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L’Amplificatore
Operazionale
Indice
1.1 Analisi introduttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.1.1 Amplificatori operazionali ideali . . . . . . . . . . . 5
1.1.2 Amplificatori operazionali non ideali . . . . . . . . . 7
1.1.3 Voltage follower . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.1.4 Amplificatore di transresistenza . . . . . . . . . . . . 12
1.1.5 Amplificatore invertente . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2 Specchi di Corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2.1 Specchio di corrente a BJT . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2.2 Specchio di corrente a MOSFET . . . . . . . . . . . 21
1.3 Stadio Differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.3.1 Modo differenziale e modo comune . . . . . . . . . . 23
1.3.2 Amplificatore differenziale a BJT . . . . . . . . . . . 27
1.3.3 Amplificatore differenziale a MOSFET . . . . . . . . 32
1.4 Schema semplificato di un amplificatore operazio-
nale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
1.5 Stadi di Potenza a Transistori Bipolari . . . . . . 36
1.5.1 Transistori bipolari di potenza . . . . . . . . . . . . 36
1.5.2 Classi di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1.5.3 Classe A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
1.5.4 Classe B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
1.5.5 Classe AB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
1.6 Modelli dell’A.O. reale . . . . . . . . . . . . . . . . 53
1.6.1 Offset di tensione e corrente . . . . . . . . . . . . . . 54
1.6.2 Dinamica di ingresso di modo comune . . . . . . . . 55
1.6.3 Dinamica di uscita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
1.6.4 Impedenze di ingresso . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
1.6.5 Guadagno differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
1.6.6 Amplificatore operazionale CMOS . . . . . . . . . . 60
1.7 Dimensionamento di un amplificatore . . . . . . . 61
1.7.1 specifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
1.7.2 Progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
1.8 Risposta in frequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
1.8.1 Funzione di trasferimento . . . . . . . . . . . . . . . 68
4
1.8.2 Guadagno d’anello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
1.8.3 Prodotto banda-guadagno . . . . . . . . . . . . . . . 74
1.8.4 Slew Rate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77
i+ = i− → 0
vd = v+ − v− → 0
Queste equazioni sono fondamentali al fine dello studio di un generico cir-
cuito contenente uno (o più) amplificatori operazionali. Dal momento che l’am-
plificatore operazionale ha guadagno tendente a infinito, si può intuire che, per
avere un’uscita finita, ossia affinché il risultato dell’operazione di prodotto tra
tensione differenziale vd (tensione tra i morsetti + e -) e guadagno differen-
ziale Ad dell’amplificatore sia finito, si debba avere vd → 0. Di conseguenza
nell’amplificatore operazionale ideale la caduta di tensione tra i morsetti è quasi
nulla e la corrente di ingresso è quasi nulla, indipendentemente dalla resistenza
differenziale presente tra i morsetti d’ingresso. Per semplificare i conti, si può
pensare che i morsetti dell’operazionale oppongano alle correnti di ingresso una
resistenza differenziale rd → ∞.
Riassumendo, le caratteristiche fondamentali dell’amplificatore operazionale
ideale sono:
5
R2
R1
vu
vi
R1 + R2
vu R2
= = 1+
vi R1 R1
Vogliamo, a questo punto, trarre alcune conclusioni riguardo l’esempio pra-
tico appena presentato:
6
distinguere il blocco A dal blocco β; il blocco β è il circuito (rete passiva,
in questo caso) in grado di “riportare” una parte del segnale di uscita
all’ingresso. Dal momento che, con questa topologia, il segnale “riportato
al morsetto invertente” è pari a:
R1
vu · = v− = v+
R1 + R2
R1
β=
R1 + R2
Ve Vu
7
Procediamo per gradi, presentando modelli via via più perfezionati rispetto
a quello ideale; si noti che l’approccio in uso non motiva le non idealità, bensì
studia il comportamento del circuito in presenza di una non idelità. La giu-
stificazione della presenza delle non idealità, partendo dall’esame dell’interno
dell’amplificatore operazionale, avverrà nel seguito della trattazione.
Guadagno differenziale
Presentiamo un primo perfezionamento del nostro modello: consideriamo, delle
non idealità prima elencate, il fatto che Ad < ∞. Il fatto che Ad non sia infinito
comporta il fatto che, per avere un’uscita non nulla, serva una vd 6= 0. Il nuovo
modello del dispositivo, dunque, sarà quello della figura 1.3.
R2
R1
vu
vd
+
Ad vd
vi
Si avrà che:
v− = vi − vd = vu · β
Però, si può anche dire che:
vu
vd =
Ad
Da qui:
1
vu
vi − = vu · β −→ vu β + = vi
Ad Ad
Quindi:
βAd + 1 vu Ad 1 βAd 1 T
vu · = vi −→ = = · = ·
Ad vi 1 + βAd β 1 + βAd β 1+T
8
Nella teoria dei circuiti retroazionati, T , βAd è il “guadagno di anello”.
Si noti, da questo modello, che nei casi pratici lo scostamento del compor-
tamento del circuito dal caso ideale è molto piccolo: per avere uno scostamento
del 50 % dal caso ideale, si dovrebbe avere un guadagno di anello, T , pari a
1. Nella realtà, i peggiori degli amplificatori operazionali potrebbero avere un
guadagno differenziale, Ad , pari a 10000; imponendo al circuito un valore di
guadagno veramente elevato, β potrebbe essere nell’intorno di 1/1000. Pochi
circuiti reali richiedono ad un singolo stadio di amplificazione un guadagno così
elevato, perché si avrebbero problemi con il comportamento in frequenza del
circuito. In ogni caso:
10000
T ≃ = 10
1000
Si ha ancora, in queste condizioni decisamente estreme, uno scostamen-
to tra il guadagno del circuito reale e quello del circuito ideale pari al 10%,
normalmente accettabile.
Impedenza d’ingresso
Possiamo complicare la nostra trattazione inserendo altre non idealità: le impe-
denze degli amplificatori operazionali. Consideriamo una resistenza differenziale
rd non infinita (non consideriamo per ora la resistenza di uscita, dunque la
tensione viene ancora prelevata da un generatore ideale di tensione).
R2
Iu
R1
vu
rd vd
+
Ad vd
Ix
vx
9
Si vuole calcolare zi e, per far questo, al posto di vi si introduce un generatore
di tensione noto di prova, Vx . Al fine di determinare l’impedenza d’ingresso, si
calcola la corrente uscente da Vx ;
Vx = Ix · rd + R1 · (Iu + Ix )
vd = rd · Ix ; vu = Ad vd = Ad rd Ix
Inoltre:
vu = R2 Iu + R1 (Iu + Ix ) −→ Ad rd Ix = R2 Iu + R1 (Iu + Ix )
Raccogliendo Iu :
Ad rd Ix − R1 Ix
Iu (R1 + R2 ) = Ad rd Ix − R1 Ix −→ Iu =
R1 + R2
Sostituendo ciò nell’espressione di Vx , si può determinare:
Ad rd Ix + R2 Ix
Vx = Ix rd + R1 Ix + R1
R1 + R2
Svolgendo le moltiplicazioni, si può ottenere:
R1 R1 R2
Vx = Ix rd + Ad rd Ix + Ix
R1 + R2 R1 + R2
R1
Ricordando che β = R1 +R2
Si ottiene che:
Vx
zi = = rd (1 + βAd ) + R1 //R2
Ix
Il secondo termine si può spesso considerare trascurabile rispetto al pri-
mo (concorre ad aumentare l’impedenza, quindi trascurandolo si ottiene un
“worst case”); cosa interessante è il fatto che anche questo modello, decisa-
mente perfezionato rispetto a quello ideale, non comporta particolari modifiche
al comportamento del circuito: la retroazione con confronto in serie fa aumenta-
re notevolmente l’impedenza di ingresso del circuito, rendendo ancora una volta
accettabile l’ipotesi di amplificatore operazionale ideale in molti dei nostri conti.
Impedenza d’uscita
Al fine di perfezionare il modello già presentato occorre considerare gli eventuali
effetti dell’impedenza di uscita. Consideriamo dunque il modello dell’amplifica-
tore operazionale di figura 1.5.
