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Dispense di
TECNICA DELLE
COSTRUZIONI
A.A. 2009-2010
BOZZA del 16 novembre 2009
INDICE
I Progetto di strutture 8
2 CONCETTI INTUITIVI 8
2.1 Definizione di struttura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2.2 Classificazione delle strutture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
2.2.1 Geometria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.2.2 Rigidezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
2.2.3 Materiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3 Strutture rigide tipiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3.1 Trave e Pilastro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3.2 Telaio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10
2.3.3 Struttura Reticolare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.3.4 Arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.3.5 Piastra e Pannello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.3.6 Volta Cilindrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.3.7 Volta Sferica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
2.4 Strutture non rigide tipiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.4.1 Cavo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
2.4.2 Membrana, Tenda, Rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.5 Stabilità delle strutture . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.6 Strutture monodirezionali e bidirezionali . . . . . . . . . . . . . . . . 13
2.7 Come stabilizzare una struttura semplice mediante diagonali . . . . . 15
2.8 La regolarità strutturale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15
2
4 PREDIMENSIONAMENTO SEMPLIFICATO 31
4.1 Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
4.2 Carichi verticali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
4.3 Carichi orizzontali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
4.4 Predimensionamento semplificato di una struttura intelaiata . . . . . 32
4.4.1 Solai . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32
4.4.2 Travi di testata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.4.3 Travi interne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36
4.4.4 Pilastri ad area di influenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
4.4.5 Fondazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
6 UNITA’ DI MISURA 43
6.1 Conversione da Sistema Internazionale (SI) a Sistema Tecnico (ST) . 43
6.2 Conversione da Sistema Tecnico (ST) a Sistema Internazionale (SI) . 43
6.3 Altre conversioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3
9 MOMENTO FLETTENTE 75
9.1 Calcolo elastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78
9.2 Calcolo a rottura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
9.2.1 Condizioni di equilibrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
10 SFORZO DI TAGLIO 90
10.1 La fessurazione della trave . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91
10.2 Sforzo di scorrimento e armature al taglio . . . . . . . . . . . . . . . 93
10.3 Il traliccio di Mörsch . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96
10.3.1 Verifiche di resistenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
10.3.2 Collegamento ai nodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
4
1 INTRODUZIONE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Queste dispense raccolgono alcuni degli argomenti trattati nel Corso di Tecnica delle
Costruzioni.
Nella Parte I sono riportati alcuni degli argomenti sviluppati nell’ambito del
Modulo di Comportamento statico delle strutture, svolto in precedenza nell’ambito
del Laboratorio di Costruzione dell’Architettura. Ciò per familiarizzare lo studente
con una panoramica più vasta, che deve formare la base culturale su cui si innestano
le conoscenze più specialistiche della Tecnica delle Costruzioni. Per l’elaborazione di
questa prima parte si è fatto largo di un testo di Daniel Schodek [2] e si è utilizzato
molto materiale contenuto nelle precedenti stesure della dispensa [9, 10, 11]. Il testo
di Schodek è particolarmente raccomandato per gli studenti della Facoltà di Archi-
tettura, in quanto presenta la tematica con un approccio pragmatico e con continui
rimandi alla storia della progettazione architettonica. L’ambizione dell’insegnamen-
to di Comportamento statico delle strutture, svolto in precedenza nell’ambito del
Laboratorio di Costruzione dell’Architettura è stata quella di fornire allo studen-
te dei rudimenti del progetto di strutture che gli servano da guida fin dalle sue
prime esperienze di progettazione. Infatti non si ripeterà mai a sufficienza che è
assolutamente da evitare una impostazione progettuale, purtroppo molto utilizza-
ta in passato, che prevedeva l’intervento della figura dell’ingegnere strutturista in
un momento successivo a quello della progettazione architettonica. In tal modo si
rischiava di dovere “adattare” la struttura all’idea architettonica, con condiziona-
menti molto pesanti. Ne risultava spesso un organismo strutturale non razionale.
Non di rado la stessa progettazione architettonica veniva messa in discussione dalla
fattibilità strutturale, con compromessi spesso discutibili. In questo panorama già
desolante spesso si inseriva la progettazione impiantistica, svolta successivamente a
quella architettonica ed a quella strutturale. In questa fase si assisteva ad un ul-
teriore peggioramento del progetto, con l’inserimento indiscriminato di “bucature”
per il passaggio degli impianti, ovviamente in posizioni spesso incompatibili sia con
gli aspetti formali e distributivi che con quelli strutturali. Considerazioni del tutto
analoghe si possono fare per altri ingredienti della progettazione, come gli aspetti
tecnologici, di organizzazione del cantiere, di prevenzione di vari rischi, legali, ecc.
Per evitare questa serie di errori è fondamentale che siano posseduti dal progettista
Architetto, tra gli altri, i rudimenti della progettazione strutturale che gli consentano
di valutare autonomamente la fattibilità delle soluzione progettuali. Se il progetto
architettonico sarà valido anche dal punto di vista strutturale, lo specialista delle
strutture che dovrà approfondire gli aspetti di sua competenza non sarà costretto
ad adattamenti discutibili o a stravolgimenti.
Nella Parte II si riportano i concetti basilari della teoria del calcestruzzo
armato. Per elaborare questa parte si è fatto largo uso di testo e figure estratte dal-
la esauriente trattazione contenuta nel testo di Toniolo [4], al quale si rimanda per
approfondimenti e chiarimenti. In questa Parte ritornano molti dei concetti trattati
in maniera molto semplificata nell’ambito della Parte I. Questo anche per esem-
plificare il percorso progettuale, usualmente basato su approfondimenti successivi
e sempre più specifici. Vale la pena di sottolineare che la trattazione ivi condotta
tralascia molti approfondimenti specialistici, per i quali si rimanda al testo di To-
niolo. Nel procedere della trattazione ci si accorgerà che, ancora oggi, molti dettagli
5
del comportamento delle strutture in calcestruzzo armato non sono del tutto noti,
il che non ha impedito e non impedisce di realizzare strutture anche molto ardite
con questo tipo di materiale. Quello su cui si cerca di porre l’accento, allora, è
l’acquisizione da parte dello studente di una consapevolezza “concettuale” del com-
portamento delle strutture, sostenuta da una basilare conoscenza quantitativa dei
principali fattori che ne governano il comportamento, senza entrare in un eccessivo
dettaglio analitico, che esula dagli scopi del corso.
Nella Parte III si riportano i concetti basilari della teoria delle costruzioni
in acciaio. Per elaborare questa parte si fatto largo uso di testo e figure estratte
dalla esauriente trattazione contenuta nel testo di Ballio e Bernuzzi [12], al quale si
rimanda per approfondimenti e chiarimenti.
6
emanato in versione sottoposta ad inchiesta pubblica e poi divenuto operativo per
gli edifici di interesse strategico.
Attualmente è vigente il DM 14/1/2008 del Ministero delle Infrastruttu-
re, che ha fatto decadere sia il DM 9/1/96, sia l’OPCM 3274/2003 (e successive
modifiche), sia il DM 14/9/2005.
Riferimenti bibliografici
7
Parte I
Progetto di strutture
2 CONCETTI INTUITIVI
8
(a) (b) (c) (d)
può essere basata sulla forma e su proprietà fisiche elementari. Per forma di una
struttura si può intendere sia una figura geometrica semplice sia una derivazione
ottenuta combinando o aggiungendo figure semplici.
2.2.1 Geometria
Una prima distinzione può essere quella tra elementi lineari ed elementi di superficie.
Gli elementi lineari possono essere rettilinei o curvi, quelli di superficie possono essere
piani o curvi (a semplice o a doppia curvatura). Nella realtà non esistono oggetti che
siano effettivamente linee o superfici, in quanto ogni cosa è dotata di uno spessore,
ma quando quest’ultimo è piccolo in confronto alle altre dimensioni, si possono
applicare la nozioni prima introdotte. La geometria di una struttura è anche legata
al materiale che la costituisce o alla tecnologia costruttiva: gli elementi in legno o
acciaio sono prevalentemente lineari e, aggregandosi, possono formare elementi piani;
il calcestruzzo armato si presta altrettanto bene sia a realizzare elementi lineari che
elementi piani.
2.2.2 Rigidezza
Un’altra proprietà importante delle strutture è la rigidezza (Fig. 2). L’effetto dei
carichi sulle strutture è quello di produrre delle deformazioni (allungamenti o accor-
ciamenti) e delle tensioni (trazioni o compressioni), correlate tra loro attraverso un
parametro (modulo di elasticità) che dipende dal materiale costituente l’elemento
strutturale. Nelle strutture flessibili (a bassa rigidezza) si verificano sempre allunga-
menti, mentre nelle strutture rigide soggette a flessione si verificano sia allungamenti
che accorciamenti nella stessa sezione dell’elemento. Alcuni materiali, come legno
e calcestruzzo armato, vengono usati per costruire elementi rigidi, mentre l’acciaio
può essere usato sia per elementi rigidi (travi, colonne) che flessibili (cavi).
9
(a) (b) (c)
2.2.3 Materiale
Spesso si classificano le strutture in base al materiale (legno, acciaio, ecc.), ma i
principi di funzionamento che governano il comportamento di strutture in materiali
diversi non di rado sono molto simili (p. es. acciaio e legno), per cui le differenze
diventano superficiali. Naturalmente aumentando il livello di dettaglio dell’analisi
il tipo di materiale acquista una grande importanza in relazione alla resistenza che
esso offre alle azioni esterne (p. .es. il legno e l’acciaio reagiscono sia a trazione che
a compressione, il calcestruzzo e la muratura reagiscono bene solo a compressione).
2.3.2 Telaio
L’assemblaggio di una trave ed un pilastro che costituiscono un elementare telaio
è apparentemente simile a quello precedente, ma la differenza sostanziale risiede
nella rigidezza (o monoliticità) del collegamento dell’elemento orizzontale con quelli
verticali. Da ciò consegue che la trave anche in questo caso è inflessa, ma le sue
estremità sono trattenute dal ruotare grazie alla continuità con il pilastro, mentre
quest’ultimo, oltre ad essere caricato assialmente, è anche inflesso.
10
2.3.3 Struttura Reticolare
Le strutture reticolari si ottengono assemblando elementi rettilinei di lunghezza mo-
desta in modo da realizzare figure triangolari. In essi si può individuare un com-
portamento globale ed uno locale: la trave reticolare nel suo insieme è soggetta a
flessione, mentre i singoli elementi che la compongono sono soggetti solo a trazione
o compressione.
2.3.4 Arco
Storicamente gli archi sono ottenuti dalla giustapposizione di blocchi (di pietra o
muratura artificiale) a formare una linea curva per superare una distanza tra due
punti. La forma dell’arco è strettamente legata al carico che esso deve sopportare,
infatti gli elementi che lo costituiscono sono in grado di esercitare l’un l’altro solo
compressioni e ciò si realizza, appunto, sagomando opportunamente l’arco. Ne con-
segue che gli archi, che sono molto efficienti per i carichi per cui sono stati progettati,
risultano incapaci di sopportare drastiche variazioni degli stessi, come forti carichi
concentrati o variazioni della direzione dei carichi. Recentemente è stato utilizzato
anche il calcestruzzo armato per realizzare degli archi, anche di grandi dimensioni,
in cui il materiale è sfruttato in maniera ottimale e che, grazie alla presenza delle
armature, sono in grado di sopportare anche delle limitate inflessioni.
11
(a) (b) (c) (d) (e) (f)
2.4.1 Cavo
La proprietà fondamentale del cavo è quella di assumere una forma che dipende dal
carico o dai carichi applicati (posizione e intensità). Esiste una stretta corrispon-
denza tra la forma di un cavo e quella di un arco: applicando ad un cavo gli stessi
carichi che gravano su di un arco il cavo assume una configurazione che è quella
corretta per far funzionare un arco in modo ottimale.
12
(a) (b) (c) (d)
Figura 4: Strutture non rigide: (a) cavi; (b) tenda; (c) reti; (d) membrane
pneumatiche
13
(a) (b) (c)
(d)
(e)
Figura 6: Strutture mono e bi-direzionali: (a) trave; (b) graticcio; (c) piastra che
lavora in una sola direzione; (d) piastra che lavora in due direzioni
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2.7 Come stabilizzare una struttura semplice mediante diagonali
Consideriamo un struttura semplice (Figura 7) costituita dall’assemblaggio di due
pilastri ed un trave incernierati tra loro e con il terreno. Un sistema cosı̀ composto si
chiama parallelogramma articolato. Se applichiamo una forza orizzontale in testa ad
uno dei due pilastri, la distanza iniziale tra due vertici opposti del parallelogramma
(B e D) tende ad aumentare, mentre quella degli altri due vertici (A e C) tende a
diminuire. La struttura è instabile.
Se ora si posiziona un cavo tra i punti A e C, questo tenderà ad opporsi al
loro allontanamento. In esso si svilupperà una trazione. La struttura risulta stabi-
lizzata. Tuttavia se si inverte la direzione del carico, nel cavo dovrebbe svilupparsi
una compressione (il cavo resiste solo a trazione) e quindi la struttura non risulta
stabilizzata.
Se invece si inserisce un elemento rigido posizionato tra i punti A e C, questo
tenderà ad opporsi al loro allontanamento. In esso si svilupperà una trazione. La
struttura risulta stabilizzata. Un’inversione di direzione del carico applicato in B,
avrà l’effetto di comprimere l’elemento rigido che però questa volta è in grado di sop-
portare questo tipo di carico, a meno di fenomeni di instabilità laterale dell’elemento
diagonale compresso. La struttura continua ad essere stabilizzata.
Immaginando che la forza orizzontale (e la relativa inversione di direzione di
carico) può essere effettivamente prodotta, ad esempio, da un terremoto, è evidente
tra i due sistemi di stabilizzazione quello con la fune posta solo tra i vertici A e C
non è sufficiente allo scopo (occorre inserire un’altra fune tra B e D), mentre un
elemento rigido diagonale può bastare.
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Figura 7: Come stabilizzare una struttura: (a) Configurazione deformata di un assemblaggio semplice senza
diagonali: la distanza iniziale tra i punti A e C tende ad aumentare, quella tra B e D a diminuire; la struttura è
instabile. (b) Un cavo posizionato tra i punti A e C tenderà ad opporsi al loro allontanamento; in esso si svilupperà
una trazione; la struttura risulta stabilizzata. (c) Un elemento rigido posizionato tra i punti A e C tenderà ad opporsi
al loro allontanamento; in esso si svilupperà una trazione; la struttura risulta stabilizzata. (d) Un cavo posizionato
tra i punti B e D è inutile; in esso si dovrebbe sviluppare una compressione; la struttura non risulta stabilizzata; lo
stesso effetto si verifica in (b) quando il carico cambia direzione. (e) Un elemento rigido posizionato tra i punti B e
D tenderà ad opporsi al loro avvicinamento; in esso si svilupperà una compressione; la struttura risulta stabilizzata.
