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Capitolo 1

L’Amplificatore
Operazionale

Indice
1.1 Analisi introduttiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
1.1.1 Amplificatori operazionali ideali . . . . . . . . . . . 5
1.1.2 Amplificatori operazionali non ideali . . . . . . . . . 7
1.1.3 Voltage follower . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
1.1.4 Amplificatore di transresistenza . . . . . . . . . . . . 12
1.1.5 Amplificatore invertente . . . . . . . . . . . . . . . . 13
1.2 Specchi di Corrente . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2.1 Specchio di corrente a BJT . . . . . . . . . . . . . . 15
1.2.2 Specchio di corrente a MOSFET . . . . . . . . . . . 21
1.3 Stadio Differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
1.3.1 Modo differenziale e modo comune . . . . . . . . . . 23
1.3.2 Amplificatore differenziale a BJT . . . . . . . . . . . 27
1.3.3 Amplificatore differenziale a MOSFET . . . . . . . . 32
1.4 Schema semplificato di un amplificatore operazio-
nale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
1.5 Stadi di Potenza a Transistori Bipolari . . . . . . 36
1.5.1 Transistori bipolari di potenza . . . . . . . . . . . . 36
1.5.2 Classi di potenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
1.5.3 Classe A . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40
1.5.4 Classe B . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
1.5.5 Classe AB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
1.6 Modelli dell’A.O. reale . . . . . . . . . . . . . . . . 53
1.6.1 Offset di tensione e corrente . . . . . . . . . . . . . . 54
1.6.2 Dinamica di ingresso di modo comune . . . . . . . . 55
1.6.3 Dinamica di uscita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
1.6.4 Impedenze di ingresso . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
1.6.5 Guadagno differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
1.6.6 Amplificatore operazionale CMOS . . . . . . . . . . 60
1.7 Dimensionamento di un amplificatore . . . . . . . 61
1.7.1 specifiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
1.7.2 Progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
1.8 Risposta in frequenza . . . . . . . . . . . . . . . . . 68
1.8.1 Funzione di trasferimento . . . . . . . . . . . . . . . 68

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1.8.2 Guadagno d’anello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70
1.8.3 Prodotto banda-guadagno . . . . . . . . . . . . . . . 74
1.8.4 Slew Rate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77

1.1 Analisi introduttiva


1.1.1 Amplificatori operazionali ideali
approccio più semplice allo studio dei circuiti basati su amplificatori ope-
L’ razionali prevede l’utilizzo di un modello “blackbox” (che non specifica
come sia costituito all’interno il dispositivo in questione).
La rappresentazione più comunemente utilizzata per l’amplificatore opera-
zionale è quella di un “triangolo”, dotato di due morsetti di ingresso, due mor-
setti di alimentazione (spesso omessi nei circuiti) ed un morsetto di uscita; i
morsetti di ingresso, caratterizzati dai simboli “+” e “-” (rispettivamente detti
anche “ingresso non invertente” e “ingresso invertente”), sono gli ingressi dei
segnali che l’amplificatore operazionale dovrà, per l’appunto, amplificare; i mor-
setti di alimentazione, come il nome suggerisce, hanno lo scopo di polarizzare e
fornire potenza al circuito contenuto all’interno dell’amplificatore operazionale,
al fine di poterlo utilizzare correttamente.
Le equazioni che governano il funzionamento di un amplificatore operazionale
“ideale” sono:

i+ = i− → 0

vd = v+ − v− → 0
Queste equazioni sono fondamentali al fine dello studio di un generico cir-
cuito contenente uno (o più) amplificatori operazionali. Dal momento che l’am-
plificatore operazionale ha guadagno tendente a infinito, si può intuire che, per
avere un’uscita finita, ossia affinché il risultato dell’operazione di prodotto tra
tensione differenziale vd (tensione tra i morsetti + e -) e guadagno differen-
ziale Ad dell’amplificatore sia finito, si debba avere vd → 0. Di conseguenza
nell’amplificatore operazionale ideale la caduta di tensione tra i morsetti è quasi
nulla e la corrente di ingresso è quasi nulla, indipendentemente dalla resistenza
differenziale presente tra i morsetti d’ingresso. Per semplificare i conti, si può
pensare che i morsetti dell’operazionale oppongano alle correnti di ingresso una
resistenza differenziale rd → ∞.
Riassumendo, le caratteristiche fondamentali dell’amplificatore operazionale
ideale sono:

• Guadagno differenziale tendente a infinito;


• Resistenza differenziale d’ingresso tendente a infinito (ipotesi comoda ma
non necessaria);
• Resistenza di uscita tendente a 0;
• Tensione differenziale di ingresso tendente a 0;
• Correnti entranti negli ingressi tendenti a 0.

Proviamo ad utilizzare le nozioni appena apprese in un esempio pratico.

5
R2

R1
vu

vi

Figura 1.1: Amplificatore non invertente.

Esempio 1. Consideriamo il circuito di esempio della figura 1.1.


Questo circuito, come vedremo tra breve, è un amplificatore non inverten-
te, ossia amplifica un segnale senza invertirne la fase (o aumentarla/diminuirla
di 180◦ ). In quanto amplificatore, esso avrà un certo guadagno, definito come
rapporto tra tensione di uscita, vu , e tensione di ingresso, vi .
Si può vedere facilmente, tenendo conto delle equazioni di funzionamento del
dispositivo, che:
R1
vu · = v−
R1 + R2
Ma dal momento che v+ = v− = vi :

R1 + R2
 
vu R2
= = 1+
vi R1 R1
Vogliamo, a questo punto, trarre alcune conclusioni riguardo l’esempio pra-
tico appena presentato:

• In questa prima parte della trattazione, l’amplificatore operazionale verrà


utilizzato retroazionato. La reazione negativa comporterà, come in qual-
siasi tipo di sistema dotato di reazione, gli effetti già noti dai primi corsi
di Elettronica: variazioni delle impedenze di ingresso o uscita, aumento
della banda passante e altro.
• Quando la reazione è collegata al morsetto “-” dell’operazionale, essa è
“negativa”, in quanto il segnale va sempre in contrapposizione all’ingresso,
diminuendolo. Una reazione sul morsetto non invertente sarà positiva;
• Nella teoria dei controlli automatici, i sistemi retroazionati sono spesso
modellati con un blocco di amplificazione A e un blocco di retroazione β
(figura 1.2). Nel caso degli amplificatori operazionali, è spesso semplice

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distinguere il blocco A dal blocco β; il blocco β è il circuito (rete passiva,
in questo caso) in grado di “riportare” una parte del segnale di uscita
all’ingresso. Dal momento che, con questa topologia, il segnale “riportato
al morsetto invertente” è pari a:
R1
vu · = v− = v+
R1 + R2

si può dire che:

R1
β=
R1 + R2

Ve Vu

Figura 1.2: Sistema retroazionato.

1.1.2 Amplificatori operazionali non ideali


Il nostro discorso prevede diverse approssimazioni: gli amplificatori operazionali
reali hanno caratteristiche che si discostano dal modello ideale.
Abbiamo visto che si può realizzare un amplificatore non invertente sempli-
cemente selezionando le resistenze del blocco di retroazione, in modo da ottenere
un certo rapporto. Ma il rapporto è veramente l’unica cosa che conta? Per porre
la domanda in un modo diverso: utilizzare resistori da 1 Ω e 9 Ω produce lo
stesso risultato dell’uso di resistori da 1 MΩ e 9 MΩ, o di 1 mΩ e 9 mΩ?
La risposta ovviamente è no: gli amplificatori operazionali reali presentano
effetti di non idealità tali da essere condizionati dall’ordine di grandezza del-
le resistenze utilizzate. Come si può evincere da uno studio dell’amplificatore
operazionale a livello di transistori, si vedrà perché non sia possibile utilizzare
qualsiasi resistore. Sostanzialmente, le non-idealità sono:

• Guadagno Ad non infinito;


• Resistenza differenziale rd non infinita e resistenza di uscita non nulla;
• Correnti entranti non nulle;
• Tensione differenziale non nulla;
• Dinamica di tensione di ingresso e di tensione/corrente d’uscita non infi-
nite.

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Procediamo per gradi, presentando modelli via via più perfezionati rispetto
a quello ideale; si noti che l’approccio in uso non motiva le non idealità, bensì
studia il comportamento del circuito in presenza di una non idelità. La giu-
stificazione della presenza delle non idealità, partendo dall’esame dell’interno
dell’amplificatore operazionale, avverrà nel seguito della trattazione.

Guadagno differenziale
Presentiamo un primo perfezionamento del nostro modello: consideriamo, delle
non idealità prima elencate, il fatto che Ad < ∞. Il fatto che Ad non sia infinito
comporta il fatto che, per avere un’uscita non nulla, serva una vd 6= 0. Il nuovo
modello del dispositivo, dunque, sarà quello della figura 1.3.

R2

R1
vu
vd

+
Ad vd
vi

Figura 1.3: Primo modello circuitale dell’amplificatore operazionale non ideale:


Ad < ∞.

Si avrà che:

v− = vi − vd = vu · β
Però, si può anche dire che:
vu
vd =
Ad
Da qui:

1
 
vu
vi − = vu · β −→ vu β + = vi
Ad Ad
Quindi:

βAd + 1 vu Ad 1 βAd 1 T
vu · = vi −→ = = · = ·
Ad vi 1 + βAd β 1 + βAd β 1+T

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Nella teoria dei circuiti retroazionati, T , βAd è il “guadagno di anello”.
Si noti, da questo modello, che nei casi pratici lo scostamento del compor-
tamento del circuito dal caso ideale è molto piccolo: per avere uno scostamento
del 50 % dal caso ideale, si dovrebbe avere un guadagno di anello, T , pari a
1. Nella realtà, i peggiori degli amplificatori operazionali potrebbero avere un
guadagno differenziale, Ad , pari a 10000; imponendo al circuito un valore di
guadagno veramente elevato, β potrebbe essere nell’intorno di 1/1000. Pochi
circuiti reali richiedono ad un singolo stadio di amplificazione un guadagno così
elevato, perché si avrebbero problemi con il comportamento in frequenza del
circuito. In ogni caso:
10000
T ≃ = 10
1000
Si ha ancora, in queste condizioni decisamente estreme, uno scostamen-
to tra il guadagno del circuito reale e quello del circuito ideale pari al 10%,
normalmente accettabile.

Impedenza d’ingresso
Possiamo complicare la nostra trattazione inserendo altre non idealità: le impe-
denze degli amplificatori operazionali. Consideriamo una resistenza differenziale
rd non infinita (non consideriamo per ora la resistenza di uscita, dunque la
tensione viene ancora prelevata da un generatore ideale di tensione).

R2

Iu
R1
vu

rd vd
+
Ad vd

Ix

vx

Figura 1.4: Secondo modello circuitale dell’amplificatore operazionale: resistenza


d’ingresso.

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Si vuole calcolare zi e, per far questo, al posto di vi si introduce un generatore
di tensione noto di prova, Vx . Al fine di determinare l’impedenza d’ingresso, si
calcola la corrente uscente da Vx ;

Vx = Ix · rd + R1 · (Iu + Ix )

vd = rd · Ix ; vu = Ad vd = Ad rd Ix
Inoltre:

vu = R2 Iu + R1 (Iu + Ix ) −→ Ad rd Ix = R2 Iu + R1 (Iu + Ix )
Raccogliendo Iu :
Ad rd Ix − R1 Ix
Iu (R1 + R2 ) = Ad rd Ix − R1 Ix −→ Iu =
R1 + R2
Sostituendo ciò nell’espressione di Vx , si può determinare:

Ad rd Ix + R2 Ix
 
Vx = Ix rd + R1 Ix + R1
R1 + R2
Svolgendo le moltiplicazioni, si può ottenere:
R1 R1 R2
Vx = Ix rd + Ad rd Ix + Ix
R1 + R2 R1 + R2
R1
Ricordando che β = R1 +R2
Si ottiene che:
Vx
zi = = rd (1 + βAd ) + R1 //R2
Ix
Il secondo termine si può spesso considerare trascurabile rispetto al pri-
mo (concorre ad aumentare l’impedenza, quindi trascurandolo si ottiene un
“worst case”); cosa interessante è il fatto che anche questo modello, decisa-
mente perfezionato rispetto a quello ideale, non comporta particolari modifiche
al comportamento del circuito: la retroazione con confronto in serie fa aumenta-
re notevolmente l’impedenza di ingresso del circuito, rendendo ancora una volta
accettabile l’ipotesi di amplificatore operazionale ideale in molti dei nostri conti.

Impedenza d’uscita
Al fine di perfezionare il modello già presentato occorre considerare gli eventuali
effetti dell’impedenza di uscita. Consideriamo dunque il modello dell’amplifica-
tore operazionale di figura 1.5.
Per calcolare l’impedenza di uscita colleghiamo ad essa un generatore di
tensione di prova, il solito Vx , e dunque consideriamo spenti tutti gli altri gene-
ratori indipendenti del circuito (i pilotati ovviamente no!). La corrente Ix sarà
composta da due contributi: uno che entrerà nel ramo del generatore pilotato
Ad vd e uno che andrà nel ramo di R2 ; è possibile semplificare la trattazione
osservando che I2 ≪ I1 : dal momento che ro è una resistenza molto più piccola
di R1 , R2 , e anche del loro parallelo, potremmo dire che Ix ≃ I1 . Trascurare
I2 comporta l’ottenere come risultato un valore di impedenza più alto di quello

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R2

I2
R1
I1 Ix

rd vd Vx
ro

+
Ad vd

Figura 1.5: Modello dell’amplificatore operazionale con impedenza d’uscita non


nulla.

reale, cosa accettabile quando si vuole verificare che l’impedenza d’uscita sia
ragionevolmente bassa. Si ha quindi che:
Vx − Ad vd
Ix ≃ I1 =
ro
Però, sappiamo anche che vd è esprimibile come:
R1
vd = −βVx = − Vx
R1 + R2
Possiamo dunque dire che:
Vx + Ad βVx
Ix ≃
ro
Da qui:
Ix 1 + βAd
≃ , βAd = T
Vx ro
Quindi:
Vx ro
Zo = ≃
Ix 1+T
Supponendo di avere una resistenza pari a 100 Ω, più alta di quanto si trova
nella maggior parte degli amplificatori reali, se il guadagno di anello fosse intorno

11
vu

vi

Figura 1.6: Voltage follower.

a 1000, ridurremmo di 3 ordini di grandezza la resistenza, che diverrebbe pari a


100 mΩ! Possiamo dunque dire che questo circuito (amplificatore non invertente)
è un buon amplificatore di tensione: impedenza elevata di ingresso e impedenza
bassa di uscita.

1.1.3 Voltage follower


Una variante del circuito del quale abbiamo ampiamente parlato è quella della
figura 1.6.
In questa topologia si ha la massima retroazione possibile: il fatto di avere
come retroazione un corto circuito massimizza la porzione di segnale riportato in
ingresso (β = 1); le conseguenze sono da un lato di rendere unitario il guadagno
del circuito, ma d’altra parte di rendere il guadagno d’anello il più alto pos-
sibile, aumentando moltissimo l’impedenza di ingresso e riducendo dello stesso
fattore quella di uscita; questo circuito assorbirà dunque pochissima corrente
dall’ingresso e in uscita sarà sostanzialmente un generatore ideale di tensione
(ossia a impedenza pressoché nulla).
La configurazione voltage follower è molto utilizzata proprio come “separato-
re d’impedenza”. Torneremo ad occuparci del voltage follower quando parleremo
di risposta in frequenza degli amplificatori operazionali.

1.1.4 Amplificatore di transresistenza


Un’ulteriore topologia circuitale basata sull’amplificatore operazionale è ripor-
tata in figura 1.7.
L’ingresso è in corrente, l’uscita è in tensione; poiché il rapporto tra l’u-
scita e l’ingresso è dimensionalmente una resistenza, questa topologia è detta
amplificatore di “transresistenza”. Dal momento che la corrente non entra nel
morsetto invertente del dispositivo, la corrente va tutta verso R2 , quindi si avrà
una tensione di uscita pari a:

Vu = −IR R2

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R2

Vu

IR

Figura 1.7: Amplificatore di transresistenza.

In sostanza, questa topologia circuitale “trasforma” la corrente in tensione,


fornendo un’uscita per l’appunto in tensione, proporzionale della resistenza R2 .
Analizzando questo circuito si può facilmente notare che sia l’impedenza di
ingresso sia quella d’uscita sono molto basse.

