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Il Dharma nella vita quotidiana

Parte II°

Alexander Berzin 

Il Dharma serve a occuparsi dei problemi della vita


Questa sera vorrei parlarvi della pratica del Dharma nella vita quotidiana. Il termine
“Dharma” significa “misura preventiva”. E’ qualcosa che s’intraprende per evitare i
problemi. La prima cosa da fare per impegnarci nella pratica del Dharma è riconoscere la
natura dei problemi o delle difficoltà che abbiamo nella vita. La seconda è renderci conto
che la pratica del Dharma mira ad aiutarci a sbarazzarsi dei problemi.
La pratica del Dharma non consiste semplicemente nel sentirsi bene o in un passatempo
piacevole o nel seguire una moda o in altre cose simili. La pratica del Dharma è là per
aiutarci a sbarazzarci dei problemi. Ciò significa che, per praticare il Dharma in maniera
realistica, abbiamo bisogno di renderci conto che non sarà un processo facile. Occorre
guardare le cose spiacevoli della nostra vita e poi confrontarsi con esse, le eventuali
difficoltà – non fuggire innanzi ad esse, ma piuttosto affrontarle col seguente
atteggiamento: “ Bene, ora cercheremo di gestire tutto ciò”.
I nostri problemi possono assumere diverse forme. La maggior parte sono familiari a tutti
noi: insicurezza, difficoltà a relazionarci con gli altri, sentirci esclusi, difficoltà a gestire le
nostre emozioni e i nostri sentimenti – in breve, il solito guazzabuglio che tutti
conosciamo. Abbiamo difficoltà ad aggiustarci con la nostra famiglia e i nostri genitori, essi
si ammalano e invecchiano. Abbiamo difficoltà a cavarcela con le nostre malattie e la
nostra età. E se siamo ancora giovani, abbiamo difficoltà a immaginare cosa faremo nella
vita, come ce la guadagneremo , quale direzione prendere, etc. Occorre considerare tutte
queste cose.

