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CAPITOLO 1:
LA FORMAZIONE DEL SISTEMA
4. Il quadro teorico
La tutela dei cittadini era limitata al caso in cui la PA agiva in violazione di leggi civili e politiche, ma non
amministrative. Si riteneva infatti che se la legge amministrativa aveva dato dei poteri alla PA, necessariamente
era esclusa l’attribuzione dei medesimi diritti ai cittadini. Se questi non potevano vantare diritti, di conseguenza
non potevano ottenere tutela giurisdizionale.
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L’allontanamento dal Governo portò ad una rinnovata attenzione al problema della tutela verso la pubblica
amministrazione, tanto che nei programmi politici si determinò un movimento per la “giustizia
dell’amministrazione”, che aveva il fine di porre un freno ai favoritismi e alle parzialità, tutelando maggiormente i
cittadini davanti alla pubblica amministrazione.
- Il riconoscimento della natura giurisdizionale (in senso proprio) della quarta sezione fu opera delle sezioni
Unite della Cassazione Romana, sulla base della legge 1877sui conflitti e della stessa legge del 1889.
Questo permise alle sezioni unite di fissare il criterio di riparto tra giurisdizione del giudice ordinario e
competenza della quarta sezione sulla causa petendi (titolo per il quale si agisce in giudizio), ma soprattutto
le permise di trasformare la quarta sezione da organo amministrativo ad organo giurisdizionale.
- In base alla legge del 1877, alle sezioni unite spettava di:
1. regolare la competenza tra l’autorità giudiziaria e l’autorità amministrativa quando l’una o l’altra sian
dichiarate incompetenti - decidere quindi i conflitti negativi di attribuzione;
2. giudicare i conflitti di giurisdizione positivi o negativi fra i tribunali ordinari ed altre giurisdizioni speciali,
nonché della nullità delle sentenze di queste giurisdizioni per incompetenza od eccesso di potere – ossia
di decidere i conflitti di giurisdizione, positivi e negativi.
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Tuttavia la nuova impostazione non si dimostrò esauriente: molti problemi ancora non erano risolti, come quello
relativo al criterio di riparto, o dell’estrema difficoltà di ottenere tutela nel caso di inerzia della PA. Nel 1923 si rese
promiscua la competenza della Quarta e della Quinta Sezione, si consentì al Consiglio di Stato di decidere in via
incidentale anche questioni concernenti diritti soggettivi (tranne stato e capacità), e si creò la giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo.
Si individuarono cioè delle materie attribuite all’esclusiva giurisdizione del Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (come il rapporto di pubblico impiego). Si creò inoltre un secondo criterio di riparto delle
giurisdizioni, speciale, fondato sulle materie, rispetto al criterio generale fondato sulle situazioni giuridiche
soggettive: con tale criterio si rinunciava al principio del 1865, secondo il quale per la tutela dei diritti soggettivi
provvedeva solo il giudice ordinario.
Con la legge del 1923 si creò un secondo criterio di riparto delle giurisdizioni, fondato sulle materie, rispetto
al criterio generale, fondato sulle situazioni giuridiche soggettive.
La legge del 1923 si limitò a creare la giurisdizione esclusiva ma non dettò una disciplina propria del processo
relativo; cosicchè la tutela dei diritti soggettivi fu compressa nello stretto ambito del processo amministrativo. La
giurisprudenza del Consiglio di Stato ha eliminato qualche grave strozzatura:
o Ha consentito la proposizione del ricorso entro i termini di prescrizione, anziché entro i termini di
decadenza, quando la controversia attiene ai diritti soggettivi;
o Ma non ha mai intrapreso la strada della costruzione in via pretoria di un processo adeguato alla tutela
congiunta delle situazioni di diritto e di interesse legittimo, ossia un processo di giurisdizione eclusiva; ne
è la conferma la differenziazione dei termini per la proposizione del ricorso a seconda che vengano
impugnati atti paritetici (lesivi di diritti) o atti autoritativi (lesivi di interessi legittimi).
CAPITOLO 2
L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA
2. Le “aperture” costituzionali
Art.24: fu riconosciuta a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri interessi legittimi e dei diritti
soggettivi.
Diritto alla difesa in ogni stato e grado del giudizio.
La tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate
categorie di atti (art.113).
- Nella Parte Prima della Cost., viene riconosciuto a tutti la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei propri
diritti e interessi legittimi (art.24, comma 1); nonché il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del
procedimento (art.24, comma 2).
- Viene ribadito che contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale
dei diritti e degli interessi legittimi (art.113, comma 1).
- Gli interessi legittimi vengono accostati ai diritti soggettivi.
- Il riconoscimento dell’interesse legittimo sancisce definitivamente il carattere di processo di diritto soggettivo
e di processo di parti che il processo amministrativo aveva da tempo acquisito; inoltre apre la strada
all’affermazione della risarcibilità delle lesioni inferte dall’amministrazione all’interesse legittimo.
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- Il testo costituzionale riafferma la generalità della tutela nei confronti dell’amministrazione: vengono meno,
pertanto, sia le limitazioni connesse con la impugnabilità di alcune categorie di atti (gli atti politici ne sono
l’esempio più rilevante) sia quelle derivanti dalla esclusione della sindacabilità degli atti sotto alcuni profili (di
solito sotto il profilo dell’eccesso di potere).
- La Costituzione ha voluto assicurare, oltre alla generalità, anche la pienezza della tutela giurisdizionale. Il
che comporta che, nelle controversie con l’amministrazione, devono poter essere esperibili tutte le azioni che,
in via generale, sono esperibili nelle controversie tra privati.
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l'impugnabilità dei provvedimenti non definitivi, consentendo l'esercizio dell'azione giurisdizionale a prescindere
dalla previa impugnazione dei provvedimenti con ricorso amministrativo. Nonostante le grandi innovazioni però la
legge del 1971 non ha dato luogo ad una riconsiderazione globale e sistematica dei mezzi di tutela, né ha
introdotto una disciplina processuale esauriente.
3. La legge n. 205/2000
L’intervento legislativo più recente e più importante è dato con legge 21 luglio 2000, n. 205, risultato di
un'elaborazione parlamentare incompleta a causa della fretta determinata dalla sentenza della corte
costituzionale 17 luglio 2000, n. 292, che ha dichiarato illegittimo per eccesso di delega l'articolo 33 del decreto
legislativo n. 80/1998. La fretta si evince dal disordine delle disposizioni, dalle inutili ripetizioni e dalla frequente
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non coordinazione. Per il processo sono state dettate delle norme di razionalizzazione, come quella che prescrive
di raccogliere insieme i motivi aggiunti. È stato introdotto un rapido processo avverso il silenzio, per quanto
riguarda i riti speciali, e sono state introdotte più discipline processuali speciali, caratterizzate dalla riduzione della
durata del processo. Per quanto riguarda la giurisdizione esclusiva sono state allargati i poteri istruttori e decisori
del giudice e si è reso uniforme un modello processuale prima assai variegato. Sono stati integrati anche i poteri
del giudice amministrativo, che ora in sede di legittimità e in sede di giurisdizione esclusiva, può conoscere
anche dell'azione risarcitoria.
sicuramente però, nonostante le critiche, con la L.25/2000 il processo amministrativo è stato molto velocizzato e
reso efficace.
5. Il dibattito attuale
Negli ultimi tempi, anche a seguito dei lavori della commissione bicamerale, è stato riavviato il dibattito sul
principio della unitarietà della giurisdizione e sull'architettura stessa della magistratura, ancora non chiara e
soddisfacente.secondo l'interpretazione più comune della costituzione, la magistratura si articolano in ordine
giudiziario ed in altri corpi che svolgono anch'essi funzioni giurisdizionali: i giudici speciali. In dottrina stesso
ritorna l'aspirazione alla ricomposizione unitaria del sistema giudiziale, fortemente sostenuto in assemblea
costituente dal Calamandrei.comunque interpretato, il sistema appare però difettoso: controllo sulla giurisdizione
dei singoli giudici è affidato ad uno di essi, e manca un organo giudiziario con funzione generale di
nomofilachia.l'architettura difettosa è emersa anche ultimamente con la dichiarazioni di incostituzionalità della
composizione dei tribunali regionali delle acque. Il dibattito attuale verte anche sul riparto della giurisdizione tra
giudice ordinario e giudice amministrativo. Il criterio originario fondato sulle situazioni soggettive è stato pian
piano soppiantato da altri criteri, primo tra tutti quello per materia. Altro tema di forte attualità tiene alla misura
della sindacabilità delle scelte di discrezionalità tecnica effettuate dall'amministrazione: c'è chi ritiene che nel
processo amministrativo possa essere sindacata ogni scelta tecnica, e c'è chi punta verso un sindacato più
limitato. Il problema di fondo rimane comunque legato alla mancanza di una disciplina dei processi nei confronti
dell'amministrazione.
PARTE 2
I GIUDICI E LA LORO ORGANIZZAZIONI
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CAPITOLO 1
IL GIUDICE AMMINISTRATIVO
Istituzionale:
o adotta tutti i provvedimenti relativi ai magistrati ed ai funzionari delle segreterie, mentre ha uno
specifico potere di proposta in tali materie al Pres. del Consiglio dei Ministri e, tramite quest’ultimo, al
Capo dello Stato.
o Esercita il potere di vigilanza su tutti gli uffici del Consiglio di Stato e sui magistrati, ed è titolare
dell’azione disciplinare.
Il presidente è coadiuvato, nell’esercizio delle sue funzioni, da un segretario generale, scelto tra i consiglieri di
Stato.
È composta dal presidente del CdS che la presiede e da tutti i consiglieri in servizio.
Ha competenza in materia di pareri sui progetti di legge, testi unici, regolamenti e per le questioni, di rilevanza
generale o di massima, sulle quali il presidente, le singole Sezioni ritengano necessario un pronunciamento
dell’organo in parola.
Il presidente del CdS può formare, per quanto concerne l’attività di natura consultiva, commissioni speciali,
qualora la questione da risolvere non sia riconducibile ad una Sezione consultiva ordinaria.
- Adunanza Plenaria
Funzioni esclusivamente giurisdizionali.
È composta dal presidente del CdS e da dodici consiglieri (4 per ogni Sezione giurisdizionale).
Finalità e funzioni:
o Possibilità, su richiesta delle parti o d’ufficio, di investire l’Adunanza Plenaria ad opera della Sezione
che ritenga necessario un pronunciamento su un punto di diritto che ha dato luogo o possa dar luogo
a contrasti giurisprudenziali;
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o Deferimento del Presidente, sempre su richiesta delle parti o d’ufficio, allo scopo di rimettere il ricorso
all’Adunanza Plenaria per la “risoluzione di questioni di particolare importanza”.
- Consiglio di Giustizia amministrativa per la regione siciliana
Ha funzioni di giudice di appello avverso le pronunce di primo grado del TAR Sicilia, nonché funzioni di
natura consultiva, quale organo di consulenza giuridico-amministrativa del Governo regionale.
CAPITOLO 2
GLI ALTRI GIUDICI DELLE CONTROVERSIE CON L’AMMINISTRAZIONE
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Per l’esecuzione del giudice ordinario può esperirsi il giudizio d’ottemperanza; per l’esecuzione forzata invece si
seguono le regole del c.p.c.
b) Il giudice tributario(rinvio)
Ha la funzione di risolvere le controversie tra cittadini e amministrazione finanziaria o altri enti impositori; tale
scelta si spiega con l’esigenza di non aumentare il carico di lavoro dei giudici ordinari e amministrativi.
Il sistema attuale si articola in Commissioni tributarie provinciali (organi di primo grado) e Commissioni tributarie
regionali (organi di secondo grado).
Ogni Commissione si articola in Sezioni, ognuna delle quali composta da un presidente, un vice presidente e da
almeno 4 giudici tributari.
Il procedimento giurisdizionale è regolato dal c.p.c. Dal 1992 può sospendere l’esecuzione del provvedimento
impugnato.
In caso l’amministrazione non si adegui alla sentenza delle Commissioni tributarie passate in giudicato, è
esperibile il giudizio di ottemperanza.
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Nel 2002 la Corte costituzionale con la sentenza n. 305/2002 ha ritenuto incostituzionali gli articoli 139 e 143,
comma 3 del T.U. acque in quanto non prevedono la nomina di uno o più supplenti, nell'ipotesi di astensione di
uno dei componenti titolari, e con la sentenza n. 353/2002 la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della
composizione dei tribunali regionali relativamente alla partecipazione al collegio giudicante di uno dei tre tecnici,
già funzionari del genio civile.
La competenza dei Tribunali regionali delle Acque Pubbliche in materia di diritti soggettivi sussiste anche per le
controversie relative alle acque pubbliche sotterranee e per quelle concernenti la ricerca, l'estrazione e
l'utilizzazione delle acque sotterranee nei comprensori soggetti a tutela, sempre che le controversie interessino la
pubblica amministrazione. Ai sensi dell'art. 142 T.U. acque, delle controversie intorno alla demanialità delle
acque, circa i limiti dei corsi o bacini loro alvei e sponde; controversie aventi ad oggetto qualunque diritto relativo
alle derivazioni e utilizzazioni di acqua pubblica; controversie riguardanti la occupazione totale o parziale,
permanente o temporanea di fondi e le conseguenti indennità; controversie per risarcimenti di danni dipendenti
da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione.
Il tribunale è composto da: un magistrato ordinario di qualifica corrispondente a Procuratore generale, che lo
presiede, un presidente aggiunto scelto tra i Presidenti di Sezione della stessa Corte, che sostituisce il presidente
in caso di suo impedimento; quattro consiglieri di Cassazione; quattro Consiglieri di Stato; tre esperti, iscritti
nell'albo degli ingegneri.
I Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche sono in numero di otto ed hanno sede presso le Corti d’Appello di
Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Palermo e Cagliari.
Sulle loro decisioni decide in grado di appello il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.
d) I giudici parlamentari
Retti dal principio dell’autodichia (per garantire l’autonomia ed indipendenza degli organi costituzionali, per
quanto riguarda l’attività interna da essi svolta) e dalla regola della non sindacabilità, da parte della giurisdizione
ordinaria o amministrativa, degli atti emanati da tali organi.
Il nuovo regolamento prevede 2 organi interni: il Consiglio di giurisdizione (competente delle controversie di
primo grado) e la Sezione giurisdizionale dell’Ufficio di Presidenza (per l’appello).
Gli organi sono composti da deputati nominati dal presidente della Camera e il procedimento è simile a quello
previsto per il giudizio amministrativo.
Organi simili sono previsti presso il Senato della Repubblica.
È stata esclusa la ricorribilità in Cassazione contro le sentenze dei giudici parlamentari ex art.111 Cost, poiché
trattandosi di giurisdizione domestica, sarebbe assente la terzietà del giudice, e non potrebbero tali organi essere
considerati giudici speciali, se non in senso formalistico.
3. L’arbitrato
Dal 2000 utilizzabile anche nel settore della giustizia amministrativa. Infatti le controversie concernenti diritti
soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo possono essere risolte mediante arbitrato rituale
di diritto.
Problemi: giudice competente a dirimere le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del lodo arbitrale.
Dovrebbe essere competenza della Corte d’Appello, ma così si rischierebbedi derogare in tema di riparto delle
giurisdizioni.
D’altra parte permangono incertezze sul tipo di situazioni soggettive cui può essere applicato l’arbitrato (es.
risarcimento del danno). Per questo è auspicabile un intervento del legislatore.
CAPITOLO 3
L’AMBITO DELLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
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I diritti soggettivi, se colpiti da un potere amministrativo, degradano in interessi legittimi, sotto la giurisdizione del
giudice amministrativo. Ma come può un diritto soggettivo, se limitato o estinto, “trasformarsi” in interesse? E
quando si è comunque in presenza di poteri amministrativi, ma il diritto soggettivo non è degradabile (es. perché
protetto in Cost.)?
b) Teoria basata sulla distinzione tra cattivo uso del potere e carenza di potere
Cattivo uso del potere:
Si tratta di interesse legittimo, di competenza del giudice amministrativo. Esistendo una norma di legge che da
alla PA il potere di emanare un atto, ci sarò solo un interesse affinché tale atto sia emanato in modo corretto.
Carenza del potere:
Si tratta di diritto soggettivo, tutelato dal giudice ordinario. Non c’è una norma che da alla PA il potere di emanare
l’atto. Non si tratta solo di carenza in astratto (es. perché non vi è la norma), ma anche in concreto (es. per forma,
procedimento, termine perentorio, presupposti).
c) Teoria che si fonda sulla distinzione tra norme di azione e norme di relazione
Le norme di azione regolano l’esercizio dei poteri della PA, e si riferiscono all’interesse legittimo. Quelle di
relazione regolano invece i rapporti tra i cittadini e la PA (e attengono dunque ai diritti soggettivi).
Ma dopo aver chiarito a che tipo di norme appartengono diritto soggettivi e interessi legittimi, come si stabilisce
quando una norma è di azione, e quando invece di relazione?
d) Teoria si basa sulla differenza tra attività discrezionale e vincolata
La prima, comprendente interessi legittimi di cognizione del giudice amministrativo, la seconda diritti soggettivi da
tutelarsi tramite giudice ordinario.
Il riparto di giurisdizione
- Il punto controverso è sempre stato quello di capire se il riparto dovesse fondarsi sul criterio del petitum
ovvero della causa petendi (o petitum sostanziale).
- In base al primo criterio (petitum) il giudice competente viene individuato non già sulla base della natura
della situazione giuridica che si assume lesa, bensì in ragione del tipo di pronuncia richiesta; quindi:
o se si chiede l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, il giudice competente è il giudice
amministrativo;
o se si chiede una sentenza di condanna della PA al risarcimento dei danni, il igudice competente è il
giudice ordinario.
- L’applicazione del criterio del petitum determinale seguenti conseguenze:
o Il diritto soggettivo leso può essere fatto valere come interesse legittimo attraverso la richiesta di
annullamento del provvedimento illegittimo;
o Il sistema di giustizia amministrativa è in grado di offrire una doppia tutela in quanto è possibile
alternativamente rivolgersi al giudice amm. per contestare le modalità di esercizio del potere e al
giudice civile per far valere, invece, le conseguenze patrimoniali sfavorevoli derivanti dall’esercizio
del potere amministrativo.
- In base al secondo criterio (causa petendi) la giurisdizione si radica sulla base della natura della situazione
giuridica che si assume lesa.
Se ad essere leso è un diritto soggettivo, il giudice competente è il giudice ordinario;
o Non vi può essere alcuna doppia tutela poiché ogni situazione giuridica soggettiva ha la tutela sua
propria, affidata ad un giudice diverso;
o Ogniqualvolta il giudice travalica le proprie attribuzioni, si pone una questione attinente alla
giurisdizione.
- Dal 1889 al 1930, si hanno due orientamenti diversi: la Cassazione che è favorevole all’applicazione del
criterio della causa petendi; la giurisprudenza amministrativa favorevole all’applicazione del petitum.
- Nel 1930, dopo un lungo conflitto giurisprudenziale, tanto il CdS quanto la Cassazione, affermarono che il
giudice competente va individuato sulla base della natura della situazione giuridica che si assume lesa.
- In seguito giurisprudenza e dottrina hanno dovuto affrontare il problema di individuare ulteriori criteri sulla cui
base qualificare una lite tra pubblica amministrazione e privato in termini di controversia concernente la
lesione di un diritto soggettivo ovvero di un interesse legittimo.
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Le principali strade percorse hanno fatto leva su:
1. La teoria della degradazione dei diritti, secondo la quale i diritti soggettivi colpiti dall’esercizio delle
potestà amministrative degradano in interessi legittimi, con conseguente competenza del giudice
amministrativo e conoscere della relativa controversia.
2. La distinzione tra la carenza di potere e scorretto esercizio del potere, secondo il quale:
- si ha carenza di potere allorquando si contesta la stessa esistenza del potere amministrativo, ed
in questo caso la controversia riguarda il diritto soggettivo e la giurisdizione spetta al giudice
ordinario;
- si ha scorretto esercizio del potere quando si contesta il suo illegittimo esercizio, ed in questo
caso la controversia riguarda l’interesse legittimo e la giurisdizione spetta al giudice
amministrativo.
3. La distinzione tra norme di relazione e norme di azione, secondo il quale si ritiene che:
- si sia in presenza di una norma d’azione quando la relativa disciplina è volta a tutelare in via
diretta un interesse pubblico; in questo caso il privato è titolare di in interesse legittimo e dunque
la controversia appartiene al giudice amministrativo;
- si sia in presenza di una norma di relazione quando la relativa disciplina è volta a tutelare in via
principale l’interesse del privato; in questo caso il privato è titolare di un diritto soggettivo e
dunque la controversia appartiene al giudice ordinario.
4. La distinzione tra potere discrezionale e potere vincolato;
secondo un primo orientamento dottrinale vi è una tendenziale equivalenza tra attività unilaterale della
PA ed esercizio delle potestà amministrative;
un diverso orientamento dottrinale ritiene invece che di esercizio del potere da parte della pubblica
amministrazione si possa parlare soltanto nell’ipotesi in cui la relativa attività abbia carattere
discrezionale.
Secondo l’impostazione dottrinale, a fronte dell’attività vincolata, il privato vanti diritti soggettivi, quindi la
competenza a giudicare della lesione della posizione del privato spetta al giudice ordinario; a fronte
dell’attività discrezionale, il privato vanta interessi legittimi, quindi la competenza a giudicare spetta al
giudice amministrativo.
La giurisprudenza, invece, annette rilevanza alla distinzione tra attività discrezionale e vincolata ai fini del
riparto di giurisdizione soprattutto in relazione ad alcune fattispecie, quali in particolare il potere della PA
di imporre prestazioni patrimoniali a privati (potere impositivo), le obbligazioni pubbliche aventi ad oggetto
somme di denaro erogate a vario titolo in favore dei privati, la materia dell’iscrizione agli albi
professionali; in questi casi viene riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario.
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giurisdizionale da parte del privato. Tale impostazione non è però seguita dalla dottrina più recente, soprattutto
perché la costituzione colloca l'interesse legittimo a fianco del diritto soggettivo.
La situazione giuridica soggettiva è la concreta situazione in cui è collocato o di cui è titolare un soggetto
dall’ordinamento con riferimento al bene che costituisce oggetto dell’interesse. Tali situazioni sono:
- Diritto soggettivo, situazione giuridica di vantaggia nella quale la legge attribuisce ad un soggetto la
possibilità di realizzare il proprio interesse indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse pubblico.
E’ tutelato in via assoluta e non mediata. Può essere definito anche situazione giuridica di immunità dal
potere.
- Interesse legittimo, rappresenta la situazione soggettiva tipica che si evidenzia ogni volta che viene
esercitato un provvedimento. Rappresenta la pretesa alla legittimità dell’azione amministrativa. E’ definita
come una situazione soggettiva di vantaggio costituita dalla protezione giuridica di interessi finali che si
attua non in via diretta e immediata ma attraverso la protezione di un altro interesse del soggetto
strumentale alla legittimità dell’atto amministrativo. Il soggetto deve sperare che dall’esercizio del potere
amministrativo si arrivi alla propria soddisfazione.
Il soggetto ha comunque dei poteri giuridici che lo tutelano e che sono:
• Poteri strumentali, nel procedimento amministrativo si può inserire il soggetto attraverso poteri di
partecipazione e quindi orientare l’ Amministrazione. Sono costituiti dalla partecipazione,
consultazione di atti, presentazione di memorie. L’ Amministrazione deve tener conto di quelle che
sono le esigenze del soggetto privato e se vuole disattenderle, deve motivare tale scelta.
• Poteri di reazione, riguardano la possibilità del soggetto di reagire contro le determinazioni dell’
Amministrazione attraverso ricorsi amministrativi o giurisdizionali.