1.1.5 Amplificatore invertente


L’amplificatore di transresistenza è alla base di questa topologia, rappresentan-
te, assieme all’amplificatore non invertente, una delle più diffuse configurazioni
per quanto riguarda l’utilizzo lineare dell’amplificatore operazionale. Nella fat-
tispecie, come vedremo tra breve, questa topologia sarà alla base di molti altri
circuiti lineari basati sul dispositivo attivo.
Se, a partire dalla precedente topologia, sostituiamo il generatore di corrente
con un generatore di tensione, seguito da una resistenza in serie come in figura
1.8, otteniamo una configurazione in cui la tensione d’ingresso viene dapprima
convertita in una corrente, che poi viene riconvertita in tensione dall’uscita
dell’amplificatore.
Prima di esporre il (breve) calcolo del guadagno di questo circuito, presen-
tiamone subito il punto debole: la resistenza di ingresso, Ri , è pari a R1 , ossia
alla resistenza in serie al generatore di tensione di ingresso. Infatti, dal momento
che R1 è collegata tra un generatore di tensione e uno “0 V virtuale”, ossia un
morsetto con una differenza di potenziale nulla rispetto ad un morsetto collegato
a 0 V (il morsetto non invertente), si può dire valga l’equazione alla maglia verso
lo 0 V passando per il “-”; introducendo un generatore di prova di tensione, Vx ,
si avrà, su R1 , una corrente Ix pari a:
Vx Vx
Ix = −→ zi = = R1
R1 Ix
A questo punto sappiamo quanta corrente va in R1 , ma sappiamo anche
che nell’operazionale non entra corrente (usando il modello ideale, che finora
si è verificato piuttosto valido; eventualmente si ridiscuterà la cosa); tutta la

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R2

R1
vu

vi

Figura 1.8: Schema dell’amplificatore invertente.

corrente (già quantificata come rapporto tra la tensione di ingresso e R1 ) andrà


dunque verso R2 , così che si avrà:
Vi
Vu = − · R2
R1
Da qui:
Vu R2
=−
Vi R1
Questo amplificatore, dunque, è in grado di amplificare (con un’espressio-
ne molto semplice, dipendente esclusivamente dal rapporto delle resistenze) ed
invertire di fase (ruotare di 180◦) il segnale di ingresso.
Tenendo conto del guadagno Ad non infinito dell’amplificatore operazionale,
si possono rifare i conti ottenendo:
Vi + vd −vd − Vu
=
R1 R2
Ma vd = Vu /Ad , da cui:

R1 + R2
 
R1
Vi = −Vu +
R2 Ad R2
Introducendo β = R1 /(R1 + R2 ) e riordinando i termini si ha infine:

1 1 1
 
Vu R2
=− · 1 = 1 − ·
Vi R1 1 + A β
d
β 1 + A1 β d

Abbiamo dunque ottenuto un altro tipo di amplificatore. Il problema però è


che questo non è un vero amplificatore di tensione. Abbiamo già notato che la
sua impedenza di ingresso è pari a R1 , quindi tutt’altro che elevata, per cui le sue
prestazioni sono influenzate dall’impedenza di uscita della sorgente di segnale,
che diminuirà il guadagno dello stadio. Per quanto riguarda l’impedenza d’uscita

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vCC R1

IR
IO
+
IB1 IB2

T1 T2

IE1 IE2

Figura 1.9: Specchio di corrente realizzato con transistori bipolari.

basta osservare che il circuito che si utilizza per il calcolo è lo stesso del caso
dell’amplificatore non invertente, quindi si ottiene lo stesso valore calcolato nella
sezione 1.1.2.

1.2 Specchi di Corrente


Lo specchio di corrente è uno dei “blocchi fondamentali” dell’amplificatore ope-
razionale: si tratta di un circuito a transistori in grado di fornire una corrente
d’uscita uguale o proporzionale alla corrente di ingresso, chiamata corrente di ri-
ferimento. Questo tipo di topologia può dunque essere utilizzata al fine di creare
generatori di corrente quasi ideali, con una dinamica di tensione molto elevata.
Esaminiamo due implementazioni di questo circuito fondamentale: una ba-
sata sull’uso di transistori bipolari e un’altra basata sui MOSFET.

1.2.1 Specchio di corrente a BJT


Lo schema di uno specchio di corrente compare in figura 1.9.
Vi è una corrente di riferimento IR che può essere generata in diversi mo-
di: nel nostro esempio è stata semplicemente prodotta inserendo una resistenza
tra il morsetto di ingresso e la tensione di alimentazione. Se si vuole ridurre
la dipendenza della corrente di riferimento dal valore della tensione di alimen-
tazione sono possibili alternative, ad esempio utilizzando un diodo zener o un
qualche altro riferimento di tensione. L’uscita attraverso cui scorre la corrente
IO è invece collegata ad un generico carico del circuito (in questo caso si sceglie
di utilizzare come carico un generatore di tensione a tensione variabile). Il lato
di T1 è detto lato debole dello specchio di corrente, il lato di T2 lato forte.
Il transistore T1 è collegato in modalità diodo perché VB = VC , a causa
del corto circuito tra base e collettore. Dal momento che si intende studiare il
solo comportamento del circuito, ignoriamo l’origine delle correnti IR e IO , per

15
IR

Vx

Vx gm Vx rπ

Figura 1.10: Schema per il calcolo dell’impedenza di ingresso dello specchio.

concentrarci solo sui loro legami interni al circuito in questione. Vogliamo, nella
fattispecie, determinare quale funzione lega IO a IR .
Al fine di semplificare i calcoli in questione, è opportuno ricorrere ad alcune
ipotesi semplificative: supponiamo che IB1 e IB2 siano trascurabili rispetto a
IR : ciò permette di dire che IE1 ≃ IR , e che IE2 ≃ IO ; osserviamo poi che,
nel circuito disegnato, VBE1 = VBE2 . Nell’ambito dei circuiti integrati è inoltre
più che ragionevole pensare che, se i due transistor sono vicini, essi siano alla
stessa temperatura (da qui la stessa VT ); detto ciò, ricordiamo le equazioni di
funzionamento del transistore bipolare:
 
IE = IS · eVBE /VT − 1 ≃ IS · eVBE /VT

IR = IS1 · eVBE /VT


IO = IS2 · eVBE /VT
Le correnti di saturazione avrebbero una notevole dipendenza dalla tempera-
tura ma, poiché supponiamo di lavorare su un circuito integrato, una variazione
di temperatura provocherà variazioni di corrente proporzionali nelle due giun-
zioni. Allora il rapporto tra le due correnti dipenderà solo dalla superficie delle
giunzioni dei due dispositivi:
IO IS2 A2
= =
IR IS1 A1
Gli specchi di corrente hanno funzionamento approssimativamente ideale
solo all’interno dei circuiti integrati; questa topologia non ha prestazioni sod-
disfacenti se realizzata con due transistor discreti, in quanto le temperature di
giunzione possono differire di parecchi gradi e variare diversamente nel tem-
po. Una soluzione consiste nell’utilizzare non transistor singoli ma una coppia
differenziale (due transistor accoppiati su uno stesso chip).

Impedenze di ingresso e uscita


Caratterizziamo a questo punto i parametri fondamentali del circuito: impeden-
za di ingresso e di uscita.
Per quanto riguarda T1 , la sua impedenza di ingresso si può ricavare dallo
schema di figura 1.10
Come al solito, l’impedenza di ingresso si calcola utilizzando un generatore di
tensione di prova Vx e misurandone la corrente d’uscita. Dal momento che si ha

16
VBE
rπ gm VBE r0 Vx

Figura 1.11: Schema per il calcolo dell’impedenza di uscita dello specchio.

un corto-circuito tra base e collettore, che “mette in parallelo” rπ e il generatore


pilotato con il quale si modella il BJT, sulla giunzione base-emettitore cadrà una
tensione pari a quella del generatore di prova, per cui la corrente di collettore
sarà gm Vx . Trascurando la corrente di base, la resistenza di ingresso sarà dunque
calcolabile semplicemente come:

Ix = IR = gm Vx

Vx 1
Zi = =
Ix gm
Ricordando che gm = IC /VT , si ha ancora: Zi = VT /IR .
Per quanto riguarda l’impedenza di uscita, si può fare un ragionamento
duale. Si fa riferimento alla figura 1.11
È agevole verificare che l’impedenza di uscita dipende dall’effetto Early. Se
trascurassimo l’effetto Early, potremmo eliminare la ro , e tutta la Vx cadrebbe
sull’impedenza (infinita) del generatore di corrente pilotato; Vx non potrebbe
dunque in alcun modo alterare VBE e dare luogo ad una corrente, e dunque
Ix = 0. Ma:
Vx
Zo = → +∞
Ix → 0
Se invece consideriamo l’effetto Early1 , la corrente proveniente da Vx circola
solamente in ro e quindi essa è l’impedenza di uscita.
Vx Vx
Ix = Zo = = ro
ro Ix
Allora l’impedenza sul ramo utile come generatore di corrente è elevata e que-
sto circuito sarà normalmente un buon generatore di corrente. Tuttavia l’effetto
Early dipende dalla tecnologia impiegata per realizzare i transistori e quindi oc-
corre tenerne conto. Un’altra condizione necessaria al buon funzionamento è che
la tensione di polarizzazione di T2 sia tale da tenere in zona lineare il transistore.
1 La resistenza r serve a tenere conto della dipendenza della corrente di collettore i dalla
o c
caduta di tensione vce . Viene calcolata come rapporto tra un parametro chiamato tensione di
Early VA e la corrente IC di polarizzazione ro = VA /IC . Indicativamente VA è nell’ordine del
centinaio abbondante di volt per npn mentre è più basso per i pnp.

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IR
IO

T1 T2

vBE2
R
vBE1

Figura 1.12: Schema dello specchio con resistenza.

Circuito per elevato rapporto tra corrente di ingresso e uscita


Modificando le aree di giunzione dei due transistori del circuito si può ottenere
uno specchio amplificatore o attenuatore; si dà priorità tuttavia al dimen-
sionamento di T1 , che deve essere il più miniaturizzato possibile; dunque una
soluzione per ottenere uno specchio attenuatore è quella di introdurre un resi-
store sull’emettitore di T2 (figura 1.12), in modo da provocare una differenza tra
le tensioni base-emettitore dei transistori e così ridurre la corrente di emettitore
del secondo transistore.
Vediamo che su R cade una tensione pari a VBE1 − VBE2 ; la corrente IO ,
dunque, trascurando ancora le correnti di base, sarà pari a:
VBE1 − VBE2
IO =
R
Ricavando le VBEi dalle equazioni viste sopra, si ha:
   
IR IO
VBE1 = VT ln ; VBE2 = VT ln
IS1 IS2
Sostituendo e usando le proprietà dei logaritmi, si ottiene:
 
IR IS2
VBE1 − VBE2 = VT ln ·
IS1 IO
Supponendo poi che i transistor abbiano area uguale, le correnti di satura-
zione saranno uguali, dal momento che ci troviamo in un circuito integrato. Si
ha quindi che:
 
VBE1 − VBE2 VT IR
IO = = ln
R R IO
Date R ed IR , è possibile ricavare IO con un procedimento iterativo di risolu-
zione delle equazioni che non ammettono soluzione esplicita. In fase di progetto

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quello che interessa è ricavare il valore della resistenza R che permette di ot-
tenere determinate correnti, quindi in tale caso è semplice risolvere l’equazione
rispetto ad R.

Influenza delle correnti di base


In tutte le relazioni trovate sopra abbiamo sempre trascurato le correnti di base
dei transistor, IB1 e IB2 . Quali sono le approssimazioni commesse, rispetto al
caso reale? Sviluppiamo i conti nel caso di due transistor con la stessa area di
giunzione. La prima operazione da fare è calcolare IE1 tenendo conto delle due
correnti di base. Per quanto riguarda il transistore al lato debole, abbiamo:

IE1 = IB1 + IC1 = IB1 + [IR − (IB2 + IB1 )] = IR − IB2


Per quanto riguarda T2 , invece:

IE2 = IO + IB2
Dal fatto che le tensioni VBE sono uguali e che le correnti di saturazione
sono altrettanto uguali, abbiamo che IE1 = IE2 .

IE1 = IE2 −→ IR − IB2 = IO + IB2


Ma, dal momento che:
IO
IB2 =
β2
Si ha che:
IO
IO = IR − 2
β2
Dunque:
IR
IO =
1 + 2/β2
Analizzando il risultato si vede che il rapporto tra le due correnti dipende
dal β del transistore. Purtroppo β non è facilmente predicibile ed inoltre varia in
funzione della VCE , della temperatura e dell’invecchiamento del componente; il
risultato ottenuto è comunque accettabile per molte applicazioni, dal momento
che β è di solito un numero sufficientemente elevato.

Specchio di precisione
Come è possibile modificare il circuito in modo da ottenere uno specchio di
corrente di precisione? La soluzione tipica è quella di aggiungere un ulteriore
transistore, in modo da ottenere una topologia come in figura 1.13.
Aggiungendo T3 , la IB3 prelevata da IR sarà sensibilmente più bassa rispetto
alla precedente; infatti, si ha che:
IB1 + IB2
IB3 =
β3 + 1
Supponendo che i βi siano tutti uguali, e che β sia ben più grande di 1:

19
VCC

IR
IB3

T3
IO

IB1 IB2

T1 T2

Figura 1.13: Specchio di corrente ad alta precisione ottenuto con un l’aggiunta


di un transistore.

β = β1 = β2 = β3 ; β ≃ β + 1
Si può dire che:
IB1 + IB2 IB1 + IB2 2IB1
IB3 = ≃ =
β3 + 1 β β

IE1 = IR − IB3 + IB1

IE2 = IO + IB2
Per gli stessi motivi di prima, si ha che IE1 = IE2 e da ciò segue che

IR − IB3 + IB1 = IO + IB2


Si può notare, tuttavia, che:
IR − IB3
IR − IB3 = IC1 =⇒ IB1 =
β
IO
IO = IC2 =⇒ IB2 =
β
Dunque:

1
 
IR − IB3 + IB1 = (IR − IB3 ) 1 +
β
1
 
IO + IB2 = IO 1 +
β

20
Da qui, ricordando che IB3 = 2IB1 /β:

2IB1 1 1
    
IR − 1+ = IO 1 +
β β β
Quindi dato che IB1 ≃ IR /β:

2
 
IR 1 − 2 = IO
β
Questo circuito è dunque molto meglio del precedente: se β = 100 (ad esem-
pio), si avrà β 2 = 10000, e quindi la differenza tra le correnti sarà estremamente
ridotta!

1.2.2 Specchio di corrente a MOSFET


Lo specchio di corrente basato sull’uso di transistori a effetto di campo MOS ha
l’aspetto del circuito in figura 1.14.

IR IO

M1 M2

Figura 1.14: Specchio di corrente realizzato con transistori MOS.

La topologia è la stessa ma sono ovviamente diverse le equazioni che ne


governano il funzionamento. M1 è polarizzato in regione di saturazione di canale,
2
in quanto VGS = VDS . Il circuito funzionerà correttamente se anche M2 viene
fatto lavorare nella stessa zona. Per entrambi dunque:

ID = kn (VGS − VT n )2 (1 + λVDS )
Dove:
1 Wn
kn = µn COX
2 Ln
Wn è la lunghezza, Ln la larghezza del dispositivo. Per semplificare la trat-
tazione, spesso l’effetto di channel lenght modulation del MOSFET (λ) verrà
trascurato.
Consideriamo le seguenti equazioni, per i due MOSFET:

IR = ID1 = k1 (VGS − VT n,1 )2


2 Si ricordano le condizioni sulle tensioni per il funzionamento del MOSFET a canale n in
• saturazione: vGS > Vt ∧ vDS > vGS − Vt = vOV
• triodo: vGS > Vt ∧ vDS < vGS − Vt = vOV

21
gm VGS go VDS
VGS VDS

Figura 1.15: Sviluppo dello specchio di corrente a MOSFET secondo i modelli


dei componenti.

IO = ID2 = k2 (VGS − VT n,2 )2


Date VT n,1 = VT n,2 , cosa ragionevole in un circuito integrato, come anche
µn e COX , si può ricondurre tutto alla geometria dei transistori:

IO k2 W2 /L2
= =
IR k1 W1 /L1
Terminiamo la caratterizzazione del circuito calcolando le impedenze di in-
gresso e uscita, con il solito sistema: sviluppando i MOSFET nei loro modelli,
si ottiene il circuito di figura 1.15.
Bisogna determinare due parametri: la transconduttanza gm relativa al MO-
SFET M1 e la go relativa ad M2 .
Si sa che:
∂ID
gm = = 2k1 (VGS − VT n,1 )
∂VGS
Quindi:
2IR
gm =
VGS − VT n,1
Si ha che:
1 VGS − VT n,1
Zi = =
gm 2IR
Allo stesso modo, si calcola il go al variare di VDS :
∂IO 1
go = = λkn (VGS − VT n,2 )2 ≃ λIO −→ Zo =
∂VDS λIO
In applicazioni che richiedono impedenza d’uscita più grande si possono uti-
lizzare altre configurazioni, ad esempio quella di Wilson modificata, costituita
da quattro transistori, che però non sarà qui trattata in dettaglio. Basti sapere
che questa configurazione sfrutta lo stesso meccanismo di aumento della RO del
cascode: esso abbina le elevate impedenza di ingresso e transconduttanza di uno
stadio CS con l’ampia larghezza di banda e le proprietà di buffer di corrente del
CG.

22
1.3 Stadio Differenziale
In questa sezione studieremo le caratteristiche dell’amplificatore differenziale a
transistori, che trova larga applicazione come stadio di ingresso degli amplificato-
ri operazionali. L’amplificatore operazionale, in una rappresentazione a blocchi,
potrebbe essere rappresentato da tre elementi disposti in cascata:

1. Stadio di ingresso: amplificatore differenziale;


2. Stadio intermedio di guadagno in tensione: nell’implementazione bipolare,
spesso uno stadio Darlington;
3. Stadio di uscita di potenza: generalmente questo stadio ha guadagno di
tensione unitario ma è caratterizzato da una bassa impedenza d’uscita,
che permette di disporre di una maggiore corrente (e quindi potenza) sul
carico.

Molti amplificatori CMOS sono realizzati con solo due stadi, eliminando il
terzo stadio in quanto gli altri due producono sufficiente guadagno di tensione
e hanno sufficiente capacità di pilotaggio.
In questa sezione verrà analizzato il primo blocco, cioè lo stadio differenziale.

1.3.1 Modo differenziale e modo comune

V2 Vu
V1

(a)

V1 V2

I1 I2
VBE1 VBE2

IO

(b)

Figura 1.16: Amplificatore differenziale generico (a) e una sua realizzazione con
BJT (b).