La confusione
Uno dei punti cardine del buddhismo è il rendersi conto che i problemi che ci si presentano
sono tutti generati da cause. Non sono là senza una causa; l’origine di questi problemi si
trova in noi stessi. Comprendere ciò è una gran cosa, ma non è semplice per la maggior
parte delle persone. Ciò perché la maggior parte di noi tende a colpevolizzare gli altri, o la
situazione esterna. Noi pensiamo: “ Sono dispiaciuto a causa tua – tu non mi hai
telefonato, tu mi hai abbandonato, tu non mi ami. E’ tutta colpa tua”. O magari,
addossiamo la colpa ai nostri genitori per ciò che hanno fatto, o non hanno fatto, quando
eravamo bambini. O ancora, accusiamo la situazione economica o politica, la situazione
sociale e così via. Evidentemente tutti questi fattori giocano un ruolo nel nostro vissuto. Il
buddhismo non lo nega, ma la causa principale – la vera causa dei nostri problemi- è
dentro di noi: si tratta sei nostri atteggiamenti mentali e, soprattutto, della nostra
confusione.
Se vogliamo trovare un elemento che definisca chiaramente l’atteggiamento di un
praticante buddhista, o il senso della pratica del buddhismo nella vita quotidiana, direi che
è questo: quando siamo in difficoltà, guardiamo dentro noi stessi per cercare di trovarvi
l’origine e, una volta identificatala, cerchiamo di cambiare la situazione a partire
dall’interno. Quando parliamo di volgere lo sguardo dentro di noi per cercare la fonte dei
nostri problemi, non significa far leva su un giudizio morale del tipo: “ Sono cattivo(a) e
devo cambiare per diventare buono(a)”. Il buddhismo non verte su giudizi morali. Se
cerchiamo l’origine di un nostro problema dentro di noi, è semplicemente perché soffriamo
e vogliamo sbarazzarci dei nostri problemi e del nostro malessere ed è proprio il nostro
atteggiamento ad esserne la causa principale. Il Buddha ha detto precisamente che la causa
più profonda dei nostri problemi e della nostra sofferenza è data dalla confusione. Dunque,
bisogna scoprire in che cosa siamo confusi rispetto a ciò che accade e come possiamo
correggere questa confusione acquisendo la comprensione corretta delle cose.
Su che poggia la nostra confusione? Su molteplici cose. Una di queste è data dalle cause e
gli effetti comportamentali. Ad esempio, crediamo che se agiamo in un certo modo, ciò non
produrrà alcun effetto. Così pensiamo: “Posso arrivare in ritardo, ignorarti, senza che
succeda nulla”. Ciò è falso e dipende dalla confusione. O ancora crediamo che un tale atto
o un tale comportamento da noi posto in essere produrrà un certo effetto che magari è
assurdo e non può prodursi in nessun caso. Ad esempio: “Sono stato gentile con te, ora tu
mi amerai. Ti ho fatto un regalo, allora perché non mi ami?” Con questo genere di pensieri
ci creiamo delle false aspettative, dando ai nostri atti e ai nostri comportamenti più
importanza di quella che hanno. Crediamo anche che certe cose produrranno un certo
effetto, quando, in realtà, ne producono uno esattamente contrario. Un altro esempio:
desideriamo essere felici e crediamo che sia sufficiente ubriacarsi. Ma ciò porterà, più che
felicità, solamente maggiori problemi.
L’altra cosa che ingenera confusione è il come noi esistiamo, come esistono gli altri e come
esiste il mondo. Ad esempio, noi patiamo la vecchiaia e le malattie e ciò ci rende infelici.
Ma cos’altro ci si può attendere in quanto esseri umani? Gli esseri umani, si ammalano,
invecchiano – a meno che non muoiano giovani. Ciò non deve sorprenderci. Quando si
cominciano a vedere i capelli grigi allo specchio, ciò ci rende infelici e ci sciocca, ma non è
una reazione realistica, dipende appunto dalla confusione circa il quesito di cui sopra.
Diciamo che abbiamo un problema con la vecchiaia. A causa della confusione che la
sottende – la nostra non accettazione della realtà della vecchiaia – noi agiamo in modo
distruttivo sotto l’ influenza di emozioni e attitudini perturbatrici. Ad esempio, Il fatto di
cercare in maniera compulsiva di avere l’aria giovane e attraente ci fa agire nel desiderio
nostalgico di provare a ottenere delle cose che, noi lo speriamo, ci rassicureranno - come
l’attenzione e l’amore degli altri soprattutto dei più giovani che noi troviamo attraenti.
Questa sindrome copre in generale la confusione per cui: “Io sono la persona più
importante del mondo, sono al centro dell’universo. Dunque tutti dovrebbero occuparsi di
me. Poco importa l’aspetto che ho, tutti dovrebbero trovarmi attraente e amarmi”. Noi
impazziamo se qualcuno non ci trova attraenti e non ci ama. E lo diventiamo ancora di più
se gli altri c’ignorano – se essi non ci prestano attenzione, mentre ameremmo coloro che ci
trovano attraenti se non fisicamente, almeno in modo diverso. Ma non tutti amano Buddha
Shakyamuni; allora che speranza può esserci che tutti ci amino!
Il nostro desiderio di essere amati da tutti parte da un’aspettativa non realistica. Ciò non è
la realtà. Si basa sulla confusione, sul desiderio nostalgico e sulla convinzione secondo cui
tutti dovrebbero trovarci attraenti e prestarci attenzione. Sottende l’attitudine
perturbatrice dell’ingenuità. Noi ci sentiamo talmente importanti e ci troviamo talmente
adorabili che tutti dovrebbero amarci e colui o colei che non ci ama deve avere,per forza,
qualcosa che non va in lui(lei). Peggio ancora, cominciamo a dubitare di noi stessi. “C’è
senz’altro qualcosa che non va in me se questa persona non mi ama”e ci sentiamo a disagio
o colpevoli. Tutto ciò dipende dall’ingenuità.
Dunque, lavorare su se stessi è la cosa più importante. E’ proprio questo il proposito della
pratica del dharma. Quale che sia la situazione – eventuali difficoltà, insicurezza o
qualsiasi altra cosa, guardiamoci dentro di noi. C’è la confusione dietro le emozioni
perturbatrici che provo? Tuttavia se noi prendiamo una relazione in cui siamo coinvolti che
presenta dei problemi, abbiamo egualmente bisogno di renderci conto che non siamo solo
noi ad essere confusi. E’ evidente che anche l’altra persona è afflitta dalla confusione. Non
bisogna dire semplicemente: “Occorre che cambi, tutto ciò che faccio io è perfetto; sei tu
che devi cambiare”. D’altro canto, non va neanche bene dire: “ Sono io il solo che devo
cambiare”, perché può degenerare nel complesso del martire. Si deve cercare di discutere
le cose apertamente con l’altra persona – pur correndo il rischio, ovviamente, che questa
non recepisca. E’ necessario riconoscere che entrambi siamo in confusione. Entrambi
abbiamo un problema a capire ciò che accade all’interno della relazione, allora sforziamoci
di schiarire la confusione di entrambi. E’ il modo più realistico e più “dharmico” di
procedere.

