, condizioni generali, età e tipo
istologico, infatti l’approccio terapeutico del microcitoma è completamente diverso rispetto alle altre forme.
Non microcitomi
Unica risolutiva per il carcinoma non a piccole cellule è la resezione chirurgica, e la radio e la chemio
offrono un presidio collaterale.
Gli stadi I e II sono suscettibili di exeresi estesa e la radioterapia postoperatoria solo come complemento
in alcuni casi selezionati.
In generale nello stadio I (che è N0) il trattamento è caratterizzato esclusivamente dalla chirurgia, se il
paziente è inoperabile per età o condizioni di salute l’alternativa è la radioterapia con dose radicale (60 Gy)
sull’emitorace interessato.
Nello stadio II (che è N+) l’intervento chirurgico è seguito dalla radioterapia postoperatoria con dose 50
Gy.
Lo stadio IIIA si può operare solo in casi selezionati con exeresi estesa preceduta o seguita da radio-
chemioterapia.
I tumori in stadio IV non hanno indicazioni chirurgiche tranne quelli con metastasi cerebrale che è l’unica
che viene asportata.
In generale in caso di tumori inoperabili (dallo stadio IIIB in poi) si utilizza l’associazione di radio-
chemioterapia sia per il controllo locale della malattia sia per colpire le metastasi.
Nello stadio IV la radioterapia viene eseguita al momento di comparsa dei sintomi (20 Gy in 5 frazioni).
Il tumore di Pancoast (quello nel solco superiore con retrazione della cute sopraclaveare) si tratta sempre
con exeresi associata alla radioterapia pre o post operatoria.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 234
La chemioterpia si usa nel trattamento delle forme inoperabili, ottenendo un ritardo nella progressione della
malattia, mentre nello stadio III viene utilizzata per retrostadiare il tumore cioè per operare su lesioni più
circoscritte e negli stadi I e II viene utilizzata per colpire le micrometastasi.
Il laser e la fototerapia trovano indicazioni come palliazione in un tumore allo stadio terminale che occlude
un bronco.
Microcitoma
Nel microcitoma le possibilità terapeutiche sono limitate alla chemioterapia ed alla radioterapia in quanto la
chirurgia non è attuabile data l’elevatissima probabilità di recidiva locale e di metastatizzazione già in atto
(ultimamente si tende a dare un approccio chirurgico anche a questi tumori con stadio I).
Il microcitoma ha una buona risposta alla chemioterapia che comporta una remissione temporanea perché
presto si selezionano stipiti cellulari chemioresistenti con ripresa della malattia.
In genere i tumori funzionanti al momento della diagnosi sono di piccole dimensioni in quanto in genere la
diagnosi è precoce visto che questi determinano delle sindromi cliniche, al contrario i tumori non funzionanti
in genere al momento della diagnosi sono di grandi dimensioni in quanto si manifestano solo quando danno
sintomi da compressione.
I tumori funzionanti determinano una sintomatologia clinica determinata dalla secrezione inappropriata di
uno o più ormoni quando questi sono biologicamente attivi.
Si tratta quindi di una vera e propria sindrome paraneoplastica la cui entità è correlata alla massa tumorale
in quanto una maggiore dimensione del tumore implica anche una maggiore produzione e dismissione in
circolo delle sostanze biologicamente attive.
METASTASI POLMONARI
Numerosi tumori possono dare delle localizzazioni secondarie al polmone sia per via ematica che linfatica.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 236
All’Rx torace le metastasi ematogene derivate soprattuto da carcinomi di mammella, reni e tiroide, si
presentano come opacità uniche o più frequentemente multiple, rotondeggianti o ovalari, a margini netti e
regolari.
Si localizzano indifferentemente in qualsiasi parte del polmone.
Le loro dimensioni possono variare da millimetri (metastasi miliariformi) a 10 cm o più (metastasi a palla
di cannone).
Talvolta il loro numero è tale da occupare la maggior parte del parenchima polmonare (metastasi a tempesta
di neve).
Le metastasi per via linfatica che derivano principalmente da tumori del pancreas, dello stomaco e della
mammella, si manifestano come opacità interstiziali reticolo-nodulari che rappresentano la cosiddetta
linfangite carcinomatosa.
La linfangite carcinomatosa è caratterizzata dalla triade:
Linfoadenopatia ilare
Opacità lineari a strie centrifughe che si dipartono da questa verso la periferia che poi si ramificano
Ispessimento regolare dell’interstizio peribronchiale con architettura polmonare conservata e
formazioni di pseudonoduli (dovuti alla dilatazione dei vasi linfatici)
Questo tipo di lesione è ben caratterizzabile tramite la HRTC.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 237
Anche le vie aeree possono essere interessate dal processo flogistico determinando una bronchiolite
obliterante che interessa prevalentemente i bronchioli respiratori.
La proliferazione e l’attivazione dei fibroblasti determina un incremento della sintesi di matrice
extracellulare.
È molto importante il ruolo dei fibroblasti nell’evoluzione del processo infiammatorio.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 238
Normalmente infatti si ha una autoregolazione da parte dei fibroblasti grazie alla produzione della
prostaglandina E2 che svolge una azione inibitoria sui monociti e quindi indirettamente anche
sull’attivazione dei fibroblasti stessi.
Se lo stimolo infiammatorio infatti è intenso non si ha questo feedback negativo e l’evoluzione è verso la
fibrosi.
L’edema alveolare in corso di alveolite e poi la fibrosi determinano ispessimento della barriera
alveolocapillare con conseguente riduzione degli scambi gassosi che coinvolge soprattutto l’ossigeno in
quanto l’anidride carbonica possiede una maggiore capacità di diffusione.
Si ha quindi ipossiemia associata in genere a ipocapnia da iperventilazione compensatoria.
L’ipossia determina vasocostrizione dei capillari polmonari che sommandosi alle alterazioni fibrotiche del
letto vascolare determina un incremento delle resistenze polmonari e quindi ipertensione polmonare che
porta al cuore polmonare cronico.
Inoltre la ridotta perfusione determina un alterazione del rapporto V/Q.
Il danno vascolare è anche dovuto all’interessamento diretto dei piccoli vasi da parte del tessuto fibrotico.
Clinica
Nelle forme acute è presente dispnea rapidamente ingravescente mentre nelle forme croniche si ha dispnea
progressiva inizialmente da sforzo e poi anche a riposo.
È presente tosse secca persistente che successivamente diventa produttiva a causa della possibile
concomitanza di alterazioni bronchitiche o bronchiectasiche.
Può essere presente emottisi (a causa delle anastomosi tra il circolo polmonare e quello generale ?).
Sono presenti anche segni di coinvolgimento generale quali:
Astenia
Malessere generale
Perdita di peso
febbre
Nelle forme terminali della malattia è presente insufficienza respiratoria con cianosi e ippocratismo
digitale e cuore polmonare cronico.
All’esame obiettivo sono presenti fini rantoli crepitanti basali bilaterali teleinspiratori che non si
spostano con i colpi di tosse.
La diagnosi differenziale con gli sfregamenti pleurici si fa premendo sulla parete toracica con il
fonendoscopio: mentre gli sfregamenti pleurici si riducono i crepitii in corso di interstiziopatia aumentano.
Possono essere presenti i segni obiettivi di ipertensione polmonare quali l’accentuazione della componente
polmonare del II tono o lo sdoppiamento del II tono e i segni del cuore polmonare cronico (insufficienza
ventricolare destra): turgore giugulare, epatosplenomegalia e edemi declivi.
Laboratorio
vi possono essere segni sistemici di patologia infiammatoria:
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 239
→ L’Rx torace rappresenta l’indagine di primo livello utile come orientamento ma raramente risolutiva.
Nella fibrosi polmonare idiopatica si ha un maggiore interessamento dei lobi inferiori e successivo
coinvolgimento periferico e subpleurico.
Nelle fasi precoci in genere sono presenti opacità reticolari o reticolo-nodulari limitate alle basi polmonari,
nelle fasi successive si ha una coinvolgimento periferico subpleurico e quindi progressiva estensione a tutto
il polmone con aspetto cistico dovuto all’enfisema parasettale (aspetto a nido d’api).
Possono essere presenti i segni radiografici di ipertensione polmonare (cuore polmonare cronico) quali
addensamento ilare per congestione delle arterie polmonari e cardiomegalia.
La trasparenza di fondo si riduce quando l’ispessimento dell’interstizio è di entità tale da soffocare gli spazi
aerei in esso compresi inducendo una velatura a vetro smerigliato.
→ La tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRTC) consentendo una visione molto dettagliata
del parenchima polmonare documenta l’estensione e l’attività della malattia e può indirizzare o evitare la
biopsia.
Tale distinzione è fondamentale a scopo terapeutico in quanto solo negli stadi attivi il trattamento con
corticosteroidi può avere risultati.
→ La scintigrafia con Gallio radioattivo non è molto sensibile e viene utilizzata solo in caso di sospetto di
sarcoidosi (a causa della captazione da parte dei macrofagi).
→ La conferma diagnostica può essere ottenuta dalla biopsia tramite broncoscopia o microtoracotomia che
può evidenziare le alterazioni istologiche tipiche di alcune malattie come ad esempio i granulomi in corso di
sarcoidosi.
→ L’esame del BAL può essere diagnostico in alcune circostanze: polveri inorganiche, infezioni
opportunistiche, tumori.
La valutazione del BAL è importante anche per la prognosi e la terapia:
Elevato numero di linfociti = buona risposta agli steroidi
Elevato numero di PMN = risposta possibile a ciclofosfamide
Elevato numero di PNM+eosinofili = difficile risposta ai farmaci (prognosi peggiore)
Terapia
L’attenuazione della risposta infiammatoria e immunitaria polmonare viene fatta con:
Cortisonici (prednisone)
Immunosoppressori (azatioprina e ciclofosfamide)
Nella fase precoce (alveolite) i polmoni hanno consistenza aumentata e microscopicamente si ha:
Danno endoteliale con conseguente incremento della permeabilità capillare e quindi edema interstiziale
Danno epiteliale con conseguente passaggio dell’edema all’interno dell’alveolo e quindi edema alveolare
La presenza di proteine e fibrina contenute nell’edema e di cellule necrotiche derivate dal danno alveolare
porta alla formazione di membrane ialine.
Si ha inoltre infiltrato infiammatorio ricco di linfociti nei setti alveolari.
Lo pneumocita di I tipo è particolarmente sensibile all’azione tossica dei mediatori liberati dalle cellule
infiammatorie (radicali dell’ossigeno e proteasi) e va in contro a necrosi.