Nella figura 1.16a è rappresentato un amplificatore differenziale; l’uscita di


questo stadio sarà una combinazione lineare dei due segnali d’ingresso:

23
Vu = A1 V1 + A2 V2
Perché lo stadio sia differenziale l’uscita dev’essere proporzionale alla diffe-
renza degli ingressi, questo può essere tradotto in un’espressione che può essere
confrontata con la precedente per ricavare un vincolo sulle amplificazioni A1 e
A2 dello stadio.

Vu = K(V1 − V2 )
 
A2
K(V1 − V2 ) = A1 V1 + V2 = A1 V1 + A2 V2
A1
A2
= −1 =⇒ A1 = −A2
A1
I coefficienti devono dunque essere uguali in modulo e opposti in segno.
Per analizzare in modo più comodo questo sistema, matematicamente effet-
tuiamo un cambio di sistema di riferimento: anziché descrivere l’uscita Vu in
termini di combinazione lineare degli ingressi, riscriviamola come combinazio-
ne tra la tensione differenziale vd , ossia la differenza degli ingressi (tensione di
modo differenziale) e un secondo termine VC , la tensione di modo comune,
o valor medio degli ingressi
Nella figura 1.17 sono rappresentati due segnali sinusoidali V1 e V2 e i corri-
spondenti modi comune VC e differenziale vd . I nuovi parametri sono derivabili
semplicemente dalle due tensioni di ingresso:

vd = V1 − V2

VC = (V1 + V2 )/2
Il risultato introducendo questa nuova base si può esprimere l’uscita come
combinazione lineare dei due nuovi segnali vd e VC e non più come grandezza
proporzionale alle due tensioni V1 e V2 ai terminali:

Vu = Ad vd + AC VC
Dove:
A1 − A2
Ad = ; AC = A1 + A2
2
Ciò che abbiamo fatto con questa operazione è separare i modi di funziona-
mento dell’amplificatore, ossia considerare il sistema come se fosse composto da
due stadi: l’amplificatore differenziale amplifica esclusivamente la differenza tra
i segnali di ingresso, mentre l’amplificatore di modo comune amplifica (o meglio,
attenua) esclusivamente la media tra i segnali di ingresso.
L’amplificatore differenziale ideale, per definizione, deve amplificare solo il
modo differenziale e quindi ha Ad molto grande e AC nullo, in modo da non
amplificare la componente di modo comune dei segnali in ingresso ma piuttosto
annullarla. Al limite si vorrebbe che l’uscita di un amplificatore differenziale Vu
sia solo funzione di vd :

Vu = Ad vd

24
V

V1
3

VC
1

V2
0

−1
0 2 4 6 8 t
(a)

V1
3

2
vd

V2
−1
0 2 4 6 8 t
(b)

Figura 1.17: Modo comune (a) e modo differenziale (b) di una coppia di segnali
sinusoidali V1 e V2 . Si osservino i valori in corrispondenza dei massimi, minimi
e zeri dei segnali.

25
Tuttavia, l’espressione completa della combinazione lineare dei due modi
sarà riscrivibile come segue introducendo il rapporto tra le amplificazioni dei
due modi:
 
AC VC
Vu = Ad vd 1 +
Ad vd
Questo significa che tanto più il termine di guadagno di modo comune, AC ,
è elevato rispetto al guadagno “utile” Ad , tanto più si avranno errori rispetto al
funzionamento ideale del dispositivo differenziale.
Al fine di determinare la bontà di un amplificatore di questo tipo, si intro-
duce un parametro fondamentale, in grado di quantificare l’errore commesso a
causa dell’amplificazione di modo comune. Questo parametro è chiamato CMRR
(Common Mode Rejection Ratio), ed è definibile come:
 
Ad Ad
(CMRR)dB , = 20 · log10
AC dB AC
Più il CMRR è elevato, migliore sarà lo stadio differenziale realizzato.
Come qualunque altro circuito attivo, lo stadio differenziale deve essere ali-
mentato; dall’alimentazione dipenderanno la dinamica di ingresso di modo co-
mune e la dinamica di ingresso di modo differenziale. Cosa sono queste dina-
miche? Come tutti gli amplificatori, il dispositivo funziona bene se è in stato
di linearità. I segnali di ingresso dunque devono rientrare in precisi limiti di
tensione per garantire il funzionamento in linearità dei transistori. Questi li-
miti saranno chiariti analizzando la struttura interna del sistema, per adesso
basti sapere qualitativamente che in particolare non devono essere applicati agli
ingressi:

• segnali con modo comune tale da portare in interdizione o in saturazione


i transistori di ingresso o, a causa dell’amplificazione di modo comune del
sistema, portare fuori linearità gli stadi successivi; la dinamica di modo
comune è dunque l’intervallo di ampiezze del modo comune tale per cui nei
dispositivi attivi contenuti all’interno dell’amplificatore non intervengano
fenomeni di non linearità;
• segnali con modo differenziale in grado di far raggiungere all’uscita valori
di tensione eccessivamente elevati, tali far intervenire fenomeni di non
linearità nei dispositivi interni all’amplificatore; l’intervallo di valori che il
modo differenziale può assumere è detto dinamica di modo differenziale.

Le due dinamiche di ingresso appena esposte sono connesse alla tensione


di alimentazione dello stadio differenziale. Per quanto riguarda la dinamica di
ingresso differenziale, non avremo grossi problemi, dal momento che, di solito,
l’amplificatore differenziale è utilizzato per “piccoli segnali” e in un sistema
retroazionato, in cui il segnale differenziale vd è mantenuto circa nullo dalla rete
di retroazione.
Più attenzione occorre porre alla dinamica d’ingresso di modo comune: pren-
dendo ad esempio il voltage follower di figura 1.6, si nota che la tensione d’ingres-
so di modo comune equivale praticamente al segnale Vi , perché Vi è applicato
al morsetto non invertente e la reazione fa sì che all’incirca la stessa tensione
sia applicata anche al morsetto invertente dell’amplificatore. I limiti entro cui

26
potrà variare il segnale d’ingresso allora sono dettati proprio dalla dinamica di
ingresso di modo comune.
Da questo punto di vista l’amplificatore invertente non ha limitazioni dalla
dinamica di ingresso di modo comune in quanto la tensione d’ingresso viene
convertita in corrente (entrambi i terminali di ingresso si trovano a 0 V reali o
virtuali) e quindi i limiti del circuito sono dettati solo dalla dinamica d’uscita.

1.3.2 Amplificatore differenziale a BJT

+VAL

RC RC

V1 V2

I1 I2
VBE1 VBE2

IO

−VAL

Figura 1.18: Amplificatore differenziale a BJT.

In fig. 1.18 è rappresentato lo schema dell’amplificatore differenziale a tran-


sistor bipolari. Date in ingresso ai morsetti dell’amplificatore due tensioni V1 e
V2 , si nota che la tensione differenziale è pari alla differenza delle tensioni di
giunzione base-emettitore dei due transistori:

vd = VBE1 − VBE2
È possibile ricavare le VBE dalle equazioni di funzionamento dei BJT che le
mettono in relazione le correnti I1 e I2 .

I1 = IS1 eVBE1 /VT

I2 = IS2 eVBE2 /VT


Ipotizzando al solito di costruire questo stadio su di un circuito integrato,
possiamo supporre che i due transistor abbiano la stessa area di giunzione e che
siano alla stessa temperatura. Di conseguenza le correnti inverse di saturazio-
ne possono essere considerate uguali; da ciò, calcoliamo il rapporto delle due
correnti I1 e I2 , come:
I1 IS
= 1 e(VBE1 −VBE2 )/VT = e(VBE1 −VBE2 )/VT
I2 IS2

27
In questa relazione è possibile introdurre il modo differenziale vd = VBE1 −
VBE2 e scrivere la corrente di emettitore di T1 in funzione di quella dell’emetti-
tore di T2 .

I1 = I2 · evd /VT
Osserviamo ancora la topologia del circuito: i due emettitori sono collegati
a un generatore indipendente di corrente, IO ; si può dunque scrivere, usando la
legge di Kirchhoff dei nodi, che:

IO = I1 + I2

  IO
IO = I2 1 + evd /VT =⇒ I2 =
1 + evd /VT

IO · evd /VT
I1 =
1 + evd /VT
Studiamo ora graficamente queste funzioni, analizzandone in particolare gli
andamenti asintotici e nell’intorno dell’origine (figura 1.19).

I1,2
1
I1
I2

0.8

0.6

0.4

0.2

0
−8 −6 −4 −2 0 2 4 6 8
vd /VT
Figura 1.19: Grafico delle correnti dello stadio differenziale al variare del segnale
di modo differenziale.

Vediamo, facilmente, che:

lim I1 = 0 lim I1 = IO
vd →−∞ vd →+∞

lim I2 = IO lim I2 = 0
vd →−∞ vd →+∞

28
IO
I1 (0) = I2 (0) =
2
La zona in cui entrambe le correnti sono attive è molto ridotta (dal momento
che, in un intorno dell’origine, l’esponenziale presenta un andamento crescen-
te molto accentuato); si può stimare che inoltre le curve siano, in un intorno
dell’origine, linearizzabili, e ossia approssimabili con le rette tangenti, per:

vd ∈ [−VT ; VT ]
La tensione differenziale dell’ingresso del circuito deve essere piccola, al fine
di poter utilizzare un modello lineare; la cosa comunque, come già detto, non
ci causa problemi, dal momento che l’amplificazione totale di un amplificatore
operazionale è molto elevata e il segnale d’ingresso dello stadio differenziale è
necessariamente molto piccolo.
Qual è il guadagno in corrente dello stadio, considerando valida la linearizza-
zione in un intorno di vd = 0 ? Sappiamo che, sviluppando in serie e troncando
al primo ordine, si ottiene:

IO ∂IO IO
I1 ≃ + I1 = + gm0 · vd
2 ∂vd 2


vd =0

Da qui:
IO
I2 = IO − I1 ≃ − gm0 · vd
2
Il termine gm,0 è una transconduttanza, che rappresenta il fattore di pro-
porzionalità tra ingresso in tensione vd ed uscita in corrente dell’amplificatore;
Cerchiamo di quantificare il termine I1 − IO /2:
IO I1 − I2
I1 − =
2 2

IO IO evd /VT − 1
I1 − =
2 2 evd /VT + 1
Ma, ricordando la definizione di tangente iperbolica3 , si può scrivere che:
  
IO vd
I1 = 1 + tanh
2 2VT
Vogliamo approssimare la tangente iperbolica nell’origine con un termine
lineare. Lo sviluppo in serie della tangente iperbolica in questo intorno è:

x3 2
tanh(x) = x − + x5 − · · ·
3 15
Quindi nell’intorno di vd = 0 si può scrivere:
3
ex − e−x e2x − 1 1 − e−2x
tanh(x) = = 2x =
ex + e−x e +1 1 + e−2x

29
 
IO vd IO IO
I1 ≃ 1+ = + vd
2 2VT 2 4VT
Da qua, mediante confronto con la precedente espressione di I1 , si ottiene il
valore di gm0 . Ragionando su un singolo transistore della coppia (alimentato da
metà di IO ) si può introdurre il corrispondente parametro gm 4 .

IO 1 IO /2 1
gm,0 = = = gm
4VT 2 VT 2

Amplificazione di modo differenziale Simboleggiando con RC i carichi


(supposti identici) dei collettori dei transistori della coppia differenziale, è pos-
sibile calcolare la tensione differenziale di uscita, cioè quella che si potrebbe
prelevare tra i due collettori dello stadio (ognuno caricato con una RC ).
 
IO
vc1 = −RC Ic1 = −RC + gm0 vd
2
 
IO
vc2 = −RC Ic2 = −RC − gm0 vd
2
vc1 − vc2 = −2RC gm0 vd
Ad,12 = −2RC gm0
Questa è la tensione di uscita differenziale che è possibile prelevare tra i due
collettori. Se si prelevasse la tensione solo sul collettore di uno dei due transistori
il guadagno sarebbe dimezzato.

Amplificazione di modo comune La corrente prodotta dal generatore idea-


le di corrente posto sugli emettitori della coppia differenziale è indipendente
dalla tensione ai suoi capi. In altre parole, presenta ammettenza nulla (circuito
aperto) nel modello di piccolo segnale.
In realtà, come generatore di corrente si utilizza normalmente uno specchio
di corrente. Per calcolare il guadagno di modo comune occorre allora model-
lare lo stadio differenziale utilizzando un generatore con una resistenza ro in
parallelo(fig. 1.20), ricordando quanto già osservato nel paragrafo 1.2.1.
Dato in ingresso ad entrambi i morsetti uno stesso segnale di modo comune
VC , potremo valutare l’amplificazione di modo comune dello stadio. La corrente
IO′
è data dalla somma di IO e della corrente che scorre nella resistenza ro che
tiene conto delle non idealità del generatore; si avrà che:
VC − VBE

IO = IO +
ro
Nel modello di piccolo segnale è presente ro sugli emettitori. Dato che il
circuito è idealmente simmetrico e presenta lo stesso ingresso, si può immaginare
di spezzarlo in due dividendo la ro in una coppia di resistenze poste in parallelo,
che insieme siano equivalenti a ro , quindi pari ognuna a 2ro .
Se la tensione di uscita viene prelevata tra i due collettori, il modo comune
in uscita viene eliminato (almeno idealmente) perché entrambi i terminali si
4 La transconduttanza di un transistore bipolare g
m è pari al rapporto tra la corrente di
polarizzazione e la tensione equivalente della temperatura VT .

30
vC vC

I1 I2
VBE1 VBE2

vA rO IO


IO

Figura 1.20: Schema dello stadio differenziale con generatore reale di corrente.

trovano allo stesso potenziale e quindi la differenza è nulla. Invece se l’uscita


viene prelevata tra uno solo dei collettori e lo 0 V di riferimento, il modo comune
VC viene amplificato.
Relativamente al modo comune, ognuno dei due transistor della coppia dif-
ferenziale forma uno stadio di amplificazione a emettitore comune, dato che tale
tensione entra nella base e l’uscita è prelevata sul collettore. L’amplificazione
del modo comune è pari a

1 βRC βRC RC
vc1 = −VC βRC =⇒ AC = − ≃− ≃−
ZiB (β + 1)2ro + rπ (β + 1)2ro 2ro

Quindi AC , che vorremmo fosse nulla, dipende dalla resistenza di uscita del
generatore di corrente che polarizza lo stadio differenziale. Esso dovrebbe essere
il più ideale possibile (ro → ∞) per ridurre AC .
Per valutare la bontà dello stadio differenziale con uscita prelevata su un
solo collettore, valutiamo il CMRR facendo il rapporto tra l’amplificazione
differenziale e di modo comune in dB.

Ad
= 20 log RC gm0 = 20 log gm0 ro

CMMR = 20 log

AC RC /(2ro ) 2
Il modello utilizzato è molto semplice perché non tiene conto di alcuna asim-
metria del sistema: è sufficiente una piccola differenza tra le resistenze viste come
carico dai due collettori affinché le amplificazioni dovute ai due transistori della
coppia siano diverse l’una dall’altra e si abbia AC 6= 0 anche nel caso che l’uscita
sia prelevata in modo differenziale tra i due collettori. La stessa osservazione si
può ripetere ragionando sul β dei transistor.

31
VAL

RD RD

I1 I2
M1 M2
V1 V2

VGS1 VGS2

I0

−VAL

Figura 1.21: Stadio differenziale MOS.

1.3.3 Amplificatore differenziale a MOSFET


Come per lo specchio di corrente, è possibile realizzare un amplificatore diffe-
renziale anche a partire da transistori di tipo MOS, utilizzando una topologia
analoga al circuito a BJT. Lo schema di riferimento è visibile in fig. 1.21.
Il comportamento del circuito assomiglia a quello del differenziale a BJT,
con l’importante differenza di non assorbire corrente continua dagli ingressi.
Si ha:

vd = V1 − V2 = VGS1 − VGS2
Quando vd = 0, se i due transistori sono uguali, la corrente che scorre nei
due drain è uguale, quindi I1 = I2 = I0 /2, così come sono, per definizione, ugua-
li le due VGS . Chiamiamo VGS0 la tensione Gate-Source in queste condizioni.
Possiamo allora esprimere V1 e V2 in funzione di VGS0 e vd :

V1 = VGS0 + vd /2

V2 = VGS0 − vd /2

Supponiamo inoltre che i valori di V1 , V2 , I0 , VAL e RD siano tali da portare


i transistori a lavorare in zona di saturazione di canale. Possiamo allora trovare
il valore di VGS0 risolvendo l’equazione seguente:
I0
I1 = kn (VGS0 − Vtn )2 =
2
dove kn e Vtn assumono lo stesso valore introdotto nella sezione 1.2.2.
Il legame tra I1 e vd non è lineare, dipendendo dall’equazione:
vd
I1 = kn (VGS0 + − Vtn )2
2
ma può essere linearizzato nell’intorno di vd = 0 introducendo una transcon-
duttanza gm0 , analogamente a quanto fatto per il differenziale a BJT.

32
I1 ≈ I0 /2 + gm0 vd

I2 ≈ I0 /2 − gm0 vd
Per ottenere il valore di gm0 occorre derivare l’espressione di I1 .
 
∂I1
gm0 = = kn (VGS0 − Vtn )
∂vd vd =0
Confrontando questa espressione con l’eguaglianza trovata sopra per I0 /2, si ha:
I0 1
gm0 =
2 (VGS0 − Vtn )
Anche in questo caso, le correnti I1 e I2 saturano a 0 o I0 per ampi valori di
vd .