Comprendere il Dharma prima di metterlo in pratica


Ci sono molti tipi di pratiche buddhiste. Non è sufficiente ricevere istruzioni sul modo di
seguirle, come s’impara ad eseguire un gioco di prestigio. Per ogni pratica, è molto
importante comprendere in che modo ci aiuta a superare le difficoltà. Noi dobbiamo
apprendere, non solamente quando e come applicare la pratica, ma anche ciò che essa
presuppone. Ciò significa che non cominciamo con le pratiche avanzate. Cominciamo
dall’inizio e poniamo le fondamenta per sapere, a partire dalla sequenza sulla quale sono
costruiti gli insegnamenti del Dharma, ciò che accade nel corso di tutta la pratica.
Ora è vero che leggiamo insegnamenti in cui si dice: “ Se ti danno una medicina, non
chiedere come funziona, prendila!”Anche se è un buon consiglio, occorre comprendere che
è un avvertimento contro un estremo. Un estremo che consiste nell’accontentarsi di
studiare e nello sforzarsi di comprendere gli insegnamenti, ma senza mai mettere in
pratica ciò che si apprende. Vogliamo evitare questo estremo. Anche l’altro estremo
comunque è da evitare. Seguire, cioè, con una fede cieca, le istruzioni ricevute sulle
pratiche del Dharma senza provare il bisogno di comprendere ciò che si fa e perché. Il
problema principale che deriva da tale estremo è che non si comprende veramente come
applicare queste istruzioni nella vita quotidiana. Se noi comprendiamo il senso che sta
dietro ogni pratica – se comprendiamo come procede e a che cosa mira – allora non
abbiamo bisogno che qualcun altro ci dica come applicare le istruzioni nella vita
quotidiana. Una volta comprese, sappiamo da soli come applicarle.
Quando si parla di eliminare i propri problemi, non ci si riferisce solo ai problemi
personali, ma anche alla difficoltà che si ha nell’aiutare gli altri. “Ho dei problemi ad
aiutare gli altri a causa della mia pigrizia, o del mio egoismo, o perché sono troppo
occupato(a)”. O ancora: “ Non capisco assolutamente qual è il tuo problema e non ho
alcuna idea di come possa aiutarti”. Tutte queste difficoltà a venire in aiuto agli altri sono
anch’esse dovute alla confusione. Ad esempio, la confusione per cui “Dovrei essere come il
Dio Onnipotente e uno schiocco delle dita dovrebbe essere sufficiente a risolvere tutti i
problemi, e se non ho risolto tutti i tuoi problemi è perché c’è qualcosa che non va in te. Tu
non hai fatto ciò che occorreva, quindi è colpa tua. Oppure se la colpa è mia, perché avrei
dovuto essere in grado di risolvere i tuoi problemi e non l’ho fatto, allora sono un
incapace”. Di nuovo, è della confusione che riguarda la causa e l’effetto.

La convinzione nel Dharma


Un altro punto importante è che per essere in grado di applicare il Dharma efficacemente e
non in modo nevrotico nella vita quotidiana, è necessario esser convinti che è veramente
possibile sbarazzarci dei nostri problemi. Noi dobbiamo persuaderci che è possibile
sbarazzarci della confusione seguendo l’approccio fondamentale del buddhismo: per
sbarazzarsi di qualcosa, occorre eliminare le cause che consentono a questa cosa di
sopraggiungere. Certamente è difficile ottenere la ferma e profonda convinzione che sia
possibile eliminare la propria confusione in modo definitivo e che sia possibile anche
arrivare alla liberazione e all’illuminazione. Ciò è tanto più difficile se non si sa nemmeno
cosa sia veramente la liberazione e l’illuminazione. Allora in questo caso come si può
veramente considerare la possibilità di raggiungerle? Se si pensa che ciò non sia possibile,
non è un po’ ipocrita mirare a raggiungere qualcosa che si crede non esistere? Il tutto
diventa allora una specie di gioco insensato; la nostra pratica del Dharma non è “per
davvero”.
Occorre essere veramente convinti e questo richiede molto studio e molta comprensione,
come pure molta riflessione e meditazione profonda. Dobbiamo convincerci non solo che la
liberazione e l’illuminazione sono possibili, ma anche che sia possibile raggiungerle. Non
solo Shakyamouni, ma tutti possono arrivarci. Dobbiamo solo comprendere ciò che
occorre fare per sbarazzarci della nostra confusione. Ciò che ci consente davvero di
sbarazzarcene è una comprensione corretta; dunque dobbiamo capire come una
comprensione corretta può scalzare la confusione ed eliminarla in modo che non torni più .
Da tutto ciò si evince che il vero luogo di lavoro per la pratica del Dharma è la vita
quotidiana; gestire, cioè, i nostri problemi, la nostra confusione, le nostre difficoltà nella
vita in ogni istante.