L’interesse legittimo può essere:
1. è una situazione soggettiva correlata al potere discrezionale della PA (se c'è potere vincolato di solito c'è
diritto soggettivo);
2. il potere discrezionale è esercitato attraverso una scelta (il privato non ha diritto a che il potere venga
esercitato nella direzione da lui voluta);
3. l'interesse legittimo può essere soddisfatto dalla PA solo con un atto legittimo;
4. la situazione giuridica attiva la cui soddisfazione è rimessa a un comportamento altrui non è esclusiva del
diritto amministrativo (es: anche nel diritto di credito; solo che in tal caso al diritto corrisponde un dovere e
non un potere);
5. si distingue tra interessi legittimi oppositivi (privato vuole conservare uno stato di cose contro un
provvedimento amministrativo che può alterarlo) o pretensivi (il privato aspira a un atto capace di
produrre lo stato di cose desiderato);
6. un tempo si diceva che il diritto soggettivo fosse tutelato col risarcimento, mentre l'interesse legittimo con
l'annullamento. Con la recente previsione normativa ciò non vale più: risarcibilità degli interessi legittimi;
7. per effetto del numero 6, le distinzione tra interesse legittimo e diritto soggettivo è più fragile;
8. interesse legittimo = interesse a che l'autorità amministrativa eserciti il suo potere in modo da soddisfare
l'interesse stesso, o lasciando inalterato lo stato di cose in atto o modificandolo: interesse che è tutelato
nella misura in cui la sua soddisfazione si realizzi con un provvedimento legittimo. L'interesse è tutalto
prima che il provvedimento venga preso, con i diritti di partecipazione al procedimento amministrativo, e
dopo che il provvedimento è adottato, in senso sfavorevole al titolare dell’interesse, con il potere di
reazione in via giurisdizionale o amministrativa.
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In questo caso è una situazione giuridica soggettiva attiva che fronteggia un’altra situazione soggettiva attiva
costituita dalla potestà amministrativa
3) Come pretesa alla legittimità del provvedimento amministrativo. L’interesse è una situazione soggettiva di
vantaggio riconosciuta al privato avente carattere strumentale(perché comporta l’eventuale ed indiretta tutela
dell’interesse finale)
4) La legittimità dell’azione amministrativa rappresenta il limite della protezione che l’ordinamento giuridico
riconosce all’interesse legittimo (ma il limite alla protezione non può trasformarsi nell’oggetto della protezione.)
5) Posizione di vantaggio data ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un interesse ad un bene della vita
oggetto di potere amministrativo. La differenza tra diritti soggettivi ed interessi legittimi starebbe solo nel grado
della tutela.
6) Interesse consistente nella possibilità di conservare o di acquisire un bene della vita. Il bene della vita è
diverso dall’interesse finale, è infatti una semplice chance.
6. Il problema della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo sino alla sentenza
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.500/1999
Cassazione sent.500/1999: pronuncia in sede di regolamento di giurisdizione. La Corte recepisce l’orientamento
della dottrina circa l’art.2043 c.c. E’ data una diversa lettura di “danno ingiusto”, ora pregiudizio non giustificato
recato ad un interesse giuridicamente rilevante (indipendentemente da quale).
- È il giudice che dovrà selezionare gli interessi rilevanti comparando l’interesse del danneggiato e quello
perseguito con la condotta lesiva. Quindi occorre in questo caso valutare l’esistenza di un’azione
illegittima e colpevole della PA dalla quale derivi la lesione dell’interesse al bene della vita al quale
l’interesse legittimo è preordinato. Sino a pochi anni addietro la sentenza, gli interessi legittimi o, per
meglio dire, i danni derivanti dalla loro lesione non erano considerati risarcibili.
- Vi era una sostanziale sorta di immunità della PA nei confronti dei danni arrecati al privato nello
svolgimento illegittimo della propria funzione.
- Se il privato vantava un interesse legittimo oppositivo collegato ad un interesse finale avente la
consistenza di diritto soggettivo, poteva aspirare quantomeno ad una tutela risarcitoria del diritto
soggettivo dopo l’annullamento del provvedimento illegittimo; se il privato vantava, a fronte dell’esercizio
delle potestà amministrative, un interesse legittimo pretensivo, collegato ad un interesse finale non
avente la consistenza di un diritto soggettivo, non poteva aspirare ad alcun risarcimento dei danni subiti a
seguito dell’illegittimo o tardivo esercizio delle potestà medesime.
- Vi sono altri fattori che hanno concorso a mettere in crisi l’orientamento tradizionale della Cassazione e a
favorire la svolta compiuta con la sentenza.
- Infatti, a partire dagli anni 60, raggiunto l’obiettivo che nei rapporti tra privati vengono risarciti sia danni
derivanti dalla lesione di un diritto soggettivo, sia danni derivanti dalla lesione di un interesse non avente
la consistenza di un diritto soggettivo, nei rapporti tra privati e PA l’interesse legittimo, che è certamente
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una situazione giuridica soggettiva con una tutela minore di quella accordata al diritto soggettivo, finiva
per valere meno ai fini della tutela risarcitoria di interessi che trovavano nei rapporti tra privati la predetta
tutela.
- Importante è anche l’ordinamento comunitario, per il quale vige il principio che la Comunità deve
risarcire i danni arrecati dalle sue istituzioni nell’esercizio delle loro funzioni.
- Importante è anche il d.lgs. 80/1998, con il quale sono state ampliate le materie di giurisdizione esclusiva
(facendovi rientrare i servizi pubblici, l’urbanistica e l’edilizia), ed è stata prevista la possibilità per il
giudice amministrativo di condannare in sede di giurisdizione esclusiva l’amministrazione al risarcimento
del danno ingiusto.
- La sent.Cass. 500, nell’aprire alla risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo, ha
affrontato ed offerto soluzioni alle molte questioni sia di ordine sostanziale sia di ordine processuale.
Riguardo alle questioni processuali, nella sentenza i giudici avevano posto due regole molto chiare:
1. Il giudice competente a risolvere le controversie in tema di risarcimento dei danni derivanti dalla
lesione dell’interesse legittimo era stato individuato nel giudice ordinario con la sola eccezione delle
controversie rientranti nelle materie di giurisdizione esclusiva spettanti al giudice amministrativo;
2. Il rapporto tra l’azione di annullamento del provvedimento illegittimo e l’azione risarcitoria, le quali
potevano essere proposte alternativamente ovvero pendere contemporaneamente, l’una dinanzi al
giudice amministrativo, l’altra dinanzi al giudice ordinario;
Ciò evitava al privato di doversi sobbarcare l’onere di due processi dinanzi a giudici diversi.
1. Esplicito abbandono da parte dei giudici della necessaria correlazione tra danno ingiusto e lesione
del diritto soggettivo;
la Cassazione quindi riconosce che non vi è alcun argomento da cui si possa desumere l’applicabilità
della disciplina soltanto ai danni derivanti dalla lesione del diritto soggettivo.
Dunque a giudizio della Cassazione l’illecito disciplinato dall’art. 2043 c.c. non è tipico, bensì atipico,
nel senso che esso non offre protezione soltanto nell’ipotesi di danni derivanti dalla lesione del diritto
soggettivo (che in quanto tale è riconosciuto e tipizzato in altra norma) ma anche ad interessi non
aventi la consistenza di diritto soggettivo (e dunque non tipizzati da altra norma);
- La Cassazione fa propria una particolare teoria dell’interesse legittimo, ossia quella teoria che individua
l’oggetto dell’interesse legittimo nell’interesse al bene della vita.
In tale circostanza, mentre la lesione dell’interesse legittimo oppositivo da parte di un provvedimento
riconosciuto illegittimo è condizione necessaria e sufficiente per ottenere il risarcimento dei danni patiti,
viceversa la lesione dell’interesse legittimo pretensivo è una condizione necessaria ma non sufficiente
ai fini del risarcimento del danno.
Quindi in quest’ultimo caso, ai fini del risarcimento del danno, il giudice non dovrà limitarsi ad accertare
l’illegittimità del provvedimento di diniego ma dovrà anche, per mezzo di un giudizio che viene definito
prognostico, verificare se al titolare dell’interesse legittimo spettasse l’adozione del suddetto
provvedimento.
- La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito: che è necessario dimostrare la colpa dell’apparato (in
riferimento alla pubblica amministrazione), la quale consiste nella violazione delle regole di imparzialità,
correttezza e buona amministrazione.
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7. La risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione dell’interesse legittimo nell’attuale quadro normativo e
giurisprudenziale
- Pregiudizialità dell’atto: ovvero subordinazione dell’azione risarcitoria all’azione di annullamento.
- Con la legge 205/2000, il giudice amministrativo acquisisce anche il potere di risarcimento del danno.
- Inoltre abbiamo la sentenza 204/2004, con la quale la Corte Costituzionale stabilisce che quando si ha
un danno nei confronti dell’interesse legittimo, il giudice competente è il giudice amministrativo, cioè colui
che si occupa del risarcimento del danno.
- La giurisprudenza del giudice amministrativo ha inoltre confermato la posizione assunta dalla Cassazione
nel 1999 in merito al giudizio prognostico volto a verificare la spettanza del bene della vita come
condizione per la tutela risarcitoria degli interessi legittimi pretensivi.
- Art. 2 bis della legge 241/1990, stabilisce che il danno da ritardo deve essere risarcito; quindi la pretesa
risarcitoria può scaturire non solo da un provvedimento illegittimo, ma anche dal silenzio della pubblica
amministrazione.
- Introduzione dell’istituto dell’errore scusabile, che sussiste quando abbiamo:
o Incertezza della normativa;
o Novità della normativa;
o Non collaborazione del privato;
o Contrasto giurisprudenziale.
Inoltre il giudice amministrativo, oltre a poter condannare l’amministrazione al pagamento di una somma di
denaro a titolo di risarcimento per equivalente, dispone, per la riparazione del danno, dell’ulteriore strumento della
reintegrazione
CAPITOLO 4
LE FORME DELLA GIURISDIZIONE
1. Premessa
La giurisdizione del giudice amministrativo può essere:
-Di legittimità
-Esclusiva
-Di merito
72
Inizialmente vi era un limitatissimo numero di mezzi di prova (solo le prove documentali) poi ampliati (dal 2000
anche la consulenza tecnica), ma in ogni caso rimangono esclusi la prova per i testimoni, il giuramento e la
confessione.
-Limitata quanto al potere di decisione:
anche se in contrasto con la normativa comunitaria, che pretende la pienezza della tutela, il giudice
amministrativo può solo annullare l’atto illegittimo, ma non riformarlo o sostituirlo (come invece accade nella
giurisdizione di merito). Non può inoltre pronunciare sentenze dichiarative o di condanna (come invece accade
nella giurisdizione esclusiva), anche se ciò è stato in parte superato nel 2000 con la possibilità da parte del
giudice amministrativo di risarcire i danni da lesione di interessi legittimi.
Sono tradizionalmente individuabili tre forme di giurisdizione:
- sotto un primo profilo per giurisdizione si intende l’ambito delle competenze o meglio l’ambito delle
controversie affidate al giudice ordinario e al giudice amministrativo (che in primo grado è il T.A.R., e in
secondo grado il Consiglio di Stato).
- Sotto un diverso profilo, quando si utilizza l’espressione “giurisdizione” si fa anche riferimento a quell’
insieme di poteri assegnati all’autorità giudiziaria adita.
In sede di giurisdizione amministrativa, sono distinguibili tre poteri:
Riguardo alla seconda nozione di giurisdizione, fino al 2000 i poteri istruttori di cui godeva il g.a. erano solo
3 cioè poteva:
Il tipico potere decisorio nelle mani del giudice amministrativo è il potere di annullamento; Fino al 2000
questo era l’unico potere decisorio a disposizione del giudice: infatti, la l. 205/2000 ha introdotto un’ulteriore
potere decisorio e cioè il potere di condanna di risarcimento del danno.
la tutela cautelare serve ad anticipare in via provvisoria gli effetti che potrebbe produrre la decisione nel
merito; quindi se dalla sentenza finale voglio ottenere l’annullamento, allora posso chiedere in via cautelare la
sospensiva, cioè posso chiedere che l’efficacia di questo provvedimento venga sospesa fino alla
conclusione dl giudizio di merito.
Con la legge 205/2000 anche per la misura cautelare c’è stata un’estensione. Oggi non si è più di fronte a
una misura cautelare tipica( unica e sola) ma si è di fronte a un principio di atipicità delle misure
cautelari, cioè io posso chiedere al g.a. qualunque misura sia idonea ad assicurare interinalmente gli effetti
della decisione sul ricorso.
72
Si ricorda che il giudice amministrativo giudica in sede di giurisdizione generale di legittimità quando si
lamenta la lesione di un interesse legittimo.
Nell’ambito dei poteri istruttori il giudice amministrativo dispone di tutti i poteri istruttori previsti dal c.p.c. ad
esclusione dell’interrogatorio formale e del giuramento.
Riguardo ai poteri cautelari, a partire dal 2000 legislativamente, in tutti gli ambiti, sia che so tratti di
giurisdizione generale di legittimità sia che si tratti si giurisdizione esclusiva, il g.a. dispone di una misura
cautelare atipica.
Riguardo ai poteri decisori, in sede di giurisdizione esclusiva, il giudice amministrativo dispone di questo
potere perché questo è un potere che il g.a. ha sempre, sia che si tratti di una giurisdizione generale di
legittimità sia che si tratti di una giurisdizione esclusiva sia che si tratti, vedremo, di giurisdizione di merito.
Inoltre, con la legge 205, il g.a. dispone in tutti gli ambiti del potere di condannare la PA al risarcimento del
danno.
3. La giurisdizione di merito
Storicamente si tratta della prima forma di giustizia amministrativa. Con la legge abolitiva del contenzioso
amministrativo, alcune funzioni a questo appartenenti erano state “salvate” e affidate alla giurisdizione propria del
Consiglio di Stato (qui vera e propria giurisdizione di merito), a differenza della giurisdizione ritenuta del Sovrano
dove il Consiglio di Stato partecipava solo come organo consultivo (giurisdizione solo di legittimità).
Caratteri
-Eccezionale:
Ammessa in deroga al principio del solo sindacato di legittimità
-Tassativa:
Attuabile solo nei casi previsti dalla legge
-Aggiuntiva:
Non esclude, ma si aggiunge alla giurisdizione di legittimità (il giudice amministrativo pronuncia anche sul merito)
Al giudice sono demandati maggiori poteri, sia istruttori che decisori (ampliamento della cognizione)
-Istruttori:
Tutti i poteri del giudice civile, purché compatibili con il tipo di giudizio
-Decisori:
Il giudice può:
-annullare l’atto per motivi di legittimità
-riformarlo in tutto o in parte
-sostituirlo con un atto da esso stesso formulato
-condannare la PA soccombente al pagamento delle spese di giudizio.
Ad eccezione del giudizio di ottemperanza, oggi la giurisdizione di merito è quasi dimenticata, a favore della
giurisdizione di legittimità (forse per il principio “psicologico” della separazione dei poteri?)
È quella forma in cui il giudice amministrativo va a sindacare il merito dell’azione amministrativa se vi sia
espressa previsione normativa.
Il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di merito, è in grado di sostituirsi alla p.a.; gode dei più ampi
poteri decisori: il g.a. si pone al posto della p.a. e decide per es. anziché annullare il provvedimento
amministrativo decide di modificarlo; di conseguenza si estenderà anche al massimo la sfera del potere
istruttorio.
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Vediamo cos’è il giudizio di ottemperanza: questo giudizio interviene dopo un giudicato amministrativo, cioè
dopo che sia stata pronunciata la sentenza. Quando una sentenza amministrativa di annullamento viene
pronunciata a questa sentenza si ricollegano 3 effetti:
Inoltre ha detto che perché si possa parlare di un’ipotesi di giurisdizione esclusiva si devono considerare due
subcriteri:
1. è necessario che in quella materia che si attribuisce alla giurisdizione esclusiva sussiste il cosiddetto intreccio
tra diritto soggettivo ed interesse legittimo;
2. è necessario che in quegli atti l’amministrazione eserciti potere.
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è stato da sempre un vivace dibattito sulla portata concreta degli ambiti propri della giurisdizione esclusiva, in
quanto nozioni come pubblico impiego e uso del territorio hanno dato luogo a numerosi conflitti di giurisdizione,
soprattutto tra le posizioni assunte dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della cassazione. Per cercare di
calmare contrasti il legislatore ha precisato che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie relative procedure di affidamento dei lavori servizi e forniture
indipendentemente dalla materia dei servizi pubblici. Le stesse difficoltà sono nate relativamente alla materia
urbanistica ed edilizia. Tali difficoltà sono state recentemente esaminate dalla corte costituzionale che ha
ridisegnato e ridotto l'ambito della giurisdizione esclusiva, precisando che la particolarità delle materie devolute a
tale giurisdizione implica che tali materie devono partecipare della stessa natura e quelle devolute alla
giurisdizione generale di legittimità. Tale soluzione è stata accolta indottrina con molte critiche, soprattutto a
causa dell'intervento manipolativo della corte.
8.La legge n. 205/2000 e le prospettive di unificazione delle diverse giurisdizioni nell'unico modello
processuale della giurisdizione piena
Le trasformazioni apportate da tale legge alla tradizionale giurisdizione generale di legittimità lasciano intravedere
prospettive di unificazione delle diverse giurisdizioni. Secondo la prospettiva della giurisdizione piena il giudice
della giurisdizione piena non può non conoscere in via principale dell'atto dei pubblici poteri da cui origina la
lesione: anche nell'esaminare un provvedimento amministrativo dovrà essere il giudice della rapporto che dovrà
valutare la legittimità dell'atto non in astratto ma con specifico riferimento alla pretesa sostanziale fatta valere in
giudizio dalla ricorrente e alla sua fondatezza. In possibilità di configurare un'azione di annullamento autonoma
distinta dalla tutela risarcitoria offerta dalla ricorso di piena giurisdizione costituisce il principale e persistente
tratto di discriminazione più netta tra la tutela offerta in sede di giurisdizione esclusiva e quella che invece
azionabile davanti alla giurisdizione generale. Tale tratto differenziale si fonda più su limiti derivanti da
un'interpretazione letterale delle norme che non su una corretta interpretazione della ratio che ha ispirato il
legislatore: per questo si ritiene che tale tratto differenziale verrà primo puoi fatto cadere.
CAPITOLO 5
LA COMPETENZA
3. La competenza territoriale
La lite deve essere proposta davanti al TAR nella cui circoscrizione ha sede l’autorità che ha emanato l’atto
impugnato, quando la legge non disponga altrimenti.
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Si è voluto evitare l’indiscriminato ricorso ai criteri del c.p.c., perché altrimenti i ricorsi contro lo Stato o gli enti
pubblici nazionali si sarebbero tutti concentrati davanti al TAR del Lazio.
Quindi il criterio aggiuntivo (e prevalente) è quello dell’efficacia territoriale dell’atto impugnato (effetti immediati ed
indiretti).
8. Il regolamento di competenza
istanza di regolamento di competenza va presentata al Tar davanti al quale pende la causa principale, con
nell'indicazione del giudice territorialmente ritenuto competente. L'istanza può essere presentata dal resistente e
da qualsiasi interveniente entro 20 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione in causa. All'istanza va
notificata a tutte le parti in causa che non vi abbiano aderito. Se tutte le parti in causa concordano sulla
remissione delle ricorso ad altro Tar, il presidente del Tar da qui competenze stata contestata trasmette d'ufficio
degli atti a tale Tar. Se non vi è accorto traslativo, secondo l'avversione originaria la presentazione dell'istanza di
regolamento produceva l'immediata sospensione del processo, mentre ad oggi negli atti del processo devono
essere immediatamente trasmessi al Consiglio di Stato che provvede in camera di consiglio sentiti i difensori. La
sentenza del Consiglio di Stato può accogliere l'istanza o rigettarla, se ne riscontra la fondatezza la causa dovrà
essere riassunta cura del ricorrente davanti a Starr è riconosciuto competente entro 30 giorni dalla notifica della
decisione. In caso di rigetto invece il Consiglio di Stato condannerà l'istante alle spese mentre il processo
proseguirà davanti al Tar adito.
PARTE 3
CARATTERI GENERALI DEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
CAPITOLO 1
IL MODELLO PROCESSUALE
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Sezione prima: Profili funzionali
1. Nozioni preliminari
Con il termine processo si indica l'iter sequenziale nel quale si svolge l'operazione logica del giudizio; con il
termine giudizio si indica l'operazione logica consistente nella soluzione della controversia. Il processo può avere
struttura e funzioni diverse ma è sempre una sequenza di atti disciplinati in modo più o meno rigoroso nelle forme
nei termini. Si possono ricostruire diversi modelli di processo, il nostro è tratteggiato dall'art.111 Cost, che
garantisce equità ed efficienza alla tutela giurisdizionale. Qui interessa solo il processo amministrativo, che si
svolge dinanzi al Tar in primo grado, e dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato in grado di appello.
2. Profili funzionali
ogni processo serve a rendere giustizia, ma per arrivare a questo si possono seguire due strade: costruire il
processo come semplice applicazione della legge (processo di diritto oggettivo, come il processo penale) o dare
tutela alle situazioni giuridiche soggettive coinvolte (processo di diritto soggettivo, come il processo civile).il
processo amministrativo segue il secondo tipo, poiché è finalizzato a tutelare le situazioni soggettive che il
cittadino vanta nei confronti della pubblica amministrazione. è un processo di parti, in cui queste, e non il giudice,
hanno il potere di dare inizio, farlo proseguire ed eventualmente terminare senza che la controversia sia decisa:
hanno dunque la piena disponibilità del processo essendo questo un processo dispositivo (anche se con qualche
eccezione, ad es. il metodo acquisitivo).
Profili funzionali
- il processo amministrativo risponde all’archetipo del processo di diritto soggettivo, in quanto è finalizzato
alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive che il cittadino vanta nei confronti della PA.
Il modello processuale che si confà alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive è il processo di parti, il
processo in cui le parti, e non il giudice, hanno il potere di darvi inizio, di farlo proseguire, ed eventualmente di
farlo terminare senza che il giudizio sia reso, ossia senza che la controversia sia decisa.
o Principio dell’impulso di parte: il processo inizia e persegue soltanto se la parte (una delle parti)
adotti appositi atti di impulso.
A prescindere dalla domanda iniziale (ricorso), occorre un atto di fissazione per ogni udienza, così
come un atto di richiesta per ogni operazione istruttoria, che il giudice debba compiere.
Solo per l’istruzione probatoria sussiste un potere del giudice non condizionato dalla richiesta di
parte; ed è ciò determina il c.d. carattere (o metodo) acquisitivo del p. amm;
o Principio della disponibilità del processo: il processo amministrativo non termina necessariamente
con la formulazione del giudizio e l’emanazione della sentenza; può terminare per ragioni obiettive
(cessazione della materia del contendere; difetto sopravvenuto di interesse) o per atti (rinuncia) e
inerzia (perenzione) di parte.
La parte attrice (ricorrente) può rinunciare al ricorso in ogni fase e grado del processo, perfino in
grado di appello e dopo aver ottenuto una sentenza di primo grado favorevole. A differenza di quanto
avviene nel processo civile, la rinuncia non ha bisogno di essere accettata dalle controparti; è
sufficiente che venga loro notificata.
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Il giudice ha il compito di formulare il giudizio, e di dirigere il processo (su istanza di parte).
Può condurre anche d’ufficio l’istruzione, l’integrazione del contraddittorio, i decreti di presa d’atto di rinuncia,
l’estinzione, la sospensione e l’interruzione.
Principi
-Di collegialità:
Non vi è la figura del giudice istruttore (anche se tale principio di sta ammorbidendo)
-Acquisitivo:
Il giudice anche d’ufficio può acquisire e valutare le prove (è stato modificato il principio dell’onere della prova: le
parti devono solo allegare i fatti e fornire un principio di prova onere del principio di prova).