1.4 Schema semplificato di un amplificatore ope-


razionale
Dopo avere analizzato il funzionamento dello specchio di corrente e dello stadio
differenziale, possiamo costruire lo schema base dell’amplificatore operazionale.
In questo modo sarà possibile comprenderne il principio di funzionamento in-
terno (limiti di dinamica, problemi di scostamento dal modello ideale) e quindi
utilizzarlo in modo più consapevole nel progetto di circuiti che precedentemente
sono stati analizzati pensando all’A.O. come ad una “scatola nera”.
Lo schema è presentato in fig. 1.22.
Analizziamo nel dettaglio questo schema, giustificando la presenza di cia-
scun elemento ed il suo ruolo nel circuito complessivo, le sue caratteristiche e
prestazioni rispetto ad altre soluzioni.

Alimentazione Il circuito in esame deve essere alimentato con una coppia


di tensioni simmetriche pari a ±VAL . Esistono amplificatori operazionali adatti
ad operare con una sola tensione di alimentazione positiva (monoalimentazio-
ne) riferita a 0 V. Non studieremo i dettagli circuitali di questi integrati, ma
discuteremo in seguito quali accorgimenti utilizzare in presenza di singola ali-
mentazione. In questa descrizione si supporrà di usare tensioni simmetriche, però
evidenziando il fatto che non è strettamente necessario che tensione positiva e
negativa abbiano lo stesso valore in modulo.

Specchio di polarizzazione Lo stadio differenziale (T1 , T2 ) necessita per la


sua polarizzazione di un generatore di corrente il più ideale possibile. Perciò si
introduce la coppia di transistori (T3 , T4 ) che realizzano uno specchio di corrente.
Nel nostro schema semplificato la corrente di riferimento di questo specchio
viene prodotta tramite una resistenza RM collegata a +VAl . La scelta di una
resistenza non è sempre la migliore, in quanto, rispetto a circuiti più complicati,
peggiora la reiezione alle variazioni della tensione di alimentazione (PSRR).

33
+VAL

T5 T6 T8
RM
T7
IB7

I1 I2

OUT

IN1 IN2
T1 T2

T4 T9
T3

−VAL

Figura 1.22: Modello circuitale di un semplice amplificatore operazionale.

Amplificatore differenziale Lo stadio differenziale (composto da T1 e T2 )


è il cuore dell’ingresso dell’operazionale. Un problema che non ci eravamo posti
nella trattazione appena fatta di questo circuito era relativo alla dinamica di
modo comune. Se si torna alle formule viste nel paragrafo 1.3.2 e allo schema
della relativa figura 1.18, si nota che il guadagno di tensione dello stadio è
direttamente proporzionale al valore della resistenza di carico RC . Si vorrebbe
dunque avere RC più alta possibile per ottimizzare il guadagno. Se però si
considera che cosa succede quando vd = 0, si nota che la tensione che si trova
sui collettori vale Vc1 = VAL − Rc1 I0 /2. Perché lo stadio funzioni in linearità
occorre che la tesnione sulla base sia più bassa di quella sul collettore, quindi
più RC è grande, più si riduce la dinamica di ingresso.
Un secondo problema è che da un lato si vorrebbe prelevare un’uscita di
tipo differenziale per massimizzare il guadagno dello stadio, dall’altro il resto
del circuito è più semplice se si usa una configurazione di tipo single-ended.
Si sostituiscono allora le due resistenze di collettore con un circuito più
complicato chiamato carico attivo. Mediante questo circuito si ottiene un’u-
scita differenziale in corrente piuttosto che una differenza di tensioni tra i due
collettori.

Carico attivo Il carico attivo non è altro che uno specchio di corrente for-
mato da T5 e T6 . Esso ha il duplice compito di caricare lo stadio differenziale

34
e fornire in uscita la differenza tra le correnti I1 e I2 circolanti nei collettori. È
necessario che i transistor siano pnp perché la corrente di polarizzazione deve
essere entrante nella coppia differenziale.
Lo specchio di corrente permette di ottenere una buona dinamica di ingresso
di modo comune, almeno sul ramo di T1 , in quanto la tensione di collettore è
all’incirca fissa e pari a +VAL −VEB5 . La tensione sul collettore T2 viene imposta
dallo stadio successivo. Inoltre, l’impedenza vista dal collettore di T2 è alta e
questo permette di avere un alto guadagno di tensione differenziale.
La corrente di riferimento dello specchio è la I1 dello stadio differenziale,
quindi sul lato debole ci si ritroverà una copia della stessa I1 . Nel nodo al quale
sono collegati i collettori di T2 e T6 si può scrivere la seguente equazione dalla
quale ricavare la corrente di uscita.

I1 = I2 + IB7 =⇒ IB7 = I1 − I2 = 2gm,0 vd


In questo modo l’uscita del primo stadio di amplificazione è pari alla differen-
za delle correnti, direttamente proporzionale al modo differenziale. Sfruttando
entrambe le correnti si ottiene anche una transconduttanza doppia.

Amplificatore di tensione In uscita dal primo stadio si deve avere un circui-


to in grado di guadagnare molto in tensione: l’amplificatore operazionale deve
avere un guadagno differenziale di tensione elevatissimo perché dev’essere uti-
lizzato in sistemi retroazionati nei quali si vuole che Ad → ∞ in modo che
la funzione di trasferimento sia determinata solo dalla rete di retroazione β.
Non interessa esattamente a quanto ammonti il guadagno in tensione ad anello
aperto Ad , basta che sia estremamente elevato.
Dai corsi precedenti si sa che un amplificatore a transistor bipolari che gua-
dagna molto in tensione difficilmente ha anche impedenza d’uscita bassa. Sarà
dunque necessario fare seguire questo stadio da un terzo che si occupi di ab-
bassare l’impedenza d’uscita. Un blocco che può fornire un elevato guadagno
in tensione è la coppia Darlington. Nel nostro circuito abbiamo quindi inserito
una coppia darlington formata dai transistor T7 e T8 . Si ricorda che una coppia
darlington ha prestazioni equivalenti ad un “supertransistor”il cui beta vale:

IC = IC7 + IC8 = IB7 · β7 + β8 (β7 + 1)IB7

βeq ≃ β7 β8
Mentre la VB E è:

VBE,eq = VBE,7 + VBE,8 ≃ 2VBE


Come si vede nello schema iniziale, la coppia Darlington viene realizzata
mediante due pnp perchè (come anche per quanto riguarda il carico attivo),
se avessimo collegato l’emettitore del Darlington a −VAL , la base del Darling-
ton e l’uscita dello stadio differenziale sarebbero stati a −VAL + 2VBE , limi-
tando drasticamente la dinamica d’ingresso del sistema e rendendolo di fatto
inutilizzabile.
Con i pnp si usa come tensione di riferimento la +VAL e si allarga notevol-
mente la dinamica di ingresso.

35
Lo stadio Darlington ha un ottimo guadagno di corrente. Per massimizzare
il guadagno di tensione, occorre caricare il collettore con una resistenza elevata.
Per fare questo si usa come carico la resistenza di uscita di T9 , uno dei lati forti
dello specchio doppio (T3 , T4 e T9 ). Questo modo “strano” di prelevare l’uscita è
funzionale alle caratteristiche di ingresso dello stadio successivo, il cui compito,
come già accennato, è quello di abbassare l’impedenza di uscita dell’amplifica-
tore. Nel paragrafo successivo studieremo le caratteristiche di questo circuito,
che nella figura 1.22 è considerato solo a livello di blocco logico.
Come è stato sottolineato precedentemente, non è molto importante sape-
re quanto è il guadagno complessivo dell’amplificatore operazionale ad anello
aperto. È sufficiente garantire che tale guadagno sia molto elevato in modo da
poterlo approssimare come infinito.

1.5 Stadi di Potenza a Transistori Bipolari


Un elemento fondamentale degli amplificatori operazionali, ma anche di molti
altri circuiti elettronici, è lo stadio di potenza. Si tratta di un circuito attivo che
amplifica la potenza del segnale in modo da alimentare correttamente il carico.
Gli amplificatori necessitano di una sorgente da cui attingere la potenza da
aggiungere ai segnali di ingresso. L’alimentazione del circuito fornisce questa
energia. Il rendimento di un circuito è dato dal rapporto tra la potenza assor-
bita dall’alimentazione Pa e quella effettivamente trasferita al segnale prodotto
in uscita Pu , mentre la differenza Pd è dissipata sotto forma di calore. Questa
dissipazione andrebbe ovviamente minimizzata.
Pu Pu
η= = <1
Pa Pu + Pd
Il funzionamento regolare degli amplificatori di potenza è limitato ad un
certo intervallo di valori di tensione, corrente e potenza; anche questo aspetto
deve essere descritto e analizzato con attenzione per non rischiare di utilizzare
questi sistemi fuori dalle loro corrette condizioni di operatività.
Oltre al rendimento ed un’elevata dinamica del segnale in uscita, un altro
parametro fondamentale per quanto riguarda uno stadio di amplificazione è una
bassa impedenza di uscita, in modo che tutto il segnale amplificato possa essere
trasmesso agli utilizzatori che seguono l’amplificatore senza ulteriori perdite.
Cominceremo con l’introdurre i BJT di potenza, presenteremo poi stadi di
amplificazione di potenza, basati sull’idea di mantenere il livello di tensione di
uscita pressochè pari a quello di ingresso e amplificare esclusivamente la corrente.

1.5.1 Transistori bipolari di potenza


Per poter sostenere tensioni e correnti elevate corrispondenti a potenze nell’ordi-
ne di alcuni watt o decine di watt, i BJT devono essere realizzati con dimensioni,
strutture e tecniche differenti rispetto a quelle impiegate per i transistori bipolari
che sono stati considerati fino a questo punto della trattazione (quelli chiamati
di segnale).
I transistori di potenza non trovano solo applicazione negli amplificatori ma
anche nei cosiddetti circuiti riconducibili al settore dell’elettronica di poten-

36
MAXIMUM POWER DISSIPATION
vs
CASE TEMPERATURE
50

Ptot - Maximum Power Dissipation - W


40

30

20

10

0
0 25 50 75 100 125 150
TC - Case Temperature - °C

Figura 1.23: Andamento della potenza dissipabile in funzione della temperatura


del contenitore. Esempio dal data sheet del TIP31C

za: interruttori e sistemi di controllo di reti elettriche, alimentazione e apparati


a motore.
Tensioni e correnti elevate producono potenze elevate che vengono dissipate
sotto forma di calore e quindi portano ad un aumento della temperatura di
giunzione TJ . Affinché il dispositivo non subisca danni irreparabili, è necessario
che la TJ rimanga comunque al di sotto di un certo valore simboleggiato con
TJmax compreso solitamente tra 150 ◦C e 200 ◦C.

Resistenza termica Ipotizzando che la temperatura ambiente nella quale il


transistore si trova ad operare sia TA , se esso deve dissipare una potenza PD
allora la temperatura di giunzione subisce un incremento ∆TJ direttamente
proporzionale a PD .

∆TJ = TJ − TA = θJA PD
La costante di proporzionalità θJA prende il nome di resistenza termica e cor-
risponde all’incremento di temperatura dovuto alla dissipazione di 1 W: pertanto
si misura in ◦C/W. Per poter dissipare una grande potenza senza incrementare
molto la temperatura occorre avere la resistenza termica più bassa possibile.
La resistenza termica tra giunzione ed ambiente è anche definibile come il
rapporto tra il massimo incremento di temperatura a partire da TA0 e la massima
potenza dissipabile a tale temperatura PD0 . Allora ad una temperatura ambiente
qualsiasi TA è possibile dissipare al massimo PDmax .

37
TJmax − TA0 TJmax − TA
θJA = PDmax =
PD0 θJA
Il parametro θJA è scomponibile in alcuni contributi che si sommano e sin-
golarmente rappresentano la resistenza termica tra giunzione e contenitore θJC
e tra contenitore ed ambiente θCA . Quest’ultima eventualmente può essere ulte-
riormente scomposta in resistenza tra contenitore e dissipatore (heat sink) θCS
e tra dissipatore ed ambiente θSA .
Il progettista può agire su alcuni di questi parametri per aumentare la pos-
sibilità di dissipare potenza dei transistori che maggiormente rischiano di dan-
neggiarsi introducendo conduttori metallici nel progetto per facilitare il tra-
sferimento di calore all’ambiente mediante fenomeni di irraggiamento e conve-
zione. Introducendo questi apparati aggiuntivi si cambia la resistenza termica
complessiva, passando ovviamente ad una di valore più piccolo.
Il dissipatore infinito è un sistema ideale che è caratterizzato da θCA = 0
e quindi impone TC = TA , riducendo la resistenza termica complessiva al solo
contributo θJC e rappresenta la massima potenza dissipabile dal dispositivo ad
una certa temperatura.
I produttori dei transistori forniscono un grafico come quello riportato in
figura 1.23. Esso riporta la massima potenza dissipabile dal dispositivo in cor-
rispondenza della temperatura del contenitore. Per TC < TC0 = 25 ◦C è dissi-
pabile una potenza PD0 mentre al crescere della temperatura PDmax decresce
linearmente fino ad annullarsi quando TC = TJmax .

Parametri BJT di potenza I transistori bipolari di potenza hanno dimen-


sioni differenti da quelli di segnale e perciò anche parametri tipici differenti.
È interessante osservare la forma della Safe Operating Area (fig. 1.24), luo-
go dei punti del piano VCE /IC della caratteristica del BJT che rappresentano
degli stati di funzionamento regolare. All’esterno della curva tensione-corrente
il dispositivo può restare danneggiato irrimediabilmente. La SOA può essere
disegnata su assi lineari o logaritmici (scelta standard per i data sheet).

• All’esponente dell’espressione esponenziale che rappresenta la dipendenza


della IC dalla VBE compare un fattore correttivo η = 2 al denominatore
per correnti elevate, come accade per i diodi.
• Il β dei BJT di potenza è più basso di quelli di segnale, essendo solitamente
nell’ordine delle decine.
• La resistenza differenziale che modellizza la giunzione base-emettitore è
nell’ordine di pochi Ω, invece la resistenza serie della base non è trascura-
bile.
• La massima corrente di collettore sopportabile ICmax è nell’ordine delle de-
cine di ampère, mentre la massima tensione BVCEO è normalmente com-
presa tra 50 V e 500 V, oltre ai quali la giunzione base-collettore polarizzata
inversamente entra in breakdown, che spesso ne causa la rottura.
• Le due iperboli indicate con 1 e 2 nel grafico della SOA (rappresentate da
segmenti rettilinei a causa degli assi logaritmici usati nell’esempio) deri-
vano rispettivamente da: il limite di potenza dissipabile alla temperatura

38
MAXIMUM FORWARD-BIAS
SAFE OPERATING AREA
100

DC Operation
10
IC - Collector Current - A IC MAX
1
1·0
2

0·1

VBV CEO

0·01
1·0 10 100 1000
VCE - Collector-Emitter Voltage - V

Figura 1.24: Safe Operating Area. Esempio dal data sheet del TIP31C

considerata (VCE · IC = PDmax ) e dal limite di breakdown secondario cau-


sato dalle disuniformità della densità di corrente attraverso la giunzione
(IC · (VCE )α = cost.).

Infine, i transistori bipolari di potenza sono distinguibili dagli altri a causa


del contenitore, studiato per dissipare agevolmente calore come è stato discusso
precedentemente.

1.5.2 Classi di potenza


Esistono diverse soluzioni circuitali per realizzare amplificatori di potenza. Le
caratteristiche degli amplificatori risultanti dipendono da alcuni paramteri pro-
gettuali, comuni a soluzioni diverse. Riferendosi a segnali di ingresso di tipo
sinusoidale e alla configurazione dello o degli elementi finali di potenza, sono
allora definite le seguenti “classi”:

• Classe A: un solo elemento di potenza, in cui scorre corrente per l’intero


ciclo del segnale sinusoidale (angolo di conduzione: 360◦ ).
• Classe B: due elementi di potenza, entrambi conducono alternativamente
per un semiperiodo del segnale (angolo di conduzione: 180◦ ).
• Classe AB: due elementi di potenza, entrambi conducono per più di un
semiperiodo del segnale (angolo di conduzione: > 180◦). In questo caso ci
sono degli istanti in cui entrambi gli elementi sono in conduzione.

39
• Classe C: un elemento di potenza, che conduce per alcuni tratti del periodo
del segnale (angolo di conduzione: < 360◦ ).

Le classi utilizzate in banda audio sono le prime tre, mentre l’elevata distor-
sione della classe C ne limita l’uso in circuiti a radiofrequenza. Sono poi definite
altre classi di amplificatori, che prevedono o l’uso di tecnologie a commutazione
(classi D, E), di circuiti risonanti (classi E, F) o variazioni della tensione di
alimentazione in funzione del livello del segnale (classi G e H).
Nel seguito ci occuperemo delle classi A, B e AB.

1.5.3 Classe A

VAL

RB1

Rs Cs
T1

vs RB2 ZL vu

Figura 1.25: Stadio amplificatore di potenza a collettore comune.

Qualunque transistor collegato a emettitore comune o collettore comune, se


propriamente polarizzato, può essere utilizzato come amplificatore in classe A.
Se si considera ad esempio lo schema di fig. 1.25, schema base a collettore comune
e singola alimentazione, occorre dimensionare correttamente le resistenze RB1 e
RB2 per assicurare che, dato un segnale vs di una certa ampiezza, il transistor
resti in conduzione per l’intero periodo. Nel carico ZL scorrerà sia la corrente
dovuta al segnale, sia quella di polarizzazione. Qualora non si potesse far scorrere
corrente continua nel carico, si dovrebbe separare il percorso di polarizzazione
e segnale mediante un condensatore, a scapito del rendimento del sistema.
Il rendimento è comunque il problema più grosso degli amplificatori in classe
A. Per calcolare i limiti di rendimento di questa configurazione, utilizziamo uno
schema leggermente diverso da quello visto sopra, in cui è possibile separare più
chiaramente i contributi di polarizzazione e segnale. I risultati che otterremo per
quanto riguarda il rendimento sono applicabili a tutti gli amplificatori in classe
A.
Lo schema di riferimento è visibile in fig. 1.26. Analizzando il circuito si
vede che il guadagno di tensione è circa 1, in quanto la tensione sul carico vale
VL = vs − VBE . Il guadagno di corrente è elevato e l’impedenza d’uscita è bassa.
Queste sono le caratteristiche tipiche di un amplificatore di potenza.

