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com/2011/01/net-
revolution.html
Solo dai canali web arriva la notizia del rapimento del giornalista Wissam Saghir dal Conservatorio di Tunisi,
su cui al momento non ci sono altri dettagli. E sulla pagina Facebook del gruppo Sidi Bouziz News,
compaiono le immagini in tempo reale delle manifestazioni. Aggiornamenti da tutti i teatri della protesta, e i
video delle violenze a Thala, Regueb e Kasserine, con immagini esplicite della repressione. Gli attivisti web
segnalano anche la presenza di cecchini sui tetti delle città in cui si protesta: sarebbero diversi i manifestanti
uccisi dai tiratori della polizia, ma il numero delle vittime è un'incognita, a causa del blackout
dell'informazione e della discordanza delle testimonianze. Nel caso di Kasserine, il numero di feriti più o
meno gravi sembra consistente. Le agenzie internazionali riferiscono di un morto tra i ricoverati di ieri, ma
fonti locali parlano di un gran numero di persone ferite ricoverate nel reparto di rianimazione dell'ospedale,
messo sotto controllo dall'esercito. Secondo fonti mediche e sindacali, mancano scorte di sangue per curare
i feriti. Nelle città di Regueb e Thala la polizia ha aperto il fuoco per disperdere i manifestanti.
Ha ventidue anni 'El General', e la sua colpa è quella di 'rappare' il disagio del popolo tunisino: "Presidente,
il tuo popolo muore", canta Il Generale, nome d'arte di Hamado Bin Omar, 22 anni. Ela polizia lo arresta e lo
trattiene, per le accuse esplicite al presidente Ben Ali. Un'invettiva in rima che è diventata subito la colonna
sonora della rivolta di Sidi Bouzid, che in poco tempo ha coinvolto tutto il Paese.
Zin el-Abidin Ben Ali parla in tv degli scontri: "Bande di persone a volto coperto hanno attaccato la scorsa
notte sedi istituzionali in diverse città del Paese. Si tratta di bande pagate e comandate da entità straniere
con l'obiettivo di colpire il Paese". Il presidente denuncia "atti terroristici" perpetrati dai manifestanti scesi in
piazza contro il carovita, e promette la creazione di 300mila nuovi posti di lavoro. Dalla Rete arrivano le
repliche. "Su che pianeta vive? Non riesco a smettere di ridere", o anche "Ben Ali se ne fotte di noi", "Ascolto
il discorso e capisco quanto il premier sia distante dalla realtà del Paese". Un'idea dell'opinione generale sul
discorso di Ben Ali la dà il commento di un utente Twitter: "I manifestanti non sono terroristi. Il terrorista è
Ben Ali".
Proiettili di gomma, lacrimogeni e ancora disordini durante i funerali delle vittime degli scontri degli scorsi
giorni. A Regueb oltre 3.000 manifestanti si sono recati in corteo fino all'abitazione di Manal Boualagui, una
giovane donna morta domenica, prima che intervenisse la polizia per disperdere la folla sparando proiettili di
gomma. Anche a Thala la polizia ha sparato proiettili di gomma per disperdere la folla accorsa per protestare
contro "arresti di massa" e perquisizioni in abitazioni delle vittime.
Il governo tunisino ha annunciato oggi la chiusura delle scuole e delle università in tutta la Tunisia "fino a
nuovo ordine".
La "rivolta del pane" suscita preoccupazione anche tra la comunità tunisina di Mazara del Vallo, la più
numerosa d'Italia con quasi 3.000 componenti, molti dei quali appartengono ormai alla terza generazione.
Tra i tunisini che vivono a Mazara c'è timore a esporsi con dichiarazioni pubbliche per paura di essere
additati come oppositori del governo di Ben Ali. E soprattutto, di subire ritorsioni nel caso di un rientro in
patria.
I disordini in Tunisia si riflettono naturalmente sui quotidiani e i siti francesi. Le Monde definisce apertamente
il governo "complice", riferendosi al silenzio del presidente Nicolas Sarkozy. Sul web si invita a utilizzare il
sondaggio fisso con cui Le Figaro esorta i suoi lettori ad esprimersi su quali argomenti vorrebbero vedere
trattati, approfondendo la questione tunisina.