Con il progredire della patologia si verifica l’organizzazione fibrosa dell’essudato e incorporazione delle
membrane ialine grazie alla deposizione di membrana basale sopra la quale si ha rigenerazione dell’epitelio.
Si ha inoltre ispessimento dei setti e la fibrosi interstiziale per deposizione di collagene da parte dei
fibroblasti attivati.
Negli stadi finali della malattia (fibrosi polmonare) il polmone appare costituito da spazi rivestiti da epitelio
cubico o cilindrico separati da tessuto fibroso (polmone a favo d’api).
Polmonite interstiziale desquamativa
È caratterizzata dalla presenza a livello alveolare di numerosi macrofagi contenenti lipidi e granuli PAS+.
È presente inoltre iperplasia delle cellule di rivestimento dei setti che desquamano a livello degli spazi aerei.
Questo aspetto istologico corrisponde all’aspetto radiologico a vetro smerigliato presente soprattutto a
livello dei lobi inferiori.
Alcuni pazienti sviluppano successivamente un fibrosi interstiziale significativa, perciò secondo alcuni autori
la DIP può essere considerata come uno stadio precoce della fibrosi interstiziale idiopatica.
Polmonite lipidica
È una infiammazione del parenchima polmonare causata da aspirazione di sostanze grasse minerali, vegetali
o animali:
Olio di fegato di merluzzo
Purganti oleosi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 241
Le lesioni istologiche sono analoghe a quelle che si verificano nel corso di GN rapidamente progressiva
pertanto per la diagnosi è fondamentale il coinvolgimento dell’apparato respiratorio.
Nel polmone l’evoluzione è verso la fibrosi interstiziale caratterizzata da depositi di emosiderina (a
differenza dell’emosiderosi si ha anche coinvolgimento del parenchima).
A livello renale è peculiare l’aspetto dell’IF che presenta depositi di IgG lineari e diffusi con caratteristico
aspetto a fumo di sigaretta.
Alla microscopia elettronica si osserva un ispessimento dello spazio subepiteliale della parete dei capillari
glomerulari che corrisponde alla sede di deposizione degli Ab-anti MBG.
Clinica
Il primo sintomo che compare in genere è caratterizzato dall’emoftoe di variabile entità (dallo sputo striato
di sangue fino all’espettorato francamente emorragico).
All’emoftoe può associarsi anche tosse e dispnea.
La sintomatologia polmonare può precedere quella renale o presentarsi contemporaneamente.
L’intervallo tra la sintomatologia polmonare e quella renale può variare da qualche settimana a molti anni.
L’Rx torace rivela la presenza di emorragie localizzate soprattutto a livello ilare e basale.
Recentemente è stata proposta la metodica dell’inalazione di CO radiomercato che ha affinità per l’Hb per
evidenziare l’estensione delle aree emorragiche.
Terapia
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 242
La forma acuta si verifica in tutte le circostanze in cui si ha una brusca riduzione del letto vascolare
polmonare di almeno il 50%.
Il cuore polmonare acuto è un evento improvviso e drammatico che esita nell’insufficienza ventricolare
destro e non permette al cuore di adattarsi con meccanismi compensatori quali l’ipertrofia.
Si osserva una marcata dilatazione del ventricolo destro che assume una forma ovoidale a volte con
assottigliamento della parete.
La principale causa è rappresentata dall’embolia polmonare massiva.
In genere si tratta di un embolo che si pone a cavallo del tronco polmonare (embolo a sella).
Gli emboli possono anche essere piccoli e multipli in quanto anche se non sono in grado di ostruire le arterie
polmonari maggiori possono determinare un loro vasospasmo per liberazione di fattori vasocostrittivi
(istamina o serotonina) da parte delle piastrine.
Clinica
È presente dolore toracico simil-anginoso.
La riduzione del precarico del ventricolo di sinistra determina riduzione della portata cardiaca e attivazione
ortosimpatica con pallore, sudorazione profusa.
Si può avere anche sincope o shock cardiogeno.
È presente anche un ritmo di galoppo presistolico dovuto alla vigorosa contrazione atriale che deve pompare
il sangue nella cavità ventricolare destra dove a causa dell’aumento del postcarico di ha un incremento di
pressione.
CUORE POLMONARE CRONICO
È dovuto ad ipertensione polmonare che si instaura cronicamente e progressivamente permettendo al cuore
di destra di operare meccanismi di adattamento quali l’ipertrofia e la dilatazione.
→ malattie polmonari interstiziali che determinano distruzione dei setti e ispessimento della barriera
alveolo-capillare a causa della fibrosi, la quale causa ipossia con conseguente vasocostrizione
anomalie della gabbia toracica come cifoscoliosi o malattie neuromusclolari o obesità marcata (sindromi
Pickwichiane) che alterano la dinamica respiratoria determinando ipossia cui segue vasocostrizione e
riduzione della pompa toraco-addominale che facilita il ritorno venoso al ventricolo destro
→ tromboembolismo ricorrente in cui gli emboli si organizzano dando origine a trombi che riducono il
calibro vasale
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 244
→ malattie primitive che colpiscono le arterie come le arteriti o sclerosi vascolare polmonare primitiva o
sclerosi vascolare indotta da farmaci o tossine o radiazioni o secondarie a collagenopatie
→ malattie che inducono costrizione delle arteriole polmonari inducendo acidosi metabolica o ipossiemia
(ipossia cronica delle alte quote, ostruzione delle vie aeree principali, ipoventilazione idiopatica alveolare)
E’ presente una notevole ipertrofia del ventricolo destro che può raddoppiare in sezione e raggiungere lo
stesso spessore del ventricolo di sinistra.
All’ipertrofia fa seguito la dilatazione.
L’eccessiva dilatazione ventricolare destra porta ad insufficienza funzionale della valvola tricuspide con
dilatazione atriale destra con stasi che facilita l’insorgenza di trombosi.
La stasi può essere facilitata anche dalla fibrillazione.
L’incremento della pressione ventricolare telesistolica determina anche incremento della pressione venosa
centrale.
La stasi si trasmette in via retrograda al circolo venoso sistemico (congestione venosa) determinando
epatosplenomegalia congestizia e quindi edemi declivi (fovea digitale persistente).
La poliglobulia determina incremento della viscosità del sangue con aumentata possibilità di trombosi,
soprattutto di flebotrombosi favorita dalla stasi venosa che può determinare embolia polmonare.
L’ipertensione polmonare determina edema con conseguente dispnea da sforzo che tipicamente non
regredisce con la posizione seduta e respiro frequente e superficiale a riposo.
Possono essere presenti i segni dello scompenso cardiaco destro.
All’esame obiettivo l’ipertrofia ventricolare destra eccentrica determina itto palpabile in sede parasternale
destra.
Possono essere presenti una accentuazione della componente polmonare del II tono, lo sdoppiamento
costante del secondo tono (per aumento della durata della sistole del ventricolo di destra) ed un ritmo di
galoppo protodiastolico ventricolare destro (a causa della dilatazione) che aumenta durante l’ispirazione
che determina un incremento del riempimento ventricolare destro.
Può essere presente anche un galoppo protosistolico atriale determinato dall’incremento della pressione
ventricolare destra.
L’Rx torace evidenzia i segni dell’ipertensione arteriosa polmonare: accentuazione del 2° arco di sinistra
(tronco polmonare) e degli ili (diramazioni principali dell’arteria polmonare) cui fa seguito un brusco
restringimento (aspetto a racchetta) con riduzione del disegno polmonare (aspetto ad albero potato).
L’ECG rivela un onda P ad alto voltaggio ed una deviazione a destra del ventricologramma.
L’emogasanalisi rivela la presenza di ipossiemia.
L’arteriografia polmonare può rivelare la presenza di alterazioni delle arterie polmonari.
EMBOLIA POLMONARE
È una sindrome clinica caratterizzata dall’ostruzione al flusso sanguigno polmonare operata da uno o più
emboli che si arrestano a livello della circolazione polmonare.
Eziopatogenesi
Nel 99% dei casi la causa è una tromboembolia cioè l’embolo si distacca da un trombo.
L’embolia polmonare può far parte della malattia tromboembolica venosa che si manifesta ora con sintomi e
segni di tromboembolia polmonare ora con sintomi e segni di trombosi venosa profonda ricorrente, la quale è
caratterizzata da uno stato di ipercoagulabilità ematica.
L’embolia primitiva dell’arteria polmonare è estremamente rara (meno dell’1% dei casi).
→ La trombosi polmonare si verifica solo in caso di aterosclerosi polmonare che fa seguito a ipertensione
polmonare.
L’embolia grassosa consegue alla penetrazione in circolo di grassi neutri originati dal midollo osseo
mobilizzato da un focolaio di frattura; si verifica dopo 1-3 giorni dal trauma e può passare misconosciuta
nelle forme lievi, come essere rapidamente letale nelle forme massive.
L’embolia settica è di solito associata ad endocardite batterica della valvola tricuspide o più
frequentemente, a migrazione di tromboemboli infetti delle vene periferiche (in pz. tossicodipendente o
portatori di cateteri endovasali, o con shunts per emodialisi o con infezioni pelviche). Il germe quasi sempre
coinvolto è lo Stafilococco aureo.
Le forme più note di embolia da corpi Estranei sono le talcosi, osservate in soggetti tossicodipendenti che
si iniettano, per via endovenosa, polveri di talco, sostanza comunemente usata come supporto a farmaci per
somministrazione orale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 246
In tutti questi casi la fisiopatologia ed il quadro clinico sono prevalentemente riconducibili all’ARDS in
quanto gli emboli sono spesso di piccole dimensioni (microemboli) e determinano una reazione
infiammatoria che è predominante sugli effetti dell’ostruzione vascolare.
Fisiopatologia
Le conseguenze dell’ostruzione dipendono dalle dimensioni dell’embolo:
emboli di grandi dimensioni possono occludere l’arteria polmonare principale o uno dei suoi rami
maggiori o disporsi a cavallo della biforcazione del tronco polmonare (embolo a sella)
emboli di piccole dimensioni ostruiscono ramificazioni dell’arteria polmonare
e dalle condizioni della circolazione bronchiale che dipende dalla capacità di pompa del ventricolo sinistro
che può essere ridotta soprattutto in individui anziani.
Il trombo si localizza preferenzialmente nel polmone di destra.