Il giudice in ogni caso non può andare a vantaggio di una sola parte (sarebbe violata l’imparzialità del giudice),
bensì ciò si giustifica solo quando la prova non è nella disponibilità della parte.
- Al giudice spetta, oltre alla formulazione del giudizio, la direzione del processo:
- Adotta, su istanza di parte, i decreti di fissazione delle udienze;
- Adotta, anche d’ufficio, le ordinanze istruttorie e di integrazione del contraddittorio, i decreti di presa
d’atto della rinuncia, della cessazione della materia del contendere, della estinzione del processo e
della maturazione del processo;
- Pronuncia eventualmente la sospensione e la interruzione del processo;
- Adotta le ordinanze cautelari e, in caso di controversie concernenti diritti soggettivi patrimoniali, le
ordinanze anticipatorie.
1. Il dato che caratterizza il processo amministrativo, sotto il profilo dei poteri del giudice, è il c.d. metodo (o
principio) acquisitivo: al giudice viene riconosciuto il potere , non solo di valutare,, ma anche di acquisire le
prove, prescindendo dalla iniziativa di parte.
Dato il potere del giudice di acquisire d’ufficio le prove, sulle parti grava l’onere di allegare i fatti e di fornire
un principio di prova.
Il giudice amministrativo :
o ha il potere di acquisire le prove, ponendole a carico della parte che ne abbia la disponibilità (in
genere l’amministrazione);
o ha il potere di valutare liberamente, secondo il suo prudente apprezzamento, la prove acquisite al
giudizio;
o ma nei casi dubbi deve applicare la regola di cui all’art. 2697 c.c., ossia la regola di giudizio
dell’onere della prova, la quale comporta due regole:
1. regola istruttoria, che attiene all’allegazione e alla prova dei fatti;
2. regola decisoria, che attiene al modo di elaborare il giudizio nel caso che i fatti siano allegati
rimasti incerti (non pienamente provati).
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lacuna giurisdizionale. Questo si spiega solo se l’oggetto si espande fino a comprendere le questioni attenenti la
tutela delle situazioni giuridiche soggettive.
Oggetto sono questioni attinenti la tutela quando si tratta non più di processo su atti, ma su comportamenti (es.
silenzio, accesso).
Oggetto è quindi il rapporto amministrativo, ossia la legittimità degli atti che costituiscono l’esercizio del potere
amministrativo, in funzione della tutela dell’interesse dei privati.
3. Profili strutturali
Caratteri principali sono la concentrazione, l’oralità e la pubblicità. Manca la fase istruttoria.
Si passa dalla fase introduttiva alla decisione, in una sola udienza di discussione orale.
Oltre al rito ordinario:
a) Rito immediato:
Il giudizio è definito nel merito in sede di decisione della domanda cautelare, se la materia del contendere è di
facile soluzione
b) Rito abbreviato:
Riduzione della metà di tutti i termini tranne che per la proposizione della domanda e dell’appello, previsti
necessariamente in alcuni casi
c) Rito accelerato:
Nei casi in cui si applica il rito abbreviato, vi può far ricorso il giudice se vi è illegittimità dell’atto impugnato o la
sussistenza di pregiudizio grave e irreparabile.
Comunque in tutti i casi vi è cognizione piena, e si tratta di riti ordinari.
Riti speciali infatti sono: quello avverso il silenzio, quello per l’accesso e il processo elettorale.
4. Spunti di riflessione
Il processo amministrativo, concepito originariamente come processo di impugnazione di atti e di verifica del
modo di esercizio del potere, non ha mai perso tale carattere; tuttavia nel tempo si è adattato alle esigenze di
effettiva tutela delle situazioni giuridiche soggettive. Infatti il processo di impugnazione non può assicurare
nessuna tutela quando non esista alcun atto, come ad esempio nel caso del silenzio. Con l'avvento della
giurisdizione esclusiva il processo di impugnazione è risultato troppo stretto per assicurare da solo piena tutela
dei diritti soggettivi. Non ha però avuto modifiche profonde sostanziali, ritenendo il legislatore di elaborare diversi
modelli processuali. Solo dal 2000 si può ritenere che sia iniziata una diversa fase evolutiva, ma ben lontano
ancora da maturazione.
CAPITOLO 2
I PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO
1. Il giusto processo
1999: modifica dell’art.111 Cost., al quale venne aggiunta l’espressione “giusto processo”, rendendo espliciti i
principi già attuati nella pratica.
1 comma:
“la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”
È sancita la riserva assoluta di legge: la disciplina processuale deve essere stabilita da leggi statali e si deve
modellare secondo i principi del giusto processo (tuttavia nel diritto amministrativo tale riserva di legge non è del
tutto rispettata, perché la disciplina è contenuta in un regolamento)
2 comma:
“ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
Principi strutturali, attribuiti al processo in quanto tale, e sono:
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• Principio della generalità della tutela giurisdizionale e della inviolabilità del diritto di difesa;
• Principio di pienezza della tutela;
• Principio di tempestività della tutela;
• Principio di tendenziale massima accessibilità alla tutela nel merito.
- Il principio del giudice naturale, nel quale le regole sulla giurisdizione e sulla competenza consentono di
evitare che il giudice possa essere scelto, volta a volta, da una delle parti.
- Il principio di indipendenza, in cui il giudice, inteso come organo giudicante, deve essere posto al riparo da
influenze estranee, soprattutto da influenze (sia formali che informali) di altri poteri pubblici.
-
3.Sui principi di terzietà ed imparzialità.i principi di terzietà ed imparzialità riguardano il giudice come persona:
gli si richiede di essere terzo, ossia equidistante rispetto alle parti, ed imparziale nella decisione della
controversia, ossia equidistante rispetto agli interessi coinvolti. Tali principi sono della corte costituzionale
elemento essenziale della stessa natura della giurisdizione. Dovendo i magistrati amministrativi, come ogni altro
cittadino, rivolgersi spesso alle amministrazioni pubbliche, è auspicabile che venga stabilito un limite di durata
della permanenza dei magistrati amministrativi nella stessa sede e con le stesse funzioni. È necessario poi
distinguere tra poteri di direzione del processo poteri di giudizio: mentre è meglio lasciare larga discrezionalità al
giudice circa i primi, per i secondi è necessario che se la legge ha disciplinato in modo per quanto possibile
incisivo. Al principio di terzietà può essere rapportato anche il principe della domanda, che si fonda sulla
distinzione tra chi propone e illustra alla controversia e chi la decide.
- I principi di terzietà ed imparzialità riguardano direttamente il giudice come persona: a lui l’ordinamento
richiede di essere terzo, ossia equidistante, rispetto alle parti, ed imparziale nella decisione della
controversia, ossia equidistante rispetto agli interessi coinvolti nel giudizio.
- Inoltre, per evitare che si stabiliscano rapporti di consonanza (o dissonanza) tra il giudice e le parti, è stato
proposto un limite di durata della permanenza dei magistrati amministrativi nella stessa sede e con le stesse
funzioni.
- Il principio di terzietà rispetto alle parti può, e forse deve, influire sui poteri attribuiti al giudice;
Distinguendo tra poteri di direzione del processo e poteri di giudizio, mentre per i primi è opportuno lasciare al
giudice ampia discrezionalità, per i secondi è più opportuno che sia la legge a disciplinarli in modo per quanto
possibile incisivo.
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la motivazione che può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto di diritto ritenuto risolutivo o ad un
precedente conforme.
Più grave è la prassi di consentire che il processo di ottemperanza sia instaurato, proseguito e
concluso senza che ne siano avvertite le controparti; ciò detto è in contrasto con il principio del
contraddittorio.
Nella fase cautelare si può giustificare che la decisione venga assunta anche in assenza di
contraddittorio nei soli casi di “estrema gravità ed urgenza”.
Di regola, viceversa, il contraddittorio deve essere integro anche nella (ordinaria) fase cautelare.
Peraltro, secondo la disciplina in vigore, questa esigenza può apparire non rispettata, per la
compresenza di due disposizioni:
1. L’una che prevede che la decisione sull’istanza cautelare venga assunta nella camera di
consiglio immediatamente successiva ai 10 giorni decorrenti dalla notifica del ricorso;
Rispettando tale termine, si lede il principio del contraddittorio;
2. L’altra che assegna alle parti resistenti e contro interessate il termine di 20 giorni, decorrenti
dal termine per il deposito del ricorso, per costituirsi in giudizio;
se si tiene conto di ciò si svalutano le ragioni d’urgenza.
- Il contraddittorio deve sussistere sia nella fase istruttoria, in particolare nella formazione delle prove, sia nella
formazione del convincimento del giudice.
In linea generale si può affermare che nessuna decisione del giudice, sia istruttoria, sia di merito, possa
essere adottata senza che le parti abbiano avuto modo di pronunciarsi preventivamente sulla questione da
decidere.
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Sul piano istruttorio, dato che il giudice amministrativo a grazie al metodo acquisitivo il potere di acquisire le
prove, è necessario che l'ordinanza di acquisizione sia preceduta dal dibattito sulla rilevanza delle prove
d'acquisire. Anche per quanto riguarda le questioni rilevabili d'ufficio, tale rilevabilità d'ufficio non significa che tale
questione possa essere decisa d'ufficio senza essere sottoposta contraddittorio delle parti. Per la stessa ragione
il giudice non può decidere la controversia assumendo una soluzione diversa da quelle prospettate dalle parti
(cd.terza via) e sulle quali si è svolto il confronto dialettico. Si giudice ritiene di scegliere la terza via deve
sottoporla preventivamente al contraddittorio. Lo stesso se il giudice voglia utilizzare il suo sapere privato, o fatti
notori o presunzioni. Il pieno rispetto del contraddittorio può certo appesantire il processo ma è l'unico modo per
giungere ad una più convincente decisione.
PARTE 4
STATICA DEL PROCESSO
CAPITOLO 1
LA TIPOLOGIA DELLE AZIONI PROPONIBILI
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Sezione prima: Premesse
• Generalità
• Autonomia
• Astrattezza
Le tipologie di azioni che possono essere prospettabili dinnanzi all'autorità giurisdizionale sono essenzialmente 3:
1. Cognizione
2. Esecutive (giudizio di ottemperanza)
3. Cautelari
Ognuna di queste tipologie di azioni ha tutti i suoi perché dal nome stesso:
- l'azione cautelare è un qualcosa che serve prima per cautelare, per cautelarsi;
- l'azione esecutiva è l'azione che serve per fare qualche cosa, per eseguire qualcosa;
- l'azione di cognizione serve per conoscere qualcosa.
Questi sono i 3 macrotipi di azioni che poi si andranno a suddividere al loro interno ulteriormente,in particolare
quelle di cognizione dove abbiamo le azioni di mero accertamento,di condanna e le azioni costitutive.
• Introdotta dall’art.26 della legge Tar per le controversie inerenti la giurisdizione esclusiva e di merito
poteva avere ad oggetto la condanna della p.a. solo ad obbligazioni pecuniarie;
• La legge imponeva quindi due grossi limiti:
o l’azione poteva essere esperita SOLO contro la p.a., a cui invece veniva negata la possibilità
di chiedere la condanna del privato;
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o la sentenza poteva imporre SOLO il pagamento di una somma di denaro, quando invece a
fronte di lesione di diritti soggettivi sarebbe stato necessario prevedere anche forme
differenziate di esecuzione (facere, dare).
3. Azione costitutiva
Il terzo tipo di azioni di cognizione civile sono le azioni costitutive, che sono quelle azioni con cui il giudice con
la sua pronuncia modifica una situazione di fatto.
Esempio: c’era un contratto, il giudice lo risolve, lo rescinde, lo annulla, il contratto non c’è più, quindi la
sentenza agisce sul mondo dei fatti giuridici cambiando qualche cosa. Il divorzio è una sentenza costitutiva,
la separazione è una sentenza costitutiva, anche in campo contrattuale ne troviamo tantissime: la risoluzione,
la rescissione, l’annullamento, la creazione di una servitù.
• Azione generale (sempre ammessa) di tutela successiva per la lesione di un interesse legittimo e
finalizzata all’annullamento di un provvedimento amministrativo definitivo o, nel caso di giurisdizione
di merito la riforma dello stesso in senso utile per il ricorrente;
• Presupposto dell’azione è la lesione concreta ed attuale di un interesse legittimo;
• Oggetto dell’azione deve essere un provvedimento emanato da un‘autorità amministrativa.
• Il silenzio-rifiuto identifica un’inerzia della p.a. a fronte di un DOVERE di adempiere in maniera espressa;
• In tale ipotesi la lesione dell’interesse legittimo non è connessa ad un provvedimento, ma alla carenza dello
stesso, quindi è causata dall’inerzia della p.a., dall’inadempimento dell’obbligo di provvedere;
• Secondo la normativa precedente, di fronte al silenzio il cittadino, trascorso inutilmente il termine di adozione
del provvedimento, doveva notificare un diffida ad adempiere entro 30 giorni, trascorsi inutilmente i quali, era
legittimato a ricorrere
• Il novellato art. 21-bis della legge Tar disciplina il ricorso contro il silenzio come rito speciale ed abbreviato:
• Il silenzio rifiuto si configura automaticamente allo scadere del termine previsto per provvedere;
• Il ricorso non è soggetto a termini di decadenza (60 giorni) ma deve avvenire, nell’inerzia della p.a., entro 1
ANNO dalla scadenza del termine utile del procedimento omesso.
• Il Giudice, una volta accolto il ricorso, ed indagato la fondatezza dell’istanza, ORDINA alla p.a. di provvedere
(non come provvedere) in un termine perentorio (non oltre i 30 gg.), trascorso inutilmente il quale, nomina un
commissario ad acta.
Il silenzio-rigetto
Il silenzio-rigetto è un silenzio che ha natura effettivamente negativa sul ricorso ma ha effetti meramente
processuali, cioè ha l’effetto per il ricorrente di adire un’ulteriore via, tanto amministrativa quanto giurisdizionale.
Decorso il termine di 90 giorni dalla presentazione del ricorso senza che l’amministrazione abbia risposto, il
ricorso si considera respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato (e non contro il silenzio, che
quindi non è atto amministrativo) è possibile il ricorso al TAR o al PdR.
La pubblica amministrazione può sempre assumere una decisione tardiva e se è di accoglimento cesserà la
materia del contendere e potrà essere impugnata dai controinteressati e se è di rigetto non porrà alcun onere di
impugnativa.
Il silenzio rigetto dà la possibilità di presentare prima il ricorso amministrativo e poi, nel caso in cui sia rigettato, il
ricorso davanti al tribunale amministrativo entro i 60 giorni dal silenzio rigetto o al Presidente della Repubblica
entro i 120 gg.
Se si è formato il silenzio rigetto, che non ha natura sostanziale, anche dopo il silenzio rigetto posso insistere
affinché l’amministrazione si pronunci, diffidandola a provvedere: dato che il silenzio rigetto non sostituisce un
atto amministrativo, come il silenzio diniego, è quindi ancora aperto il procedimento amministrativo azionato dal
ricorso. Il privato può o agire direttamente davanti al tribunale amministrativo oppure diffidare all’emanazione di
un atto.
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Con il silenzio rigetto non si produce un effetto pregiudiziale: mentre il silenzio diniego riguarda un’attività
amministrativa in senso proprio dell’Amministrazione, che è come se emanasse un provvedimento di diniego di
un ricorso, nel caso di ricorso gerarchico, che prevede un’attività quasi-giurisdizionale, non c’è attività
propriamente amministrativa.
Dal momento in cui decorre il termine per la pronuncia dell’amministrazione, 90 gg., e si sarà formato il silenzio
rigetto, inizieranno a decorrere i termini per presentare il ricorso al TAR o il ricorso straordinario al PdR, che
avranno come oggetto non il silenzio rigetto , ma il provvedimento già impugnato con il ricorso gerarchico.
6. Azione collettiva
La legge 4 marzo 2009, n. 15 ha delegato il governo ad adottare decreti legislativi per ottimizzare il lavoro
pubblico e l'efficienza e la trasparenza delle pubbliche amministrazioni. l'esercizio di questa delega prevede
mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi
pubblici e si discostano dagli standard qualitativi ed economici fissati, e prevede l'obbligo per le amministrazioni
con standard al di sotto dei minimi di fissare l'obiettivo di allineamento entro un termine ragionevole. Lo scopo
sembra quello di voler istituire controllo diffuso da parte dei cittadini che possono investire anche il giudice
amministrativo in caso di disfunzioni della pubblica amministrazione. L'azione è posta a tutela di interessi
giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori, la lesione di tali interessi è dovuta al cattivo
funzionamento della pubblica amministrazione, e l'azione è proponibile a seguito di apposita diffida
all'amministrazione. Le controversie sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva e di merito, che
offre al giudice i più ampi poteri istruttori. L'azione si propone lo scopo di soddisfare gli interessi di una pluralità di
utenti o consumatori e di attivare le procedure relative all'accertamento già nella fase precedente al giudizio,
ossia con la diffida processuale.
2. Azione di nullità
Recentemente la giurisdizione di legittimità sta facendo strada ad azioni dichiarativo è nei casi di nullità dell'atto
amministrativo e di impugnativa della DIA da parte di terzi interessati. L'esclusione di un'azione di accertamento
nella giurisdizione generale di legittimità è legata all'affermazione che l'unico stato viziato del provvedimento
amministrativo è l'annullabilità, con la conseguenza che l'atto pur illegittimo produce effetti. La questione
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dell'ammissibilità di tale azione di accertamento della nullità dell'atto amministrativo, improduttivo di effetti
giuridici, ha acquistato rilevanza nel 2005 a seguito di un articolo che disciplina le ipotesi di nullità dell'atto
amministrativo ravvisandole: nella mancanza degli elementi essenziali, nel difetto assoluto di attribuzione, nella
violazione o elusione del giudicato e negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
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L'azione è ammessa non solo controllato della pubblica amministrazione, ma anche contro il suo comportamento
inerte.
1. Costitutive di annullamento
Sin dall'inizio l'azione il principe davanti al giudice amministrativo è stata quella costitutiva di annullamento
dell'atto bugnato, tuttora di gran lunga prevalente: l'effetto è quello di eliminare il provvedimento amministrativo,
l'azione ha dunque effetto demolitorio.
CAPITOLO 2
LE PARTI
1. Concetti generali
Nel diritto processuale, per parti si intendono i soggetti titolari del potere di costituire rapporti processuali, allo
scopo di ottenere una decisione del giudice. Sono, dunque, i soggetti, diversi dal giudice, nei confronti dei quali
questi è investito della decisione sulla controversia.
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1. Parte in senso formale, cioè parte come soggetto degli atti processuali, quindi colui che propone la
domanda e colui nei cui confronti la domanda è proposta;
2. Parte in senso sostanziale, cioè la parte è presa in esame non soltanto come soggetto di atti processuali,
bensì come destinataria degli effetti del processo e della sentenza.
Le parti sono i soggetti che entrano in un processo e, quindi, acquisiscono il ruolo di parti in senso formale.
1. Parti necessarie
a. Soggetto Ricorrente
b. Soggetto Resistente
c. Soggetto Controinteressato
2. Parti non necessarie
d. Soggetto interventore/interveniente
e. Soggetto cointeressato
a. Ricorrente: è una parte necessaria che introduce il processo e che propone il ricorso, avendo interesse
all’annullamento o alla riforma di un provvedimento amministrativo.(si pensi al soggetto escluso dalla
graduatoria di un concorso).
In questa fase è importante sottolineare gli aspetti dell’interesse a ricorrere e la legittimazione a ricorrere:
• Interesse e legittimazione al ricorso sono elementi e condizioni necessarie per la corretta instaurazione
del processo amministrativo;
• Spetta al giudice accertare la sussistenza di entrambi in capo al ricorrente per poter procedere all’esame
della domanda.
Interesse a ricorrere
• Interesse proprio del ricorrente al conseguimento di una utilità o di un vantaggio attraverso il processo
amministrativo;
• Caratteri dell’interesse a ricorrere devono essere:
o personalità: il risultato del vantaggio deve essere connesso direttamente al ricorrente;
o attualità: l’interesse deve sussistere al momento del ricorso;
o concretezza: l’interesse deve valutarsi con riferimento ad un pregiudizio concretamente
verificatosi ai danni del ricorrente;
• Se nel corso del giudizio si verifica un mutamento tale da escludere il risultato vantaggioso per il
ricorrente il ricorso diviene inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse;
• In questo senso sono esclusi tutti gli atti che precludono l’esistenza di uno dei caratteri necessari
dell’interesse a ricorrere:
o Atti preparatori
o Atti interni
o Atti non esecutivi
o Atti normativi
o Atti confermativi
Legittimazione a ricorrere
• Il ricorrente è legittimato a ricorrere in quanto titolare di una posizione soggettiva qualificata di interesse
legittimo o diritto soggettivo;
• In alcuni casi eccezionali la legittimazione può essere costituita da una condizione formale prevista per
legge (c.d. legittimazione ex lege) come nel caso della tutela degli interessi diffusi tutelabili in sede
processuale da associazioni di settore, titolari di legittimazione ad agire ma non dell’interesse qualificato.
b. Resistente: propone il rigetto del ricorso avendo interesse che il provvedimento venga conservato. (ad
esempio l’ente pubblico che indice il concorso).
c. Controinteressato: è il soggetto che ha un interesse uguale e contrario rispetto a quello del ricorrente e di
conseguenza avrà interesse a che il provvedimento mantenga i suoi effetti (si pensi al soggetto vincitore del
concorso).
Sono contraddittori formali.
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- Titolare di una situazione di contro interesse (sostanziale); deve avere un vantaggio nella sua sfera
giuridica;
- Individuato o individuabile dall’atto impugnato.
d. Interventori: sono parti eventuali e sono ammessi quelli adesivi ad adiuvandum o ad opponendum. Sono
ammessi gli interventi litisconsortili e quelli principali solo se sono rispettati i termini di ricorso. Il soggetto che
intenda intervenire ha l’obbligo di notificare l’atto alle altre parti nel domicilio eletto nel giudizio per poi
depositarlo entro 20 giorni dalla data dell’ultima notifica.
5. La parte resistente
È parte necessaria, ma non vi è l’onere di comparire in giudizio (nel rito amministrativo non esiste la contumacia).
Spesso sorgono difficoltà in merito all’individuazione della PA, sono così stati creati diversi criteri:
È giusta parte solo quella che ha emanato l’atto finale
Ma talvolta anche quella che emana un atto che interviene nel corso del procedimento, ovvero assume un
carattere vincolante per l’autorità preposta all’emanazione dell’atto finale
Per le attività di controllo, se tale controllo conduce all’annullamento dell’atto controllato, il ricorso è contro
l’amministrazione controllante; se invece conduce all’emanazione dell’atto, il ricorso è contro l’amministrazione
che ha emanato quel provvedimento.
Se una data funzione amministrativa è trasferita da una PA ad un’altra, è parte quella la cui funzione è stata
trasferita, perché ha poteri di disposizione sull’atto impugnato.
Per quanto riguarda la legittimazione dello Stato, la chiamata deve essere effettuata nella persona del Ministro
competente per la materia.
Per le altre amministrazioni sta in giudizio il soggetto che ne ha la rappresentanza per legge o per Statuto.
Se la parte resistente è un organo indiretto della PA (soggetto privato concessionario), in ogni caso non si tratta
di una vera e propria eccezione, perché comunque è un soggetto pubblico, in quanto esercita poteri spettanti alla
PA.
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I contro interessati che volessero partecipare in primo grado devono ricorrere all’intervento volontario (chi ha
interesse può intervenire).
Per l’appello vi sono aperture ai contro interessati sostanziali che, pur non avendo partecipato al giudizio di primo
grado, hanno interesse al mantenimento dell’atto.