L'Unione Europea chiede di "limitare l'uso della forza, di rispettare le libertà fondamentali" e in particolare "di
rilasciare immediatamente blogger, giornalisti, avvocati e altre persone incarcerate che hanno dimostrato
pacificamente". A lanciare l'appello sono l'Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza
Catherine Ashton e il commissario all'allargamento Stefan Fuele. Lo fanno con una nota diffusa a Bruxelles,
in cui si invitano anche le autorità tunisine a "indagare sui recenti fatti e fornire ulteriori informazioni" e tutte le
parti coinvolte a "impegnarsi nel dialogo allo scopo di trovare una soluzione ai problemi sollevati dai
manifestanti".
Ma se i manifestanti si spostano su Internet per continuare la rivolta le forze dell'ordine non stanno certo a
guardare. Secondo Reporters Sans Frontier, diversi blogger e attivisti in rete sarebbero stati arrestati nei
giorni scorsi, mentre sul web circola l'allerta sul presunto tentativo del governo tunisino di hackerare account
su Facebook, Google e Yahoo. E tentativi in questo senso sono stati testimoniati anche da A Tunisian Girl,
una blogger che scrive dal paese mahgrebbino. A dare sostegno ai dissidenti tunisini è intervenuto però un
gruppo di hacker conosciuti come Anonymous (gli stessi che nelle scorse settimane si erano attivati a
sostegno di Julian Assange), che ha messo in piedi Operation: Tunisia, un sistema che dovrebbe permettere
ai navigatori del paese maghrebino di poter scrivere in modo anonimo in rete. Il simbolo usato, e ripubblicato
con il logo della bandiera tunisina in giro per la rete, è il manifesto del film V for Vendetta.
Nonostante gli arresti e il controllo del governo su Facebook l'attività politica online prosegue. Tra i gruppi
aperti il più numeroso si chiama Free Tunisia, Libre Tunisie e ha già raccolto migliaia di aderenti. Dopo aver
lanciato l'idea di cambiare l'immagine del proprio profilo con una bandiera tunisina insanguinata, il gruppo
viene usato soprattutto per ripubblicare i racconti degli scontri raccontati dai media stranieri, soprattutto dal
mondo francofono.
Ma cosa contenevano quei documenti? Per la prima volta in 200 anni di forti e
amichevoli relazioni, un ambasciatore degli Stati Uniti confermava senza giri di parole gli stessi inquietanti
concetti che milioni di tunisini si ripetevano da anni, ma a bassa voce, su Ben Ali, sul suo regime e sulla
corruzione sua e della sua famiglia. In un cablogramma datato 17 luglio 2009 l’allora ambasciatore Robert F.
Godec arrivava a definire quello di Tunisi un «regime sclerotico e corrotto» in balia della famiglia «quasi-
mafiosa» del presidente Ben Ali. «Anche se brucia la piccola corruzione – scriveva l'ambasciatore
americano - sono gli eccessi della famiglia del presidente che oltraggiano i tunisini. Spesso citata come una
quasi-mafia, dire 'La Famiglia' basta per intendere a chi ti riferisci. La corruzione - annotava ancora il
diplomatico - qui è l'elefante nella stanza: nessuno puo' dirlo pubblicamente, ma tutti sanno che questo è il
problema».
Il documento finisce in rete il 7 dicembre (insieme ad altri tre dello stesso tenore spediti nei mesi precedenti),
e sebbene il regime applichi da anni la censura sul web rendendo irraggiungibili i siti ritenuti ostili, il
clamoroso contenuto dei cablo americani diventa rapidamente di pubblico dominio. Dopo sei giorni Wikileaks
pubblica altri tre dispacci americani in uno dei quali vengono anticipati i contenuti di un libro che contiene le
prove sulla corruzione di Ben Ali. Tempo un paio di giorni e i più attenti analisti notano il primo, sorprendente,
effetto. Dai giornali tunisini (tutti in qualche modo controllati dal governo) scompaiono gli annunci a
pagamento che a firma di svariate associazioni già da settimane invocavano la riconferma di Ben Ali alle
elezioni presidenziali del 2014. Sarebbe stata la sua settima elezione consecutiva da quando nel 1987 arrivò
al potere rimuovendo, con quello che passò alla storia come «il golpe medico», l’ormai agonizzante
presidente Habib Bourghiba.