(f), (g) Per stabilizzare completamente la struttura in entrambe le direzioni del carico è necessario posizionare due
cavi, ognuno dei quali lavora mentre l’altro è scarico a seconda della direzione del carico. (h), (i) Posizionando due
elementi rigidi si ottiene la stabilizzazione, ma si fa un uso ridondante del materiale, in quanto entrambi gli elementi
lavorano indipendentemente dalla direzione del carico.
portante, aventi lo scopo di individuare più strutture tra loro indipendenti. Per
illustrare il concetto con un semplice esempio, consideriamo la pianta a forma di L
riportata in Figura 8. Se sovrapponiamo ad una pianta architettonica cosı̀ concepi-
ta una struttura avente la stessa forma, otteniamo una struttura irregolare, poiché
non esistono piani di simmetria. Se invece consideriamo due strutture indipendenti
di forma rettangolare, abbiamo sposato la stessa pianta con due strutture regolari
(Figura 8). Le due strutture hanno in comune soltanto le fondazioni, mentre in
corrispondenza del giunto si deve realizzare un raddoppio di pilastri e travi. Questo
non è l’unico modo di realizzare un giunto. Si possono trovare molte altre soluzioni,
in relazione alle esigenze del progetto architettonico (Figura 9). Analogo discorso
può essere fatto per l’elevazione, come rappresentato nella Figura 10: quando si è
in presenza di edifici con significative variazioni di altezza, è opportuno renderne
indipendenti le strutture portanti, che hanno in comune solo le fondazioni.
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Figura 8: Regolarità strutturale in pianta mediante l’inserimento di giunti
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3 GLI ELEMENTI STRUTTURALI
3.1 Introduzione
Nel capitolo precedente sono stati affrontati alcuni aspetti della progettazione con-
cettuale delle strutture. La comprensione del comportamento delle strutture esi-
stenti è di grande aiuto nell’inserimento della struttura in un nuovo progetto archi-
tettonico e forma la base di partenza anche per l’ideazione di tipologie di strutture
del tutto nuove ed originali. Fino ad ora ci si è basati su interpretazioni di carattere
qualitativo, prescindendo dalle dimensioni e dal materiale di cui la struttura è costi-
tuita. In questo capitolo si introducono alcuni concetti di base per esaminare anche
quantitativamente il funzionamento di una struttura. Infatti, per portare ad un li-
vello accettabile di definizione il progetto architettonico, non è possibile prescindere
da alcune informazioni di carattere quantitativo sulle strutture.
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(a) (b) (c) (d)
se immaginiamo una leva con fulcro in corrispondenza del taglio, questa non è in
equilibrio a meno che non applichiamo alla sinistra del fulcro un momento uguale
e contrario (detto momento flettente). Quindi nella mensola nascono due solleci-
tazioni: il taglio ed il momento flettente. Dai due semplici casi della fune e della
mensola abbiamo ricavato tre tipi di sollecitazioni: lo sforzo normale (che può essere
di trazione o di compressione), il taglio ed il momento flettente. Ricapitoliamo gli
effetti delle varie sollecitazioni con l’aiuto della Figura 14. Pensiamo di tracciare dei
reticoli sulle facce di un elemento ed osserviamo come si deforma il reticolo:
(a) (b)
Figura 12: La leva: (a) momento della forza applicata ad un estremo; (b) condizione
di equilibrio
19
Figura 13: Esempio di calcolo delle sollecitazioni in una mensola
Ciò che abbiamo detto precedentemente si applica, a rigore, alle sole strut-
ture isostatiche. Per quelle iperstatiche si può, in prima approssimazione, utilizzare
degli schemi isostatici di comodo, avendo l’accortezza di stimare le sollecitazioni per
eccesso. Per i fini che ci proponiamo in questo capitolo le approssimazioni sono del
tutto accettabili, visto che siamo interessati alla fattibilità del progetto strutturale,
piuttosto che alla verifica puntuale della costruzione.
Kg
σ=1
cm2
20
Figura 14: Visualizzazione di alcune caratteristiche di sollecitazione
La tensione normale nella fune è data dal rapporto tra lo sforzo normale e l’area della
sezione. Se ora aumentiamo il carico fino a quando la fune si spezza, per esempio
fino a 100 Kg, la tensione limite del materiale che costituisce la fune vale:
100 Kg
σ= = 10 2
10 cm
E’ molto importante ragionare con le tensioni, perché la tensione limite non dipende
dalle dimensioni della fune. Infatti se la fune fosse fatta di 5 fili, ad un carico di 50
Kg corrisponderebbe di nuovo una tensione:
50 Kg
σ= = 10 2
5 cm
e la fune si spezzerebbe. Se l’elemento è soggetto non a trazione ma a flessione o a
taglio il modo di calcolare la tensione cambia, ma non cambia il principio generale
per cui un materiale si rompe quando si raggiunge la sua tensione limite.
21
dei carichi ai vincoli, si accenna al criterio di predimensionamento.
3.4.1 Pilastro
E’ uno degli elementi strutturali più semplici e usati fin dall’antichità. Essendo sol-
lecitato prevalentemente a compressione, si presta ad essere realizzato con tutti i
tipi di materiali tradizionali: pietre squadrate nei templi greci, muratura nelle co-
struzioni romane, legno, acciaio o calcestruzzo armato. E’ un elemento strutturale
monodimensionale soggetto prevalentemente a carichi esterni agenti parallelamente
alla linea d’asse. L’applicazione del carico esterno genera una forza interna, denomi-
nata Sforzo Normale; esso corrisponde ad una tensione di compressione nella sezione
del pilastro che si scarica direttamente sul vincolo. Detto N lo sforzo normale ed A
l’area della sezione, la tensione di compressione vale:
N
σ=
A
Le dimensioni del pilastro devono essere tali da non far superare la tensione limite
che, di solito, viene mantenuta abbastanza al di sotto del limite vero e proprio del
materiale: 5-10 Kg/cm2 per la muratura, 50-70 Kg/cm2 per il calcestruzzo armato.
Un fenomeno a cui possono essere soggetti gli elementi di acciaio è quello
della instabilità. Essa si verifica quando il pilastro è molto snello, cio quando la
sua lunghezza è molto più grande delle dimensioni della sezione. Succede che ben
prima di raggiungere la tensione limite del materiale il pilastro sbanda lateralmente
e si inflette, perdendo la capacità di portare il carico. Per non incorrere in questo
problema nelle costruzioni in acciaio si usano tensioni limite ridotte, di solito non
superiori ai 500-1000 Kg/cm2 .
3.4.2 Tirante
E’ un elemento strutturale monodimensionale soggetto prevalentemente a carichi
esterni agenti parallelamente alla linea d’asse. L’applicazione del carico esterno ge-
nera una forza interna, denominata Sforzo Normale, corrispondente ad una tensione
di trazione nella sezione del tirante, che si scarica direttamente sul vincolo. Detto
N lo sforzo normale ed A l’area della sezione, la tensione di trazione vale:
N
σ=
A
Il tirante può essere realizzato solo con materiali reagenti a trazioni (legno o acciaio).
Raramente si usa il calcestruzzo armato facendo assorbire tutta la trazione alle barre
di acciaio. In quest’ultimo caso il calcestruzzo svolge la funzione di rivestimento,
comunque molto importante perché l’acciaio se esposto direttamente agli agenti
atmosferici in breve tempo si corrode. Nelle costruzioni storiche i tiranti sono molto
usati per assorbire le spinte negli archi (vedi seguito). Nei tiranti non sussiste il
pericolo dell’instabilità, per cui si può arrivare nell’acciaio a tensioni di circa 2000
Kg/cm2 .
22
3.4.3 Trave
E’ un elemento strutturale monodimensionale soggetto prevalentemente a carichi
esterni agenti perpendicolarmente alla linea d’asse. L’applicazione del carico esterno
genera una sollecitazione interna, denominata Momento Flettente, corrispondente
ad una tensione di compressione nelle fibre superiori ed una tensione di trazione
nelle fibre inferiori. Associato al momento flettente, quando questo varia lungo
l’asse dell’elemento, si verifica anche la sollecitazione di Taglio. Il comportamento
dei materiali reagenti sia a trazione che a compressione è abbastanza diverso da
quello del calcestruzzo armato, per cui li esaminiamo di seguito separatamente.
Legno o acciaio Si è prima visto che, a causa della flessione, si verifica un allun-
gamento di alcune fibre (trazione) ed un accorciamento di altre (compressione). Il
materiale raggiunge il suo limite quando la tensione di compressione o di trazione
raggiunge quella massima del materiale. Per calcolare la tensione (σ) corrispon-
dente ad un certo momento flettente (M ), si divide quest’ultimo per un parametro
chiamato modulo di resistenza (W ) che dipende dalla forma e dalle dimensioni della
sezione:
M
σ=
W
La tensione limite nel legno è di circa 50-100 Kg/cm2 , nell’acciaio è di circa 2000
Kg/cm2 . Per i profilati di acciaio commerciale i moduli di resistenza si trovano
tabellati, per le sezioni rettangolari di base b e altezza h si ha:
bh2
W =
6
23
Figura 15: Schema per il calcolo del modulo di resistenza di una sezione di
calcestruzzo armato
3.4.5 Arco
E’ un elemento strutturale monodimensionale soggetto prevalentemente a carichi
esterni agenti perpendicolarmente alla linea d’asse, analogamente alla trave, ma con
sollecitazioni interne predominanti di sforzo normale. A queste si accompagna una
azione orizzontale dell’arco (chiamata spinta) in corrispondenza di ogni vincolo, che
deve essere idoneo ad assorbirla.
La forma dell’arco è strettamente legata ai carichi che questo deve sostene-
re. La configurazione assunta da una fune tesa tra i vincoli dell’arco, quando essa
viene caricata con le stesse forze applicate all’arco, si chiama funicolare dei carichi.
Ribaltando la funicolare dei carichi si ottiene l’antifunicolare, una curva che rappre-
senta la linea delle pressioni nelle varie sezioni dell’arco. Quanto più questa linea si
avvicina alla linea d’asse geometrica, tanto migliore è il progetto dell’arco.
Un caso particolare di arco è l’arco a spinta eliminata (Figura 16). In questo
caso, tra i vincoli si dispone un elemento (detto catena) in grado di assorbire la spinta
generata dall’arco sui vincoli, che devono quindi reagire solo in direzione verticale.
La catena è soggetta a trazione. Nelle costruzioni in cui più archi simili per forma
e carichi sono affiancati uno all’altro, l’eliminazione della spinta è una conseguenza
della combinazione delle reazioni dei singoli archi.
3.5 Le fondazioni
Rappresentano la parte dell’edificio che trasferisce i carichi al terreno. Date le grandi
incertezze nella conoscenza delle proprietà del terreno di fondazione e le eventuali
disomogeneità difficilmente riconoscibili con precisione in fase di progetto, esse gene-
24
Figura 16: Arco a spinta eliminata
ralmente sono dimensionate con margini di sicurezza superiori a quelli che si usano
per le strutture in elevazione.
Negli edifici storici in muratura le fondazioni erano realizzate con un sem-
plice allargamento della base del muro, in quanto si era osservato che il terreno non
roccioso può resistere a pressioni più basse di quelle della muratura. Per terreni di
qualità medie si può assumere una pressione massima di circa 1-2 Kg/cm2 .
Sulla base di come il carico viene trasmesso al terreno le fondazioni possono
essere definite dirette o indirette.
25
Figura 17: Pianta e sezione di un plinto isolato
26
Figura 18: Pianta di fondazioni a travi rovesce
27
Figura 20: Pianta di fondazioni a platea
28
Figura 22: Schema di trasferimento al terreno del carico sul palo
Figura 23: Pianta di fondazioni a plinti su pali; nella figura le travi di collegamento
sono presenti prevalentemente sul perimetro, ma è buona regola collegare tutti i
plinti dell’edificio tra di loro
29
Figura 24: Assonometria di plinti su pali
30
4 PREDIMENSIONAMENTO SEMPLIFICATO
4.1 Premessa
Per effettuare la progettazione preliminare di una struttura è essenziale quantifica-
re accuratamente i carichi dovuti al peso della struttura stessa (peso proprio) ed
alle finiture e stimare in maniera attendibile i sovraccarichi. I sovraccarichi sono i
carichi dovuti all’uso (arredo, folla, automezzi, etc.) o quelli che possono derivare
dall’ambiente (vento, neve, sisma). E’ stato già detto, infatti, che una struttura
viene progettata in riferimento a certi tipi di carichi e può cessare di comportarsi
come tale se soggetta a carichi del tutto inattesi.
Per gli edifici di solito si fa una distinzione tra carichi verticali e carichi
orizzontali. La distinzione dipende dal meccanismo di trasferimento dei carichi al
terreno. Per i carichi verticali di solito sono interessati pochi elementi strutturali,
seguendo la gerarchia tipica del sistema costruttivo: p. es. travetto-trave-pilastro-
plinto-terreno. Per i carichi orizzontali, invece, è essenziale che la struttura esibisca
un buon comportamento di insieme.
• Il peso degli elementi strutturali, tenendo conto dei rispettivi pesi specifici:
• Il peso delle finiture, delle partizioni, degli impianti (di solito si ingloba tutto
in un carico onnicomprensivo di 100-150 Kg/m2 )
• Il peso delle eventuali tamponature sugli elementi su cui gravano (900 Kg/m3
per i laterizi forati)
31
– Parcheggi per autovetture 250 Kg/m2
– Zone carrabili circa 2000 Kg/m2
– Archivi, biblioteche 600 Kg/m2
– Terreno vegetale 1800 Kg/m3
• Il peso della neve (è stabilito dalla normativa e dipende dalle zone e dall’alti-
tudine, varia da circa 100 a circa 350 Kg/m2 )
4.4.1 Solai
Si utilizza un prontuario in cui è fornito per ogni tipo di solaio, di altezza e di luce,
il momento massimo sopportabile (Figura 26). Si prova con il solaio 3Q di altezza
20 + 5 cm. Si calcolano i carichi che gravano su di una striscia di 1 m di solaio:
pL2 725 × 52
M= = = 2265 Kgm
8 8
32
Figura 25: Pianta del piano tipo dell’edificio da predimensionare
pL2
M=
2
dove p è il carico ripartito e L è la luce dello sbalzo.