Per calcolare l’impedenza di uscita colleghiamo ad essa un generatore di
tensione di prova, il solito Vx , e dunque consideriamo spenti tutti gli altri gene-
ratori indipendenti del circuito (i pilotati ovviamente no!). La corrente Ix sarà
composta da due contributi: uno che entrerà nel ramo del generatore pilotato
Ad vd e uno che andrà nel ramo di R2 ; è possibile semplificare la trattazione
osservando che I2 ≪ I1 : dal momento che ro è una resistenza molto più piccola
di R1 , R2 , e anche del loro parallelo, potremmo dire che Ix ≃ I1 . Trascurare
I2 comporta l’ottenere come risultato un valore di impedenza più alto di quello
10
R2
I2
R1
I1 Ix
rd vd Vx
ro
+
Ad vd
reale, cosa accettabile quando si vuole verificare che l’impedenza d’uscita sia
ragionevolmente bassa. Si ha quindi che:
Vx − Ad vd
Ix ≃ I1 =
ro
Però, sappiamo anche che vd è esprimibile come:
R1
vd = −βVx = − Vx
R1 + R2
Possiamo dunque dire che:
Vx + Ad βVx
Ix ≃
ro
Da qui:
Ix 1 + βAd
≃ , βAd = T
Vx ro
Quindi:
Vx ro
Zo = ≃
Ix 1+T
Supponendo di avere una resistenza pari a 100 Ω, più alta di quanto si trova
nella maggior parte degli amplificatori reali, se il guadagno di anello fosse intorno
11
vu
vi
Vu = −IR R2
12
R2
Vu
IR
13
R2
R1
vu
vi
R1 + R2
R1
Vi = −Vu +
R2 Ad R2
Introducendo β = R1 /(R1 + R2 ) e riordinando i termini si ha infine:
1 1 1
Vu R2
=− · 1 = 1 − ·
Vi R1 1 + A β
d
β 1 + A1 β d
14
vCC R1
IR
IO
+
IB1 IB2
T1 T2
IE1 IE2
basta osservare che il circuito che si utilizza per il calcolo è lo stesso del caso
dell’amplificatore non invertente, quindi si ottiene lo stesso valore calcolato nella
sezione 1.1.2.
15
IR
Vx
Vx gm Vx rπ
concentrarci solo sui loro legami interni al circuito in questione. Vogliamo, nella
fattispecie, determinare quale funzione lega IO a IR .
Al fine di semplificare i calcoli in questione, è opportuno ricorrere ad alcune
ipotesi semplificative: supponiamo che IB1 e IB2 siano trascurabili rispetto a
IR : ciò permette di dire che IE1 ≃ IR , e che IE2 ≃ IO ; osserviamo poi che,
nel circuito disegnato, VBE1 = VBE2 . Nell’ambito dei circuiti integrati è inoltre
più che ragionevole pensare che, se i due transistor sono vicini, essi siano alla
stessa temperatura (da qui la stessa VT ); detto ciò, ricordiamo le equazioni di
funzionamento del transistore bipolare:
IE = IS · eVBE /VT − 1 ≃ IS · eVBE /VT
16
VBE
rπ gm VBE r0 Vx
Ix = IR = gm Vx
Vx 1
Zi = =
Ix gm
Ricordando che gm = IC /VT , si ha ancora: Zi = VT /IR .
Per quanto riguarda l’impedenza di uscita, si può fare un ragionamento
duale. Si fa riferimento alla figura 1.11
È agevole verificare che l’impedenza di uscita dipende dall’effetto Early. Se
trascurassimo l’effetto Early, potremmo eliminare la ro , e tutta la Vx cadrebbe
sull’impedenza (infinita) del generatore di corrente pilotato; Vx non potrebbe
dunque in alcun modo alterare VBE e dare luogo ad una corrente, e dunque
Ix = 0. Ma:
Vx
Zo = → +∞
Ix → 0
Se invece consideriamo l’effetto Early1 , la corrente proveniente da Vx circola
solamente in ro e quindi essa è l’impedenza di uscita.
Vx Vx
Ix = Zo = = ro
ro Ix
Allora l’impedenza sul ramo utile come generatore di corrente è elevata e que-
sto circuito sarà normalmente un buon generatore di corrente. Tuttavia l’effetto
Early dipende dalla tecnologia impiegata per realizzare i transistori e quindi oc-
corre tenerne conto. Un’altra condizione necessaria al buon funzionamento è che
la tensione di polarizzazione di T2 sia tale da tenere in zona lineare il transistore.
1 La resistenza r serve a tenere conto della dipendenza della corrente di collettore i dalla
o c
caduta di tensione vce . Viene calcolata come rapporto tra un parametro chiamato tensione di
Early VA e la corrente IC di polarizzazione ro = VA /IC . Indicativamente VA è nell’ordine del
centinaio abbondante di volt per npn mentre è più basso per i pnp.
17
IR
IO
T1 T2
vBE2
R
vBE1
18
quello che interessa è ricavare il valore della resistenza R che permette di ot-
tenere determinate correnti, quindi in tale caso è semplice risolvere l’equazione
rispetto ad R.
IE2 = IO + IB2
Dal fatto che le tensioni VBE sono uguali e che le correnti di saturazione
sono altrettanto uguali, abbiamo che IE1 = IE2 .
Specchio di precisione
Come è possibile modificare il circuito in modo da ottenere uno specchio di
corrente di precisione? La soluzione tipica è quella di aggiungere un ulteriore
transistore, in modo da ottenere una topologia come in figura 1.13.
Aggiungendo T3 , la IB3 prelevata da IR sarà sensibilmente più bassa rispetto
alla precedente; infatti, si ha che:
IB1 + IB2
IB3 =
β3 + 1
Supponendo che i βi siano tutti uguali, e che β sia ben più grande di 1:
19
VCC
IR
IB3
T3
IO
IB1 IB2
T1 T2
β = β1 = β2 = β3 ; β ≃ β + 1
Si può dire che:
IB1 + IB2 IB1 + IB2 2IB1
IB3 = ≃ =
β3 + 1 β β
IE2 = IO + IB2
Per gli stessi motivi di prima, si ha che IE1 = IE2 e da ciò segue che
1
IR − IB3 + IB1 = (IR − IB3 ) 1 +
β
1
IO + IB2 = IO 1 +
β
20
Da qui, ricordando che IB3 = 2IB1 /β:
2IB1 1 1
IR − 1+ = IO 1 +
β β β
Quindi dato che IB1 ≃ IR /β:
2
IR 1 − 2 = IO
β
Questo circuito è dunque molto meglio del precedente: se β = 100 (ad esem-
pio), si avrà β 2 = 10000, e quindi la differenza tra le correnti sarà estremamente
ridotta!
IR IO
M1 M2
ID = kn (VGS − VT n )2 (1 + λVDS )
Dove:
1 Wn
kn = µn COX
2 Ln
Wn è la lunghezza, Ln la larghezza del dispositivo. Per semplificare la trat-
tazione, spesso l’effetto di channel lenght modulation del MOSFET (λ) verrà
trascurato.
Consideriamo le seguenti equazioni, per i due MOSFET:
21
gm VGS go VDS
VGS VDS
IO k2 W2 /L2
= =
IR k1 W1 /L1
Terminiamo la caratterizzazione del circuito calcolando le impedenze di in-
gresso e uscita, con il solito sistema: sviluppando i MOSFET nei loro modelli,
si ottiene il circuito di figura 1.15.
Bisogna determinare due parametri: la transconduttanza gm relativa al MO-
SFET M1 e la go relativa ad M2 .
Si sa che:
∂ID
gm = = 2k1 (VGS − VT n,1 )
∂VGS
Quindi:
2IR
gm =
VGS − VT n,1
Si ha che:
1 VGS − VT n,1
Zi = =
gm 2IR
Allo stesso modo, si calcola il go al variare di VDS :
∂IO 1
go = = λkn (VGS − VT n,2 )2 ≃ λIO −→ Zo =
∂VDS λIO
In applicazioni che richiedono impedenza d’uscita più grande si possono uti-
lizzare altre configurazioni, ad esempio quella di Wilson modificata, costituita
da quattro transistori, che però non sarà qui trattata in dettaglio. Basti sapere
che questa configurazione sfrutta lo stesso meccanismo di aumento della RO del
cascode: esso abbina le elevate impedenza di ingresso e transconduttanza di uno
stadio CS con l’ampia larghezza di banda e le proprietà di buffer di corrente del
CG.