A seconda delle condizioni del circolo, si avranno diversi esiti derivati dall’embolia:
se la circolazione bronchiale non è compromessa si ha emorragia polmonare che si manifesta come
un’area rossastra priva di necrosi con spazi alveolari allagati senza compromissione dell’architettura
alveolare
se la circolazione bronchiale è compromessa si ha infarto, che colpisce in genere i lobi inferiori e tende
ad essere multiplo
l’infarto polmonare è emorragico, è caratterizzato da necrosi ischemica, ha la forma di un cuneo con l’apice
rivolto verso l’ilo che corrisponde in genere alla sede dell’ostruzione.
Poichè il flusso polmonare è distribuito nel polmone in base al gradiente idrostatico cioè è maggiore alla base
e minore all’apice, gli emboli polmonari occludono preferenzialmente le arterie dei lobi inferiori.
Ciò ha come conseguenza la ridistribuzione del flusso polmonare verso i segmenti non occlusi, prevalenti
nella metà superiore del polmone.
La riduzione della perfusione polmonare determina aumento del rapporto V/Q con ipossiemia associata a
ipocapnia secondaria a iperventilazione.
infarto polmonare
quando la circolazione bronchiale è compromessa.
Si manifesta con emottisi (l’infarto è di tipo emorragico) tosse, pleurite, febbre, leucocitosi, infiltrato
polmonare e versamento, di solito si associa anche a ipossiemia.
quando la compromissione del letto vascolare polmonare è superiore al 50% (embolia polmonare massiva).
Si manifesta con dolore toracico similanginoso, dispnea, tachipnea, ipossiemia, ipertensione venosa centrale,
sincope o shock cardiogeno.
→ TC spirale
La TC con m.d.c. consente l’analisi del distretto vascolare.
Permette di visualizzare emboli all’interno dei vasi polmonari fino alle arteria segmentarie mentre è meno
sensibile per le arterie subsegmentarie.
Permette inoltre la visualizzazione del parenchima polmonare suggerendo eventuali diagnosi alternative.
→ Emogasanalisi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 248
Evidenzia ipossiemia (PO2 <80mmHg) e ipocapnia (PCO2 <40 mmHg) determinate dalla ridotta perfusione
polmonare e dalla iperventilazione compensatoria.
→ Ecocardiogramma
Evidenzia la presenza di dilatazione ventricolare destra in caso di cuore polmonare acuto e può
visualizzare la presenza degli emboli.
→ Dosaggio di XDP o prodotti di degradazione della fibrina
È una indagine molto sensibile ma poco specifica:
se inferiori alla norma escludono l’ipotesi diagnostica
se superiori alla norma ammettono l’ipotesi ma non la confermano
Gli XDP cioè sono sempre presenti in corso di embolia polmonare ma non la diagnosticano.
Sono aumentati inoltre anche in corso di TVP.
Gli XDP sono i prodotti di degradazione della fibrina (X-linked cioè crociati) che aumentano nelle
condizioni di fibrinolisi (mentre gli FDP originano sia dalla fibrina che dal fibrinogeno).
→ La terapia anticoagulante con eparina per via ev va iniziata immediatamente nel sospetto clinico di EP
senza attendere il risultato degli esami diagnostici definitivi a meno che non vi sia una assoluta
controindicazione.
Si inizia con un bolo di eparina 80 U/Kg seguito da infusione continua di 18 U/Kg/ora per 5-10 giorni
individualizzando la dose in modo da ottenere un PTT di 1.5-2.5.
L’eparina frazionata possiede una azione antitrombotica uguale o maggiore con minori complicanze
emorragiche rispetto all’eparina non frazionata.
Il walfarin o l’acenocumarolo può essere somministrato per via orale fin dall’inizio della terapia con
eparina, la dose di attacco è di 5 mg/die per 2 giorni e successivamente viene ridotta in modo da mantenere
l’INR tra 2-3.
La terapia anticoagulante orale va continuata per 3 mesi, in presenza di fattori di rischio persistenti o di
ricorreti EP va continuata indefinitamente.
→ La terapia fibrinolitica sistemica con urokinasi o attivatore tissutale del plasminogeno accelera il
dissolvimento del trombo e riduce la morbilità della sindrome post-flebitica ma non si è dimostrata efficace
nella riduzione della mortalità dei pazienti con EP e TVP.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 249
Il farmaco fibrinolitico viene somministrato in bolo o in infusione di breve durata sotto controllo
angiografico, quindi la terapia prosegue con infusione di eparina.
Il vantaggio della terapia fibrinolitica rispetto alla terapia anticoagulante è nella lisi più rapida del trombo
(minore incidenza di sindrome post-flebitica) lo svantaggio nel maggior rischio di emorragia.
La terapia fibrinolitica viene fatta in pazienti con embolia polmonare massiva documentata
strumentalmente o con grave compromissione emodinamica (cuore polmonare acuto documentato
dall’ecocardiogramma).
Raramente si ha una ricanalizzazione spontanea con la terapia medica (10%) e nel 40% dei casi c’è una
estensione del trombo.
La terapia eparinica riduce l’incidenza di embolia ma non di sindrome post-flebitica.
In particolare la TVP iliaco-femorale è ad alto rischio di complicanze.
La terapia trombolitica sistemica è molto costosa, è associata ad un alto rischio emorragico, la lisi inoltre è
spesso incompleta perché i trombolitici non riescono a penetrare bene nel trombo.
→ La trombolisi locoregionale invece produce la lisi completa dei trombi venosi nell’85% dei casi.
Nel 50% si ha stenosi residua della vena, la pervietà a lungo termine si ha nel 90% in 1 anno.
Per prevenire la sindrome posteflebitica è necessario lisare i trombo precocemente e rapidamente.
La terapia trombolitica va associata a quella eparinica per la prevenzione del danno vascolare che si
verifica più frequentemente se la lisi del trombo è tardiva.
Indicazioni:
TVP massiva
Edema esteso
Compromissione degli arti
TVP prossimale
Tecnica:
il trattamento delle lesioni venose viene sempre fatto con cateterismo a monte della lesione, spingendo il
catetere contro il flusso sanguigno.
100000-200000 U urochinasi infusione per 24-48 ore
associata eparina
infusione protratta con interruzione 2 ore ogni 12 ore
Il catetere da infusione penetra nel trombo e infonde lateralmente il trombolitico (160000 U/h, 5000 in bolo,
ogni ora va monitorato PTT e fibrinogeno).
La trombolisi serve per posizionare uno stent o fare eseguire una TPA.
complicanze:
emorragie
ecchimosi sottocutanee
alterazioni della fibrinogenemia o della coagulazione
tromboflebiti sistemiche
se non ci sono risultati si procede alla trombo-embolectomia percutanea transvenosa con sistemi:
dirottivi (?) tramite aspirazione
reolitici: si sfruttala pressione negativa generata dall’alta velocità
frammentativi
ablativi: emissione di ultrasuoni
→ filtri cavali
Sono dispositivi costituiti da fitte maglie che impediscono il passaggio di emboli.
Si dividono in:
definitivi: metallici, rimangono per tutta la vita anche se possono essere rimossi
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 250
temporanei o provvisori: vengono posizionati sopra al trombo per evitare l’embolizzazione in corso di
terapia fibrinolitica, sono attaccati ad un catetere che ha forma di cestello e viene tolto dopo 5-6 giorni
(altrimenti si formano dei coaguli e non si rimuove bene)
EDEMA POLMONARE CARDIOGENO
In corso di scompenso cardiaco l’insufficienza retrograda determina un aumento di pressione a livello atriale
che si trasmette alle vene polmonari e quindi a livello dei capillari determinando ipertensione polmonare
con congestione ed edema.
La pressione idrostatica del polmone è mediamente di 10 mmHg quando raddoppia si ha la comparsa di
edema polmonare.
Il liquido tende a raccogliersi in particolare a livello del connettivo lasso peribronchiale e perivascolare
formando i cosiddetti manicotti di edema.
L’imbibizione dell’interstizio non si associa ancora ad alterazione degli scambi ma determina una riduzione
della compliance polmonare che sta alla base della dispnea e un’iperventilazione determinata dall’attivazione
riflessa dei recettori J.
Una parte del trasudato inoltre diffonde dall’interstizio attraverso la sottosierosa nel cavo pleurico
determinando idrotorace.
Successivamente il liquido si riversa nella parete alveolare e da qui nell’alveolo (edema alveolare) dove si
mescola al surfactante dando il liquido schiumoso a causa delle proprietà tensioattive del surfactante.
Istologicamente le cavità alveolari sono occupate da trasudato e materiale eosinofilo.
L’edema determina ispessimento della barriera alveolo-capillare con conseguente deficit di ossigenazione del
sangue e tendenza alla cianosi.
L’incremento della pressione idrostatica capillare determina lo stiramento e l’allargamento delle giunzioni
endoteliali con conseguente filtrazione degli eritrociti.
La transferrina presente nel liquido edematoso e l’emoglobina contenuta negli eritrociti filtrati vengono
fagocitate dai macrofagi e trasformate in emosiderina.
I macrofagi contenenti emosiderina vengono chiamati cellule dell’insufficienza cardiaca.
→ L’edema polmonare acuto è diffuso a tutto il polmone non soltanto alle basi ed è caratterizzato
dall’emissione di un escreato roseo e schiumoso dalla bocca.
Se si ha entro breve la risoluzione del movente patogenetico cioè l’ipertensione polmonare, l’edema risulta
reversibile in quanto viene riassorbito e non determina alterazione della struttura del polmone.
L’edema interstiziale viene riassorbito per inversione del gradiente di filtrazione a livello dell’interstizio e
tramite i linfatici, l’edema alveolare viene in parte eliminato con l’espettorato e in parte riassorbito
nell’interstizio e il versamento pleurico viene riassorbito tramite i linfatici che vanno in contro a ipertrofia.
→ L’edema polmonare cronico invece stimola la proliferazione dei fibroblasti con deposizione di fibre
collagene che determina la fibrosi polmonare (indurimento bruno del polmone) con incremento della
consistenza del polmone.
Il colore bruno è dovuto all’accumulo di pigmento (emosiderina) derivato dalla degradazione degli eritrociti.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 251
Cinica
→ Se l’edema è esclusivamente interstiziale sono presenti dispnea e tachipnea con rantoli a piccole bolle
prevalenti nei campi polmonari inferiori.