Dal prontuario si vede che il momento massimo sopportabile dal solaio è di
2877 Kg m, per cui il solaio è fattibile con una altezza strutturale di 25 cm.
Ha interesse calcolare anche il carico che il solaio trasmette ad ognuna delle
due travi tra cui è tessuto. Sempre con lo schema di trave appoggiata, si ricava:
pL 725 × 5
A= = = 1812 Kg
2 2
33
Figura 26: Estratto da un prontuario per la scelta del solaio (per passare da KNm
a Kgm si deve moltiplicare per 100)
34
Figura 27: Schema di calcolo a trave appoggiata
Questa volta lo schema è quello di una trave continua su tre appoggi (Figura
28), per cui il momento massimo (appoggio B) vale:
pL2 2926 × 72
M =− =− = 17922 Kgm
8 8
Per vedere se la trave sopporta questa sollecitazione con 3 barre del diametro di
2
26 mm calcoliamo prima l’area della sezione di una barra: Aa = π2.64
= 5.31 cm2 .
Quindi calcoliamo il modulo di resistenza (si veda il par. 3.4.3):
M 1792200
σ= = = 1922 Kg/cm2
W 932
Si vede che la tensione è inferiore a 2000 Kg/cm2 ed è quindi accettabile. Se cosı̀ non
fosse stato avremmo dovuto aumentare il numero delle barre, oppure aumentarne
il diametro (tenendo conto che di solito si usano diametri compresi tra 12 e 26
35
Figura 28: Schema di calcolo a trave continua su 3 appoggi
mm), oppure ancora avremmo dovuto aumentare l’altezza della sezione della trave.
Quando siamo arrivati ad una situazione che riteniamo accettabile ed il numero
di barre è significativo, è opportuno disegnare in scala la sezione della trave per
controllare che effettivamente le barre possano essere poi disposte nel numero da
noi previsto. Nel fare questo dobbiamo fare in modo che le barre esterne distino
almeno 3 cm dal bordo della sezione, mentre tra una barra e l’altra rimanga uno
spazio almeno pari al diametro delle barre utilizzate.
Per controllare la tensione di taglio, sempre dallo schema di trave con 3
appoggi ricaviamo il taglio massimo:
36
• peso della trave = 0.7 × 0.4 × 2500 = 700 Kg/m
37
Figura 29: Schema per il calcolo delle aree di influenza dei pilastri
A questo punto si prova a definire le due dimensioni della sezione del pilastro
(colonna 8) e si calcola l’area (in cm2 , colonna 9). Dividendo il carico totale per
l’area della sezione si ottiene la tensione nel pilastro (in Kg/cm2 , colonna 10). La
tensione non deve superare i 60-70 Kg/cm2 , altrimenti è necessario aumentare le
dimensioni del pilastro. Le dimensioni minime consigliate per i pilastri sono 30 × 30
cm. Nella Tabella 1 è riportato un esempio di predimensionamento di tre pilastri in
un edificio di 3 piani (4 livelli). I pilastri sono ogni 5 m in una direzione ed ogni 7
m nell’altra direzione.
4.4.5 Fondazioni
Consideriamo il pilastro B che, come si vede dalla Tabella 1, è il più caricato con
uno sforzo normale N = 140000 Kg. Ipotizziamo una fondazione a plinto isolato
quadrato, di lato 3 m. L’area di base del plinto in cm2 è A = 300 × 300 = 90000
cm2 . Il calcolo della pressione sul terreno si effettua semplicemente con la divisione:
N 140000
σ= = = 1.55 Kg/cm2
A 90000
Il valore è accettabile, perché nell’intervallo 1-2 Kg/cm2 (si veda anche il par. 3.5).
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Area Carico Carico al Carico Carico Sezione Area Tensione
Pilastro Livello influenza distribuito livello livelli totale (cm × cm) sezione (Kg/cm2 )
(m2 ) (Kg/m2 ) (Kg) precedenti (cm2 )
A 4 35 1000 35000 0 35000 30 x 30 900 39
A 3 35 1000 35000 35000 70000 30 x 40 1200 58
A 2 35 1000 35000 70000 105000 40 x 40 1600 65
A 1 35 1000 35000 105000 140000 40 x 60 2400 58
B 4 17.5 1150 20125 0 20125 30 x 30 900 22
B 3 17.5 1150 20125 20125 40250 30 x 30 900 44
B 2 17.5 1150 20125 40250 60375 30 x 40 1200 50
B 1 17.5 1150 20125 60375 80500 40 x 40 1600 50
C 4 8.75 1300 11375 0 11375 30 x 30 900 13
C 3 8.75 1300 11375 11375 22750 30 x 30 900 25
C 2 8.75 1300 11375 22750 34125 30 x 30 900 38
C 1 8.75 1300 11375 34125 45500 30 x 30 900 51
38
Parte II
Costruzioni in calcestruzzo armato
5 SIMBOLOGIA
39
5.2 Lettere minuscole
Azioni e sicurezza Calcolo strutturale Verifiche materiali
a var. aleat. azione lato maggiore
b lato minore larghezza sezione
c coeff. numerico coeff. numerico copriferro
d flessibilità altezza utile
e eccentricità eccentricità
f funz. di probabilità funzione resistenza materiali
g acceleraz. di grav. funzione peso di volume
h altezza altezza sezione
i raggio d’inerzia interasse
j età in giorni
k coeff. di probab. rigidezza coefficiente
l lunghezza lunghezza, distanza
m momento rapp. di omogeneizz.
n numero prove rapp. di omogeneizz.
o
p probabilità carico distribuito
q probabilità (1-p) carico distri. variabile sforzo scorr. unitario
r var. aleat. resist. forza (o raggio) funz. rilassamento
s scarto quadratico spaziatura, passo
t tempo spessore
u traslaz. lungo x perimetro
v traslaz. lungo y funzione di viscosità
w traslaz. lungo z ampiezza di fessuraz.
x var. aleat. generica coordinata posizione asse neutro
y coordinata distanza
z coordinata braccio coppia int.
40
5.3 Lettere greche
Azioni e sicurezza Calcolo strutturale Verifiche materiali
α coeff. di dilataz. coeff. di instabilità angolo (o coeff.)
β coeff. di vincolo rapporto C/bfc
γ coeff. di sicurezza scorrimento coeff. di sicurezza
δ traslazione rapporto d/h
dilatazione dilatazione
θ curvatura curvatura
κ coefficiente rapporto o coeff.
λ snellezza snellezza
µ coeff. attrito momento adimens.
ν coeff. Poisson forza assiale adimens.
ξ coord. o traslazione rapporto x/h
η coord. o traslazione rapporto y/h
ζ coord. o traslazione rapporto z/h
π 3,1415927
ρ tensione generica coeff. di rilassam.
σ tensione normale tensione normale
τ tensione tangenziale tensione tangenziale
υ taglio adimens.
φ rotazione coeff. di viscosità
χ fattore di taglio curvatura adimensionale
ψ coeff. di combinaz. rotazione angolo
ω coeff. di instabilità coeff. di instabilità
Φ diametro ferro
41
5.4 Indici
Azioni e sicurezza Calcolo strutturale Verifiche materiali
a agente
b bullone o aderenza
c critico, di collasso del calcestruzzo
d di calcolo di calcolo
e elast., al limite elast.
f dei carichi
g dei carichi perman.
h
i orizzontale
j i-esimo al giorno j
k caratteristico j-esimo caratteristico
l longitudinale
m dei materiali medio
n normale
o all’origine, di base
p della precompress. dei carichi della precompress.
q dei carichi variabili
r resistente di rottura
s dell’acciaio
t del tempo tangente a trazione
u ultimo a rottura
v verticale viscoso
w dell’anima
x secondo x
y secondo y di snervamento
z secondo z
geomerico
T termico termico
42
6 UNITA’ DI MISURA
43
7 GENERALITA’ SUL CALCESTRUZZO ARMATO
• modulo elastico del tratto iniziale diverso per le differenti resistenze dei mate-
riali
2
La curva granulometrica è un diagramma sperimentale ottenuto in seguito al passaggio del
materiale campione tramite setacciatura. Il risultato dell’analisi è reso più chiaramente visibile
attraverso la creazione di grafici in scala ordinaria o logaritmica. In questi grafici le variabili sono:
in ascissa la percentuale passante, cioè la percentuale di materiale più fine della maglia del setaccio,
che passa attraverso la sua maglia, in ordinate il diametro, cioè la larghezza minima della maglia
del setaccio in caso di maglia rettangolare, o diametro in caso di fori circolari.
44
Figura 30: Comportamento del calcestruzzo sotto carico
45
Figura 31: Modalità di rottura del calcestruzzo compresso
sa è influenzato dall’attrito che si instaura sulle facce del provino stesso. Oltre alla
componente longitudinale della tensione sorge dunque una componente trasversale,
anch’essa di compressione, che contrasta la dilatazione trasversale ed incrementa la
resistenza.
Per ovviare all’effetto dell’attrito si devono impiegare provini prismatici (o
cilindrici) sufficientemente allungati. In tal modo, fra i tratti terminali di estensioni
pari all’incirca alla dimensione trasversale, tratti in cui risulta sensibile il disturbo
provocato dall’attrito, resta una tratto intermedio soggetto ad un puro flusso di
tensioni longitudinali. La resistenza misurata su provini di lunghezza pari almeno
a 2.5 volte la dimensione trasversale è detta resistenza prismatica (o cilindrica o
semplicemente resistenza a compressione) ed indicata con fc (v. Fig. 31b).
La correlazione tra le due resistenze a compressione sopra definite si basa
sulla formula:
fc = 0.83Rc
ampiamente verificata per via sperimentale. Ciò consente di adottare, nella pratica
esecutiva delle costruzioni in calcestruzzo armato, la prova su più agevoli provini
cubici e di derivare poi dai risultati la resistenza prismatica richiesta dai calcoli del
progetto strutturale.
46
tivo significato cantieristico in relazione alla precisione consentita dalle capacità di
regolazione della produzione stessa.
La resistenza minima per un impiego strutturale si pone intorno ai 20 MPa.
Quella massima, ottenibile con le moderne tecnologie molto accurate, può risultare
anche alquanto superiore agli 80 MPa. Questo limite non contempla i calcestruzzi
maturati in autoclave, la cui resistenza può superare abbondantemente i 100 MPa,
ma che rappresentano a tutti gli effetti un materiale diverso non trattato nel presente
testo. Il passo minimo significativo si aggira attorno ai 5 MPa.
Con queste premesse si può codificare la seguente classifica di resistenze:
Resistenze fc (MPa)
basse 20-24
medio basse 28-33
medie 38-43
medio alte 48-53
alte 58-63
altissime 68-73
superiori 78-83
Nel discorso che segue è da tenere presente che ad ogni singolo intervento
produttivo è associata una rilevante variabilità aleatoria della resistenza. Grosso
modo dunque i valori qui sopra indicati vanno intesi come quelli medi definiti più
avanti. Con questa precisazione la classificazione introdotta vede:
• le classi di basse resistenze, raramente impiegate in elementi strutturali, se non
per particolari opere non armate di tipo murario o di sottofondazione;
• infine le classi di superiori resistenze che allo stato attuale della tecnologia
rappresentano il massimo livello ottenibile per il calcestruzzo, realizzato solo in
esperienze di laboratorio o in alcuni interventi campione, ma non per effettive
produzioni commerciali.
47
Figura 32: Provino di calcestruzzo per prova a trazione
48
Per i calcoli strutturali relativi all’analisi elastica degli elementi e delle
sezioni in calcestruzzo armato va invece impiegato il modulo ridotto:
Ecs = 0.85Ec
Rck = Rcm − ks
∆R = Rcm − Rck = ks
Rck 24 36 48 60
∆R/Rck 0.40 0.27 0.20 0.16
Rcm /Rck 1.40 1.27 1.20 1.16
49
Se per esempio è prescritta una resistenza cubica caratteristica pari a 30
MPa, il progettista della ricetta per la produzione del relativo calcestruzzo dovrà
riferirsi ad un valore medio Rcm = 30+9.6=40 MPa superiore di circa 1/3 rispetto
a quello caratteristico richiesto. Una tale produzione potrà garantire viceversa una
resistenza caratteristica pari a circa lo 0.75 del valore medio stesso.
In fase progettuale le previsioni, ai fini dei calcoli fatti secondo il metodo
semiprobabilistico agli stati limite, vanno basate sul valore caratteristico fck della
resistenza di riferimento. Per dedurre quindi le altre caratteristiche meccaniche
necessarie ai calcoli stessi, il progettista, in base al tipo di produzione ordinaria o
controllate del cantiere o stabilimento interessato, dovrà stimare come sopra detto
il valore medio di resistenza a compressione e su questo potrà applicare le formule
di correlazione riportate in precedenza.
50
Nel calcestruzzo armato si impiegano, per le armature, i prodotti siderurgici
costituiti da acciaio in barre o filo; le prime sono fornite in fasci di verghe diritte,
solitamente di 12 m di lunghezza ed eventualmente piegati in due per facilitarne il
trasporto; il secondo viene in genere fornito avvolto in rotoli per notevoli lunghezze.
Le barre ed i fili prodotti per laminazione a caldo possono essere lasciati
senza ulteriori lavorazioni; il loro acciaio a durezza naturale è caratterizzato da
diagrammi σ- del tipo di quello rappresentato in Fig. 33. Questi diagrammi,
dedotti da prove a trazione su spezzoni di barra o filo, mostrano:
• modulo elastico Es con buona precisione pari, per tutti i tipi di acciaio, a
205000 MPa;
• discesa della curva dopo il carico massimo al seguito del fenomeno della stri-
zione del provino;
• indici u , t di duttilità più piccoli in genere per gli acciai di maggiore resistenza.
• fy - tensione di snervamento
51
Figura 33: Tipico diagramma tensione-deformazione dell’acciaio
• filo (coil)
• rete (fabric)
• traliccio (fabric)
Questi ultimi due sono ottenuti dal filo, per elettrosaldatura in stabilimento,
e forniti in pannelli piani la rete elettrosaldata, in travetti reticolari il traliccio
elettrosaldato. Dei tralicci, che utilizzano gli stessi acciai impiegati per le reti, non
si danno ulteriori informazioni rimandando ai numerosi cataloghi per le forme e le
dimensioni commerciali.
