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MARCO FORTI

Shōtōkai No Rekishi

Excursus sulla storia

del Karate-dō

del M° Shigeru Egami

Corso Maestri 2001-2003

FIKTA - Federazione Italiana Karate Tradizionale e discipline Affini


FIKTA - Corso Maestri 2001-2003 Marco Forti Shōtōkai No Rekishi

INDICE

Indice pag. i

Premessa pag. ii

Convenzioni pag. iv

Shōtōkai - etimologia pag. 1

Shigeru Egami pag. 3

Il momento più buio per il Karate-dō pag. 10

Il percorso di Shigeru Egami pag. 18

Messaggi del M° Egami pag. 34

Lo Shōtōkai fuori dal Giappone pag. 38

La situazione attuale in Giappone pag. 46

Lo Shōtōkai in Europa dopo la morte del M° Murakami pag. 49

Bibliografia pag. 52

i
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“Gli avvenimenti degli uomini non svaniscano col tempo


e opere grandi e mirabili non restino senza gloria”
Erodoto (historiês)

PREMESSA

Ho deciso di presentare, quale tesi finale del Corso Maestri, il risultato delle mie
ricerche sulla storia del Karate-dō del M° Egami.
Il motivo principale per cui ho voluto presentare un lavoro di carattere storico deriva
fondamentalmente da alcune considerazioni relative alla mia concezione di maestro.
Il maestro è, a mio avviso, colui che ha trasceso la fase di pura trasmissione formale
della tecnica. Egli deve essere in grado di instaurare un rapporto di intima
comunicazione con ogni singolo allievo attraverso la quale la tecnica viene trasmessa
come elemento indissolubile di un più ampio sistema filosofico e formativo.
Così come la maestria prevede che la tecnica non venga eseguita bensì vissuta e
interpretata, così il kimochi (気持) e la trasmissione “da cuore a cuore” (I shin den
shin), vale a dire toccando le più intime corde dell’animo di ogni singolo allievo,
richiedono la profonda comprensione delle proprie radici, la consapevolezza
dell’esperienza del vissuto del fondatore e dei predecessori.
«Per essere considerato un maestro, un karateka deve avere rispetto e comprensione
per la storia del Karate-dō, deve allenare la mente così come il corpo, e perseguire
l’allenamento tradizionale». Questa è la risposta illuminante di Sensei Morio Higaonna
(Goju Ryū di Okinawa) alla domanda “Quali sono le caratteristiche di un maestro?”1

Nel presente scritto presento la storia dello Shōtōkai o, più precisamente, del Karate-
dō di Shigeru Egami attraverso episodi di vita vissuta e scritti degli esponenti di
questo stile. Non tratterò l’aspetto tecnico se non incidentalmente, e solo quando
risulterà necessario per agevolare la comprensione di particolari vicende storiche.

Alcuni documenti da me inseriti in questo scritto sono inediti in quanto non sono mai
stati, prima d’ora, pubblicati in nessuna lingua diversa dal giapponese ed alcune
informazioni, per tale motivo, vengono per la prima volta rese note.

1
Dr. Clive Layton «Conversations with Karate masters» - Ronin Publishing - Birkenhead 1988
ii
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I commenti ai testi e alle situazioni storiche riportate nelle pagine seguenti sono
esclusivamente espressione di opinioni personali e pertanto non rappresentative degli
orientamenti di nessuna organizzazione.

Eventuali errori ed imprecisioni riportate nel testo sono ascrivibili unicamente al


sottoscritto.

Cesena, maggio 2003

Marco Forti

Marco Forti
Piazza P. P. Pasolini, 140
47023 Cesena (FC)
e-mail: marco.forti@shotokai.net

iii
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CONVENZIONI

Nel testo i nomi di persona vengono indicati secondo lo standard europeo (prima il
nome e poi il cognome).

La romanizzazione dei termini giapponesi viene presentata seguendo il metodo


Hepburn (ヘボン式), quella dei termini cinesi seguendo il metodo Pinyin .

iv
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Shōtōkai - etimologia

Il termine Shōtōkai (松涛会) significa gruppo, collegio di Shōtō


(Shōtō era lo pseudonimo usato dal M° Gichin Funakoshi per
firmare le proprie poesie).
La traduzione letterale del termine Shōtō è "onde di pino" ed il
Mº Funakoshi spiegò il motivo della scelta del termine nel suo
libro "Karate-Dō - My Way Of Life" 2 : «...La città fortificata di
Shuri dove sono nato è circondata da colline con foreste di pini
delle Ryūkyū e vegetazione sub-tropicale, fra cui il monte
Torao... La parola Torao significa "coda di tigre", termine appropriato poiché la
montagna era molto stretta e così foltamente boscosa che, vista da lontano, sembrava
proprio la coda di una tigre... Quando avevo tempo, solevo passeggiare sul monte
Torao...se accadeva che ci fosse anche un po’ di vento, si poteva udire lo stormire dei
pini e sentire il profondo impenetrabile mistero che si trova all'origine di tutta la vita...
Godere la solitudine ascoltando il vento fischiare attraverso i pini mi sembrava
un'eccellente maniera per raggiungere la pace della mente che il Karate
richiede...queste sensazioni sono sempre state parte di me, fin dall'infanzia: decisi così
che "SHŌTŌ" era il miglior nome con il quale firmare le mie poesie.»

L’uso del temine Shōtōkai appare per la prima volta nel 1935 quale denominazione
assunta dal comitato di allievi del M° Funakoshi, creato su iniziativa di Kichinosuke
Saigo, importante figura politica dell’epoca, con lo scopo primario di raccogliere i fondi
necessari alla costruzione del primo dōjō dedicato esclusivamente alla pratica del
Karate in Giappone. Infatti il tremendo terremoto che nel settembre del 1923 colpì
Tōkyō, danneggiò il dōjō di Meisei Juku e la pratica poté continuare grazie all’offerta
dell’uso del proprio dōjō fatta dal maestro di Kendō Hiromichi Nakayama, amico del
Maestro Funakoshi oltre che, naturalmente, presso quei club universitari della capitale
giapponese ove era stata introdotta la pratica
del Karate-dō.
La raccolta dei fondi diede buoni frutti tanto
che la costruzione del nuovo dōjō, cui il
comitato diede il nome di Shōtōkan3 (松涛館)
e che in seguito sarà individuato anche come
honbu dōjō (dōjō centrale), ebbe inizio nella
Il dōjō Shōtōkan a Zoshigaya - Tōkyō
primavera del 1936 e terminò nel 1938.

2
Gichin Funakoshi - «Karate-dō - Il mio stile di vita» - Edizioni Mediterranee - Roma - 1987 - pagg. 93-94
3
Kan (館) = casa, edificio.
1
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Il M° Funakoshi chiamava il suo metodo semplicemente Karate-dō; i termini Shōtōkan


e Shōtōkai non individuavano ancora alcuno stile o scuola ma, rispettivamente, il dōjō
ed il gruppo formato dagli allievi del Maestro. Poiché tali allievi si allenavano nello
Shōtōkan, presto si confuse il nome della scuola con quello del suo metodo.
Il gruppo Shōtōkai viene rifondato nel 1956 con il fine della pratica e della
preservazione dell’arte scevra da qualsiasi influenza di tipo sportivo e commerciale.

I maestri che procedettero alla


rifondazione del gruppo, che da
allora assunse il nome di Nihon
Karate-dō Shōtōkai (NKS), furono
Gichin Funakoshi, Shigeru Egami,
Genshin Hironishi, Isao Obata (gli
ultimi due fuoriusciti dalla Nihon
Karate Kyōkai - NKK o JKA - che
sorse proprio per iniziativa di Obata), e I maestri Egami, Hironishi e Funakoshi

Hiroshi Noguchi.
La presidenza e la direzione tecnica del gruppo venne conferita allo stesso M° Gichin
Funakoshi che la mantenne fino alla sua morte, avvenuta il 26 aprile dell’anno
seguente.

Alla morte del maestro Funakoshi, per suo volere, il dōjō


Shōtōkan (ricostruito dopo essere stato distrutto dai
bombardamenti americani del 1945), i suoi scritti inerenti
il Karate-dō ed il suo simbolo, la tigre creata dal pittore ed
allievo Hoan Kosugi vennero consegnati alla Nihon Karate-
dō Shōtōkai.

Per quanto ovvio e ben conosciuto ribadisco che, all’epoca, il termine Shōtōkai non
indicava ancora uno stile o una scuola diversa e che i due gruppi, NKS e NKK (JKA)
praticavano, al di là di alcune divergenze di opinioni, lo stesso Karate.

La differenza principale era il rifiuto da parte della NKS della competizione sportiva.
Solo diversi anni dopo il termine Shōtōkai verrà utilizzato, soprattutto al di fuori del
Giappone, come sinonimo del metodo del M° Egami.

2
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Shigeru Egami

Shigeru Egami nacque nella Prefettura di Fukuoka


(isola di Kyūshū) nel 1912, in una famiglia di
commercianti e costruttori edili.
In gioventù praticò Jūdō e Kendō. Nel 1924, studente
delle scuole secondarie, vide per la prima volta
4
alcune tecniche di Karate. Scrisse : «Gli strani
movimenti e le tecniche di un capomastro di lavori
edili, originario di Okinawa, mi sembrarono misteriosi
e mi incuriosirono, solo in seguito ho capito che egli
era solo un principiante...».
Nel 1931 entrò alla facoltà di Commercio
dell’Università Waseda e per un breve periodo praticò
Aikidō.
Nello stesso anno incontrò il M° Funakoshi diventandone allievo e aiutandolo a fondare
il club locale di Karate all’Università Waseda.
Sempre lo stesso anno un suo compagno di Università iniziò la pratica nel medesimo
club. Il suo nome era Genshin (Motonobu) Hironishi e la loro amicizia divenne
talmente salda da durare tutta la vita. Hironishi scrisse5: «Non posso dire esattamente
come, ma sin dall’inizio nacque tra noi una comunicazione molto spontanea, un tipo di
unione che includeva anche altri aspetti della vita quotidiana.»
Nei primi anni trenta venne coinvolto nella
divulgazione del Karate-dō in Giappone e partecipò,
prima con Takeshi Shimoda poi, dopo la morte di
quest’ultimo, con Yoshitaka Funakoshi, a numerose
dimostrazioni.
Scrisse a tal proposito 6 : «Ricordo i viaggi che noi,
allievi del maestro Funakoshi, facemmo nella zona di
Kyōto-Ōsaka e nell'isola di Kyūshū sotto la guida di
Takeshi Shimoda, il nostro istruttore e il migliore tra I maestri Funakoshi e Shimoda

gli studenti di Funakoshi.

4
S. Egami - « 空 手道 - 専 門家 に 贈る » Karate-dō - Senmon-ka ni okuru (Karate-dō - dedicato ai
professionisti) - Ed. Rakutenkai, Tōkyō 1970
5
Estratto da «Entrevista al Maestro Motonobu Hironishi» - Boletín Shōtōkai de España - 1984
6
S. Egami - «The Heart Of Karate-Dō» - Kodansha International Ltd. - Tōkyō, New York, London, Revised
Edition, 2000 - pagg. 11-12.
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Questo accadeva attorno al 1934, circa dodici anni dopo la prima dimostrazione che il
maestro fece a Tōkyō.
Il Karate, in quei giorni, era considerato una mera tecnica di combattimento ma aveva
un'aura di segretezza e mistero. Di conseguenza sembra che la curiosità fosse l'unico
motore a spingere gruppi di persone ad assistere alle nostre dimostrazioni.
Sebbene non conosca bene la carriera di Shimoda, so per certo che fu un esperto della
scuola Nen-ryū di Kendō e studiò anche Ninjitsu.
Per uno sfortunato volere del fato si ammalò dopo una delle nostre dimostrazioni e
morì poco dopo.
Shimoda era l'assistente del maestro Funakoshi e si occupava dell'insegnamento
quando quest'ultimo era impegnato. Il suo posto venne preso dal terzo figlio del
Maestro, Gigō (Yoshitaka), che non era solo un uomo dal carattere eccellente ma
anche un grande esperto dell'arte. Sicuramente non c'era persona più qualificata per
l'insegnamento ai giovani studenti.
Comunque, poiché all'epoca era tecnico radiologo all'Università Imperiale di Tōkyō e al
Ministero dell'Educazione, si dimostrò piuttosto riluttante ad assumere anche questo
incarico. Dopo le numerose pressioni da parte del padre e dei suoi studenti finì
comunque per accettare e, di lì a poco, attirò la nostra ammirazione ed il nostro
rispetto. ».

A dispetto di un’apparente eccellente forma fisica, Egami, come


anche Yoshitaka Funakoshi, soffriva già di seri problemi di
salute.
Fu scartato alla visita di incorporazione per il servizio militare
in quanto aveva seri problemi polmonari e più tardi, all’età di
24 anni, contrasse la tubercolosi.
A seguito della morte del fratello maggiore, Egami si sentì in
dovere di tornare nell’isola di Kyūshū per seguire l’azienda
familiare.

Presto però lasciò questa occupazione in quanto non si sentiva adatto alla vita del
commerciante e fece ritorno a Tōkyō impegnandosi, con Yoshitaka Funakoshi e
Genshin Hironishi, allo sviluppo del Karate-dō.
Erano state create nuove posizioni, come il fudo dachi, e nuove tecniche di calcio quali
yoko geri (kekomi e keage), alcune forme di mawashi geri, fumikomi e ushiro geri.
Le posizioni, in generale, erano divenute più basse e più ampie.

4
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Negli anni trenta Yoshitaka Funakoshi, Shigeru Egami e Genshin (Motonobu) Hironishi lavoreranno
alacremente allo sviluppo del Karate-dō. Nelle foto Shigeru Egami e Yoshitaka Funakoshi.

5
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Nel 1935, Egami, aderì al comitato creato da Kichinosuke Saigo per la raccolta dei
fondi per la costruzione di un dōjō dedicato esclusivamente alla pratica del Karate.
Come già ricordato questo comitato costituì l’embrione del gruppo Shōtōkai.
Riguardo alla costruzione del dōjō scrisse 7 : «Verso il 1936 i giovani allievi si sono
riuniti attorno al M° Yoshitaka Funakoshi per costruire il dōjō centrale, che fu chiamato
Shōtōkan partendo dallo pseudonimo in calligrafia del Maestro Funakoshi. Tuttavia,
all’epoca non si ricorreva a tale appellativo, noi tutti chiamavamo questo dōjō
semplicemente “Honbu dōjō” (dōjō centrale).
Che gioia allenarsi in un dōjō così bello
e per di più costruito con i nostri
sforzi! La sensazione era quella di
essere consanguinei e lo spirito con il
quale ci esercitavamo risultò ancora
più vigoroso.
Naturalmente anche la felicità del
vecchio maestro Funakoshi (Gichin) e
del giovane (Yoshitaka) era grande;
ogni volta che comparivano nel dōjō ci
offrivano la loro guida con un sorriso in
più». I maestri Yoshitaka e Gichin Funakoshi

Sempre considerato uno degli allievi più attivi del M° Funakoshi, Egami iniziò ad
insegnare Karate alle Università di Gakushuin, Toho e Chuo e fu l’istruttore più
giovane ad essere eletto Membro del Comitato di Valutazione da Gichin Funakoshi.
Nel corso della seconda guerra mondiale insegnò inoltre alla Nakano School che era un
centro di addestramento per spie e commandos giapponesi che il Maestro Mitsusuke
Harada definisce8 una via di mezzo tra il MI5/MI6 (servizi segreti) e le SAS (Special Air
Service) britannici.
Nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale, Egami assistette in meno di un
anno alla distruzione della casa e del dōjō del M° Funakoshi e alla morte del maestro e
grande amico Yoshitaka Funakoshi.
Dopo la morte di Yoshitaka Funakoshi, Egami iniziò a sentirsi assillato dalla necessità
di perseguire la Via da sempre indicata dal suo Maestro e individuata nel lavoro che
aveva iniziato con Yoshitaka Funakoshi e Genshin Hironishi: la trasformazione dell’arte
di Okinawa in un’arte del Budō giapponese, partendo dal Karate per giungere al
Karate-dō.