La scomparsa degli appelli in favore di Ben Ali dalla stampa filo-governativa vengono interpretati come
Quei sette “cablo” destinati a rimanere
l’avvisaglia di una devastante tempesta.
rivolta nata dal web esplode sulle piazze di tutto il paese e diventa
una valanga che in appena venti giorni travolge il regime. Non è un caso
che nel discorso alla nazione tenuto due giorni fa nel disperato tentativo di riconciliazione col suo popolo, tra
le prime misure democratiche annunciate dal presidente Ben Ali vi sia stata proprio la liberalizzazione di
internet. È stato un concedere l’onore delle armi a quella Rete che ha contributo a segnare la sua fine. La
stessa rete fatta di blog, socialnetwork e migliaia di siti improvvisamente tornati accessibili in tutto il paese,
che da quel momento celebrano la propria vittoria. È almeno da dieci anni che i giovani
maghrebini utilizzano il web come rete clandestina di
comunicazione aggirando i blocchi e le censure imposte dallo Stato. Succede così in molti altri
paesi arabi, in Iran, in Cina, nei regimi dell’America latina.
Ma in Tunisia è accaduto qualcosa di più: il web non si è limitato a portare in giro per il mondo la notizia di
una rivoluzione (potere che già lo rende inviso ai tutti i regimi), il web questa volta la
rivoluzione l’ha provocata. Perché è riuscito a comunicare ai sudditi disperati quel che il
mondo pensava di loro, e quelli come per incanto hanno smesso di aver paura trasformandosi in insorti.
Dunque anche così ci si può riprendere la libertà: con la semplice, incontenibile forza, del non sentirsi più
soli.
Le motivazioni dietro alle sue azioni sono tutt'altro che nascoste: Assange, come
molti tra i primi "figli della rete", ha lasciato traccia del suo pensiero in decine di
blog, articoli e documenti online. Molti, in particolare il blog http://zunguzungu.wordpress.com/, stanno
riscoprendo alcuni tra i più importanti scritti del portavoce di Wikileaks per diffondere elementi utili a capire
cosa spinge il sito che secondo molti, tra i quali Assange stesso, cambierà per sempre la geopolitica.
Il modus operandi dell'australiano è una delle prime dimostrazioni di quanto la cultura informatica sia
diventata fondamentale nel mondo della politica. Il pensiero di Assange è molto diverso da quello di chi è
arrivato al giornalismo e alla vita pubblica tramite studi umanistici, è il risultato di una visione del mondo in
quanto insieme di sistemi. Un documento del 2006, intitolato "Lo Stato e le cospirazioni terroristiche",
aiuta a capire alcuni dei motivi dietro all'esistenza del sito. Il punto principale dietro alle motivazioni del
qualunque gruppo che agisce in
portavoce di Wikileaks è la convinzione del fatto che
Dal momento in cui una cospirazione è un tipo di dispositivo cognitivo che agisce sulla base delle
informazioni ottenute sull’ambiente in cui opera, distorcere o restringere queste entrate significa che gli atti
che si basano sulle stesse saranno probabilmente inefficaci. I programmatori chiamano questo effetto “rifiuti
è la cospirazione a
dentro, rifiuti fuori”. Solitamente l’effetto funziona in maniera inversa;
costruire gli inganni e le restrizioni sulle informazioni. Negli Stati Uniti, questo
aforisma è a volte chiamato “effetto Fox News”.
Più un’organizzazione è segreta e ingiusta, più i suoi membri avranno paura ed entreranno in paranoia
quando vedranno le proprie informazioni pubblicate fuori dal gruppo. Questo risulta necessariamente in una
minimizzazione dell’efficienza dei meccanismi di comunicazione interni (un aumento percepito della
“tassazione dei segreti”) e una conseguente declino cognitivo nell’intero sistema, che si traduce in una
diminuzione della capacità di tenere il potere quando l’ambiente in cui opera richiede adattamento. Di
conseguenza, in un mondo dove distribuire informazioni riservate è facile, i sistemi ingiusti e proni a tenere
segreti sono colpiti in maniera non lineare da sistemi aperti e giusti. Dal momento che i sistemi ingiusti
creano per loro natura un’opposizione, e in molti posti hanno a malapena il manico dalla parte del coltello,
rivelazioni di grande portata li lasciano squisitamente vulnerabili di fronte a coloro che cercano di rimpiazzarli
con forme più giuste di governo.