La pratica del Dharma richiede introspezione


La pratica del dharma non è semplicemente un momento fuori della nostra vita in cui o ci
si ritira in una tranquilla grotta o in una camera e seduti su un cuscino noi scappiamo dai
problemi della vita. La pratica del buddhismo non consiste nel trovare una scappatoia. Se
noi cerchiamo un angolo tranquillo per meditare è per sviluppare le attitudini di cui
abbiamo bisogno per occuparci dei problemi che noi abbiamo nella nostra vita. La vita è il
centro dell’interesse. Non si tratta di guadagnare la medaglia olimpica per “restare seduti
in meditazione”! La pratica del Dharma consiste nell’applicare il Dharma alla vita.
Di più, la pratica del Dharma è introspettiva. Noi cerchiamo di stare attenti ai nostri stati
emotivi, alle nostre motivazioni, ai nostri atteggiamenti mentali, ai nostri schemi di
comportamento compulsivo. Noi cerchiamo in particolare di depistare le nostre emozioni
perturbatrici. Ciò che caratterizza un’emozione o un atteggiamento perturbante è il
malessere che noi o gli altri avvertiamo quando sopraggiunge. Perdiamo la serenità e il
controllo su noi stessi. Saperla riconoscere è molto utile perché ci consente di capire
quando agiamo sotto l’influenza dell’una o dell’ altro. Noi sappiamo che se ci sentiamo a
disagio è perché qualcosa sta turbando la nostra mente. In tali momenti dobbiamo
verificare ciò che accade dentro di noi e applicare gli antidoti per correggerlo.
Questo implica che dobbiamo essere molto attenti a ciò che succede dentro di noi. E per
poter cambiare in qualche modo il nostro stato emotivo, se ci accorgiamo che è
perturbante, occorre renderci conto che se agiamo in modo perturbato e perturbante,
causeremo molto malessere sia a noi stessi che agli altri. E non è ciò che vogliamo; ce n’è
già abbastanza così. E se si perde il controllo, come si può essere d’aiuto agli altri?

Sull’elasticità mentale
La pratica del Dharma richiede anche che si familiarizzi con molte differenti forze
contrastanti, non solamente una o due. La nostra vita è molto complessa e un antidoto
particolare non funzionerà per tutti i colpi. Una certa pratica non è detto che sia la più
efficace in ogni situazione. Per essere veramente in grado di applicare le cose nella vita
quotidiana, sono richieste una grande elasticità mentale e molti metodi differenti. Se
questo non va, allora facciamo quello;se questo non va allora facciamo quest’altro.
Il mio maestro, Tsenshab Serkong Rinpoche, aveva l’abitudine di dire che se si cerca di fare
qualcosa nella vita occorre sempre avere due o tre piani di riserva. Allora, se il piano A non
funziona, non si abbandona la partita. Perché si ha di riserva il piano B e il piano C. Uno di
questi dovrà pur funzionare. Questo consiglio mi è stato molto utile. E’ la stessa cosa col
Dharma: se il metodo A non funziona in una certa situazione, abbiamo sempre un piano di
riserva, ci sono altre cose cui potersi rivolgere. Tutto ciò è evidentemente basato sullo
studio, sull’apprendimento dei diversi metodi e sulle meditazioni nelle quali ci esercitiamo
a mo’ di preparazione, come si fa per un addestramento psicologico. Si lavora per allenarsi
a familiarizzare con questi metodi al fine di poterli applicare efficacemente nella vita
quotidiana al bisogno. Per questo non bisogna considerare la pratica del Dharma come un
passatempo, poiché esige un impegno a tempo pieno.