22
1.3 Stadio Differenziale
In questa sezione studieremo le caratteristiche dell’amplificatore differenziale a
transistori, che trova larga applicazione come stadio di ingresso degli amplificato-
ri operazionali. L’amplificatore operazionale, in una rappresentazione a blocchi,
potrebbe essere rappresentato da tre elementi disposti in cascata:
Molti amplificatori CMOS sono realizzati con solo due stadi, eliminando il
terzo stadio in quanto gli altri due producono sufficiente guadagno di tensione
e hanno sufficiente capacità di pilotaggio.
In questa sezione verrà analizzato il primo blocco, cioè lo stadio differenziale.
V2 Vu
V1
(a)
V1 V2
I1 I2
VBE1 VBE2
IO
(b)
Figura 1.16: Amplificatore differenziale generico (a) e una sua realizzazione con
BJT (b).
23
Vu = A1 V1 + A2 V2
Perché lo stadio sia differenziale l’uscita dev’essere proporzionale alla diffe-
renza degli ingressi, questo può essere tradotto in un’espressione che può essere
confrontata con la precedente per ricavare un vincolo sulle amplificazioni A1 e
A2 dello stadio.
Vu = K(V1 − V2 )
A2
K(V1 − V2 ) = A1 V1 + V2 = A1 V1 + A2 V2
A1
A2
= −1 =⇒ A1 = −A2
A1
I coefficienti devono dunque essere uguali in modulo e opposti in segno.
Per analizzare in modo più comodo questo sistema, matematicamente effet-
tuiamo un cambio di sistema di riferimento: anziché descrivere l’uscita Vu in
termini di combinazione lineare degli ingressi, riscriviamola come combinazio-
ne tra la tensione differenziale vd , ossia la differenza degli ingressi (tensione di
modo differenziale) e un secondo termine VC , la tensione di modo comune,
o valor medio degli ingressi
Nella figura 1.17 sono rappresentati due segnali sinusoidali V1 e V2 e i corri-
spondenti modi comune VC e differenziale vd . I nuovi parametri sono derivabili
semplicemente dalle due tensioni di ingresso:
vd = V1 − V2
VC = (V1 + V2 )/2
Il risultato introducendo questa nuova base si può esprimere l’uscita come
combinazione lineare dei due nuovi segnali vd e VC e non più come grandezza
proporzionale alle due tensioni V1 e V2 ai terminali:
Vu = Ad vd + AC VC
Dove:
A1 − A2
Ad = ; AC = A1 + A2
2
Ciò che abbiamo fatto con questa operazione è separare i modi di funziona-
mento dell’amplificatore, ossia considerare il sistema come se fosse composto da
due stadi: l’amplificatore differenziale amplifica esclusivamente la differenza tra
i segnali di ingresso, mentre l’amplificatore di modo comune amplifica (o meglio,
attenua) esclusivamente la media tra i segnali di ingresso.
L’amplificatore differenziale ideale, per definizione, deve amplificare solo il
modo differenziale e quindi ha Ad molto grande e AC nullo, in modo da non
amplificare la componente di modo comune dei segnali in ingresso ma piuttosto
annullarla. Al limite si vorrebbe che l’uscita di un amplificatore differenziale Vu
sia solo funzione di vd :
Vu = Ad vd
24
V
V1
3
VC
1
V2
0
−1
0 2 4 6 8 t
(a)
V1
3
2
vd
V2
−1
0 2 4 6 8 t
(b)
Figura 1.17: Modo comune (a) e modo differenziale (b) di una coppia di segnali
sinusoidali V1 e V2 . Si osservino i valori in corrispondenza dei massimi, minimi
e zeri dei segnali.
25
Tuttavia, l’espressione completa della combinazione lineare dei due modi
sarà riscrivibile come segue introducendo il rapporto tra le amplificazioni dei
due modi:
AC VC
Vu = Ad vd 1 +
Ad vd
Questo significa che tanto più il termine di guadagno di modo comune, AC ,
è elevato rispetto al guadagno “utile” Ad , tanto più si avranno errori rispetto al
funzionamento ideale del dispositivo differenziale.
Al fine di determinare la bontà di un amplificatore di questo tipo, si intro-
duce un parametro fondamentale, in grado di quantificare l’errore commesso a
causa dell’amplificazione di modo comune. Questo parametro è chiamato CMRR
(Common Mode Rejection Ratio), ed è definibile come:
Ad Ad
(CMRR)dB , = 20 · log10
AC dB AC
Più il CMRR è elevato, migliore sarà lo stadio differenziale realizzato.
Come qualunque altro circuito attivo, lo stadio differenziale deve essere ali-
mentato; dall’alimentazione dipenderanno la dinamica di ingresso di modo co-
mune e la dinamica di ingresso di modo differenziale. Cosa sono queste dina-
miche? Come tutti gli amplificatori, il dispositivo funziona bene se è in stato
di linearità. I segnali di ingresso dunque devono rientrare in precisi limiti di
tensione per garantire il funzionamento in linearità dei transistori. Questi li-
miti saranno chiariti analizzando la struttura interna del sistema, per adesso
basti sapere qualitativamente che in particolare non devono essere applicati agli
ingressi:
26
potrà variare il segnale d’ingresso allora sono dettati proprio dalla dinamica di
ingresso di modo comune.
Da questo punto di vista l’amplificatore invertente non ha limitazioni dalla
dinamica di ingresso di modo comune in quanto la tensione d’ingresso viene
convertita in corrente (entrambi i terminali di ingresso si trovano a 0 V reali o
virtuali) e quindi i limiti del circuito sono dettati solo dalla dinamica d’uscita.
+VAL
RC RC
V1 V2
I1 I2
VBE1 VBE2
IO
−VAL
vd = VBE1 − VBE2
È possibile ricavare le VBE dalle equazioni di funzionamento dei BJT che le
mettono in relazione le correnti I1 e I2 .
27
In questa relazione è possibile introdurre il modo differenziale vd = VBE1 −
VBE2 e scrivere la corrente di emettitore di T1 in funzione di quella dell’emetti-
tore di T2 .
I1 = I2 · evd /VT
Osserviamo ancora la topologia del circuito: i due emettitori sono collegati
a un generatore indipendente di corrente, IO ; si può dunque scrivere, usando la
legge di Kirchhoff dei nodi, che:
IO = I1 + I2
IO
IO = I2 1 + evd /VT =⇒ I2 =
1 + evd /VT
IO · evd /VT
I1 =
1 + evd /VT
Studiamo ora graficamente queste funzioni, analizzandone in particolare gli
andamenti asintotici e nell’intorno dell’origine (figura 1.19).
I1,2
1
I1
I2
0.8
0.6
0.4
0.2
0
−8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8
vd /VT
Figura 1.19: Grafico delle correnti dello stadio differenziale al variare del segnale
di modo differenziale.
lim I1 = 0 lim I1 = IO
vd →−∞ vd →+∞
lim I2 = IO lim I2 = 0
vd →−∞ vd →+∞
28
IO
I1 (0) = I2 (0) =
2
La zona in cui entrambe le correnti sono attive è molto ridotta (dal momento
che, in un intorno dell’origine, l’esponenziale presenta un andamento crescen-
te molto accentuato); si può stimare che inoltre le curve siano, in un intorno
dell’origine, linearizzabili, e ossia approssimabili con le rette tangenti, per:
vd ∈ [−VT ; VT ]
La tensione differenziale dell’ingresso del circuito deve essere piccola, al fine
di poter utilizzare un modello lineare; la cosa comunque, come già detto, non
ci causa problemi, dal momento che l’amplificazione totale di un amplificatore
operazionale è molto elevata e il segnale d’ingresso dello stadio differenziale è
necessariamente molto piccolo.