7
«Karate-dō - Senmon-ka ni okuru» - op. citata.
8
Clive Layton - «Karate Master - The Life and Times of Mitsusuke Harada» - Bushido Publications -
Liverpool 1997 - pagg. 61-62.
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Fu proprio nell’ambito di questa sua ricerca che, per sciogliere il dubbio sull’efficacia
dello tsuki, si fece ripetutamente colpire l’addome (con questo probabilmente
aggravando il suo già compromesso stato di salute) dai colpi di pugno di diverse
persone e concludendo che il tipo di attacco dei Karateka appariva essere quello meno
efficace.
Scrisse in proposito9: «Mi sono chiesto per molto tempo se i colpi frontali del Karate
fossero veramente efficaci. Ho fatto di tutto, dallo spezzare tavole e tegole al rompere
mattoni, ma nonostante queste operazioni fossero andate a buon fine, rimaneva il
dubbio circa l’effetto prodotto dagli stessi colpi su un corpo umano.
L’esperienza personale mi ha insegnato che quest’ultimo è più resistente di quanto si
possa pensare; le sue caratteristiche sono totalmente differenti da quelle di tavole e
tegole, in più possiede uno “spirito” sottilmente inspiegabile.
Quando non siamo certi della reale efficacia dei nostri colpi allora ci assale uno stato
d’ansia non indifferente. Ho provato a porre il quesito che mi assillava a parecchie
persone e le risposte sono state varie ma nessuno ha dichiarato d’esser certo del
potere delle proprie azioni nonostante sembra che molti posseggano la forza
sufficiente per infliggere un “colpo mortale”. Un’antica tradizione giapponese, presa
alla lettera, dice che o si crede ciecamente, oppure si mette da parte l’inquietudine
interiore e ci si sforza di credere; io decisi di seguire il consiglio.
In pratica non è così semplice pensare di trovare cavie disponibili né tantomeno
persone pronte a infierire su di noi nonostante il palese consenso; qualcuno ci ha
provato senza ottenere un gran risultato, e poi bisogna tenere conto del fatto che
pochi sarebbero quelli inclini a rendere pubblico un esito di cui si vergognano.
Affinché il colpo andasse a segno era indispensabile che il tempismo fosse perfetto,
non approssimativo. Quando il rischio era la vita, peraltro quasi mai, mi è capitato di
far mostra di colpi efficaci eppure ben lontani dall’essere letali; tuttavia, nei Kata e
nelle tecniche messe in pratica in quelle occasioni c’era qualcosa di diverso dai Kata e
dalle tecniche dell’allenamento abituale. Non c’è dubbio che i colpi andati a segno
furono tali per puro caso, e questa non è solo la mia opinione, è il parere di persone
che, come me, decine di migliaia di volte hanno percosso e si sono fatte picchiare
l’addome e l’epigastrio: è la voce dell’esperienza che parla.
Per rimuovere l’insicurezza ci si sforzò, si cercò di approfondire, migliorare, e ne
emerse che “il Karate è la tecnica della concentrazione”. Prima di tutto, fisicamente è
nato dalla concentrazione della forza su un punto ben preciso; ciò significa che, in
termini pratici, sia in caso di attacco che di difesa bisogna riunire tutta la potenza
laddove intendiamo colpire l’avversario. Da qui ebbero inizio ulteriori ricerche che,
condotte contemporaneamente alla disciplina di sempre, mi consentirono di capire che

7
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la “concentrazione” non è un fenomeno esclusivamente fisico bensì necessariamente e


inevitabilmente “mentale”.
Come fare per rendere le proprie tecniche efficaci? Quali sono i colpi che funzionano
davvero? Vorremmo proprio saperlo, e vorremmo anche conoscere il potere delle
nostre azioni, peccato che nessuno ce ne offra l’occasione. Al sottoscritto non rimase
che mettere a disposizione il proprio addome affinché più persone lo colpissero; sulla
base degli effetti prodotti potei chiarire i miei dubbi.
Il mio stomaco venne picchiato a volontà da svariati karateka, judoka, kendoka e
boxers e la cosa più deplorevole fu il risultato: i meno efficaci furono i primi della lista,
nonostante si trattasse di veterani del Karate, mentre i pugni maggiormente andati a
segno furono quelli dei praticanti la boxe.
Ciò che mi sconvolse alquanto, però, fu l’esito sorprendente di perfetti incompetenti,
persone che non avevano mai affrontato un allenamento. Rimasi sbalordito
chiedendomi il perché, cercando le ragioni di una cosa simile, facendo confronti e
tentando di scovare le differenze.
Nel corso delle mie ricerche mi resi improvvisamente conto che l’allenamento portato
avanti fino a quel momento in realtà irrigidiva, bloccando i movimenti, con l’illusione
che producesse forza. Una volta scoperto il difetto si trattava di sciogliere le parti
indurite rendendole elastiche, ragion per cui decisi di rimettere tutto allo studio.»

Intanto, il primo maggio 1949, veniva fondata la già citata Nihon Karate-dō Kyōkai
(Japan Karate Association). Nonostante la fondazione e la supervisione da parte di
uomini della corrente più tradizionale, Obata, Saigo, Hironishi, la JKA iniziò a poco a
poco ad essere guidata da princìpi commerciali e da metodi e pratiche simili a quelli
degli sport occidentali che culminò con l’emanazione del regolamento per le
competizioni agonistiche (1955).
Per questo motivo i tradizionalisti, tra cui i tre maestri sopracitati, lasciarono
l’organizzazione.
Il Maestro Funakoshi che inizialmente aveva gradito la popolarità che questo nuovo
organismo stava riscuotendo, iniziò ad esserne preoccupato in quanto vedeva i valori
essenziali del Karate-dō in forte rischio.
Il 13 ottobre 1956, nella prefazione alla seconda edizione del libro «Karate-dō
10
Kyōhan» scrive : «...Non posso negare che vi siano momenti in cui divento
dolorosamente consapevole del pressoché irriconoscibile stato spirituale al quale il

9
«Karate-dō - Senmon-ka ni okuru» - op. citata.
10
Cito dall’edizione in lingua inglese edita da Kodansha International Ltd.: «…I cannot deny that there were
moments at which I came to be painfully aware of the most unrecognisable spiritual state to which the
karate world hade come from that that had prevailed at the time I had first introduced and begun the
teaching of karate...»
8
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mondo del Karate è giunto rispetto a quello che prevaleva all’epoca in cui, per la prima
volta, ho introdotto ed iniziato l’insegnamento del Karate...».
Egami avverte questa preoccupazione e decide di seguire gli incoraggiamenti del
proprio maestro e degli allievi più anziani a continuare nella Via del Budō.
Già nel 1953 la ricerca di Egami aveva avuto una svolta positiva. Nel ricevere uno
tsuki dal giovane Tadao Okuyama notò che quell’attacco era straordinariamente più
efficace di tutti quelli che aveva ricevuto fino ad allora.
Allora, a poco più di quarant’anni di età, Egami prese la decisione di cambiare
radicalmente i concetti e le forme convenzionali di esecuzione. Iniziò ad adottare
tecniche eseguite in decontrazione, evitando l’uso di forza non necessaria.
Ricominciò così a pensare al modo di colpire apparentemente leggero e rilassato ma
estremamente efficace che distingueva le tecniche di Takeshi Shimoda, Yoshitaka
Funakoshi e dello stesso Maestro Gichin Funakoshi.

Allo stesso tempo venne in contatto con Hoken (o Shōyō o Noriaki) Inoue, fondatore
dello Shinwa Taidō (poi Shinei Taidō) e nipote del fondatore dell’Aikidō, Morihei
Ueshiba.
Dai contatti con Inoue iniziò ad interessarsi all’energia vitale e alla sua circolazione nel
corpo umano.
Nel 1955, in piena fase di ricerca,
dovette essere sottoposto a due
operazioni allo stomaco.
Tali operazioni, a distanza ravvicinata,
lo portarono all’impossibilità di nutrirsi
normalmente tanto che giunse a
pesare solo 37 chili.
L’indebolimento era tale da non
rendergli possibile alcun tipo di
allenamento fisico. La convalescenza del M° Egami.
Alla sua destra si riconosce Tadao Okuyama.

Il ricovero e lo stato di precarietà finanziaria legate all’impossibilità di svolgere una


qualsiasi attività furono sorpassate con grande difficoltà e solo grazie all’aiuto di amici
come Hironishi, Okuyama e Yanagizawa.
Scrisse di quel periodo11: «...fui sottoposto ad un intervento per la rimozione di parte
del mio stomaco e, dopo meno di un anno, ad un'altra simile operazione. Poiché persi
la forza di cui andavo così fiero, non potei più praticare Karate. Ancora più serie erano
le difficoltà a condurre una vita normale. Ripenso a quel periodo, durante il quale ero

11
«The Heart Of Karate-dō» - op. citata - pag. 17.
9
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caduto in una forte disperazione, come al peggior periodo della mia vita. Ma allora
ricordai le altre parole del Maestro Funakoshi: "l'allenamento nel Karate deve essere
quello praticabile da tutti, dai vecchi come dai giovani, dalle donne, dai bambini e dagli
uomini."
Con queste parole in mente presi la decisione di vedere se mi fosse possibile praticare
anche se mi trovavo in pessime condizioni fisiche. I risultati furono rassicuranti e
trovai che mi era possibile praticare grazie all'oculata scelta di certi metodi. Avendo
successo decisi di votare il resto della mia vita alla pratica del Karate».
Nel 1956 fu, come già ricordato, tra i fondatori della Nihon Karate-dō Shōtōkai insieme
al proprio maestro, a Hironishi, Obata e Noguchi.
La morte di Gichin Funakoshi colpì profondamente Egami che era presente, con i
familiari del proprio maestro, al capezzale di quest’ultimo quando questi esalò l’ultimo
respiro.
Questo triste evento e gli accadimenti che caratterizzarono i giorni immediatamente
seguenti furono la scintilla che spinse Egami a proseguire con ancor maggiore
determinazione nella propria ricerca.
A questo punto ritengo opportuno riportare tali fatti utilizzando, allo scopo, il racconto
di quei giorni e l’analisi dell’impatto di tali avvenimenti sul M° Egami che ne fece il M°
Genshin Hironishi.
Riporto integralmente il racconto nella traduzione in lingua italiana da me curata:

Il momento più buio per il Karate-dō

Racconto del Maestro Genshin Hironishi.

Scomparso nel 1999, era l'ultimo sopravvissuto dei 12 quinti dan di Karate
esistenti all'epoca della fine della seconda guerra mondiale. Fu Presidente
dell'Associazione Internazionale Shōtōkai.
Traduzione di Marco Forti

Il nostro maestro e padre, Shōtō, Gichin Funakoshi, morì il 26 Aprile 1957.


Il giorno seguente avemmo un incontro urgente per analizzare una questione molto
complessa che emerse immediatamente dopo la sua morte: gli appartenenti alla Japan
Karate Association (JKA) non avrebbero partecipato ai funerali se non ne fossero stati gli
unici organizzatori.
L'atteggiamento della JKA ci sorprese in modo sgradevole. Ciò non era accettabile, tanto
più se si considerano le parole di Giei (Yoshihide) Funakoshi, primogenito del Maestro:
"La sepoltura di mio padre deve essere organizzata dallo Shōtōkai perché egli non aveva
altra carica se non quella di direttore del Dojo Shōtōkan e del collegio Shōtōkai. Ora che

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il dojo è stato distrutto è logico che la sepoltura sia in carico allo Shōtōkai."
Sapendo che nella società gerarchica tradizionale giapponese il desiderio del primogenito
è il più importante per quanto riguarda le decisioni relative ai funerali, non considerammo
accettabile l'atteggiamento della JKA.
In quel periodo alla JKA erano affiliate alcune delle principali Università che avevano
una lunga storia nel Karate-dō quali: Keio, Takushoku e Hosei, mentre le Università di
Chuo, Noko, Seijo, Gakushin e Senshu restavano legate alla scuola Shōtōkai, sostenendo
l'organizzazione del funerale da parte di quest'ultima.
A riguardo dell'Università Waseda c'era una situazione interna decisamente complicata:
da una parte il Sig. Ohama, direttore del Dipartimento di Educazione Fisica, caro amico
del Maestro Funakoshi, era incaricato di coordinare i funerali, dall'altra il club di Karate
che aveva preso le parti della JKA. Essi non potevano boicottare il funerale poiché così
facendo avrebbero ignorato il volere del Sig. Ohama ma non potevano neppure
intercedere per richiedere il riesame della posizione da parte della JKA. Così
parteciparono all'incontro ma non diedero il loro parere in merito.
In questo ambito di complessità e di tensione si tenne l'incontro cui vennero convocati
circa 50 karateka. Io ero presente in qualità di moderatore e intenzionato a limitarmi a
tale compito, il M° Egami ed il suo aiutante Yanagizawa (rappresentante dell'Università
Chuo) erano incaricati dalla famiglia Funakoshi di convincere gli esponenti della JKA a
riconsiderare il proprio atteggiamento.
Per tutto l'incontro il M° Egami richiamò l'attenzione sulle parole del primogenito Giei,
convinto che sarebbe stato un grave errore non assistere al funerale. La JKA, d'altro
canto, restava rigidamente sulla propria posizione: "Se i funerali non fossero stati
organizzati dalla JKA, essi non vi avrebbero partecipato..."
Passarono molte ore ma non si arrivò ad alcun accordo. Era chiaro che per la JKA non vi
era possibilità di riconsiderare il proprio atteggiamento. I rappresentanti delle Università
di Takushoku, Keio e Hosei ritirarono i propri stendardi che avevano lasciato per i
cerimoniali precedenti il funerale asserendo di averne bisogno il giorno dopo per non
meglio specificate cerimonie universitarie.
Dopo lunghe ore di discussione fummo forzati a raggiungere una conclusione, che, non
avendo altre soluzioni, fu: "la partecipazione o la non partecipazione al funerale sarà una
decisione personale".
L'unica ragione addotta dalla JKA a sostegno del proprio atteggiamento consisteva nel
fatto che il M° Funakoshi, oltre ad essere il Presidente della scuola Shōtōkai, aveva
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occupato la posizione di più alto consigliere tecnico della JKA. Come ho già ricordato, io
agii come semplice moderatore e mi limitai a quel ruolo.
Non feci commenti in merito ma feci la seguente affermazione per correggere un errore:
"La JKA non riconosce il Taikyoku e pertanto nel suo ambito esso non viene praticato. La
JKA sostiene che tale kata venne creato e perfezionato esclusivamente dal Maestro Gigō
(Yoshitaka Funakoshi). Ciò non è vero. Il Taikyoku è il risultato di molti anni di
allenamento di diverse persone. Il Sig. Kuguimiya (Università Takushoku) è uno di questi
karateka.
Nel corso della seconda guerra mondiale venne pubblicata la seconda edizione del libro
"Karate-dō Kyōhan" che come tutti sappiamo è stato scritto dal Maestro Funakoshi. In
questo libro l'autore presenta il Taikyoku sotto la propria firma. Detto questo richiamo la
vostra attenzione su una cosa: la JKA afferma di considerare il M° Funakoshi il più alto
consigliere tecnico ma non pratica il Taikyoku, questo è incoerente!"
Dopo tale incontro successe ciò che doveva succedere...
Nel dicembre dello stesso anno il M° Nakayama venne a trovarmi e avemmo il seguente
colloquio:
N: "Diventa un membro della JKA. Ferma questa contrapposizione ed unisciti a noi".
A questo invito la mia risposta fu definitiva:
H: "Prima di invitarmi ad entrare nella JKA devi fare due cose: andare alla casa della
famiglia del M° Funakoshi e chiedere loro perdono. Come posso far parte di
un'organizzazione che ha boicottato il funerale del nostro maestro? Poi dovrai anche
riconoscere il Taikyoku come ufficiale. Se farai queste cose considererò il tuo invito."
N: "Bene, forse hai ragione. Ma non discutiamone adesso. Aderisci alla JKA e poi imponi
le tue ragioni".
(La JKA, nel periodo in cui avemmo il colloquio, aveva già riconosciuto il Taikyoku come
creato dal M° Funakoshi. Ciononostante essi non lo praticavano, cosa per me
incomprensibile).
H: "Guarda Nakayama, noi siamo tecnici di karate. Ci siamo allenati insieme e abbiamo
condiviso momenti difficili. Spero tu mi capisca. Tu hai degli studenti. Dimmi: se la gente
chiede loro se fanno parte dell'associazione che boicottò il funerale del M° Funakoshi, la
cosa non ti infastidisce? Vai alla casa dei Funakoshi e chiedi il loro perdono. È una mera
formalità, lo so, ma devi farlo".
Questa fu l'ultima volta che vidi Nakayama.