I prodotti nazionali sono costituiti da quattro tipi di acciaio denominati:
• FeB22k (B215)
• FeB32k (B315)
• FeB38k (B375)
• FeB44k (B430)
52
Figura 34: Confronti tra diversi tipi di acciaio
Tutti questi acciai sono a durezza naturale (v. Fig. 34), di alta duttilità
e piegabili. Non tutti però consentono l’uso della saldatura. Il prodotto in fili può
risultare di duttilità inferiore.
In sede europea si è normalizzato un unico tipo di acciaio (steel grade)
definito nella apposita norma ENV 10080, prodotto nelle tre classi di duttilità (v.
Fig. 34):
• B500H
• B500N
• B500L
Si tratta sempre di acciaio piegabile, perfettamente saldabile e ad aderenza miglio-
rata. Le barre tonde lisce o nervate sono prodotte nei diametri pari da 6 a 30 mm.
I fili lisci o nervati e le reti elettrosaldate corrispondenti sono prodotti nei diametri
pari da 4 a 12, più il 5 ed il 7 mm.
53
Figura 35: Andamento delle deformazioni sulla sezione retta di una trave in c.a.
54
Figura 36: Diagrammi σ − per il calcestruzzo
σs = Es s
55
Figura 37: Diagrammi σ − per il calcestruzzo
sd = 0.01
56
Figura 38: Schema dello sfilamento di una barra dal calcestruzzo
si suppone che esse assumano un valore τb costante. Con questa ipotesi dunque
l’equilibrio della barra è dato da:
R = σs As = τb ul
con σs tensione sulla sua sezione esterna ed u perimetro aderente della stessa.
La crisi del sistema potrà verificarsi o per snervamento dell’acciaio o per
sfilamento della barra medesima. Essendo tali eventualità ugualmente risolutive
nei riguardi della crisi, si potrà imporre che, per un appropriato dimensionamento
della struttura, l’eventualità di uno sfilamento non si manifesti prima di quella dello
snervamento:
πφ2
fy = τbr πφl0
4
avendo indicato con τbr il valore limite di rottura della tensione di aderenza. Si
ricava pertanto:
φfy
l0 =
4τbr
che rappresenta la lunghezza minima d’ancoraggio secondo il criterio sopra precisato.
Per assicurare la completa collaborazione dell’armatura metallica in una
certa sezione di calcestruzzo armato, prima di quella sezione il ferro deve essere
ancorato nel calcestruzzo per un tratto pari almeno ad un certo multiplo del suo
diametro. Tenendo conto dei diversi valori dei coefficienti di sicurezza, con γc /γs =
1.6/1.15 = 1.4 per un ferro tondo di superficie ad aderenza migliorata, con fy /τbr =
400/5 = 80 si ha:
80 × 1.4
l0 = = 30φ
4
Tali valori sono indicativamente validi per un corretto accoppiamento delle
qualità dei due materiali, per cui ad una maggiore resistenza dell’acciaio va associata
una migliore caratteristica di aderenza.
Diversi opportuni accorgimenti vanno comunque adottati nel disegno dei
ferri per assicurare l’aderenza. In primo luogo un’adeguata limitazione del diametro
dei ferri per non ricorrere ad eccessive lunghezze di ancoraggio. Si deve poi, come
anzidetto, garantire un coerente accoppiamento delle qualità dei materiali. Si deve
ancora tenere conto del negativo effetto della fessurazione, che provoca distacchi e
lesioni della superficie di contatto efficace, mirando ad ancorare ove possibile i ferri in
57
zona compressa. La vicinanza delle armature alla superficie esterna del calcestruzzo
diminuisce anch’essa la resistenza dell’unione di aderenza, a causa della scarsa o
nulla efficacia della crosta superficiale; le barre vanno quindi di norma ancorate alle
estremità piegandole verso l’interno o con opportune sagome. Da notare infine come
la “ripresa” dei ferri, e cioè la loro giunzione per semplice sovrapposizione, implichi
il passaggio del flusso di tensioni attraverso il calcestruzzo; si dovrà quindi verificare
accuratamente tale sollecitazione e prevedere l’opportuno sfalsamento delle diverse
giunzioni, in modo da non concentrare il disturbo provocando l’eventuale eccessivo
indebolimento della sezione interessata.
58
8 SFORZO ASSIALE CENTRATO
8.1 Pilastri
I pilastri in calcestruzzo armato sono provvisti di due ordini di armature (v. Fig.
39): un’armatura longitudinale costituita da ferri posti agli spigoli ed eventualmente
anche sui lati più lunghi; un’armatura trasversale costituita da “staffe”, ovvero ferri
di diametro minore sagomati in modo da racchiudere il fascio dei ferri longitudinali.
Sotto azioni di compressione sostanzialmente centrate non sorgono nei pi-
lastri tensioni di trazione. Si potrebbe pensare di non adottare alcuna armatura
essendo il calcestruzzo atto a resistere bene alla compressione. La sua fragilità però
richiede un correttivo. Se si escludono le opere massicce, per le quali una eventuale
lesione fragile localizzata incide poco sulla resistenza complessiva, gli elementi in
calcestruzzo vanno sempre avvolti in una specie di gabbia metallica superficiale.
L’entità di tale gabbia metallica va rapportata alla massa di calcestruzzo
da armare in modo da introdurre un sensibile apporto di resistenza a trazione. Ciò
porta a prescrizioni sulle armature minime del tipo
As ≥ ρ0 Ac
che impone un valore minimo ρ0 (per es. = 0.003) al rapporto geometrico di armatura
longitudinale ρs = As /Ac ; oppure del tipo
As ≥ ν0 Nad /fsd
che impone l’evenutale maggiorazione dell’armatura stessa in base ad una quota
minima ν0 del carico da riservare ad essa.
Bisogna inoltre garantire una sufficiente diffusione delle armature stesse,
imponendo un interasse massimo dei ferri (per es. ≤ 300 mm) e correlando la
spaziature delle staffe al lato minore del pilastro (per es. s ≤ b).
Per armature inferiori ai minimi sopra citati si ha la tipologia delle opere
in calcestruzzo semplice (non armato o debolmente armato), come le murature e le
altre strutture massicce, che vengono progettate con criteri appositi.
Grandi percentuali d’armatura, superiori ad un limite ρ1 dell’ordine del
4%, rendono incerta l’effettiva collaborazione tra i due materiali per problemi di
aderenza. Quando l’area dell’acciaio supera detto limite di incidenza, si entra nel
campo di un diverso tipo di materiale composto. Si tratta cioè di strutture miste,
nelle quali l’aderenza tra acciaio e calcestruzzo va affidata ad appositi dispositivi
connettori e non soltanto all’aderenza superficiale.
59
Figura 40: Modalità di rottura di un pilastro compresso
s ≤ κ0 Φ
che per esempio, con κ0 =12, (essendo i = Φ/4 il raggio di inerzia ed s0 = 0.5s la
lunghezza di libera inflessione), impone implicitamente il limite
s0
λ= = 24
i
alla snellezza dei ferri stessi.
Le staffe vanno sagomate e dimensionate in modo da garantire un effica-
ce ritegno verso l’interno del pilastro funzionando a trazione. Posto che la forza
deviatoria trasversale sia proporzionale a quella verticale che scende entro i ferri
longitudinali (per es. un qualche percento), la sezione delle staffe va dunque cor-
relata a quella dei ferri longitudinali stessi con limitazioni del tipo Φ1 ≥ Φ/n. La
presenza di ferri longitudinali sui lati richiede infine l’aggiunta di appositi ferri di
collegamento trasversali.
Le due estremità del pilastro sono le zone più critiche, sia per l’eventuale
“disturbo” creato dalle riprese dei ferri (in genere al piede), sia perché l’eventuale
componente flettente dello sforzo vi raggiunge i suoi massimi. E’ buona norma
infittire le staffe in dette zone, per esempio dimezzandone il passo, cosı̀ da potenziare
il loro effetto di confinamento.
L’armatura di elementi di sezione allungata, come setti o muri (v. Fig.
41), prevede l’inserimento di due orditure di ferri prossime alle superfici esterne.
L’armatura “trasversale”, costituita dai ferri diritti orizzontali di diametro minore,
60
Figura 41: Armature tipiche nei setti in c.a.
non offre il collegamento passante necessario per trattenere le barre verticali con sole
trazioni. Per questo sarebbero necessari degli appositi ferri (come quello tratteggiato
in figura), uno per ogni coppia di ferri verticali, spaziati in altezza secondo gli stessi
criteri detti per le staffe.
I ferri di collegamento possono essere omessi qualora lo strato di calcestruzzo
che ricopre le barre sia in grado di trattenerle con trazioni trasversali σh opportuna-
mente contenute in modo da non ridurre sensibilmente la resistenza del calcestruzzo
stesso verso le compressioni verticali. Ciò porta a limitazioni del diametro Φ delle
barre in rapporto al copriferro c ≥ 2Φ in funzione del diametro della barra longitu-
dinale e ciò al fine di poter contare sulle piene capacità resistenti dei materiali senza
bisogno dei ferri trasversali di contenimento.
σc = Ec c = Ec
σs = Es s = Es
σs = mσc
σc Ac + σs As = N
61
Figura 42: Schema di calcolo di un pilastro in c.a.
σc (Ac + mAs ) = σc Ai = N
avendo posto
Ai = Ac + mAs
l’area ideale della sezione ragguagliata al calcestruzzo. Si ha cioè che in fase elastica
l’area metallica As va amplificata attraverso il “coefficiente di omogeneizzazione” m
per ottenere un’area di calcestruzzo che abbia la stessa “portanza”.
Chiamando con
Es As
ψs = = mρs
Ec Ac
il rapporto elastico di armatura, valutato pesando le aree dei due materiali con il
rispettivo modulo elastico, si può scrivere3 :
Ai = Ac (1 + ψs )
3
Si riportano di seguito i passaggi:
As mAs Es
Ai = Ac + mAs = Ac 1 + m = Ac 1 +
Ac Ac Es
Es
Ricordando che m = Ec si ricava:
As Es
Ai = Ac 1 +
Ac Ec
Posto:
E s As
ψs = = mρs
E c Ac
si ricava infine:
Ai = Ac (1 + ψs )
62
Figura 43: Legami costituitivi di calcestruzzo e acciaio per i pilastri
63
dove va posto σ ∗ = fsd qualora risulti yd < c1 .
Analogamente alla formula elastica questa equazione può essere posta come
!
fsd
Nrd = fc1 Ac + As = fc1 Air
fc1
215/1.15
ωs = 0.003 = 0.03
0.85 × 0.83 × 40/1.6
per sezioni armate con il minimo di armatura (As = 0.003Ac ), acciaio di bassa
resistenza (fs = 215MPa) e calcestruzzo di alta resistenza (fc1 = 40MPa) a
500/1.15
ωs = 0.04 =2
0.85 × 0.83 × 20/1.6
per sezioni armate con il massimo di armatura (As = 0.04Ac ), acciaio di alta resi-
stenza (fs = 500MPa) e calcestruzzo di bassa resistenza (fc1 = 20MPa). Si nota
come si possa passare da elementi debolmente armati con apporto dell’armatura pra-
ticamente trascurabile fino a situazioni, invero non frequenti, di prevalente apporto
dell’armatura stessa. Nelle comuni situazioni la presenza dell’armatura può incre-
mentare la portata dei pilastri indicativamente del 20-30%, tale essendo mediamente
la percentuale meccanica d’armatura.
Da notare infine che diverse normative (come quella italiana) penalizzano
ancora la resistenza per sforzo assiale del calcestruzzo ponendola pari a 0.8fc1 . In
tal caso la formula qui dedotta diventa
64
Figura 44: Effetto del confinamento in pilastri ordinari
dei tratti rettilinei dei ferri lascia concentrare le azioni di confinamento sulle piega-
ture delle staffe; queste azioni si diffondono cosı̀ su di una limitata porzione interna
di calcestruzzo.
Per sfruttare sistematicamente l’effetto sopra descritto si adottano oppor-
tune armature “cerchianti”, nettamente più fitte che nei pilastri staffati. I pilastri
cerchiati circolari dunque dispongono di un fascio di ferri longitudinali (almeno 6),
fittamente distribuiti su di un tracciato periferico circolare e racchiusi da un fer-
ro a spirale (o da staffe circolari). Il passo stesso della spirale va opportunamente
contenuto rispetto al diametro, per esempio con s ≤ D/5. Cosı̀ facendo si ottiene
un efficace contenimento delle dilatazioni trasversali in tutto il nucleo cilindrico di
calcestruzzo delimitato dalla cerchiatura (v. Fig. 45).
In fase elastica l’effetto della cerchiatura sulla distribuzione delle tensioni è
assai limitato, mentre la resistenza a rottura viene invece sensibilmente incrementata
dalla cerchiatura. Introducendo anche per il pilastro cerchiato la stessa penalizza-
zione della resistenza riservata al calcestruzzo dei pilastri staffati, si ha finalmente
la formula cautelativa della resistenza:
65
8.2 Elementi tesi
Con la trattazione sui tiranti in calcestruzzo armato si introduce il fondamentale
tema della fessurazione. La problematica è assai ampia, coinvolgendo aspetti statici,
chimici e tecnologici, e non si può dire che allo stato attuale si siano raggiunti buoni
livelli di precisione nei relativi calcoli applicativi. Criteri e metodi restano ancora
suscettibili di notevoli affinamenti.
Al seguito delle analisi del fenomeno fessurativo si inserisce il tema della
precompressione, visto come accorgimento per mantenere la fessurazione stessa entro
gli opportuni limiti di servizio. Da un lato quindi la possibilità di soddisfare, anche
per gli elementi eminentemente tesi, precisi requisiti funzionali; dall’altro lato la
possibilità di pieno utilizzo delle risorse degli acciai ad elevata resistenza, come
meglio si preciserà nel seguito.
Dando per scontata all’origine la sicurezza nei riguardi della rovina, la
fessurazione ha comunque tre ordini di conseguenze:
66
8.2.2 Effetto del ritiro
Trazioni sorgono nel calcestruzzo, ancor prima che la struttura venga sottoposta ai
carichi di servizio, a causa del ritiro. Per la sezione di un elemento in c.a. tale
effetto può essere valutata imponendo l’equilibrio e la congruenza per un valore cs
del ritiro riferito al solo calcestruzzo:
As σs + Ac σc = 0
σs σc
= + cs
Es Ect
Le due equazioni precedenti sono ottenute immaginando di avere un elemen-
to di calcestruzzo armato vincolato alle estremità in modo che non gli sia impedito
di accorciarsi. La prima equazioni esprime il fatto che non vi sono carichi esterni
applicati (il secondo membro è uguale a zero). La seconda equazione esprime la con-
gruenza tra la deformazione dell’acciaio (primo membro) e quella del calcestruzzo
(secondo membro). Quest’ultima ottenuta sommando alla deformazione incognita
del calcestruzzo quella nota dovuta al ritiro, che si applica al solo calcestruzzo.