40
+VAL

T1

IL
vs

RL

I0

−VAL

Figura 1.26: Amplificatore in classe A con doppia alimentazione.

È importante calcolare i limiti della dinamica d’uscita. Il limite superiore è


dettato dalla necessità di avere il transistor in linearità. Possiamo quindi dire
che il segnale d’ingresso deve essere vs ≤ VAL . Se la tensione di alimentazione
è VAL >> VBE possiamo dire che VLM AX ∼ = VAL . Per il limite inferiore, occorre
notare che IL = IE − I0 . Poiché IE ≥ 0, si ha IL ≥ −I0 , quindi VL /RL ≥ −I0 .
Se vogliamo una dinamica d’uscita simmetrica, è allora sufficiente scegliere I0 =
VAL /RL . In questo modo si ha VAL ≥ VL ≥ −VAL .
La transcaratteristica del circuito è riportata in fig. 1.27. Il segnale d’uscita
è traslato rispetto all’ingresso di una quantità pari alla VB E del transistor. Nel
seguito trascureremo questa traslazione, che può essere facilmente compensata.
Un metodo molto efficace per compensare la traslazione è riportato in fig. 1.28.
Analizziamo ora il rendimento del circuito applicando all’ingresso un segnale
di tipo sinusoidale. Per quantificare il rendimento occorre calcolare la potenza
sul carico PL e quella assorbita dall’alimentazione PAL . L’andamento del segnale
sul carico sarà del tipo IL = Ip sin(ωt), Ip = Vp /RL , dove Ip e Vp rappresentano
il valore di picco della corrente e della tensione sul carico,.
La corrente assorbita dall’alimentazione ha due contributi: quello dovuto al
ramo positivo, +VAL , è pari alla corrente di collettore IC del transistor, mentre
quello dovuto al ramo negativo è dovuto alla corrente costante di polarizzazione
I0 .
Per la potenza si ha:
T
1
Z
PAL+ = VAL · IC dt
T 0

IC = I0 + Ip sin(ωt)

41
VL

VAL − VBE

vs
−VBE +VAL

−I0 RL

Figura 1.27: Transcaratteristica dell’amplificatore.

T
VAL
Z
PAL+ = [I0 + Ip sin(ωt)] dt =
T 0
 
T
= VAL · I0 + VAL · Ip · − cos(ωt)|0
= VAL · I0
Si è sfruttato il fatto che un segnale sinusoidale a media nulla ha inte-
grale nullo sul periodo di oscillazione. Il ramo negativo ha contributo pari
a PAL− = VAL I0 , quindi la potenza totale assorbita dall’alimentazione vale:
PAL = 2VAL I0 . Se si sceglie I0 = VAL /RL , per massimizzare la dinamica di
tensione di uscita, si ha infine:

2VAL
2
PAL =
RL
Rimane da calcolare la potenza (utile) del segnale sul carico PL .

1 T
Z
PL = RL (Ip sin(ωt))2 dt =
T 0
Ip2 · RL T
Z
= sin2 (ωt)dt =
T 0
Ip2 · RL T
= =
T 2
Ip2 · RL
= =
2
2
Vp
=
2RL

42
+VAL

− T1

+ IL

vs
RL

I0

−VAL

Figura 1.28: Amplificatore in classe A con recupero della VBE

PL Vp2 RL Vp2
=⇒ η = = · =
PAL 2RL 2VAL2 4VAL
2

Dal momento che la massima ampiezza di picco che può essere associata
al segnale sinusoidale è pari alla massima dinamica di picco di uscita, VAL , è
possibile calcolare il massimo rendimento.
1
η= = 25%
4
Il rendimento massimo, che si ottiene sfruttando tutta la dinamica, è estre-
mamente basso, dato che per ottenere un segnale di 10 W di potenza vengono
dissipati in calore ben 30 W che hanno il solo risultato di aumentare la tem-
peratura del dispositivo. Altra osservazione è che la potenza assorbita dall’ali-
mentazione non dipende dall’ampiezza del segnale, dunque un amplificatore che
potrebbe gestire in uscita un segnale da 100 W dissipa 300 W anche quando il
segnale d’uscita vale soltanto 1 W o quando il segnale è assente del tutto.

1.5.4 Classe B
Il tipico amplificatore a simmetrica complementare di classe B è riportato in
fig.1.29 e rispetto a quello di classe A ha il vantaggio di condurre, amplificare e
dissipare potenza solo quando il segnale in ingresso non è circa nullo.
Concettualmente si può immaginare di ricavarlo da uno stadio di classe A
che abbia un punto di lavoro a riposo con tensione nulla (ad esempio eliminando
il generatore di corrente I0 nello schema di figura 1.26): esso amplificherebbe
solo la semionda positiva di un segnale sinusoidale in ingresso perché il transi-
store rimarrebbe interdetto per tensioni di ingresso negative. Dualmente, uno

43
+VAL

T1

IL
T2
vs
RL

−VAL

Figura 1.29: Schema base di amplificatore in classe B.

stadio realizzato con la stessa tecnica ma con un pnp, collegato al polo negativo
dell’alimentazione, amplificherebbe solo le semionde negative.
Il circuito in classe B mette insieme il funzionamento dei due amplificatori
complementari con punto di funzionamento a riposo pari al riferimento di 0 V.
Quando il segnale di ingresso, Vi , è positivo, il transistore T1 è in zona di con-
duzione, mentre il transistore T2 è in zona di interdizione; dualmente, quando
Vi è negativo, T1 è interdetto e T2 conduce.
Questo tipo di sistema di amplificazione funziona in classe B, proprio perchè
solo uno dei due transistori conduce, mentre l’altro rimane interdetto. Ognuno
dei transistori si comporta di fatto come in uno stadio a collettore comune, e il
risultato finale, dall’esterno, è quello di “vedere un solo emitter follower”: i due
stadi, separati, si dividono i compiti, dal momento che uno si occupa del solo
segnale positivo, l’altro del solo segnale negativo. Si riducono notevolmente gli
sprechi di corrente, dal momento che l’unica corrente richiesta dall’alimentazione
è quella necessaria per pilotare il carico del sistema di amplificazione (mantenere
il segnale sinusoidale in uscita).
Le equazioni di funzionamento dei due sono le seguenti:

Vu,npn = Vi − VBE

Vu,pnp = Vi + VEB
Le VBE,on sono state al solito supposte uguali, pensando di trovarci su di un
integrato. Finchè Vi − VBE,on > 0, la tensione del segnale sarà sufficientemente
alta da polarizzare il transistore npn, questo sarà in zona lineare e amplificherà;
quando Vi + VBE,on < 0 il pnp si occuperà di generare il segnale di uscita. il
grafico della transcaratteristica è riportato in fig. 1.30.

Distorsione di Crossover
Il fatto che la tensione di ingresso debba superare la soglia della VBE,on per essere
amplificata da uno dei due transistori è un problema perché quando −VBE,on <
Vi < +VBE,on il segnale non viene amplificato e anzi l’uscita rimane nulla. La

44
VL

VAL − VBE

−VAL
vs
VBE +VAL

−VAL + VEB

Figura 1.30: Transcaratteristica dell’amplificatore in classe B.

forma d’onda amplificata da uno stadio del genere dunque sarà simile a quella
in figura 1.31.
Questo fenomeno è detto distorsione di crossover e dipende dal fatto che
i transistori non sono sempre in condizioni di condurre. Quando rimangono
entrambi interdetti provocano una distorsione (apprezzabile) del segnale, non
riproducendo in uscita una porzione di esso.
Si può ridurre il crossover mantenendo il sistema in classe B, se si modifica il
circuito in modo simile a quanto fatto nell’amplificatore in classe A con doppia
alimentazione (fig. 1.28). Lo schema corrispondente è riportato in figura 1.32.
L’amplificatore operazionale cercherà di mantenere nullo il segnale differenziale
di ingresso: per ottenere ciò, quando il segnale d’uscita attraversa lo zero, l’am-
plificatore operazionale genera sulla propria uscita uno scalino di ampiezza pari
a 2VBE che compensa la zona morta della coppia di transistor. La distorsione
non è eliminata completamente a causa del limite di slew-rate dell’op-amp, di
cui parleremo in seguito.

Rendimento
Abbiamo già notato che rispetto all’amplificatore in classe A ci dovrebbe essere
un miglioramento nel rendimento perché non c’è più il contributo della corrente
di polarizzazione: tutta la corrente assorbita dall’alimentatore scorre nel carico.
Vogliamo ora quantificare il rendimento di questo stadio.
Consideriamo come al solito un segnale di uscita di tipo sinusoidale con
corrente di picco Ip e corrispondente tensione di picco Vp , Ip = Vp /RL , IL =
Ip sin(ωt). Nel semiperiodo positivo della sinusoide condurrà il transistor T1 e la
sua corrente di collettore IC1 sarà circa pari alla corrente nel carico (trascuriamo
il contributo di IB1 , che non è significativo ai fini della potenza). Ma la corrente
IC1 è anche pari alla corrente assorbita dal ramo positivo dell’alimentazione.

45
1

0.5

−0.5

−1

−5 0 5 10 15
Figura 1.31: Distorsione di crossover sulla forma d’onda amplificata.

Possiamo calcolare la potenza media assorbita dal ramo positivo dell’alimen-


tazione integrando la corrente IC1 su un periodo del segnale.
T
1
Z
PAL+ = VAL · IC1 dt
T 0

T /2
VAL
Z
PAL+ = Ip sin(ωt) dt =
T 0
1 1 T /2

= VAL Ip · · − cos(ωt)|0
T ω
1 T
= VAL Ip · · ·2
T 2π
VAL Ip
=
π
La potenza assorbita nel semiperiodo negativo dal ramo negativo dell’ali-
mentazione ha identico valore, per cui la potenza totale vale:
2VAL Ip
PAL =
π
La potenza nel carico è il prodotto della corrente efficace per la tensione
efficace, quindi
Vp Ip
PL =
2
Il rendimento quindi vale:
PL Vp Ip π Vp π
η= = · = ·
PAL 2 2VAL Ip VAL 4

46
+VAL

T1


IL

+ T2

RL
vs

−VAL

Figura 1.32: Compensazione della distorsione di crossover.

Poiché la dinamica d’uscita massima equivale all’incirca alla tensione d’ali-


mentazione, in questo caso il rendimento massimo è ηmax = π/4 = 0.78, cioè
circa tre volte più elevato di quanto raggiungibile con uno stadio in classe A. In
assenza di segnale non viene assorbita corrente dall’alimentazione.

1.5.5 Classe AB
Per eliminare il fenomeno del crossover bisogna fornire ai due transistor due
segnali diversi, scalati ognuno di una tensione pari alla VBE del rispettivo tran-
sistor, in modo che il transistor entri in conduzione per l’intero semiperiodo di
sua competenza (fig. 1.33).
Lo scalamento della tensione d’ingresso può essere ottenuto in vari modi, di
cui il più semplice è tramite due diodi posti sul percorso del segnale.
Il circuito risultante non è più classificabile nella classe B dato che, per garan-
tire l’assenza della distorsione di crossover, in alcuni brevi istanti di tempo tutti
e due i transistori si trovano in stato di conduzione; perciò questa configurazione
appartiene alla cosiddetta classe AB.

Polarizzazione con diodi Introducendo due diodi tra l’ingresso e la base si


ottiene una tensione aggiuntiva che compensa quella minima necessaria all’ac-
censione della giunzione (fig.1.34). Aggiungere solo i diodi non basta, perché
dall’ingresso non si riuscirebbe a far scorrere corrente nella base dei transistor.
Occorre allora fornire in qualche modo la corrente di base. Il metodo più sem-
plice consiste nel collegare due resistori tra le rispettive alimentazioni e le basi
dei transistor.
Esistono altri modi di polarizzare i diodi, che consentono di ovviare ad alcuni
problemi legati all’uso dei resistori. Il concetto verrà sviluppato in un esempio
pratico alla fine della trattazione.

47
+VAL

T1

VBE

IL

vs VEB
T2 RL

−VAL

Figura 1.33: Schema teorico di amplificatore in classe AB.

Polarizzazione con moltiplicatore di VBE Un sistema alternativo per eli-


minare la zona morta della caratteristica sfrutta un transistor aggiuntivo T3 ,
nella configurazione rappresentata in figura 1.35. Trascurando la corrente di ba-
se di T3 , le resistenze R1 ed R2 si trovano collegate in serie e sono attraversate
dalla corrente IR .
Tuttavia, la caduta di tensione su R1 è imposta pari alla VBE di T3 , quindi
la caduta di tensione totale tra le basi dei due transistori di potenza è pari alla
VBE moltiplicata per un coefficiente legato al rapporto tra le resistenze, invece
che alle Vγ dei diodi come nella soluzione precedente.

 
VBE3 R2
VB1 − VB2 = IR (R1 + R2 ) = (R1 + R2 ) = VBE3 1+
R1 R1

Il moltiplicatore di VBE permette da un lato di controllare meglio la caduta


di tensione tra le due basi, dall’altro, se il transistor T3 viene termicamente
collegato ai transistor T1 e T2 , di seguire la variazione della VBE dei transistor
di potenza con la temperatura.

Protezione dalla fuga termica


L’introduzione dei diodi ha sicuramente eliminato il problema del crossover, ma
di fatto ne ha creati altri: non è pensabile che la caduta sui due diodi compensi
esattamente la VBE dei transistor di potenza, per cui i transistor possono essere
entrambi in conduzione quando non vi è segnale in ingresso.
La corrente che scorre nei transistor provoca dissipazione di potenza e quin-
di aumento di temperatura degli stessi. L’intensità della corrente nei transi-

48
+VAL

RB1
T1

D1

IL

vs D2
T2 RL

RB2

−VAL

Figura 1.34: Amplificatore in classe AB con diodi e resistori.

stor dipende dalla temperatura di giunzione. Dato che la VBEON diminuisce di


2.5 mV ◦C−1 , più aumenta la temperatura dei transistor, più aumenta la diffe-
renza tra la Vγ dei diodi e la VBEON dei transistor, provocando un aumento
della corrente e quindi un ulteriore aumento della temperatura di giunzione. Si
ha cioè un fenomeno di reazione positiva, che porta ad un aumento incontrollato
della temperatura degli elementi di potenza fino alla rottura degli stessi.
La soluzione a questo problema consiste nell’introdurre degli elementi che
contrastino questa reazione positiva e si oppongano all’aumento di corrente. In
figura 1.36 è schematizzata una semplice soluzione, consistente nell’aggiunta di
due resistori sugli emettitori degli elementi di potenza.
Quali variazioni nel funzionamento del circuito sono introdotte da queste
resistenze?
• Introducendo le resistenze sugli emettitori si protegge il circuito dalla fuga
termica nel seguente modo: quando la temperatura aumenta, diminuen-
do la VBEON dei transistor, aumenta la corrente che scorre nei transistor
ma anche quella che scorre nelle resistenze RE . Le resistenze allora “con-
tropolarizzano” i BJT: dal momento che scorre su di esse una corrente
più elevata, cade su di loro una tensione che fa aumentare la tensione di
emettitore, abbassando di fatto la differenza tra VBEON + VE e la Vγ del
rispettivo diodo, riducendo la corrente che scorre nel transistor.
• Le resistenze forniscono una prima protezione per quanto riguarda le so-
vracorrenti sui BJT: una corrente eccessiva in uscita fa cadere una tensione

49
+VAL

RB1
T1

IR

R1
T3
IL

R2
T2 RL

vs RB2

−VAL

Figura 1.35: Realizzazione pratica dell’amplificatore di classe AB con


moltiplicatore di VBE .

elevata sulle resistenze. In questo modo, per il ramo positivo, in caso di


cortocircuito sull’uscita la massima corrente che può scorrere nel transi-
stor T1 vale ILM AX ≈ VAL /RE1 . Questa semplice soluzione ha però delle
controindicazioni.
• Il difetto di queste resistenze è che aumentano l’impedenza di uscita dello
stadio di amplificazione. Inoltre la caduta di tensione ai loro capi provoca
un abbassamento della dinamica di uscita. Dal momento che esse sono
comunque così utili non è possibile eliminarle ma andranno dimensionate
in modo da essere compatibili con le altre specifiche del circuito, cioè in
generale molto piccole.