La volontà di trovare un modello economico per Wikileaks, mossa che secondo Young finirà per corrompere
inevitabilmente il progetto, si sposa con la dichiarata passione di Assange per i liberi mercati: in
un’intervista a Stefan May ha citato il liberismo economico tra le
sue ispirazioni. Wikileaks distribuisce molti dei suoi materiali organizzando delle vere e proprie aste
che permettono loro di trovare gli acquirenti che saranno più motivati a diffondere le informazioni raccolte
tramite le fonti riservate che si rivolgono al sito. Anche qui, Assange analizza un sistema per trovare modo di
sfruttarne le motivazioni che lo muovono.
Stephen May: Tra l’altro, tu sperimenti incentivi per i giornalisti. Questo suona strano all’inizio. Perché devi
dare loro più incentivi perché usino materiale che offri loro gratuitamente?
SM: Ma quasi ogni giornalista negli Stati Uniti ha un accesso quotidiano al materiale di agenzie di stampa
come Associated Press.
A: Il materiale dell’AP è pronto ad andare direttamente nei giornali. Il nostro materiale richiede un
investimento ulteriore. Per questo motivo quando pubblichiamo un leak importante, questo richiede un
giornalista intelligente e capace, molto ben connesso politicamente. Questi giornalisti hanno un notevole
costo d’opportunità. Diciamo che vogliono spendere il loro tempo su 200 pagine. Per fare in modo che
questo produca profitto devono essere sicuri che alla fine del loro lavoro avranno un’esclusiva. Ma se questo
diviene un argomento di interesse, è probabile che altre persone ci stiano lavorando allo stesso momento. E
non si può sapere con certezza quando pubblicheranno i loro pezzi. Questo produce il paradossale risultato
più è l’evidenza di uno scandalo e più questo scandalo è
per il quale
Da parte sua Assange non lesina grandiose dichiarazioni. Il suo volto capeggia su un grande banner nella
prima pagina del sito, il quale richiede donazioni dichiarando che “il mondo ha bisogno di Wikileaks”. Ma il
rischio nel metodo del sito è che gli stati più aperti, nei quali i segreti sono più facili da diffondere, siano più
suscettibili ai leaks degli stati totalitari o autoritari, dove la diffusione delle informazioni ai cittadini è
controllata in maniera più assidua. Così ha dichiarato Assange in un’intervista a Forbes, ad una domanda
sullo sviluppo di tecnologie che possano bloccare i leaks di Mudge, un celebre hacker:
Forbes: Il suo (di Mudge, NDT) obiettivo di prevenire i leaks non fa differenza tra i diversi tipi di contenuti:
può bloccare le talpe così come l’acquisizione di dati da parte di hackers in paesi stranieri.
Assange: sono sicuro che lui ti direbbe che la Cina spia gli Stati Uniti, la Russia, la Francia. Ci sono
preoccupazioni reali sulla capacità di questi poteri di acquisire dati riservati. E si può dire che combattere
questo sia etico. Ma spiare è anche un modo per stabilizzare le relazioni. Le
paure sulla situazione di un paese sono sempre peggiore della realtà dei fatti. se hai solo una scatola scura,
tu puoi riempirla di tutte le paure, in particolare gli opportunisti nei governi o nelle industrie che vogliono
risolvere un problema che non esiste. Se sai che cosa fa il governo, le tensioni possono essere minori.
La sua posizione ottimista sembra dare forza alla sua posizione di fronte alle polemiche: "non abbiamo un
obiettivo se non quello di portare alla luce le organizzazioni che utilizzano la segretezza per nascondere
Assange e Wikileaks vogliono decidere cosa sia la
atteggiamenti ingiusti".
CNET: Lei ha pubblicato informazioni governative importanti per molto tempo, come mai non ha avuto gli
stessi incontri di Wikileaks? (Nota: Wikileaks ha dichiarato che i suoi rappresentanti sono stati minacciati da
agenti del governo statunitensi).
Young: Non credo che questi incontri siano avvenuti. È una balla. Ma non è un problema. Conosco molte
persone che dicono di essere perseguitati dal governo. È una strada già battuta. Lo vedi anche nel
giornalismo. Bisogna capire se alcune di queste cose siano effettivamente vere.
Uno dei test è: se non vai in prigione, è tutto falso. Quando andrò in prigione, dirai che finalmente ce l’ho
fatta.