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La forma e lo stile
Mi dispiace aver intrattenuto così a lungo il lettore con questo prologo ma ritengo sia
necessario a meglio comprendere perché il M° Egami fece il primo passo verso un nuovo
orizzonte che, anni dopo, si sarebbe trasformato nel proprio stile di Karate.
Il boicottaggio del funerale da parte della JKA ci colpì molto duramente e lasciò profonde
ferite.
Egami ne fu colpito più di chiunque altro, a tal proposito ricordo questo breve colloquio:
E: "Senti Hironishi, puoi spiegarmi perché la JKA ha agito in questo modo?"
H: "Non lo so! Come posso spiegarlo a te se io stesso non posso credere a quello che è
successo?"
Egami ricevette l'impatto di questa esperienza con tutto il corpo e l'anima e reagì
rispondendo in modo esemplare.
Negli anni della guerra le nostre conversazioni erano incentrate sui kata ed i suoi
movimenti. La linea di pensiero di Egami poteva essere sintetizzata come segue: "Il Kata
deve essere eseguito con movimenti pieni di energia vitale, non con semplici movimenti".
Le sue idee rivoluzionarie erano ancora in uno stato embrionale e ci sarebbero voluti
ancora alcuni anni per concretizzarle. Divenne capace di praticare Taikyoku in completa
libertà, dirigendo il proprio corpo in maniera perfetta; ciò portò inevitabilmente ad una
rivoluzione dei kata tradizionali.
Il suo punto di vista cozzò contro i principi cui la JKA ostinatamente aderiva. Essi
consideravano i Kata sacri e intoccabili, da rispettare esattamente come erano e da
praticare sempre nello stesso modo.
Era la stessa inflessibilità che aveva portato la JKA a boicottare i funerali del Maestro
Funakoshi...
Dopo essersi ripreso dalla triste esperienza fu così che Egami interpretò l'atteggiamento
della JKA ... ma questo non ha importanza, ciò che è sicuro è che da quel momento si
dimenticò completamente della JKA e cominciò a sviluppare liberamente le proprie idee e
si dedicò all'insegnamento del suo metodo ai suoi studenti.
Nel Buddismo si dice che l'anima si esprime nella forma e che la forma richiede anima.
Ciò sarebbe l'ideale ma nella realtà la forma spesso dimentica l'anima. I templi (forma)
dimenticano il Buddha (anima) e si limitano a dimostrare la loro bellezza e la dimensione
strutturale.
La forma e l'anima sono la carne e le ossa, ma esse non devono aderire ad una forma
definitiva. Detto in altre parole la forma non deve divenire qualcosa di divino. L'anima, se
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evolve costantemente, non cesserà mai di cercare una nuova forma con la quale riuscire
ad esprimersi meglio, deve rompere quella attuale e prenderne una nuova. Questa è la
ragione che rende la posizione della JKA a me incomprensibile.
Ricordo perfettamente lo sguardo di Egami, gli occhi di una persona realmente eccitata,
caratteristici di chi si dedica con amore e passione ad una nobile causa.
E ancora ricordo il suo commento favorito: "La mia vita intera è semplicemente
allenamento".
Egami, sempre attorniato da studenti ma mai perso nella vanità, lui che ha sempre detto
che il suo tsuki (colpo di pugno) gli era stato insegnato da Okuyama (che allora era solo
uno studente), lui che ripeteva sempre quel commento: "La mia vita intera è
semplicemente allenamento", evitando qualsiasi esaltazione.
Questo è come Egami è sempre stato, libero da ogni vanità ...
Il suo Karate sovrasta di gran lunga il livello del Karate tradizionale per le sue qualità ed
i suoi concetti. Tecnicamente enfatizzò il MAAI, dove nessuno fu in grado di raggiungere
la sua perfezione. Il suo maai gli permise, ogni volta che si trovava di fronte ad un
avversario, di vincere prima che lo stesso combattimento iniziasse. Questa superiorità
mentale caratterizza il suo Karate e testimonia il suo immenso valore.

Le preoccupazioni del maestro Egami negli ultimi anni della sua vita
Egami fu realmente un autentico prodigio
del Karate. Dedicò tutta la propria vita allo
sviluppo del suo stile.
Ebbe la benedizione di avere molti allievi
che lo rispettarono. Il Karate nelle sue mani
evolse in generale.
Nessuno potrebbe contribuire al Karate più
di quanto fece lui.
Anche considerando la malattia che lo colpì
negli ultimi anni della sua vita, la sua
passione ed il suo non restare mai inoperoso
non cessarono mai.

I maestri Egami e Hironishi

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Anche nei suoi ultimi momenti ebbe la preoccupazione di come avrebbe potuto trasmettere
il suo messaggio nel miglior modo possibile.
"Per andare oltre il Karate tradizionale e farlo evolvere, sono forse andato troppo veloce,
ho forse messo troppa enfasi sullo spirito?"
"Sarebbe forse meglio reintrodurre e rendere obbligatorio l'uso del makiwara per la
pratica dei pugni agli studenti con grado di primo Dan e oltre?"
Le sue preoccupazioni erano infinite, il che chiaramente evidenzia la sua continua
passione per il Karate e la sua propensione al raggiungimento di una sempre migliore
efficienza nel metodo di insegnamento.
Un'altra preoccupazione che sentiva era il timore che il suo stile fosse divenuto una forma
intoccabile ed immodificabile. Se questo fosse mai avvenuto sarebbe stata una
contraddizione perché egli, nella sua giovinezza, si era ribellato alla JKA che aveva
trasformato tutto in qualcosa di intoccabile.
Posso con sicurezza affermare che la maggior parte dei suoi pensieri derivavano dalla
consapevolezza della debolezza psicologica dei più giovani.
"Molti ragazzi vengono a farmi visita ma stanno zitti e non chiedono nulla. Non fanno
altro che fissarmi e cercare di imitarmi ... non capisco cosa si aspettano da me.
Sembra che contino le loro visite. Sono l'unico che parla e alla fine termino sempre
esausto e triste."
"Se durante le sessioni di allenamento critico un giovane o richiamo la sua attenzione
riguardo a qualche particolare, il suo cuore inizia ad agitarsi ed alcuni non tornano più
ad allenarsi. Non ci sono più giovani disposti coraggiosamente a cercare la verità con
determinazione ed entusiasmo, con un enorme voglia di studiare...?"
Come si dice spesso, i giovani di oggi non sono più quelli di una volta. Non vogliono
lavorare duro, vogliono solo arrivare allo scopo senza sforzo e tramite scorciatoie. Questo
sicuramente spiega un film che ha un titolo per me molto divertente: "Come far carriera
senza lavorare duro".
Il progresso nella nostra vita ci offre una vita facile e confortevole. I giovani hanno
sempre l'enorme vantaggio di avere più comodità. Ma sfortunatamente quando essi si
abituano all'agio non sono in grado di comprendere che dietro ad ogni comodità
raggiunta ci sono anni di sforzi e ricerche. Non vanno mai oltre la loro debole mentalità.
I giovani studenti del M° Egami condividevano questa debolezza con gli altri giovani
d'oggi. Avrebbero dovuto pensare agli anni di dura pratica necessari per capire,

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rivalutare e definitivamente approvare quanto raggiunto e codificato dai maestri. Ma chi


attualmente fa' questo sforzo mentale?
Egami era disturbato dal vedere i giovani limitarsi ad imitare ciò che lui faceva
trasformando il proprio Karate in mera forma.
Questo avvenne con la tecnica dell'Irimi che deve essere praticata come una sfida
affrontando l'attacco dell'avversario con un'attitudine mentale molto forte. Comunque i
giovani praticavano senza la corretta attitudine mentale trasformando l'Irimi in un'altra
tecnica di evasione.
I giovani stanno cambiando ed assieme a questo cambiamento anche il metodo di
insegnamento deve cambiare. Ma come deve cambiare?
Erano queste considerazioni che gli avevano fatto pensare di reintrodurre l'uso del
makiwara nell'allenamento, ciò che lui aveva eliminato in quanto inutile. Gli studenti
avrebbero dovuto allenarsi col makiwara, provare il dolore fisico e capire l'inutilità di
quello strumento per poter poi raggiungere un livello superiore.
E: "Hei, Hironishi. Qual è la tua opinione circa la tendenza di questi giovani ad
abbandonare la pratica?"
H: "Cosa vuoi che ti dica? Non c'è una spiegazione semplice. C'è bisogno di molto tempo
per vedere se la loro attitudine cresce o se resta a questo livello. Allora troveremo una
soluzione adeguata."
E: "Tu puoi dirlo visto che hai un'ottima salute e per questo hai anche molto tempo. Io non
sono nella tua situazione ed è per questo che mi piacerebbe se tu potessi darmi una
risposta."
H: "Sul serio Egami, non ce l'ho."
* * *
Il mio amico Egami è morto.
Devo proseguire il suo desiderio di stimolare i giovani. Ma sono stanco.
Fisicamente sto ancora bene, ma la sua morte mi ha indebolito e sono esausto.
Adesso ho la sensazione di vivere in un grande vuoto. Non riuscirò a vincere questa
debolezza.
Dovrei dire che continuerò per far vivere i sogni dei miei amici, ma non posso. Le mie
parole suonerebbero vuote. Non sarei neppure in grado di emetterne il suono.
Amico mio, sarò presto al tuo fianco e allora ricorderemo tutto ciò che abbiamo vissuto in
gioventù. Aspettami.
* * *

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Dopo la morte del M° Funakoshi, Shigeru Egami divenne istruttore capo dello
Shōtōkan, il dōjō del M° Funakoshi, nel frattempo ricostruito.
Nel 1963, probabilmente stimolato dagli effetti del suo debole stato di salute, Egami
scoprì tecniche che andavano oltre la mera esecuzione fisica, in particolare il tōate o
colpo a distanza senza contatto fisico sul quale mi soffermerò maggiormente in
seguito.
Nel 1967, mentre conduceva una sessione di allenamento estivo all’Università di Chuo,
fu colpito da attacco cardiaco e salvato in extremis grazie ad una tecnica di
rianimazione applicatagli dal suo allievo Hiroyuki Aoki (futuro fondatore dello
Shintaidō). Fu così che si trovò nuovamente per un lungo periodo confinato in un letto
di ospedale. Questa esperienza però gli offrì una nuova visione delle cose. L’agonia
della morte fisica provata per qualche minuto lo risvegliò ad un nuovo significato per
la propria vita e per la pratica del Karate-dō.
Egli, a tal proposito scrisse12: «Una volta sono morto. Sono già trascorsi più di tre anni
da allora. Si è trattato di un attimo, forse di una decina di secondi. Ciò che ho capito in
seguito è che si è trattato di una specie di attacco cardiaco. In quel fuggevole istante
ho fatto un’esperienza straordinaria e preziosa.
Le condizioni erano quelle di un uomo di fronte alla morte. Indicibile dolore,
sofferenza, malinconia - non fu cosa facile né tantomeno paragonabile all’amore per
l’isolamento - e poi afflizione, paura e angoscia messe insieme sì da diventare una
cosa acuta, penetrante.
La partecipazione emotiva fu pressoché assoluta, io che avevo sempre ostentato un
abituale stato di calma.
Anche la gioia di quando ritornai alla vita fu straordinaria: vedevo tutto splendere, fu
un’impressione reale, fu la felicità di sentire la vita.
Fu l’acme del piacere, tanto che era come se avessi dovuto parlarne con tutti. È
probabile che estasi sia il termine più adeguato per questa esperienza che mi fu dato
di fare nell’arco di dieci o venti minuti, poiché ho provato di persona la dignità nonché
la gioia di vivere.
Torniamo a quella decina di minuti.
L’amicizia delle persone intorno, i mutamenti dello spirito e poi il prodigio dello
scambio tra gli esseri, tra gli animi, tra i corpi: non sono sicuro di essere in grado di
raccontare quel che mi fu concesso di apprendere. L’uomo non è fatto per vivere da
solo; sostenuto da molti, similmente alla maglia di una fitta rete vive in relazione agli
altri, attraverso lo scambio con gli altri. Ecco ciò che compresi.»

12
«Karate-dō - Senmon-ka ni okuru» - op. citata
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Il destino gli concesse un altro ventennio di vita che egli dedicò integralmente alla
trasmissione della Via tracciata dal suo maestro e da lui seguita e sviluppata.
Inizialmente con gli scritti, poi con la sua presenza e la sua supervisione ai corsi, anni
dopo attraverso la pratica adattata alla sua condizione fisica e all’età egli riuscì a
trasmettere il suo metodo a uomini del calibro di Hiroyuki Aoki, Tomoji Miyamoto,
Masaru Mizushima, Tetsuya Koibuchi, Keinosuke Kinoshita, Isao Ariga, Masayuki
Nakano, Mitsusuke Harada, Tetsuji Murakami e altri; di queste persone parlerò in
seguito.
Il 10 ottobre del 1980, durante una sessione d’allenamento per istruttori, le condizioni
di salute del M° Egami si aggravarono e venne ricoverato in ospedale.
Due giorni dopo fu colpito da emorragia cerebrale e da allora non riprese più
conoscenza. Morì l’8 gennaio del 1981 in seguito a complicanze causate da una
polmonite.

Il percorso di Shigeru Egami

Shigeru Egami inizia la pratica del Karate con il fine di diventare forte: «entrando
all'Università, ho cominciato seriamente lo studio del Karate. L'allenamento era
lontano dall'essere misterioso, si trattava di ripetizioni e di allenamenti sotto sforzo.
Questo tipo di allenamento permetteva di rendere lo spirito combattivo e di rafforzare
il corpo, ma ho capito, andando avanti, che si trattava di una forza fisica parziale e
superficiale...
Mi sono allenato in tsuki e in keri con la volontà di
diventare il più forte possibile, impegnando la mia vita,
cosa che mi ha permesso di ottenere una forza notevole.
Ma nel corso del tempo ho dovuto comprendere i limiti
della forza fisica e della forza umana, cosa che mi ha
condotto a una riflessione sulla ricerca possibile.
Ho compreso i limiti di un essere umano e ho tentato di
innalzarli, esplorando e creando nuove possibilità.
Chi è debole diventa forte, chi è forte diventa ancora più
forte, ma vi è un limite nella ricerca della forza fisica.
Che cos'è la vera forza, che non si può ottenere
attraverso un allenamento fisico spinto al limite? Esiste
una cosa del genere?

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Quando ero giovane pensavo che il Karate dovesse essere assolutamente efficace e ho
praticato i combattimenti liberi e, per rinforzare lo tsuki, ho anche colpito un makiwara
particolarmente solido; invece di utilizzare un'asse flessibile, ho utilizzato un palo
quadrato di 9 cm. Ho così deviato dal vero Karate...»

Egli riporta nei suoi scritti diversi aneddoti


legati alle considerazioni ed agli
insegnamenti che lo condussero a mettere
in discussione la sua pratica.

All’epoca degli allenamenti intensivi con


Waka Sensei (Yoshitaka Funakoshi),
Egami ricerca la massima efficacia
attraverso espressioni di forza.
Ormai famoso il seguente aneddoto da lui
13
stesso riportato : “Risale grossomodo
all’anno Shōwa 12 o 13 (1937-1938), Shigeru Egami e Yoshitaka Funakoshi

subito dopo la mia laurea. A quel tempo, più che un leone ero un insetto nell’ambito
della disciplina, e se ne sono convinto io figuriamoci se non la pensavano così gli altri.
Mi allenavo dall’alba all’imbrunire, nel mio vecchio dōjō durante la mattinata e presso
il dōjō centrale alla sera. Successe un giorno, credo di ricordare che fosse domenica,
vicino alla stazione di Mejiro, subito dopo la costruzione del dōjō centrale.
Come d’abitudine, mi stavo allenando da solo, senza alcuna distrazione, nel dōjō
deserto. Mi stavo esercitando nel passaggio in nukiashi e nel fumikomi del tekki.
“Fai funzionare il sokuto (parte esterna del piede), cerca di non appoggiare il tallone”
mormorai in una sorta di soliloquio, e schiacciai con tutte le mie forze. Si sentì un
rumore secco. Attonito, guardai in basso.
Le assi di quel pavimento perfettamente costruito pochissimo tempo prima erano
magnificamente spezzate in modo obliquo. “Ce l’ho fatta!” pensai dentro di me con
gioia ma, trattandosi pur sempre dell’importante dōjō appena ultimato, ritenni
opportuno informarne il giovane maestro, presentando al contempo le mie scuse.
“Allora ce l’hai fatta, le hai proprio spezzate!” disse il giovane maestro entrando nel
dōjō. “Wow, questo… ” rimase senza parole per qualche istante e, dopo aver
esaminato attentamente aggiunse:
“Ben fatto, un taglio netto. Non preoccuparti, provvedo subito io a rimetterle a posto.
Certo che hai fatto davvero un bel lavoro.”