8. Il controinteressato sostanziale
Parti non necessarie nel processo amministrativo sono tutti quei soggetti che prendono parte al giudizio, diversi
dal ricorrente, dal resistente ed al controinteressato formale. Il tema del controinteressato in senso sostanziale è
destinato ad acquisire rilevanza maggiore quando si consideri l'ambito delle materie di giurisdizione esclusiva,
dove il giudizio non ha necessariamente carattere impugnato odio e può dunque mancare la possibilità di
ancorarsi al criterio formale della individuabilità sulla base del provvedimento impugnato. Il controinteressato
sostanziale non accede al processo in e regole processuali dettate per il controinteressato in senso formale, parte
necessaria, ma non gli è comunque del tutto preclusa la possibilità di partecipare nel processo attraverso altri
meccanismi processuali. Per il primo grado può ricorrere allo strumento dell'intervento volontario, mentre
maggiori aperture si riscontrano in tema di legittimazione ad appellare, possibile per tutti coloro che, anche se
non siano stati propriamente controinteressati nel giudizio di primo grado, o che abbiano partecipato in qualità di
interventori volontari, abbiano tuttavia un apprezzabile interesse al mantenimento dell'atto impugnato.
9. I cointeressati
Sono soggetti titolari di un interesse della stessa natura di quello del ricorrente.
Non sono parti necessarie, perché la legge istitutiva dei TAR indica come contraddittori necessari i contro
interessati ai quali l’atto si riferisce. Non nomina i cointeressati.
Non vi sono quindi ipotesi di litisconsorzio necessario dal lato attivo, tranne che in tema di giurisdizione esclusiva,
quando una decisione non può pronunciarsi che nei confronti di più parti (in questo caso vi è l’obbligo di integrare
il contraddittorio).
Tale disciplina deriva dal fatto che il non partecipare al giudizio non provocherebbe al cointeressato un danno
maggiore rispetto al provvedimento che non ha impugnato. Quindi i cointeressati partecipano al giudizio solo se
propongono autonoma impugnativa contro il provvedimento lesivo.
L’intervento, per la giurisprudenza, è da escludere se è usato per eludere il termine di decadenza, ma se è
effettuato nei limiti, è ammesso per ragioni di economia processuale (ma in questo caso l’interventore non può
ampliare il thema decidendum).
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interessi meta-individuali, essendo questi non riferibili ad alcun soggetto in particolare e dunque in astratto non
giurisdizionalmente tutelabili.
Certamente il giudice non può porsi come tutore di tali situazioni, perché tale compito spetta alle amministrazioni,
ma in caso di loro cattiva gestione deve poter intervenire per soddisfare le esigenze della società.
L’ampliarsi della sfera dei soggetti legittimati a proporre ricorso, risulta essere il naturale completamento degli
strumenti di controllo dell’azione amministrativa, insieme a quelli di partecipazione democratica.
4. Le azioni collettive
Il legislatore, per conformarsi anche ai principi comunitari, ha previsto l’istituzione di una nuova azione azione
processuale per rendere più efficace la giustizi abilità delle situazioni giuridiche a carattere diffuso.
Ha disciplinato dunque l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria, che però purtroppo non sembra essere chiara in
quanto mutuata dall’ordinamento anglosassone, e difficilmente inseribile nella nostra realtà. Unici soggetti
legittimati a proporre l’azione sono gli organismi associativi, ossia le associazioni di categoria che hanno ottenuto
il riconoscimento ministeriale, e le associazioni e i comitati che pur privi dell’iscrizione risultino adeguatamente
rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere.
Non si può dunque parlare di class action anglosassone, in quanto in quest’ultima anche un singolo cittadino può
proporre il giudizio anche nell’interesse di una pluralità di soggetti, mentre qui sono legittimati solo centri di
imputazione facenti capo ad organismi comunque rappresentativi.
Sembra in ogni caso però apprezzabile lo sforzo del legislatore nel senso di ampliare il novero dei soggetti
legittimati, sforzo che deve essere affiancato anche dalla sensibilità dei vari giudici nella valutazione del criterio.
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Tali soggetti sono legittimati a richiedere al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento dei diritto al
risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’ambito di
rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ex art.1342 c.c., ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali,
di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali.
Certamente, spesso può essere molto difficoltoso valutare il contenuto patrimoniale di un interesse collettivo,
dovendo considerarsi il danno prodotto nella sua globalità. Da segnalare che il termine “impresa” utilizzato, non
esclude la pubblica amministrazione quando eserciti un’attività a carattere non autoritativo, come nel caso di
gestione diretta dei servizi pubblici.
La recentissima L.15/2009 ha dettato al Governo principi e criteri per disciplinare anche un’altra azione collettiva,
non a carattere risarcitorio, per consentire ad ogni interessato di agire in giudizio nei confronti delle
amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici per la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una
pluralità di utenti o consumatori, a causa della violazione di standard qualitativi o di obblighi contenuti nelle carte
dei servizi, per l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, controllo o sanzionatori e per la violazione dei termini o
la mancata emanazione di atti amministrativi generali.
La norma, che devolve il giudizio alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudizio amministrativo, indica tra i
criteri direttivi la circostanza che la proposizione dell’azione sia consentita anche ad associazioni o comitati a
tutela dei propri associati.
Il giudizio deve però essere strutturato come quello d’ottemperanza, deve cioè essere preceduto da una diffida
all’amministrazione o al concessionario ad assumere, entro un termine fissato per legge, le iniziative utili per
soddisfare gli interessati.
All’esito del giudizio il giudice può ordinare all’amministrazione e al concessionario di porre in essere le misure
idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti e, in caso di perdurante
inadempimento, può anche disporre la nomina di un commissario ad acta.
CAPITOLO 3
GLI ATTI PROCESSUALI
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5. La notificazione
Può essere eseguita dagli ufficiali giudiziari o dai messi comunali, oppure dal 1994 dallo stesso avvocato, purché
munito di una procura speciale e autorizzato dal Consiglio dell’ordine forense.
Si può notificare o tramite posta, o personalmente.
La notificazione può riguardare persone fisiche o persone giuridiche. Nel primo caso, essa può essere
consegnata o direttamente nelle mani del destinatario (che l'ufficiale giudiziario rintraccia in base alla residenza,
dimora o domicilio dello stesso), oppure qualora esso non sia reperibile, la notificazione può essere consegnata
ad una persona di famiglia, all'addetto alla casa o all'ufficio, al portiere, ad un vicino, in tutti casi l'atto dev'essere
sottoscritto in originale e successivamente l'ufficiale giudiziario deve spedire all'interessato un avviso, a mezzo
raccomandata, della notifica. Qualora i soggetti sopra indicati si rifiutino di prendere la copia dell'atto, o qualora
non sia possibile reperirle, l'ufficiale giudiziario dovrà affiggere alla porta della casa comunale l'avviso
dell'avvenuto deposito (sarà ancora suo compito spedire un altro avviso mediante raccomandata).
Nel caso di persone giuridiche la notificazione verrà effettuata presso la sede legale dell'azienda o presso il
rappresentante o nelle mani di una persona eventualmente incaricata.
Si ha nullità della notificazione se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere
consegnata la copia, o se vi e' incertezza assoluta sulla persona a cui e' fatta o sulla data (art.160 c.p.c.).
6. L’udienza
Nel diritto amministrativo possono esservi pubbliche udienze (che è la regola generale) o adunanze camerali (nei
casi di giudizio di ottemperanza e misure cautelari. Possono essere presenti gli avvocati, ma mai le parti
personalmente).
7. Rinvio dell’udienza
Non vi alcuna norma che disciplini i rinvii, e il giudice amministrativo è restio a concederli per il principio della
concentrazione processuale (anche se ciò potrebbe cambiare, qualora si scegliesse di adottare l’istruzione
probatoria piena).
Il rinvio è tuttavia ammesso quando:
-Vi sia accordo tra le parti
-Ve ne sia richiesta dai una sola parte
-Sia ritenuto necessario dal giudice
1. Premessa
Gli atti del giudice sono classificati come decreti, ordinanze e sentenze
2. Ordinanze e decreti
Le ordinanze regolano lo svolgimento del processo ed in genere non hanno valenza decisoria (eccezioni:
ordinanza di convalida di sfratto o di rilascio dell'immobile). Di norma è modificabile e revocabile dal giudice che
l'ha emessa, inoltre deve essere brevemente motivata. Può essere pronunciata in udienza, quindi risulta dal
verbale, o fuori udienza nel qual caso è scritta in calce al verbale ed è datata.
Il decreto invece è una delle forme in cui si può presentare un provvedimento giurisdizionale.
A differenza della sentenza e dell' ordinanza il decreto non presuppone il contraddittorio e viene emesso quindi
inaudita altera parte, sia perché può determinare un fatto processuale che necessariamente non presuppone
ancora la conoscenza della lite da parte del convenuto (es. decreto di fissazione dell'udienza di discussione a
seguito della presentazione di un ricorso), sia perché può risolvere una questione che, a causa della sua
urgenza, non consente la previa instaurazione del contraddittorio (es. decreto di sospensione dell'efficacia di un
atto avverso il quale è presentato ricorso).
Nei casi più ricorrenti il decreto ha funzioni ordinatorie, non presuppone l'insorgere di questioni tra le parti e non
ha bisogno di un contraddittorio (tranne qualche rara eccezione). Non ha bisogno di essere motivato (anche qui
sono contemplate delle eccezioni: ad esempio, decreto con cui si abbreviano i termini di comparizione oppure di
rigetto di ricorso avverso a decreto ingiuntivo) e può essere pronunciato d'ufficio o su istanza di parte, orale o
scritta (ricorso in calce al quale è, se accolta dal giudice, scritto il decreto), presentata in udienza o fuori.
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3. La sentenza
È provvedimento decisorio che può essere di rito, di merito, può decidere parzialmente il merito, può essere
definitiva o non definitiva. Sono irrevocabili dal giudice che le ha poste in essere, e devono contenere:
l’indicazione del giudice, l’indicazione delle parti, l’indicazione delle conclusioni delle parti (cosa chiedono), lo
svolgimento del processo, la motivazione e il dispositivo, la data, la sottoscrizione a pena di nullità. È pubblicata
mediante deposito in cancelleria e il cancelliere entro 5 giorni la comunica alle parti costituite (senza
notificazione), con un biglietto che contenga il dispositivo.
PARTE 5
DINAMICA DEL PROCESSO
CAPITOLO 1
PRESUPPOSTI PROCESSUALI E CONDIZIONI DELL’AZIONE
1. I presupposti processuali
I presupposti del processo
“Presupposto” significa requisito che deve esistere prima di un determinato atto perché da quell’atto discendono
determinate conseguenze. Riferendosi al rapporto giuridico processuale, i presupposti processuali sono quei
requisiti che debbono esistere prima dell’atto col quale si chiede la tutela giurisdizionale, che è la domanda.
Essi si distinguono in: presupposti di esistenza e presupposti di validità o di procedibilità del processo.
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I presupposti di esistenza del processo: requisiti che debbono sussistere prima della proposizione della
domanda perché la domanda stessa possa dar vita ad un processo. È costituito da un unico requisito: la
giurisdizione, ossia che quel soggetto al quale la domanda verrà proposta, sia un giudice, e quindi sia dotato del
potere di giudicare.
I presupposti di validità o procedibilità del processo: requisiti che debbono esistere prima della proposizione
della domanda, affinché il giudice sia tenuto a rendere una pronuncia che giunga fino al merito. Essi sono due: la
competenza, e quindi che il giudice abbia effettivamente il potere di decidere quella controversia; la
legittimazione processuale, ossia il potere di compiere atti nel processo, con riguardo sia al soggetto che
chiederà la tutela giurisdizionale sia a quello nei cui confronti la domanda verrà proposta.
Esiste un altro ordine di requisiti che non sono presupposti perché la loro esistenza non è richiesta prima della
proposizione della domanda, ma della domanda stessa costituiscono requisiti intrinseci con riguardo al suo
contenuto: le condizioni dell’azione.
Possibilità giuridica (o esistenza del diritto): che consiste nella esistenza di una norma che contempli in astratto
il diritto che si vuol far valere.
Interesse ad agire (art. 100 c.p.c.): l’interesse per cui si agisce o contraddice deve essere concreto (ossia deve
sussistere concretamente) ed attuale (ossia deve esistere al momento della pronuncia del giudice). Mancando
l’interesse ad agire, il giudice non avrà motivo di portare il suo esame sul merito, ma dovrà arrestarsi al rilievo di
tale difetto: difetto di interesse e, quindi, difetto di azione.
Legittimazione ad agire: consiste nella corrispondenza tra colui che agisce (attore) ed il titolare del diritto fatto
valere, e tra colui contro il quale si agisce (convenuto) ed il soggetto che ha violato tale diritto. Si possono far
valere soltanto quei diritti che si affermano come diritti propri e la cui titolarità passiva si afferma in capo a colui
contro il quale si propone la domanda. Quindi “un soggetto agisce in nome proprio per un proprio diritto”. Tale
condizione, si può desumere, indirettamente, dall’art. 81 c.p.c., secondo cui “fuori dei casi espressamente previsti
dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”. Si parla di legittimazione
straordinaria1 o sostituzione processuale. Un esempio di legittimazione straordinaria è l’azione surrogatoria,
prevista dall’art. 2900 c.c., a favore del creditore nel caso che il debitore trascuri di far valere i propri diritti.
La capacità di essere parte è la trasposizione in chiave processuale della capacità giuridica; se non si è soggetti
di diritto non si può ricorrere, ne resistere, ne assumere le vesti delle altre parti del giudizio; essere titolare del
diritto di azione.
Se la parte si afferma come titolare del diritto dedotto in giudizio si dice parte legittimata ad agire;
• Ex. Art. 25, l.n.241/1990 il cittadino interessato può richiedere l’accesso ad atti e documenti che lo
riguardano o che siano utili per la tutela dei propri interessi e diritti;
• Di fronte ad un diniego od al silenzio della p.a., il cittadino proporre ricorso al Tar, in sede di giurisdizione
esclusiva (data la qualifica del diritto di accesso come diritto soggettivo);
• Il ricorso deve essere notificato ai soggetti contro interessati all’accesso a pena di inammissibilità, data la
delicatezza di alcuni contenuti.
• Il giudice, valutata la legittimità della richiesta (cioè del diritto in capo al ricorrente), può imporre alla p.a.
di esibire il documento (obbligo specifico);
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• La p.a. può adempiere spontaneamente adeguandosi al giudicato o, nel caso dell’inerzia sarà necessario
il giudizio di ottemperanza.
5. L’interesse al ricorso
L'interesse alle ricorso è l'utilità concreta, anche solo morale, che la sentenza favorevole può recare alla
situazione giuridica soggettiva di cui si affermi la lesione. È elemento necessario e consente altro movimento
dell'azione soltanto colui che ne ha interesse. L'azione processuale dell'interesse alle ricorso ha il suo fulcro
concettuale nell'utilità, nel vantaggio, che la sentenza favorevole può recare alle ricorrente. L'interesse per il
personale, deve quindi riguardare direttamente il ricorrente; deve essere diretto, cioè la lesione deve derivare
immediatamente dal provvedimento impugnato o dal comportamento contestato; ed essere attuale, per cui
occorre che la lesione dell'interesse sia già avvenuta, non richieda l'emanazione di provvedimenti successivi, non
dipenda da avvenimenti futuri ed incerti, venga riparata dalla sentenza, sussista al momento della decisione.
quando il giudice dichiara la carenza di interesse non valuta il merito, ma tale pronuncia non consente la
riproposizione della domanda: per questo l'interesse alle ricorso è annoverato tra le condizioni dell'azione e non
tra i presupposti.
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7. Il silenzio
La prima dottrina, per tutelare i privati quando la Pa non adottava alcun provvedimento, lo costruiva come
silenzio-rifiuto (provvedimento negativo). Ma il silenzio è patologia della PA, che in ogni caso deve esercitare il
potere che le spetta.
Quindi il silenzio diviene significativo sulla base delle norme che possono attribuire a questo effetti positivi
(silenzio-assenso) o negativi (silenzio-diniego).
Se invece mancano tali previsione normative, si può ricorrere al giudice se la PA non conclude nei termini il
procedimento amministrativo (silenzio-rifiuto o silenzio-inadempimento).
CAPITOLO 2
LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO DI PRIMO GRADO
1. Il ricorso introduttivo
Anche nel processo amministrativo vige il principio della domanda e dell’impulso di parte.
La domanda giudiziale assume, nel processo amministrativo, la forma del ricorso, proveniente dalla persona
che invoca la tutela, ed è indirizzata al giudice competente. Il ricorso si riempie di contenuto variabile in ragione
del tipo di azione che viene esperita; così, nelle azioni di tipo costitutivo, esso è volto ad ottenere dal giudice
l’annullamento del provvedimento, ovvero, nelle ipotesi di giurisdizione di merito, la modifica o la sostituzione del
provvedimento medesimo
È un’istanza rivolta dall’interessato per ottenere l’annullamento, la modifica o la revoca dell’atto per i motivi in
esso indicati.
Il ricorso deve contenere:
-L’epigrafe:
Nome, cognome, residenza e domicilio del ricorrente
-L’indicazione dell’atto di cui si chiede l’annullamento
-Data della sua notificazione
-Svolgimento del ricorso:
Esposizione sommaria dei fatti e dei motivi del ricorso. Si devono indicare gli artt.di legge che si ritengono violati
e le conclusioni (la domanda principale e quella connessa sulle spese del giudizio)
-I motivi:
elemento essenziale. Vincola non solo il ricorrente, ma anche il giudice per il principio della domanda (eccezione:
i motivi aggiunti)
-Sottoscrizione:
Dei ricorrenti e del difensore o procuratore speciale, con l’indicazione del mandato
invalidità del ricorso:
Il ricorso è insanabilmente nullo se manca della sottoscrizione, o se vi sia incertezza assoluta sulle persone o
sull’oggetto della domanda (nullità non rilevabile dalla parte che vi ha dato causa. Determina l’inammissibilità del
ricorso ed è rilevabile d’ufficio).
Se l’intimato comunque si costituisce, la nullità è sanata. Il giudice può tuttavia chiedere la rinnovazione della
notifica del ricorso.
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Ma non vi deve essere conflitto di interessi tra i ricorrenti e la causa petendi e il petitum devono essere comuni a
tutti i ricorrenti.
Le condizioni di ammissibilità riguardano singolarmente ogni ricorrente e l’iniziativa processuale è individuale.
Ricorso cumulativo:
Anche quando si propongano più domande giudiziali differenti (ad es. azione impugnatoria e di condanna) o
quando l’atto introduttivo si fonda su più causae petendi.
La giurisprudenza ammette solo i ricorsi cumulativi per cause connesse, mentre la dottrina ammette anche il
litisconsorzio facoltativo improprio (connessione impropria).
Se si verifica la compresenza del cumulo soggettivo e di quello oggettivo insieme, si proporranno ricorso collettivo
e cumulativo insieme.
Il cumulo oggettivo può verificarsi anche durante il giudizio (es. per i motivi aggiunti).
Il termine perentorio di sessanta giorni riflette esigenze di certezza delle situazioni giuridiche, per
l’Amministrazione e soprattutto per i cittadini interessati che possono aver prestato affidamento nel
provvedimento in questione. Il termine decorre dalla comunicazione (o notificazione) dell’atto amministrativo, per i
diretti destinatari; dalla pubblicazione su albo o pubblicazione ufficiali per i non diretti destinatari. Ai fini della
decorrenza del termine, è equipollente della comunicazione per pubblicazione dell’atto la “piena conoscenza”
dello stesso, essa però non consiste nella conoscenza completa dell’atto amministrativo, e quindi del suo testo e
di tutti i suoi vizi, ma consiste solo nella conoscenza dei contenuti essenziali dell’atto, in modo che l’interessato
sia in grado di coglierne la lesività.
Se il ricorrente viene a conoscenza solo in un secondo tempo di determinati altri vizi del provvedimento
impugnato, può farli valere con il ricorso per motivi aggiunti: i motivi aggiunti vanno proposti con un atto da
notificare alle altre parti, entro sessanta giorni dal momento in cui si abbia avuto conoscenza legale del vizio del
provvedimento impugnato. La piena conoscenza è in ogni modo acquisito alla comunicazione. La prova
dell’avvenuta conoscenza incombe su chi eccepisce la tardività del ricorso.
Nei casi di giurisdizione esclusiva il termine è quello di prescrizione ordinaria del diritto soggettivo che si fa valere.
Per il diritto d’accesso, il termine è di 30 giorni.
I ricorsi sono in ogni caso sospesi dal 1° Agosto al 15 settembre, tranne che per le istanze cautelari.
È inoltre prevista la remissione in termini.
1. Motivi aggiunti tempestivi (o integrativi), che sono il supplemento del ricorso, cioè attraverso i quali il
ricorrente fa valere nuovi profili di illegittimità conosciuti dopo la proposizione del ricorso ma prima della
scadenza del termine per l’impugnazione;
2. Motivi aggiunti successivi, che possono essere presentati per i seguenti motivi: quando il privato, dopo la
proposizione del ricorso, viene a conoscenza di circostanze che erano preesistenti ma a lui ignote; quindi per
tutto ciò che viene dopo la proposizione del ricorso.
Può accadere, infatti, che l’amministrazione abbia inizialmente comunicato soltanto gli estremi essenziali del
provvedimento, ovvero abbia reso disponibili gli atti del procedimento soltanto dopo la scadenza del suddetto
termine.
72
La Legge n. 205/2000 ha esteso l’utilizzabilità dell’istituto per l’impugnazione degli ulteriori provvedimenti adottati
dall’amministrazione resistente in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto dell’impugnativa.
Solo per tale ultima categoria di motivi aggiunti, si ritiene che il difensore debba essere munito di apposito
mandato.
Dai motivi aggiunti debbono tenersi distinti i “motivi nuovi”, che possono essere proposti in aggiunta a quelli
articolati nel ricorso, ma entro il termine decadenziale ed ammessi senza limiti, purché siano rispettate le
medesime formalità prescritte per il ricorso.
B) Ora:
Si sollevano con un atto nuovo, da notificare con le stesse modalità del ricorso.
Possibili in 2 ipotesi:
Quando sono fondati su fatti e documenti sconosciuti al ricorrente al momento della proposizione del ricorso
Quando scaturiscono dai provvedimenti adottati in pendenza di ricorso tra le stesse parti, e sono connessi
all’oggetto del ricorso medesimo.
Questa ipotesi è stata introdotta nel ’71, ed è ampliativa rispetto alla fattispecie tradizionale.
La connessione può essere sia oggettiva (non in senso proprio, ma più nel senso di legame logico-giuridico) che
soggettiva.
I requisiti formali per formulare i motivi aggiunti sono quelli propri del ricorso, inoltre è necessario indicare gli
estremi del giudizio nel quale si innestano.
Da proporre nello stesso termine del ricorso principale. Se si è in prossimità dell’udienza, si rinvia ad una nuova.
La notifica deve essere effettuata al domicilio eletto delle parti già costituite.
È comunque revocabile dalla parte che l’ho proposta, e così facendo la causa è cancellata dal ruolo.
Il decreto di fissazione del giorni dell’udienza deve essere notificato alle parti almeno 40 giorni prima della data
dell’udienza. Non vi è un termine massimo per fissare l’udienza, ma in ogni caso questo deve essere breve se vi
è una situazione d’urgenza.
Costituzione in giudizio
La costituzione in giudizio del ricorrente si attua mediante il deposito del ricorso presso la segreteria del TAR.
Entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, ossia entro cinquanta giorni dall’ultima
notifica del ricorso, l’Amministrazione resistenze e i controinteressati che hanno ricevuto la notifica del ricorso
possono costituirsi in giudizio, depositando una memoria con le loro difese e istanze istruttorie (c.d.
controricorso) e i relativi documenti.
Entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso i controinteressati possono proporre
ricorso incidentale, il quale deve essere notificato alle parti entro sessanta giorni.
I termini per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente non sono perentori: la costituzione di esse può
intervenire fino all’udienza di discussione del ricorso, è invece perentorio il termine per il ricorso incidentale.
Indipendentemente dalla sua costituzione in giudizio, l’Amministrazione è tenuta a depositare in giudizio, entro
sessanta giorni dal termine per il deposito del ricorso, “l’eventuale provvedimento impugnato, nonché gli atti e i
documenti in base ai quali è stato emanato, quelli in essa citati e quelli che l’Amministrazione ritiene utili in
giudizio”. La legge intende, a tal stregua, accelerare il giudizio, consentendo alle parti di venire a conoscenza
degli atti del procedimento amministrativo fin dalla prima fase dello stesso. Se l’Amministrazione non provvede al
deposito, il presidente del TAR, o un magistrato da lui delegato, può ordinare anche d’ufficio, l’esibizione degli atti
stessi.
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L’intervento va proposto con apposito atto, che deve essere notificato alle altre parti e poi depositato presso il
TAR avanti al quale pende il giudizio.
Se il ricorso principale non è stato notificato a tutti i controinteressati, ma è stato notificato ad almeno uno di essi,
il giudice amministrativo deve ordinare l’integrazione del contraddittorio, fissando un termine (perentorio) ed
eventualmente le modalità per la notifica del ricorso da parte del ricorrente agli altri controinteressati.
Perché il ricorso possa essere deciso è però necessario, di regola, che sia richiesta, con apposita istanza, la
discussione del ricorso stesso. In difetto di questa istanza scaduto il termine di due anni dal deposito del ricorso
quest’ultimo cade in perenzione: di conseguenza la sua presentazione perde ogni effetto, travolgendo anche
eventuali provvedimenti cautelari ottenuti nel frattempo, e il giudizio si estingue.
Il ricorso incidentale è l’atto processuale con cui il controinteressato può impugnare il provvedimento stesso o un
provvedimento connesso per i vizi che, in caso di accoglimento, potrebbero produrre un risultato favorevole.
La legge sul C.D.S. impone che tutte le impugnazioni successive alla prima debbano essere poste in essere con
ricorso incidentale. Ciò per ragioni pratiche di economia processuale che tende alla concentrazione delle azioni,
ma anche per evitare contrasti di giudicato. Successivamente alla prima impugnazione, quindi, colui che riceve la
notifica del ricorso deve, se vuole impugnare a sua volta il provvedimento, proporre ricorso incidentale ai sensi
dell'art. 37 t.u leggi sul CDS e 22 della legge T.A.R.; il ricorso incidentale va proposto quando si vuole chiedere
l'annullamento del provvedimento in una parte diversa rispetto a quanto chiesto dal ricorrente principale oppure
per annullare un atto presupposto del provvedimento impugnato in via principale. Deve essere presentato entro
30 giorni dalla notificazione del ricorso principale.
Esempi:
1. Ricorso incidentale per richiedere l'annullamento in parti diverse del provvedimento impugnato in via
principale.
Tizio ha partecipato ad un concorso pubblico senza rientrare in graduatoria, impugna quindi tale atto
sostenendo che la valutazione posta in essere dalla commissione giudicante è errata perché se fosse stata
corretta egli avrebbe avuto un punteggio superiore. Poniamo il fatto che a ottenere beneficio dalla graduatoria
sia stato Caio, se quest'ultimo vuole evitare di perdere il posto in graduatoria può prima di tutto presentare un
controricorso, un atto cioè in cui si controbatte alle posizioni del ricorrente. Ma Caio ben potrebbe presentare
un ricorso incidentale con il quale non controbatte la tesi del ricorrente ma introduce nuove argomentazioni
con le quali ad esempio sostiene che anche la sua valutazione è stata errata e che se fosse stata corretta egli
avrebbe avuto un punteggio ancora più alto tanto da renderlo ancora vincitore nei confronti di Tizio nella
graduatoria.
2. Ricorso incidentale volto a richiedere l'annullamento di un atto presupposto del provvedimento impugnato.
Tizio impugna la concessione edilizia grazie alla quale Caio ha costruito un'abitazione confinante con Il
primo. Tizio deduce nel ricorso che il provvedimento di concessione edilizia sia illegittimo perché contrastante
con le norme del piano regolatore . Caio propone invece ricorso incidentale sostenendo che il piano
regolatore è illegittimo perché contrastante con una legge regionale che ne disciplina il contenuto e che se
fosse stato legittimo la concessione edilizia non sarebbe stata contrastante con il piano regolatore impugnato
da Tizio.
L'interessato può essere danneggiato non da un atto ma da un'omissione. Un modo per risolvere la questione è
dare al silenzio valore di assenso (non si può fare in ambito culturale o paesaggistico, ambientale, di pubblica
sicurezza, salute e incolumità pubblica, difesa nazionale, pubblica sicurezza o immigrazione). C'è poi l'ipotesi del
silenzio rifiuto (D.lgs. 35/2005): tale silenzio può essere subito impugnato davanti al giudice amministrativo senza
fare diffida ad adempiere. In tal caso il giudice può anche valutare se il provvedimento richiesto spetti
effettivamente al ricorrente o no, sostituendosi all'amministrazione. Da questo accertamento deriva alla PA un
obbligo di rilasciare il provvedimento con quel contenuto.
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La l.n. 205/2000 ha introdotto un'ulteriore tutela per il privato: scaduto il termine per il deposito (30 giorni da
notifica), il ricorso va decisono nei successivi 30 giorni con sentenza succintamente motivata; tale sentenza è
appellabile entro 30 giorni dalla notificazioni o 90 giorni da comunicazione della pubblicazione. Se il giudice
accoglie il ricorso, ordina all'amministrazione di provvedere entro 30 giorni. Se l'inadempimento persiste, il giudice
su richiesta del ricorrente nomina un commissario perchè provveda in luogo della PA. Dal 2005 il giudice può
anche provvedere direttamente, senza passare per la nomina del commissario.
Il Consiglio di Stato ha ridimensionato la portata dei poteri del giudice: 'accertamento sull'istanza su cui la PA ha
mantenuto il silenzio è ammissibile solo quando l'atto richiesto è dovuto o vincolato o quando l'istanza è el tutto
infondata (perchè sarebbe diseconomico obbligare la PA a provvedere quando l'atto non potrà essere che di
rigetto). Per quanto riguarda i terzi che si ritengono lesi da una DIA, secondo alcuni decorsi 30 giorni dalla
comunicazione della DIA si formerebbe un'autorizzazione tacita, impugnabile davanti al TAR entro 60 giorni.
Un'altra tesi (preferibile) dice che il terzo che si considera leso ha l'onere di sollecitare l'amministrazione a inibire
l'attività del privato; solo l'eventuale silenzio-diniego mantenuto dall'autorità sarebbe impugnabile.
La tutela cautelare
Fino al 2005 la tutela cautelare è sempre stata individuata nella sospensione del provvedimento impugnato. Con
la legge 205 del 2000 il legislatore ha introdotto maggiori forme di tutela cautelare più adeguate alle differenti
situazioni del processo amministrativo. L’art.39 del T.U. Cons. di Stato stabilisce che “i ricorsi in via contenziosa
non hanno effetto sospensivo” ma “per gravi ragioni” e su richiesta del ricorrente” può essere disposta la
sospensione del provvedimento che si assume lesivo di una situazione giuridica soggettiva. Allo stesso modo,
anche l’art. 21 della legge Tar, come modificato dalla riforma del 2000. È nel 2000 che la tutela cautelare subisce
grandi modifiche: l’art. 3 della legge 205/2000, ha aggiunto all’unica misura cautelare prevista e cioè la
sospensione, altre ipotesi attraverso cui attuare la tutela cautelare. Mentre prima non vi era nessuno spazio per
una tutela cautelare che non fosse tipica, l’art. 3 ha avuto il compito di introdurre le “misure cautelari atipiche”:
come si legge dallo stesso articolo, il soggetto potrà quindi chiedere “l'emanazione di misure cautelari (…) che
appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”.
In base ai principi generali la concessione della misura cautelare da parte del giudice presuppone l’accertamento
di due requisiti :
3. fumus boni iuris. Consiste in una valutazione sommaria sul merito della pretesa fatta valere dal cittadino
con l’impugnazione in cui il giudice realizza una “ragionevole previsione sull’esito del ricorso “ in cui si ad
un sommario esame emerga una ragionevole probabilità sul buon esito del ricorso.
4. periculum in mora. Si identifica con la probabilità di “danni gravi e irreparabili” derivanti dal
provvedimento impugnato; tali danni devono essere specificatamente allegati dal ricorrente nell’istanza di
sospensione e perciò il giudice non può d’ufficio ipotizzarne l’esistenza né introdurli nel processo.
Prima della decisione del ricorso, il ricorrente che ne abbia interesse al fine di non pregiudicare la sua situazione
fa istanza cautelare. La misura cautelare eventualmente concessa, avrà effetto fino alla pronuncia della
sentenza di merito: è questo l’effetto interinale della misura cautelare.
Nel primo caso, una volta ricevuta l’istanza cautelare e trascorsi almeno dieci giorni dalla notifica della domanda,
la stessa viene discussa in Camera di Consiglio, a cui possono partecipare i difensori delle parti. Al termine di
questo procedimento, il collegio provvederà quindi con una ordinanza motivata, a norma dell’art. 21, co. 8, legge
Tar.
Nel secondo caso, (art. 21, co.9, legge Tar) caratterizzato dalla “estrema gravità ed urgenza” delle situazione “
tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, il ricorrente può,
contestualmente alla domanda cautelare o con separata istanza notificata alle controparti, chiedere al presidente
del tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre misure cautelari
provvisorie. Il presidente provvede con decreto motivato, anche in assenza di contraddittorio. Il decreto è efficace
sino alla pronuncia del collegio, cui l'istanza cautelare è sottoposta nella prima camera di consiglio utile”. In
questo caso la situazione di estrema gravità è tale che il Presidente emetta un decreto senza il rispetto del
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contraddittorio. In Camera di Consiglio, il collegio deciderà poi se confermare o meno il decreto presidenziale con
l’ordinanza emessa all’esito della camera di consiglio.
In ogni caso, nel processo amministrativo la tutela cautelare è sempre un incidente processuale nell’ambito della
proposizione del ricorso principale. Essa può essere proposta o nello stesso ricorso o con atto separato da
notificare alle parti del giudizio, ma sempre nell’ambito del ricorso principale, a differenza di quanto avviene nel
processo civile (per esempio, art.700 del codice di rito).
Solo recentemente, sulla spinta della giurisprudenza della Corte di giustizia europea (nonostante la Corte
Costituzionale nel 2002 fosse intervenuta a dichiarare costituzionalmente legittima la mancanza di una tutela
cautelare ante causam) è stata introdotta una tutela cautelare “indipendente”, con il d.lgs. 12 aprile 2006, il cd.
codice dei contratti pubblici. L’ordinanza cautelare a contenuto decisorio è impugnabile al Consiglio di Stato,
entro 60 giorni dalla notifica della misura o entro 120 dalla comunicazione dell’avvenuto deposito della stessa
presso la segreteria del Tribunale, a norma dell’art. 28 della legge Tar (prima non era ammesso l’appello contro
l’ordinanza cautelare). È inoltre possibile, su istanza di parte, chiedere la revoca dell’ordinanza ma solo per
sopravvenienza di motivi nuovi come il mutamento della situazione di fatto e il mutamento della situazione di
diritto. Nel caso in cui l’amministrazione non ottemperi a quanto stabilito nell’ordinanza, la parte interessata può
adire il giudice e richiedere l’adozione di misure attuative >(art.21, co. 14, legge Tar, come modificato dall’art.3
legge 205/2000).
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9. Il ricorso incidentale
Strumento offerto al contro interessato intimato per impugnare l’atto in quella parte che non è stata impugnata dal
ricorrente, ed eventualmente per motivi diversi. E’:
Consentito solo ai contro interessati e non alla PA (se riconosce che il proprio atto è illegittimo, lo può annullare,
non impugnarlo)
Proponibile solo nei confronti dell’atto già impugnato con ricorso principale
Non è proponibile dal ricorrente principale
Accessorio rispetto al ricorso principale. Se questo è irricevibile o inammissibile, lo sarà anche quello incidentale
(inefficace)
Le dottrine più recenti propendono per estendere la possibilità di proporre il ricorso incidentale ai contro
interessati sia formali che sostanziali.
4. Il procedimento
Sostanzialmente ancora regolato dalla normativa precedente alla L.205/2000.
Si procede con ricorso o con istanza successiva a questo, da comunicarsi alla parte resistente e ad almeno uno
dei contro interessati (questi entro 10 giorni dalla notifica possono presentare memorie e resistenze).
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Il giudice si pronuncia in camera di consiglio. Se si segue il corso normale del processo, non serve alcuna
comunicazione; se invece la misura cautelare si discute in data diversa dall’udienza pubblica deve essere dato
avviso di comunicazione alle parti.
Se vi è urgenza, la parte deve avanzare richiesta al TAR per abbreviare il termine di 10 giorni.
Il giudice si pronuncia con ordinanza, immediatamente esecutiva e motivata (obbligo di motivazione anche prima
del 2000, ma spesso ignorato).
Prima del 2000: danno grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto
Dal 2000: pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato e dal comportamento
inerte dell’amministrazione durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso.
5. Presupposti per la concessione della tutela cautelare: pregiudizio grave ed irreparabile e fumus boni
juris
Motivazione del fumus boni iuris
Prima si riteneva un vicolo per il giudice, e quindi si tendeva a non motivare il provvedimento. Oggi, per ragioni di
trasparenza, questi cominciano ad essere motivati. Inoltre non si può ritenere che vincolino il giudice nella
decisione sul merito, perché si decide in base ad una sommaria cognitio, senza contraddittorio.
Con la L.20572000 è stata prevista la possibilità di disporre una cauzione (la cui prestazione subordina la
concessione o il diniego della misura cautelare) se dal provvedimento cautelare potrebbero derivare effetti
irreversibili. Può essere prestata da tutte le parti, e il giudice deve stabilire le modalità e l’entità della cauzione,
che può essere prestata anche tramite fideiussione. È applicabile in modo generale tranne quando la richiesta
cautelare attenga interessi essenziali della persona (diritto alla salute, all’integrità fisica, all’ambiente) o ad altri
beni di rilievo costituzionale.
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Per la revoca, è stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza qualora si sia modificata la situazione di fatto, o
siano state violate norme di procedura, o quando la domanda contenga nuove ragioni di fatto e di diritto.
Tuttavia la L.205/2000 ha stabilito che la revoca sia ammissibile solo per fatti sopravvenuti. È dunque esclusa la
revoca per nuovi fatti o per diversi profili di diritto? Si prospetta una forte limitazione di tutela…
La revoca deve essere presentata allo stesso giudice che ha adottato l’ordinanza che si vuole far revocare,
insieme ad i motivi che inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso (fumus boni juris).
Il danno è diverso dal pregiudizio:
Il primo nel c.p.c. deve essere imminente ed attuale, cosa qui non richiesta. Il secondo è meno grave, non
richiede (come il danno) una quantificazione economica
Correlazione tra pregiudizio e tempo
Uno stesso atto amministrativo può recare pregiudizio grave e irreparabile a seconda della durata del processo
che si svolge davanti, di volta in volta, ad uno specifico TAR (se questo è più affollato, come ad es. quello di
Roma, vi è maggiore possibilità di pregiudizio)
L’istruzione è l’attività del giudice diretta a conoscere i fatti rilevanti per il giudizio. L’attività del giudice comporta,
oltre alla valutazione dei termini di diritto della controversia anche e soprattutto la conoscenza della vicenda o
della situazione in termini di fatto. Ciò non significa necessariamente che una particolare indagine debba essere
svolta sempre, la necessità di un’indagine è, ad esempio, esclusa quando i fatti non siano controversi.
La regola, nel processo amministrativo, è che l’attività istruttoria si svolga senza soluzioni di continuità, nel corso
della trattazione della controversia davanti all’organo decidente.
Nell'istruttoria l'aspetto più importante è quello della prova visto che si deve ricostruire un fatto controverso. Il
principio anche nel processo amministrativo è quello che l'onere della prova spetta a chi compie l'affermazione,
ma poiché la posizione delle parti è diversa rispetto ad altri tipi di processo (il ricorrente è infatti un privato e l'altra
parte è l'amministrazione) per ovviare alla situazione di disparità del ricorrente rispetto all'autorità pubblica è stato
coniato il concetto di principio di prova dove si chiede solo un inizio di dimostrazione della fondatezza della
propria pretesa e dove se l'amministrazione intimata non ottempera alle disposizioni istruttorie, in relazione agli
elementi forniti dal ricorrente, il giudice può trarre da tale omissione conseguenze sfavorevoli all'amministrazione
e utili a corroborare i dati probatori forniti dal ricorrente.
Nel procedimento amministrativo si rilevano tre aspetti legati alla fase istruttoria:
1. individuazione dei fatti che possono essere allegati solo dalle parti.
E’ fondamentale perché, alle manchevolezze delle parti non può supplire un intervento d’ufficio del giudice. Essi
si identificano con i c.d. fatti principali, vale a dire i fatti materiali su cui si fonda la pretesa di annullamento
dell’atto impugnato, che sono i fatti costitutivo del vizio dedotto in giudizio. E’ un’applicazione del c.d. principio
della domanda ( o principio dispositivo ) in forza del quale spetta alle parti e soltanto ad esse allegare i fatti su cui
fondare la propria domanda. Dal punto di vista del giudice, in buona sostanza, esso comporta che il giudizio in
ogni sua fase, dall’istruttoria alla decisione, dovrà rigidamente attenersi al c.d. petitum, vale a dire a quanto la
parte chiede nel ricorso, basandosi solo sui fatti principali dedotti dalla parte ricorrente. Vale il principio che regola
il rito civilistico in base al quale il giudice deve pronunciare si tutta la domanda e non oltre i limiti di essa ( art. 101
p.c. ).
2. prova dei fatti. Vale il principio generale dell’articolo 2697 c.c. sull’onere della prova che comporta, fra l’altro,
che la parte che contesta la legittimità di un provvedimento debba fornire la prova dei fatti posti a fondamento
della sua contestazione e che la regola di giudizio, nel caso di incertezza su un fatto, è contraria alla parte che
avrebbe dovuto fornire la prova di quel fatto. La mancanza della prova determina la soccombenza.
3. libero apprezzamento del giudice. Le prove raccolte nel giudizio sono rimesse, quanto alla loro valutazione,
al prudente apprezzamento del giudice. Questo principio comporta l’esclusione delle prove legali quali il
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giuramento e la confessione. Fa eccezione la disciplina dell’atto pubblico, che anche nel processo amministrativo
ha l’efficacia prevista dall’art. 2700 c.c. vale a dire che fa piena prova ( o prova legale ) e che, quindi, si sottrae al
libero apprezzamento del giudice in forza dell’efficacia generale che possiede sul piano del diritto sostanziale,
prima che processuale.
Nel processo civile prima vi è una fase preparatoria (di trattazione) poi istruttoria (art. 183, 7° comma e art.184
c.p.c.).
Nel processo amministrativo non vi è un’autonoma fase di istruzione, per il principio della concentrazione.
Tale impostazione nasce dal pensiero allora radicato che il giudice di legittimità non fosse giudice del fatto (infatti
solo nella giurisdizione di merito si applicavano le norme del c.p.c.). Allora l’attività di istruzione era ordinata
direttamente alla PA interessata(ossia parte in causa) perché formata da prove prevalentemente documentate).
La L.205/2000 non solo aggiunge il consulente tecnico d’ufficio, ma differenzia le prove in base ai vari tipi di
giurisdizione (per quella esclusiva, devono essere previste tutte le prove del c.p.c. tranne l’interrogatorio formale
e il giuramento, perché prove legali, che andrebbero contro il principio del libero convincimento del giudice,
cardine della giustizia amministrativa.
L.1889: l’istruzione è ancora di tipo documentale. Necessario il deposito del ricorso più la copia del
provvedimento impugnato, pena decadenza. Se non se ne ha disponibilità, si deve ricorrere all’interpello, tramite
l’ufficiale giudiziario, per poter depositare il verbale con cui la PA si rifiuta di esibire il documento.
1971: solo ora si pone a carico della PA il deposito del documento all’atto della costituzione in giudizio. Se vi è
inadempimento, il TAR ha il potere di ordinarne l’esibizione.
Con la L.205/2000, l’esibizione del documento non è più legata alla costituzione in giudizio. La PA ha l’obbligo di
esibizione entro 60 giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, altrimenti interviene il giudice
amministrativo (perché la PA, non esibendo il documento, ostacola la realizzazione della pienezza del
contraddittorio).
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Fino alla metà del secolo scorso, anche il processo civile era caratterizzato dall’assoluto signoria delle parti.
Tuttavia si è notato che tale schema non poteva essere più adottato, perché soprattutto in diritto amministrativo
comportava una diseguaglianza tra privati e PA, in quanto i primi difficilmente potevano essere a conoscenza di
fatti antecedenti l’emanazione dell’atto, propri della realtà amministrativa.
La signoria delle parti allora rimane sicuramente nella fase costitutiva del rapporto, mentre non sembra poterne
condizionare lo svolgimento (la parte non può decidere circa la tecnica del processo).
La fase istruttoria è caratterizzata non da poteri monopolistici delle parti (necessari solo per individuare i fatti
oggetto della pretesa), ma anche da poteri d’ufficio del giudice (con i quali non è violato però il principio del
contraddittorio: infatti i documenti sono nelle mani della PA, e sarebbe irragionevole addossare l’onere della
prova sul privato).
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come si qualifica la responsabilità della PA? Prima del 1999 la colpa si ravvisava nella stessa adozione ed
esecuzione da parte di questa di un atto illegittimo (presunzione assoluta di colpa, incompatibile però con il
principio della personalità della responsabilità civile). Di conseguenza vennero creati a livello giurisprudenziale
degli indici identificativi: violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. Si deve
verificare quindi se vi sia errore scusabile da parte della PA.
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consulenza tecnica d'ufficio perché, anche se non costituisce mezzo di prova in senso proprio, e comunque ora
inserita nel T.U. sul Consiglio di Stato.
sono così applicabili gli artt. da 191 a 201 c.p.c. per quanto riguarda il consulente tecnico d'ufficio, e per quanto
riguarda l'assunzione dei mezzi di prova consentiti nelle controversie in materia di giurisdizione esclusiva si
richiamo alla disciplina contenuta nel regolamento di procedura tenendo conto della specificità del processo
amministrativo.
I mezzi istruttori ammessi nel caso di giurisdizione di legittimità sono rappresentati da tre tipologie:
1. richiesta di chiarimenti. Analoga alla richiesta di informazioni alla Pubblica amministrazione prevista
nell’articolo 213 c.p.c. ; a differenza di quest’ultima, però, può essere indirizzata anche nei confronti di
un’Amministrazione che sia parte del giudizio.
2. richiesta di documenti. Può avere ad oggetto qualsiasi documento dell’amministrazione o di terzi, la cui
esibizione sia ritenuta utile per la decisione. Concorre con gli strumenti previsti a tutela del diritto di accesso del
cittadino.
3. verificazioni. Possono avere contenuti molto ampi e in particolare, secondo la giurisprudenza, possono
riguardare l’accertamento di fatti o do situazioni complesse ; anche in questo caso, però, la giurisprudenza
sostiene che non sarebbero assimilabili alle perizie e alle consulenze tecniche per il fatto che le verificazioni non
potrebbero riguardare elementi di valutazione o di apprezzamento dei fatti ; altrimenti, attraverso le verificazioni, il
giudice potrebbe sindacare nel loro contenuto le valutazioni tecniche riservate dalla legge all’Amministrazione.