Per WikiLeaks è la Cina il vero nemico. «La Cina - da dichiarato infatti Assange
al New Statesman - è il peggior cattivo in fatto di censura. Hanno tecnologie aggressive e sofisticate di
intercettazione che s’intromettono tra qualsiasi lettore in Cina e le fonti d’informazioni fuori dal paese. Noi
abbiamo condotto una lunga battaglia e ora i cinesi possono contare su diversi modi per arrivare al nostro
sito». Tanto che WikiLeaks, stando a quanto confidato da una fonte interna all’entourage di Assange, sarebbe
riuscita a ottenere una serie di documenti dai dissidenti cinesi.
Sono stati colpiti il sito della PostFinance, divisione della Swiss Post, il sito della procura svedese, il provider
americano EveryDNS che aveva reso invisibile Wikileaks.org, il sito del senatore Lieberman, infine la
Borgstrom and Bostrom, lo studio legale che rappresenta le due donne che accusano Assange. Mentre
quindi quelle che vengono definite le “orde di 4chan”, dal nome della bacheca anarchica online,
non avrebbero ancora finito i propri obiettivi, c’è chi si sta muovendo contro la censura a Wikileaks per vie
legali. Il sito svizzero-islandese Datacell, incaricato di canalizzare le donazioni fatte attraverso carte di
credito e bonifici bancari, ha annunciato in una nota azioni legali per fare in modo che sia Visa sia
Mastercard mettano termine all'embargo nei confronti di Wikileaks. “I clienti di Visa ci hanno ribadito in
massa di voler fare le donazioni e non sono affatto contenti che Visa le respinga”. DataCell accusa le due
istituzioni finanziarie di essersi piegate a “pressioni politiche” invece che occuparsi di ciò per le quali sono
state create, “trasferire denaro”. Esse, sottolinea infine la nota “non hanno invece problemi a trasferire
denaro a siti di scommesse e di pornografia”.
La comunità nata nell'universo online di 4chan aveva raccolto hacker dai quattro angoli del globo, pronti a far
fuoco sui server di siti come quelli di Visa, Mastercard e PayPal. Per mettere KO i loro circuiti di pagamento
dopo la decisione di congelare tutti gli account per il trasferimento di denaro verso il sito delle soffiate. Tra gli
hacker chiamati all'azione pare appunto esserci il misterioso - e giovanissimo - programmatore olandese.
Che avrebbe confessato alla polizia locale di aver partecipato all'attacco DDoS. Pare infatti che tra gli
obiettivi degli Anonymous fosse finita anche la piattaforma di Jeff Bezos, per ora al sicuro da eventuali
disservizi. Un comunicato diramato dallo stesso gruppo ha però smentito ogni tentativo d'attacco.
Quello del ragazzino olandese è di fatto il primo arresto dopo gli attacchi che hanno colpito nei i servizi
elettronici di Visa e Mastercard. La polizia locale ha però parlato di un gruppo molto più esteso di hacker,
pronti alla prossima mossa criminosa. Ma le strategie degli Anonymous potrebbero essere cambiate in
maniera radicale, indirizzate verso scopi più psicologici.
Lo stesso retailer a stelle e strisce potrebbe dare agli Anonymous un aiuto inatteso. L'azienda che aveva
deciso di cacciare Wikileaks dai suoi server in the cloud pare ora aver iniziato a vendere - per la cifra di circa
7 dollari - un testo elettronico contenente l'intero pacchetto di documenti riservati finora pubblicato. Sembra
che il libro - venduto da Amazon sul suo Kindle Store - sia stato curato da Heinz Duthel, già autore di varie
biografie come quella dello stesso founder Julian Assange. La società di Bezos ha tuttavia smentito: il testo
conterrebbe soltanto opinioni critiche e approfondimenti su Wikileaks. C'è chi ha però sottolineato come gli
estratti non manchino. È un viaggio che potrebbe far di fatto cadere l'accusa di stupro nei confronti del
founder di Wikileaks Julian Assange. Anna Ardin - una delle due donne che lo avevano denunciato alle
autorità - potrebbe infatti smettere all'improvviso di collaborare con la polizia svedese.
La sublime ironia risiede nel fatto che la notizia sia stata lanciata in esclusiva dal sito statunitense di Wired
dopo averla appresa da fonti anonime e confidenziali. L'esercito a stelle e strisce avrebbe bandito l'utilizzo di
chiavette USB e altri device per il trasferimento di file. Per evitare che i documenti riservati finiscano nelle
mani sbagliate.