13
«Karate-dō Senmon-ka ni okuru» – op. citata
19
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Non fui rimproverato, anzi, ebbi l’impressione che mi stesse encomiando, e per di più
col sorriso sulle labbra. Mi sentivo ancora un po’ a disagio ma alla fine sorrisi anch’io,
lasciando trasparire l’intima gioia.
“Allora Egami, sei stato tu a spezzare le assi del pavimento.” Il vecchio maestro
pronunciò queste parole con la sua voce pacata, comparendo da non so dove. “Si, è
colpa mia. Chiedo scusa” dissi in modo un po’ patetico, convinto che mi avrebbe
facilmente perdonato nonché elogiato come era successo con il giovane Funakoshi.
“Seguimi” mi disse, accompagnandomi nello studio al primo piano.
Alquanto preoccupato, mi sedetti docilmente di fronte a lui.
Dopo qualche istante disse: “Egami, l’hai fatto di nuovo. L’allenamento vero non ha
niente a che vedere con cose del genere.”
Queste osservazioni preliminari mi aiutarono a comprendere che la disciplina originale,
quella di un tempo, nulla aveva a che fare con la violenza. In origine ci si allenava
sugli shōji (pannelli di carta di riso); il lato sul quale era incollata la carta veniva
rivolto verso l’alto, vi ci si versava dell’acqua e lì sopra avevano luogo le esercitazioni.
Naturalmente ci si doveva muovere in modo tale da non rompere il telaio degli shōji
ed evitando di lacerare la carta. Tuttavia, il movimento doveva essere energico. Ho
studiato a fondo le modalità per una sicura riuscita e mi sono stati prodigati consigli
amichevoli in merito.
Se ci ripenso adesso, il discorso di quel giorno fu estremamente importante. Vorrei
che tutti ne potessero apprezzare il valore.”

Egami, in gioventù, fu uno strenuo sostenitore dell’allenamento al makiwara. Giunse


però, in seguito, ad abbandonarne la pratica perché considerata controproducente.
A tal proposito riporta la sua esperienza scrivendo14: “Sono trascorsi venticinque anni
circa da quando ho iniziato a praticare il Karate e anch’io ho colpito il makiwara senza
essere inferiore a nessuno in quanto a zelo. Considerandolo alla stregua di un amico
per la vita, non riuscivo a sentirmi sereno se non ne facevo uso ogni giorno, sotto la
pioggia o con il sole, poiché in caso contrario mi sembrava di aver dimenticato
qualcosa. Mi seguiva in ogni trasferta come un compagno, qualunque fosse la mia
dimora.
Credo che l’episodio risalga ai miei vent’anni. Spinto dall’ardore giovanile lanciai una
sfida, rivolta... ad un albero, in autunno. Il periodo coincideva con quello dell’apertura
dei marroni e la disfida consisteva nel far cadere a terra tutte le castagne con un sol
colpo. Raschiai la corteccia della pianta spianandone la superficie in modo tale da
rendere meno difficoltosa l’azione e, dopo aver mimato il gesto due o tre volte, colpii

14
«Karate-dō Senmon-ka ni okuru» – op. citata
20
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con tutte le forze di cui disponevo. Sentii un certo rumore e mi accorsi che i frutti si
erano staccati dai rami e si trovavano al suolo.
Certo, per essere caduti erano caduti ma non tutti, anzi, si trattava di un quantitativo
limitato, una sorta di contentino, mentre la mano che aveva assunto l’incarico di
sferzare il pugno si stava gonfiando a tal punto che mi domandai, non senza un certo
timore, se sarei stato in grado di usarla ancora in futuro.
Rimane comunque il fatto che, da quel giorno, qualsiasi cosa colpisca, con qualsiasi
potenza, la mano si è rinforzata e indurita a tal punto che riesco quasi a non provare
dolore. In precedenza non avevo totale fiducia nella riuscita dei miei pugni, nemmeno
quando spezzavano assi e tegole, ma da quel momento in avanti acquisii la
consapevolezza della profonda diversità, in molti sensi, tra il corpo umano e assi e
tegole.
Serbo memoria di un’altra cosa strana, ma di estrema valenza, per quanto concerne il
mondo delle arti marziali. Anche il più sprovveduto dei dilettanti riesce a spezzare un
paio di assi o tegole; tuttavia, se si sbaglia può farsi male, mentre nel caso di pugni
sferzati contro il makiwara ciò non avviene, e questo è tutto. No, può sembrare così
ma in realtà si tratta di una cosa ben più complessa, che cela risvolti di un certo peso
comprensibili solo col senno di poi e soltanto con una determinata gradualità.
A partire grossomodo dall’anno Shōwa 30 (1955) fu interrotta la pratica del colpire il
makiwara collocato su una colonna rigida di 3 sun di lato. Nonostante ciò, non riuscii a
rinunciare all’utilizzo di un oggetto così legato alla tradizione; anzi, mi convinsi che era
il caso di fare qualcosa per recuperarne l’utilità, perché così doveva essere.
Karate e makiwara: avevo l’impressione che il loro legame fosse inalterabile e
profondo, imperituro malgrado il taglio inferto. Ma come stavano davvero le cose?
Devo ammettere di non aver mai sentito parlare di vera e propria storia del makiwara.
Trent’anni fa, quando mi recai a Okinawa, c’era chi ne possedeva uno e ne faceva uso
durante le esercitazioni ma non era identico all’attuale. Essendo un makiwara morbido
attaccato ad un’asse di spessore limitato, la sensazione era quella di aver colpito una
cosa molle. Penso che lo scopo fosse semplicemente quello di indirizzare il colpo nel
verso giusto. C’erano addirittura persone con il pugno annerito e la zona di collisione
ridotta ad uno stato simile a quello delle piante dei piedi. Ciò non rappresentava, però,
un valido e attendibile indice di potenza, giacché una volta che ci si era fatti colpire lo
stomaco dagli stessi, l’effetto non era davvero speciale, a dispetto dell’apparenza.
Per simili ragioni nacque diffidenza nei confronti del makiwara. Il sottoscritto, però,
rimase dell’idea che, nel proprio caso, qualche effetto sarebbe sortito, coltivando
segretamente tale presunzione.
Di lì in avanti mi dedicai alla sperimentazione di svariate soluzioni ma la mancanza di
elementi convincenti fu causa di tormenti e sofferenze. Sennonché, in conclusione di

21
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approfondite indagini, la forma del pugno subì un mutamento tale che mi ritrovai
nell’impossibilità di colpire il makiwara. La forma del pugno era cambiata. I colpi
realmente efficaci non consentivano più la chiusura della mano adottata sino a quel
momento. Eravamo intorno agli anni Shōwa 32-33 (1957-1958) quando, come
conseguenza di quanto sopra esposto, abbandonai risolutamente il makiwara.
Dopo qualche tempo, nel corso dei miei studi, emerse non solo che colpire il makiwara
non presentava la benché minima utilità ma addirittura che faceva male. Credo che
chiunque si intenda di shiatsu e di agopuntura e terapia con moksa ne sia a
conoscenza. O forse, pur sapendolo, si pensa che comunque l’allenamento del Karate
sia un discorso a parte?
Anche il corpo umano è natura. Opporsi alla natura è fuori discussione. Non ha senso
infliggersi delle ferite senza motivo.
A coloro che manifestano comunque un attaccamento al makiwara, a chi lo rimpiange,
consiglio di ridurre il più possibile lo spessore di un palo e di sostituire il makiwara con
del tessuto morbido o, ancora meglio, con dello spesso materiale spugnoso. Così
facendo potranno esercitarsi evitando errori di direzione sia in caso di pugni che di
calci, ed avranno in qualche modo l’impressione di agire nei confronti di un corpo
umano.
Lasciate perdere assurdità come il gioire indurendo la pelle dei pugni o facendoli
diventare neri: tutto questo è una spregevole millanteria! Se già ne siete coinvolti,
uscitene subito. Originariamente, i colpi di pugno come anche i calci del Karate-dō non
sono stati concepiti come strumenti atti a spezzare assi e tegole. Per di più, si deve
capire che il corpo umano non ha niente a che fare con assi e tegole.”

Egami ricorda che anche il suo carattere e l’atteggiamento nei confronti della pratica
erano, in gioventù, molto diversi da quelli cui pervenne maturando 15 : «"Non c'è
tecnica di offesa nel karate" sono parole che ho udito dal Maestro Funakoshi più di
quarant'anni fa' e, allora, trovavo difficile comprenderne il significato poiché avevo
sempre pensato che il Karate dovesse essere utilizzato negli scontri reali. Egli diceva
ancora: "non dovresti mai alzare le tue mani per primo contro l'avversario. E,
comunque, la tua intenzione non dovrebbe essere quella di uccidere o ferire il tuo
avversario ma solo di bloccare il suo attacco. Se poi questi dovesse continuare, allora
dovresti assumere una posizione che gli faccia chiaramente comprendere che sarebbe
meglio per lui desistere". Avere, allora, solo vent'anni ed essere pieno di energia mi
faceva dire tra me stesso: "Cosa sta dicendo questo vecchio? Sta facendomi la
morale? Perché non mi insegna la verità?".

15
«The Heart of Karate-dō - op. citata» - pag. 15
22
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Pensavo che stesse solo cercando di tenere noi giovani lontani da azioni sconsiderate,
non potevo accettare le sue parole. Man mano che la mia abilità e la fiducia nelle mie
possibilità crescevano, arrivai alla conclusione che non avesse senso per me non
prendere l'iniziativa. Dopo tutto non si dice sempre "attaccare per primi è la migliore
difesa"? Devo confessare che mi trovai implicato in numerosi scontri e che questo
accrebbe ulteriormente la fiducia nelle mie capacità, rendendomi immodestamente
fiero.
Devo ammettere che in quei giorni ero arrogante e, di conseguenza, dovevo
sicuramente apparire antipatico agli altri. Comunque decisi che avrei provato a seguire
gli insegnamenti del Maestro, almeno nel non colpire fino a che non ci fosse altra
alternativa, dopodiché però avrei colpito in modo da atterrare il mio avversario con un
solo colpo. Decisi inoltre che avrei posto particolare attenzione nel non far vedere al
mio avversario quale colpo avrei usato prima di aver raggiunto il bersaglio.»

Questi aspetti della personalità di Egami


sono confermati anche dal M° Harada che
ricorda così il suo incontro ed il periodo di
allenamento speciale sotto la guida del
maestro16:
«...Harada stava praticando da solo i kata
nel dōjō di Waseda, come faceva spesso,
e sentì una presenza dietro di lui.
Il M° Egami era entrato nel dōjō ed era in
piedi dietro di lui.
Gli chiese cosa stesse facendo. Harada
rimase un po’ attonito in quanto gli
sembrava ovvio che stesse praticando
Karate, così non rispose.
Il M° Egami quindi toccò la spalla di Shigeru Egami e Mitsusuke Harada
Harada ripetendo la domanda: “Cosa stai
facendo?”
Harada rispose che stava praticando Karate.
Egami disse “Credi che quello sia Karate?” Al che Harada rispose “Sì, lo credo.”
Egami scosse la testa e disse “Quello non è Karate.”
Harada si sentì insultato e irritato per queste considerazioni sulla sua pratica del
Karate. Dopo tutto egli non solo si era allenato allo Shōtōkan ed aveva ricevuto lezioni
private nella casa del M° Gichin Funakoshi ma era anche una cintura nera.

16
«Karate Master - The Life and Times of Mitsusuke Harada» - op. citata - pagg. 62-64
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“Fammi provare un tuo pugno” disse Egami togliendosi la giacca (Egami era
conosciuto per questo tipo di prove).
Harada assunse quindi la posizione di Zenkutsu dachi e lo colpì all’addome usando
gyaku tsuki con forza controllata. Il pugno non ebbe alcun effetto.
“Ho detto di farmi provare il tuo pugno” ribadì Egami.
Harada decise quindi che avrebbe colpito con un vero pugno, a forza piena, d’altronde
era stato Egami a chiederlo.
Tornò indietro, riprese la posizione e colpì Egami con un oi tsuki tirato con piena forza.
Egami, esattamente al momento dell’impatto, lanciò il suo corpo in avanti tendendo i
suoi considerevoli muscoli addominali.
L’impatto fu tremendo e Harada, invece di danneggiare Egami, cadde indietro finendo
a volo d’angelo sul pavimento in legno del dōjō.
Harada rimase fortemente impressionato da quella dimostrazione, non solo perché egli
era finito a terra ma soprattutto perché Egami si era dimostrato in grado di assorbire
un pugno a piena forza di una cintura nera, cosa che nessun’altro, con l’eccezione
forse di Kamata, sembrava essere in grado di fare.
“Qual è il tuo nome” chiese quindi Egami.
“Harada”
“Così sei Harada?” Il M° Egami sembrava conoscere il suo nome e questo, secondo
Harada, era legato al fatto che il suo amico Ohshima (Tsutomu Ohshima n.d.t.)
doveva avergliene parlato.
I due, soli nel dōjō deserto dell’Università, iniziarono quindi a parlare ed Egami restò
impressionato dal fatto che Harada si fosse allenato al dōjō Shōtōkan.
Harada ammise: “Per quanto duramente mi alleni sento di non riuscire a diventare
come Uemura e Ohshima. Qualcosa nella mia pratica è sbagliato ma non riesco a
capire cosa.”
Il Maestro Egami che amava aiutare chi si dimostrava serio nello studio dell’arte disse
che lo avrebbe accettato come allievo privato. Trovò che sebbene Harada potesse non
avere le qualità innate per raggiungere alti livelli, entrambi avrebbero lavorato per
raggiungerli...
... Quando Harada iniziò gli allenamenti con Egami, gli amici gli dissero che non
sarebbe sopravvissuto per raccontarlo, tanto era crudele e fiera la reputazione di
Egami.
Ciononostante Harada perseverò e si allenò con Egami per tre ore al giorno, sette
giorni su sette per un anno e mezzo, nel 1954-55. »
Scrisse in seguito «Senza Egami il mio Karate non sarebbe nulla. La mia vita sarebbe
stata completamente diversa.»

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Il M° Egami rimise in discussione il suo atteggiamento e, soprattutto, il modo in cui


aveva praticato in gioventù 17 : «La strada aperta dal maestro Gichin Funakoshi nel
corso di novant’anni di vita fu estremamente dura e severa. Io ho scelto di percorrerla
inoltrandomivi e poggiandovi saldamente i piedi.
Intraprendere il percorso battuto dai predecessori non è affatto facile.
I problemi spirituali sono strettamente legati alla nostra mediocrità e con il passare del
tempo alcuni punti della strada originale tendono a scomparire. Talora si sbaglia
direzione, talvolta i meriti sbiadiscono, si finisce in un labirinto e si ha quasi la
tentazione di rinunciare.
Malgrado tutto, è bene che, almeno per una volta, esista un tracciato precostituito: se
si estirpano le erbacce e si eliminano i sassi, si ha la possibilità di vedere qualcosa di
simile a una strada.
Io, a un certo punto, ho imboccato una traversa e mi sono trovato a tutti gli effetti in
un labirinto.
Sarà successo per colpa della giovinezza?
Sono finito fuori strada di mia spontanea volontà nonostante esistesse già una via
costruita con tanta cura nella giusta direzione, dopodiché ho girato e rigirato intorno
allo stesso punto.
Come dire: “La rana del pozzo non sa nulla del grande oceano”.
Me ne sono accorto dopo parecchio tempo e nel momento in cui me ne avvidi,
cominciando così a tornare sulla via originale dopo aver lottato faticosamente, avevo
già superato la quarantina.
Nonostante ciò fu tale la gioia di aver ritrovato il sentiero giusto che, ignorando il
dolore e la considerevole sofferenza, ebbi l’impressione di essere riuscito a
raggiungere finalmente il termine della strada realizzata dall’anziano maestro. Non si
deve aver fretta.
Può succedere di cadere facendosi male, di perdersi, di subire sconfitte; necessaria è
la cautela.
Per di più la durezza e la rigorosità del procedere alla realizzazione di un percorso
ancora più nuovo furono caratterizzate da qualcosa di indescrivibile. Quante volte ho
avuto voglia di lasciar perdere, di scappare…
Ebbi la netta percezione di una profonda difficoltà, tanto da poter affermare che si è
trattato di un compito talmente arduo da richiedere l’impiego totale della vita stessa.»