Una valutazione che risponde all’esigenza di conservare nelle mani della sola Amministrazione,
salvaguardandola, la c.d. discrezionalità tecnica.
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4. Consulenza tecnica d'ufficio. Ai sensi dell'articolo 44 del t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato il giudice
amministrativo può sempre richiedere la consulenza tecnica d'ufficio che consiste nell'utilizzo di un esperto che
coadiuva il compito del giudice.
Nella giurisdizione anche in merito è possibile utilizzare tutti i mezzi di prova del Codice di Procedura Civile per
cui anche la confessione e il giuramento.
I mezzi istruttori ammessi nel caso di giurisdizione di merito godono invece di maggiore ampiezza, essi si
ricavano dal disposto dell’articolo 44, 2° comma. t.u. Cons. Stato che prevede che in questi casi “il Consiglio di
Stato può ordinare qualunque mezzo istruttorio nei modi determinati dal regolamento di procedura”.
L’articolo 27 del Regolamento precisa ulteriormente che “il giudice amministrativo può assumere testimoni,
eseguire ispezioni, ordinare perizie e fare tutte le altre indagini che possono condurre alla scoperta della verità,
coi poteri attribuiti al magistrato dal codice di procedura civile e con le relative sanzioni”.
Sono preclusi l’interrogatorio formale e il giuramento perché preordinati a una prova legale, e come si è già visto
la prova legale viene esclusa, perché incompatibile con il principio del libero convincimento del giudice.
Nonostante la maggiore ampiezza prevista per i mezzi istruttori in casi di legittimità di merito emerge
limpidamente la generale limitatezza dei mezzi istruttori previsti per il giudizio amministrativo, il che suscita non
poche perplessità se si relazione alla delicatezza e alla rilevanza degli interessi legittimi e dei diritti tutelati nel
caso di giurisdizione esclusiva.
Il ricorrente deve sollecitare un'istanza di fissazione dell'udienza, altrimenti l'udienza non può essere fissata e
dopo 2 anni il ricorso è perento (= estinto per inattività delle parti). L'istanza può essere presentata dalle altre
parti. L'impulso delle parti serve anche quando si è tenuta l'udienza ma il processo non si è ancora chiuso (serve
una nuova istanza entro 2 anni).
In seguito alla presentazione dell’istanza, viene fissata l’udienza di discussione del ricorso, di cui deve essere
data comunicazione alle parti con congruo preavviso (almeno quaranta giorni). Le parti costituite possono
depositare documenti fino a venti giorni liberi prima dell’udienza (fino a trenta giorni liberi, nel giudizio avanti il
Consiglio di Stato) e memorie fino a dieci giorni prima.
Nell’udienza, che è pubblica, ciascuna delle parti può intervenire, attraverso il proprio avvocato, per illustrare
oralmente le proprie ragioni; la trattazione ha luogo anche se non intervengono le parti o i loro avvocati: non
esiste infatti l’istituto della contumacia.
Una volta conclusa la discussione, il TAR, se non ritiene di dover adottare pronunce interlocutorie (per esempio,
per l’integrazione del contraddittorio) o pronunce istruttorie, provvede a decidere il ricorso pronunciando la
sentenza; i giudici si riuniscono in camera di Consiglio per deliberare a maggioranza assoluta.
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In base all’articolo 26, 4° comma legge TAR il giudice amministrativo può decidere il ricorso, con sentenza
succintamente motivata, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare o nell’udienza fissata
in seguito all’adozione di un mezzo istruttorio, senza che sia stata fissata l’udienza di discussione. Questa
possibilità vale solo quando il ricorso risulti manifestamente fondato o manifestamente infondato, inammissibile,
improcedibile o irricevibile.
Infine l’articolo 26, 7° comma legge TAR prevede che, quando si sia verificata
2. la rinuncia al ricorso
4. la perenzione
il Presidente della sezione competente provvede alla relativa declaratoria con decreto, senza fissare né pubblica
udienza né camera di consiglio. Nei confronti del decreto le parti possono proporre opposizione al collegio; il
collegio decide con ordinanza, disponendo, se accoglie l’opposizione, che il ricorso sia nuovamente iscritto nel
ruolo dei ricorsi pendenti.
18. I documenti
art.634 c.p.c.: Sono prove scritte idonee a norma del numero 1 dell'articolo precedente le polizze e promesse
unilaterali per scrittura privata e i telegrammi, anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile.
Per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro, nonché per prestazioni di servizi, fatte da imprenditori
che esercitano un'attività commerciale, anche a persone che non esercitano tale attività, sono altresì prove scritte
idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli art. 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e
vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte
dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture.
72
specifici albi, suddivisi per categorie (ad esempio: architetti, ingegneri, agronomi, periti industriali, geometri,
grafologi, esperti in mobili ed antiquariato, esperti in musica, ecc) tenuti dai tribunali. Il Consulente Tecnico
d'Ufficio opera prestando particolarmente attenzione a garantire la propria imparzialità nei confronti delle parti alle
quali deve consentire - in ogni momento - il contradditorio. È soggetto, inoltre, a tutti i limiti di garanzia del giusto
processo ai quali è sottoposto il giudice e può quindi utilizzare esclusivamente la propria esperienza e capacità e
la documentazione contenuta nel fascicolo, limitandosi a rispondere ai quesiti posti dal giudice stesso.
Sentenze di rito e sentenze di merito
Decisioni di rito:
1. dichiarato inammissibile se per legge non poteva essere proposto, o sel’organo si rende conto
di non essere il superiore gerarchico dell’organo che ha emesso l’atto – in ogni caso pronuncia di rito.
2. Se invece rileva una irregolarità sanabile, assegna al ricorrente un termine per provvedere a
sanarla, e se questo non provvede, lo dichiara improcedibile (ad esempio se il ricorrente non ha
dichiarato correttamente il provvedimento che voleva impugnare, anche se questo si può capire dalla
lettura del ricorso. In questo caso non può dichiararlo inammissibile, può solo chiedere di sanare tale
vizio).
Improcedibile è diverso da inammissibile: infatti vuol dire che era ammissibile, ma che non può essere
processato dato il vizio che lo caratterizza e che non è stato sanato.
Decisioni di merito:
Le sentenze di rito sono quelle che si arrestano a una pregiudiziale; le sentenze di merito decidono il merito della
domanda. Solo sulle sentenze di merito si forma il giudicato, una volta che siano decorsi i termini per
l'impugnazione. Il tribunale è tenuto a esaminare ciascun motivo del ricorso: è sufficiente che uno sia fondato
perchè il ricorso venga accolto (cd assorbimento degli altri motivi). L'assorbimento limita la portata
dell'accertamento, in quanto assorbire è non esaminare.
Nella giurisdizione esclusiva l'atto impugnato può anche mancare: la parte chiede che sia accertato il diritto o
condannata l'amministrazione. Il tribunale non giudicherà la fondatezza dei motivi di ricorso, ma la fondatezza
della pretesa del ricorrente, e in base a ciò accoglierà o respingerà la domanda.
La sentenza
Il giudice in appello può accogliere l'istanza del ricorrente oppure rigettarla. Rigettare l'istanza significa
confermare la sentenza di primo grado. l'accoglimento del ricorso può accompagnarsi o meno al rinvio al giudice
di primo grado cioè al TAR. L'annullamento con rinvio è un'eccezione ed è disciplinata dall'art 35 della legge TAR.
Le ipotesi sono due:
1. Difetto di procedura. È una categoria che racchiude diverse ipotesi, la giurisprudenza ritiene che si debba
procedere a rinvio tutte quelle volte l'anomalia comporti una lesione del diritto alla difesa.
2. Vizio di forma. Riguarda le ipotesi in cui la sentenza sia nulla.
Sia nel caso del vizio di forma che del difetto di procedura, la ratio dell'art. 35 è evidente perché si è davanti a
casi in cui di un giudizio di primo grado vero e proprio non può parlarsi. A questi due casi va aggiunta l'erronea
declaratoria di incompetenza da parte del giudice di primo grado.
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22. Gli altri mezzi di prova nelle controversie di giurisdizione esclusiva
a) Ispezione ed esibizione:
art.118 + 210 c.p.c.: Il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro
possesso le ispezioni che appaiano indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi
senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli articoli
351 e 352 del codice di procedura penale.
Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice può da questo rifiuto desumere argomenti
di prova a norma dell'articolo 116, secondo comma.
Se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria non superiore a lire ottomila.
Negli stessi limiti entro i quali può essere ordinata a norma dell'articolo 118 l'ispezione di cose in possesso di una
parte o di un terzo, il giudice istruttore, su istanza di parte, può ordinare all'altra parte o a un terzo di esibire in
giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo.
Nell'ordinare l'esibizione, il giudice dà i provvedimenti opportuni circa il tempo, il luogo e il modo dell'esibizione.
Se l'esibizione importa una spesa, questa deve essere in ogni caso anticipata dalla parte che ha proposta
l'istanza di esibizione.
b) Interrogatorio libero:
art.117 c.p.c.: Il giudice, in qualunque stato e grado del processo, ha facoltà di ordinare la comparizione
personale delle parti in contraddittorio tra loro per interrogarle liberamente sui fatti della causa. Le parti possono
farsi assistere dai difensori.
1. Premesse
Dopo la discussione (in pubblica udienza o in adunanza camerale) il Presidente del Collegio dispone
l’assegnazione (o spedizione) della causa in decisione: si tratta del passaggio formale alla fase decisoria (il
Collegio si ritira in Camera di Consiglio). È stato quindi già definito l’oggetto della controversia, si è svolto il
contraddittorio, è stato raccolto il materiale probatorio (o per iniziativa delle parti, o d’ufficio, tramite il metodo
acquisitivo) e il processo si avvia verso la sua conclusione: la formulazione del giudizio e l’emanazione di una
sentenza.
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avviene per il principio di immodificabilità del giudice: la composizione del Collegio giudicante non può ammettere
un giudice che non era presente all’udienza di discussione (altrimenti ciò porterebbe alla nullità della sentenza poi
emanata).
3. La deliberazione:
essendovi più giudici, si devono fondere più giudizi per arrivare ad un’unica soluzione. A ciò si arriva tramite il
dibattito camerale e la deliberazione.
Il dibattito è fissato dal Presidente. Ogni componente manifesta il proprio punto di vista agli altri componenti del
Collegio. Dopo il dibattito si procede ad una votazione (qui il parere non è più solo proposto, ma affermato). La
manifestazione del voto è da fare al Presidente, che procede alla raccolta dei voti. È richiesta la maggioranza
assoluta. Se questa non si forma, il Presidente mette al voto 2 soluzioni per escluderne una, alla restante ne è
affiancata un’altra, e così via fino alla votazione definitiva (formazione artificiale della maggioranza per esclusione
progressiva delle soluzioni di minoranza).
Una volta arrivati ad una decisione, il Presidente provvede alla stesura e alla sottoscrizione. Il relatore invece
stende la motivazione (o un altro giudice, se il relatore appoggiava la decisione minoritaria). La decisione è in
ogni caso modificabile fino alla sua pubblicazione, perché solo con questa acquista esistenza giuridica. La
pubblicazione si ha con il deposito in segreteria (il segretario da atto del deposito in calce alla sentenza e vi
appone la data e la firma). Entro 5 giorni è data comunicazione alle parti con un biglietto di segreteria da parte del
segretario. Questo è da consegnare o personalmente, o tramite raccomandata o ufficiale giudiziario.
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Se la PA non ottempera all’ordine del giudice di esibire i documenti, la giurisprudenza non è univoca circa la
soluzione di tale problema:
È provata l’affermazione del ricorrente?
No, altrimenti sarebbe tipo una prova legale (confessione)
È argomento di prova?
Soluzione preferibile. Non si tratta di una prova, ma della valutazione di un comportamento che comunque però
deve concorrere con altri elementi probatori.
CAPITOLO 3
LE IMPUGNAZIONI
L’appello è un mezzo di impugnazione di tipo rinnovatorio, consente cioè un nuovo giudizio sulla stessa
questione)
È rinnovatorio perché:
È qualificato dallo stesso legislatore come appello
Il Consiglio di Stato in sede di appello ha gli stessi poteri giurisdizionali di cognizione e decisione del giudice di
primo grado
Tranne eccezioni, in ogni altro caso il Consiglio di Stato decide sulla controversia.
Tuttavia, qualora il Consiglio di Stato veda a censurare vizi propri della sentenza di primo grado, questo rimedio
ha carattere impugnatorio.
Si tratta dunque di un giudizio sia rescindente che rescissorio: annullata la sentenza di primo grado, il Consiglio di
Stato decide nel merito la controversia già decisa dal TAR senza alcun rinvio a questo.
Termini
L'appello deve essere proposto entro 60 giorni dalla notificazione della sentenza impugnata (termine breve). Nel
caso in cui non vi sia stata notificazione, il termine è di un anno decorrente dalla data della pubblicazione della
sentenza (termine lungo). Entrambi i termini sono sottoposti alla sospensione feriale dal 1° agosto al 15
settembre. Entro il termine indicato deve essere notificato l'appello alle controparti. La notifica deve essere
effettuata nei confronti o della P.A. o di un controinteressato oppure entrambi.
L’appello deve essere notificato alle altre parti del giudizio di primo grado, siano esse costituite o non, se l’atto
non è notificato a tutte le parti, ma almeno ad una, l’appello non è inammissibile ma il Consiglio di Stato ordina di
procedere all’integrazione del contraddittorio.
Nei trenta giorni successici alla notifica il ricorso deve essere depositato presso il Consiglio di Stato; col deposito
di determina anche la costituzione in giudizio dell’appellante e la pendenza del giudizio.
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Legittimati a proporre appello sono ovviamente i soccombenti nel giudizio di primo grado e i controinteressati
sostanziali che non abbiano ricevuto notifica di ricorso in primo grado, sia nel caso in cui questi avrebbero dovuto
riceverla, sia nel caso in cui la legge non preveda tale obbligo, ma il soggetto abbia comunque una posizione
qualificata. La sentenza, dopo essere stata adottata, viene sottoscritta dai giudici che ne facevano parte e viene
poi depositata.
Come detto, l'appello amministrativo ha carattere devolutivo, il che implica l'esame da parte del giudice degli
stessi motivi dedotti in primo grado. In appello non si possono proporre nuovi motivi, e ciò per due motivi:
• da un lato verrebbe ad essere violato il principio del doppio grado, per cui ad ogni doglianza deve essere data
la possibilità ad entrambe le parti di demandare una seconda analisi ad un giudice superiore in caso di primo
esito insoddisfacente;
• dall’altro è che si vanificherebbe anche da un certo punto di vista il termine di decadenza per il ricorso in
primo grado, che essendo oramai scaduto non dovrebbe permettere la possibilità di presentare ricorso
deducendo tali motivazioni.
Diversa è invece la situazione quando si parla di motivi aggiunti che, nel giudizio di secondo grado, non
costituiscono un rimedio a carenze e manchevolezze della difesa, ma si configurano come uno strumento
integrativo del ricorso.
5. Le parti
sono quelle del giudizio di primo grado (può cambiare la loro posizione nel giudizio d’appello, es. per quello
incidentale), costituite, e chi non ha potuto partecipare al primo grado perché non è stato messo nella condizione
di poterlo fare (es. contro interessato pretermesso, al quale cioè non è stato notificato) + i contro interessati
occulti (la loro posizione non si evinceva dal provvedimento impugnato) o successivi (la loro posizione viene in
essere solo dopo la sentenza di primo grado).
La legittimazione ad appellare è valutata non solo in base all’interesse sostanziale (e non formale!) di chi appella,
ma anche in base alla circostanza che chi appella non sempre è la parte soccombente nel giudizio di primo
grado. È ammesso l’intervento ad adiuvandum e ad opponendum anche da parte di chi non è stato interventore
in primo grado.
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L’appello si propone con ricorso indirizzato al Consiglio di Stato contenente:
-Generalità dell’appellante
-Sentenza impugnata
-Esposizione dei fatti e dei motivi sui quali si fonda l’appello
-Conclusioni
-Sottoscrizione dell’appellante e del difensore (che deve essere adibito alle giurisdizioni superiori).
Entro 20 giorni dalla notificazione o un anno dalla pubblicazione della sentenza che si vuole impugnare.
La notifica è diversa dal primo grado, perché in appello è sufficiente notificare ad almeno una delle parti
necessarie. Il ricorso è depositato in segreteria entro 30 giorni dall’ultima notificazione. Entro 30 giorni gli
appellanti possono costituirsi in giudizio (ma il termine non è perentorio: in ogni caso possono farlo fino a 10
giorni prima dell’udienza o anche appena prima di questa, ma poi ci si deve limitare alla difesa orale).
La sent.205/2000 ha introdotto nuovi termini con l’art.23 bis: ora il termine è di 30 giorni dalla notificazione o 120
dalla pubblicazione. Si prevede anche l’appello con riserva dei motivi.
In ogni caso lo svolgimento del processo segue le regole proprie del giudizio davanti ai TAR.
7. L’appello incidentale
l’istituto nasce al fine di poter trattare in un unico giudizio di appello le censure che le parti soccombenti possono
proporre in appello. Originariamente era usato solo in caso di parziale accoglimento del ricorso di primo grado.
L’appello incidentale è strettamente dipendente da quello principale. È da depositare entro i 30 giorni successivi
al termine fissato per il deposito di quello principale, con atto notificato alle controparti, da depositare nei 20 giorni
successivi. Il ricorso incidentale deve essere proposto anche quando più parti sono legittimate a proporre appello
per motivi diversi. Il più diligente, che arriva prima, fa appello principale, tutti gli altri quello incidentale (a meno
che quello principale non venga notificato. In questo caso i ricorsi saranno riuniti in sede di integrazione del
contraddittorio).
1. La revocazione: nozione
È impugnazione a critica vincolata, sono infatti previsti tassativamente i casi per i quali è possibile ricorrere a tale
istituto.
2. I casi di revocazione
Nel processo civile, si distingue tra revocazione ordinaria e straordinaria. Se si è ancora nel termine per
impugnare, i motivi di revocazione si convertono in motivi di appello.
Straordinaria:
-Dolo di una parte a danno di un’altra (impedisce la difesa dell’altra parte mediante artifici o raggiri)
-Prove false: la prova è stata riconosciuta o dichiarata falsa (in sede penale) dopo che la sentenza è passata in
giudicato)
-Ritrovamento dopo la sentenza di uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre per forza
maggiore o fatto dell’avversario
-Dolo del giudice comprovato da sentenza passata in giudicato
Ordinaria:
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-Erronea supposizione di fatto (errore di fatto): la decisione della causa si fonda su un fatto che si ritiene
inesistente e non lo è, o viceversa (si ha falsa rappresentazione della realtà). È errore di percezione, non di
interpretazione (altrimenti si avrebbe ricorso per Cassazione).
-Contrarietà a un precedente giudicato: la revocazione può essere fatta se la sentenza impugnata non abbia
pronunciato su una precedente eccezione di giudicato. Si tratta di giudicato esterno: tra le stesse parti, sullo
stesso oggetto, ma in cause diverse.
L’articolo 28 della legge TAR ammette nei confronti delle sentenze dei TAR il rimedio della revocazione ; l’art. 36
della stessa legge ammette la revocazione anche nei confronti del Consiglio di Stato. In entrambi i casi non è
dettata una disciplina specifica dell’istituto, con riferimento a pronunce di giudici amministrativi, ma è fatto rinvio al
codice di procedura civile.
3. Le decisioni revocabili
Contro le sentenze dei TAR, in base al rinvio agli artt.395-396 c.p.c., dovrebbe essere possibile proporre
revocazione per tutti i casi dell’art.395, anche se ancora in tempo per l’appello.
Per la dottrina, si applica il principio della prevalenza dei mezzi di impugnazione generali su quelli speciali (da
preferire sempre l’appello). La giurisprudenza invece è ancora oscillante tra l’interpretazione fornita dalla dottrina,
e la libera scelta offerta all’appellante tra i 2 rimedi:
Se sono addotti gli stessi motivi, la proposizione di una delle 2 impugnazioni rende inammissibile (o
improcedibile) l’altra
Se i motivi addotti sono differenti, per non arrivare a giudicati contrastanti ed unire quindi le impugnazioni, la
giurisprudenza è oscillante tra la proposizione del rimedio generale dell’appello (i motivi revocatori saranno poi
convertiti in motivi aggiunti), o la proposizione della revocazione con sospensione dell’appello ( vedi c.p.c. dove
regola rapporti tra revocazione e ricorso in cassazione).
Contro le sentenze del Consiglio di Stato, la disciplina più recente sembrerebbe rinviare solo all’art.396 c.p.c.,
rendendo utilizzabile solo la revocazione straordinaria. Ma la giurisprudenza è concorde nel ritenere in vigore
ancora la precedente disciplina, con riferimento al rinvio all’art.395 c.p.c. (è esperibile cioè anche la revocazione
ordinaria). Tale interpretazione è inoltre conforme alla Costituzione, altrimenti vi sarebbe una compressione dei
mezzi di tutela).
5. Il giudizio di revocazione
Sono legittimate le parti formali del primo grado (ma per alcuni anche le sostanziali).
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La revocazione si compone di una fase rescissoria e di una rescindente, ed ha effetto devolutivo (come l’appello).
Art.398 c.p.c. e rapporto con il ricorso in Cassazione.
Contro la revocazione sono esperibili tutti i mezzi di impugnazione, tranne la revocazione stessa.
L’opposizione di terzo dovrebbe essere proposta avanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza
pregiudizievole per il terzo : tuttavia una parte della giurisprudenza amministrativa, richiamandosi alle peculiarità
del processo amministrativo in tema di legittimazione all’appello, sostiene che solo nei confronti delle sentenze
dei TAR l’opposizione vada comunque proposta al giudice d’appello.
7. I soggetti legittimati; le sentenze opponibili; il giudice competente ei termini per la proposizione del
ricorso
Legittimati nel processo civile sono i litisconsortili necessari pretermessi (andranno a dedurre il mancato rispetto
delle regole sul contraddittorio) e i titolari di una situazione soggettiva autonoma e incompatibile con ciò che sia
stato deciso dal giudice (verrà in esame l’ingiustizia della sentenza).
Tuttavia in campo amministrativo si sono rivelati dei problemi:
per ovviare alla mancanza dell’opposizione di terzo, si è sempre cercato di ampliare la categoria degli interessati
ad appellare, includendo anche i contro interessati sostanziali ed i cointeressati sostanziali. Ciò viene a creare
sovrapposizioni tra legittimati ad appellare e legittimati a proporre opposizione di terzo.
Inoltre la Corte Costituzionale, a causa della delimitazione della questione di legittimità che era stata chiamata a
giudicare, aveva limitato l’opposizione di terzo solo alle sentenze di primo grado passate in giudicato
(diversamente dal c.p.c., che lo prevede invece per tutte le sentenze comunque esecutive). Sul presupposto
dell’immediata esecutività (e quindi possibile lesività) delle sentenze di primo grado non ancora passate in
giudicato, la giurisprudenza più recente ammette in ogni caso l’esperibilità dell’opposizione di terzo.
Per quanto riguarda invece l’opposizione revocatoria, non è presente nel processo amministrativo, anche se
ultimamente vi è qualche voce della dottrina a favore.
Il giudice competente è lo stesso che ha adottato la sentenza, con lo stesso procedimento proposto di fronte a lui
(competenza funzionale inderogabile).