Compare ortopnea = dispnea che insorge solo quando il paziente si trova in posizione supina e scompare
nella posizione eretta poichè la posizione clinostatica favorisce il ritorno venoso e asma bronchiale o asma
cardiaco = spasmo bronchiale riflesso causato dal fatto che il trasudato passa dall’interstizio ai bronchi
(edema bronchiale), che si manifesta anche con la presenza di sibili associato a dispnea parossistica
notturna = brusco risveglio caratterizzato da difficoltà respiratoria e tosse che costringe il paziente ad alzarsi
o a mettersi seduto, dovuto al fatto che durante il sonno si ha una riduzione del tono ortosimpatico.
→ L’edema alveolare è una emergenza medica che se non trattata tempestivamente può portare ad
insufficienza respiratoria acuta.
Si manifesta prima con tosse secca dovuta all’imbibizione della membrana alveolocapillare e poi con
espettorato schiumoso e roseo (dovuto alla presenza di surfactante ed eritrociti) e rantoli crepitanti che
iniziano alle basi e salgono quindi verso gli apici polmonari nei casi più gravi.
Il paziente si presenta ansioso, molto dispnoico, non tollera la posizione supina (posizione ortopnoica
obbligata) ed è cianotico poichè l’edema alveolare determina ispessimento della barriera alveolo-capillare
con riduzione degli scambi gassosi e conseguente ipossiemia.
La riduzione della compliance polmonare determina incremento del lavoro cardiaco con uso dei muscoli
accessori della respirazione.
Il riflesso chemiocettivo da ipossia e ipercapnia determina iperventilazione con tachipnea e attivazione
ortosimpatica con tachicardia e cute fredda e sudata.
All’esame obiettivo sono presenti rantoli grossolani e gorgoglii.
Diagnosi
L’emogasanalisi evidenzia ipossiemia in genere accompagnata da ipocapnia determinata
dall’iperventilazione compensatoria, ma se si ha anche compromissione della ventilazione, nei casi più gravi,
si ha ipercapnia con acidosi respiratoria.
All’Rx torace:
l’edema interstiziale comporta perdita di nettezza dei contorni degli ili e dei grandi vasi (sfumatura del
disegno vascolare e ili nebbiosi), presenza di manicotti peribronchiali ben definiti (dovuti
all’edema peribronchiale), linee settali di Kerley (ispessimento del setto interlobulare)
ipotrasparenza del parenchima, ispessimento delle strie scissurali (scissure bagnate) in particolare
l’interlobare media (tra lobo superiore e medio di destra) che si vede bene perchè presa d’infilata
l’edema alveolare è caratterizzato dalla progressiva scomparsa dei margini delle strutture ilari,
dall’ipotrasparenza del parenchima e dall’impossibilità di riconoscere i vasi polmonari più piccoli
in caso di edema alveolare acuto o edema in regressione il liquido edematoso si distribuisce simmetricamente
nelle parti centrali dei polmoni con risparmio delle zone periferiche (opacità parailari simmetriche: aspetto a
farfalla).
SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO DELL’ADULTO (ARDS)
Consiste in un edema polmonare acuto da aumentata permeabilità della barriera alveolocapillare.
Viene anche denominata danno alveolare diffuso o polmone da shock.
In genere rappresenta la componente polmonare di una complessa sindrome sistemica in cui sono
compromessi numerosi organi: sindrome da insufficienza multiorgano (MOF).
Le cause sono svariate:
shock
sepsi (shock settico)
traumi
inalazione di sostanze irritanti
farmaci
droghe
affezioni ematologiche
pancreatiti acute
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 252
Se il fattore scatenante raggiunge il polmone per via ematogena (endotossine, frazioni del complemento,
farmaci, sostanze vasoattive) si ha inizialmente danno endoteliale, mentre se raggiunge il polmone per via
aerogena (materiale aspirato acido o settico, gas irritanti o tossici) il danno è primitivamente alveolare, in
ogni caso alla fine si ha un danno sia alveolare che endoteliale.
Eziopatogenesi
Le alterazioni che si osservano in corso di ARDS sono dovute fondamentalmente ad una esagerata risposta
infiammatoria ad uno stimolo di natura tossica o infettiva.
.
L’edema che si ha in corso di ARDS è di tipo essudatizio e viene anche detto edema a bassa pressione in
quanto non è dovuto all’incremento della pressione idrostatica che può comunque contribuire a accentuarlo,
infatti le lesioni in corso di ARDS sono più marcate a livello basale dove la pressione capillare è massima in
virtù del fattore gravitazionale.
L’essudato si accumula prima nell’interstizio e poi passa rapidamente nell’alveolo in quanto vi è anche un
danno dell’epitelio alveolare (edema alveolare).
Il liquido edemigeno contiene numerose proteine (perchè è un essudato) e cellule di sfaldamento (dovute al
danno alveolare) che determinano la formazione di membrane ialine.
clinica
L’ispessimento della membrana alveolocapillare dovuto all’edema determina una riduzione degli scambi
gassosi con ipossiemia che determina iperventilazione riflessa.
Le regioni scarsamente ventilate continuano ad essere perfuse contribuendo all’alterato rapporto ventilazione
perfusione e all’ipossiemia.
Il primo segno clinico è dunque rappresentato da una tachicardia seguito a breve termine da dispnea dovuta
alla riduzione della compliance polmone dovuta all’edema diffuso.
In questo stadio iniziale l’ossigenoterapia determina un incremento della pO2.
Con il progredire della patologia il paziente diventa sempre più dispnoico e presenta cianosi e rantoli
crepitanti.
La necrosi alveolare determina perdita del surfactante con conseguente atelettasia polmonare che
compromette la ventilazione.
A questo punto il paziente è refrattario all’ossigenoterapia e si deve iniziare un supporto ventilatorio
meccanico.
Le cause più frequenti di morte sono rappresentate dall’insufficienza respiratoria acuta o dalla disfunzione
multiorgano dovuta anche agli effetti sistemici dei mediatori prodotti dal polmone stesso.
La mortalità è assai elevata, 60-70%, della piccola percentuale che sopravvive sono una piccola parte va in
contro a guarigione, la maggior parte presenta fibrosi polmonare con un quadro di tipo restrittivo.
Diagnosi
L’Rx torace mostra infiltrati multipli diffusi a distribuzione prevalentemente periferica.
In genere nei polmoni coesistono aree infiltrate, consolidate o collassate ed aree con livelli quasi normali di
elasticità e di ventilazione.
Criteri di diagnosi differenziale con l’edema cardiogeno sono: assenza di segni di ipertensione polmonare
(ridistribuzione del flusso), cuore normale, mancanza di cuffie peribronchiali e versamento pleurico.
L’emogasanalisi evidenzia ipossiemia con ipocapnia secondaria a iperventilazione.
Se il quadro progredisce verso l’insufficienza respiratoria si osserva ipossiemia con ipercapnia e acidosi
respiratoria.
La pressione telediastolica ventricolare sinistra (espressione del precarico) è < 13 mmHg e ciò è un
criterio differenziale importante con l’edema polmonare acuto e lo schok cardiogeno.
Terapia
Si basa sull’ossigenoterapia continua associata ad una respirazione a pressione positiva volta ad impedire
il collasso degli alveoli (CPAP).
Molto spesso viene applicata una pressione positiva di fine espirazione (PEEP) allo scopo di aumentare la
capacità funzionale residua
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 253
→ Classificazione epidemiologica:
polmonite acquisita in comunità CAP
polmonite nosocomiale o ospedaliera acquisita da pazienti entrati in ospedale per altri motivi, con
permanenza di almeno 72 ore (periodo di latenza) provoca in genere da agenti aggressivi e invasivi
che hanno una forte resistenza agli antibiotici
→ Classificazione clinica-eziologica
polmonite tipica
polmonite atipica sostenuta da germi non comuni (intracellulari) che non rispondono ai comuni
antibiotici come penicillina e derivati (ma rispondono ai macrolidi)
filtro naso-faringeo che assicura la depurazione dell’aria inspirata tramite l’arresto delle particelle di
diametro superiore a 2-4µ e tramite una azione di spazzolamento operata dall’epitelio mucoso ciliato
che spinge il muco verso il faringe dove viene inghiottito
clereance mucociliare tracheobronchiale, l’epitelio cilindrico pseudostratificato è provvisto di ciglia
che si muovono in maniera ritmica e coordinata determinando un movimento del muco verso
l’orofaringe da cui esso viene inghiottito o espettorato
tosse
riflesso epiglottideo
fagocitosi ad opera dei macrofagi alveolari
Ab soprattutto IgA ma anche IgG o IgM
Linfociti T
Fattori predisponenti sono anche connessi ad una riduzione generale delle resistenze dell’ospite di tipo
immunologico:
Immunodeficienze
Ipogammaglobulinemia (soprattutto per le forme da germi capsulati)
Splenectomia funzionale (ex. da drepanocitosi)
Deficit del complemento
Coma (assenza del riflesso epiglottideo e della tosse)
Periodo neo-perinatale o senile
Scompenso
Vasculocerebropatie
Neuropatie
BPCO
Malattie croniche debilitanti
Neoplasie (riduzione delle difese immunitarie)
Diabete (riduzione delle difese immunitarie)
Farmaci immunosoppressori o citostatici
Trapianto d’organo (terapia immunosoppressiva)
Alcol colonizzazione facilitata dell’orofaringe, riduzione di difese meccaniche ed umorali (gram- e
Legionella)
Malnutrizione
Fumo aumento dei fattori di adesione agli alveoli
Diagnosi
Nel 30-50% dei casi non si riesce a fare una diagnosi eziologica.
Si può tenere conto della stagionalità:
Inverno: Streptococco
Postinfluenzali: Pneumococco e Stafilococco
Se sono colpiti più membri della famiglia in genere si tratta di agenti atipici in particolare Clamidia.
Spesso sono presenti forme miste causate da agenti tipici e atipici.
La BPCO si associa frequentemente a infezioni da Haemophilus, Pneumococco o germi gram- della flora
batterica intestinale.
I gram- colpiscono soprattutto anziani, etilisti e ospedalizzati.
Nell’anziano sono frequenti infezioni da Enterobatteri, Haemophilus, Pneumococco e Pseudomonas.
La diagnosi batteriologica viene normalmente effettuata sull’espettorato raccolto con paziente in decubito
opposto rispetto alla lesione e testa in basso.
L’espettorato però può essere contaminato da germi commensali dell’orofaringe:
Streptococcus Pneumoniae
Staphylococcus Aureus
Haemophilus Influenzae
Branhamella Catarralis
Alcuni bacilli gram-
Non sono mai commensali Legionella e Mycobacterium Tuberculosis.