17
«Karate-dō Senmon-ka ni okuru» - op. citata
25
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Ho già scritto che nel 1953, ricevendo un colpo


sull’addome da Tadao Okuyama, Egami si rese conto
che si trattava di una tecnica decisamente efficace e
questo lo spinse ad approfondire le sue ricerche.
Tadao Okuyama, poco conosciuto in occidente, era un
terzo Dan dell’Università Waseda. Nel 1950, durante
uno stage estivo, si trovò in disaccordo con il Maestro
Kamata sul metodo corretto di pratica ed abbandonò
Tōkyō per recarsi, secondo quanto si narra, sulle
montagne Tsukuba (50 miglia a nord est della città) per
cercare la vera natura del Karate-dō.
Quando tornò, due anni dopo, aveva sviluppato una
tecnica estremamente efficace. Il M° Harada afferma18
che lo stesso Egami gli confessò che il livello di
Okuyama era paragonabile a quello di Yoshitaka
Tadao Okuyama Funakoshi.

In seguito Okuyama, convertitosi alla setta


religiosa Omoto-Kyo conobbe Hoken
(Shōyō) Inoue, fondatore dello Shinwa
Taidō e, dopo averlo sfidato senza
successo, ne divenne allievo. Fu grazie
all’amicizia di Okuyama che Egami conobbe
il nipote di Morihei Ueshiba.
Secondo quanto riportato dal M° Harada, fu
dal M° Okuyama e dal movimento Shinwa
Taidō che Egami ricevette le rivelazioni
iniziali che gli permisero di affinare il suo
nuovo metodo di pratica.
Okuyama in seguito abbandonerà il Karate
per occuparsi della pratica e
dell’insegnamento dell’Aiki Ken (spada aiki),
pratica che lui chiamerà semplicemente
Budō nel suo dojo di Kameyama a Kyōto.

Hoken Inoue

18
«Karate Master - The Life and Times of Mitsusuke Harada» - op. citata - pag. 74
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La ricerca dell'efficacia dello tsuki, porta il M° Shigeru Egami, negli ultimi anni della
sua vita, a sperimentare il tōate, il colpo a distanza.
Illuminante è la definizione di tōate data dal M° Taiji Kase19: «Tōate significa toccare
senza toccare fisicamente, un esempio per avvicinarsi a questa capacità è quando
blocchiamo l'attaccante in maniera contundente e con molta energia, all'inizio degli
attacchi e per molte volte, ripetizioni dopo ripetizioni, con grande concentrazione e con
la respirazione adeguata. Poi in una di queste ripetizioni non riusciamo a bloccarlo, ma
lui percepisce invece la sensazione d’essere stato bloccato e non attacca, rimane
indeciso. Questo è un esempio di ciò che si definisce tōate: oltre a questo nel tōate c'è
molto di più e solamente pochissimi Maestri, come Sensei Egami o Yoshitaka
(Funakoshi), arrivarono ad approfondire e ad applicare questo aspetto.»
Si parla, spesso a sproposito, di tōate confondendolo con quelle che in realtà sono
nella quasi totalità dei casi espressioni di autosuggestione tra adepti appartenenti ad
un determinato gruppo. Tali forme solitamente non hanno alcuna efficacia su persone
non facenti parte del gruppo stesso.
Pare, secondo chi ne ha provato gli effetti, che il
tōate del M° Egami fosse effettivamente un colpo
reale tanto che in molti casi chi lo riceveva non era
a conoscenza del fatto che il M° Egami potesse far
ricorso ad una tale tecnica e non poteva pertanto
esserne condizionato.
Nel suo caso, sull’acquisizione di una tale capacità,
potrebbe aver influito la sua particolare condizione
di salute, come ho già scritto egli soffrì di stomaco,
polmoni e cuore, subì diversi interventi chirurgici e
visse anche il trauma di un coma.
Probabilmente fu proprio quest’ultima esperienza influì sulle capacità energetiche e di
percezione del M° Egami. E' certo che il M° Egami abbia raggiunto nel corso della sua
vita, capacità energetiche eccezionali.
Non mi risulta che il M° Egami stesso abbia mai scritto sul tōate, ne hanno parlato
invece coloro che hanno visto e ne hanno provato gli effetti.
Masaru Mizushima20 testimoniò di aver avuto esperienza del tōate del M° Egami. A tal
proposito scrisse: «Ho cominciato il Karate per diventare forte, ma il mio obiettivo è
progressivamente cambiato... Nel dōjō c'era una signora che era più avanzata di me di
due kyu.

19
Intervista al M° Taiji Kase di Martín Fernández Rincón - tratta da http://www.shotokanryukaseha.com
20
Mizushima diverrà in seguito un maestro di grande rilievo, per anni membro del consiglio direttivo della
NKS, nella seconda metà degli anni novanta, insieme agli allievi diretti del M° Egami, abbandonò la NKS
per fondare lo Yuten Kai.
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Quando facevamo degli esercizi di combattimento, io non potevo mai toccarla e lei mi
proiettava; ne sono stato estremamente umiliato, cosa che mi ha dato uno slancio per
allenarmi. Ma durante l'allenamento ero sempre dominato dai miei condiscepoli così
volevo vincere questa situazione.
E' allora che uno dei miei superiori mi ha portato dal Maestro Egami per la prima volta.
Nel corso dell'allenamento, quando ho toccato per la prima volta la mano del Maestro,
ho sudato enormemente senza apparente ragione.
Al primo esercizio di combattimento con il Maestro, senza che lui mi toccasse, sono
stato proiettato e ho perduto conoscenza, fatto incomprensibile.
Il Maestro mi ha allenato nella stessa maniera a tre riprese. E da tre anni circa,
quando mi alleno, mi succede di provocare questo stesso strano fenomeno.
E' così che ho constatato la profondità del Karate-dō».

Le capacità energetiche del M° Egami mi sono state inoltre personalmente confermate


dai maestri Nakano e Ariga in un’occasione decisamente insolita.
Premetto che i due maestri in questione hanno vissuto nella casa del M° Egami nel
corso degli ultimi cinque anni della sua vita (1975-1981), il M° Nakano ha continuato a
vivere con la famiglia Egami per altri cinque anni dopo la morte del suo maestro.
Eravamo a tavola dopo una sessione di allenamento nel corso dello stage organizzato
in Italia nel 2001, notai che il M° Nakano posizionava le sue mani aperte, con i palmi
paralleli e distanti circa 20 centimetri, ai lati di una mosca che si era appoggiata sul
tavolo. Dopo pochi secondi la mosca volò via ed il maestro scoppiò a ridere e
guardando il M° Ariga disse che lui non ci sarebbe mai riuscito.
Notando l’espressione stupita del sottoscritto e dell’amico Keisuke Nakagawa (che
aveva anche l’ingrato compito di traduttore dal giapponese all’inglese) il M° Nakano ci
spiegò che lui ed il M° Ariga avevano visto il M° Egami fare quella cosa con una mosca
e questa non riuscì a spiccare il volo fino a che Egami, dopo alcuni minuti, decise di
allontanare le mani. Certamente un particolare insignificante dal punto di vista
marziale, ma non da quello energetico.
Un altro aspetto interessante ci venne narrato dai due
maestri citati la prima volta che facemmo loro visitare il
nostro dōjō di Cesena.
In esso, come in molti dōjō ove si pratica il nostro stile, è
affissa la celeberrima foto del M° Egami visibile a fianco.
I due maestri richiamarono la nostra attenzione sulla
posizione della mano destra del maestro Egami.
Ci dissero che l’attenzione di tutti è concentrata sulla
posizione della sua mano sinistra e che nessuno fa’ caso a

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quella destra. In essa sta una chiave per comprendere l’efficacia delle tecniche del
maestro. Purtroppo fummo interrotti e non ci fu occasione per approfondire questo
dialogo.

Allo stato dei fatti, ritengo che il tōate del M° Egami non sia solo il risultato di una vita
dedicata alla ricerca dell’efficacia ma che derivi anche dalla particolare sensibilità
energetica probabilmente derivante dal coma vissuto.

* * *

Fondamentale è per il M° Egami anche l’aspetto etico dell’arte.


In questo profondamente influenzato dalle personalità del suo maestro, Gichin
Funakoshi, del fondatore dell’Aikidō, Morihei Ueshiba, e del fondatore dello Shinwa
Taidō, Hoken Inoue.
Il M° Egami definisce la sua concezione di
Karate-dō con il termine heihō - metodo della
pace - termine utilizzato in quel senso dal già
citato M° Inoue, fondatore dello Shinwa Taidō. In
merito Egami scrisse21: «Il Karate è una tecnica
omicida?
Il maestro Funakoshi ci insegna che: “Nel Karate
non si attacca mai per primi. Naturale è
l’opposto.”
Mente e corpo si adeguino a tali precetti: è
questa la sua esortazione.
Poco più di una decina di anni fa, incontrando un
ex-compagno karateka che avevo perso di vista,
rimasi sbalordito, all’improvviso quasi senza fiato
quando mi chiese se mi stavo ancora dedicando
a quella pratica omicida.
E’ questo, dunque, ciò che appare pur senza la benché minima intenzione da parte
nostra? Probabilmente sono in molti a pensarla così. Dapprima negai in modo
sommario dicendo che era assurdo; dopodiché fornii persino spiegazioni dettagliate
ma quelle parole risuonarono vuote, prive di forza.
Anche la succitata affermazione del maestro Funakoshi può da taluni essere
interpretata come una sorta d’inganno.

21
«Karate-dō Senmon-ka ni okuru» - op. citata
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Subìto l’attacco, quando diciamo: “Se fai un’altra mossa…”.


Ma se non venissimo ascoltati agiremmo davvero?
Dire: ”Ti sistemo io!” è una minaccia o un bluff?
Se ne parla in termini di arte marziale, tattica, esercizi di etica ma non esiste forse la
possibilità che tutto ciò sembri un discorso ipocrita, estremismo, in altre parole il
pretesto per atterrare qualcuno con un pugno o per ammazzarlo?
No, non è così. Nondimeno, se la valutazione prende spunto da fattori come le
modalità d’allenamento, l’interpretazione dei kata ecc…, nel Karate ampiamente
praticato oggi, volente o nolente è possibile asserire che manca qualcosa, che
qualcosa si è rotto.
Dolore, angoscia, mancanza di una via d’uscita: sembrerò forse presuntuoso ma alla
fine di una disperata battaglia personale ho percepito l’esistenza di ciò che definiamo
heihō, ossia il “metodo della pace” dell’antica tradizione giapponese. Nell’attimo stesso
in cui ebbi coscienza della via dello heihō ci fu gioia, e profonde emozioni scossero il
mio corpo.
Fino a quando fu usata in mia presenza l’espressione “allenamento omicida” avevo
continuato a nobilitare la via del Karate corrotta, priva di contenuto, quella via del
Karate che era tale in quanto via originale. Oggi, tuttavia, vivo praticandone le
austerità; in queste nuove vesti, gloriandomi dell’essere depositario delle ultime
volontà del maestro Funakoshi, ho giurato fermamente, nel profondo del mio cuore,
che mi sarei adoperato per l’edificazione di questa via, come una sorta di missione.
Heihō, l’uomo va oltre la vita e la morte, esiste veramente: di che cosa si tratta? Dello
studio di ciò che si definisce una vita davvero mirabile.
La via del Karate come heihō quali caratteristiche dovrebbe assumere? Cosa si deve
fare per staccarsi da un mondo di mera competizione e progredire come heihō? Cosa
fare tecnicamente e mentalmente? Finora mi sono allenato con molto impegno,
accanitamente. Ho cercato di compiere continui progressi lavorando alacremente,
dedicandomivi anima e corpo ma le esercitazioni di ieri sono ormai vecchie. Poiché si
fondavano soltanto sull’idea di temprare la vita investendo tutto sul presente, senza
pensare al domani.
Grazie ai maestri, alle istruzioni dei superiori, alla collaborazione dei giovani, agli aspri
rimproveri e agli incoraggiamenti penso di essere riuscito alquanto nell’intento di
avvicinarmi al metodo e d’ora in avanti, all’eventuale domanda: “Ti dedichi ancora a
quella pratica killer?”, per lo meno replicherò con convinzione e fermezza: “Ti sbagli”.
L’orientamento è già fissato: ci si muoverà passo dopo passo, nel reciproco accordo, in
totale armonia, volgendo a “ciò che è supremo”, finché il fuoco della vita non si sarà
completamente estinto. Ecco qual è il modo di pensare cui sono alla fine giunto.»

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Attorno al 1968 la sua concezione dell’arte marziale lo avvicinò ad un’idea ancor più
rivoluzionaria, l’arte marziale olistica: il Sogobudō.
Sogobudō significa Budō integrato, olistico, una via di ricerca dell’armonia tra il
progresso spirituale e tecnico.
Il M° Egami era però Istruttore capo dello Shōtōkai e non poteva addentrarsi in questa
ricerca direttamente senza rischiare di scontentare gli appartenenti alla NKS, molti
erano infatti quelli che pensavano che Egami avesse già cambiato troppo il Karate.
Per tale motivo selezionò un piccolo gruppo di praticanti tra i suoi migliori studenti
all’Università Chuo al fine di creare un gruppo di ricerca in grado di esplorare le
possibilità del Sogobudō. Organizzò quindi un team di una trentina di giovani artisti
marziali di alto livello di differenti arti marziali: Aikidō, Karate-dō, Jūdō, Kendō,
Bojutsu.
Questo gruppo, denominato Rakutenkai (Collegio degli Ottimisti), esplorò questa via
per alcuni anni prima che venisse delineata come nuova arte.
A capo del Rakutenkai era il M° Hiroyuki
Aoki, un 5° Dan allievo del M° Egami,
proveniente dall’Università di Chuo del cui
club di Karate era capitano. Colui che lo
stesso Egami definì “il miglior Karateka del
mondo”,
Aoki fu, tra l’altro, coautore con il M°
Egami di un importante lavoro di
sistematizzazione dei Kata praticati dalla
scuola Shōtōkai concretizzatosi nella
pubblicazione del libro “Karate-dō -
Il M° Hiroyuki Aoki in Tekki Shodan
Senmon-ka ni okuru” (Karate-dō -
dedicato ai professionisti) da me più volte citato nel corso di questo scritto.
La nuova arte non poteva più essere definita Karate-dō e così i maestri Aoki e Fugaku
Ito, altro allievo di Egami, lasciarono la NKS e insieme ad altri membri del Rakutenkai,
sulla base dell’evoluzione dei concetti del Sogobudō sviluppati da Aoki crearono lo
Shintaidō.
Oggi il Sogobudō è pressoché estinto mentre lo Shintaidō, più vicino ad una forma
artistica di espressione corporea che ad un’arte marziale vera e propria, conta diversi
praticanti, in particolare in Giappone, Stati Uniti, Francia ed Inghilterra. È presente
anche nel nostro Paese seppur con un numero molto esiguo di praticanti.
Aoki ritiene comunque che alla base della nuova arte ci siano i concetti del Karate-dō
appreso dal suo maestro. Parlando dell’origine dello Shintaidō fornisce un quadro della

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pratica del suo periodo universitario sotto la guida del M° Egami 22 : «Dopo aver
iniziato la pratica del Karate rimasi molto sorpreso del fatto che i nostri onorati
sempai, o seniors, ci allenavano in un modo pazzo, inesplicabile.
Il capitano del club, in ogni generazione, era sempre stato un uomo di grande
carattere e la maggior parte dei miei seniors avevano la mia stessa età o erano più
giovani (questo perché prima di entrare al college aspettai due anni in cui studiai arte
drammatica) così io desideravo sopravvivere ai durissimi allenamenti e soddisfare le
loro aspettative. Spesso il mio corpo era coperto di lividi, c’era sangue nelle mie urine
e tutte le notti dovevo trascinarmi in bagno a quattro zampe.
Questo tipo di allenamento è pressoché impensabile nelle odierne più democratiche e
morali circostanze.
Probabilmente anche allora sarebbe stato completamente inutile e non necessario se
avessimo avuto a disposizione metodi più efficaci.
Comunque in quel periodo non avevo più tempo per pensare a Stanislawsky, Brecht,
Van Gogh e Roualt. Dov’era finito il mio senso estetico?
Nell’autunno del secondo anno, circa un anno e mezzo dopo la mia entrata al club di
Karate, il M° Shigeru Egami, chiamato il “maestro fantasma” tornò a Tōkyō dopo aver
passato qualche anno fuori. Gli chiedemmo di insegnarci in qualità di istruttore
speciale. In quel tempo divenni anche capitano del club di Karate dell’Università Chuo
e cominciai a condurre i corsi. Ero completamente rapito dal Karate.
L’insegnamento di Egami fu come un brillante raggio di sole che penetra l’oscurità. Egli
fu un grande allievo del M° Funakoshi, il fondatore del moderno Karate-dō ed il primo
maestro a portare il Karate da Okinawa al Giappone. Il M° Funakoshi raccontò ai suoi
allievi che nel Karate non vi sono titoli derivanti da competizioni che, con i loro rigidi
regolamenti, condizionano la pratica.
Egami sviluppò questa idea insegnandoci che la pratica del Karate implica la
competizione con se stessi. Ci insegnò che se c’è un nemico, è da ricercare in noi
stessi. Cambiò radicalmente la concezione tradizionale e feudale della nostra pratica.
Inoltre il suo allenamento era cortese e stranamente morbido; non permise mai che
sensazioni sadiche e oppressive condizionassero la nostra pratica.
Attraverso il suo insegnamento i movimenti del Karate si innalzarono ai livelli delle
espressioni degli artisti e dei filosofi che da sempre ammiravo in Giappone e all’estero.
Egli introdusse il lavoro sul flusso dell’energia ki ed un modo di muoversi decontratto e
naturale - del tutto sconosciuto nel mondo attuale del Karate.
Quando iniziammo la pratica col M° Egami egli ci diceva spesso: “Perché il Karate è
diventato così duro e rigido? Un tempo era molto più morbido.”