Il potere sta nel controllo della comunicazione, la reazione isterica degli Stati
Uniti e di altri governi contro Wikileaks lo conferma. Siamo entrati in una nuova fase
della comunicazione politica. Non tanto perché sono stati rivelati segreti o pettegolezzi,
quanto per la loro diffusione attraverso un canale che sfugge al controllo degli apparati.
La fuga di notizie riservate è la fonte del giornalismo investigativo sognata da qualsiasi mezzo
d’informazione in cerca di uno scoop. Dai tempi di Bob Woodward e della gola profonda del Washington
Post, la diffusione di informazioni teoricamente segrete viene protetta dalla libertà di stampa. La differenza
sta nel fatto che i mezzi d’informazione tradizionali fanno parte di un contesto imprenditoriale e politico
soggetto a delle pressioni. Internet è più libera. La rete è protetta dal principio costituzionale della libertà di
espressione e i giornalisti dovrebbero difendere Wikileaks, perché i prossimi a essere attaccati potrebbero
essere loro.
Nessuno mette in dubbio l’autenticità dei documenti trapelati. Anzi, diversi giornali importanti stanno
pubblicando e commentando questi documenti per la felicità dei cittadini, che così fanno un corso accelerato
sulle miserie dei corridoi del potere. Il problema, si dice, è la fuga di informazioni segrete che potrebbe
mettere in difficoltà le relazioni tra paesi. In realtà bisognerebbe paragonare questo rischio a quello che si
corre nascondendo ai cittadini la verità sulle guerre che gli stessi cittadini pagano e subiscono.
Con il messaggero dietro le sbarre, rimane da attaccare il messaggio. Così sono cominciate le pressioni che
hanno spinto PayPal, Visa, Mastercard e la banca svizzera di Wikileaks a chiudere il rubinetto del sito,
cancellare il suo dominio, e Amazon a negargli i suoi server. La controffensiva online non si è fatta
attendere. Gli attacchi dei servizi di intelligence contro Wikileaks sono falliti perché si sono moltiplicati i siti
mirror, copie costantemente aggiornate del sito esistente, con un altro indirizzo. A tutt’oggi ce ne sono più di
mille (per vederli digitate su google “wikileaks mirror”). Come rappresaglia, Anonymous, una rete di hacker,
ha attaccato le aziende e le istituzioni che hanno provato a far tacere Wikileaks. Migliaia di persone si sono
unite alla festa attraverso Facebook e Twitter. Gli amici di Wikileaks su Facebook hanno superato il milione e
aumentano al ritmo di una persona al secondo. Wikileaks ha distribuito a centomila utenti un documento
criptato con dei segreti, a quanto pare ancora più dannosi per i potenti, la cui chiave sarà fornita nel caso in
cui la persecuzione aumentasse di intensità. Non è in gioco la sicurezza degli stati (nessuna delle
informazioni rivelate mette in pericolo la pace mondiale o era ignorata dai circoli del potere). È in discussione
il diritto dei cittadini di sapere cosa fa e cosa pensa chi li governa.
Come diceva Hillary Clinton nel gennaio 2010: “Internet è l’infrastruttura che rappresenta meglio la nostra
era. Come accadeva nelle dittature del passato, ci sono governi che prendono di mira chi pensa con
indipendenza usando questi strumenti”. Applicherà anche a se stessa questa riflessione? Perché il punto è
che i governi possono spiare, legalmente o illegalmente, i loro cittadini. Ma i cittadini non hanno diritto di
avere informazioni su chi agisce in loro nome, se non nella versione censurata fornita dai governi. In questo
grande dibattito i protagonisti saranno le aziende di internet che si sono autoproclamate piattaforme di libera
comunicazione e i mezzi d’informazione tradizionali così gelosi della loro libertà. La ciberguerra è
cominciata.
Non una ciberguerra tra stati, ma tra gli stati e la società civile online. I governi non potranno più essere
sicuri di poter mantenere i cittadini all’oscuro delle loro decisioni. Perché fino a quando ci saranno persone
disposte a fare dei leak e una rete popolata da wiki, nasceranno nuove generazioni di wiki-leaks.