Per evitare la contaminazione viene fatto prima del prelievo uno sciacquo con soluzione fisiologica.
Il campione deve essere portato in laboratorio entro 2 ore altrimenti la flora commensale elimina quella
patogena.
Per definire la validità di un campione di espettorato è necessario far precedere ad un esame colturale un
esame citologico dell’espettorato: la prevalenza di cellule squamose (più di 10 per campo) indica che il
materia le proviene in buona parte dal cavo orale e quindi vi è contaminazione mentre la prevalenza di PMN
(più di 10 per campo) depone per la validità del campione (criteri di Barlet per il giudizio di idoneità di un
espettorato per l’esame batteriologico).
Alternativamente si può fare la coltura sul materiale proveniente da agoaspirazione in corso di broncoscopia
o sul BAL.
In caso di polmoniti con intrattabilità terapeutica in cui è necessario fare diagnosi eziologica si può ricorrere
alla puntura transcricoridea, puntura transtoracica o biopsia a torace aperto.
Indagini sierologiche si basano sul confronto tra titolo anticorpale del siero di fase acuta e del siero
convalescente o su unico campione di siero.
In questo caso la diagnosi viene formulata solo a posteriori e non è quindi utile nell’immediato per la scelta
terapeutica.
Clinica
la sintomatologia è diversa nell’anziano rispetto all’adulto.
adulto Anziano
Tosse + +-
Dolore pleurico + -
Compromissione psichica - +
Addensamenti polmonari + -
Estensione del danno - +
vascolare stabilizzato
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 256
Tachipnea - +
Scompenso cardiaco - +
febbre + +-
FORME CLINICHE
Polmonite batterica o tipica
È una polmonite alveolare e purulenta.
L’agente eziologico nel 95% dei casi è rappresentato dallo Pneumococco, nel 5% da altri agenti:
Haemophilus Influenzae
Stafilococcus Aureus
Kleibsiella Pneumoniae
Pseudomonas
L’ingresso avviene attraverso le vie aeree e in genere si verifica una iniziale infezione delle vie aeree
superiori con conseguente aspirazione bronchiale delle secrezioni infette che porta alla successiva
localizzazione polmonare.
Gli pneumococchi possono anche dare sepsi, meningiti ed altre forme extrapolmonari (sinusiti, otiti,
mastoiditi, artriti, endocarditi, sierositi).
Forma Lobare
La polmonite lobare non trattata evolve attraverso i 4 stadi classici:
→ congestione
si nelle prime 24-48 ore e corrisponde alla colonizzazione batterica del parenchima polmonare che coinvolge
soprattutto il lobo medio ed i lobi inferiori.
Vi è una riduzione della crepitazione (subcrepitazione).
L’iperemia determina dilatazione dei capillari del setto alveolare.
→ epatizzazione rossa
L’incremento di permeabilità provoca lo stravaso dei capillari e il riempimento degli alveoli.
È presente una pleurite fibrinosa o fibrinopurulenta dovuta alla diffusione del processo infiammatorio per
contiguità alla superficie pleurica.
La fibrina può venire riassorbita o essere organizzata dando origine ad aderenza pleuriche.
La pleurite fibrinosa è responsabile di dolore puntorio e sfregamenti pleurici.
Questa fase corrisponde clinicamente all’emissione di espettorato di colore roseo.
→ epatizzazione grigia
Microscopicamente l’alveolo è ripieno di macrofagi e PMN che fagocitano i batteri.
Si verifica la degradazione di PMN e emazie e continua la formazione di fibrina.
L’essudato purulento e fibrina comprimono la parete settale dell’alveolo schiacciando i capillari alveolari.
Verso la fine di questa fase il coagulo endoalveolare si retrae e si stacca, si ha così la cessazione della
compressione sui capillari e il ripristino della vascolarizzazione.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 257
→ risoluzione
Ricompare il crepitio (subcrepitazione).
Microscopicamente i neutrofili e i macrofagi vanno incontro a lisi e liberano enzimi che digeriscono la
fibrina (digestione del coagulo endoalveolare).
La ricomparsa della vascolarizzazione fa in modo che arrivino dal sangue enzimi fibrinolitici che digeriscono
ulteriormente la fibrina.
L’essudato alveolare da denso diventa sempre più liquido di cui una parte viene riassorbita tramite i linfatici
ed il sangue e una parte viene eliminata tramite l’espettorazione.
L’espettorato è purulento fluido e abbondante.
Si arriva in genere alla restitutio ad integrum resa possibile dal fatto che l’infiammazione alveolare
(alveolite) non altera in genere le pareti alveolari ma rimane confinata all’interno del lume alveolare.
attualmente l’osservazione di queste fasi è diventata sempre meno frequente a causa del precoce intervento
della terapia antibiotica.
→ Complicanze
carnificazione polmonare che consiste nell’organizzazione dell’essudato con esito in fibrosi (si associa a
organizzazione della fibrina a livello pleurico con formazione di aderenze pleuriche)
ascesso polmonare a causa della distruzione del parenchima e necrosi tissutale (soprattutto in caso di
Pneumococco di tipo 3 o Kleibsiella)
empiema per diffusione dei batteri al cavo pleurico
risoluzione ritardata se c’è un preesistente difetto del setto per cui il coagulo non viene rapidamente
allontanato (>21 giorni)
disseminazione batterica (batteriemia) che può complicarsi con sepsi (i germi capsulati non danno CID a
meno che non vi siano dei deficit immunitari) e disseminazione metastatica con meningite,
endocardite e artrite (in epoca preantibiotica era frequente la triade del Marchiofava: polmonite,
endocardite, meningite)
NB: la polmonite da Stafilococco (che è facilmente chemioresistente) tende ad essere necrotica con
formazione di microascessi.
Nel bambino non si verifica necrosi tissutale ma si hanno delle formazioni cistiche che possono venire
insufflate di aria con formazione di pneumatoceli che si manifestano come bolle (l’aria costringe in basso il
liquido).
Forma broncopolmonare
la broncopolmonite è preceduta sempre da una bronchite o bronchiolite.
Possiamo distinguere 2 forme:
forma endobronchiale = bronchiolo o bronco + parenchima a valle
forma peribronchiale = bronco + parenchima adiacente (coinvolgimento per via linfatica o per
contiguità)
In questa fase inoltre la polmonite lobare non trae giovamento dall’ossigenoterapia perchè le zone colpite
sono escluse sia dalla ventilazione che dalla perfusione.
In alcuni pazienti si può avere distensione addominale da meteorismo che può essere di entità tale da
assumere l’aspetto di un ileo paralitico.
Nell’evoluzione spontanea si ha sfrebbramento per crisi dopo 7-9 giorni con sudorazione profusa.
Quando si instaura terapia antibiotica si ha un miglioramento del quadro clinico in circa 24 ore ma nel 50%
dei pazienti la temperatura si normalizza dopo 4-6 giorni.
→ L’Rx torace mostra nella polmonite lobare un area di opacità omogenea e densa a contorni netti con
estensione lobare o sublobare.
È spesso presente un broncogramma aereo cioè la proiezione dell’immagine iperchiara del bronco pervio
sullo sfondo di del parenchima opaco.
In caso di broncopolmonite invece sono presenti opacità alveolari multiple a chiazze con tendenza alla
distribuzione segmentaria, il broncogramma aereo può essere assente per la partecipazione del bronco.
→ È in genere presente una spiccata leucocitosi neutrofila fino a 15-25000 con presenza anche di forme
immature come forme a banda (non segmentate) o metamielociti.
→ L’esame colturale dell’espettorato permette di giungere alla diagnosi eziologica tramite esame a fresco
e poi esame colturale.
In forme particolarmente gravi possono essere utilizzate anche tecniche invasive quali biopsia, puntura
retrosternale e broncoscopia con biopsia o BAL (iniezione di sostanza fisiologica tramite l’endoscopio e poi
aspirazione).
→ Va fatta anche l’emocoltura che è positiva nel 30% dei casi e la ricerca dell’antigeni solubili nel sangue e
nelle urine tramite latex test, che è una metodica che non viene inficiata dall’antibioticoterapia perché la
distruzione batterica determina un incremento dell’eliminazione dell’Ag.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 259
Di solito la polmonite batterica tipica si risolve spontaneamente dopo 7-10 giorni, ma se va in contro a
complicazioni può anche portare a morte.
→ Polmonite da Pneumococco: penicillina G (ampicillina, cefalosporine, rifampicina, teicoplanina).
→ Polmonite da Stafilococco: cloxacillina, rifampicina, teicoplanina, vancomicina.
→ Batteri gram negativi anaerobi: leftazine, tienamicina, aminoglicosidi, piperacillina.
→ Anaerobi: cefoxitina, metronidazolo, clindamicina.
L’antibiotico di prima scelta delle CAP è la claritromicina, mentre nei pazienti ospedalizzati,
immunodepressi o comunque > 60 anni è consigliabile l’associazione tra una cefalosporina di III generazione
e un aminoglicosidi o un carbapenemico.
Ciascuno di questi agenti può causare una semplice infezione delle vie aeree superiori (raffreddore) o una
infezione più grave delle basse vie respiratorie che è associata a elementi favorenti:
Bambini o anziani
Malnutrizione
Alcolismo
Malattie debilitanti
Una caratteristica della polmonite atipica è la cosiddetta dissociazione clinico-patologica cioè il fatto che alla
sintomatologia clinica non corrispondano reperti all’esame obiettivo o questi sono molto scarsi (l’RX invece
da una immagine ben visibile).
L’esordio è in genere graduale con febbre remittente irregolare senza brividi.
In genere si ha tosse secca insistente anche se questa può essere anche assente.
L’escreato è scarso e mucoso, raramente striato di sangue se il processo infiammatorio porta alla rottura di
vasi.
È presente bruciore retrosternale tipo trachite che si accentua con i colpi di tosse.
Si ha febbre, cefalea, astenia e mialgia.
Difficilmente si hanno sintomi pleurici.
All’esame obiettivo non sono presenti particolari reperti.
In genere non si verifica ispessimento della barriera alveolo-capillare e quindi non si ha dispnea e cianosi.
È una broncopolmonite (alveolite) a focolai diffusi confluenti o non confluenti. Frequentemente tende a
complicarsi con microascessi.
Le lesioni hanno carattere distruttivo con tendenza all’organizzazione ed alla formazione di cicatrici.