Protezione dai corto-circuiti


Gli stadi di potenza rappresentano normalmente l’uscita di un circuito elettro-
nico. Molte volte i terminali del carico sono collegati dagli utenti del circuito,
inoltre il carico è spesso la parte del sistema con affidabilità più bassa. Lo stadio
di potenza deve avere sufficiente robustezza da sopravvivere ad eventi come un
corto circuito.
In tale situazione al circuito viene richiesta molta corrente mentre la tensione
sul carico è nulla, dunque i transistor si trovano a dissipare molta potenza. Se
non si aggiungono dei dispositivi di protezione, la corrente che scorre è limitata
solo dalla massima corrente erogabile dall’alimentatore, rischiando la rottura

50
+VAL

RB1
T1

D1
VE1 RE1

IL
vs VE2 RE2
D2 RL

T2

RB2

−VAL

Figura 1.36: Stadio amplificatore di classe AB con resistenze di emettitore.

di uno dei componenti attivi per superamento della massima temperatura di


giunzione. Le resistenze sugli emettitori viste nel paragrafo precedente sono
in grado di limitare la corrente fornita dal circuito, ma, come notato sopra,
difficilmente è possibile dimensionarli in modo da fornire una protezione efficace
ad un carico in corto circuito.
Si utilizza allora una forma di protezione attiva che deve continuare a verifi-
care lo stato di corrente dell’uscita, in modo da poter fornire una sorta di segnale
di “shutdown” all’amplificatore, come mostrato in fig. 1.37. In pratica, si misura
la corrente che scorre negli elementi attivi dello stadio di potenza mediante le
resistenze già viste poste sugli emettitori, RE1 e RE2 . Si introduce però una
reazione positiva mediante due transistor aggiuntivi T5 e T6 .
Quando la corrente supera il valore massimo prefissato dal progettista, la ca-
duta di tensione su RE1 o RE2 raggiunge la VBEON del rispettivo transistor T5 o
T6 . Se questi transistor entrano in conduzione, tramite il loro collettore riducono
la corrente di base del rispettivo transistor di potenza, limitando il guadagno
dello stadio ed evitando di fatto l’ulteriore aumento di corrente d’uscita.

51
+VAL

RB1
T1

T5

D1
RE1

IL
vs RE2
D2 RL

T6
T2

RB2

−VAL

Figura 1.37: classe AB con protezione da cortocircuito in uscita

52
1.6 Modelli dell’A.O. reale
Conoscendo la struttura di base dell’amplificatore operazionale e avendo studia-
to le principali topologie di stadi di potenza, è possibile perfezionare lo schema
di un amplificatore operazionale introducendo in uscita uno stadio in classe AB
(fig. 1.38).

+VAL

T5 T6 T8
RM
T7

T10

IN− IN+ D1
T1 T2 RE1

OUT

RE2
D2

T11

T4 T9
T3

−VAL

Figura 1.38: Schema circuitale di un amplificatore operazionale con amplificatore


di potenza di classe AB.

Questo schema dell’amplificatore operazionale è più completo del precedente


ma non rispecchia ancora totalmente la struttura di un operazionale reale. Sono
infatti stati omessi ad esempio i transistor per la protezione contro i cortocircuiti
in uscita, che abbiamo studiato nel paragrafo precedente. Inoltre gli operazionali
reali sono studiati in modo da ottimizzare le prestazioni del circuito a scapito
della complessità. In ogni caso, lo schema riportato permette di comprendere i
limiti operativi degli A.O. per quanto riguarda dinamica di ingresso e uscita,

53
banda passante, slew-rate e di spiegare l’esistenza di correnti e tensioni parassite
d’ingresso.

1.6.1 Offset di tensione e corrente


Il modello ideale dell’amplificatore operazionale è valido in prima approssima-
zione per la fase iniziale di progetto o di analisi di una vasta gamma di circuiti,
tuttavia in molti casi è necessario, nelle successive fasi di progetto, tenere conto
degli scostamenti del funzionamento del componente reale da quello ideale. Tali
scostamenti sono dovuti alla struttura interna del circuito e alle tolleranze degli
elementi attivi e passivi.

Correnti di ingresso
In un amplificatore operazionale ideale le correnti entranti nei morsetti di in-
gresso sono nulle per definizione.
Dallo schema interno dell’A.O. reale in tecnologia bipolare di fig. 1.38, si nota
che i terminali di ingresso sono collegati alle basi di due BJT disposti in modo
da formare uno stadio differenziale, le cui correnti non possono sicuramente
essere nulle: se fossero nulle, infatti, i transistori non sarebbero polarizzati e
l’amplificatore non potrebbe funzionare in linearità.
Le correnti I+ e I− possono essere stimate facilmente, I+ = I2 /(β2 + 1) e
I− = I1 /(β1 + 1). Poiché la corrente I0 di uscita dallo specchio costituito da
T3 e T4 è generalmente bassa, dell’ordine di decine di microampere, si tratta di
correnti effettivamente molto basse, ma comunque mai nulle. Ne consegue che
in ogni circuito utilizzante un amplificatore operazionale dev’essere presente un
percorso per la corrente continua tra ciascun ingresso ed un punto collegato al
potenziale di riferimento del sistema. Non è possibile collegare ad un ingresso del-
l’operazionale solo un condensatore in serie, perché provocherebbe l’interdizione
del corrispondente transistor.
Dall’espressione di I+ e I− si capisce subito come di fatto sia difficile che
queste correnti siano uguali tra loro, in quanto, anche se l’amplificatore viene
normalmente usato con tensione differenziale d’ingresso molto piccola, tale per
cui le due correnti I1 e I2 siano circa pari a I0 /2, ben difficilmente β1 = β2 .
Per tenere conto delle correnti di polarizzazione in ingresso durante lo studio
di circuiti con operazionali, è possibile introdurre nel modello una coppia di ge-
neratori di corrente in corrispondenza dei due terminali di ingresso IN+ e IN− .
Inoltre è comodo rappresentare tali correnti scomponendole in due contributi
come è stato fatto per le tensioni v+ e v− : si definiscono le correnti di bias e
offset, rispettivamente modo comune e differenziale delle due correnti.
I+ + I−
Ibias := Iof f set := |I+ − I− |
2
Iof f set Iof f set
=⇒ I+ = Ibias + I− = Ibias −
2 2
Nei paragrafi successivi verrà spiegato come ridurre l’influenza di queste cor-
renti all’interno dei circuiti. Infatti è preferibile che il loro contributo sull’uscita
sia minore possibile, o perlomeno sia trascurabile rispetto agli ingressi principa-
li del circuito. La corrente di bias è la corrente media che scorre negli ingressi,

54
mentre quella di offset dipende dagli sbilanciamenti introdotti ad esempio dal
diverso β dei transistor e da analoghi fattori che dipendono da come è realizzato
lo stadio di ingresso dell’operazionale. In generale la corrente di bias è più alta
di quella di offset ed è più facile annullarne gli effetti.

Tensione di ingresso
Un altro importante parametro che quantifica lo scostamento dal comportamen-
to ideale è legato all’altra equazione costitutiva dell’a.o. ideale: vd = v+ −v− = 0.
Infatti, sempre a causa delle asimmetrie nella struttura interna, è necessario for-
nire una piccola differenza di potenziale tra i morsetti invertente e non invertente
per azzerare la tensione d’uscita.
Questa differenza di potenziale prende il nome di tensione di offset Vof f .
Normalmente Vof f è pari a pochi mV.

1.6.2 Dinamica di ingresso di modo comune


Nel paragrafo 1.3.1 abbiamo osservato come il parametro di dinamica di tensione
più importante per l’ingresso di un operazionale sia costituito dalla dinamica di
modo comune e non da quella di modo differenziale. Abbiamo anche giustificato
l’introduzione del carico attivo sullo stadio differenziale proprio in quanto l’uso
di semplici resistenze limita la dinamica di modo comune del circuito. Cerchiamo
allora di stabilire quale sia la dinamica di ingresso di modo comune del modello
di amplificatore operazionale introdotto in fig. 1.38.
La dinamica di ingresso di modo comune è determinabile introducendo la
stessa tensione VC sui due ingressi e ragionando sulle condizioni di permanenza
dei transistori in condizioni di funzionamento lineare. I limiti della dinamica
sono quei valori di VC che portano in saturazione o interdizione i BJT (VC,max
e VC,min ).
Facendo riferimento alla figura 1.38, è necessario che le giunzioni B-C di T1 e
T2 siano polarizzate inversamente. Per semplicità si considera come caso limite
VB = VC .
La tensione al collettore di T1 è fissata da T5 del lato forte dello specchio
di corrente/carico attivo (T5 e T6 ), mentre quella al collettore di T2 è uguale a
quella presente alla base della coppia Darlington (T7 e T8 ).

VC1 = VAL − VEB5 VC2 = VAL − VEB7 − VEB8


Poiché la caduta tra base ed emettitore dei transistor NPN e dei PNP può
essere considerata uguale in modulo all’interno di un circuito integrato, chiame-
remo VBE tale numero (pari alla VEB dei PNP). Tenendo conto del fatto che
entrambe le tensioni di base (uguali al modo comune VC ) devono essere minori
di quelle di collettore appena determinate, si ricava la massima tensione di modo
comune dalla più stringente delle due disequazioni. La più bassa delle tensioni
di collettore è VC2 .

VC1 > VB1 = VC



=⇒ VCmax = VAL − 2VBE
VC2 > VB2 = VC
L’altro limite della dinamica viene raggiunto quando la tensione della base
di T2 scende tanto da portare fuori dalla linearità il transistore T4 . Dato che

55
Figura 1.39: Andamento della dinamica di uscita in Vpp in funzione del carico
espresso in kΩ per l’a.o. TL082 alimentato con tensioni simmetriche VAL =
±15 V.

la tensione VBE2 è approssimativamente costante, si può determinare anche in


questo caso quando il collettore di T4 raggiunge la tensione della sua base, che
è legata alla tensione negativa di alimentazione.

VC4 > VB4 = −VAL + VBE4



=⇒ VB2 > −VAL + VBE4 + VBE2
VC4 = VE2 = VB2 − VBE2

=⇒ VCmin = −VAL + VBE4 + VBE2 = −VAL + 2VBE


Nel nostro circuito i due limiti di dinamica di ingresso di modo comune sono
simmetrici e pari circa alla tensione di alimentazione meno un volt e mezzo.
Esistono molte varianti allo schema da noi studiato, che portano a dinamiche
di ingresso diverse. Gli amplificatori costruiti per alimentazione singola hanno
in genere limite inferiore di dinamica di modo comune pari a 0 V. Esistono poi
amplificatori in cui la dinamica di ingresso di modo comune coincide, a meno di
pochi millivolt, con la tensione di alimentazione. Questa configurazione è detta
rail-to-rail input.

1.6.3 Dinamica di uscita


La dinamica di uscita è l’intervallo di tensioni che possono essere raggiunte dal
terminale di uscita del sistema. Anche in questo caso saranno presenti delle ca-
dute sulle giunzioni e le resistenze interne e quindi non sarà possibile raggiungere
le tensioni di alimentazione a meno di alcuni volt.
Si tenga presente che la dinamica di uscita è anche influenzata dal carico
collegato: se esso è caratterizzato da bassa resistenza sarà difficile che l’ampli-
ficatore possa fornire tutta la corrente necessaria a raggiungere tensioni elevate
(fig.1.39).
Per esempio vengono riportati i parametri dal datasheet dell’a.o. TL082
alimentato con ±15 V, RL = 10 kΩ.

56
Output Voltage Swing min = ±12 V typ = ±13, 5 V
Alcuni amplificatori operazioni realizzati con delle tecniche diverse sono
in grado di fornire una tensione di uscita che può raggiungere la tensione di
alimentazione (amplificatori rail-to-rail output).

1.6.4 Impedenze di ingresso


In un modello completo di amplificatore operazionale bisogna tenere conto del
fatto che le impedenze di ingresso non siano infinite, bensì abbiano un valore
finito, per quanto elevato. Poiché i segnali di ingresso dell’operazionale vengono
normalmente scomposti in modo comune e modo differenziale, occorre trattare
allo stesso modo anche la resistenza di ingresso. Occorre dunque considerare
una resistenza di ingresso legata al segnale differenziale vd , resistenza di modo
differenziale, ed una di modo comune che appare applicando ai due ingressi un
segnale VC di modo comune.

Resistenza di modo differenziale Dato un segnale di ingresso di modo


differenziale, vd , si può calcolare la resistenza di ingresso di modo differenziale,
definendola come il rapporto tra vd e la corrente entrante nell’amplificatore
causata dal modo differenziale id .
vd
rid =
id
Dal momento che si introduce un segnale di modo differenziale vd , possiamo
attribuire metà del segnale ad un transistore, metà all’altro; per ogni morsetto,
dunque, si avrà un segnale pari a vd /2; dal momento che ciascuna metà del
segnale di modo differenziale vede, entrando, un’impedenza pari a quella di
ingresso nella base di un transistore bipolare polarizzato direttamente (e quindi
in regione RAD, lineare), si avrà che:
vd 1
id = ·
2 rπ
vd
rid = = 2rπ
id

Resistenze di modo comune Per ottenere un risultato significativo relati-


vamente alla resistenza di ingresso di modo comune, occorre tenere conto della
resistenza di uscita dello specchio di corrente, ro .
Per valutare la resistenza di modo comune procediamo applicando un gene-
ratore di prova VC ad entrambi gli ingressi dello stadio. Il calcolo risulta sem-
plificato se, sfruttando la simmetria del circuito, lo si scompone in due porzioni
relative a un singolo transistore, come in fig. 1.40.
La resistenza di ingresso vista dal singolo stadio è allora riconducibile alla
seguente espressione:
vc
ric1 = = rπ + 2ro (1 + β) ∼ 2ro (1 + β)
ic1

57
I1 I2

T1 T2

VC
ro I0

(a)
I1 I2

T1 T2

VC VC

2ro I0
2
2ro I0
2

(b)

Figura 1.40: Calcolo della resistenza di modo comune (a) Circuito iniziale (b)
Circuito equivalente

58
Dato che i due stadi sono in parallelo, la resistenza complessiva è pari alla
metà.

ric = ro (1 + β)
La resistenza di ingresso di modo comune risulta molto più elevata di quella
di modo differenziale. In molti casi è possibile trascurarla.

1.6.5 Guadagno differenziale

Differenziale Darlington Potenza ro

gm1 vd gm2 v2
vd rd v2 ri2 v3 ri3 v3 Vu

Figura 1.41: Modello per calcolo guadagno in continua

Per terminare lo studio in continua dell’amplificatore operazionale, si de-


termina il guadagno complessivo del circuito, usando un modello semplificato
(fig.1.41).
Vu
Ad =
vd
Il primo stadio è la coppia differenziale, modellizzabile dal punto di vista
del modo differenziale come un amplificatore caratterizzato da un guadagno in
tensione elevato.

v2 = −ri2 · gm1 · vd
Il secondo stadio è la coppia Darlington: anch’essa si comporta come am-
plificatore di tensione di guadagno elevato. Questo stadio è di tipo invertente
(questa considerazione sarà utile per la stabilizzazione in frequenza).

v3 = −ri3 · gm2 · v2
Lo stadio finale di potenza non aumenta ulteriormente il guadagno in ten-
sione: il suo compito è quello di amplificare la corrente o, equivalentemente, di
abbassare l’impedenza d’uscita.

Vu = ri2 · ri3 · gm1 · gm2 · vd


Questo modello può tornare utile per avere una stima del guadagno com-
plessivo del circuito.

59
VAL

M5 M6
IR
M8

M1 M2
IN− IN+
OU T

M3 M4 M7

−VAL

Figura 1.42: Amplificatore operazionale CMOS.

1.6.6 Amplificatore operazionale CMOS


Avendo visto come sia possibile realizzare lo specchio di corrente e lo stadio
differenziale usando transistori MOS, risulta evidente come si possano proget-
tare amplificatori operazionali in tecnologia CMOS. Le caratteristiche di tali
amplificatori sono, in genere: consumo di corrente ridotto, basse correnti di
polarizzazione di ingresso ma maggiori offset di tensione.
Un possibile circuito che realizza un amplificatore operazionale CMOS è
riportato in fig. 1.42
Come si vede, la struttura ha parecchie similitudini con quella dell’operazio-
nale a BJT, alcune solo apparenti. M1 e M2 formano uno stadio differenziale,
polarizzato dallo specchio di corrente costituito da M3 e M4 . M5 e M6 sono il
carico attivo del differenziale. Il transistor M8 realizza uno stadio di uscita in
classe A polarizzato da M7 .
Si noti che, diversamente dal circuito a BJT, in questo caso la corrente nel
drain di M6 e nel drain di M2 devono essere uguali in quanto il gate di M8
non assorbe corrente. Per tensioni vd negative, la corrente che vorrebbe imporre
M6 è più alta di quella che può scorrere in M2 , quindi la corrente effettiva è
quella imposta da M2 , mentre M6 viene portato in zona resistiva. La tensione
sul gate di M8 è prossima a VAL ed il transistore è interdetto, portando l’uscita
a un livello prossimo a −VAL . Al contrario, per vd positive è M2 ad uscire
dalla zona di saturazione di canale. In questo caso la corrente I0 si ripartisce in
parti uguali sui due rami per effetto del carico attivo che forza le due correnti
ad essere identiche. M8 ed M9 sono dimensionati in modo da portare l’uscita
all’incirca a VAL in questo caso. Solo in un piccolissimo intorno di vd = 0 il
sistema si comporta in modo quasi lineare, sfruttando le resistenze di uscita di
M2 e M6 e producendo in pratica un guadagno di tensione molto elevato. Tale
guadagno è ancora aumentato da M8 , che si trova in configurazione a source
comune. Normalmente un operazionale CMOS ha solo due stadi, in quanto M8
può essere progettato in modo da erogare sufficiente corrente in uscita. Bisogna

60
notare che l’uscita di drain può creare qualche problema di stabilità al circuito
quando utilizzato con carichi reattivi. Di questo si parlerà più avanti nel corso.
In realtà, dato che i MOS di potenza a canale N hanno prestazioni decisamen-
te migliori dei PMOS, in genere non si usa la configurazione appena descritta
ma la sua complementare, in cui M8 è un NMOS, il differenziale e lo specchio
di corrente sono PMOS, il carico attivo è NMOS. Si è scelto di illustrare questa
configurazione per mettere in risalto le somiglianze con la configurazione a BJT
studiata sopra.