Qual è il guadagno in corrente dello stadio, considerando valida la linearizza-
zione in un intorno di vd = 0 ? Sappiamo che, sviluppando in serie e troncando
al primo ordine, si ottiene:
IO ∂IO IO
I1 ≃ + I1 = + gm0 · vd
2 ∂vd 2
vd =0
Da qui:
IO
I2 = IO − I1 ≃ − gm0 · vd
2
Il termine gm,0 è una transconduttanza, che rappresenta il fattore di pro-
porzionalità tra ingresso in tensione vd ed uscita in corrente dell’amplificatore;
Cerchiamo di quantificare il termine I1 − IO /2:
IO I1 − I2
I1 − =
2 2
IO IO evd /VT − 1
I1 − =
2 2 evd /VT + 1
Ma, ricordando la definizione di tangente iperbolica3 , si può scrivere che:
IO vd
I1 = 1 + tanh
2 2VT
Vogliamo approssimare la tangente iperbolica nell’origine con un termine
lineare. Lo sviluppo in serie della tangente iperbolica in questo intorno è:
x3 2
tanh(x) = x − + x5 − · · ·
3 15
Quindi nell’intorno di vd = 0 si può scrivere:
3
ex − e−x e2x − 1 1 − e−2x
tanh(x) = = 2x =
ex + e−x e +1 1 + e−2x
29
IO vd IO IO
I1 ≃ 1+ = + vd
2 2VT 2 4VT
Da qua, mediante confronto con la precedente espressione di I1 , si ottiene il
valore di gm0 . Ragionando su un singolo transistore della coppia (alimentato da
metà di IO ) si può introdurre il corrispondente parametro gm 4 .
IO 1 IO /2 1
gm,0 = = = gm
4VT 2 VT 2
30
vC vC
I1 I2
VBE1 VBE2
vA rO IO
′
IO
Figura 1.20: Schema dello stadio differenziale con generatore reale di corrente.
1 βRC βRC RC
vc1 = −VC βRC =⇒ AC = − ≃− ≃−
ZiB (β + 1)2ro + rπ (β + 1)2ro 2ro
Quindi AC , che vorremmo fosse nulla, dipende dalla resistenza di uscita del
generatore di corrente che polarizza lo stadio differenziale. Esso dovrebbe essere
il più ideale possibile (ro → ∞) per ridurre AC .
Per valutare la bontà dello stadio differenziale con uscita prelevata su un
solo collettore, valutiamo il CMRR facendo il rapporto tra l’amplificazione
differenziale e di modo comune in dB.
Ad
= 20 log RC gm0 = 20 log gm0 ro
CMMR = 20 log
AC RC /(2ro ) 2
Il modello utilizzato è molto semplice perché non tiene conto di alcuna asim-
metria del sistema: è sufficiente una piccola differenza tra le resistenze viste come
carico dai due collettori affinché le amplificazioni dovute ai due transistori della
coppia siano diverse l’una dall’altra e si abbia AC 6= 0 anche nel caso che l’uscita
sia prelevata in modo differenziale tra i due collettori. La stessa osservazione si
può ripetere ragionando sul β dei transistor.
31
VAL
RD RD
I1 I2
M1 M2
V1 V2
VGS1 VGS2
I0
−VAL
vd = V1 − V2 = VGS1 − VGS2
Quando vd = 0, se i due transistori sono uguali, la corrente che scorre nei
due drain è uguale, quindi I1 = I2 = I0 /2, così come sono, per definizione, ugua-
li le due VGS . Chiamiamo VGS0 la tensione Gate-Source in queste condizioni.
Possiamo allora esprimere V1 e V2 in funzione di VGS0 e vd :
V1 = VGS0 + vd /2
V2 = VGS0 − vd /2
32
I1 ≈ I0 /2 + gm0 vd
I2 ≈ I0 /2 − gm0 vd
Per ottenere il valore di gm0 occorre derivare l’espressione di I1 .
∂I1
gm0 = = kn (VGS0 − Vtn )
∂vd vd =0
Confrontando questa espressione con l’eguaglianza trovata sopra per I0 /2, si ha:
I0 1
gm0 =
2 (VGS0 − Vtn )
Anche in questo caso, le correnti I1 e I2 saturano a 0 o I0 per ampi valori di
vd .
33
+VAL
T5 T6 T8
RM
T7
IB7
I1 I2
OUT
IN1 IN2
T1 T2
T4 T9
T3
−VAL
Carico attivo Il carico attivo non è altro che uno specchio di corrente for-
mato da T5 e T6 . Esso ha il duplice compito di caricare lo stadio differenziale
34
e fornire in uscita la differenza tra le correnti I1 e I2 circolanti nei collettori. È
necessario che i transistor siano pnp perché la corrente di polarizzazione deve
essere entrante nella coppia differenziale.
Lo specchio di corrente permette di ottenere una buona dinamica di ingresso
di modo comune, almeno sul ramo di T1 , in quanto la tensione di collettore è
all’incirca fissa e pari a +VAL −VEB5 . La tensione sul collettore T2 viene imposta
dallo stadio successivo. Inoltre, l’impedenza vista dal collettore di T2 è alta e
questo permette di avere un alto guadagno di tensione differenziale.
La corrente di riferimento dello specchio è la I1 dello stadio differenziale,
quindi sul lato debole ci si ritroverà una copia della stessa I1 . Nel nodo al quale
sono collegati i collettori di T2 e T6 si può scrivere la seguente equazione dalla
quale ricavare la corrente di uscita.
βeq ≃ β7 β8
Mentre la VB E è:
35
Lo stadio Darlington ha un ottimo guadagno di corrente. Per massimizzare
il guadagno di tensione, occorre caricare il collettore con una resistenza elevata.
Per fare questo si usa come carico la resistenza di uscita di T9 , uno dei lati forti
dello specchio doppio (T3 , T4 e T9 ). Questo modo “strano” di prelevare l’uscita è
funzionale alle caratteristiche di ingresso dello stadio successivo, il cui compito,
come già accennato, è quello di abbassare l’impedenza di uscita dell’amplifica-
tore. Nel paragrafo successivo studieremo le caratteristiche di questo circuito,
che nella figura 1.22 è considerato solo a livello di blocco logico.
Come è stato sottolineato precedentemente, non è molto importante sape-
re quanto è il guadagno complessivo dell’amplificatore operazionale ad anello
aperto. È sufficiente garantire che tale guadagno sia molto elevato in modo da
poterlo approssimare come infinito.
36
MAXIMUM POWER DISSIPATION
vs
CASE TEMPERATURE
50
30
20
10
0
0 25 50 75 100 125 150
TC - Case Temperature - °C
∆TJ = TJ − TA = θJA PD
La costante di proporzionalità θJA prende il nome di resistenza termica e cor-
risponde all’incremento di temperatura dovuto alla dissipazione di 1 W: pertanto
si misura in ◦C/W. Per poter dissipare una grande potenza senza incrementare
molto la temperatura occorre avere la resistenza termica più bassa possibile.
La resistenza termica tra giunzione ed ambiente è anche definibile come il
rapporto tra il massimo incremento di temperatura a partire da TA0 e la massima
potenza dissipabile a tale temperatura PD0 . Allora ad una temperatura ambiente
qualsiasi TA è possibile dissipare al massimo PDmax .
37
TJmax − TA0 TJmax − TA
θJA = PDmax =
PD0 θJA
Il parametro θJA è scomponibile in alcuni contributi che si sommano e sin-
golarmente rappresentano la resistenza termica tra giunzione e contenitore θJC
e tra contenitore ed ambiente θCA . Quest’ultima eventualmente può essere ulte-
riormente scomposta in resistenza tra contenitore e dissipatore (heat sink) θCS
e tra dissipatore ed ambiente θSA .
Il progettista può agire su alcuni di questi parametri per aumentare la pos-
sibilità di dissipare potenza dei transistori che maggiormente rischiano di dan-
neggiarsi introducendo conduttori metallici nel progetto per facilitare il tra-
sferimento di calore all’ambiente mediante fenomeni di irraggiamento e conve-
zione. Introducendo questi apparati aggiuntivi si cambia la resistenza termica
complessiva, passando ovviamente ad una di valore più piccolo.
Il dissipatore infinito è un sistema ideale che è caratterizzato da θCA = 0
e quindi impone TC = TA , riducendo la resistenza termica complessiva al solo
contributo θJC e rappresenta la massima potenza dissipabile dal dispositivo ad
una certa temperatura.
I produttori dei transistori forniscono un grafico come quello riportato in
figura 1.23. Esso riporta la massima potenza dissipabile dal dispositivo in cor-
rispondenza della temperatura del contenitore. Per TC < TC0 = 25 ◦C è dissi-
pabile una potenza PD0 mentre al crescere della temperatura PDmax decresce
linearmente fino ad annullarsi quando TC = TJmax .