Dalla prima equazione si ottiene
σc
σs = −
ρs
67
Superati i tratti estremi di lunghezza λ necessari per la diffusione dello sforzo
dall’acciaio all’intera sezione, si instaura in tutto il tratto interno dell’elemento uno
stato di tensione calcolabile con le formule precedentemente ottenute:
N
σc = σs = mt σc
Ac + mt As
Finché la tensione σc nel calcestruzzo rimane inferiore alla sua resistenza a trazione,
tale stato di tensione resta qualitativamente invariato, come indicano i diagrammi
“a” di Fig. 46, dove in particolare si evidenzia come la tensione τb di aderenza si
attivi nei tratti di incompleta diffusione delle tensioni.
Si pensi ora di aumentare la forza N fino a raggiungere valori di σc molto
prossimi a quelli di rottura. A tal punto, nel tratto interno dell’elemento in cui si ha
completa distribuzione delle tensioni su tutta la sezione, può manifestarsi una prima
fessura situata dove, per la variabilità dei parametri caratteristici della resistenza,
si ha casualmente una sezione più debole delle altre. Si instaura pertanto un nuovo
stato di tensione, come descritto dai diagrammi “b” di Fig. 46, con tensioni che
variano da σs0 = N/As in corrispondenza della fessura al valore σs dei tratti a
completa diffusione dello sforzo e con delle tensioni nel calcestruzzo che variano
parallelamente da 0 a σc .
Aumentando lo sforzo N fino a raggiungere i valori di rottura della tensione
di trazione nel calcestruzzo, la fessurazione si estende a tutto il tirante. La minima
distanza dalle primitiva fessura di una possibile successiva è quel parametro λ che
caratterizza la lunghezza necessaria per il completo diffondersi delle tensioni nella
sezione, perché solo oltre a tale lunghezza la tensione σc può assumere il suo valore
massimo.
Nei diagrammi “c” di Fig. 46 è qualitativamente rappresentato il fenomeno,
con evidenziati i limiti inferiore e superiore entro cui può variare in modo casuale
l’effettiva distanza tra le fessure. Ulteriori incrementi di N oltre il valore di for-
mazione delle fessure provocano una progressiva apertura delle fessure già presenti.
Qualche nuova fessura può ancora formarsi in mezzeria dei conci più lunghi; poi la
configurazione si stabilizza con aperture sempre maggiori finché, per elevati valori
dell’allungamento dell’acciaio, il legame stesso di aderenza entra in crisi.
La schematizzazione precedente può essere anche utilizzata per stimare la
spaziatura caratteristica tra le lesioni, individuata dal parametro λ. Con riferimento
alla Fig. 46a si può scrivere l’equilibrio della trave nel tratto compreso tra l’estremità
sinistra, in cui la tensione nell’acciaio è σs0 = N As ed il punto in cui, sviluppatosi
completamente il legame di aderenza, la tensione nella barra cala al valore σs = mt σc .
In questa seconda sezione la tensione nel calcestruzzo vale σc = N/Ai . La lunghezza
massima di λ si verifica quando la tensione nel calcestruzzo raggiunge il limite di
resistenza a trazione, ossia σc = fct . Quindi per l’equilibrio:
σs0 As = σs As + fct Ac
Il calo di tensione nella barra viene assorbito come trasferimento di sforzi per ade-
renza al calcestruzzo che avvolge la barra stessa. Se per semplicità si ipotizza un
diagramma di aderenza costante con tensione di aderenza pari a τb si può scrivere:
68
Figura 46: Genesi della fessurazione nel tirante in c.a.
Ricordando che ρs = As /Ac e ricavando dalla prima espressione (σs0 − σs )As si può
scrivere:
As fct Φ2
fct = π = πΦλτb
ρs ρs 4
Tenendo conto che la tensione limite di aderenza è proporzionale alla resistenza a
69
Figura 47: Spessori minimi dei getti in c.a.
Φ
λ=
4ρs βb
La distanza tra le fessure contigue dunque risulta tanto maggiore quanto più grande
è il diametro della barra e quanto più piccola è la percentuale di armatura. Anche
la caratteristica βb di aderenza influisce sulla distanza λ, che è minore per le barre
ad aderenza migliorata rispetto al tondo liscio.
• elementi strutturali armati sulle due facce (Fig.47a): t ≥ 0.8 × 5da = 4da (50
- 100 mm)
70
Figura 48: Copriferri ed interferri minimi nei getti in c.a.
Con il criterio del buon conglobamento dei ferri, per assicurare loro una
adeguata aderenza grazie ad un consistente strato di calcestruzzo circostante, si
possono indicare le seguenti misure minime:
71
Figura 49: Schema di funzionamento della sovrapposizione delle barre nei getti in
c.a.
72
Figura 50: Sovrapposizione delle barre nei pilastri
73
Figura 51: Effetti locali sul calcestruzzo
deviatorie. In Fig. 51 sono descritte per esempio due tipiche situazioni. La prima
si riferisce ad una trave inflessa configurata “a ginocchio”: nella non corretta solu-
zione tracciata sopra è indicata l’azione trasversale dell’armatura tesa che provoca
la rottura del fondo; sotto invece le armature sono correttamente sagomate, con
prolungamenti rettilinei fino in zona compressa e ancoraggi separati senza azioni
deviatorie trasversali.
74
9 MOMENTO FLETTENTE
In una trave inflessa, come quella in c.a. schematizzata in Fig. 52a, si ha che
le sezioni reagiscono al momento flettente prodotto dai carichi esterni con una di-
stribuzione di tensioni normali σ parte di trazione e parte di compressione. Non si
considera per ora la contemporanea presenza di sollecitazioni taglianti, che verranno
diffusamente trattate in un Capitolo successivo. Per una delle ipotesi del calcolo del
c.a., quella che assume nulla la resistenza a trazione del calcestruzzo, avviene che la
sezione della trave si parzializza restando come parte reagente, ai fini dei calcoli di
resistenza, una zona di calcestruzzo compressa più tutta l’armatura metallica tesa
e compressa. L’armatura dunque sarà principalmente disposta al lembo teso della
trave per costituire il suo corrente teso, collaborante con il corrente compresso forni-
to dal calcestruzzo. La parte tesa del calcestruzzo non partecipa a questa resistenza;
sta solo a garantire il collegamento tra i due correnti, come più avanti verrà meglio
precisato.
• stadio IA con tensioni al lembo teso del calcestruzzo prossime alla sua resisten-
za a trazione, comportamento ancora lineare elastico della parte compressa,
non lineare di quella tesa;
75
Figura 53: Tensione normale nel calcestruzzo
• stadio III con sole sollecitazioni prossime alla resistenza flessionale ultima della
sezione dove il comportamento esce decisamente dall’ambito elastico lineare.
Gli stadi I e II sono contemplati nelle verifiche di esercizio, lo stadio III per
la verifica della resistenza.
Da notare che l’asse neutro, baricentrico rispetto alla sezione reagente nella
flessione semplice, si sposta col variare del livello di sollecitazione. Si deve dunque
distinguere tra asse di calcolo della trave, e cioè quello assunto nell’analisi del telaio
per la definizione dei diagrammi degli sforzi e coincidente in genere con il baricentro
della sezione geometrica del solo calcestruzzo, ed i baricentri delle sezioni reagenti
che variano, anche per travi a sezione di forma costante, con il livello e con il tipo
di sollecitazione, oltre che per eventuali cambiamenti di armatura.
In quanto segue si applicheranno le già citate ipotesi di planarità e di con-
gruenza delle deformazioni. Per i calcoli elastici si aggiungerà la legge di Hooke,
affiancata o meno dall’ipotesi della parzializzazione. Attraverso le opportune con-
dizioni di equilibrio della sezione si dedurranno quindi le formule di verifica delle
tensioni prodotte dal momento flettente, dove in particolare il principale parametro
del comportamento strutturale resta il momento d’inerzia baricentrico della sezione
reagente.
Nel calcolo a rottura, ferme restando le tre ipotesi di planarità, congruenza
e parzializzazione, quella di elasticità basata sulla legge di Hooke va sostituita da
un più completo modello di comportamento σ − dei materiali, modello esteso fino
ai valori ultimi delle deformazioni corrispondenti ai limiti di rottura.
Per il calcestruzzo sono stati introdotti al punto 7.4.1 i tre modelli “pa-
rabola-rettangolo”, “triangolo-rettangolo” e “stress block”. Posta la linearità delle
contrazioni nel calcestruzzo, che per la sezione inflessa variano da 0 sull’asse neutro
al massimo c sul bordo estremo, la distribuzione delle tensioni su detta parte ri-
produrrà il modello costitutivo stesso, in tutto o in parte a seconda che la massima
contrazione c abbia o no raggiunto il limite ultimo cu (Fig. 53)
76
Nei calcoli di resistenza dunque si tratterà di valutare la risultante delle
compressioni nel calcestruzzo: Z x
C= σbdy
0
ed il suo contributo in termini di momento flettente:
Z x
Mc = yσbdy
0
con σ = σ() fornita dal modello costitutivo ed = yc /x espressa sulla base della
linearità delle deformazioni. Per sezioni rettangolari, con b = cost., queste formule
si traducono semplicemente nella valutazione dell’area coperta dal diagramma delle
tensioni e nella individuazione del suo baricentro. Se per esempio si è raggiunta
la c = cu ultima di rottura, i tre modelli proposti per la legge costitutiva del
calcestruzzo, attraverso elementari calcoli di geometria, portano ad una risultante
delle compressioni:
C = β0 bxfcd
posta ad una distanza κ0 x dal bordo compresso della sezione (Fig. 54), con β0 = 0.8
e κ0 = 0.4. Il coefficiente β0 rappresenta il rapporto tra l’area coperta dall’effettivo
diagramma e quella del rettangolo circoscritto: il coefficiente κ0 definisce la posizione
del baricentro in rapporto all’estensione x del diagramma stesso5 .
Per una contrazione massima c del calcestruzzo minore del valore ultimo
cu (Fig. 55), detti coefficienti vengono bene approssimati dalle espressioni:
C1 = 2/3bfc1 y1 = 0.38bxfc1
C2 = bfc1 (x − y1 ) = 0.43bxfc1
C = 0.81bxfc1 = β0 bxfc1
Per determinare la distanza κ0 x del punto di applicazione di C dal lembo superiore della sezione
bisogna ricordare che il baricentro della parabola è situato ad una distanza 7/12 y1 dall’asse neutro
e quindi si può scrivere che il momento rispetto all’asse neutro dovuto alla risultante C eguaglia
la somma dei momenti rispetto allo stesso asse dovuti a C1 e C2 :
x − y1
C(1 − κ0 )x = C1 7/12y1 + C2 y1 +
2
77
Figura 54: Esempi di calcolo della risultante delle compressioni nel calcestruzzo
!2
h2 h
Ii = hb + yc − + mAs y 2
s + mA0s ys02
12 2
Si0
yc = yc0 = h − yc ys = yc0 − c ys0 = yc − c0
Ai
Figura 55: Schema per il calcolo della risultante delle compressioni nel calcestruzzo
78
Figura 56: Sezione inflessa interamente reagente
h2 b
Si0 = + mAs (h − c) + mA0s c0
2
Ai = hb + mAs + mA0s
avendo calcolato il momento statico Si0 rispetto al lembo superiore della sezione.
In quanto sopra si sono utilizzate le classiche ipotesi di Bernoulli e di
elasticità, oltre a quella di congruenza tra le deformazioni dei due materiali.
Per un comportamento elastico in fase fessurata proprio dello stadio II,
l’analisi della sezione a semplice armatura di Fig. 57 parte dalle solite ipotesi del
calcolo del c.a.:
79
Figura 57: Sezione inflessa parzializzata a semplice armatura
Zz = M
da cui
M
σs =
zAs
(di trazione). Introducendo il rapporto elastico d’armatura definito come.
mAs
ψs = = mρs
bd
le stesse formule di definizione della sezione reagente diventano:
( s )
2
x = ψs −1 + 1+ = ξd
ψs
!
ξ
z = 1− = ζd
3
dove la posizione dell’asse neutro ed il braccio della coppia interna sono forniti dalle
grandezze adimensionali ξ e ζ in funzione dell’altezza utile d della sezione.
Per una sezione rettangolare a doppia armatura, con un analogo procedi-
mento, posto At = As + A0s e ψt = mAt /bd si otiene (Fig. 58):
( s )
2δ
x = ψt −1 + 1+ d
ψt
con
dAs + d0 A0s
δ=
At
e di conseguenza
M
σc = − x
Ii
M
σs = m (d − x)
Ii
M
σs0 = −m (x − d0 )
Ii
con
bx3
Ii = + mAs (d − x)2 + mA0s (x − d0 )2
3
Si ricorda che, per valutare il braccio z della coppia interna, posto (Fig.
58):
z = zc + zz
81
Figura 58: Sezione inflessa parzializzata a doppia armatura
e tenendo conto della linearità σ(y) = cy del diagramma delle tensioni, si ha:
Rx d−x R x 2 R d−x 2 R
0yσdy yσdy y σdy y σdy
z = Rx + R0 d−x = 0R x + 0R d−x
0 σdy 0 σdy 0 ydy 0 ydy
dove si notano i momenti statici e d’inerzia baricentrici delle metà parti della sezione
reagente separate dall’asse baricentrico stesso:
Ic Iz
z= +
Sc Sz
Essendo per la proprietà del baricentro Sc = Sz = Si , si ha finalmente (con
Ii = Ic + Iz ):
Ii
z=
Si
dove, per il caso particolare della sezione in esame, risulta:
bx2
Si = + mA0s (x − d0 ) = mAs (d − x)
2
Altri casi di interesse applicativo, come quello della sezione a T, si trattano
con identici procedimenti. Per sezioni di forma qualsiasi le condizioni di equilibrio
vanno applicate attraverso opportuni procedimenti numerici discretizzati.
82
Figura 59: Calcolo a rottura di una sezione inflessa parzializzata a semplice armatura
Z = As fsd (= cost.)