22
Hiroyuki Aoki - «Shintaido - The body is a message of the universe» - Shintaido of America - San
Francisco 1982 - pagg. 24-25
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Soleva dire che avremmo sempre dovuto cercare i movimenti più morbidi, quelli che
potevano essere eseguiti anche da persone malate e anziane. Il suo scopo costante
era quello di creare una Via moderna di heihō, un allenamento compatibile con il
mondo attuale...
L’insegnamento di Egami è un’inestimabile indicazione per chi cerca un’arte marziale
genuina. Egli ci insegnò ad eliminare il più possibile la tensione dai nostri corpi
approfondendo la concentrazione e la meditazione; ad usare l’energia olistica o
integrale piuttosto che la forza fisica di una parte del corpo; a sviluppare movimenti
decontratti e naturali senza tensione eccessiva nelle spalle. Questo è il principio di
base, non solo del Karate, ma di ogni movimento del corpo.
Lo Shintaidō non è difforme da queste teorie e non credo che dovrebbe esserlo. Essere
naturali e muoverci come vogliamo è sufficiente.
Quando incontrai il M° Egami il suo corpo era molto stanco e aveva sofferto molte
malattie e lesioni in seguito ad una pratica molto dura, ma era ancora magro e sciolto
come Nijinski. Era anche molto intelligente ed umano, caratteristica questa che lo
accomunava agli altri laureati dell’Università Waseda. In più egli possedeva un
umorismo ed un’onestà in grado di conquistare incondizionatamente l’amore ed il
rispetto di tutti i suoi allievi.
In quel periodo lavorai in qualità di assistente del
M° Egami e vissi nella sua casa.
A volte quando tornavo, esausto dopo la pratica, in
special modo quando sua moglie non era a casa,
egli mi preparava da mangiare, anche se non
l’aveva mai fatto per se stesso, nemmeno quando
la moglie era malata.
Ero molto sorpreso da queste sue premure e
mangiavo quello che mi preparava con un
sentimento misto di soggezione e gratitudine.
Ancora oggi ricordo i suoi piatti di verdure fritte
tagliate in maniera irregolare.
Tutte le mattine e le notti ricevevo il suo supporto
Il M° Egami con Hiroyuki Aoki
ed il suo insegnamento, più di ogni altro allievo.»

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Messaggi del M° Egami

Per coloro che avessero deciso di seguire la sua strada, lasciò le seguenti parole:
«Nel mondo dello sport la competizione è tecnica, si può progredire nello sport
combattendo contro altre persone. Ma che spazio ha la competizione nella vita
umana?
Per concepire il Karate come Budō bisogna porsi tra la vita e la morte.
Questo non ha niente a che vedere con la competizione agonistica. Ha a che vedere
con il modo di comportarsi e di fronteggiare un avversario in situazioni in cui la vita è
a rischio.
Dobbiamo costruire la Via del Karate, la Via della verità, la Via che ci porti alla più alta
vetta. Bisogna tornare al punto iniziale, agli insegnamenti del M° Funakoshi,
interrogare se stessi riguardo a ciò che ci ha dato il passato, studiare le altre discipline
del Budō, cercare una tecnica superiore e portare il Karate ad essere un’arte marziale
di valore per cercare, alla fine, di perfezionare la Via del Karate. Questo è il nostro
dovere nei confronti del Maestro. La nostra vocazione è di progredire di un passo, o
anche solo di mezzo passo, nel lavoro lasciatoci dal M° Funakoshi…»

Riporto ora tre scritti del M° Egami che vengono per la prima volta tradotti dal
giapponese:

Dedicato a tutti coloro che inizieranno la pratica

Quando mi rendo conto che è iniziato un nuovo anno,


siamo già in marzo, è primavera. I giovani sono più
vivaci, è come se avessero voglia di mettersi a correre; si
tratta probabilmente del fuoco che brucia nella loro vita
piena di energia.
Ci si può recare a visitare il dōjō per ragioni diverse: nel
caso degli studenti, su invito dei compagni di corsi
superiori, oppure approfittando del fatto che si è entrati a
far parte di una determinata scuola.
Una volta terminati gli studi, invece, può capitare di
adocchiare dal finestrino del treno l’insegna del dōjō, di
scoprire dove questo si trova durante una passeggiata senza meta, oppure perché se
ne è sentito parlare da un amico.

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Probabilmente il motivo per cui si inizia la pratica è semplicissimo: si vuole diventare


più forti, sia fisicamente che mentalmente, oppure ci si lascia trascinare dall’ultima
tendenza e si prova a praticare. Forse tra queste c’è la ragione del primo approccio.
Dal mantenimento della salute al miglioramento del proprio stato fisico, dalla
ginnastica estetica agli esercizi di etica, le motivazioni sono svariate, alcune davvero
semplici ed è giusto che sia così. Nonostante ciò, però, quando si diventa allievi, è
inevitabile provare una certa tensione.
Attualmente dovunque si vada c’è un dōjō e di Karate si parla in televisione, nelle
riviste nonché nei manga, tuttavia, anche se si ha l’impressione di saperne
abbastanza, quando in realtà ci si accinge a praticarlo non si è totalmente tranquilli,
reazione del tutto naturale ogni qual volta si entra a far parte di un mondo
sconosciuto.
Quando si desidera conoscere qualcosa, chiunque all’inizio è un po’ teso ma è
importante affrontare le circostanze con umiltà e spontaneità.
Appena ci si abitua, però, si crede di aver già capito tutto, si danno interpretazioni
personali, si ha l’impressione che non sia rimasto più niente da imparare. Giorno dopo
giorno gli allenamenti divengono monotoni, sembrano ormai inutili, privi di significato.
Lo scopo dell’allenamento nonché i suoi frutti sono elementi che ciascuno afferra da
solo nel tempo, ognuno a modo suo.
La comprensione è dunque personale e può essere acquisita solo mediante l’impegno
costante.
L’allenamento stesso inizialmente non è che emulazione che si trasforma via via in
apprendimento e, una volta fatto proprio, in comprensione.

Tutto ciò è chiaro solo a chi insiste poiché alle prime battute il corpo non si muove
come si vorrebbe, anzi, è più facile che avvenga esattamente il contrario.
Un po’ alla volta, poi, inizia a funzionare e gradualmente ci si muove meglio finché
arriva il momento in cui si reagisce allo stimolo dell’avversario con movimenti naturali.
È così che va ed è lì che emergono i problemi del corpo e dell’anima.
Vi chiedo solo di credere alle parole di chi è più avanzato nella pratica abbattendo
eventuali preconcetti, di emularne le azioni, di afferrarne il succo facendolo vostro,
ciascuno a suo modo.

L’allenamento è conoscenza di sé passando attraverso il rapporto con l’altro, è vera


conoscenza di sé ma non solo, è strumento di sviluppo della conoscenza delle proprie
possibilità, è mezzo di arricchimento della propria esistenza. Credo che la Via del
Karate sia qualcosa di eccezionale.

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Il suo inesauribile contenuto è profondo e misterioso e ciascuno di noi ha il compito di


scavare per dissotterrarlo, per afferrarlo. Mai fermarsi, mai accontentarsi. Come si
suol dire: “Non bisogna mai perdere lo spirito iniziale”. Vorrei che consideraste
l’allenamento come un compagno per la vita da affrontare sempre con serietà,
passione, modestia, onestà e pazienza.

Shigeru Egami

L’allenamento
In Cina c’è un vecchio libro intitolato Ekkinkyo che, facendo seguito allo Ekkinsenzui,
spiega come il fatto di allenare il corpo costituisca al contempo una purificazione della
mente. Si dice altresì che rappresenti l’origine della Via del Karate.
Recentemente mi chiedo se il preoccupante calo di energia delle giovani generazioni e
la freddezza che caratterizza le relazioni umane non possano essere risolti attraverso
l’allenamento; mi chiedo che cosa sia il vero accordo, la vera armonia, la vita... e poi
voglio capire attraverso il corpo quali siano i rapporti tra uomo e uomo, tra uomo e
natura.
È questo l’allenamento che desidero.

È naturale pensare di voler diventare più forti sia fisicamente che mentalmente ed è
ovvio che più ci si allena, più ci si fortifica. Tuttavia non si diventa forti per maltrattare
i deboli. L’essere umano, per sua natura, non può vivere da solo, pertanto, quando
pensiamo alla nostra felicità, pensiamo anche a quella degli altri e agiamo mettendoci
nei loro panni.
Allenarsi significa costruire un essere umano capace di tutto ciò.
L’allenamento in cui credo è quello che d’ora in avanti consentirà di osservare un
incontro e di definire la propria visione della vita e della morte, di comprendere a
fondo i principi basilari del genere umano attraverso il corpo. I giorni passati e quelli
che ci vedranno camminare ancora in questa direzione si congiungono proprio qui, in
questo preciso istante.
In quest’attimo la nostra vita sarà vissuta intensamente: questo vuole essere il nostro
allenamento.

Shigeru Egami

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Abbiate timore del cielo


Se si pensa che il Karate serva per il
mantenimento della salute o al miglioramento del
proprio stato fisico, come ginnastica estetica
oppure per diventare più forti, allora mi viene
davvero voglia di dire. “Imparate ad andare
d’accordo!”.
Andare veramente d’accordo. Ma che cosa
significa, in concreto, andare d’accordo?
Diventare un tutt’uno con l’altro, mettersi
realmente al suo posto, provare esattamente ciò
che prova l’altro, sentire ciò che sente l’altro.
Immedesimarsi in lui. A tale scopo si rende
necessario mettere da parte il proprio ego, poiché
penso che sia indispensabile accogliere sempre come cosa preziosa i sentimenti altrui.

In un’epoca come la nostra, dove predominano l’egocentrismo ed un atteggiamento di


fondo ben poco altruista del genere “contento io, ...”, credo che ci siano persone in
balia di uno stato mentale che, basando tutto sulla forza fisica e cercando di tenere
sotto controllo ogni cosa con il ricorso alla forza, non tentano nemmeno di capire.
Non mi rimangono più parole di fronte a chi ripone la propria fiducia in una forza che,
in realtà, altro non è se non il frutto della sopravvalutazione di una minima frazione
della forza di cui in realtà disponiamo.

Ritengo che la Via del Karate, così come si è sviluppata ed evoluta fino ad oggi, sia il
risultato degli sforzi di molte persone.
Nonostante il ragguardevole livello raggiunto, però, sarebbe un grave errore pensare
di aver così portato a compimento l’opera.
Pertanto, non sopravvalutate le vostre capacità, abbiate timore del cielo, mettete da
parte il vostro ego e non smettete mai di compiere passi in avanti.

Shigeru Egami

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Lo Shōtōkai fuori dal Giappone

In questo paragrafo esaminerò, seppur per sommi capi, le personalità di due maestri
che, più di altri, hanno contribuito a divulgare al di fuori del Giappone e, in particolare
in Europa, lo stile creato dal M° Egami.
Inizierò dal M° Mitsusuke Harada per passare al M° Tetsuji Murakami di cui ho avuto la
fortuna di essere stato allievo anche se, purtroppo, per breve tempo a causa della sua
prematura scomparsa avvenuta nel gennaio del 1987.

Mitsusuke Harada

Mitsusuke Harada nacque il 16 novembre 1928 a Dairen


nel sud della Manciuria in quanto il padre era impiegato
delle ferrovie della Manciuria meridionale.
In seguito all’invasione sovietica della Manciuria, la
famiglia Harada tornò in Giappone prendendo residenza
a Tōkyō dove il giovane Harada, interessatosi alle arti
marziali dopo aver praticato un po’ di Tai Qi Quan in
Manciuria, chiese al padre di cercargli un dōjō. Il padre
tornò con l’indirizzo del prestigioso dōjō Shōtōkan.
Nel novembre del 1943, all’età di 14 anni, Mitsusuke
Harada frequentò la sua prima lezione allo Shōtōkan
sotto la guida del M° Genshin (Motonobu) Hironishi.
Anche se il giovane trovò la lezione “molto, molto difficile” decise di pagare la quota di
iscrizione in quanto aveva deciso che il Karate era quello che cercava.
In questo periodo le lezioni erano condotte dai maestri Hironishi, Hayashi e Uemura,
solo occasionalmente ricevevano gli insegnamenti del M° Yoshitaka Funakoshi.
Anche Gichin Funakoshi, a volte, insegnava. Tragicamente lo Shōtōkan venne distrutto
durante i bombardamenti americani nel 1945.
Harada scrisse allora al M° Funakoshi, che nel frattempo viveva nella casa del figlio
maggiore Yoshihide, di essere accettato come allievo privato. Il maestro invitò Harada
ad andare ad allenarsi a casa sua.
Harada entrò quindi all’Università di Waseda nel 1948.
Nei primi anni ’50 seguì gli insegnamenti di Shigeru Egami e di Tadao Okuyama;
questi uomini influenzarono fortemente il suo sviluppo come Karateka.
Nel 1954 e nel 1955 Harada si allenò tutti i giorni per tre ore al giorno con il Maestro
Egami.