In caso di sentenza non ancora passata in giudicato, la giurisprudenza amministrativa precedentemente riteneva
competente il Consiglio di Stato, perché giudice naturale delle impugnazioni, ma poi preferendo l’economia
processuale questa ha ammesso la proponibilità allo stesso giudice della sentenza impugnata (salva la possibilità
di convertire l’opposizione di terzo in appello davanti al Consiglio di Stato, seguendo forme e termini, che sono gli
stessi dell’appello).
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Se si propone l’opposizione insieme all’appello, l’opposizione è convertita in intervento nell’appello.
Se si propone opposizione insieme alla revocazione, si porteranno avanti i 2 giudizi, per poi coordinare le
sentenze attraverso il criterio della prevalenza temporale.
6. Le questioni di giurisdizione
Le questioni di giurisdizione pongono il problema dei limiti esterni della giurisdizione, possiede rispetto da parte
degli organi giurisdizionali dei confini tracciati dalla legge all'esercizio della loro attività. È escluso ogni sindacato
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su questioni relative all'erronea o falsa applicazione di norme giuridiche, vizi nell'iter procedurale o nel processo
logico della decisione o l'omissione di pronuncia. Ai principi del giusto processo andrebbe riconosciuta portata
profondamente innovativa in ordine al concetto stesso di giurisdizione, in base alla quale è possibile nucleare
quattro diverse aree di conflitti le questioni relative alla corretta attuazione del criterio di riparto, l'eccesso di
potere giurisdizionale, la verifica se la situazione vantata dal privato sia astrattamente protette tutelato
dall'ordinamento, l'errata composizione del collegio giudicante.
CAPITOLO 4
LA SOSPENSIONE, L’INTERRUZIONE E L’ESTINZIONE DEL PROCESSO
1. La sospensione:
è un arresto temporaneo dello svolgimento del processo, con astensione da qualsiasi attività processuale (ma il
giudice può comunque autorizzare quelli urgenti e non ripetibili).
SI ha sospensione nei seguenti casi:
- regolamento preventivo di giurisdizione
- regolamento di competenza
- questioni pregiudiziali
- questioni di legittimità costituzionale di leggi
- questioni di interpretazione di leggi comunitarie
- causa pregiudiziale (su capacità e stato delle persone, o per querela di falso)
Cessata la causa di sospensione, le parti devono riassumere la causa entro 6 mesi con semplice presentazione
della domanda di fissazione dell'udienza.
2. L’interruzione:
si tratta di un arresto temporaneo del processo, determinato dalla necessità di assicurare l’effettività del
contraddittorio, a seguito di eventi che hanno menomato l’attiva partecipazione delle parti, dei loro rappresentanti
legali o dei loro procuratori.
Tali eventi possono riguardare:
-Morte della parte o perdita della capacità di stare in giudizio per interdizione, inabilitazione, fallimento.
-Morte o perdita della capacità del rappresentante, cessazione della rappresentanza
-Morte, radiazione dall’albo o sospensione del procuratore
Non hanno rilievo invece:
-La revoca e la rinuncia alla procura
-La cancellazione volontaria dall’albo del procuratore
Se tali eventi si verificano prima della costituzione delle parti, l’interruzione del giudizio si ha ipso iure,
indipendentemente dal provvedimento del giudice, che ha natura solo dichiarativa. Se l’evento interruttivo invece
si verifica dopo la costituzione, questo opera solo se il procuratore della parte che abbia perso la capacità lo
abbia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti.
Il processo, una volta ripreso, non inizia ex novo. Le parti lo devono riassumere entro 6 mesi, pena estinzione.
2. La rinuncia al ricorso
In qualunque stadio di grado del giudizio si può rinunciare al ricorso con dichiarazione sottoscritta dalla parte, o
dall'avvocato, munito di mandato speciale. La rinuncia può avvenire anche un moralmente all'udienza, con
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dichiarazione resa a verbale. La rinuncia e quindi atto di parte, e non può essere sottoposto a condizione, termino
modo; e anche atto unilaterale recettizio, e richiede che venga notificato alle altre parti (formalità non necessaria
se comunicata oralmente in udienza).La rinuncia può essere dichiarata anche per un ricorso in appello, e con la
sentenza che ne dà atto si produce l'effetto del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Spetta
rinunciante pagare le spese degli atti di procedura compiuti.
1. La decisione semplificata
Art.26 della legge del 1971, come novellato da L.205/2000, disciplina le "decisioni in forma semplificata", ossia le
sentenza succintamente motivate.
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fatto o di diritto ritenuto risolutivo, o ad un precedente). Il giudice provvede anche alle spese di giudizio, come da
c.p.c.
Tale decisione può essere assunta (sempre in contraddittorio):
- nella Camera di Consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare
- nella Camera di Consiglio fissata d'ufficio dopo l'istruttoria (anche se in questo caso si ha comunque udienza
pubblica, perché si tratta di udienza di trattazione).
Si semplifica la motivazione, elemento formale della sentenza, ma anche il rito quando vi è la concentrazione
della fase cautelare con quella di merito.
3. I presupposti
I presupposti sono:
- la completezza del contraddittorio
- la completezza istruttoria
Se il primo viene omesso, la decisione è appellabile: il Consiglio di Stato può rinviarla al primo giudice per difetto
di procedura.
Se ad essere incompleta è invece l'istruttoria, non vi è vizio di procedura, dunque il Consiglio di Stato può
direttamente provvedere agli accertamenti non effettuati.
Se il TAR dichiara erroneamente manifestamente irricevibile, inammissibile o improcedibile il ricorso, il Consiglio
di Stato trattiene la causa per decidere il merito.
Se invece il TAR dichiara erroneamente manifestamente fondato o infondato il ricorso, la controversia è devoluta
ad giudice di secondo grado, nei limiti del tantum devolutum quantum appellatum.
Tale rito è adottabile in qualunque occasione in cui il Collegio tratti la causa nel rito o nel merito (non solo se si
tratti di istanza cautelare dunque, perché le previsioni normative hanno carattere esemplificativo e non tassativo)
e per ogni lite di facile soluzione.
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E' stata codificata una prassi da sempre affidata alla discrezionalità dei Collegi, attraverso l'istituto del "rinvio della
trattazione dell'istanza cautelare congiuntamente alla discussione del merito".
CAPITOLO 6
I RITI SPECIALI
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- non si tiene conto della possibilità di introduzione di una provvisionale.
Si tratta di disposizioni di carattere eccezionale, insuscettibili di interpretazione estensiva: non si mira dunque al
principio di concentrazione, ma si vuole solo ridurre al minimo la possibilità che un processo possa rallentare
l’esecuzione di opere di interesse nazionale, facendo venire meno tuttavia le garanzie di difesa (dubbia legittimità
costituzionale).
Inoltre nella legge finanziaria del 2005 si stabilisce che le controversie in tema di autorizzazione alla realizzazione
di centrali elettriche siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ma se ci si oppone a
tali provvedimenti per il diritto alla salute? Si tratta di un interesse soggettivo, non degradabile ad interesse….
1.3 Le controversie sulle procedure esecutive di progetti facenti parte del quadro strategico nazionale
La L.2/2009, " norme straordinarie per la velocizzazione delle procedure esecutive di progetti facenti parte del
quadro strategico nazionale e simmetrica modifica delle relativo regime di contenzioso amministrativo", è inserita
nell'ambito di misure finalizzate a perseguire obiettivi economico-finanziari riconducibili a provvedimenti di
sostegno e l'accesso al credito, per incentivare la ripresa dell'economia. Sono affidati a commissari straordinari
delegati i poteri di vigilanza sui tempi di tutte le fasi di realizzazione degli investimenti nonché quelli di:
monitoraggio, vigilanza, impulso, richiesta di ogni documento utile, comunicazione al ministro competente quando
non si siano rispettati o non sia possibile rispettare i tempi stabiliti dal programma, proposta di revoca di
assegnazione delle risorse qualora sopravvengono circostanze che impediscano la realizzazione totale o parziale
dell'investimento. Per l'espletamento di tali compiti il commissario ha poteri anche sostitutivi, come quello di
assumere previa autorizzazione determinante funzioni di stazione appaltante. Sono previste inoltre innovative
norme processuali, di dubbia legittimità costituzionale e comunitaria, che fissano in 30 giorni il termine per
ricorrere. tale eccessiva riduzione dei termini comporta una menomazione all’attività della tutela giudiziaria. È
inoltre irrazionale che il processo si debba concludere con una decisione e per di più in forma semplificata, forma
che il nostro ordinamento ammette solo quando le ragioni siano manifeste, e qui si può dubitare visto che
l'oggetto è di solito molto complesso. È inoltre previsto che le misure cautelari e l'annullamento dei provvedimenti
impugnati non possano comportare in alcun caso la sospensione o la caducazione degli effetti del contratto già
stipulato, e, in caso di annullamento degli atti della procedura, il giudice può esclusivamente disporne il
risarcimento degli eventuali danni, solo per equivalente: la legge esclude espressamente la clausola di stand still,
che dovrebbe invece essere sempre prevista per le procedure pubbliche (e che stabilisce che nessun contratto
può essere stipulato prima del decorso del termine minimo di 10 giorni).
72
diritto alla riservatezza), la PA che ha il possesso del documento e ha deciso sull'accesso, e gli interventori (ma
questi ultimi non sono parti necessarie, né quelli ad opponendum, né ad adiuvandum). Le parti possono stare in
giudizio personalmente, e la PA può essere rappresentata da un dirigente.
In caso di silenzio-rifiuto, il legittimato all'accesso può adire o il difensore civico (per gli atti delle amministrazioni
comunali, provinciali o regionali) o la Commissione per l'accesso (per gli atti delle amministrazioni centrali e
periferiche dello Stato). Questi si pronunciano entro 30 giorni dalla presentazione dell'istanza. Scaduto tale
termine, il ricorso si ha per respinto. Se invece ritengono illegittimo il diniego, informano il richiedente e lo
comunicano alla PA che lo ha disposto. Se la Pa non motiva e non conferma il diniego nei successivi 30 giorni,
l'accesso è consentito (tuttavia non sono previste azioni coercitive in caso di inottemperanza della PA).
Se l'interessato si rivolge al difensore civico o alla Commissione per l'accesso, il termine per impugnare è
sospeso fino alla decisione. Se l'accesso è stato negato perché riguarda diritti di terze persone, è necessario
ricorrere al Garante per i dati personali.
Tale azione può essere proposta anche durante un altro ricorso giurisdizionale, con istanza al Presidente da
decidersi con ordinanza istruttoria in Camera di Consiglio.
4. Il rito elettorale
Il contenzioso è diviso tra giudice ordinario (per eleggibilità, incompatibilità, presentazione delle liste, in quanto
diritto soggettivi) e giudice amministrativo (competente circa lo svolgimento di operazioni per le elezioni di
Consigli comunali provinciali e regionali).
Si tratta di una disciplina celere per poter tutelare l’interesse pubblico al rispetto della volontà popolare. Il ricorso
si effettua entro 30 giorni dalla proclamazione degli eletti e ha ad oggetto il verbale di proclamazione degli eletti,
atto conclusivo del procedimento elettorale (ma anche i singoli atti possono essere immediatamente impugnati).
Legittimato attivo è qualsiasi cittadino elettore del Comune, o chiunque vi abbia interesse (caso di azione
popolare!). Il ricorso entro detto termine va depositato in segreteria e in calce ad esso è fissata l’udienza di
discussione in via d’urgenza. Entro i successivi 10 giorni, il ricorso deve essere notificato. Il ricorso e il decreto
sono entrambi da depositare entro 10 giorni dalla notificazione. È attenuato il rigore di specificità dei motivi di
ricorso (ma non possono neanche essere meramente ipotetici). All’udienza, se non vi sono necessità istruttorie, si
da lettura immediata del dispositivo. Se il ricorso è accolto, si corregge il risultato delle elezioni (la giurisdizione
del giudice amministrativo si estende al merito).
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Ma già precedentemente la giurisprudenza aveva ammesso la giurisdizione del giudice amministrativo per le
controversie contro i provvedimenti di non ammissione di una società sportiva di calcio a un determinato
campionato. Tali società sportive infatti, pur se soggetti di diritto privato (associazioni non riconosciute), possono
talvolta assumere la qualifica di organi del CONI, di natura pubblicistica.
È discriminante l’attività svolta:
- se le norme applicate riguardano l’attività riconducibile alla vita interna o ai rapporti tra le Federazioni, o tra le
Federazioni e i professionisti, si è nell’ambito del diritto privato
- se l’attività invece è finalizzata a realizzare interessi fondamentali dell’attività sportiva, queste sono a tutti gli
effetti organi del CONI.
- formale. Presente in tutte le sentenze, anche quelle meramente di rito; deriva dalla definitività della
sentenza; quando i mezzi ordinari di impugnazione (appello davanti al consiglio di stato; ricorso in
cassazione,solo per motivi di giurisdizione; revocazione ordinaria) sono stati tutti esperiti o quando è
scaduto il termine. La mancata proposizione dei mezzi straordinari di impugnazione (revocazione
straordinaria; opposizione di terzo manca il dies a quo) non pregiudica il passaggio in giudicato.
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- sostanziale. La cosa giudicata sostanziale è l'accertamento contenuto nella sentenza passata in
giudicato che fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi e i loro aventi causa; tale accertamento è
contenuto solo nelle sentenze di merito che definiscono il rapporto tra le parti. Se la sentenza rigetta il
ricorso, l'accertamento vincolante per le parti corrisponde al contenuto del provvedimento impugnato.
Invece, se il provvedimento è annullato, il potere amministrativo sopravvive all'annullamento, anche se la
sentenza che lo dispone (avendo accolto il ricorso) orienta la furutra azione dell'amministrazione.
La sentenza di annullamento dell’atto amministrativo ha il suo nucleo nell’accertamento della illegittimità del
provvedimento impugnato, in relazione a determinati vizi enunciati nel ricorso. A tale tipologia di sentenza si
ricollegano tre ordini di effetti:
- effetto eliminatorio. La sentenza di annullamento comporta l’eliminazione della c.d. realtà giuridica del
provvedimento annullato, che determina il venir meno degli effetti prodotti dal provvedimento.
- effetto ripristinatorio. La sentenza non opera ex tunc essa, pertanto, non solo elimina gli effetti della realtà
giuridica attuale il titolo che determinava un certo assetto si interessi, ma impone che quell’assetto di interessi sia
eliminato fin dall’origine. Ad esempio l’annullamento del decreto di esproprio obbliga l’Amministrazione a restituire
al proprietario espropriato i frutti percepiti dopo l’emanazione del decreto.
Nel caso di vizi procedurali non c’è effetto preclusivo. Effetto inibitorio che fa si che la PA non possa commettere
lo stesso errore senza incorrere in un nuovo annullamento dell’atto (se il giudice annulla un provvedimento di
destinazione a verde pubblico, la PA non potrà ribadirlo).
- effetto conformativo. L’accertamento contenuto nella sentenza non può essere disatteso
dall’Amministrazione : è necessario che l’accertamento della sentenza vincoli l’Amministrazione anche nella fase
successiva, di riesercizio del potere. Nella rinnovazione del procedimento l’Amministrazione non può riprodurre il
vizio già accertato nella sentenza : l’accertamento del vizio equivale all’affermazione di una regola che
l’amministrazione è tenuta a rispettare quando rieserciti il potere.
Il ricorrente punta, attraverso l’instaurazione del giudizio di ottemperanza, a dare soddisfazione a quella
medesima situazione che era stata originariamente azionata, e che a causa della indisponibilità
dell’amministrazione non ha trovato concreta rispondenza sul piano degli effetti giuridici, attesa l’assenza di un
provvedimento idoneo a produrne in conformità del giudicato.
L’individuazione del petitum del giudizio richiede un preliminare chiarimento in ordine alla differenza intercorrente
tra il giudizio di ottemperanza ed il giudizio di esecuzione di matrice civile.
Il giudizio di ottemperanza si prefigge, invece, proprio ed esattamente la identificazione della volontà di legge (o il
completamento di tale identificazione, ove nella sentenza ineseguita permangono ampi spazi di discrezionalità).
Il ruolo del giudice dell’ottemperanza consiste infatti nel procedere alla verifica della congruità della risposta
operativa fornita alla sentenza dalla parte pubblica e, in definitiva, alla determinazione del comportamento da
realizzarsi nella fattispecie concreta.
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Inerenti all’esecuzione sono l’effetto demolitorio e quello ripristinatorio, mentre attengono all’ottemperanza gli
effetti ulteriori, vale a dire, l’annullamento degli atti eventualmente posti in essere sulla base dell’atto annullato ed
il nuovo sviluppo dell’azione amministrativa in positivo, che si basa sulla mancanza dell’atto annullato.
Violazione del giudicato: l’amministrazione si ostina a non rispettare la statuizione giurisprudenziale passata in
giudicato, emanando provvedimenti formali che con questa si pongono in diretto contrasto
Elusione del giudicato: l’amministrazione si ostini a non rispettare la statuizione giurisprudenziale passata in
giudicato, emanando provvedimenti che con questa si pongono in diretto contrasto, ma tendono a farlo in
maniera surrettizia, cioè un’azione operata in maniera ambigua, di nascosto; un atto in cui viene taciuta
intenzionalmente qualche circostanza fondamentale.
Secondo l'orientamento espresso dal Consiglio di Stato sez. IV, 6-10-2003, n. 5820, il vizio di elusione del
giudicato ricorre sia nel caso in cui l'Amministrazione eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già
illegittimamente esercitata, in contra- sto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato amministrativo, sia
quando la stessa cerchi di realizzare il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di
potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo
giustificano. Quando l’amministrazione, a fronte della sentenza a se sfavorevole, sia rimasta inerte, ovvero abbia
esplicitamente dichiarato di non voler ottemperare al giudicato, l’azione esperibile sarà senza dubbio quella
volta ad introdurre il giudizio di ottemperanza.
Del pari, quando l’ottemperanza al giudicato risulti solo parziale, sarà sempre esperibile il ricorso in ottemperanza
per l’esecuzione delle statuizioni rimaste inosservate.
La particolare circostanza che, nei due casi di violazione ed elusione del giudicato, l’atto sia nullo ope legis,
produce rilevanti riflessi tanto sul regime dell’azione quanto sull’ambito della cognizione del giudice.
Sotto il secondo profilo, nei casi di violazione o elusione del giudicato anche il contenuto della sentenza di
ottemperanza è destinato ad arricchirsi nella sua parte “di cognizione”:
la pronuncia avrà anzitutto un contenuto di accertamento della ricorrenza delle cause di nullità;
essa poi, prendendo le mosse dalla sentenza originaria (violata o elusa) disporrà quanto necessario per fissare i
parametri dell’azione amministrativa al fine di perseguire la effettiva attuazione del giudicato (attività esecutiva e
di ottemperanza).
Ci si chiede se, qualora la PA violi o eluda il giudicato, il legislatore abbia inteso imporre al privato l'onere di agire
non sulla base del ricorso in ottemperanza, bensì con il rito ordinario di cognizione. Tale approccio però non
soddisfa: manca infatti la tutela per il cittadino, in più la giurisdizione esclusiva attiene alla natura delle situazioni
soggettive azionabili, ed è cosa differente dalla forma e dalla procedura (che possono in ogni caso seguire il
72
giudizio d'ottemperanza). Inoltre sia l'impescrittività dell'azione, sia la cognizione del giudice sono proprie
dell'ottemperanza.
Il ricorrente non potrà pretendere una piena esecuzione della sentenza, i cui contenuti precettivi siano
contraddetti da sopravvenienze di fatto e di diritto, intervenute fino alla notifica della sentenza da eseguire. Il
ricorrente comunque potrà ottenere un risarcimento per illegittimo comportamento della PA.
Il giudizio di ottemperanza
Il giudizio di ottemperanza alle sentenze definitive del giudice amministrativo costituisce la risposta operativa
all’esigenza primaria che la parte soccombente si adegui alla decisione resa dal giudice.
Il giudizio di ottemperanza è stato trattato da diverse leggi, come la legge TAR (1971) che prevedeva tale giudizio
sia nei riguardi delle sentenze del giudice ordinario quanto per quelle del giudice amministrativo, fino ad arrivare
all’ultima tappa dell’evoluzione normativa che si rinviene nella legge 205/2000 con la quale si è esteso tale
giudizio anche alle sentenze di primo grado, soggette ad impugnazione, oltre che alle ordinanze cautelari.
Il giudizio di ottemperanza si caratterizza quale strumento idoneo a rendere concrete le statuizioni contenute
nella sentenza in cui esso trova il suo titolo e, in definitiva, a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale.
Non costituisce presupposto processuale l’inadempimento dell’amministrazione del giudicato: tale elemento
è, viceversa e più propriamente, parte dell’oggetto del giudizio, poiché su di esso si appunta un’attività di
accertamento demandata dal giudice.
• pronunce che annullano provvedimenti negativi di controllo, restituendo così piena efficacia all’atto
controllato, senza che occorra da parte dell’amministrazione una specifica attività di adeguamento;
• sentenze che annullano taluni atti sanzionatori (sanzione disciplinare dell’ammonimento);
• sentenze che annullano provvedimenti amministrativi di autotutela demolitoria (revoche, annullamenti
d’ufficio), ripristinando gli effetti dell’atto oggetto del procedimento di secondo grado.
In tutti questi casi il giudizio di ottemperanza è ritenuto inammissibile, in quanto la sentenze è qui idonea di per sé
a soddisfare compiutamente l’interesse del ricorrente.
Inoltre la inammissibilità del giudizio di ottemperanza è stata sancita relativamente ai ricorsi in ottemperanza
proposti in esito a decisioni avente carattere meramente processuale e prive di statuizioni di merito.
Inammissibile l’ottemperanza promossa avverso le sentenze di rigetto, sul presupposto che esse lascino
immutato il preesistente asssetto giuridico dei rapporti.
5. La procedura
Procedura:
è delineata nel regolamento di procedura del Consiglio di Stato, integrato dalla giurisprudenza.
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a) Legittimati:
Tutti i soggetti sui quali il giudicato spiega i suoi effetti immediati (chi ha partecipato al giudizio). Se il giudicato è
efficace ultra partes, è legittimato ogni soggetto interessato, anche se estraneo al giudizio.
b) Termine:
Finché duri l'azione di giudicato: ossia 10 anni dalla data di passaggio in giudicato della sentenza.
c) A pena di inammissibilità:
prima del ricorso per ottemperanza, l'interessato deve notificare alla PA un atto stragiudiziale di diffida ad
adempiere il giudicato entro un termine non inferiore ai 30 giorni. L'atto di messa in mora non è necessario se la
Pa dichiara di non voler adempiere, o se il rifiuto risulto da un comportamento concludente.
d) Competenza:
a. Quanto alla competenza, l’organo innanzi al quale instaurare il giudizio di ottemperanza è lo stesso giudice
che l’ha adottata, al quale spetta stabilire le regulae juris da realizzarsi da parte dell’amministrazione.
Così il TAR è competente per l’ottemperanza alle proprie decisioni passate in giudicato ed anche a quelle che
sono state pienamente confermate nella loro portata sostanziale (dispositivo e motivazione) dal Consiglio di
Stato.
Nel caso in cui venga proposto il giudizio di ottemperanza innanzi al giudice incompetente, si ritiene che la
relativa eccezione possa essere eccepita anche senza le forme del regolamento di competenza, ferma
restando la sua rilevabilità d’ufficio.
e. Per quanto concerne la garanzia del contraddittorio, il regolamento 642/1907, all’art.91, prevede che il
ricorso sia soggetto non già a notifica ma direttamente a deposito presso l’organo giurisdizionale
competente;
di tale deposito il segretario dà immediata comunicazione alla sola pubblica amministrazione interessata, la
quale, entro i 20 giorni successivi, può trasmettere le proprie osservazioni alla Segreteria del giudice.
f. Il giudizio di ottemperanza è trattato in adunanza camerale; è però consentita, a domanda, la trattazione del
ricorso in pubblica udienza.