38
MAXIMUM FORWARD-BIAS
SAFE OPERATING AREA
100
DC Operation
10
IC - Collector Current - A IC MAX
1
1·0
2
0·1
VBV CEO
0·01
1·0 10 100 1000
VCE - Collector-Emitter Voltage - V
Figura 1.24: Safe Operating Area. Esempio dal data sheet del TIP31C
39
• Classe C: un elemento di potenza, che conduce per alcuni tratti del periodo
del segnale (angolo di conduzione: < 360◦ ).
Le classi utilizzate in banda audio sono le prime tre, mentre l’elevata distor-
sione della classe C ne limita l’uso in circuiti a radiofrequenza. Sono poi definite
altre classi di amplificatori, che prevedono o l’uso di tecnologie a commutazione
(classi D, E), di circuiti risonanti (classi E, F) o variazioni della tensione di
alimentazione in funzione del livello del segnale (classi G e H).
Nel seguito ci occuperemo delle classi A, B e AB.
1.5.3 Classe A
VAL
RB1
Rs Cs
T1
vs RB2 ZL vu
40
+VAL
T1
IL
vs
RL
I0
−VAL
IC = I0 + Ip sin(ωt)
41
VL
VAL − VBE
vs
−VBE +VAL
−I0 RL
T
VAL
Z
PAL+ = [I0 + Ip sin(ωt)] dt =
T 0
T
= VAL · I0 + VAL · Ip · − cos(ωt)|0
= VAL · I0
Si è sfruttato il fatto che un segnale sinusoidale a media nulla ha inte-
grale nullo sul periodo di oscillazione. Il ramo negativo ha contributo pari
a PAL− = VAL I0 , quindi la potenza totale assorbita dall’alimentazione vale:
PAL = 2VAL I0 . Se si sceglie I0 = VAL /RL , per massimizzare la dinamica di
tensione di uscita, si ha infine:
2VAL
2
PAL =
RL
Rimane da calcolare la potenza (utile) del segnale sul carico PL .
1 T
Z
PL = RL (Ip sin(ωt))2 dt =
T 0
Ip2 · RL T
Z
= sin2 (ωt)dt =
T 0
Ip2 · RL T
= =
T 2
Ip2 · RL
= =
2
2
Vp
=
2RL
42
+VAL
− T1
+ IL
vs
RL
I0
−VAL
PL Vp2 RL Vp2
=⇒ η = = · =
PAL 2RL 2VAL2 4VAL
2
Dal momento che la massima ampiezza di picco che può essere associata
al segnale sinusoidale è pari alla massima dinamica di picco di uscita, VAL , è
possibile calcolare il massimo rendimento.
1
η= = 25%
4
Il rendimento massimo, che si ottiene sfruttando tutta la dinamica, è estre-
mamente basso, dato che per ottenere un segnale di 10 W di potenza vengono
dissipati in calore ben 30 W che hanno il solo risultato di aumentare la tem-
peratura del dispositivo. Altra osservazione è che la potenza assorbita dall’ali-
mentazione non dipende dall’ampiezza del segnale, dunque un amplificatore che
potrebbe gestire in uscita un segnale da 100 W dissipa 300 W anche quando il
segnale d’uscita vale soltanto 1 W o quando il segnale è assente del tutto.
1.5.4 Classe B
Il tipico amplificatore a simmetrica complementare di classe B è riportato in
fig.1.29 e rispetto a quello di classe A ha il vantaggio di condurre, amplificare e
dissipare potenza solo quando il segnale in ingresso non è circa nullo.
Concettualmente si può immaginare di ricavarlo da uno stadio di classe A
che abbia un punto di lavoro a riposo con tensione nulla (ad esempio eliminando
il generatore di corrente I0 nello schema di figura 1.26): esso amplificherebbe
solo la semionda positiva di un segnale sinusoidale in ingresso perché il transi-
store rimarrebbe interdetto per tensioni di ingresso negative. Dualmente, uno
43
+VAL
T1
IL
T2
vs
RL
−VAL
stadio realizzato con la stessa tecnica ma con un pnp, collegato al polo negativo
dell’alimentazione, amplificherebbe solo le semionde negative.
Il circuito in classe B mette insieme il funzionamento dei due amplificatori
complementari con punto di funzionamento a riposo pari al riferimento di 0 V.
Quando il segnale di ingresso, Vi , è positivo, il transistore T1 è in zona di con-
duzione, mentre il transistore T2 è in zona di interdizione; dualmente, quando
Vi è negativo, T1 è interdetto e T2 conduce.
Questo tipo di sistema di amplificazione funziona in classe B, proprio perchè
solo uno dei due transistori conduce, mentre l’altro rimane interdetto. Ognuno
dei transistori si comporta di fatto come in uno stadio a collettore comune, e il
risultato finale, dall’esterno, è quello di “vedere un solo emitter follower”: i due
stadi, separati, si dividono i compiti, dal momento che uno si occupa del solo
segnale positivo, l’altro del solo segnale negativo. Si riducono notevolmente gli
sprechi di corrente, dal momento che l’unica corrente richiesta dall’alimentazione
è quella necessaria per pilotare il carico del sistema di amplificazione (mantenere
il segnale sinusoidale in uscita).
Le equazioni di funzionamento dei due sono le seguenti:
Vu,npn = Vi − VBE
Vu,pnp = Vi + VEB
Le VBE,on sono state al solito supposte uguali, pensando di trovarci su di un
integrato. Finchè Vi − VBE,on > 0, la tensione del segnale sarà sufficientemente
alta da polarizzare il transistore npn, questo sarà in zona lineare e amplificherà;
quando Vi + VBE,on < 0 il pnp si occuperà di generare il segnale di uscita. il
grafico della transcaratteristica è riportato in fig. 1.30.
Distorsione di Crossover
Il fatto che la tensione di ingresso debba superare la soglia della VBE,on per essere
amplificata da uno dei due transistori è un problema perché quando −VBE,on <
Vi < +VBE,on il segnale non viene amplificato e anzi l’uscita rimane nulla. La
44
VL
VAL − VBE
−VAL
vs
VBE +VAL
−VAL + VEB
forma d’onda amplificata da uno stadio del genere dunque sarà simile a quella
in figura 1.31.
Questo fenomeno è detto distorsione di crossover e dipende dal fatto che
i transistori non sono sempre in condizioni di condurre. Quando rimangono
entrambi interdetti provocano una distorsione (apprezzabile) del segnale, non
riproducendo in uscita una porzione di esso.
Si può ridurre il crossover mantenendo il sistema in classe B, se si modifica il
circuito in modo simile a quanto fatto nell’amplificatore in classe A con doppia
alimentazione (fig. 1.28). Lo schema corrispondente è riportato in figura 1.32.
L’amplificatore operazionale cercherà di mantenere nullo il segnale differenziale
di ingresso: per ottenere ciò, quando il segnale d’uscita attraversa lo zero, l’am-
plificatore operazionale genera sulla propria uscita uno scalino di ampiezza pari
a 2VBE che compensa la zona morta della coppia di transistor. La distorsione
non è eliminata completamente a causa del limite di slew-rate dell’op-amp, di
cui parleremo in seguito.
Rendimento
Abbiamo già notato che rispetto all’amplificatore in classe A ci dovrebbe essere
un miglioramento nel rendimento perché non c’è più il contributo della corrente
di polarizzazione: tutta la corrente assorbita dall’alimentatore scorre nel carico.
Vogliamo ora quantificare il rendimento di questo stadio.
Consideriamo come al solito un segnale di uscita di tipo sinusoidale con
corrente di picco Ip e corrispondente tensione di picco Vp , Ip = Vp /RL , IL =
Ip sin(ωt). Nel semiperiodo positivo della sinusoide condurrà il transistor T1 e la
sua corrente di collettore IC1 sarà circa pari alla corrente nel carico (trascuriamo
il contributo di IB1 , che non è significativo ai fini della potenza). Ma la corrente
IC1 è anche pari alla corrente assorbita dal ramo positivo dell’alimentazione.
45
1
0.5
−0.5
−1
−5 0 5 10 15
Figura 1.31: Distorsione di crossover sulla forma d’onda amplificata.