C = β0 bxfc1
83
• verso il campo “c” analogamente da:
−cu
xc = d = ξc d
yd − cu
Il primo limite, che è dedotto dal valore convenzionale sd , resta indipen-
dente dal tipo di acciaio impiegato; il secondo invece dipende dallo snervamento
yd che varia con la resistenza dell’acciaio stesso. Le due corrispondenti percentuali
meccaniche
ωsd = β0 ξa ωsc = β0 ξc
forniscono le armature limite che separano i tre campi:
Se accoppiato ad un buon calcestruzzo per cui sia fsd /fcd =25 si hanno rispettiva-
mente i seguenti due rapporti geometrici d’armatura
z = d − κ0 x = (1 − κ0 ξ)d = ζd
ζa = 0.90
ζc = 0.74
sul limite delle forti armature. Per quest ultime dunque l’altezza utile d della sezione
è scarsamente utilizzata ai fini della resistenza flessionale. Nel campo delle deboli
armature si hanno invece bracci della coppia interna poco minori dell’altezza utile
della sezione (ζ > 0.9).
Da notare che il limite di resistenza dell’acciaio, posto convenzionalmente
ad una dilatazione sd =0.1, risulta del tutto “arbitrario” se assunto quale preciso
confine tra due diversi effettivi comportamenti a rottura della sezione. Ai fini del
calcolo applicativo ciò non riveste grande importanza, in quanto le differenze dei
risultati numerici che si otterrebbero spostando detto limite sd sono irrilevanti.
84
Si ha però che, per armature molto piccole in rapporto alla larghezza b
del calcestruzzo collaborante, l’altezza x = ξd della zona compressa si riduce tanto
da rendere non affidabile il suo valore teorico “nominale” rispetto alle tolleranze
geometriche del getto. E’ buona norma pertanto non assumere nel calcolo valori
superiori a ζ = 0.96, nella stima del braccio z = ζd della coppia interna. Con questo
limite dato al braccio stesso, la dilatazione ultima convenzionale sd può anche essere
tolta, estendendo il campo delle medie armature fino al corrispondente ξa = 0.10
(ωa∗ = 0.08).
ξa ≤ ξ ≤ ξc
Mrd = Zz = fsd As ζd
con ζ = 1−κ0 ξ. Da notare che il rapporto meccanico d’armatura, cosı̀ come calcolato
in base alla geometria della sezione ed alla resistenza dei materiali
As fsd
ωs =
bdfc1
corrisponde, almeno all’altezza utile d, all’estensione del diagramma costante di
compressioni del modello a “stress block” (Fig. 59b):
x = ωs d (= β0 x)
Tale modello, che assume una zona ridotta di calcestruzzo compresso sollecitata
uniformemente, risulta del tutto equipollente al precente ai fini degli equilibri scritti
per la sezione. Ponendo la risultante C a metà dell’altezza compressa, si ottiene
ancora il braccio
z = d − x/2 = (1 − ωs /2)d
che porta allo stesso valore del momento resistente.
85
Figura 60: Calcolo a rottura di una sezione a T a semplice armatura
Campo a Posto invece che risulti ξ < ξa e che ci si trovi quindi nel campo
delle deboli armature, si può scrivere la similitudine dedotta dal diagramma delle
deformazioni:
c sd
− =
x d−x
86
ed esprimere cosı̀ la contrazione del lembo compresso del calcestruzzo in termini di
posizione x dell’asse neutro
c x sd ξ
c = = = α1
cu d − x −cu 1−ξ
a0 − a1 ξ
β = (1.6 − 0.8c )c = ξ
(1 − ξ)2
c0 − c1 ξ
κ = 0.33 + 0.07c =
1−ξ
con
a0 = 4.57 a1 = 11.10
c0 = 0.33 c1 = 0.13
L’equilibrio alla traslazione della sezione
βbxfc1 − As fsd = 0
ξ = 0.066 + 0.924ωs
87
Campo c Nel campo delle forti armature, con ξ > ξc , l’acciaio d’armatura si trova
in fase elastica con σs = Es s . Ponendo allora
cu s
− =
x d−x
da cui si ha:
s d − x −cu 1−ξ 1
s = = =
yd x yd ξ α0
con α0 = −yd /cu , la tensione nell’acciaio può essere scritta come
1−ξ 1
σs = Es yd s = fyd
ξ α0
Con questa espressione l’equilibrio alla traslazione
β0 bxfc1 − As σs = 0
β0 α0 ξ 2 + ωs ξ − ωs = 0
x = (ωs − ωs0 )d
88
Figura 61: Calcolo a rottura di una sezione rettangolare a doppia armatura
89
10 SFORZO DI TAGLIO
V Si V
τ= =
Ii b zb
byc2
Si = + mA0s ys0
2
90
Figura 63: Sezione parzializzata sottoposta a taglio
Se invece la sezione, nei riguardi del momento flettente, si trova nello stadio
II fessurato, la stessa formula di Jourawski, referita alla sezione reagente parzializ-
zata, porta a diagrammi τ = τ (y) del tipo di quello tracciato in Fig. 63, dove si
nota come la tensione tangenziale rimanga costante su tutta la zona fessurata del
calcestruzzo, fissata sul valore massimo7
V
τ=
zb
C = M S i /Ii
z = Ii /S i
7
Per la dimostrazione che z = Ii /S i si rimanda alla fine del paragrafo 9.1 (sezione parzializzata
a doppia armatura).
91
neutro, baricentrico per la flessione semplice, dove è presente la sola tensione tan-
genziale τ , si ha un flusso incrociato a 45◦ di compressioni che salgono e di trazioni
che scendono verso la mezzeria della trave. Le isostatiche vanno poi ad incanalar-
si orizzontalmente verso i bordi della trave, dove appunto si annullano le tensioni
tangenziali, mentre quelle normali arrivano al loro valore massimo.
Quando, all’aumentare del carico, si raggiunge in un certo punto della trave
il limite di rottura della tensione principale di trazione, si genera la prima fessura.
Se ciò avviene nella zona centrale in cui prevale la componente flessionale dello
sforzo, la fessura parte dal lembo teso del calcestruzzo e si estende in direzione
verticale. Se il limite di rottura viene raggiunto nei tratti terminali in cui prevale
la componente di taglio, la fessura insorge alla quota dell’asse baricentrico diretta
a 45◦ e cioè normalmente alle massime tensioni di trazione. Nelle zone intermedie
dove, oltre al taglio, è presente una significativa componente flettente dello sforzo,
le fessure possono partire dal bordo inferiore, prodotte da quest’ultima componente,
ed estendersi con traiettoria inclinata sull’anima della trave. In Fig. 64b è appunto
rappresentata la possibile configurazione delle fessure quando estese finalmente a
tutta la trave.
Con l’insorgere della fessurazione, la situazione della trave si adegua a quan-
to previsto dall’ipotesi della parzializzazione, che vorrebbe nella zona tesa del cal-
cestruzzo, come si è visto, una distribuzione costante di sole tensioni tangenziali
(Fig. 65). Le isostatiche dunque si configurerebbero come indicato nella metà de-
stra della trave di Fig. 64c. Ma è chiaro che, attraverso la sezione fessurata, tutte le
tensioni devono convogliarsi entro i due correnti della trave, quello del calcestruzzo
compresso delimitato dall’asse neutro e quello teso dell’armatura metallica.
Il flusso incrociato di tensioni disposto a 45◦ non può di fatto diffondersi
uniformemente nella parte tesa della trave. Quello indicato nella citata figura va
dunque inteso come convenzionalmente rappresentativo del comportamento “medio”
del materiale, attraverso i conci isolati dalle fessure, a globale equilibrio con lo sforzo
di taglio presente.
E’ chiara comunque la necessità di più complessi modelli per una corretta
analisi della trave in fase fessurata, soprattutto quando, ponendosi nello stadio III,
si voglia valutare la resistenza ultima al taglio.
In Fig. 64d sono infine indicati due possibili modi di rottura per taglio
della trave. La crisi può avvenire, come rappresentato a destra, per tranciamento
dei conci d’anima al livello del loro incastro nel corrente compresso, con scorrimen-
to longitudinale di una parte della trave rispetto all’altra. Oppure la rottura può
estendersi trasversalmente sul corrente compresso, con il completo distacco secon-
do la giacitura a 45◦ delle fessure da taglio, come rappresentato sulla sinistra. In
Fig. 64e sono schematizzate appunto la “sezione di scorrimento” longitudinale e la
“sezione di stacco” trasversale.
Su tali modi di rottura si può fin d’ora intuire il funzionamento dei due tipi
di armature al taglio, riservandoci ovviamente ben più rigorosi approfondimenti nel
seguito. Le staffe ed i ferri piegati vengono disposti come indicato in Fig. 64f; essi
attraversavano l’altezza della trave, “cucendo” le sue fibre superiori con quelle infe-
riori ed offrendo cosı̀ un contrasto allo scorrimento orizzontale o una “sospensione”
contro il distacco dei conci.
92
Figura 64: Rottura progressiva a taglio di una trave appoggiata
93
Figura 65: Tensioni tangenziali in una sezione parzializzata
8
L’equilibrio alla rotazione del concio di Fig 66a si scrive:
M + dM − M − V dx = 0
da cui si ricava dM/dx = V
9
Si può scrivere:
C 0 = (M + dM )/z C = M/z C 0 − C = dM/z
94
Figura 66: Sforzo di scorrimento
95
Figura 69: Diagrammi di scorrimento e di taglio
96
Figura 70: Schema del traliccio di Mörsch
Qs = Q
√
Qc = 2Q
97
La giacitura ottimale per i ferri piegati, quella cioè che, a partià di azione Q, rende
minima lo loro sollecitazione, è a 45◦ , per cui si ha (Fig. 71b):
√
Qs = Qc = Q/ 2
98
√
che, con σc = fc2 (Qc = fc2 b∆x/ 2), porta a
quale taglio resistente del concio di trave esaminato. In genere, salvo non frequenti
situazioni con anime molto sottili fortemente armate, è l’acciaio l’elemento più debole
che fornisce il limite
Vrd = Vyd
Queste formule risultano notevolmente approssimate a favore della stabilità.
99
Figura 72: Collegamento ai nodi nel funzionamento a taglio della trave in c.a.
forza di scorrimento sulle armature correnti avviene per l’aderenza che interessa la
semisuperficie interna delle barre stesse e che è potenziata per attrito dalle pressioni
trasversali.
Nel corrente compresso, al bordo opposto, le staffe necessitano di un’ade-
guata lunghezza di ancoraggio, ottenuta anche con ganci d’estremità; l’ancoraggio
è notevolmente potenziato dalla presenza di ferri longitudinali (reggistaffe) che con-
sentono una più diffusa trasmissione delle pressioni al calcestruzzo circostante. In
questo modo il flusso delle compressioni che sale dall’anima della trave può essere
deviato verso il corrente longitudinale, come indicato dalla Fig. 73b.
100
Figura 74: Ancoraggio delle staffe al corrente teso
te”, in quanto il ferro piegato stesso porta con sè la sua quota Q di forza. Nel tratto
di deviazione il ferro scambia le pressioni con il calcestruzzo d’anima, e questo tipo
di trasmissione di forze tra gli elementi tesi e compressi del traliccio risulta meno effi-
ciente. Le pressioni localizzate lungo la piegatura della barra possono infatti portare
al tranciamento del calcestruzzo, con prematura crisi del meccanismo resistente.
Al bordo compresso il ferro piegato ha un’opposta piegatura, con analoghi
problemi di pressioni localizzate. L’ancoraggio terminale richiede un’adeguata lun-
ghezza di trasmissione della forza Q per aderenza al calcestruzzo del corrente stesso,
in modo che possa realizzarsi l’equilibrio del nodo indicato in Fig. 74b.
Per quanto sopra detto è buona norma, nel calcolo della resistenza a taglio
trazione, penalizzare i ferri piegati (per esempio con un coefficiente riduttivo pari a
0.8) rispetto alle staffe che, avvolte attorno alle armature longitudinali, hanno un
ancoraggio più efficiente ai nodi del traliccio.
101
11 SFORZO ASSIALE ECCENTRICO
e<u
102
Figura 76: Sezione pressoinflessa con piccola eccentrcità
dove
Ii
i2 =
Ai
e le caratteristiche geometriche si riferiscono alla sezione omogeneizzata:
Ac = hb At = 2As
Ai = Ac + mAt
h2
Ii = Ac + mAt ys2
12
103
Figura 77: Sezione pressoinflessa non armata
104
che, posizionandosi sul lato della sezione, la lascia ancora interamente reagente:
!
N 6a/6 2N
σ= 1+ =
ab a ab
per cui, poste le solite similitudini che legano i valori σc , σs0 e σs nel diagramma
lineare delle tensioni:
x − d0 d−x
σs0 = m σc σs = −m σc
x x
si ottiene:
1 x x − d0 d−x
− σc bx d0 + −m σc A0s d0s + m σc As ds = 0
2 3 x x
Semplificando σc ed ordinando opportunamente i termini si ottiene infine
l’equazione di terzo grado:
6m 6m
x3 + 3d0 x2 + (As ds + A0s d0s )x − (As ds d + A0s d0s d0 ) = 0
b b
La soluzione compresa tra x (posizione dell’asse neutro per la flessione sem-
plice) ed h (per la quale la sezione ridiventa interamente reagente) fornisce dunque
l’estensione della zona compressa (reagente) del calcestruzzo.
Nota la x, il valore delle tensioni σc , σs0 e σs nei materiali si ottiene dall’e-
quilibrio alla traslazione della sezione:
Cc + Cs0 − Z = N
che, con le solite sostituzioni, diventa:
1 x − d0 d−x
− σc bx − m σc A0s + m σc As = −N
2 x x
da cui si ottiene finalmente:
N N
σc = bx 0 = x
2
+ m x−d
x
A0s − m d−x
x
As Si
In questa formula la componente assiale N è intesa di valore negativo (compressione),
mentre con
bx2
Si = + mA0s (x − d0 ) − mAs (d − x) (> 0)
2
106
si è indicato il momento statico rispetto all’asse neutro della sezione reagente omo-
geneizzata al calcestruzzo. Le tensioni nelle armature tesa e compressa si calcolano
di conseguenza attraverso le similitudini già scritte in precedenza.