1.7 Dimensionamento di un amplificatore


Dopo avere studiato le caratteristiche degli amplificatori operazionali reali, sia-
mo in grado di dimensionare correttamente i componenti in un circuito ba-
sato su amplificatori operazionali. Riprendiamo il progetto dell’amplificatore
non invertente, tenendo conto delle non idealità dell’amplificatore operazionale
usato.

1.7.1 specifiche
Utilizziamo le seguenti specifiche di progetto:

• Guadagno in tensione: AV = 10;


• Amplificatore operazionale LM741;
• Dinamica di tensione di uscita Vu = ±10 V;
• Resistenza di carico RL > 4 kΩ;
• Tensione di alimentazione VAL = ±15 V.

1.7.2 Progetto
Nel progettare un circuito bisogna sempre per prima cosa verificare la congruen-
za delle specifiche. Nel seguito si farà riferimento al datasheet del componente
LM741 della National Semiconductor, disponibile in rete all’indirizzo:
http://www.national.com/ds/LM/LM741.pdf

Maximum ratings
La prima cosa da fare è controllare se le specifiche possono essere soddisfatte
dall’a.o. che è stato scelto. Quindi si controllano le caratteristiche della sezione
maximum ratings, ossia le grandezze limite considerate “sicure” per l’operatività
del componente. In questo caso la massima tensione di alimentazione simmetrica
per la versione commerciale del dispositivo (LM741C, Operating Temperature
Range 0 ◦C to 70 ◦C) è pari a VAL = ±18 V e quindi compatibile con le specifiche.
Gli altri parametri presenti nella sezione devono essere controllati attentamente
in un progetto reale, ma in questo caso non vi è nulla di significativo.

61
Caratteristiche elettriche
Occorre poi valutare se l’amplificatore è in grado di pilotare il carico e di fornire
su di esso la dinamica di tensione richiesta. Ci spostiamo quindi nella sezione
delle caratteristiche elettriche del datasheet (pagina 3 del documento) e troviamo
alcuni parametri utili.
Il parametro Output Voltage Swing è indicativo della dinamica per ampi
segnali. Si noti che la massima tensione raggiungibile è minore al diminuire
della resistenza del carico, quindi occorre controllare la compatibilità con la RL
prsente nelle specifiche. Per garantire il funzionamento del dispositivo in ogni
condizione, si prendono in considerazione le grandezze caratteristiche del caso
peggiore.
Nel datasheet leggiamo:
• Se RL ≥ 10 kΩ, Vmin = ±12 V, Vtyp = ±14 V
• Se RL ≥ 2 kΩ, Vmin = ±10 V, Vtyp = ±13 V
Nei due casi elencati di RL = 2 kΩ e RL = 10 kΩ si può determinare la
corrente massima erogabile dall’operazionale nelle rispettive condizioni di carico.
Questa corrente è un importante parametro da tenere presente nelle successive
fasi di progetto.
VMAX
RL = 2 kΩ =⇒ VMAX = 10 V =⇒ IMAX = = 5 mA
RL

VMAX
RL = 10 kΩ =⇒ VMAX = 12 V =⇒ IMAX = = 1.2 mA
RL
Si nota poi che la corrente di cortocircuito vale 25 mA. Il valore di resisten-
za di carico che ci interessa è intermedia tra le due elencate e la dinamica di
uscita da specifiche è raggiungibile con una RL più bassa di quanto previsto nel
progetto. Dunque anche questo dato è compatibile con la nostra applicazione.

R2
If

R1

Iu IL
+
R3 RL Vu
Vi

Figura 1.43: Schema dell’amplificatore non invertente.

62
Schema elettrico
Lo schema del circuito è riportato nella figura 1.43. Rispetto allo schema di base
con due sole resistenze, è stata aggiunta R3 per motivi che saranno chiariti in
seguito. Nella figura è stata esplicitata la resistenza RL , che normalmente non si
disegna perché si suppone faccia parte di un altro circuito da collegare all’uscita
dell’operazionale. Anche se non fosse disegnata occorrerebbe comunque tenere
conto della corrente che l’amplificatore deve poter fornire ad essa.
Il rapporto tra le resistenze R2 e R1 è dato dalla funzione di trasferimento
del circuito ideale dell’amplificatore non invertente: l’amplificazione deve essere
AV = 10 come richiesto dalle specifiche.
 
Vu R2
= 1+ = 10 V/V =⇒ R2 = 9R1
Vi R1
Si osservi che l’informazione che è stata ricavata dal circuito ideale è re-
lativa: rappresenta il rapporto tra le resistenze da impiegare ma non fornisce
un’indicazione sul loro effettivo valore assoluto. Non fornisce inoltre indicazioni
sul valore di R3 , la cui presenza è inifluente sul funzionamento del circuito nel
caso di operazionale ideale. Per ottimizzare i valori assoluti dei parametri di pro-
getto (R1 , R2 e R3 ) sono necessarie delle considerazioni aggiuntive sull’uscita,
la retroazione e le non idealità.

Correnti di retroazione e carico


La corrente erogata dall’amplificatore operazionale Iu si divide in due nel nodo
di uscita sul quale sono collegati la resistenza R2 della retroazione e il carico.
La corrente di retroazione è If mentre quella che circola nel carico IL ; si pos-
sono confrontare le due intensità di corrente ricavando le cadute di tensione sui
resistori.

Iu = If + IL

Vu Vu
If = =
R1 + R2 R2 · 10/9
Per dimensionare la corrente di retroazione è necessario considerare che es-
sa non deve troppo elevata per non sottrarre corrente al carico, ma non deve
neanche essere troppo bassa, per motivi che verranno chiariti meglio nel seguito.
Una possibile soluzione quantitativa consiste nel porre un’ordine di grandezza
di differenza tra la massima IL prevista e If . Abbiamo visto che la massima
corrente per garantire la specifica sulla dinamica di tensione di uscita di 10 V è
pari a 5 mA. Allora:
10 10 V
If ≪ 5 mA =⇒ R2 · ≃ R2 ≫ = 2 kΩ
9 5 × 10−3 A

R2 ≥ 20 kΩ
Questa disequazione impone un minimo all’insieme dei possibili valori di R2
(lower bound): se si scendesse al di sotto di tale valore si sottrarrebbe corrente
al carico e si limiterebbe la dinamica d’uscita.

63
Effetto delle non idealità
Per trovare il massimo valore possibile per R2 occorre valutare l’influenza delle
non idealità dell’amplificatore sul funzionamento del circuito.
In particolare ci concentreremo sull’effetto della tensione di offset e delle
correnti di polarizzazione e di offset. Il nostro circuito può essere ridisegnato
come in fig. 1.44 per esplicitare il contributo di tali parametri.

R2

Ib + Iof f /2
R1

Vof f
ro
Vu

rid vd Ad vd

R3
Ib − Iof f /2
Vi

Figura 1.44: Modello circuitale dell’amplificatore operazionale reale.

I generatori di offset agiscono indipendentemente tra loro e dal segnale di


ingresso. Per determinare l’effetto di questi generatori sull’uscita è consigliabile
annullare vi e analizzare la rete mediante la sovrapposizione degli effetti. In
pratica si considera l’effetto di un paramtero per volta, considerando per il resto
l’operazionale come fosse ideale: Ad → ∞, per cui vd → 0 e corrente in rid nulla.

Tensione di offset Si nota facilmente che, essendo la corrente in rid nulla,


Vof f ha sul circuito lo stesso effetto di un generatore posto sull’ingresso non

64
invertente. Lo si può ridisegnare in questa posizione (fig. 1.45). Risulta quindi
evidente come il contributo della tensione di offset abbia la stessa espressione
ottenuta per l’ingresso principale vi .

R2

R1

Vof f ro
rid vd Vu

+
Ad vd
R3
Vof f

Figura 1.45: Spostamento della tensione di offset all’esterno del modello


dell’amplificatore operazionale.

 
R2
Vu |Vof f = Vof f · 1+
R1
La conseguenza molto importante è che il contributo sull’uscita della tensione
di offset non dipende dal valore assoluto di R2 , ma esclusivamente dall’amplifi-
cazione del circuito. Per ridurre l’effetto di Vof f sull’uscita si dovrebbe ridurre
il guadagno (che è definito dalle specifiche e quindi non si può modificare).

Correnti di offset La corrente di offset relativa al terminale invertente (fig.


1.46) non può circolare attraverso R1 . Infatti, non scorrendo corrente in R3 ,
l’ingresso non invertente dell’operazionale si trova a 0 V. Non scorrendo corrente
in rid anche l’ingresso invertente assume la stessa tensione. Dunque non vi è
caduta di potenziale ai capi di R1 e quindi in essa non può scorrere corrente.
Tutta la corrente scorre allora in R2 :
 
Iof f
Vu |I− = R2 Ib +
2
Per quanto riguarda l’ultima delle correnti di offset, nonché l’ultimo dei
contributi di offset del circuito, si fa riferimento al circuito di fig. 1.47.

65
R2

Ib + Iof f /2
R1

0V ro
rid vd Vu
0V +
Ad vd
R3

Figura 1.46: Contributo corrente di offset su ingresso invertente

Si possono fare delle considerazioni analoghe alle precedenti. La corrente di


offset relativa al terminale non invertente passa tutta dentro il resistore R3 in
quanto rid non permette il passaggio di corrente. Dal momento che la corrente
sul resistore R3 provoca una caduta di tensione su di esso, il morsetto non
invertente dell’operazionale sarà a tensione diversa da 0 V e il calcolo dell’uscita
sarà ancora una volta riconducibile al calcolo del guadagno di un amplificatore
non invertente:
  
Iof f R2
Vu |I+ = −R3 Ib − 1+
2 R1

Sovrapposizione degli effetti A questo punto è sufficiente sovrapporre i


tre contributi calcolati nei paragrafi precedenti per determinare lo scostamento
totale della tensione di uscita da quella ideale.

    
Iof f Iof f R2
Vu |of f set = Vof f · AV + R2 Ib + − R3 Ib − 1+
2 2 R1

A questo punto diventa importante la presenza della resistenza R3 la cui


introduzione sembrerebbe ingiustificata se si facesse affidamento sul semplice
modello ideale, secondo il quale non sarebbe attraversata da alcuna corrente.
Il parametro di progetto R3 è un ulteriore grado di libertà a disposizione
del progettista che può essere sfruttato per diminuire l’effetto delle correnti di
offset. Infatti è possibile fare in modo che i contributi di Ib si annullino a vicenda

66
R2

R1

ro
rid vd Vu
−(Ib − Iof f /2)R3
+
Ad vd
R3
Ib − Iof f /2

Figura 1.47: Contributo della corrente di offset su ingresso non invertente

dal momento che hanno segni opposti, imponendo che siano uguali le resistenze
viste dai soli generatori di corrente sui terminali dell’operazionale.
Raccogliendo i termini in Ib e in Iof f si ha infatti:

     
R2 Iof f R2
Vu |of f set = Vof f · AV + Ib R2 − R3 1 + + R2 + R3 1 +
R1 2 R1
Imponendo
 
R2 R1 R2
R3 1+ = R2 −→ R3 = = R1 //R2
R1 R1 + R2
Se si sceglie questo valore di R3 , l’espressione dell’offset diventa:

Vu |of f set = Vof f · AV + Iof f R2


Dopo avere eliminato l’effetto di Ib sull’uscita, non si può fare altro che sele-
zionare il valore di R2 in modo che il contributo della Iof f sia almeno trascurabile
rispetto a quello della Vof f , che non è riducibile.
Vof f · AV
Vof f · AV ≫ R2 · Iof f =⇒ R2 ≪
Iof f
Nel caso in esame, estraiamo dal datasheet del componente LM741 i para-
metri di offset di worst case e calcoliamo il valore limite di R2 :

6 · 10−3
R2 ≪ 10 · = 0, 3 MΩ
2 · 10−7

67
R2 ≤ 30 kΩ
Una volta determinati i valori massimi e minimi di R2 è possibile sceglierne
il valore e di conseguenza fissare quelli degli altri componenti. Nel nostro caso,
utilizzando resistenze della serie normalizzata E12, possiamo stabilire R2 =
27 kΩ. Per avere guadagno pari a 10 dovremmo selezionare R1 = 3 kΩ, che però
è un valore normalizzato solo nella serie E24. I valori normalizzati più vicini
sono 2.7 kΩ e 3.3 kΩ, che portano il guadagno a essere circa il 10% più alto o
più basso del voluto. Per R3 potremo optare per R3 = 2.2 kΩ.
La tecnica qui illustrata può essere utilizzata per il progetto di buona parte
dei circuiti con amplificatori operazionali. Si noti che partendo dalla configura-
zione invertente i risultati che si ottengono sono identici, in quanto i generatori
di offset agiscono indipendentemente dall’ingresso.

1.8 Risposta in frequenza


Finora è stato studiato il comportamento in continua dell’amplificatore opera-
zionale, trascurandone la risposta in frequenza.
Abbiamo visto che l’amplificatore, nella sua versione a BJT, è costituito da
tre stadi di amplificazione, che possono ridursi a due in tecnologia CMOS. Il
sistema viene usato in applicazioni lineari solo inserendo una rete di reazione,
come abbiamo già visto. Poiché ogni stadio di amplificazione introduce almeno
un polo, se utilizziamo l’approssimazione più semplice, detta appunto a polo
dominante, la stabilità dell’amplificatore non è garantita a priori, anzi occorre
studiare la stabilità del sistema in funzione della rete di reazione adottata.
Si suppone che dai corsi precedenti siano già noti il concetto di reazione e le
tecniche per studiare la stabilità dei sistemi reazionati, per cui qui analizzeremo
solo il caso specifico richiamando i fondamenti quando necessario.
Sappiamo che un sistema reazionato è stabile, cioè si comporta da ampli-
ficatore, quando la reazione è negativa, cioè quando il segnale di uscita viene
riportato in ingresso con uno sfasamento di 180◦. Questo è facile da ottenere
a basse frequenze, mentre a frequenze più alte la rotazione di fase aggiuntiva
introdotta dai poli dell’amplificatore può portare il sistema verso la reazione
positiva, cioè verso l’instabilità.

1.8.1 Funzione di trasferimento


Ricordiamo ancora, sebbene si spera che non ce ne sia bisogno, che ogni polo
nel semipiano di sinistra della funzione di trasferimento del sistema introduce
una rotazione di −90◦ sulla fase della f.d.t. medesima. Tale rotazione comincia
a manifestarsi gradualmente a partire da una decade prima della pulsazione ωp
del polo, completando la rotazione una decade dopo. In corrispondenza della
pulsazione ωp la rotazione della fase della f.d.t. vale −45◦ . Le variazioni di fase
dovute a più poli vicini tra di loro si sommano.
Dato che l’amplificatore operazionale è composto da tre stadi (differenziale,
Darlington e amplificatore di potenza), il sistema è caratterizzato da tre poli.
Normalmente i primi due sono sufficientemente distanti tra di loro (ben più di
una decade, di solito). Ciascuno dei tre stadi presenta una determinata frequenza

68
di cut-off. Il primo dei poli naturali dell’amplificatore operazionale deriva dal-
l’uscita dello stadio differenziale caricata dall’ingresso del Darlington: l’effetto
Miller amplifica la capacità presente tra base e collettore del Darlington a causa
dell’elevato guadagno di tensione presente tra quei due terminali dei transistor.
Inoltre l’elevata impedenza vista dalla capacità aumenta il valore della costante
di tempo, diminuendo la frequenza di taglio dello stadio.

|A| ∠A

−20 dB/dec

0◦

−40 dB/dec
−90◦

−180◦

ω
ωp1 ωp2 ωp3

Figura 1.48: Diagramma di Bode della caratteristica di un amplificatore


operazionale.

Il diagramma di Bode di un generico amplificatore operazionale è riportato


nella figura 1.48. Se si retroaziona il sistema con una rete resistiva, come nel caso
dell’amplificatore non invertente richiamato poco sopra, fig. 1.43, per la continua
la rotazione di fase tra segnale di ingresso e segnale retroazionato è per l’appunto
180◦ . Tuttavia all’aumentare della frequenza, a causa dei poli dell’amplificatore,
diminuisce la differenza di fase tra ingresso e feedback: in corrispondenza della
pulsazione del primo polo ωp1 si avranno 180◦ − 45◦ = 135◦ . Una decade dopo
la pulsazione del primo polo si avranno 180◦ − 90◦ = 90◦ . I segnali di ingresso
e retroazione sono in quadratura.
In prossimità del secondo polo di pulsazione ωp2 si avranno 180◦ −135◦ = 45◦
di sfasamento, e una decade più in alto ancora 180◦ − 180◦ = 0◦ . Dire che tra il
feedback e il segnale di ingresso c’è uno sfasamento di 0◦ è come dire che entrambi
i segnali abbiano la stessa fase, e dunque si sommino: la reazione per queste
frequenze non è più negativa, in quanto i poli dell’amplificatore operazionale

69
hanno indotto una rotazione di fase tale da sommare i segnali di ingresso e
feedback (retroazione positiva).
Il fatto che la reazione al di sopra di una certa frequenza diventi positiva
porta alla creazione di un anello che amplifica sempre più l’ingresso sommandoci
il segnale di retroazione: in questo modo si raggiunge sicuramente la condizione
di funzionamento non lineare e il sistema oscilla.