La prassi giurisprudenziale ammette anche la proposizione di istanze cautelari.
g. Quanto all’estinzione del giudizio di ottemperanza, questa ha luogo solo a seguito di sopravvenuta integrale
esecuzione del giudicato.
la legge 205/2000 prevede che all’atto dell’insediamento “ il commissario, preliminarmente all’emanazione del
provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se, anteriormente alla data dell’insediamento medesimo,
l’amministrazione abbia provveduto, ancorchè in data successiva al termine assegnato dal giudi la
permanenza del potere in capo all’amministrazione comporta che l’adozione di atti adempitivi del giudicato,
indipendentemente dalla soddisfazione dell’interesse del ricorrente, provochi l’improcedibilità del giudizio
di ottemperanza per sopravvenuta carenza di interesse; si ha però improcedibilità per cessazione della
materia del contendere quando gli atti adempitivi producano la soddisfazione di tale interesse.
h. L E’ ammissibile l’appello contro la sentenza emessa nel primo grado del giudizio per ottemperanza allorchè
esso sia diretto a sollecitare la verifica del precedente decisum giudiziale nel suo contenuto di accertamento.
i. Avverso la sentenza di ottemperanza si ammette l’opposizione di terzo da parte del litisconsorte necessario
pretermesso, ovvero del terzo che sia titolare di un diritto autonomo ed incompatibile con l’accertamento
contenuto nella sentenza.
l. Le sentenze rese dal Consiglio di Stato quale giudice dell’ottemperanza sono soggette a ricorso per
Cassazione per motivi di giurisdizione.
I soggetti legittimati a proporre ricorso per Cassazione sono il privato e l’amministrazione soccombente,
anche se diversa da quella competente ad emettere l’atto dovuto in esecuzione del giudicato.
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I poteri del giudice sono amplissimi, siamo infatti in uno dei casi della giurisdizione anche di merito:
a) il giudice si sostituisce alla PA inadempiente fino ad emanare atti amministrativi che comportino discrezionalità
amministrativa (sostituisce la propria decisione all'omesso provvedimento della PA)
b) oppure nomina (nella stessa sentenza nella quale assegna il termine) un Commissario ad acta, che provveda
a posto della PA qualora questa non adempia nel termine.
Tale figura è di costruzione giurisprudenziale: deve realizzare il dictum contenuto nella sentenza, ed ha la
funzione strumentale di adeguamento della realtà al contenuto del giudicato. Non è un organo straordinario della
PA, ma un ausiliario del giudice.
Se gli atti del Commissario sono impugnati dal ricorrente, questi dovrà proporre ricorso al giudice
dell'ottemperanza. Se sono invece impugnati da un terzo, si aprirà un nuovo processo di cognizione davanti al
TAR. Se gli atti infine esulano dalle sue funzioni, vi sarà un ordinario giudizio di legittimità.
Per questo all’attività del commissario si riconosce la funzione strumentale di adeguamento della realtà alle
statuizioni contenute nel giudicato.
Commissario come organo ausiliario del giudice, in quanto è quest’ultimo che l’ha nominato e da questi deriva i
propri poteri di sostituzione.
Per parte dell’amministrazione, ad essa e precluso di rimuovere in via di autotutela i provvedimenti commissariali.
Per parte del ricorrente, gli atti commissariali saranno impugnabili con il solo strumento del ricoso al giudice
dell’ottemperanza.
Quando la contestazione degli atti commissariali proviene da soggetti terzi rispetto alle parti del giudizio, si
richiede l’instaurazione di un nuovo processo di cognizione al TAR.
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- le sentenze appellate ma la cui sospensione è stata negata dal Consiglio di Stato.
Differenze con il giudizio di ottemperanza del giudicato:
- I presupposti:
L'interesse qui è precario, non stabile, perché la sentenza potrebbe essere riformata in secondo grado
- Non è necessaria la preventiva diffida
PARTE 7
LA TUTELA NON GIURISDIZIONALE
CAPITOLO 1
I RICORSI AMMINISTRATIVI
1. Considerazioni introduttive
Istituti di protezione dei cittadini nei confronti di un provvedimento della PA. Sono proposti dinnanzi all'autorità
amministrativa e sono decisi con atto amministrativo.
La PA attraverso tale funzione non svolge né una funzione giurisdizionale (anche se le caratteristiche sono simili),
né di controllo (perché è su istanza di parte), ma un'attività amministrativa di secondo grado (perché ha ad
oggetto un provvedimento amministrativo già esistente).
La PA decide in contraddittorio con le parti la controversia che è concreta, attuale e originata da un atto
amministrativo già adottato dalla PA. Il riesame inizia con la domanda del diretto interessato. La PA chiamata a
decidere ha discrezionalità assai limitata, in quando tempo sottostare al principio del dispositivo (questo perché i
ricorsi amministrativi sono comunque rimedi giuridici).
2. Quadro normativo
I ricorsi amministrativi (a differenza di quelli giurisdizionali) non hanno garanzie costituzionali (le hanno solo il
ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia e al Capo dello Stato). Se è vero che in Costituzione non
vi sono richiami ai ricorsi amministrativi, tuttavia emerge l'esigenza di un modello di PA che assicuri anche tutela
giurisdizionale. La legislazione degli anni '70 ha tentato di affermare nuovi modelli di PA. La legge istitutiva dei
TAR, ad esempio, ha previsto l'unificazione in un'unica istanza del ricorso gerarchico, la piena facoltatività tra
ricorsi ordinari e giurisdizionali, e l'espressa previsione e disciplina dei ricorsi gerarchici impropri.
Il recupero dei ricorsi amministrativi risponde all'esigenza non solo di assicurare ai cittadini una tutela veloce e
poco costosa nei confronti della PA, ma soprattutto estesa al merito. Tuttavia i ricorsi sono in crisi perché la PA
storicamente non è veloce, non sa rimettere in discussione le precedenti valutazioni e non è imparziale.
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finalizzati a risolvere una controversia in settori in cui è in qualunque modo coinvolta la PA. Riguardano di solito
diritti soggettivi, e i rimedi sono tassativi e decisi da un organo terzo.
- Solo per vizi di legittimità:
Ricorso straordinario al Capo dello Stato
- Anche per vizi di merito:
ampiezza dei poteri di cognizione dell'autorità che decide. Si tratta dell'unico modo offerto al cittadino per
sollevare davanti alla PA anche questioni di opportunità (ricorso gerarchico proprio e per opposizione)
Tutti i ricorsi sono da redigere in forma scritta, pena nullità.
Il ricorso inoltre deve contenere tutti gli elementi richiesti. Non è necessario il patrocinio di un avvocato.
4. Il ricorso gerarchico
Già presente negli Stati pre-costituzionali, è stato espressamente previsto con la legge abolitiva del contenzioso
amministrativo.
Tale legge prevedeva per le situazioni soggettive diverse dai diritti soggetti un sistema di tutela articolato su 2
livelli:
- il cittadino assistito da alcune garanzie si poteva rivolgere alla stessa autorità amministrativa che aveva adottato
il provvedimento
- i decreti motivati con i quali l'organo adito si pronunciava su queste vertenze potevano diventare oggetto di
ricorso in via gerarchica.
Il legislatore aveva ideato una valida forma di tutela, sia perché permetteva al cittadino di impugnare i
provvedimenti lesivi di interessi esclusi dalla tutela del giudice ordinario, sia perché si poteva ottenere quella
tutela costitutiva esclusa invece nell'ambito giurisdizionale. Ma tale obiettivo fallì perché i ricorsi gerarchici non
erano intesi dalla PA come strumento di tutela dei cittadine, ma come luogo ove tutelare le proprie ragione.
Attualmente il ricorso gerarchico è disciplinato dal decreto 199/1971: contro gli atti amministrativi non definitivi è
ammesso ricorso in unica istanza all'organo sovraordinato, per motivi di legittimità e di merito, da parte di chi vi
abbia interesse, a tutela di diritti soggettivi e di interessi legittimi.
La formula "gerarchico" è stata sostituita con "sovraordinato", che maggiormente rispecchia la realtà
amministrativa. Con "unica istanza" invece si tende a sottolineare il principio costituzionale del buon andamento
(economicità dell'azione amministrativa).
Si tratta di una relazione gerarchica di tipo esterno: cioè tra organi, non tra persone.
I provvedimenti possono essere impugnati anche per vizi di merito.
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competenza esclusiva per quella materia, o da un organo gerarchicamente inferiore ma sulla base di puntuali
ordini del superiore).
In tutti gli altri casi, la definitività si ha a seguito della decisione sul ricorso o in seguito alla formazione del
silenzio-assenso.
Atti non impugnabili, per espressa previsione di legge:
- gli atti emanati dai dirigenti preposti al vertice delle amministrazioni
- gli atti normativi delle autorità amministrative se non insieme al provvedimento che ne costituisce applicazione
- gli atti riguardanti la fase preparatoria o integrativa dell'efficacia di un provvedimento
- gli atti meramente confermativi e quelli esecutivi di provvedimenti precedenti non impugnati
7. Il procedimento
Il ricorso deve essere presentato entro 30 giorni dalla notifica o dalla conoscenza dell'atto, o direttamente
all'autorità competente, o con notificazione tramite ufficiale giudiziario o mediante raccomandata a/r. Non occorre
il patrocinio di un avvocato. Non vi è garanzia piena del contraddittorio: il ricorrente infatti non è tenuto ad
avvisare né l'autorità che ha emanato l'atto né i controinteressati.
L'organo che ha emanato l'atto non partecipa, perché l'interesse della PA è già soddisfatto dal fatto che il ricorso
sia comunque indirizzato ad un suo organo. L'organo adito darà poi comunicazione ai controinteressati.
Per quanto riguarda l'istruttoria, la PA può disporre di tutti gli accertamenti utili ai fini della decisione, ma non di
quei mezzi istruttori che incidano su diritti costituzionalmente garantiti (perquisizioni, ispezioni...). Il ricorso non
sospende l'efficacia del provvedimento, salvo i casi previsti dalla legge. Tuttavia può essere sospesa, d'ufficio o
su istanza di parte, per gravi motivi. L'istanza di sospensione può essere contenuta nello stesso ricorso o essere
successiva.
Sono ammessi sia il ricorso incidentale che i motivi aggiunti, nonché l'intervento ad adiuvandum e ad
opponendum.
8. La decisione
l'autorità amministrativa ha il dovere di pronunciarsi sulla legittimità (o opportunità) dell'atto impugnato e adottare
se richiesti provvedimenti rinnovatori. La decisione deve essere motivata e redatta per iscritto (pena nullità).
Anche qui si distingue tra decisioni di rito e di merito. La decisione, dopo l'unificazione in un'unica istanza, è atto
definitivo impugnabile in via giurisdizionale o con ricorso straordinario al Capo dello Stato. L'autorità deve
esaminare prima le censure di rito, poi di merito, e deve pronunciarsi su tutti i motivi del ricorso (pena nullità),
salvo principio dell'assorbimento.
9. Il silenzio-rigetto
Il silenzio-rigetto:
Il ricorso gerarchico deve essere deciso e comunicato entro 90 giorni dalla presentazione, trascorsi inutilmente i
quali si ha per respinto ed eventualmente l'atto originario potrà essere impugnato in via giurisdizionale o con
ricorso straordinario al Capo dello Stato.
Qualora scada il termine, e la PA si pronunci tardivamente, tale decisione sarà in ogni caso legittima. Se (in
pendenza di ricorso giurisdizionale o straordinario) sarà di accoglimento, determinerà la cessazione della materia
del contendere (ma sarà comunque impugnabile dai controinteressati lesi); se di rigetti, non porrà alcun onere di
impugnativa. Il passaggio in giudicato della sentenza rende inefficace la decisione tardiva della PA.
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Permangono invece dubbi sulla facoltatività: lasciare scegliere il privato vuol dire infatti vanificare la ratio
dell'istituto, che è quella di far riesaminare l'atto da un'autorità amministrativa tecnicamente più preparata in
materia rispetto al giudice, ma come questi neutrale. La Corte ha sancito che quando siano necessari
accertamenti tecnici, la fase gerarchica impropria deve precedere quella giurisdizionale.
11. Il ricorso in opposizione
E' ammesso solo nei casi previsti per legge (statale o regionale). Si tratta di un ricorso diretto alla stessa autorità
che ha emanato l'atto (è resistente e decidente!). Sono previsti tuttavia pochissimi casi, in quanto nemmeno il
legislatore crede nella capacità della PA di riesaminare le proprie posizioni.
Per la disciplina, anche qui ci si rifà al ricorso gerarchico proprio, questo per tentare una sostanziale
equiparazione del ricorso per opposizione a quello gerarchico (per il principio della semplificazione). Sono
applicabili, tra le altre, le regole per presentare e notificare il ricorso, quelle sul contraddittorio, sulla sospensione
e sulla facoltatività.
Vi si ricorre per vizi sia di legittimità che di merito, contro provvedimenti non definitivi. La decisione sul ricorso ha
carattere definitivo.
E' poco usato, ma qualora servisse a ripensare errori negli accertamenti o nelle valutazioni tecniche, potrebbe
essere assai utile.
CAPITOLO 2
IL RICORSO STRAORDINARIO AL CAPO DELLO STATO
1. Premessa
E' un residuo della funzione di giustizia data al re. E' disciplinato dalla legge del 1971, e da quella del 2000 per
quanto riguarda la sospensione del provvedimento impugnato.
- generale: sempre ammesso se non quando è escluso per legge
- straordinario: perché devono essere esperiti gli altri rimedi amministrativi, in quanto è ammesso solo contro atti
definitivi
. eliminatorio: in caso di accoglimento, comporta solo decisioni di annullamento
- impugnatorio: serve a demolire un provvedimento amministrativo
- alternativo: rispetto alla tutela giurisdizionale
2. Natura giuridica
La dottrina lo individua come strumento giurisdizionale, per il parere obbligatorio e semivincolato che deve fornire
il Consiglio di Stato. Ma in ogni caso la giurisprudenza lo pone insieme ai rimedi amministrativi anche se anomalo
e con molte analogie con il ricorso giurisdizionale.
Tale situazione è mutata nel 1997, quando la sentenza della Corte di Giustizia dell'UE ha affermato che il
Consiglio di Stato, anche quando esprime solo un parere, costituisce comunque una giurisdizione. Può quindi
sollevare questioni di pregiudizialità comunitaria, di legittimità costituzionale, la decisione ha valore di cosa
giudicata (e vi si può esperire il giudizio di ottemperanza).
Tuttavia la Cassazione nel 2001 sancisce che il decreto con cui viene deciso un ricorso straordinario ha
comunque natura amministrativa, e su di esso non è instaurabile un giudizio di ottemperanza. Dello stesso avviso
è la Corte Costituzionale, secondo la quale il Consiglio di Stato non è legittimato a sollevare incidente di
costituzionalità in sede di parere.
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Non è proponibile se la giurisdizione è attribuita ad un giudice speciale, per le questioni devolute ad un collegio
arbitrale (natura di lodo arbitrale della relativa decisione), per i conflitti di attribuzione di esclusiva competenza
della Corte Costituzionale.
4. La proposizione
Il ricorso si deve proporre entro 120 giorni, senza sospensione feriale dei termini.
A meno che non vi sia la rimessione in termini, il ricorso deve essere notificato (pena inammissibilità) a tutti i
controinteressati e alla PA che ha emanato l'atto, e presentato con la prova dell'avvenuta notificazione (pena
irricevibilità) direttamente (tramite notificazione o raccomandata a/r) all'organo che ha emanato l'atto impugnato,
che la dovrà poi far arrivare al Ministro competente.
Vi è garanzia del contraddittorio, ma non nei confronti dell'autorità che ha emesso l'atto, perché il ricorso è in ogni
caso deciso da un organo statale. Entro 60 giorni i controinteressati hanno l'onere di produrre memorie e
documenti dei quali il ricorrente potrà prendere visione tramite il diritto d'accesso. I controinteressati possono,
entro lo stesso termine, presentare ricorso incidentale. E' ammesso l'intervento (ad opponendum e ad
adiuvandum), e i motivi aggiunti.
7. La decisione
formulata come proposta di decreto al Presidente della Repubblica, è assunta dal Ministro competente sulla base
del parere del Consiglio di Stato.
La decisione è assunta con decreto motivato (di solito con rinvio al parere del Consiglio di Stato) del Capo dello
Stato, di cui il Ministro assume ogni responsabilità. Il decreto è comunicato alle parti e pubblicato sulla Gazzetta
ufficiale. La decisione di accoglimento del Ricorso ha come effetto l'annullamento del provvedimento impugnato.
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- Poi venne negato per la sua natura amministrativa (anche se vi è comunque un obbligo per la PA di conformarsi
alla decisione del Capo dello Stato)
In caso di inadempimento l'interessato può solo esperire il ricorso giurisdizionale contro il silenzio-rifiuto della PA.
Per la Corte di Giustizia europea, il parere del Consiglio di Stato ha comunque carattere decisionale, e acquista
valore di cosa giudicata: si può dunque esperire l'ottemperanza.
Tale decisione non è impugnabile, ma lo è solo per revocazione. Questa presuppone il contrasto tra due giudicati,
quello dei ricorso giurisdizionale e quello del ricorso straordinario.
La Cassazione, tornando sul problema, afferma la natura amministrativa del ricorso straordinario, escludendo
l'esperibilità del ricorso per ottemperanza.
Tuttavia nel 2005 il Consiglio amministrativo per la regione siciliana, stabilendo che il ricorso straordinario è
plasmato sia dalla giurisprudenza che dal legislatore sul modello del ricorso giurisdizionale, afferma la possibilità
di esperire il ricorso per l'ottemperanza.
9. Le misure cautelari
L.205/2000 prevede che su richiesta del ricorrente e in presenza di danni gravi ed irreparabili, il Ministro
competente può, con decreto motivato e previo parere del Consiglio di Stato, sospendere il provvedimento
impugnato. Ma la misura cautelare p limitata alla sola sospensione del provvedimento, non è misura atipica come
da L.205/2000 relativamente alla tutela giudiziale.
11. La revocazione
per i casi dell'art.395 c.p.c., da proporsi al Capo dello Stato nelle stesse forme del ricorso straordinario. Da
notificarsi all'amministrazione (se non è statale) che ha emanato l'atto impugnato e ad almeno uno dei
controinteressati. Da presentarsi al Ministro competente entro 60 giorni dalla notifica del decreto presidenziale
impugnato, o dalla scoperta del vizio. E' richiesto il parere del Consiglio di Stato.
E' inammissibile la revocazione della revocazione, e la revocazione per motivi attinenti all'interpretazione delle
norme.
La revocazione va proposta non contro il provvedimento originario, ma contro il decreto del Presidente della
Repubblica.
12. L’impugnabilità
entro certi limiti anche in sede giurisdizionale, solo per vizi di forma o di procedimento (errores in procedendo) e
solo per momenti del procedimento successivi al parere del Consiglio di Stato. Il limite dell'alternatività è sia per il
ricorrente (al momento della scelta) sia per la parte resistente (può trasferire la controversia in sede
giurisdizionale).
Al controinteressato cui non è stato notificato (e quindi non ha potuto fare trasposizione del giudizio) è permessa
l'impugnazione anche per errores in judicando. Stesso dicasi per le amministrazioni diverse da quella statale.
La decisione del ricorso straordinario può comunque essere impugnata davanti al giudice ordinario, che la potrà
disapplicare come previsto dall'art. 4 della legge del 1865 di unificazione amministrativa.
CAPITOLO 3
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GLI STRUMENTI DI GIUSTIZIA ALTERNATIVA
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giurisdizionale, fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione. Ruolo
centrale è riconosciuto ai comitati regionali, ai quali sono delegate le attività conciliative. I verbali di conciliazione
ha inoltre valore di titolo esecutivo. l'individuazione della competenza per territorio è effettuata in bassa luogo di
residenza e la procedura conciliativa si svolge entro 30 giorni dalla proposizione dell'istanza. Le parti possono
partecipare all'udienza di conciliazione personalmente o attraverso proprio rappresentante o associazioni di
consumatori. Se il tentativo di conciliazione fallisce le parti hanno la possibilità o di adire le vie giurisdizionale o
chiedere all'autorità di garanzia di definire la controversia entro 150 giorni, attraverso la presentazione di un
ricorso amministrativo alla stessa nel termine di sei mesi dal fallimento del tentativo di conciliazione. Tale
procedura si conclude con l'emanazione di un provvedimento decisorio che può essere impugnato davanti al Tar
del Lazio, che ha competenza funzionale. A ciascun comitato regionale può essere poi delegata la controversia
attualmente gestita dall'autorità, a condizione che venga garantita una distinzione tra funzione conciliativa e
funzione di soluzione dei conflitti.
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per quanto riguarda i patti di famiglia, introdotti nel 2006, questi derogano al divieto civilistico di stipulare patti
successori: le controversie che nascono in relazione la disciplina del patto di famiglia sono devolute
preliminarmente ad uno degli organismi di conciliazione.
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La transazione è consentita per tutte le controversie relative all'esecuzione dei contratti con oggetto appalti
pubblici, indipendentemente dal loro valore, previa deliberazione dell'amministrazione nella quale siano indicate
le ragioni di fatto e di diritto a sostegno della scelta transattiva.
l'accordo bonario è applicabile invece per le riserve o contestazioni scritte o verbalizzate nei documenti contabili
fino al momento del loro avvio, ai lavori pubblici nei settori ordinari affidati da amministrazioni aggiudicatrici ed
enti aggiudicatori, o dai concessionari se l'importo dell'opera può variare in misura non inferiore al 10%
dell'importo. Alla comunicazione delle riserve o delle contestazioni, momento di inizio della procedura, segue una
fase di controllo da parte del responsabile del procedimento per verificare la nonna manifesta infondatezza. A
questi spetta poi la promozione dell'eventuale costituzione della commissione, con membri che abbiano specifica
competenza sull'oggetto del contratto, e non si trovino in una condizione di astensione o incompatibilità. La
commissione formula una proposta di accordo bonario da comunicarsi alle parti, che devono pronunciarsi sulla
stessa dandone comunicazione al responsabile del procedimento. Decorsi termini per accettare la proposta è
prevista la possibilità di far ricorso all'arbitrato.
Lo strumento arbitrale è invece esperibili è, oltre che in relazione alle controversie vertenti su di chi, anche per
quelle collegate ai concorsi di progettazione di idee e per quelle controversie non risolte in sede di accordo
bonario, tranne quelle demandate in via esclusiva al tar. La norma è assai scarna, e rimane la alla disciplina del
c.p.c.: il collegio arbitrale è composto da tre membri nominati da di esperti dalle parti contendenti. Il presidente e
scelto dalle parti o dagli arbitri e nel giudizio sono ammissibili i mezzi di prova del c.p.c., tranne il giuramento. La
pronuncia del lodo avviene con deposito presso la camera arbitrale, entro 10 giorni dall'ultima sottoscrizione.
Questa, istituita presso l'autorità di vigilanza, cura la formazione della tenuta dell'albo degli arbitri, redige il codice
deontologico e provvede agli adempimenti per la sessione ed il funzionamento del collegio arbitrale. È composta
da cinque membri nominati dall'autorità fra soggetti dotati di particolare competenza in materia di contratti pubblici
di lavori, servizi e forniture. Sono vietate clausole compromissorie in tutti i contratti aventi ad oggetto lavori,
forniture e servizi o di sottoscrivere compromessi. In tal caso sarebbero nulli e la sottoscrizione costituirebbe
illecito disciplinare determinante responsabilità erariale. L'operatività di tale disposizione è stata sospesa fino al
luglio 2008, per istituire presso i tribunali ordinari apposite sezioni specializzate; la proroga è stata poi estesa fino
all'effettiva attivazione di tali sezioni.
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