Con d0 → ∞, e cioè al limite della flessione semplice, la formula qui dedot-
ta cade in difetto tendendo all’espressione indeterminata 0/0. Per disporre di una
formula di applicabilità generale, valida cioè per sezioni parzializzate pressoinfles-
se, semplicemente inflesse o tensoinflesse, si può impostare la sovrapposizione degli
effetti con riferimento alla sezione reagente:
N MG
σc = + yc (yc = x − w)
Ai Ii
N MG
=mσs0 + (yc − d0 )
Ai Ii
N MG
σs = m − (d − yc )
Ai Ii
con N e MG negative nella pressoflessione ed avendo posto:
Ai = bx + mA0s + mAs
MG = N (d0 + yc )
x2
" 2 #
x
Ii = bx + yc − + mA0s (yc − d0 )2 + mAs (d − yc )2
12 2
Introducendo, con m = Es /Ec , i rapporti elastici di armatura definiti come
mAs mA0s
ψs = ψs0 =
bh bh
l’equazione risolvente della pressoflessione diventa
avendo posto
ξ = x/h δ = d/h δ 0 = d0 /h
δ0 = d0 /h δs = ds /h δs0 = d0s /h
quali grandezze geometriche adimensionali della sezione.
107
Figura 79: Sezione tensoinflessa
i2 i2
u= u0 =
yc yc0
con
2 As ys2 + A0s ys02
i =
As + A0s
Posto dunque che l’eccentricità e dell’azione assiale sia tale da mantenerla
interna al nocciolo, l’equilibrio della sezione reagente metallica porta semplicemente
a ripartire l’azione stessa tra le due armature in modo inversamente proporzionale
alle rispettive distanze:
d0s
Z= N (da cui σs = Z/As )
yt
ds
Z0 = N (da cui σs0 = Z 0 /A0s )
yt
Per eccentricità maggiori la sezione si parzializza lasciando una parte com-
pressa di clacestruzzo. a sezione reagente si configura dunque come indicato in Fig.
80.
Attraverso gli stessi equilibri impostati in precedenza per l’analisi della pres-
soflessione, si ottiene, per la definizione della posizione x dell’asse neutro, un’identica
equazione:
6m 6m
x3 + 3d0 x2 + (As ds + A0s d0s )x − (As ds d + A0s d0s d) = 0
b b
108
Figura 80: Sezione tensoinflessa parzializzata
ovvero
ξ 3 + 3δ02 + 6(ψs δs + ψs0 δs0 )ξ − 6(ψs δs δ + ψs0 δs0 δs ) = 0
in forma adimensionale, ove si intenda d0 negativa e di conseguenza anche le misure
ds = d0 + d e d0s = d0 + d0 . Di questa equazione va elaborata la soluzione compresa
tra 0 (sezione interamente fessurata) ed x (posizione dell’asse neutro per la flessione
semplice).
Le tensioni σc , σs e σs0 nei materiali si valutano ancora con le formule
precedentemente ricavate, dove in particolare risulta Si < 0.
109
Figura 81: Diagrammi delle deformazioni nel calcolo a rottura di una sezione presso
o tensoinflessa
82): Z Z
σc ()b dy σc ()b y dy
estesi all’area reagente compressa della sezione. Si ricorda che per sezioni rettango-
lari detti integrali portano a espressioni del tipo:
κ = 0, 3 + 0, 07c
β = 0, 8
κ = 0, 4
110
Infine nel campo 5 delle sezioni interamente reagenti (con pivot C), con
riferimento ai simboli di Fig. 82 può porsi:
Z
σc b dy = −β ∗ b h fcd
C
Z
σc b y dy = −β ∗ b h fcd (y0 − κ∗ h)
C
dove, ponendo ξ = x/h (> 1) e η = y/h (= 0, 43), si ha:
(1 − η)3
β∗ = 1 −
3(ξ − η)2
(1 − η)3
" #
∗ 1 1
κ = 1− 2
(3 + η) ∗
2 6(ξ − η) β
111
Campo 3 (pivot B) sezione parzializzata con calcestruzzo a rottura, arma-
tura tesa inferiore snervata, armatura compressa superiore snervata; si hanno le
componenti: Z
N = fsd As − fsd A0s + σc () b dy
B
Z
M = fsd As ys + fsd A0s ys0 − σc () b ydy
B
112
12 MOMENTO TORCENTE
L’analisi delle sollecitazioni viene spesso condotta su schemi statici parziali ridotti a
modelli piani. In realtà ogni struttura è articolata nello spazio a tre dimensioni e, sia
per la monoliticità con elementi trasversali, sia per le varie eccentricità dei carichi e
dei vincoli, riceve sollecitazioni composte, che escono dal piano del modello.
Significativi livelli di momento torcente sorgono per esempio nei graticci di
travi che costituiscono tutti i tradizionali impalcati in c.a., dove i momenti flettenti
che scorrono lungo un ordine di travi danno luogo, attraverso gli incastri ai nodi,
a momenti torcenti sulle travi ortogonali dell’ordito strutturale. L’assunzione di
modelli piani semplificati può però essere giustificata in molti casi in cui la torsione
non gioca un ruolo determinante.
A tale proposito diverse normative distinguono due tipi di torsione:
Nel primo caso è possibile, nel calcolo delle travi, omettere le verifiche tor-
sionali, purché nel calcolo degli elementi trasversali si trascuri nel contempo l’effetto
stabilizzante della torsione stessa. Questo criterio è esemplificato in Fig. 84a do-
ve, trascurando la rigidezza torsionale delle travi, il solaio da esse portato trova
equilibrio nella situazione “limite” di semplice appoggio per il quale appunto va
dimensionato. Il dimensionamento per flessione retta delle travi deve comunque
portare all’introduzione di una adeguata staffatura, correlata al taglio, che fornisca,
anche verso la componente torcente, un controllo alla fessurazione in esercizio ed il
necessario grado di duttilità contro la rottura precoce.
Per la situazione di 84b invece, l’equilibrio della soletta a sbalzo è garantito
solo dal vincolo ad incastro che la resistenza anche torsionale della trave le fornisce.
In questo caso dunque è necessaria una completa verifica flesso-torsionale della trave
stessa.
113
Figura 84: Schemi di calcolo per la torsione
114
Figura 85: Torsione circolatoria
con
Wt = k1 ab2 J = k2 ab3
dove, posto β = b/a (≤ 1) può scriversi:
1 1
k1 = k2 = √
3 + 1, 8β 3 + 4, 1 β 3
Il flusso chiuso di tensioni tangenziali si sviluppa su linee che seguono il
contorno del tracciato della sezione, come indicato in Fig. 85b, raccordandone le
discontinuità. Il valore della tensione è massimo alle estremità della mediana più
corta, mentre resta nullo agli spigoli. La sezione, oltre a ruotare attorno all’asse
baricentrico, si ingobba.
Per sezioni composte da rettangoli, valutate le singole inerzie torsionali con
la stessa formula
Ji = k2i ai b3i
quella globale si ottiene come somma:
X
J= Ji
i
115
Si ricorda come, per forme complesse, l’analisi torsionale in fase elastica
possa poggiarsi sul criterio di analogia con la membrana di Prandtl, esteso poi per
il calcolo plastico con il criterio di analogia del mucchio di sabbia di Nadia. La
superficie secondo cui si dispone una membrana gonfiata trattenuta lungo il contorno
oppure la scarpata naturale di un cumulo di sabbia posto sulla sezione forniscono,
con le curve di livello e con le pendenze trasversali, le linee di flusso delle tensioni e
le loro intensità, a meno di una costante “volumetrica” legata al valore del momento
torcente.
116
Figura 86: Torsione nelle sezioni chiuse di piccolo spessore
• tratto O-A non fessurato fino al limite di rottura per trazione del calcestruzzo,
con andamento sensibilmente lineare che segue la retta
T = Gc Jθ
Figura 87: Flusso di tensioni in una trave di sezione circolare soggetta a torsione
117
Figura 88: Comportamento di una trave in c.a. soggetta a torsione pura
• la caduta della rigidezza torsionale evidenziata dal tratto A-B risulta media-
mente più sensibile dell’analoga caduta della rigidezza flessionale manifestata
dalle travi inflesse;
• tratto B-C con andamento nuovamente crescente, che può essere approssimato
ad un comportamento elastico lineare del tipo
T = Es J 0 θ
dedotto sul modello del nuovo meccanismo resistente, dove risulta prevalente
l’apporto deformativo dell’armatura metallica, anche se vi influiscono sensibil-
mente altri fenomeni “irrigidenti” legati al calcestruzzo;
• tratto finale C-D con snervamento delle armature, rilevabile solo fino al limite
ultimo Tf di resistenza nelle prove a carico crescente;
118
Figura 90: Zona interessata al funzionamento a torsione
119
Figura 91: Visualizzazione del traliccio resistente a torsione
torcente è dato dalla somma dei contributi delle due coppie evidenziate in Fig. 93:
qc bs qc hs qc
T = √ + √ = 2bs hs √
2 2 2
Posto A = bs hs , il flusso obliquo di compressioni si calcola di conseguenza
con
T √ √
qc = 2=q 2
2A
che mette in evidenza la formula di Bredt delle sezioni ad anello chiuso. Di seguito
si ricava la trazione distribuita nelle staffe con
√
qs = q c / 2 = q
Per l’equilibrio globale della sezione alla traslazione lungo l’asse della trave
si otiene infine X √
Ql = Hi = (2bs + 2hs )qc / 2
i
e cioè
Ql = uq
120
Figura 93: Contributi per il calcolo del momento torcente
con u perimetro del profilo chiuso del traliccio resistente. Ragioni di simmetria
possono portare, nel caso dell’armatura di Fig. 91, a definire con
H = Ql /4
121
ad una resistenza torsionale coincidente con il limite di fessurazione della sezione di
calcestruzzo, con
Trd = W1 τrd = Wt fctd
indipendente dalle armature stesse.
Per la validità del modello di Rausch basato sul traliccio periferico resistente
occorre rispettare alcuni accorgimenti progettuali nel tracciato delle armature. Per
i ferri longitudinali si ha che:
• è indispensabile però la presenza di ferri agli spigoli della trave per garantire
la deviazione dei flussi obliqui delle compressioni che scorrono entro la crosta
periferica di calcestruzzo, ferri di diametro sufficientemente grosso in rapporto
alla spaziature delle staffe che li racchiudono;
As u = Al s ovvero as = al
122
Figura 94: Schemi per il calcolo dell’armatura a spirale
123
Parte III
Costruzioni in acciaio
13 IL MATERIALE ACCIAIO
13.1 Caratteristiche
Il termine acciaio individua particolari leghe-ferro-carbonio caratterizzate da ben
definite quantità percentuali delle componenti. In particolare, le leghe ferro-carbonio
si distinguono, sulla base del quantitativo di carbonio (C) in ghise (se il tenore, ossia
il quantitativo percentuale in peso, di carbonio è superiore all’1.7%) o acciai.
Gli acciai per le costruzioni ad uso civile ed industriale, denominati anche
“acciai da costruzione” o “acciai da carpenteria” hanno tenore di carbonio indicati-
vamente compreso tra 0.1% e 0.3%. Il carbonio eleva le caratteristiche di resistenza,
ma riduce la duttilità e la saldabilità del materiale; per tale motivo gli acciai da
costruzione devono necessariamente essere caratterizzati da un basso tenore di car-
bonio. I più importanti elementi chimici aggiuntivi sono il manganese ed il silicio
che servono per ottenere acciai saldabili con elevate caratteristiche meccaniche. In
alcuni casi si possono anche aggiungere cromo e nichel.
Il materiale acciaio è caratterizzato da un legame costitutivo tensione-defor-
mazione (σ−) simmetrico a trazione e compressione. Usualmente viene determinato
mediante la prova di trazione su spezzoni opportunamente lavorati ricavati dai pro-
fili. In Fig. 95 viene riportato il tipico legame costitutivo dovuto ad uno stato di
sollecitazione mono-assiale per un acciaio da costruzione. In dettaglio, è possibile
individuare le seguenti fasi:
124
Figura 95: Schematizzazione del legame costitutivo per l’acciaio
13.2 I prodotti
I prodotti per le costruzioni in acciaio dell’edilizia civile ed industriale possono, a
grandi linee, essere distinti in prodotti lunghi e prodotti piani. Nel primo caso si
intendono elementi monodimensionali (ossia quelli per i quali la lunghezza prevale
nei confronti delle dimensioni trasversali della sezione). Nei cataloghi dei produttori
sono fornite le caratteristiche geometriche dei principali tipi di prodotti lunghi, uni-
tamente agli eventuali riferimenti normativi che specificano tolleranze e dimensioni
(in questo caso i profili vengono definiti unificati o normalizzati ).
125
Figura 96: Relazione tensione-deformazione (curva σ − ) per materiali metallici da
carpenteria
126
Tabella 2: Valori nominali della resistenza allo snervamento fy e della resistenza a
rottura fu per acciai strutturali conformi alla EN 10025 o EN 10113
EN 10025
Fe 360 235 360 215 340
Fe 430 275 430 255 410
Fe 510 355 510 355 490
EN 10113
Fe E 275 275 390 255 370
Fe E 355 355 490 335 470
Tabella 3: Valori nominali della resistenza allo snervamento fyb e della resistenza a
rottura per trazione fub per i bulloni
127
Figura 97: Tipico elemento coibentato
128
Figura 99: Tipico solaio composto in acciaio e calcestruzzo
129
Figura 101: Tipica relazione tensione-deformazione σ − per acciai da carpenteria
130
14 LE MEMBRATURE SEMPLICI
131
rotazionale necessaria per la ridistribuzione dei momenti e di conseguenza i metodi
dell’analisi plastica non possono essere utilizzati. Gli elementi sensibili ai fenomeni
di instabilità locale vengono definiti profili a parete sottile.
La classe di appartenenza della sezione trasversale viene definita in fun-
zione del rapporto dimensionale larghezza/spessore delle componenti della sezione
sulla base dei criteri riportati nelle tabelle di normativa. Le parti compresse possono
appartenere a classi diverse in funzione dei limiti dipendenti dallo stato di sollecita-
zione e dal parametro legato alla tensione di snervamento del materiale (espresso
in N/mm2 ). La sezione compressa, inflessa o presso-inflessa, viene classificata, sulla
base della classe della componente meno favorevole, ossia scegliendo la classe più
alta.
Di seguito si considereranno le regole progettuali ed i criteri di calcolo pre-
valentemente applicabili alle sezioni di classe 1, 2 e 3 rimandando a trattazioni più
specialistiche l’approccio progettuale per gli elementi realizzati con sezioni snelle,
ossia soggette ai fenomeni di instabilità locale (classe 4).