Una volta, ai tempi di Orwell, si poteva concepire il Potere come un Grande Fratello che monitorava ogni gesto di
ciascuno dei suoi sudditi, anche e specie quando nessuno se ne rendeva conto. Il Grande Fratello televisivo ne è una
povera caricatura perché lì tutti possono monitorare quanto accade a un piccolo gruppo di esibizionisti che si radunano
proprio per farsi vedere – e quindi la faccenda ha rilievo puramente teatrale o psichiatrico. Ma quella che ai tempi di
Orwell era ancora profezia si è ora compiutamente avverata da quando, poiché il Potere può controllare ogni movimento
dei soggetti attraverso il loro telefono cellulare, ogni transazione compiuta, hotel visitato, autostrada percorsa attraverso
il
le carte di credito, ogni presenza in un supermarket attraverso le televisioni a circuito chiuso – e via dicendo –
(A parte il fatto che – visto che tutti i rapporti segreti che alimentano odi e amicizie di un governo provengono da articoli
pubblicati o da confidenze di giornalisti a un addetto d’ambasciata – la stampa sta assumendo anche un’altra funzione:
una volta la stampa spiava il mondo delle ambasciate straniere per conoscerne le trame occulte, ora sono le ambasciate
che spiano la stampa per conoscerne le manifestazioni palesi. Ma torniamo a bomba).
Come potrà reggersi da domani un Potere che non ha più la possibilità di conservare i propri segreti? È pur vero che,
come già ci diceva Simmel, ogni vero segreto è un segreto vuoto (perché un segreto vuoto non potrà mai essere
rivelato) e possedere un segreto vuoto rappresenta il massimo del potere; è pur vero che sapere tutto sul carattere di
Berlusconi o della Merkel è effettivamente un segreto vuoto in quanto segreto, perché materia di pubblico dominio; ma
rivelare, come ha fatto WikiLeaks, che i segreti di Hillary Clinton
erano segreti vuoti significa togliere al Potere ogni potere.
Adesso sappiamo che i giochi di potere e di politica si riducono ad alcune concise righe che descrivono
quanto Berlusconi dorma in compagnia di nubili giovani donne e speculazioni in merito a se Medvedev
veramente si diverte quando indossa il costume da Robin. È questa trivialità che ha fatto arrabbiare quelli al
potere. La mitologia del potere – che i leader siano in qualche modo più importanti, le loro
preoccupazioni più elevate e nobili di quelle di noi mortali, che non dobbiamo mettere in discussione le loro
motivazioni – quella mitologia è stata definitivamente distrutta.
Naturalmente, lo stato non prenderà la propria distruzione senza reagire. Nulla è mai così semplice. E
quindi, durante l’ultima settimana, abbiamo potuto osservare il sistematico smantellamento di Wikileaks.
Prima è arrivata la condanna, poi, sulle ali degli schiamazzi “rompiamogli la testa!” per il “traditore” Julian
Assange, sono arrivati gli attacchi tecnici, ognuno progettato per amputare una parte del corpo
dell’organizzazione.
Il Senatore americano Joe Lieberman ha detto ad Amazon di disconnettere Wikileaks, ed in poche ore
Amazon ha realizzato improvvisamente che Wikileaks violava i Termini di Servizio, e l’ha espulso dai suoi
sistemi. A quel punto, Assange & C. avrebbero potuto spostare il server presso chiunque avesse voluto
ospitarli - e in Svizzera c’erano offerte. Ma la compagnia che ospita il record DNS di Wikileaks –
everyDNS.com – improvvisamente ha capito che Wikileaks violava i suoi Termini di Servizio, ed anch’essa
ha tagliato fuori Wikileaks. Questo è stato un colpo più serio. Quindi Wikileaks.org è andato down, ma
Wikileaks.ch (la versione svizzera) è tornata in linea pochi momenti dopo, e centinaia di altri siti hanno
cominciato a duplicare identicamente il contenuto del sito originale di Wikileaks.
Infine, il colpo di grazia. Wikileaks è finanziata da contributi di invidui ed organizzazioni. Questi contributi
sono stati gestiti (principalmente) dall’attualmente ubiqua PayPal, il braccio dei servizi finanziari del gigante
delle aste su Internet eBay. Ancora una volta, i sagaci tipi di PayPal hanno dato un’occhiata ai loro Termini di
Servizio e – oh, ma guarda un po’! quegli orribili tipacci di Wikileaks stanno violando i nostri Termini!
Stacchiamoli dai loro soldi!