T /2
VAL
Z
PAL+ = Ip sin(ωt) dt =
T 0
1 1 T /2
= VAL Ip · · − cos(ωt)|0
T ω
1 T
= VAL Ip · · ·2
T 2π
VAL Ip
=
π
La potenza assorbita nel semiperiodo negativo dal ramo negativo dell’ali-
mentazione ha identico valore, per cui la potenza totale vale:
2VAL Ip
PAL =
π
La potenza nel carico è il prodotto della corrente efficace per la tensione
efficace, quindi
Vp Ip
PL =
2
Il rendimento quindi vale:
PL Vp Ip π Vp π
η= = · = ·
PAL 2 2VAL Ip VAL 4
46
+VAL
T1
−
IL
+ T2
RL
vs
−VAL
1.5.5 Classe AB
Per eliminare il fenomeno del crossover bisogna fornire ai due transistor due
segnali diversi, scalati ognuno di una tensione pari alla VBE del rispettivo tran-
sistor, in modo che il transistor entri in conduzione per l’intero semiperiodo di
sua competenza (fig. 1.33).
Lo scalamento della tensione d’ingresso può essere ottenuto in vari modi, di
cui il più semplice è tramite due diodi posti sul percorso del segnale.
Il circuito risultante non è più classificabile nella classe B dato che, per garan-
tire l’assenza della distorsione di crossover, in alcuni brevi istanti di tempo tutti
e due i transistori si trovano in stato di conduzione; perciò questa configurazione
appartiene alla cosiddetta classe AB.
47
+VAL
T1
VBE
IL
vs VEB
T2 RL
−VAL
VBE3 R2
VB1 − VB2 = IR (R1 + R2 ) = (R1 + R2 ) = VBE3 1+
R1 R1
48
+VAL
RB1
T1
D1
IL
vs D2
T2 RL
RB2
−VAL
49
+VAL
RB1
T1
IR
R1
T3
IL
R2
T2 RL
vs RB2
−VAL
50
+VAL
RB1
T1
D1
VE1 RE1
IL
vs VE2 RE2
D2 RL
T2
RB2
−VAL
51
+VAL
RB1
T1
T5
D1
RE1
IL
vs RE2
D2 RL
T6
T2
RB2
−VAL
52
1.6 Modelli dell’A.O. reale
Conoscendo la struttura di base dell’amplificatore operazionale e avendo studia-
to le principali topologie di stadi di potenza, è possibile perfezionare lo schema
di un amplificatore operazionale introducendo in uscita uno stadio in classe AB
(fig. 1.38).
+VAL
T5 T6 T8
RM
T7
T10
IN− IN+ D1
T1 T2 RE1
OUT
RE2
D2
T11
T4 T9
T3
−VAL
53
banda passante, slew-rate e di spiegare l’esistenza di correnti e tensioni parassite
d’ingresso.
Correnti di ingresso
In un amplificatore operazionale ideale le correnti entranti nei morsetti di in-
gresso sono nulle per definizione.
Dallo schema interno dell’A.O. reale in tecnologia bipolare di fig. 1.38, si nota
che i terminali di ingresso sono collegati alle basi di due BJT disposti in modo
da formare uno stadio differenziale, le cui correnti non possono sicuramente
essere nulle: se fossero nulle, infatti, i transistori non sarebbero polarizzati e
l’amplificatore non potrebbe funzionare in linearità.
Le correnti I+ e I− possono essere stimate facilmente, I+ = I2 /(β2 + 1) e
I− = I1 /(β1 + 1). Poiché la corrente I0 di uscita dallo specchio costituito da
T3 e T4 è generalmente bassa, dell’ordine di decine di microampere, si tratta di
correnti effettivamente molto basse, ma comunque mai nulle. Ne consegue che
in ogni circuito utilizzante un amplificatore operazionale dev’essere presente un
percorso per la corrente continua tra ciascun ingresso ed un punto collegato al
potenziale di riferimento del sistema. Non è possibile collegare ad un ingresso del-
l’operazionale solo un condensatore in serie, perché provocherebbe l’interdizione
del corrispondente transistor.
Dall’espressione di I+ e I− si capisce subito come di fatto sia difficile che
queste correnti siano uguali tra loro, in quanto, anche se l’amplificatore viene
normalmente usato con tensione differenziale d’ingresso molto piccola, tale per
cui le due correnti I1 e I2 siano circa pari a I0 /2, ben difficilmente β1 = β2 .
Per tenere conto delle correnti di polarizzazione in ingresso durante lo studio
di circuiti con operazionali, è possibile introdurre nel modello una coppia di ge-
neratori di corrente in corrispondenza dei due terminali di ingresso IN+ e IN− .
Inoltre è comodo rappresentare tali correnti scomponendole in due contributi
come è stato fatto per le tensioni v+ e v− : si definiscono le correnti di bias e
offset, rispettivamente modo comune e differenziale delle due correnti.
I+ + I−
Ibias := Iof f set := |I+ − I− |
2
Iof f set Iof f set
=⇒ I+ = Ibias + I− = Ibias −
2 2
Nei paragrafi successivi verrà spiegato come ridurre l’influenza di queste cor-
renti all’interno dei circuiti. Infatti è preferibile che il loro contributo sull’uscita
sia minore possibile, o perlomeno sia trascurabile rispetto agli ingressi principa-
li del circuito. La corrente di bias è la corrente media che scorre negli ingressi,
54
mentre quella di offset dipende dagli sbilanciamenti introdotti ad esempio dal
diverso β dei transistor e da analoghi fattori che dipendono da come è realizzato
lo stadio di ingresso dell’operazionale. In generale la corrente di bias è più alta
di quella di offset ed è più facile annullarne gli effetti.
Tensione di ingresso
Un altro importante parametro che quantifica lo scostamento dal comportamen-
to ideale è legato all’altra equazione costitutiva dell’a.o. ideale: vd = v+ −v− = 0.
Infatti, sempre a causa delle asimmetrie nella struttura interna, è necessario for-
nire una piccola differenza di potenziale tra i morsetti invertente e non invertente
per azzerare la tensione d’uscita.
Questa differenza di potenziale prende il nome di tensione di offset Vof f .
Normalmente Vof f è pari a pochi mV.
55
Figura 1.39: Andamento della dinamica di uscita in Vpp in funzione del carico
espresso in kΩ per l’a.o. TL082 alimentato con tensioni simmetriche VAL =
±15 V.
56
Output Voltage Swing min = ±12 V typ = ±13, 5 V
Alcuni amplificatori operazioni realizzati con delle tecniche diverse sono
in grado di fornire una tensione di uscita che può raggiungere la tensione di
alimentazione (amplificatori rail-to-rail output).
57
I1 I2
T1 T2
VC
ro I0
(a)
I1 I2
T1 T2
VC VC
2ro I0
2
2ro I0
2
(b)
Figura 1.40: Calcolo della resistenza di modo comune (a) Circuito iniziale (b)
Circuito equivalente
58
Dato che i due stadi sono in parallelo, la resistenza complessiva è pari alla
metà.
ric = ro (1 + β)
La resistenza di ingresso di modo comune risulta molto più elevata di quella
di modo differenziale. In molti casi è possibile trascurarla.
gm1 vd gm2 v2
vd rd v2 ri2 v3 ri3 v3 Vu
v2 = −ri2 · gm1 · vd
Il secondo stadio è la coppia Darlington: anch’essa si comporta come am-
plificatore di tensione di guadagno elevato. Questo stadio è di tipo invertente
(questa considerazione sarà utile per la stabilizzazione in frequenza).
v3 = −ri3 · gm2 · v2
Lo stadio finale di potenza non aumenta ulteriormente il guadagno in ten-
sione: il suo compito è quello di amplificare la corrente o, equivalentemente, di
abbassare l’impedenza d’uscita.
59
VAL
M5 M6
IR
M8
M1 M2
IN− IN+
OU T
M3 M4 M7
−VAL
60
notare che l’uscita di drain può creare qualche problema di stabilità al circuito
quando utilizzato con carichi reattivi. Di questo si parlerà più avanti nel corso.
In realtà, dato che i MOS di potenza a canale N hanno prestazioni decisamen-
te migliori dei PMOS, in genere non si usa la configurazione appena descritta
ma la sua complementare, in cui M8 è un NMOS, il differenziale e lo specchio
di corrente sono PMOS, il carico attivo è NMOS. Si è scelto di illustrare questa
configurazione per mettere in risalto le somiglianze con la configurazione a BJT
studiata sopra.