1.8.2 Guadagno d’anello


Dal momento che non è possibile cancellare i poli del sistema, la soluzione del
problema consiste nel fare in modo che il sistema non amplifichi i segnali a
frequenze troppo alte, a rischio di generare retroazione positiva. Utilizziamo
nuovamente le notazioni già introdotte all’inizio del capitolo per studiare le im-
pedenze di ingresso e uscita e gli effetti di Ad (si veda la figura 1.2, sezione 1.1.1
e seguenti). Il segnale di retroazione è pari al prodotto tra il segnale di ingresso
e quello presente all’uscita dell’amplificatore a sua volta attenuato dalla rete
di retroazione. Chiamando A l’amplificazione del sistema e β l’attenuazione in-
trodotta dalla rete di reazione, la porzione di segnale riportata in ingresso dal
sistema è amplificata di un fattore Aβ = T , chiamato guadagno di anello. Perciò
lo sfasamento tra segnale di ingresso e di retroazione è pari a 180◦ più la fase
del guadagno di anello.
Il margine di fase è definito come la differenza di fase tra 180◦ (cioè rea-
zione positiva) e la fase del guadagno d’anello alla pulsazione ωT alla quale il
valore assoluto del guadagno di anello è unitario |Aβ| = 1. Più alto è il margine
di fase più il sistema è stabile. Se il margine di fase è ridotto, inferiore a 45◦ , le
frequenze intorno ad ωT sono esaltate rispetto a quanto previsto dalla funzione
di trasferimento del sistema ideale (fenomeni di ringing e overshoot).
Il margine di guadagno è definito come il valore assoluto del guadagno di
anello in dB corrispondente alla pulsazione con ∠Aβ(ω180 ) = 180◦ . È sostan-
zialmente l’attenuazione del segnale di retroazione positiva perché in un sistema
stabile il valore assoluto di Aβ(ω180 ) deve essere minore di uno. Infatti se il
segnale di retroazione viene attenuato non può dare inizio a quel processo di
deriva che porta fuori linearità il sistema ad altre frequenze.
Per ottenere un margine di fase di 45◦ occorre che il guadagno d’anello sia
pari a 0 dB in corrispondenza della frequenza del secondo polo.
Un modo di ottenere questo risultato consiste nell’abbassare il guadagno di
anello. Il problema è che diminuendo il guadagno di anello si diminuirebbero
anche i benefici della retroazione, fondamentali per utilizzare in modo corretto
l’amplificatore operazionale.
Operativamente è necessario introdurre elementi reattivi di valore opportuno
in punti specifici del circuito, seguendo due tecniche principali:

• portare a frequenze più basse la posizione del primo polo (polo dominante)
dell’operazionale;
• introdurre un ulteriore polo nel sistema, tale da essere a frequenza molto
bassa e divenire dunque il nuovo polo dominante. Questo metodo riduce
drasticamente la banda passante del sistema ed è quindi utilizzato solo
quando non sia possibile modificare la posizione del polo dell’operazionale.

70
|Aβ|

0 dB
ω

Margine di guadagno

∠Aβ

0◦

−90◦

Margine di fase

−180
ω
ωp1 ωT ω180

Figura 1.49: Definizioni dei margini di fase e guadagno.

Una comparazione tra le due tecniche è riportata nell’esempio di fig. 1.50 in


cui la griglia ha spaziatura di una decade in frequenza e di 20 dB in ampiezza.
Risulta evidente come lo spostamento del primo polo sia la soluzione preferibile.

Compensazione a polo dominante


Il metodo di compensazione a polo dominante, che spesso produce il fenomeno
del pole splitting di cui parleremo più avanti, consiste nel mettere in parallelo una
capacità alla capacità già presente sull’uscita del primo stadio di amplificazione
(responsabile del primo dei poli naturali del sistema), in modo da modificare
la capacità totale, incrementando la costante di tempo e dunque abbassando la
frequenza del primo polo.
Facendo riferimento al modello semplificato dell’amplificatore operazionale
(fig. 1.51), derivato da quello già visto in fig. 1.41, la capacità da modificare

71
|A|

−20 dB/dec

−40 dB/dec

0 dB
ω
−60 dB/dec

ωA ωB ωp1 ωp2 ωp3

Figura 1.50: Comparazione tra compensazione con aggiunta di un polo a bassa


frequenza ωA e mediante abbassamento della frequenza del primo polo ωB .

è C1 . Ci sono diversi modi di procedere. Una possibilità consiste nel rendere


disponibile all’esterno dell’operazionale la base del Darlington e lasciare al pro-
gettista il compito di inserire tra base e riferimento un condensatore di valore
opportuno in funzione della rete di reazione scelta per il circuito. Questa scelta
si effettua raramente, in quanto comporta l’inserimento di un componente in
più sul circuito stampato, ma permette di massimizzare banda e slew-rate del
circuito.
La soluzione che si adotta normalmente consiste nell’integrare il conden-
satore di compensazione. A questo proposito però occorre fare delle scelte re-
lativamente al valore di capacità da integrare. Come abbiamo visto sopra, la
grandezza da rendere stabile mediante lo spostamento del polo è il guadagno
d’anello Aβ, che però dipende da come è costruita la rete di retroazione.
Si può osservare che, almeno nell’utilizzo del circuito come amplificatore,
la rete di reazione consiste in un partitore resistivo, cioè si ha β < 1 e in più
β è costante e non dipende dalla frequenza. In questo caso il diagramma di
Bode del prodotto Aβ non è altro che il diagramma di A traslato in verticale
verso il basso di una quantità pari al modulo di β. Per studiare la stabilità
di Aβ basta riportare sul grafico di A una linea orizzontale alla quota 1/β
e interpretare tale linea come asse a 0 dB per la funzione da studiare. Ora è
evidente che il caso peggiore, cioè guadagno d’anello massimo, si ha se β = 1,
cioè per la configurazione a voltage follower. Questo equivale a compensare il

72
ro

gm1 vd gm2 v2
vd rd v2 v3 v3 Vu
ri2 C1 ri3 C2

Figura 1.51: Modello dell’operazionale con esplicitate le capacità parassite legate


ai primi due poli.

grafico di A, senza traslazioni. Se l’amplificatore è stabile quando reazionato a


voltage follower, sarà a maggior ragione stabile per tutte le configurazioni con
guadagno maggiore di uno.
Sorge però un problema. Se la capacità parassita C1 è dell’ordine di grandez-
za del picofarad, è frequente il caso in cui il primo polo debba essere spostato di
tre decadi, come nell’esempio di fig. 1.50. Questo vuol dire che il condensatore
aggiuntivo da porre in parallelo a C1 è dell’ordine di grandezza del nanofarad.
Un tale valore è però difficilmente integrabile.

Pole splitting
La soluzione al problema di integrabilità consiste nello sfruttare l’effetto Miller.
Esso consente di amplificare il valore della capacità posta tra due nodi tra i
quali esiste un guadagno in tensione: questo permette di integrare agevolmente
la capacità di compensazione ed ha in più un effetto benefico sulla posizione del
secondo polo, come illustrato tra poco.

CC
ro

gm1 vd gm2 v2
vd rd v2 v3 v3 Vu
ri2 C1 ri3 C2

Figura 1.52: Capacità di compensazione a cavallo del secondo stadio.

L’effetto Miller si sfrutta inserendo la capacità a cavallo dello stadio Dar-


lington anzichè collegandola direttamente in parallelo a C1 (fig. 1.52). La rete
contiene una maglia di condensatori che la rende degenere: ha meno poli di
quanti siano gli elementi reattivi presenti nella rete. Dal teorema di Miller, in-
dicando con K il guadagno dell’amplificatore invertente del secondo stadio, si
ha che:
1
Zin = ZC ·
1−K

73
K
Zout = ZC ·
K −1

v3 = −gm2 Z3 v2

K = −gm2 Z3
L’impedenza di carico Z3 contiene anche l’elemento reattivo C2 , che però ha
effetto solo a frequenze più alte del primo polo, per cui nello studio degli effetti
di CC sul primo polo possiamo considerare Z3 ≈ Ri3 . K è negativo e molto
grande, per cui è sufficiente un condensatore di compensazione molto piccolo
per spostare molto a sinistra la posizione del primo polo.

Ceq = CC · (1 + gm2 Ri3 ) ≈ CC gm2 Ri3

1
ωp1 ≈
CC gm2 Ri3 Ri2
Gli effetti del condensatore CC non si fermano qui. Facendo i conti si può
verificare che viene introdotto uno zero nel semipiano destro di Laplace, ma a
frequenza molto alta, e inoltre la frequenza del secondo polo dell’operazionale
viene innalzata notevolmente, tanto da superare spesso quella del terzo polo ori-
ginale, che diventa il secondo polo nella nuova funzione di trasferimento. Questo
fenomeno prende il nome di pole splitting, ossia allontanamento dei poli. Que-
sto consente di innalzare ulteriormente la frequenza del primo polo, aumentando
banda e slew-rate del circuito rispetto alla prima soluzione vista in cui si inseriva
un condensatore in parallelo a C1 .
in figura 1.53 è visibile un esempio di aggiunta del condensatore di compen-
sazione nello schema semplificato di operazionale che abbiamo costruito nelle
sezioni precedenti.

1.8.3 Prodotto banda-guadagno


Abbiamo visto che per un amplificatore operazionale compensato a voltage fol-
lower il diagramma di Bode del modulo del guadagno Ad assume un andamento
simile a quello riportato in figura 1.54.
Per frequenze inferiori a quella del secondo polo (corrispondente a un’amplifi-
cazione di modulo pari a 0 dB), si ha un andamento in frequenza approssimabile
con una funzione di trasferimento ad un solo polo.
Ad0
Ad (f ) =
1 + j ff0
Utilizziamo questa espressione approssimata per calcolare la banda passante
di un amplificatore reazionato con una rete β, in configurazione non invertente.
Ricordiamo che per un sistema di questo tipo il guadagno assume la seguente
forma:
1 1
AV = · 1
β 1+ T

74
+VAL

T5 T6 T8
RM
T7

T10

CC

IN− IN+ D1
T1 T2 RE1

OUT

RE2
D2

T11

T4 T9
T3

−VAL

Figura 1.53: Condensatore di compensazione sull’amplificatore operazionale


d’esempio.

75
|A|

−20 dB/dec

0 dB
f
−40 dB/dec
f0 fBW

Figura 1.54: Diagramma di Bode di A per un amplificatore operazionale


compensato per voltage follower

Dove T = Ad β è il guadagno d’anello. Sostituendo l’espressione di Ad (f )


riportata sopra, si ottiene:
1 1
AV = · 1+jf /f0
β 1+
Ad0 β

Riordinando i termini si ha:


1 Ad0 β
AV = ·  
β Ad0 β 1 + 1 + j f
Ad0 β Ad0 βf0

Generalmente si ha
1
<< 1
Ad0 β
da cui
1 1
AV ≈ ·
β 1 + j A fβf
d0 0

Questa espressione permette di calcolare la banda passante del sistema re-


troazionato.
Definiamo ora:

fBW = Ad0 f0
Tale frequenza corrisponde sul diagramma di Bode all’incrocio della carat-
teristica di Ad con l’asse a 0 dB.
Con questa definizione si può scrivere che la frequenza di taglio a −3 dB,
fT , vale fT = βfBW . Dato però che 1/β = AV 0 è il guadagno del circuito per

76
frequenze basse, si ha ancora che AV 0 fT = fBW , cioè il prodotto tra la banda
passante di un amplificatore e il suo guadagno è una costante, pari a fBW ,
chiamata appunto prodotto banda-guadagno, tipica dell’amplificatore. Dunque se
si usa un amplificatore operazionale per realizzare un amplificatore di tensione,
la banda passante del sistema sarà tanto minore quanto più alto è il guadagno
in continua del circuito.
Si noti che questo risultato è valido anche per la configurazione invertente.
Ricordiamo infatti che la funzione di trasferimento di un amplificatore invertente
si può scrivere come:
1 1
 
AV = 1 − ·
β 1 + T1
per cui anche per questa configurazione si ottiene la stessa banda passante, se
si considera come guadagno quello della configurazione non invertente con la
stessa rete di reazione β.

Current feedback
Il legame tra guadagno e banda passante trovato sopra è una conseguenza diretta
del modo in cui sono costruiti gli amplificatori operazionali “normali”. In real-
tà lo schema che abbiamo utilizzato, che viene chiamato voltage feedback, cioè
con reazione in tensione, non è l’unico possibile per realizzare un amplificatore
operazionale. Esistono anche amplificatori operazionali di tipo current feedback,
o a reazione di corrente, in cui questo legame non c’è. In questi amplificatori
la banda passante e la stabilità dipendono dal valore assoluto della resisten-
za di reazione R2 . Un’interessante e comprensibile introduzione agli amplifica-
tori current feedback si trova sul sito della Texas Instruments (www.ti.com):
Application report slva051 “Voltage Feedback vs Current Feedback Op Amps”.
Gli amplificatori current feedback sono usati in applicazioni in alta frequenza
ove occorre ampia banda passante anche con guadagni elevati.

1.8.4 Slew Rate


Le limitazioni in frequenza dell’amplificatore operazionale non derivano esclu-
sivamente dalla banda passante, ma anche da un parametro non lineare, che
agisce nel dominio del tempo: lo slew rate.
Lo slew rate per definizione è la massima velocità di variazione del segnale
d’uscita dell’amplificatore.
 
∂VU
SR (VU ) = max
∂t
Il suo effetto si vede in modo molto evidente nella risposta ad un gradino
d’ingresso.
Analizziamo il nostro solito amplificatore operazionale d’esempio per capire
da dove ha origine il limite di slew rate del circuito. Facciamo riferimento alla
figura 1.53. Quando il segnale differenziale di ingresso varia molto rapidamente,
il sistema esce dalla linearità e tutta la corrente a disposizione dello stadio
differenziale (I0 ) scorre in uno dei due rami del medesimo. Ricordandoci che lo
stadio d’uscita (T10 , T11 ) ha guadagno di tensione unitario, possiamo affermare
che la tensione d’uscita si ritrova, a meno di una continua, sul collettore di T8 .

77
OUTPUT VOLTAGE SWING (5V/DIV)
TIME (2ms/DIV)

Figura 1.55: Risposta all’impulso per ampio segnale dell’operazionale TL082


(dal data sheet National Semiconductor).

La base di T7 invece è a un potenziale quasi costante. Osserviamo però che tra


questi due punti è collegato un condensatore, il condensatore di compensazione
CC . Allora per variare la tensione d’uscita occorre caricare/scaricare CC . Ma
abbiamo detto che in transitorio la corrente che può scorrere nel nodo in cui si
incontrano il collettore di T2 , quello di T6 , la base di T7 e un capo di CC è al
più pari alla corrente I0 . Allora durante il transitorio il condensatore CC risulta
caricarsi o scaricarsi a corrente costante. La tensione d’uscita diventa allora una
rampa e la massima pendenza, cioè lo slew rate, vale:

d [(I0 /CC ) · t]
 
I0
SR (VU ) = max =
dt CC
Un esempio di risposta al gradino per ampio segnale, da cui è possibile
misurare lo slew rate, è visibile in figura 1.55.
Quando si superano i limiti di slew rate, il segnale d’uscita risulta affetto da
una grossa distorsione armonica. Un segnale sinusoidale in ingresso assumerà
in uscita una forma sempre più simile a quella triangolare man mano che la
frequenza aumenta.

Legame tra BW e SR Da quanto visto sopra, il condensatore di compensa-


zione è responsabile sia della banda passante dell’amplificatore operazionale, in
quanto viene progettato per rendere il sistema stabile e determina il prodotto
banda-guadagno, sia dello slew rate.
Occorre insistere sul differente significato di questi due parametri: la banda
passante è un parametro di piccolo segnale: indica qual è la frequenza massi-
ma che viene riportata sull’uscita dell’amplificatore senza attenuazione (o con
un’attenuazione massima di 3 dB), per un segnale di ampiezza infinitesima. Lo
slew rate è invece un parametro di ampio segnale, che indica la massima velocità
di variazione dell’uscita.
Ma, dato un certo segnale sull’uscita, quale dei due limiti interviene per
primo?
Calcoliamo il limite di slew rate per un segnale di tipo sinusoidale:

78
Vu (t) = Vpk sin(ωt)
Per trovare lo slew rate della sinusoide occorre massimizzarne la derivata:

dVu
= ωVpk cos(ωt)|MAX = ωVpk
dt MAX
Segue che:
I0 I0 SR
ωVpk ≤ SR = =⇒ Vpk ≤ =
CC ωCC ω
Dunque la massima ampiezza di un segnale sinusoidale in uscita da un am-
plificatore operazionale decresce con la frequenza con legame di tipo iperbolico.
Esempio 2. Si voglia utilizzare un operazionale modello TL082 per realizzare
un amplificatore con banda passante pari a f0 = 400 kHz. Qual è il massimo
guadagno utilizzabile e qual è la massima ampiezza d’uscita indistorta quando
il segnale d’ingresso è una sinusoide a frequenza 400 kHz?

Bode Plot Undistorted Output


Voltage Swing

Figura 1.56: Risposta in frequenza e massima tensione d’uscita per il TL082


(dal data sheet National Semiconductor).

Dal data sheet del TL082 si vede che lo slew rate vale SR = 13 V µs−1 ,
mentre il prodotto banda guadagno è GBW = 4 MHz.
La specifica di banda passante sarà rispettata se si rimane al di sotto del
prodotto banda-guadagno:
GBW
AVM AX = = 10
f0
Per quanto riguarda l’ampiezza, il massimo della derivata dell’onda sinusoidale
deve essere inferiore allo slew rate dell’operazionale:
Vpk · 2π · 4 × 105 V s−1 ≤ 17 V µs−1
13
VpkM AX = V = 5.17 V
2π · 0.4
Lo stesso risultato si può ottenere utilizzando i grafici presenti sul data sheet.
I due grafici più significativi sono riportati in figura 1.56.

79

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