Gli ascessi da aspirazione sono molto più frequenti nel polmone di destra poichè il bronco principale di
destra forma un angolo rispetto alla trachea che è meno marcato rispetto a quello del bronco di sinistra e sono
in genere singoli.
La localizzazione inoltre è in rapporto alla posizione del paziente:
paziente in piedi: segmenti basali del lobo inferiore di destra
paziente in decubito laterale destro: segmento apicale del lobo inferiore, segmento basale del lobo
superiore
paziente in decubito laterale sinistro: segmento superiore del lobo inferiore
Gli ascessi che si hanno come complicanza di polmoniti o bronchiectasie sono invece multipli diffusi e a
localizzazione basale.
Gli ascessi conseguenti a batteriemia o emboli settici sono multipli e possono colpire qualsiasi regione del
polmone (più frequenti in lobi superiori che sono più colpiti da infarto polmonare)
L’ascesso è costituito da una cavità che deriva dalla necrosi del parenchima polmonare.
La cavità contiene pus se è prodotta da piogeni o materiale pus-simile maleodorante se è prodotta da batteri
anaerobi.
Nel suo processo di crescita l’ascesso tende a distruggere la parete di un bronco svuotandosi al suo interno.
Se il bronco drena tutto il contenuto dell’ascesso questo appare vuoto se invece ne drena una parte si ha
presenza di materiale necrotico pus e aria che da origine a livelli idroaerei.
In caso in cui non ci sia comunicazione con il bronco se l’ascesso è da piogeni non sono presenti livelli
idroaerei mentre se l’ascesso è da anaerobi possono comunque essere presenti livelli idroaerei dovuti alla
produzione di gas da parte dei batteri stessi.
Quando avviene lo svuotamento il contenuto dell’ascesso viene eliminato all’esterno tramite espettorato
purulento che se caratterizzato da abbondanza di materiale da luogo alla cosiddetta vomica.
Se l’ascesso è di piccole dimensioni tende alla guarigione che è accelerata dalla terapia antibiotica, se invece
diventa di grandi dimensioni difficilmente tende a guarire ed è necessaria la terapia chirurgica che evita
l’insorgenza di complicazioni.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 263
Complicazioni
quando l’ascesso è subpleurico tende a determinare, analogamente alla polmonite, una pleurite fibrinosa
circoscritta, se però l’ascesso si apre nel cavo pleurico si ha la diffusione dei microrganismi nel cavo
pleurico con formazione di una pleurite purulenta fino all’empiema
se si forma una fistola tra ascesso e cavo pleurico e c’è comunicazione tra l’ascesso ed un bronco si
realizza una fistola broncopleurica che provoca uno pneumotorace detto piopneumotorace
l’apertura dell’ascesso nel mediastino da origine a mediastinite
dall’ascesso possono partire emboli settici che determinano ascessi a distanza in particolare l’ascesso
cerebrale
quando un ascesso (primario) si apre in un bronco durante la espulsione parte del suo contenuto (pus o
materiale necrotico contenente batteri) viene diffuso nelle parti declivi rispetto al bronco drenante
con formazione di ascessi secondari che a differenza degli ascessi multipli sono asincroni
il materiale necrotico della cavità ascessuale non drenata diventa facilmente sede di infezioni sovrapposte
da parte di saprofiti e lo stato di infezione continua porta alla gangrena polmonare con formazione
di ampie cavità
Clinica
l’esordio può essere acuto con sintomatologia simile a quella di una polmonite: febbre, brividi, dolore
toracico, tosse con escreato purulento di odore fetido in caso di infezione da anaerobi.
A volte invece se l’ascesso è la complicanza di un episodio infettivo la sintomatologia è più sfumata.
Può anche essere presente tosse senza espettorato.
Quando un ascesso di dimensioni grandi si svuota in un bronco si può avere la vomica rappresentata da
emissione di abbondante quantità di espettorato purulento e emorragico.
Se alla vomica segue il totale svuotamento dell’ascesso si può assistere al miglioramento del quadro clinico.
All’esame obiettivo è presente ottusità, riduzione del murmure e crepitii circoscritti.
Diagnosi
All’Rx torace è presente un addensamento omogeneo nel cui contesto appare precocemente un’area più
chiara segno dell’escavazione.
La presenza di un’immagine escavata con all’interno livelli idroaerei è indice di svuotamento dell’ascesso in
un bronco.
La broncoscopia permette il prelievo del materiale purulento dal bronco di drenaggio su cui può essere fatto
l’esame microbiologico.
I dati di laboratorio evidenziano leucocitosi neutrofila ed incremento della VES.
TUBERCOLOSI POLMONARE
È una malattia infettiva cronica granulomatosa a prevalente localizzazione polmonare causata dal
Mycobacterium Tuberculosis (può anche non essere granulomatosa perché questo dipende dalle capacità di
risposta dell’ospite).
L’infezione da parte del germe costituisce la condizione necessaria ma non sufficiente perchè si instauri la
malattia che si verifica infatti solo nel caso in cui si creino particolari rapporti tra il germe e l’ospite.
Infezione = condizione che consegue al contatto con il M.T. , viene espressa dall’ipersensibiità tubercolinica
Malattia = processo morboso secondario all’infezione caratterizzato da segni e sintomi clinici.
Epidemiologia
1/3 della popolazione mondiale presenta l’infezione (90-98% nei paesi invia di sviluppo, 60% di individui in
età lavorativa).
L’incidenza della malattia è di 8 milioni l’anno con una mortalità di 2.8 milioni.
In Italia fino al 1989-90 c’è stato un declino dell’incidenza poi c’è stata un inversione di tendenza dovuta
all’incremento di condizioni predisponenti quali HIV e immunodepressione.
Altri fattori predisponenti sono:
malnutrizione (anche in corso di malattia peptica o malassorbimento)
alcolismo
cirrosi
malattie croniche debilitanti
diabete
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 264
linfoma di Hodking
trattamento con corticosteriodi o immunosoppressori
malattie croniche polmonari
età avanzata (il soggetto con età > 65 è più suscettibile in particolare alla riattivazione)
La coninfezione con l’HIV in particolare determina una deplezione di linfociti T CD4+ molto grave (la TBC
d’altra parte può determinare la riattivazione del virus: effetto sinergico).
Fattori che determinano una maggiore incidenza nei paesi in via di sviluppo sono:
affollamento
cattive condizioni igieniche
povertà
guerre civili
scarso impegno governativo
condizioni economiche scadenti
in passato venivano colpiti soprattutto bambini e giovani adulti, ultimamente si è avuto uno spostamento
dell’età in avanti.
I micobatteri inoltre sono in grado di sopravvivere all’interno dei macrofagi tramite l’inibizione della fusione
tra fagosoma e lisosoma.
Sono inoltre capaci di inibire in diversi modi la risposta immune.
Si può anche avere infezione durante il passaggio nel canale del parto (cheratocongiuntivite).
L’insieme del focolaio di flogosi parenchimale e della linfoadenopatia collegati da fenomeni linfoangitici
prende il nome di complesso primario.
L’ipersensibilità di tipo ritardato si manifesta in genere dopo 4 settimane dall’infezione e determina una
reazione di tipo specifico nei confronti del batterio rappresentata dalla formazione del granuloma
tubercolare o tubercolo.
In genere il granuloma viene incapsulato da un processo di fibrosi cui può seguire la deposizione di sali di
calcio che da il caratteristico aspetto agli esiti radiologici della lesione (evoluzione fibrocalcifica).
All’interno del focolai può anche crearsi una zona di necrosi tessutale (necrosi caseosa) in cui si crea un
ambiente ostile alla sopravvivenza dei micobatteri.
Ciò avviene in condizioni in cui la carica microbica è elevata e si ha una maggiore produzione di TNF da
parte dei macrofagi che vengono attivati dal lipoarabinomannano.
La necrosi caseosa determina delle condizioni di riduzione del metabolismo dei bacilli (PH acido,acidi grassi
a lunga catena, anaerobiosi) ed ha perciò lo scopo di distruggere il bacillo, ma determina anche delle lesioni
parenchimali.
In queste condizioni i micobatteri possono soccombere dando origine ad una lesione sterile o possono crearsi
delle condizioni di equilibrio per cui i batteri sopravvivono in condizioni di metabolismo molto torpido
(murati vivi) anche per tutta la durata della vita del paziente e possono riattivarsi in particolari condizioni
favorevoli.
La riattivazione delle lesioni quiescenti sta alla base del fenomeno di riattivazione endogena.
In una minoranza dei casi la capacità aggressiva dei batteri supera le capacità di difesa immunologiche e le
lesioni non vengono circoscritte ma il materiale caseoso va in contro a colliquazione formando un materiale
fluido che costituisce un ottimo materiale di coltura per M.T. che vi si moltiplica attivamente cosicchè
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 266
quando questo viene espulso attraverso le vie aeree si ha facilmente la diffusione dell’infezione nelle vie
aeree e il contagio tramite l’espettorato.
In sostanza quindi il tipo di risposta dipende dal bilancio tra la produzione di TNF e INFγ:
ΙΝFγ è fondamentale perchè determina l’attivazione macrofagica e stimola l’immunità cellulo mediata
(aspetto produttivo)
ΤΝF sta invece alla base della formazione della necrosi caseosa e quindi delle lesioni parenchimali (aspetto
distruttivo)
→ Guarigione (90%)
Guarigione completa con fibrosi:cicatrice fibrosa; mantux positiva; no riattivazione
Complesso primario (tipico o atipico), sterilizzazione dell’infezione, guarigione per fibrosi; mantux
positiva, no riattivazione
→ Progressione (5%)
Complesso primario attivo, lesioni progressive immediatamente dopo il contagio
Tubercolosi post primaria, lesioni progressive ma non immediatamente dopo il contagio
Tubercolosi subprimaria: fenomeni che si hanno parallelamente all’evoluzione del complesso
prima
Tubercolosi cronica: forme complesse e distruttive di tubercolosi, che si formano dopo anni di
malatia
Forme cliniche
Complesso primaro tipico (evoluzioni)
Può svilupparsi oltre che nel polmone anche nell’intestino e nella cute.
Nel polmone predilige la parte superiore del lobo inferiore, la parte inferiore del lobo superiore soprattutto a
livello subpleurico dove c’è una elevata PO2.
→ L’infezione polmonare si manifesta inizialmente con una triade sintomatologica chiamata complesso
primario di Ghon.