Evitare gli estremi


Noi applichiamo la pratica del Dharma nella nostra famiglia. L’applichiamo nelle nostre
relazioni coi genitori, coi figli, con i colleghi di lavoro. Ciò facendo , vogliamo evitare
diversi estremi. Abbiamo già trattato quest’argomento. Occorre evitare l’estremo che
consiste nell’addossare agli altri la responsabilità dei nostri problemi o, al contrario,nel
prendere su di noi l’intera responsabilità della situazione – entrambe le parti
contribuiscono. Si può cercare di cambiare gli altri, ma è più facile cambiare noi stessi.
Lo sviluppo personale, dunque, è al centro del nostro lavoro; ma allo stesso tempo
cerchiamo di evitare l’estremo della preoccupazione narcisistica. La preoccupazione di sé
fa sì che rimaniamo fissi su noi stessi e non prestiamo attenzione a nessun altro. Questo
può rafforzare la convinzione di essere il centro dell’universo e che solo i nostri problemi
sono importanti,mentre quelli degli altri sono irrilevanti e indolori.
Un altro estremo consiste nel pensare che siamo interamente buoni o interamente cattivi.
E’ vero che abbiamo bisogno di riconoscerei nostri lati difficili, i lati sui quali dobbiamo
lavorare. Ma abbiamo anche bisogno di riconoscere i nostri lati positivi, le nostre qualità
positive, al fine di poterle sviluppare maggiormente. Noi Occidentali spesso abbiamo un
po’d’amor proprio. . Se ci concentriamo troppo sui nostri problemi e sulla nostra
confusione ciò può rafforzare facilmente questo po’ d’amor proprio. E’ questo non è certo
il nostro proposito.
Sorvegliamo le nostre emozioni perturbatrici e nello stesso tempo controbilanciamole
rammentando le nostre qualità positive. Anche le persone peggiori hanno qualche qualità
positiva. Senza dubbio hanno fatto l’esperienza di tenere un cucciolo o un gattino sulle
ginocchia, accarezzarlo e sentirne il calore. Quasi tutti hanno vissuto quest’esperienza.
Così, attraverso questo genere d’esperienza,noi riconosciamo che siamo capaci di dare un
po’ di calore, come in questo caso e, in questo modo, vediamo anche i nostri lati positivi. La
pratica del Dharma non consiste solamente nel lavorare sui nostri lati negativi; deve essere
equilibrata. Dobbiamo anche lavorare per rinforzare I nostri lati positivi.
Facendo ciò, cercando, appunto, di mantenere un equilibrio tra l’osservazione dei nostri
difetti e quella delle nostre qualità noi ci guardiamo da un'altra coppia di estremi. Un
estremo è quello della colpevolezza: “Sono cattivo. Devo praticare e poiché non lo fo sono
ancora peggiore”. E’ necessario eliminare questo “dovrei”nel nostro modo di vedere la
pratica del Dharma. “dovrei” implica il domani. Invece se vogliamo sbarazzarci dei
problemi che abbiamo ed evitare di averne altri in futuro, l’atteggiamento più sano è quello
di dire “Se voglio sbarazzarmi del mio problema, questa pratica me lo consentirà”. Ora, che
noi facciamo la pratica o meno, è una nostra scelta. Non c’è nessuno che ci dica:”Dovrai
fare questo e se non lo fai, sei cattivo”.
Ma è necessario evitare anche l’altro estremo,vale a dire: “Siamo tutti perfetti; tu non devi
far altro che vedere la tua natura di Buddha e tutto è per il meglio”. E’ un estremo molto
pericoloso, poiché può condurre all’atteggiamento secondo cui non abbiamo bisogno di
cambiare; non abbiamo bisogno di far cessare né di abbandonare alcuno dei nostri
comportamenti negativi perché siamo già perfetti. E’ necessario evitare questi due estremi
– sentirsi malvagi o sentirsi perfetti. Infatti, ciò di cui abbiamo bisogno è di assumerci le
nostre responsabilità. E’ la chiave principale che permette d’integrare il Dharma nella
nostra vita quotidiana. Ci facciamo carico di fare qualcosa per la nostra vita.