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Nel 1955, dopo la laurea ed il master in Commercio, il M° Harada iniziò a lavorare per
una Banca di Tōkyō e l’anno successivo si trasferì in Brasile, a San Paolo, per lavorare
alla Banca del Sud America.
Mentre era in Brasile fondò, su istruzioni dello stesso M° Funakoshi la “Karate-dō
Shōtōkan Brazileo”, la prima organizzazione di questo tipo in Sudamerica.
Al M° Harada fu conferito il grado di 5° Dan all’età di 28 anni.
Harada rimase in brasile fino al 1963, anno in cui viaggiò alla volta dell’Europa.
Inizialmente tenne dei corsi in Francia ma dopo qualche incomprensione si trasferì in
Gran Bretagna in seguito all’invito da parte di Kenshiro Abbe, famoso e rispettato
maestro di Judō e Aikidō.
Dopo un’esibizione alla Albert Hall nel novembre del 1963, il M° Harada ricevette
l’offerta di insegnare Karate in Gran Bretagna.
Fu così che il M° Harada fece della Gran Bretagna la sua patria di adozione diventando
il primo insegnante giapponese residente.
Un piccolo gruppo iniziale crebbe sempre più fino a
divenire un’organizzazione nazionale. Fu così che nel
1965 fondò la KDS, Karate-dō Shōtōkai, che si espanse,
col tempo, anche in altri Paesi.
Il Karate del M° Harada era quello appreso all’Università
Waseda ed era diverso da quello sviluppato da Egami. Il
M° Harada infatti lavorò con il M° Egami negli anni
1954/55, ben prima delle innovazioni apportate dal M°
Egami alla pratica.
Fu grazie ad alcuni suoi studenti francesi che venne a conoscenza della nuova via23:
«Nella primavera del 1965 eravamo a Valenza per assistere ad uno stage di tre giorni
diretto da Marc Bassis.
Nel corso dello stage ricevemmo una chiamata da parte di un amico brasiliano di
origine francese, Olivier Perrois. Stava tornando da una soggiorno in Giappone con sua
moglie, anch’ella praticante di Karate. Ci chiamava da Roma e ci chiese di attendere il
suo arrivo perché aveva cose importantissime da trasmetterci.
Alternandosi giorno e notte al volante di un Kombi Volskwagen, la coppia arrivò a
Valenza. Olivier Perrois ci disse che era stato incaricato dal M° Egami, allievo diretto
del M° Funakoshi e insegnante del M° Harada, di mostrarci il nuovo metodo di pratica
che aveva sviluppato partendo dall’insegnamento del M° Funakoshi.
In qualche ora, Olivier Perrois ci mostrò in effetti un cambiamento radicale, da un
Karate certamente potente e rapido ma brusco, contratto, sincopato e “militaresco”
verso una forma più fluida, ancora più bassa nelle sue posizioni, dagli attacchi

23
reportage di Jacques Causon, per gentile concessione M° W. A. Schneider - Akser Kokusai
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penetranti che si prolungavano attraverso l’avversario utilizzando spostamenti


morbidi, veloci e continui.
Alla fine di quell’allenamento eravamo tutti esausti ma entusiasti e coscienti del fatto
che un cammino pieno di progressi si apriva davanti ai nostri occhi.
Perrois ci chiese poi di mostrare la nuova strada al M° Harada qualche mese dopo, a
Grange Farm.
I mesi che seguirono furono il periodo più folle ma anche il più arricchente che ci fu
concesso di vivere. Ci preparammo, ciascuno nel proprio dōjō, Bassis a Parigi, noi ad
Avignone, Schneider a Nancy, ritrovandoci il più frequentemente possibile insieme,
lavorando come dei dannati, sostenuti, nel nostro sforzo, dalle meraviglie che
scoprivamo ad ogni passo.
Arrivò quel giorno, a Grange Farm, verso la fine dello stage, dopo l’allenamento del
pomeriggio, Marc Bassis disse al M° Harada che avevamo delle cose da mostrargli e
che consigliavamo un allenamento speciale e ristretto, se fosse stato possibile.
In serata, il nostro piccolo gruppo, seguendo Marc Bassis praticò davanti al M° Harada,
solo, immobile e muto.
Tutto questo durò, non saprei dirlo con precisione, un’ora, forse due. Non esisteva più
il tempo, né la fatica, né l’apprensione...
Il nostro piccolo gruppo, in osmosi totale, consegnò in quel modo il messaggio
trasmessoci da Olivier Perrois.
Il giorno dopo, nell’allenamento mattutino, il M° Harada aveva cambiato il suo
Karate.»
In seguito il M° Harada tornò in Giappone per investigare sul nuovo metodo. Incontrò
Egami e gli chiese che direzione stesse prendendo la sua pratica. Secondo quanto
riportato dal M° Harada, il M° Egami non gli diede risposte precise. Gli parlò invece di
Hiroyuki Aoki, l’allievo che, in quell’occasione, definì “il karateka migliore del mondo”.
Il non aver ricevuto risposte ed il sentimento di gelosia nei confronti di Aoki, che non
poté incontrare, unito al non aver accettato i cambiamenti nei Kata dimostrati nel libro
«Karate-dō Senmon-ka ni okuru» spinsero il M° Harada a tornare, in parte, alla pratica
ortodossa appresa all’Università di Waseda (ivi compresa, naturalmente, quella
appresa da Egami nel periodo di istruzione speciale del biennio 1954/55).
Ciò portò ad una grossa scissione in seno al suo gruppo con l’uscita di molti dei suoi
allievi più avanzati che, avendo trovato nel metodo del M° Egami la Via da seguire,
non accettarono il ripensamento di Harada.
Si può dire che, di fatto, Harada creò un suo metodo personale.
Il colloquio con Egami in Giappone ebbe anche, come conseguenza, il sorgere di un
sentimento di rancore che Harada porterà sempre nei confronti del M° Egami. Al

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24
momento della morte di Egami, Harada scrisse di aver provato sentimenti
contrastanti, da un lato ricordava i bei tempi e la pratica speciale con Egami senza la
quale, scrive, il suo Karate “non sarebbe stato nulla”, dall’altra il ricordo di non aver
ricevuto indicazioni quando le aveva chieste destavano in lui la sensazione di essere
stato, in un certo qual modo, ingannato.
Oggi il M° Harada vive nel Galles meridionale e continua a viaggiare in Europa
insegnando la sua Via del Karate.

Tetsuji Murakami

Nacque il 31 marzo 1927 nella prefettura di


Shizuoka e da bambino praticò Kendō,
disciplina obbligatoria nelle scuole.
Nel 1946, nel Giappone appena uscito dalla
seconda guerra mondiale, il diciannovenne
Tetsuji Murakami ebbe i primi contatti con il
Karate. Dopo un periodo di prova, il Maestro
Masaji Yamaguchi (allievo del M° Funakoshi
da non confondere con Gogen Yamaguchi,
maestro di Goju Ryū) decise di accettarlo
come allievo.
Il decennio che seguì fu di duro ed
appassionato allenamento e marcò
profondamente il carattere del giovane.

Nello stesso periodo egli si allenò anche al Kendō, Aikidō e Iaidō sotto la guida del
Maestro Minoru Mochizuki, il fondatore dello Yoseikan Budō.
Nel 1957, su incarico di Henry Plée, il judoka Jim Alcheik, che si trovava in Giappone,
si recò a Shizuoka ed invitò il M° Murakami ad insegnare Karate-dō in Francia.
Fu così che il 3 novembre dello stesso anno il M° Murakami arrivò a Marsiglia e,
stupito, si trovò a dover immediatamente fare dimostrazioni in quella città e, in
seguito, ad Avignone e Tolone.
Venne quindi portato a Parigi dove, ignorando completamente la lingua francese,
dovette siglare un contratto con Henry Plée per l’insegnamento all’Academie Française
des Arts Martiaux (AFAM).
Un anno prima, nello stesso luogo, aveva insegnato il suo maestro, Minoru Mochizuki,
e, solo pochi mesi prima il figlio di quest’ultimo, Hiroo Mochizuki.

24
«Karate Master - The Life and Times of Mitsusuke Harada» - op. citata - pag. 147
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Per tutto il 1958 il M° Murakami tenne stages all’AFAM per praticanti di tutta Europa e
del Nord Africa.
Nel momento in cui si rese conto che il contratto con
l’AFAM sarebbe scaduto a fine 1958 seppe anche di
una clausola che gli impediva di continuare
l’insegnamento.
Murakami, il primo maestro giapponese a stabilirsi
permanentemente in Europa, divenne così un
disoccupato ed i primi mesi del 1959 furono
sicuramente uno dei periodi più duri della sua vita;
questo anche a causa del fatto che i suoi allievi
vennero erroneamente informati di un suo presunto
ritorno in Giappone.
Nonostante la sua condizione, non dissimile
dall’isolamento, il suo eccellente livello tecnico superò
l’anonimato e ricevette l’invito a tenere il primo stage fuori dalla Francia, precisamente
in Germania, dal Sig. Saider. Ancora, nel 1959, Murakami fu invitato da Vernon Bell
della British Karate Federation a dirigere uno stage in Inghilterra dove continuerà a
tenere corsi fino al 1964.
Nei primi mesi del 1960 Michel Su e Jacques Fonfrède ritrovarono il loro maestro e lo
aiutarono a ristabilire la sua scuola di Karate, Kendō e Aikidō nel dōjō dove insegnava
il maestro di Judō Mikonosuke Kawaishi.
Murakami chiamò il suo primo dōjō, in Boulevard August Blanqui a Parigi, Renseikan,
la scuola della pratica corretta.
Nel 1962 tenne il primo stage nel nostro paese, a Firenze, su invito del pioniere del
Karate italiano, Vladimiro Malatesti, ed in seguito a Casablanca, in Marocco.
Tenne quindi il suo primo stage in Svizzera su invito del Sig. Guilletan e, poco dopo, si
recò in Jugoslavia.
Negli anni seguenti passò tutto il suo tempo dividendosi tra l’insegnamento nel suo
dōjō a Parigi e la conduzione di innumerevoli stages in tutti i Paesi in cui aveva portato
la sua scuola.
Nonostante il carattere austero e riservato che lo tenne lontano dalle interviste e dalla
mondanità, egli divenne conosciuto ed ebbe allievi famosi, come Elvis Presley (di
stanza in Germania durante il servizio militare) che il maestro Murakami definì “allievo
diligente”.
Nel 1963 incontrò, per un breve periodo, un uomo che aveva la fama di essere un
altro grande esponente del Karate-dō Shōtōkai in Europa - Mitsusuke Harada – che

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insegnò per breve tempo al dōjō che sarebbe diventato il “quartier generale” del
Murakami-Kai, la Maison des Jeunes et de la Culture, in Rue de Mercœur, a Parigi.
Nel 1967 ritornò in Giappone per qualche mese in compagnia dell’amico Tsutomu
Ohshima che lo presentò al M° Shigeru Egami. In Giappone fece l’esperienza di un
nuovo metodo di allenamento e di comprensione del Karate-dō.
Nella primavera del 1968 il M° Murakami prese risolutamente la decisione di operare
una vera e propria rivoluzione nel suo modo di praticare e di insegnare nel tentativo di
assimilare il metodo del M° Egami.
Nell’estate del 1969 il M° Murakami organizzò il primo stage sulla spiaggia di
Sérignan, nel sud della Francia, con il fine di testare il limite di resistenza fisica e
mentale dei praticanti. Sérignan divenne così, anno dopo anno, punto d’incontro dei
praticanti di tutta Europa e dell’Africa.
Nel mese di agosto del 1969, proprio dopo lo stage di Sérignan, il M° Murakami tenne
il primo stage in Portogallo, all’Academia de Budo di Lisbona.
Nel 1976, su invito del M° Murakami, il M° Shigeru Egami, sua moglie e Tomoji
Miyamoto, visitarono l’Europa. Impressionato dalla diffusione della sua scuola e dalla
qualità del lavoro tecnico, Egami nominò Murakami Responsabile Tecnico per l’Europa.
L’amicizia ed il reciproco rispetto rinforzarono ulteriormente il legame tra i due Maestri
e, nel 1978, Egami tornò nuovamente in Europa.
Vi è un retroscena sconosciuto relativo al primo viaggio di Egami in Europa, quello del
1976. È sconosciuto perché ne ha scritto solo la signora Chiyoko Egami, moglie del
Maestro, in un libro dedicato alla memoria del marito.
Posso affermare con ragionevole certezza che quello che segue è il primo brano
tradotto in una lingua occidentale ad essere pubblicato25:
«Abbiamo viaggiato molto nel 1976
Arrivammo a primavera, avevamo come contatto il M° Murakami che viveva a Parigi,
era lui che ci aveva invitati.
Due anni prima avevamo accompagnato il Sig. Hiruma all’aeroporto di Haneda
Ricordo che salutandoci con la mano ci diceva che ci saremmo rivisti a Parigi. Da quel
giorno aspettammo sue notizie, invano.
Gli scrivemmo una lettera ma ancora nessuna risposta. Eravamo dispiaciuti. Il suo
invito non era stato serio. Dissi che avrebbe fatto meglio ad organizzare tutto prima e
poi ad invitarci a cose fatte. Ogni giorno mi recavo alla cassetta delle lettere sperando
in un suo messaggio che non arrivava mai; di giorno in giorno mi sentivo più frustrata.
A poco a poco smettemmo di attendere e nello stesso tempo il Sig. Ohshima (Tsutomu
Oshima n.d.T.) che viveva in America ci invitò ad andarlo a trovare.

25
Ringrazio Mariko Someya-san ed il M° Yves Ayache per avermi fornito la traduzione in francese del testo
da loro recentemente effettuata, che mi ha consentito di presentarla in italiano in questo scritto.
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Il Sig. Ohshima e mio marito (il M° Egami n.d.T.) si erano promessi che si sarebbero
rivisti in America ma ciò non era semplice. Mio marito diceva che Ohshima era troppo
giovane per poter proporre in America un tale invito. Ma ora che Ohshima si era ben
ambientato era riuscito a venire a prenderci in Giappone.
Anche il Sig. Murakami era venuto in Giappone e lo invitammo ufficialmente a casa
nostra. Ci spiegò che aveva molti allievi in Europa e che avrebbe voluto organizzare un
soggiorno di un mese in Francia, Svizzera, Italia, Inghilterra e Portogallo. Mio marito
trovava l’organizzazione di questo viaggio molto impegnativa e così consigliò a
Murakami di prendere contatti con Harada e Hiruma al fine di suddividere il peso
dell’organizzazione e rendere tutto più semplice.
Ma il tempo passava. Fu in quel momento che comprendemmo che Harada aveva del
rancore verso mio marito, cosa che non potevamo immaginare. Il Sig. Murakami ci
informò di quante volte li aveva contattati ma che non era mai riuscito ad ottenere
alcuna risposta da parte loro. Anche in Giappone, se tre persone si trovano una a
Sapporo, l’altra a Tokyo e la terza a Fukuoka è difficile avere dei contatti. In Europa
uno era a Parigi, l’altro a Londra ed il terzo a Madrid, pensammo che il problema
dovesse essere quello. Solo dopo avremmo compreso che non doveva essere un
problema di distanza ma tutt’altra cosa. Harada non desiderava invitare mio marito e
questo metteva Hiruma in una situazione delicata e gli impediva di poter prendere
l’iniziativa.
Alla fine fu Murakami che decise di invitarci
da solo. Ci prenotò i biglietti d’aereo per il
mese di giugno e ripartì per Parigi; mio
marito scrisse quindi ad Harada per
informarlo del suo arrivo nel mese di giugno
e per chiedergli di incontrarsi in
quell’occasione. Non ricevemmo alcuna
risposta da parte sua.
Prima di partire mio marito gli scrisse
nuovamente con i dettagli del nostro viaggio
precisando che, nonostante non avesse
avuto alcuna risposta alla sua prima lettera, I maestri Murakami ed Egami

sperava comunque che Harada sarebbe stato


all’aeroporto ad accoglierci al momento del nostro arrivo.
Ricordo che nel 1956 accompagnammo Harada al porto di Yokohama per la sua
partenza per il Brasile. Erano passati già vent’anni. In occasione di un suo successivo
soggiorno in Giappone non avemmo contatti molto cordiali con lui. Per mio marito
comunque Harada era sempre un suo allievo e gli faceva piacere poterlo rivedere.

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Arrivammo all’aeroporto Charles De Gaulle. Molte persone erano venute ad accoglierci


con dei fiori ma Harada non c’era. Murakami si scusò per l’assenza di Harada. Aveva
cercato nuovamente di contattarlo ma non aveva avuto nessuna risposta. Ci
rendemmo conto che qualcosa doveva essere successo.»

Alla morte di Shigeru Egami, colui che il M° Murakami ha sempre definito “il Maestro
della mia maturità”, avvenuta nel 1981, il M° Murakami sospese lo stage che stava
conducendo a Lisbona e volò immediatamente in Giappone per assistere ai funerali del
suo Maestro ed amico.
Tornato in Francia la sua vitalità non
diede segni di rallentamento e riprese
la sua missione di diffusione dello
Shōtōkai in Europa.

Ciononostante, alla fine del 1985, uno


dei suoi allievi, Fernando Sarmento,
un medico portoghese fu allarmato da
alcuni sintomi che osservò e consigliò
il maestro di fare attenzione alla sua
salute poiché vi erano segni di un
tumore in atto.