Esso è caratterizzato da:
focolaio parenchimale subpleurico (di solito nel polmone di destra, nella scissura interlobare fra superiore e
medio)
linfangite consensuale (cioè dalla stessa parte del focolaio parenchimale) caratterizzata da strie grigio-
rossastre
Adenopatia satellite: linfonodi aumentati di volume e ridotti di consistenza, al taglio colorito rossastro con
punteggiatura giallastra (espressione di necrosi caseosa) istologicamente come il focolaio parenchimale
Poiché nella prima fase della infezione i micobatteri si disseminano per via ematogena, questo complesso
primario non si trova necessariamente solo nel polmone, e anche se la sua genesi in altri organi è un evento
raro, è comunque possibile.
Il complesso primario si forma immediatamente, prima ancora che si formi la reazione di DTH. Quindi si
può osservare una doppia morfologia di questo complesso:
Forma recente: nodulo simile ad una ciliegia di 1-1.5 cm di diametro, rossastro ben delimitato, reazione
aspecifica (alveolite siero-fibrino-emorragica: cellule alveolari desquamate, essudazione sierosa,
fibrina, leucociti, eritrociti)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 267
Forma tardiva: reazione granulomatosa (dopo l’instaurazione della DTH, 2-4 settimane): nodulo grigio
giallastro più o meno differenziato verso un granuloma con vallo linfocitario e anello fibroblastico
(più o meno sviluppato in rapporto alla resistenza che il paziente ha sviluppato)
Il decorso di questo complesso primario è variabile.
Complessi primari atipici (evoluzione)
Ci sono alcune condizioni, dipendenti da molteplici fattori individuali e di carica batterica, in cui il
complesso primario non ha la morfologia descritta prima oppure differisce per altre caratteristiche. Questi
complessi primari sono detti atipici pur non essendo così rari, e hanno una notevole importanza diagnostica.
Impianto contemporaneo di BK con creazione di focolai multipli: come già ricordato, ciascuno di
questi focolai è identico al complesso di Ghon cioè ha la sua adenite satellite e lesione linfonodale
caseosa
Focolaio caseoso gigante: complesso primario, che si manifesta con un granuloma di grandi dimensioni
che è difficilmente guaribile.
Polmonite e/o bronchite caseosa che si differenzia da quella della forma postprimaria perché vi è
necessariamente l’adenite satellite
Adenite ilare gigante: sviluppo preponderante delle lesioni linfonodali rispetto al focolaio
parenchimale.
Tubercolosi sub-primaria
Si tratta dell’insieme di eventi che si accompagnano in alcuni casi alla tubercolosi primaria e che si svolgono
indipendentemente dal destino del complesso primario.
Sono infatti conseguenti alla iniziale disseminazione ematogena del bacillo di Koch, che è responsabile
anche del complesso primario.
La TBC sub-primaria rappresenta dunque il destino della quota di batteri che si localizzano altrove rispetto al
complesso primario.
Le evoluzioni della TBC subprimaria sono:
Nessuna: è la norma
Focolai circoscritti di Simon: simili al complesso primario ma senza l’adenite satellite-
TBC subprimaria diffusa: forma di TBC disseminata distinta da quella miliare, perché non origina da
uno o più complessi primari, ma direttamente da bacilli liberi nel sangue
Tubercolosi post-primaria
Possiamo distingure:
forme essudative: la polmonite gelatinosa, la polmonite caseosa, la broncopolmonite tubercolare
forme produttive: la tubercolosi miliare e la tubercolosi cronica degli apici polmonari
→ Tubercolosi miliare
Fa seguito alla disseminazione linfoematogena a partire dai linfonodi ilari, ma anche da focolai
parenchimali del polmone e addirittura da focolai extraparenchimali.
Il circolo capillare polmonari è solitamente abbastanza a maglie strette da bloccare ulteriori diffusioni
sistemiche della malattia.
Tuttavia non è infrequente la disseminazione ematogena proveniente dal polmone per shunt arterovenosi o
altro e quindi il coinvolgimento di molti parenchimi (rene, milza, fegato, retina e midollo osseo sono i
bersagli principali).
Il coinvolgimento isolato di altri organi senza interessamento polmonare è un evento molto raro.
I focolai miliari sono aree di addensamento grigio-giallastro del diametro variabile da pochi mm a diversi
cm, e in fase evolutiva variabile (tubercolo o caverna).
Sono piccoli e numerosi e ricordano i grani di miglio (da cui miliare).
Esisteno 4 forme di TBC miliare:
TBC miliare acuta diffusa: molto grave, si ha quando dal linfonodo ilare del complesso primario entrano in
circolo in un unico momento una grande quantità di micobatteri che trovano una forte resistenza
nell’organismo. I tubercoli distruggono il parenchima polmonare determinando dispnea cianosi e tosse.
Vi può essere una forma tifoidea con interessamento del SNC e una forma meningea.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 268
TBC miliare acuta protratta: origina quando si libera improvvisamente una grande quantità di micobatteri
ma in un organismo più resistente. La resistenza dell’organismo però non assicura una completa
rimozione dei micobatteri (esaurimento della resistenza) ed infatti dopo una fase di remissione si osserva
una batteriemia molto intensa, alla quale fa seguito nella maggioranza dei casi una localizzazione nel
SNC con meningite tubercolare fulminante.
TBC miliare subacuta diffusa: nonostante il nome, la sintomatologia può essere ad insorgenza molto
brusca con emottisi. Ha un decorso progressivo e più lungo (4-6 mesi). Si origina quando c’è una rapida
immissione in circolo di una bassa carica bacillare, in un individuo a scarsa resistenza. Essendo
prolungata nel tempo, questi hanno tempo di colliquare e svuotarsi e si formano frequentemente caverne
con disseminazione broncogena nelle parti più declivi del polmone.
TBC miliare cronica: ha un decorso molto lungo, di circa 9-10 anni, ma non può essere definita una forma
di riattivazione perché non entra mai in una forma di latenza. Soltanto, la sua attività è molto lenta. In
ogni caso, l’evoluzione più o meno rapida della malattia è un lento declino della funzionalità polmonare
per fibrosi progressiva del parenchima e interessamento dei bronchi, oppure il quadro può esitare in una
emottisi fatale per interessamento dei vasi (svuotamento di una caverna nel bronco con erosione di un
vaso).
Tubercolosi Cronica
Il quadro di apertura è in genere essudativo-caseoso seguito dallo svuotamento con formazione di una
caverna.
L’evoluzione è a tappe con alternanza di quiescenza e riattivazione che dipende da:
Prevalenza della resistenza: lesioni stazionarie, quiescenti con fibrosi
Prevalenza dell’ipersensibilità: necrosi caseosa con diffusione apico-caudale
Quando un focolaio primario, accrescendosi, perfora un bronco, il materiale caseoso o colliquato al suo
interno viene espettorato.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 269
La perdita di questo materiale a pH acido e l’aumento della tensione di O2 all’interno del granuloma
favorisce la crescita del micobatterio.
Allora il tubercolo continua a crescere svuotandosi di continuo nel bronco, e forma lesioni cavitarie anche
molto grandi (caverne).
Estendendosi, questo processo può interessare anche le strutture tubercolari vicine.
Queste lesioni esitano quasi sempre in ulcere necrotiche che se riescono a ripararsi per fibrosi possono
provocare stenosi anche significative.
Molto pericolosa, anche se rara, l’invasione della laringe e del tratto intestinale.
Anche la pleura viene inevitabilmente interessata dalle forme avanzate di queste lesioni tubercolari.
I quadri di presentazione clinica della malattia sono notevoli ed eterogenei in quanto condizionati dalla
reattività del soggetto e dall’entità della carica infettante.
Sono presenti sintomi sistemici rappresentati da:
Febbricola pomeridiana
Senso di freddo
sudorazioni notturne
anorresia
perdita di peso
mialgia
astenia
nella forma miliare sono presenti segni di insufficienza respiratoria acuta e di coinvolgimento
extrapolmonare:
irritazione meningea (cefalea e rigidità nucale)
epatosplenomegalia
ascite
alterazioni renali
Eritema nodoso: nodulo dermo-ipodermico prima rosso-violaceo che in seguito diventa giallo-verdastro
e quindi scompare senza lasciare sequele
Congiuntivite flittenulare: piccole flittene a livello della congiutiva
Complicanze chirurgiche
TBC polmonare chemioresistente: ciò avviene soprattutto quando ci sono lesioni anatomiche
favorenti la persistenza dell’infezione (bronchiettasie, caverne) o per infezione da M. atipici. Le condizioni
sono per lo più discrete, ci può essere tosse muco-purulenta associata a segni radiologici di disseminazione
aerogena (in tal caso bisogna intervenire chirurgicamente)
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 270
Tubercoloma: aspetto radiologico patognomonico, con forma rotonda, margini netti, calcificazioni
lamellari. Se quest’ultima mancano ci vuole la TAC (mostra l’assenza di vascolarizzazione) e
l’agoaspirazione transparietale per la diagnosi differenziale.
Sequele bronchiali: consistono in bronchiettasie accompagnate o meno da broncolitiasi e stenosi. Le
prime due si accompagnano invariabilmente a emoftoe e broncopolmoniti ricorrenti e alterazioni
sclerocicatriziali parenchimali spesso bilateralmente. Le stenosi cicatriziali invece interessa per lo più il
bronco SX per via della sua > lunghezza, < spessore, lo stretto rapporto con l’arteria polmonare che può
comprimerne le pareti malaciche; esse si manifestano con dispnea da sforzo a carattere accessionale in
corrispondenza dell’accumulo di secreto.
Sequele polmonari: rappresentate per lo più da caverne deterse e non collabite. Possono causare
emottisi e bronchiettasie o divenire il ricettacolo di infezioni fungine (aspergillomi e micetomi). La
diagnosi differenziale con il cancro ascesso si basa sulla morfologia delle pareti e variazioni decubitali
dell’incluso.
Diagnosi
L’esame obiettivo nella forma primaria è negativo se il focolaio primario è piccolo e situato in periferia, se
invece è superficiale e associato a notevole adenopatia si ha:
segno di Kramer = ipofonesi interscapolovertebrale a livello C2-C4
segno di De La Camp = ipofonesi sulle prime vertebre dorsali
Nella tubercolosi postprimaria si ha nella fase iniziale una modesta ipofonesi sottoclaveare e rantoli
crepitanti mentre nella fase avanzata si ha ottusità, soffio bronchiale e rantoli bollosi o cavitari.
All’anamnesi va indagata la sede di provenienza del soggetto, le fonte eventuale di contatto e la frequenza di
contatto, la presenza di eventuali malattie che possono aver portato ad un deficit di ICM, la eventuale terapia
con immunosoppressori.