L’ispirazione
Lavorando su noi stessi possiamo trovare ispirazione dai maestri spirituali e dalla
comunità di persone che praticano con noi. Ma per la maggior parte delle persone, racconti
fantastici riferiti da secoli, di maestri che possono librarsi in aria, non rappresentano, per
quanto riguarda i maestri, una fonte stabile d’ispirazione. E’ veramente difficile, infatti,
identificarsi in cose che conducono dritte nel trip della magia. I migliori esempi sono delle
persone in carne e ossa con cui abbiamo dei contatti, anche se questi contatti sono minimi.
I buddha e i maestri qualificati non cercano d’impressionarci, tanto meno cercano
d’ispirarci. Si prende come esempio il sole, si dice che essi sono come il sole. Il sole non
cerca di dare calore alla gente; proprio per come è, esso dà naturalmente calore agli altri.
Lo stesso vale per i grandi maestri spirituali. Essi c’ispirano spontaneamente e
naturalmente attraverso il loro modo di essere nella vita, il loro carattere, il modo in cui si
occupano delle cose, e non attraverso giochi di magia. Il più ispirante è quello più realista,
terra terra.
Mi viene in mente Dudjom Rinpoche. E’morto a parecchi anni. Era a capo del lignaggio
Nyingmapa ed era uno dei miei maestri. Aveva un’asma spaventosa. Anch’io ho l’asma e,
dunque, so cosa significhi avere difficoltà a respirare. So quant’è difficile insegnare,
quando non si può respirare normalmente, perché occorre convogliare ogni energia verso
l’interno per ricevere aria sufficiente. E’ dunque molto difficile, in questa condizione,
dirigere la propria energia verso l’esterno. Vedevo Dudjiom Rinpoche, in piena crisi
asmatica, salire sul palco e insegnare. Non era disturbato affatto dalla sua asma e vi si
adattava in modo incredibile prodigando insegnamenti di straordinaria qualità. Ciò era
incredibilmente ispirante, molto terra terra, nessun gioco di prestigio. E’ trattare le
situazioni reali della vita, ecco ciò che è ispirante.
Nel corso del cammino spirituale e dei nostri progressi possiamo anche trovare ispirazione
in noi stessi. Ecco un’ importante fonte d’ispirazione. Noi otteniamo ispirazione dal nostro
progresso. Ma per questo bisogna essere molto sensibili. La maggior parte della gente non
sopporta questo fattore sul piano affettivo, perché si tende a divenire arroganti e fieri
quando si fanno dei progressi. Dunque, occorre stabilire con circospezione ciò che
s’intende per ”progressi”.

Il progresso sul cammino


Innanzitutto, dobbiamo renderci conto che il progresso non è mai lineare, Ci sono alti e
bassi. E’ una delle caratteristiche principali del samsara e non concerne solamente la
rinascite più alte o più basse. Gli alti e i bassi si riferiscono anche alla vita quotidiana. A
volte sono felice ,altre no. I nostri umori conoscono alti e bassi. Allora non bisogna stupirsi.
Di fatto ciò continuerà finché noi non diveniamo un arhat, un essere libero dal samsara.
Fino a che non si arrivi a questo stadio incredibilmente avanzato, il samsara continuerà a
salire e a scendere. Allora non ci si deve scoraggiare se, dopo aver praticato per molto
tempo,s’incontrano improvvisamente delle difficoltà in una relazione sentimentale. Ad un
tratto siamo sconvolti sul piano affettivo! Ciò non vuol dire che siamo praticanti orrendi.
E’ normale ,considerata la nostra condizione samsarica
Nella pratica del Dharma, normalmente non ci sono miracoli. Se vogliamo applicare il
Dharma nella nostra vita quotidiana, che non ci si attenda dei miracoli, soprattutto quelli
concernenti i nostri progressi. Come si misura il progresso in modo realistico? Sua Santità
il Dalai Lama dice che non sono sufficienti uno o due anni di pratica del Dharma, ma ne
occorrono almeno dai cinque ai dieci per verificare: “Sono più calmo rispetto a cinque o
dieci anni fa? Sono in grado di trattare situazioni difficili senza essere contrariato(a) o
lasciarmi sopraffare da esse?” Se sì, allora abbiamo fatto qualche progresso e ciò è
ispirante. Abbiamo ancora dei problemi, ma ciò ci dà la forza per continuare. Non siamo
poi così contrariati (e) quando le cose vanno male nelle situazioni difficili. Siamo in grado
di riprenderci più rapidamente.
Quando parliamo di noi stessi come fonte d’ispirazione, l’importante è che questa
ispirazione ci dia la forza di continuare il cammino. Questo perché siamo convinti che
andiamo nella direzione giusta. E noi possiamo esser convinti di ciò proprio perché
abbiamo un’idea realistica di cosa significhi andare in questa direzione – ciò significa che
durante la rotta saliremo e scenderemo continuamente.
Ecco qualche idea di carattere generale per integrare la pratica del Dharma nella nostra
vita quotidiana. Spero che possano avere una qualche utilità. Vi ringrazio.

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