1.7.1 specifiche
Utilizziamo le seguenti specifiche di progetto:
1.7.2 Progetto
Nel progettare un circuito bisogna sempre per prima cosa verificare la congruen-
za delle specifiche. Nel seguito si farà riferimento al datasheet del componente
LM741 della National Semiconductor, disponibile in rete all’indirizzo:
http://www.national.com/ds/LM/LM741.pdf
Maximum ratings
La prima cosa da fare è controllare se le specifiche possono essere soddisfatte
dall’a.o. che è stato scelto. Quindi si controllano le caratteristiche della sezione
maximum ratings, ossia le grandezze limite considerate “sicure” per l’operatività
del componente. In questo caso la massima tensione di alimentazione simmetrica
per la versione commerciale del dispositivo (LM741C, Operating Temperature
Range 0 ◦C to 70 ◦C) è pari a VAL = ±18 V e quindi compatibile con le specifiche.
Gli altri parametri presenti nella sezione devono essere controllati attentamente
in un progetto reale, ma in questo caso non vi è nulla di significativo.
61
Caratteristiche elettriche
Occorre poi valutare se l’amplificatore è in grado di pilotare il carico e di fornire
su di esso la dinamica di tensione richiesta. Ci spostiamo quindi nella sezione
delle caratteristiche elettriche del datasheet (pagina 3 del documento) e troviamo
alcuni parametri utili.
Il parametro Output Voltage Swing è indicativo della dinamica per ampi
segnali. Si noti che la massima tensione raggiungibile è minore al diminuire
della resistenza del carico, quindi occorre controllare la compatibilità con la RL
prsente nelle specifiche. Per garantire il funzionamento del dispositivo in ogni
condizione, si prendono in considerazione le grandezze caratteristiche del caso
peggiore.
Nel datasheet leggiamo:
• Se RL ≥ 10 kΩ, Vmin = ±12 V, Vtyp = ±14 V
• Se RL ≥ 2 kΩ, Vmin = ±10 V, Vtyp = ±13 V
Nei due casi elencati di RL = 2 kΩ e RL = 10 kΩ si può determinare la
corrente massima erogabile dall’operazionale nelle rispettive condizioni di carico.
Questa corrente è un importante parametro da tenere presente nelle successive
fasi di progetto.
VMAX
RL = 2 kΩ =⇒ VMAX = 10 V =⇒ IMAX = = 5 mA
RL
VMAX
RL = 10 kΩ =⇒ VMAX = 12 V =⇒ IMAX = = 1.2 mA
RL
Si nota poi che la corrente di cortocircuito vale 25 mA. Il valore di resisten-
za di carico che ci interessa è intermedia tra le due elencate e la dinamica di
uscita da specifiche è raggiungibile con una RL più bassa di quanto previsto nel
progetto. Dunque anche questo dato è compatibile con la nostra applicazione.
R2
If
R1
−
Iu IL
+
R3 RL Vu
Vi
62
Schema elettrico
Lo schema del circuito è riportato nella figura 1.43. Rispetto allo schema di base
con due sole resistenze, è stata aggiunta R3 per motivi che saranno chiariti in
seguito. Nella figura è stata esplicitata la resistenza RL , che normalmente non si
disegna perché si suppone faccia parte di un altro circuito da collegare all’uscita
dell’operazionale. Anche se non fosse disegnata occorrerebbe comunque tenere
conto della corrente che l’amplificatore deve poter fornire ad essa.
Il rapporto tra le resistenze R2 e R1 è dato dalla funzione di trasferimento
del circuito ideale dell’amplificatore non invertente: l’amplificazione deve essere
AV = 10 come richiesto dalle specifiche.
Vu R2
= 1+ = 10 V/V =⇒ R2 = 9R1
Vi R1
Si osservi che l’informazione che è stata ricavata dal circuito ideale è re-
lativa: rappresenta il rapporto tra le resistenze da impiegare ma non fornisce
un’indicazione sul loro effettivo valore assoluto. Non fornisce inoltre indicazioni
sul valore di R3 , la cui presenza è inifluente sul funzionamento del circuito nel
caso di operazionale ideale. Per ottimizzare i valori assoluti dei parametri di pro-
getto (R1 , R2 e R3 ) sono necessarie delle considerazioni aggiuntive sull’uscita,
la retroazione e le non idealità.
Iu = If + IL
Vu Vu
If = =
R1 + R2 R2 · 10/9
Per dimensionare la corrente di retroazione è necessario considerare che es-
sa non deve troppo elevata per non sottrarre corrente al carico, ma non deve
neanche essere troppo bassa, per motivi che verranno chiariti meglio nel seguito.
Una possibile soluzione quantitativa consiste nel porre un’ordine di grandezza
di differenza tra la massima IL prevista e If . Abbiamo visto che la massima
corrente per garantire la specifica sulla dinamica di tensione di uscita di 10 V è
pari a 5 mA. Allora:
10 10 V
If ≪ 5 mA =⇒ R2 · ≃ R2 ≫ = 2 kΩ
9 5 × 10−3 A
R2 ≥ 20 kΩ
Questa disequazione impone un minimo all’insieme dei possibili valori di R2
(lower bound): se si scendesse al di sotto di tale valore si sottrarrebbe corrente
al carico e si limiterebbe la dinamica d’uscita.
63
Effetto delle non idealità
Per trovare il massimo valore possibile per R2 occorre valutare l’influenza delle
non idealità dell’amplificatore sul funzionamento del circuito.
In particolare ci concentreremo sull’effetto della tensione di offset e delle
correnti di polarizzazione e di offset. Il nostro circuito può essere ridisegnato
come in fig. 1.44 per esplicitare il contributo di tali parametri.
R2
Ib + Iof f /2
R1
−
Vof f
ro
Vu
rid vd Ad vd
R3
Ib − Iof f /2
Vi
64
invertente. Lo si può ridisegnare in questa posizione (fig. 1.45). Risulta quindi
evidente come il contributo della tensione di offset abbia la stessa espressione
ottenuta per l’ingresso principale vi .
R2
R1
−
Vof f ro
rid vd Vu
+
Ad vd
R3
Vof f
R2
Vu |Vof f = Vof f · 1+
R1
La conseguenza molto importante è che il contributo sull’uscita della tensione
di offset non dipende dal valore assoluto di R2 , ma esclusivamente dall’amplifi-
cazione del circuito. Per ridurre l’effetto di Vof f sull’uscita si dovrebbe ridurre
il guadagno (che è definito dalle specifiche e quindi non si può modificare).
65
R2
Ib + Iof f /2
R1
−
0V ro
rid vd Vu
0V +
Ad vd
R3
Iof f Iof f R2
Vu |of f set = Vof f · AV + R2 Ib + − R3 Ib − 1+
2 2 R1
66
R2
R1
−
ro
rid vd Vu
−(Ib − Iof f /2)R3
+
Ad vd
R3
Ib − Iof f /2
dal momento che hanno segni opposti, imponendo che siano uguali le resistenze
viste dai soli generatori di corrente sui terminali dell’operazionale.
Raccogliendo i termini in Ib e in Iof f si ha infatti:
R2 Iof f R2
Vu |of f set = Vof f · AV + Ib R2 − R3 1 + + R2 + R3 1 +
R1 2 R1
Imponendo
R2 R1 R2
R3 1+ = R2 −→ R3 = = R1 //R2
R1 R1 + R2
Se si sceglie questo valore di R3 , l’espressione dell’offset diventa:
6 · 10−3
R2 ≪ 10 · = 0, 3 MΩ
2 · 10−7
67
R2 ≤ 30 kΩ
Una volta determinati i valori massimi e minimi di R2 è possibile sceglierne
il valore e di conseguenza fissare quelli degli altri componenti. Nel nostro caso,
utilizzando resistenze della serie normalizzata E12, possiamo stabilire R2 =
27 kΩ. Per avere guadagno pari a 10 dovremmo selezionare R1 = 3 kΩ, che però
è un valore normalizzato solo nella serie E24. I valori normalizzati più vicini
sono 2.7 kΩ e 3.3 kΩ, che portano il guadagno a essere circa il 10% più alto o
più basso del voluto. Per R3 potremo optare per R3 = 2.2 kΩ.
La tecnica qui illustrata può essere utilizzata per il progetto di buona parte
dei circuiti con amplificatori operazionali. Si noti che partendo dalla configura-
zione invertente i risultati che si ottengono sono identici, in quanto i generatori
di offset agiscono indipendentemente dall’ingresso.