Considerate che questa è la prima volta che qualcosa tipo Wikileaks sia stata tentata. Sì, ci sono state fughe
mai prima d’ora l’iperdistribuzione e la criptoanarchia
di documenti prima, ma
erano venuti al servizio degli informatori. Questa è una cosa nuova, e per quanto
bene sia stata progettata, non è perfetta. Come potrebbe esserlo? Non è mai stato provata né testata. Ora
che il contatto con il nemico è stato fatto – lo stato con tutti i suoi poteri – è diventato chiaro dove Wikileaks è
vulnerabile. Wikileaks ha bisogno di un network distribuito di server che sia troppo ampio e troppo diffuso per
poter essere attaccato. Wikileaks ha bisogno di un’alternativa al Domain Name Service. E Wikileaks ha
bisogno di un sistema di finanziamento che non possa essere strangolato dalle azioni di qualsiasi altro
attore.
Ci siamo già passati. Siamo nel 1999, la compagnia è Napster, e la parte arrabbiata è l’industria dei dischi.
Le ci volle un po’ per strangolare la bestia, ma finalmente ce la fece ad estrarre fino all’ultimo alito di vita da
essa – per quello che le servì. Entro pochi giorni dalla morte di Napster, arrivò Gnutella, che corresse tutti gli
errori di Napster: decentralizzata dove Napster era centralizzato; pervasiva e sempre più invisibile. Gnutella
creò la darknet per il file sharing che ha permanentemente traumatizzato l’industria dei dischi e del cinema. Il
fallimento di Napster era stato il progetto tecnico per Gnutella.
La tempesta provocata dall’ ultima ondata di documenti più o meno confidenziali diffusi da
Wikileaks ha riportato alla ribalta le preoccupazioni che un esponente di punta della rivoluzione
digitale come Jaron Lanier da qualche tempo va esprimendo in relazione alla presunta deriva
dell’internet attuale rispetto alle aspettative iniziali dei pionieri.
In un lungo articolo su The Atlantic, Lanier, ex hacker e teorico della realtà virtuale, autore del
celebre saggio dal titolo ‘’Tu non sei un gadget’’, prende spunto dalla vicenda WikiLeaks per
rafforzare la sua critica del presente digitale: ‘’I rischi della supremazia
nerd’’ è il titolo del suo intervento. Dove in questo caso – spiega Luca Dello Iacovo sul
Sole24ore – ‘nerd’ indica soprattutto gli attivisti tecnologici.
Al cuore della durissima critica di Lanier la convinzione, molto diffusa, che la crescita della
quantità di informazione disponibile produca automaticamente un salto nel livello della qualità
dell’informazione, diventando Verità.
E’ una convinzione che, secondo Lanier – osserva Dello Iacovo – porta gli “estremisti” a
Teoria Dell'Infocaos
Un nuovo corso di Internet sorgerà presto per volontà degli stati membri dell'ONU. Le Nazioni
regolamentare la rete delle reti come
Unite si preparano a
mai era stato fatto fino a ora, mentre la lista dei paesi promotori del
nuovo gruppo di lavoro - Brasile, Cina, India e Arabia Saudita - lascia intendere che il modello di
"controllo" sia molto meno libertario e democratico di quello attuale.
A spingere per la creazione del gruppo di lavoro è stato il Brasile, convinto sostenitore della
necessità di "standard globali" accettati da tutte le nazioni e in grado di ingabbiare il moderno
caos telematico in regolamentazioni e dispositivi legali ben definiti.
Nel burocratese delle Nazioni Uniti gli standard globali vengono descritti come uno strumento
in grado di "fornire ai Governi una posizione paritaria nel mantenere i propri ruoli e le proprie
responsabilità nel rispetto dei problemi di politica pubblica internazionale riguardante Internet
ma non le questioni tecniche quotidiane e operative che non hanno conseguenze su tali
problemi".
Passando dalla burocrazia ai fatti, alcuni osservatori sottolineano come certi governi sembrino
pretendere una garanzia assicurativa contro i fenomeni di controinformazione à la Wikileaks,
un vero e proprio "interruttore di Internet" da spegnere e accendere a proprio piacimento
quando ce ne fosse la necessità o la convenienza a questo o quel regime politico. Una frenesia
da regolamentazione telematica che scatena reazioni estremamente negative e la cui utilità
sarebbe tutta da dimostrare nel concreto.
INTERNET GOVERNANCE
NET GOVERNMENT
CYBERWAR