Nonostante questo consiglio il M° Murakami insistette nel voler organizzare un viaggio


in Giappone con un alto numero di allievi provenienti dalle diverse nazioni in cui
insegnava. Nel corso del viaggio dovette combattere con forti dolori ma il suo viso
sembrò rallegrarsi quando incontrò i suoi amici e compatrioti.
Purtroppo nel corso del 1986 la malattia seguì il suo inesorabile corso ed il 24 gennaio
1987 il M° Tetsuji Murakami morì a Parigi, sua città di adozione.

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La situazione attuale in Giappone

L’epurazione del M° Miyamoto


Dopo la morte del M° Egami si verificò, in seno alla
Nihon Karate-dō Shōtōkai una spiacevole
situazione che ebbe come protagonista il
Segretario dell’associazione nonché ultimo
assistente del M° Egami, il M° Tomoji Miyamoto
(nella foto a fianco).
Fu Miyamoto che effettuò dimostrazioni durante i
viaggi del M° Egami in Europa nel 1976 e nel
1978. Dimostrò inoltre tutte le tecniche ritratte
nella prima edizione del libro The Heart of Karate-
dō (precedentemente pubblicato col titolo The Way
Tomoji Miyamoto
of Karate, Beyond Technique).
Allievo di Egami e di Aoki era ritenuto dai più, dopo la creazione dello Shintaidō ed il
conseguente abbandonò del Karate da parte di Aoki, il naturale successore del M°
Egami. A causa dell’età relativamente giovane che aveva al momento della morte del
maestro e, a detta di alcuni, anche a causa di presunte contaminazioni derivanti dallo
Shintaidō (scrivo presunte perché Miyamoto era nel Rakutenkai ma non seguì Aoki
nello Shintaidō restando a fianco del M° Egami nella NKS), subì una vera e propria
epurazione.
Venne infatti estromesso dalla Nihon Karate-dō Shōtōkai, gli fu impedito di impartire
insegnamenti avanzati presso le Università dove insegnava e tutte le foto ufficiali in
cui era presente vennero tagliate o, dove questo non era possibile, vennero deturpate
(sono state materialmente raschiate le parti ove era visibile il suo viso).
Dulcis in fundo nella ristampa del libro The Heart of Karate-dō del maggio 2000 che
riporta l’inquietante sottotitolo “Revised Edition” tutte le foto sono state sostituite con
altre che, come ho già avuto occasione di scrivere in passato, a mio modesto e
sicuramente opinabile avviso, non sono all’altezza delle originali.
Quest’informazione mi è stata in seguito confermata anche da un amico cileno che, al
ritorno da un viaggio in Giappone mi scrisse: «When I was at the honbu dōjō, the
Shōtōkan, I was checking some books there and Miyamoto's face had been scratched
off the printed photos in the book, not in the book but in the pictures they used to
print the book! I felt this horrible sensation, like when you see some terrible scene in a
horror film... who would be that sick to do something like that, or what sick thing did
Miyamoto do to deserve such contempt?...

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It's more than sad actually, it's despicable and surely serves to show the top levels of
Shōtōkai are just preaching, no substance in what they say, the actions speak
stronger than words in the end. If they respected the legacy they have received they'd
find a way to unite and not separate, a way to keep things together in an already
small and unstable organization. Any other attitude condemns the fragile legacy to a
sure death. If Master Funakoshi was saddened and heartbroken watching Karate-dō
fall into the superficiality of sport, what would he think of this happening today? Goes
without saying what Master Egami would think!»
Attualmente il M° Miyamoto non fa parte di nessuna organizzazione ma la sua fama
non è stata intaccata. Egli continua infatti ad insegnare nel suo dōjō nel nord del
Giappone, e nonostante il divieto di allenarsi con lui, il suo dōjō è meta di continue
visite “segrete” da parte di numerosi praticanti provenienti sia dall’honbu dōjō, sia da
altri club. Un maestro del nostro gruppo mi ha raccontato che, negli anni novanta, nel
corso di un viaggio in Giappone in cui ha praticato in diversi club, mentre si trovava
nel dōjō del M° Miyamoto ha visto alcuni praticanti già incontrati allo Shōtōkan il
giorno precedente. Questi, avendolo riconosciuto gli si sono avvicinati e gli hanno
chiesto la cortesia di non raccontare di averli visti lì.

La frattura in seno alla NKS – la fondazione dello Yuten Kai


L’epurazione di Miyamoto, atto che definire disdicevole è a mio avviso un eufemismo,
non era destinato però ad essere l’unico avvenimento destinato a scuotere i fragili
equilibri in seno alla Nihon Karate-dō Shōtōkai.
Nel 1996 infatti, in seguito ad alcune prese di posizione di alcuni dirigenti della NKS
volte a sminuire l’importanza della figura di Shigeru Egami, la maggior parte degli
allievi diretti di quest’ultimo, lasciarono la NKS e alcuni di questi, con a capo il forte e
storico gruppo del club Fujitsu fondarono, con l’appoggio della famiglia Egami, lo Yuten
Kai. Furono sette i gruppi che, con i dōjō ad essi associati, ne costituirono la base:
- Oita Yu Ten Kai (Oita city);
- Oita Mu Ten Kai (Oita city);
- Okayama Yu Ten Kai (Okayama);
- Hosei University Giwa Domon Kai (Tōkyō);
- Toho University Yu Ten Kai (Tōkyō);
- Heihō Ten Shin Kai (Kawasaki - Kanagawa);
- Fujitsu Yu Ten Kai (Kawasaki - Kanagawa).

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Yuten (遊天) che letteralmente significa “pregando il


cielo” era lo pseudonimo che il M° Egami utilizzava per
firmare le sue opere calligrafiche (shōdō).

Lo Yuten Kai è, secondo le parole del suo Presidente,


Yukihide Fukawa Sensei, l’associazione di coloro che
onorano la memoria e l’opera del M° Egami.

Tra i maestri che fanno attualmente parte dello Yuten


Kai desidero citare, principalmente per averli conosciuti

Il M° Egami con Yukihide Fukawa personalmente e per aver avuto e per avere tuttora la
fortuna di ricevere i loro insegnamenti diretti:
- Tetsuya Koibuchi, fondatore dello storico Club Fujitsu, dōjō interno alla Fujitsu Ltd.
di Kawasaki;
- Keinosuke Kinoshita, attuale sindaco di Oita (nell’isola di Kyūshū), che considero
personalmente come uno dei tecnici più completi dello Yuten Kai;
- Isao Ariga e Masayuki Nakano, rispettivamente istruttore capo e vice istruttore
capo del Club Fujitsu. Entrambi vissero nella casa del M° Egami negli ultimi cinque
anni della sua vita.
Ricordo, pur non avendo mai praticato con loro, il M° Matsuhashi che fu assistente di
Aoki e membro del Rakutenkai ed il M° Ito, esperto anche di kenjutsu e bojutsu.
Nella Nihon Karate-dō Shōtōkai il metodo di Egami era praticato solo da alcuni gruppi;
dopo la scissione che ha portato alla nascita dello Yuten Kai nella NKS sono rimasti
solo gruppi minoritari di esponenti del Karate-dō di Egami. Tale affermazione mi è
stata recentemente confermata da un amico cileno al ritorno da un viaggio all’honbu
dōjō26: “We were all very saddened by the state of Shōtōkai on our trip to Japan, the
technical level was very low, much disorder and it was obvious that NKS was no longer
training Egami Karate-dō”.
Oggi la confusione legata all’uso del termine Shōtōkai si è ulteriormente acuita. Infatti
il M° Tetusuhiko Asai, uscito dalla JKA, dopo le lotte legali per l’uso del nome Japan
Karate Association che lo hanno visto soccombere, ha deciso di denominare la sua
nuova organizzazione JKS “Japan Karate Shōtōkai”. E’ chiaro che tale associazione
nulla ha a che vedere con la pratica del Karate-dō del M° Egami ma tale
denominazione crea comunque una certa confusione.

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Lo Shōtōkai in Europa dopo la morte del M° Murakami

La tendenza alle scissioni sembra essere una caratteristica comune allo Shōtōkai in
Europa così come in Giappone.
Da quanto in precedenza esposto risultavano in Europa gruppi legati al M° Harada (in
particolare Regno Unito e paesi scandinavi con piccoli gruppi in Belgio, Francia e
Portogallo) e gruppi legati al M° Murakami (Europa centro/meridionale oltre ai paesi
dell’area maghrebina).
Negli anni alcuni gruppi appartenenti alla KDS, l’organizzazione di Harada, non
trovandosi più in sintonia con le idee del loro maestro, in particolare dopo che questi
abbandonò alcune innovazioni apportate dal metodo del M° Egami per ritornare, in
parte, al Karate appreso nel periodo universitario, uscirono dall’associazione e
fondarono nuovi organismi tra cui cito la Shōtōkai Foundation, lo Shōtōkai College, lo
Shōtō Budō, lo Shin Dō Shōtōkai.
Ma veniamo ora ai gruppi legati al M° Murakami.
Fino a che egli era in vita il suo grande carisma e la sua indiscussa superiorità tecnica
fungevano da collante e garantivano un’unitarietà che col tempo sarebbe divenuta solo
un ricordo. Chi sceglieva di non seguirne gli insegnamenti non aveva possibilità di
emergere, era inevitabilmente destinato all’isolamento.
Al momento della morte di Murakami Sensei iniziarono le divisioni all’interno dei suoi
gruppi.
Anche se buona parte delle associazioni nazionali decisero inizialmente di continuare a
portare avanti gli insegnamenti del M° Murakami ben presto, anche a causa della
mancata designazione dei successori ufficiali da parte del maestro, si verificarono una
pletora di scismi. Alcuni praticanti si raccolsero attorno al M° Hiruma, un esperto
giapponese che si era trasferito in Spagna nei primi anni settanta, costituendo gruppi
organizzati in Portogallo e nel nostro Paese.
Altri crearono altri gruppi e associazioni che, spesso, dimostrarono di avere, come
principale fine, quello di criticare gli altri e di asserire una presunta superiorità.
La litigiosità, che paradossalmente trovò la massima espressione proprio in Francia, la
patria adottiva del M° Murakami, si unì poi all’emergere di altri aspetti ancor meno
confortanti.
Iniziarono a proliferare quelli che definisco i “nuovi generali senza esercito”, i quali,
dopo aver rivendicato il ruolo di assistente del M° Murakami ed essersi procurati uno
status degno della loro nuova posizione attraverso l’attribuzione reciproca di gradi

26
«Eravamo avviliti dallo stato dello Shōtōkai dopo il nostro viaggio in Giappone, il livello tecnico era
molto basso, c’era molto disordine ed era ovvio che nell’ambito della NKS non si pratica più il Karate-dō
di Egami.»
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Dan, iniziarono a proporre le loro “interpretazioni”, a volte purtroppo aberranti,


dell’arte.
Il più grosso problema, che si esplicitava ad ogni tentativo di colloquio o riunione, era
la convinzione, che ciascuno di essi aveva, di essere l’unico depositario del Karate-dō
del M° Murakami (compresi quelli che negli ultimi anni disertavano regolarmente i suoi
stages o che erano stati da lui allontanati).
È necessario premettere che il Karate-dō del Maestro Murakami era in continua
trasformazione e che la pratica di un anno presentava spesso evoluzioni sostanziali
rispetto a quella dell’anno precedente. Molti nuovi generali avevano seguito il Maestro
solo per qualche anno e ognuno di loro possedeva la propria verità come nella poesia
di John Goodfrey Saxe (1816-1887) in cui degli Industani ciechi dopo aver toccato
diverse parti dell’elefante finiscono col litigare su cosa fosse l’elefante convinti che la
parte che ciascuno di loro aveva toccato fosse l’intero... ciò ha contribuito a creare
molta confusione e a dare un immagine dello Shōtōkai non certo edificante.
Riporto a conferma di quanto scritto le considerazioni di un maestro e amico dell’ASP
(Associaçao Shōtōkai de Portugal) che mi inviò dopo una riunione svoltasi a Scarperia
(FI) finalizzata a valutare la possibilità di creare un gruppo europeo tra gli allievi
anziani del M° Murakami cui avevamo partecipato27 nei primi anni novanta: «Why do
so many preach humility, self-development and other high ideals and then have all
kinds of organizational rifts, separations, enemies all over the place, people they can't
stand, talk bad of each other, etc.?
I believe they just preach and none really practice those high ideals.
There are few things that really affect me, one of them is double standards, I just
can't stand that!»
In effetti il malcontento per la situazione di continuo conflitto, in particolare tra i
gruppi francesi, vanificò la possibilità di costituire un organismo sovranazionale
comune.
Oggi, limitando l’analisi alle tre nazioni europee in cui maggiore fu l’influsso
dell’insegnamento del M° Murakami, il panorama dei gruppi Shōtōkai è il seguente (in
ordine decrescente di praticanti):

Francia
• Shōtōkai France (dal 2002 ha cambiato denominazione in Karate-dō Shōtōkai
Europe) con a capo il M° Patrick Herbert, uno dei primi allievi del M° Murakami
in Francia. Oggi la pratica di questo gruppo è profondamente modificata in
seguito alla pesante influenza di pratiche tratte dalle arti marziali cinesi.

27
All’epoca ero già segretario della Scuola Shōtōkai Italia e, spesso, accompagnavo il M° Maltoni,
responsabile tecnico nazionale, a queste riunioni.
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• Akser Kokusai con a capo il M° William A. Schneider, ex allievo di Harada, nei


primi anni settanta studiò in Giappone sotto la guida dei maestri Egami e
Usami. La sua organizzazione è diffusa anche in Grecia, Marocco e Algeria.
• Mushinkai altra organizzazione derivante dalla corrente di Murakami. A capo è il
M° Luis de Carvalho, di origine portoghese. L’organizzazione è presente anche
in Svizzera e ha un piccolo gruppo di aderenti anche nel nostro Paese.
• Kiseikai con a capo il M° Yves Ayache, anch’egli allievo del M° Murakami ed ex
segretario dello Shōtōkai France. Ne uscì in quanto non in accordo con la
direzione impressa al gruppo dal M° Herbert. Oggi ha contatti con lo Yuten Kai
giapponese.
• I.K.D.S. (International Karate-Do Shōtōkai) ex allievi del M° Murakami che si
definiscono ex assistenti dello stesso. Si tratta di un gruppo con presenze,
seppur molto limitate, anche in Serbia e nel nostro Paese.

Portogallo
• ASP - Associaçao Shōtōkai de Portugal. È il gruppo storico derivante dal
Murakami-Kai portoghese. A capo dell’ASP vi è una commissione tecnica di cui
gli esponenti di primo piano sono i maestri Fernando Sarmento e José Patrão.
Mantengono una pratica fedele al lineage del M° Murakami.
• Portugal KDS - gruppo guidato dal M° Raul Cerveira e legato agli insegnamenti
del M° Harada;
• Associação Budokai Shōtōkai de Portugal - gruppo guidato dal M° Antònio
Cunha e legato agli insegnamenti del M° Hiruma.

Italia
• Scuola Shōtōkai Italia: gruppo storico derivante dal Murakami-Kai Italia. Ha
oggi rapporti con lo Yuten Kai giapponese.
• ISKDO (Italia Shōtōkai Karate-dō): è un confederazione tra i due gruppi che
seguono gli insegnamenti del M° Hiruma.
• gruppi minoritari: I.K.D.S. e Mushinkai.

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BIBLIOGRAFIA

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Shintaido Of America - San Francisco 1982

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«Karate-dō - Senmon-ka ni okuru» (Karate-dō - dedicato ai professionisti)
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Egami, Shigeru
«The Heart of Karate-dō» - Revised Edition
(già pubblicato in precedenza con il titolo “Karate- dō - Beyond Techniques»)
Kodansha International Ltd. - Tōkyō-New York-London 2000

Funakoshi, Gichin
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«Karate-dō Nyūmon»
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Ito, Haruyoshi Fugaku


«Ito’s stream of consciousness»
Shintaido Of America - San Francisco 1983

Layton, Dr. Clive


«Conversations with Karate Masters»
Ronin Publishing - Birkenhead 1988

Layton, Dr. Clive


«Karate Master - The Life and Times of Mitsusuke Harada»
Bushido Publications - Liverpool 1997

Tokitsu, Kenji
«Il Ki e il senso del combattimento»
Luni Editrice - Milano 2002

Tokitsu, Kenji
«L’arte del combattere»
Luni Editrice - Milano 1993

Tokitsu, Kenji
«Storia del Karate - La via della mano vuota»
Luni Editrice - Milano 1995

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