68
di cut-off. Il primo dei poli naturali dell’amplificatore operazionale deriva dal-
l’uscita dello stadio differenziale caricata dall’ingresso del Darlington: l’effetto
Miller amplifica la capacità presente tra base e collettore del Darlington a causa
dell’elevato guadagno di tensione presente tra quei due terminali dei transistor.
Inoltre l’elevata impedenza vista dalla capacità aumenta il valore della costante
di tempo, diminuendo la frequenza di taglio dello stadio.
|A| ∠A
−20 dB/dec
0◦
−40 dB/dec
−90◦
−180◦
ω
ωp1 ωp2 ωp3
69
hanno indotto una rotazione di fase tale da sommare i segnali di ingresso e
feedback (retroazione positiva).
Il fatto che la reazione al di sopra di una certa frequenza diventi positiva
porta alla creazione di un anello che amplifica sempre più l’ingresso sommandoci
il segnale di retroazione: in questo modo si raggiunge sicuramente la condizione
di funzionamento non lineare e il sistema oscilla.
• portare a frequenze più basse la posizione del primo polo (polo dominante)
dell’operazionale;
• introdurre un ulteriore polo nel sistema, tale da essere a frequenza molto
bassa e divenire dunque il nuovo polo dominante. Questo metodo riduce
drasticamente la banda passante del sistema ed è quindi utilizzato solo
quando non sia possibile modificare la posizione del polo dell’operazionale.
70
|Aβ|
0 dB
ω
Margine di guadagno
∠Aβ
0◦
−90◦
Margine di fase
◦
−180
ω
ωp1 ωT ω180
71
|A|
−20 dB/dec
−40 dB/dec
0 dB
ω
−60 dB/dec
72
ro
gm1 vd gm2 v2
vd rd v2 v3 v3 Vu
ri2 C1 ri3 C2
Pole splitting
La soluzione al problema di integrabilità consiste nello sfruttare l’effetto Miller.
Esso consente di amplificare il valore della capacità posta tra due nodi tra i
quali esiste un guadagno in tensione: questo permette di integrare agevolmente
la capacità di compensazione ed ha in più un effetto benefico sulla posizione del
secondo polo, come illustrato tra poco.
CC
ro
gm1 vd gm2 v2
vd rd v2 v3 v3 Vu
ri2 C1 ri3 C2
73
K
Zout = ZC ·
K −1
v3 = −gm2 Z3 v2
K = −gm2 Z3
L’impedenza di carico Z3 contiene anche l’elemento reattivo C2 , che però ha
effetto solo a frequenze più alte del primo polo, per cui nello studio degli effetti
di CC sul primo polo possiamo considerare Z3 ≈ Ri3 . K è negativo e molto
grande, per cui è sufficiente un condensatore di compensazione molto piccolo
per spostare molto a sinistra la posizione del primo polo.
1
ωp1 ≈
CC gm2 Ri3 Ri2
Gli effetti del condensatore CC non si fermano qui. Facendo i conti si può
verificare che viene introdotto uno zero nel semipiano destro di Laplace, ma a
frequenza molto alta, e inoltre la frequenza del secondo polo dell’operazionale
viene innalzata notevolmente, tanto da superare spesso quella del terzo polo ori-
ginale, che diventa il secondo polo nella nuova funzione di trasferimento. Questo
fenomeno prende il nome di pole splitting, ossia allontanamento dei poli. Que-
sto consente di innalzare ulteriormente la frequenza del primo polo, aumentando
banda e slew-rate del circuito rispetto alla prima soluzione vista in cui si inseriva
un condensatore in parallelo a C1 .
in figura 1.53 è visibile un esempio di aggiunta del condensatore di compen-
sazione nello schema semplificato di operazionale che abbiamo costruito nelle
sezioni precedenti.
74
+VAL
T5 T6 T8
RM
T7
T10
CC
IN− IN+ D1
T1 T2 RE1
OUT
RE2
D2
T11
T4 T9
T3
−VAL
75
|A|
−20 dB/dec
0 dB
f
−40 dB/dec
f0 fBW
Generalmente si ha
1
<< 1
Ad0 β
da cui
1 1
AV ≈ ·
β 1 + j A fβf
d0 0
fBW = Ad0 f0
Tale frequenza corrisponde sul diagramma di Bode all’incrocio della carat-
teristica di Ad con l’asse a 0 dB.
Con questa definizione si può scrivere che la frequenza di taglio a −3 dB,
fT , vale fT = βfBW . Dato però che 1/β = AV 0 è il guadagno del circuito per
76
frequenze basse, si ha ancora che AV 0 fT = fBW , cioè il prodotto tra la banda
passante di un amplificatore e il suo guadagno è una costante, pari a fBW ,
chiamata appunto prodotto banda-guadagno, tipica dell’amplificatore. Dunque se
si usa un amplificatore operazionale per realizzare un amplificatore di tensione,
la banda passante del sistema sarà tanto minore quanto più alto è il guadagno
in continua del circuito.
Si noti che questo risultato è valido anche per la configurazione invertente.
Ricordiamo infatti che la funzione di trasferimento di un amplificatore invertente
si può scrivere come:
1 1
AV = 1 − ·
β 1 + T1
per cui anche per questa configurazione si ottiene la stessa banda passante, se
si considera come guadagno quello della configurazione non invertente con la
stessa rete di reazione β.
Current feedback
Il legame tra guadagno e banda passante trovato sopra è una conseguenza diretta
del modo in cui sono costruiti gli amplificatori operazionali “normali”. In real-
tà lo schema che abbiamo utilizzato, che viene chiamato voltage feedback, cioè
con reazione in tensione, non è l’unico possibile per realizzare un amplificatore
operazionale. Esistono anche amplificatori operazionali di tipo current feedback,
o a reazione di corrente, in cui questo legame non c’è. In questi amplificatori
la banda passante e la stabilità dipendono dal valore assoluto della resisten-
za di reazione R2 . Un’interessante e comprensibile introduzione agli amplifica-
tori current feedback si trova sul sito della Texas Instruments (www.ti.com):
Application report slva051 “Voltage Feedback vs Current Feedback Op Amps”.
Gli amplificatori current feedback sono usati in applicazioni in alta frequenza
ove occorre ampia banda passante anche con guadagni elevati.
77
OUTPUT VOLTAGE SWING (5V/DIV)
TIME (2ms/DIV)
d [(I0 /CC ) · t]
I0
SR (VU ) = max =
dt CC
Un esempio di risposta al gradino per ampio segnale, da cui è possibile
misurare lo slew rate, è visibile in figura 1.55.
Quando si superano i limiti di slew rate, il segnale d’uscita risulta affetto da
una grossa distorsione armonica. Un segnale sinusoidale in ingresso assumerà
in uscita una forma sempre più simile a quella triangolare man mano che la
frequenza aumenta.
78
Vu (t) = Vpk sin(ωt)
Per trovare lo slew rate della sinusoide occorre massimizzarne la derivata:
dVu
= ωVpk cos(ωt)|MAX = ωVpk
dt MAX
Segue che:
I0 I0 SR
ωVpk ≤ SR = =⇒ Vpk ≤ =
CC ωCC ω
Dunque la massima ampiezza di un segnale sinusoidale in uscita da un am-
plificatore operazionale decresce con la frequenza con legame di tipo iperbolico.
Esempio 2. Si voglia utilizzare un operazionale modello TL082 per realizzare
un amplificatore con banda passante pari a f0 = 400 kHz. Qual è il massimo
guadagno utilizzabile e qual è la massima ampiezza d’uscita indistorta quando
il segnale d’ingresso è una sinusoide a frequenza 400 kHz?
Dal data sheet del TL082 si vede che lo slew rate vale SR = 13 V µs−1 ,
mentre il prodotto banda guadagno è GBW = 4 MHz.
La specifica di banda passante sarà rispettata se si rimane al di sotto del
prodotto banda-guadagno:
GBW
AVM AX = = 10
f0
Per quanto riguarda l’ampiezza, il massimo della derivata dell’onda sinusoidale
deve essere inferiore allo slew rate dell’operazionale:
Vpk · 2π · 4 × 105 V s−1 ≤ 17 V µs−1
13
VpkM AX = V = 5.17 V
2π · 0.4
Lo stesso risultato si può ottenere utilizzando i grafici presenti sul data sheet.
I due grafici più significativi sono riportati in figura 1.56.
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