→ La diagnosi di infezione viene fatta in base al test alla tubercolina che valuta la presenza di
ipersensibilità verso derivati proteici purificati del batterio (PPD) attraverso iniezione intradermica (test di
Mantoux).
La reazione è standard: introduzione sottocute di 5 unità, non va praticata più profondamente per evitare il
wash out da parte del circolo.
La risposta viene valutata misurando il diametro maggiore dell’area di indurimento della cute che si sviluppa
entro 48-72 ore:
test positivo = diametro maggiore di 10 mm
test negativo = diametro minore di 5 mm
test dubbio = diametro compreso tra 5 e 10 mm
In genere l’area di indurimento è di 16-17 cm, nelle aree in cui le infezioni da MOOT sono ubiquitario le
reazioni di 5-12mm sono considerate negative, mentre nelle aree senza endemia da MOTT le reazioni da 5-
12 mm sono sospette.
Si può avere la presenza di falsi negativi in condizioni di depressione dell’ICM o in alcune forme di TBC
attiva in cui c’è un esaurimento di cellule infiammatorie.
Falsi negativi si possono avere anche in condizioni di anergia (perdita della memoria immunologica?) in
particolare nell’anziano, in questo caso il test va ripetuto dopo 1 settimana in cui si può avere
positivizzazione (conversione per effetto Pasteur di richiamo immunologico).
La positività al test tubercolinico indica l’infezione (pregressa o in atto) e non lo stato di malattia.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 271
→ La diagnosi di malattia tubercolare viene fatta tramite la dimostrazione di M.T. nei fluidi biologici, in
primo luogo l’espettorato, alternativamente il broncoaspirato, l’aspirato gastrico e il liquido pleurico.
Il liquido pleurico inoltre presenta linfocitosi e vi si può dosare l’adenosildeaminasi.
In caso di TBC miliare possono essere analizzati altri materiali come le urine in caso di interessamento
renale.
È importante che non sia stata fatta una chemioterapia per escludere cause infettive diverse dalla TBC con
antibiotici che hanno effetto anche sul M.T. perchè questo può condizionare la diagnosi.
Inizialmente viene fatto un esame microscopico diretto a fresco del materiale dopo colorazione con Ziehl-
Neelsen che può dare origine a falsi negativi pertanto fatta la coltura.
La coltura viene fatta su terreni solidi (Lowenstein Jensen, Middlebrook) in particolare il terreno di
Petragnani o liquidi con acido palmitico radiomercato, la crescita normalmente richiede 3-6 settimane ma
con metodi radioattivi si può ottenere in 2 settimane.
La risposta colturale può comunque essere negativa anche in caso di malattia in atto in caso di lesioni
tubercolari chiuse.
→ All’Rx torace la TBC primaria è caratterizzata dal corrispettivo radiologico del complesso primario:
opacità polmonare dovuta al focolaio essudativo
ingrandimento dell’ombra ilare omolaterale dovuta alla linfoadenopatia satellite
strie a partenza ilare che si dirigono verso il focolaio corrispondenti alla linfoangite consensuale
Se il complesso primario è andato incontro a guarigione possono residuare calcificazioni sia a livello del
parenchima che dei linfonodi.
Nella TBC secondaria non sono presenti i segni del complesso primario e il quadro radiologico delle fasi
iniziali può essere poco significativo.
Se si formano caverne queste hanno il tipico aspetto di ipertrasparenza rotondeggiante delimitato da una
parete sottile.
rifampicina 600 mg
pirazinamide 25-35 mg/Kg
etambutolo 15-25 mg/Kg
Per 2 mesi.
isoniazide
rifampicina
Per i successivi 4-7 mesi.
È fondamentale monitorare la risposta alla terapia, tramite esame dell’espettorato (sia microscopico che
colturale) ogni settimana nelle prime 6 settimane di trattamento e 1 volta al mese dopo la negativizzazione
della coltura.
La persistenza dei sintomi dopo 3 mesi dall’inizio della terapia fa nascere il sospetto della presenza di
resistenza ai farmaci o di non aderenza alla terapia.
ALTRE FORME DI TBC
Pleurite Tubercolare
Nel periodo primario la pleurite costituisce una manifestazione di elevata reattività, mentre nella fase post-
primaria essa può manifestarsi secondariamente a:
diffusione a partenza da un focolaio nel parenchima sottostante
propagazione da un linfonodo
disseminazione ematogena
L’evoluzione della pleurite di solito è la formazione di briglie aderenziali con retrazione cicatriziale che
può anche essere importante e portare a grave deficit funzionale.
La pleura risulta ispessita con depositi di calcio, e nel cavo pleurico si repertano spesso blocchi di fibrina
oppure calcio.
Un forma oggi poco frequente ma molto grave è la pleurite purulenta, con formazione di essudato
empiemico diffuso, che deriva essenzialmente dalla rottura di sacche granulomatose sotto la pleura stessa, o
più frequentemente da una fistola bronco-pleurica.
Diagnosi
Si basa sull’esame colturale del liquido pleurico ma può essere difficoltosa a causa dello scarso numero di
microrganismi presenti nel campione.
Altre caratteristiche del versamento tubercolare sono il carattere essudativo (proteine > 50 g/l), il PH acido,
la linfocitosi e la concentrazione di glucosio < 30 mg/dl.
È importante anche la ricerca dell’adenosindeaminasi (ADA) un enzima che si occupa della trasformazione
dell’inositolo.
La diagnosi definitiva di pleurite tubercolare può in alcuni casi derivare dalla dimostrazione dei tipici
granulomi su campioni di biopsia pleurica.
Forme di TBC miliae
Meningite tubercolare
Generalmente è dovuta alla rottura di un tubercolo subependimale nello spazio subaracnoideo, più che a
diretta localizzazione ematogena. Si manifesta come complicanza della TBC miliare dopo molte settimane di
malattia, con un marcato coinvolgimento delle meningi alla base del cervello, formazione di un essudato
spesso, gelatinoso, dal ponte al chiasma ottico, che può consolidare e occludere lo spazio subaracnoideo,
dando origine a idrocefalo ostruttivo. Il coinvolgimento delle arterie sotto forma di arterite obliterant può
causare ischemia o infarto cerebrale.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 273
Inizia subdolamente con irritabilità, accompagnata da astenia e febbricola, poi da cefalea sempre più intensa
e vomito, arrivando alla sindrome meningea conclamata, accompagnata eventualmente da paralisi dei nervi
cranici. L’esito è letale nel 100% dei casi non trattati, in un tempo medio di 6 settimane.
Il liquor si presenta limpido e a glicorrachia diminuita: poiché tali caratteristiche si hanno anche nella
meningite linfomatosa è importante fare l’esame citologico per la ricerca di cellule atipiche se i micobatteri
non sono visibili all’esame microscopico diretto.
Tubercolosi renale
È dovuta all’impianto del bacillo di Koch livello del parenchima renale per via ematogena.
L’infezione inizia a livello della corticale (visto che ha una elevata tensione di O2) dove si formano tubercoli
microscopici che nella maggior parte dei casi regrediscono spontaneamente.
In alcuni casi i tubercoli si ingrossano e si fondono con quelli contigui formando delle cavità che
distruggono il parenchima e si aprono a livello dei calici e della pelvi disseminando così i bacilli lungo la via
escretrice per via discendente.
A livello renale la fibrosi accentua il danno parenchimale e può determinare una stenosi serrata dei calici e
del giunto pielo-ureterale.
A livello ureterale si formano stenosi cicatriziali.
A livello vescicale la fibrosi determina una riduzione della compliance.
Dalla vescica i bacilli inoltre possono raggiungere anche prostata dotti deferenti e vescichette seminali
determinando alterazioni che possono portare fino all’infertilità.
→ Le forme renali chiuse evolvono in genere in maniera subclinica ma talvolta è presente dolore sordo
a livello delle logge renali.
→ Nelle forme aperte alla pelvi il dolore può essere intenso talvolta con i caratteri di colica renale dovuta
al passaggio di coaguli o materiale caseoso a livello dell’uretere.
Con il progredire dell’infezione lungo le vie urinarie diventano prevalenti i sintomi derivanti dal
coinvolgimento della vescica: disuria, urgenza minzionale, pollachiuria, nicturia e dolore soprapubico.
L’escrezione urinaria del bacillo di Koch è in genere intermittente per cui devono essere analizzati campioni
ripetuti di urina.
L’esame dell’urina rivela anche la presenza di piuria ed un PH acido (quando normalmente la piuria dovuta
ad altri tipi di infezione si associa a PH alcalino).
L’Rx diretta addome mette in evidenza calcificazioni multiple del parenchima renale.
L’ecografia e la TC mettono in evidenza i processi ulcero-caseosi.
L’urografia discendente può evidenziare caverne parenchimatose in comunicazione con calici deformati e
distorti e stenosi uretrali alternate a tratti più o meno dilatati.
Le complicazioni a livello renale e delle vie urinarie vanno trattate chirurgicamente.
Tubercolosi ossea
Si manifesta come osteomielite o artrite delle grandi articolazioni.
La massima incidenza è a 3 anni, ma si possono avere anche manifestazioni tardive.
La localizzazione alle vertebre da luogo alla spondilite tubercolare.
Peritonite tubercolare
La localizzazione a livello del peritoneo può fare seguito alla diffusione ematogena o per contiguità.
La peritonite tubercolare si verifica con maggiore frequenza negli alcolisti con cirrosi dove può essere
confusa con la semplice ascite.
Possiamo distinguere una forma ascitica e una anascitica, fibrocaseosa o fibrosclerosante.
La sintomatologia è caratterizzata da un dolore addominale ad esordio graduale, diffuso, profondo, continuo
o subcontinuo, con nausea e vomito saltuari.
In caso di una forma fibroaderenziale si possono verificare episodi occlusivi o subocclusivi.
Sono presenti i sintomi generali: astenia, anorresia, anemizzazione, calo ponderale, febbricola.
L’obbiettività addominale è in genere negativa se non per la presenza di ascite.
La diagnosi deriva dall’esame colturale e chimico-fisico del liquido ascitico che non sempre consente di
evidenziare la presenza di bacilli tubercolari ma comunque assume delle caratteristiche peculiari: aumentata
concentrazione proteica, peso specifico > 1016, eccesso di linfociti, concentrazione di glucosio < 30 mg/dl.
http://www.hackmed.org hackmed@hackmed.org 274