Nel caso di sezioni snelle gli approcci progettuali prevedono una riduzione
delle caratteristiche prestazionali della sezione mediante una limitazione della ten-
sione nelle parti compresse oppure tramite una diminuzione della parte reagente di
sezione trasversale. Con riferimento alla seconda metodologia, il fenomeno dell’in-
stabilità locale viene tenuto in conto riducendo l’area resistente della sezione, ossia
mediante la definizione della larghezza efficace delle componenti compresse che rea-
lizzano la sezione. Ponendo l’attenzione su due situazioni tipiche e ricorrenti nella
progettazione di profili in parete sottile, deve essere precisato che:
• nel caso di elemento soggetto a forza assiale centrata, ossia con carico appli-
cato nel baricentro G della sezione lorda, la definizione delle larghezze efficaci
implica una riduzione dell’area della sezione alla quale riferirsi nelle verifiche
strutturali. Nel caso di profilo con almeno due assi di simmetria la posizione
del baricentro viene conservata, altrimenti la penalizzazione della sezione ge-
nera una sezione efficace avente baricentro G’ con coincidente con G e quindi è
indotta un’azione flettente aggiuntiva dovuta alla distanza tra il baricentro del-
la sezione efficace e quello della sezione lorda (Fig. 103). Nelle verifiche si deve
quindi tenere in conto che il profilo è in realtà soggetto ad una sollecitazione
di presso-flessione;
132
Figura 103: Penalizzazione della sezione compressa per effetto dell’instabilità locale
Anet fu
Nu,Rd = 0.9
γM 2
in cui A ed Anet rappresentano rispettivamente l’area della sezione trasversale lorda
e della sezione netta in corrispondenza dei fori, fy ed fu sono rispettivamente la
tensione di snervamento e di rottura del materiale e γM 0 e γM 2 sono i coefficienti di
sicurezza del materiale.
133
Figura 104: Penalizzazione della sezione inflessa per effetto dell’instabilità locale
NSd ≤ Nc,Rd
134
in cui A ed Aef f rappresentano rispettivamente l’area della sezione trasversale lor-
da e l’area della sezione efficace (valutata in funzione della classe di appartenenza
dell’elemento e dell’eventuale presenza di fori soltanto se asolati o maggiorati), fy è
la tensione di snervamento e γM 0 e γM 1 sono i coefficienti di sicurezza.
Si osservi che i fenomeni di instabilità locale penalizzano la capacità por-
tante di elementi compressi soltanto se questi appartengono alla classe 4, in quanto
Aef f < A. Gli elementi compressi in classi 1, 2 e 3, per i quali l’area efficace coincide
con l’area nominale (Aef f = A), hanno capacità portante data invece dal raggiun-
gimento della tensione limite in ogni fibra della sezione trasversale (che può quindi
arrivare a completa plasticizzazione).
in cui A rappresenta
q l’area della sezione trasversale dell’asta, ρ il raggio giratore
d’inerzia (ρ = A ) e λ la snellezza dell’elemento (λ = Lρ0 ).
I
135
Figura 106: Influenza dei vincoli sulla lunghezza di libera inflessione
realtà, i profili che vengono impiegati nella corrente pratica costruttiva di edifici ad
uso civile ed industriale, denominati aste industriali, sono sempre caratterizzati da:
• materiale con legame costitutivo non lineare limitato nella resistenza e dotato
di un tratto post-elastico caratterizzato da notevole deformabilità (tale legame
è approssimabile, ai fini progettuali, come elasto-plastico perfetto o elasto-
plastico incrudente);
• imperfezioni meccaniche e geometriche, principalmente dovute ai procedimenti
di lavorazione ed alla fase di assemblaggio in opera
Nell’elemento di area A privo di imperfezioni e con la sola limitazione sulla
resistenza (relativa al raggiungimento della tensione di snervamento fy ), il carico
critico non può mai risultare superiore alla forza Ny che provoca la completa pla-
sticizzazione della sezione (Ny = fy A). Esprimendo graficamente l’equazione (1) in
un sistema di riferimento tensione-snellezza e tenendo conto della limitazione asso-
ciata alla tensione che non può superare quella di snervamento si ottiene la curva
di stabilità riportata nella Fig. 107. Quando il punto rappresentativo dello stato
tensionale dell’elemento di snellezza λ è al di sotto di questa curva non si ha collasso.
L’intersezione tra la curva definita dalla (1) e la retta orizzontale in corrispondenza
del livello tensionale fy i individua un punto (P) la cui ascissa λP viene denominata
snellezza di proporzionalità, definita come:
s
E
λP = π
fy
Nella Tab. 4 vengono riportati, per i tipi di acciaio più comuni, i valori del-
l’associata snellezza di proporzionalità valutata considerando E = 2100000 N/mm2
e assumendo i valori della tensione di snervamento dalla Tab. 2.
136
Figura 107: Dominio di resistenza tensione-snellezza per l’elemento compresso
Per l’asta priva di imperfezioni (quindi per un caso ancora abbastanza lon-
tano dalla realtà) e non sensibile ai fenomeni di instabilità locale il significato della
snellezza di proporzionalità è immediatamente collegabile alla modalità di collasso
dell’elemento strutturale:
• se λ < λP la crisi avviene per raggiungimento della resistenza, ossia per
schiacciamento e quindi per completa plasticizzazione della sezione;
• se λ > λP si ha invece crisi per fenomeni di instabilità dell’asta
• se λ = λP la crisi avviene per raggiungimento della resistenza e contemporanea
instabilità dell’asta
Le imperfezioni meccaniche e geometriche sono sempre presenti nell’ele-
mento reale e influenzano anche significativamente la sua capacità portante. Con
riferimento all’imperfezione iniziale, modellabile in via approssimativa con una de-
formata iniziale sinusoidale dell’asse longitudinale della trave, al crescere del carico
applicato N aumenta anche l’inflessione δ e quindi l’azione flettente associata al-
l’eccentricità del carico. L’asta è pressonflessa e nella sezione di mezzeria si ha il
massimo valore di momento (pari a N δ). Al crescere del carico aumenta quindi
anche il valore della tensione massima nella fibra estrema che non può però eccedere
il valore della tensione limite del materiale. La risposta dell’asta, in termini di re-
lazione carico-spostamento trasversale (Fig. 108), inizialmente coincide con quella
dell’elemento ideale (essendo il materiale in campo elastico). Raggiunto a livello
locale il valore della tensione limite si ha un decremento di rigidezza associato al
valore ridotto del modulo elastico del materiale nelle zone della sezione sollecitate in
campo post-elastico. Ne consegue una variazione di comportamento rispetto a quel-
lo dell’elemento ideale con una graduale perdita di rigidezza dell’elemento. Il valore
137
Figura 108: Relazione carico-spostamento trasversale per l’elemento industriale con
imperfezioni iniziali
• snellezza dell’elemento: dal punto di vista prettamente teorico, nel caso di telai
a nodi fissi, la lunghezza di libera inflessione dell’asta di lunghezza L varia tra
138
0.5 L e L, mentre le colonne di telai a nodi mobili hanno lunghezza di libera
inflessione variabile da L a ∞. Maggiori dettagli relativi ad una valutazione
accurata dell lunghezza di libera inflessione L0 o egualmente del fattore di
lunghezza efficace β = L0 /L sono specificati nei codici normativi assunti come
riferimento della progettazione strutturale;
• forma della sezione trasversale: nel prodotto finito nascono distribuzioni di
tensioni residue dipendenti dalla forma della sezione trasversale a causa dei
procedimenti di lavorazione utilizzati;
• tipo di acciaio: le tensioni residue possono rappresentare una frazione non
trascurabile di quella di snervamento e la capacità portante risulta pertanto
ridotta rispetto al caso ideale di sezione con tensione nulla in ogni suo punto.
In alternativa alla verifica in termini di tensioni è possibile confrontare
l’azione assiale di progetto direttamente con la capacità portante della sezione.
La resistenza all’instabilità delle membrature compresse viene valutata co-
me:
fy
Nb,Rd = χβA A
γM 1
in cui A rappresenta l’area nominale della sezione trasversale, fy è la tensione
di snervamento del materiale, i termini βA e χ sono due fattori riduttivi e γM 1 è il
coefficiente di sicurezza del materiale.
Il termine βA è un coefficiente di riduzione dell’area nominale della sezione
trasversale che tiene in conto eventuali fenomeni di instabilità locale della sezione e
vale 1 per le sezione trasversali di classe 1, 2 o 3 mentre è dato dal rapporto Aef f /A
per le sezioni trasversali di classe 4.
Il termine χ è il coefficiente di riduzione per la modalità di instabilità perti-
nente. Questo può essere valutato analiticamente, oppure ottenuto dalla normativa.
Per applicare la normativa è necessario calcolare la snellezza adimensionalizzata
definita come: s
βA Afy
λ=
Ncr
in cui Ncr rappresenta la forza elastica critica per la modalità di instabilità per-
tinente. Calcolata la snellezza adimensionalizzata si entra in una tabella in cui, a
seconda del tipo di profilo, si calcola il termine χ richiesto dalla formula per il calcolo
di Nb,Rd . Poiché nella tabella sono riportati valori discreti di λ, il valore cercato può
essere ottenuto per interpolazione lineare.
La lunghezza di libera inflessione di una membratura compressa avente le
estremità efficacemente mantenute in posizione rispetto agli spostamenti laterali,
può essere assunta, a favore di sicurezza, uguale alla sua lunghezza L. In alternati-
va, può essere valutata in modo più accurato determinando il fattore di lunghezza
efficace β definito come L0 = βL sulla base dei vincoli offerti dalla restante parte di
telaio all’asta isolata in esame.
139
Il dimensionamento dell’elemento inflesso deve essere condotto con riferi-
mento sia alla condizione di deformabilità (stato limite di servizio) sia a quella di
resistenza ed eventualmente di instabilità (entrambe riferite agli stati limite ultimi).
140
Tabella 5: Limiti di abbassamento per elementi orizzontali (da [6]); δ0 è la pre-
monta iniziale (contro-freccia) della trave nella condizione scarica, δ1 è la variazione
di inflessione dovuta ai carichi permanenti, δ2 è la variazione dell’inflessione dovuta
ai carichi accidentali.
Condizioni Limiti
δmax = δ1 + δ2 − δ0 δ2
Copertura in generale L/200 L/250
Copertura praticata non solo
dalla manutenzione L/250 L/300
Solai in generale L/200 L/250
Solai o coperture che reggono
materiale fragile L/200 L/350
Solai su cui appoggiano colonne L/400 L/500
Casi in cui δmax può compromettere
l’aspetto dell’edificio L/250 -
141
Usualmente, per il proporzionamento strutturale di tali elementi, è lecito ipotizzare
che solo l’anima assorba il taglio e pertanto la massima tensione tangenziale viene
usualmente approssimata come:
T
τmax =
Ay
in cui T rappresenta il taglio agente sulla sezione e Ay è l’area resistente a taglio.
Nel caso ricorrente di profili a d I e ad H con carico parallelo all’anima,
l’area resistente a taglio è correntemente stimata come l’area dell’anima leggermente
amplificata per tenere conto della presenza dei raccordi ala-anima.
Nel caso ricorrente di flessione attorno ad un asse, viene richiesto che, in
assenza di azione tagliante, il valore del momento di progetto MSd in corrispondenza
di ciascuna sezione trasversale soddisfi la relazione:
MSd ≤ Mc,Rd
• per le sezioni trasversali di classe 3: Mc,Rd = Wel fy /γM 0 in cui Wel rappresenta
il modulo di resistenza elastico;
• per le sezioni trasversali di classe 4: Mc,Rd = Wef f fy /γM 1 in cui Wef f rappre-
senta il modulo di resistenza della sezione efficace.
Tutti i profili della serie IPE e realizzati in acciaio Fe 360, Fe 430 oppure
Fe 510 appartengono, per sollecitazioni di pura flessione, alla classe I ossia hanno
sezione compatta e pertanto la verifica di resistenza deve essere basata su quella per
le classi 1 e 2.
Il valore dell’azione tagliante VSd in ogni sezione trasversale non deve ecce-
dere la resistenza a taglio plastica di progetto, ossia deve essere verificato che:
√
VSd ≤ Av fy /( 3γM 0 )
142
Figura 110: Deformata per svergolamento di travi inflesse
• profilati cavi rettangolari di spessore uniforme con carico parallelo alla lar-
ghezza Av = Ab/(b + h)
Stabilità Gli elementi inflessi possono manifestare una particolare forma di insta-
bilità costituita dalla instabilità laterale, anche chiamata svergolamento o instabilità
flesso-torsionale. Questa è dovuta alla forza di compressione che agisce su una parte
di profilo (per elementi in semplice appoggio con carichi verticali è l’ala superiore
del profilo) e che può provocare sbandamento laterale ed al contempo torsione, ossia
traslazione e rotazione della sezione, senza che il profilo riesca perciò ad esplicare
le proprie risorse flessionali. Le grandezze statiche e geometriche che influenzano
questa forma di instabilità sono principalmente la lunghezza della trave, la distri-
buzione dei carichi e dei vincoli, le rigidezze flessionali e torsionali della sezione e
la quota di applicazione del carico rispetto al baricentro ad al centro di taglio della
sezione. La posizione del carico è estremamente rilevante nei confronti della capacità
portante qualora si possa manifestare l’instabilità laterale. Nel caso di profilati a
I e H il carico applicato sull’ala superiore ha un effetto instabilizzante, mentre ha
effetto stabilizzante quando è applicato all’ala inferiore. Nella Fig. 110 vengono
riportate, a titolo di esempio, due configurazioni deformate tipiche dell’instabilità
flesso-torsionale relative alla trave in semplice appoggio con vincoli torsionali alle
estremità ed alla mensola.
Il momento resistente di progetto Mb,Rd alla instabilità della trave non
143
controventata lateralmente e con carico parallelo all’anima è definito come:
fy
Mb,Rd = χLT βw Wpl,y
γM 1
in cui Wpl,y rappresenta il modulo di resistenza plastico rispetto all’asse forte (asse y),
fy la tensione di snervamento del materiale, i termini βw e χLT sono due coefficienti
riduttivi e γM 1 è il coefficiente di sicurezza. Il termini βw si assume pari a 1 per
le sezioni trasversali di classe 1 e classe 2, vale Wel,y /Wpl,y per le sezioni trasversali
in classe 3 ed è dato da Wef f,y /Wpl,y per le sezioni di classe 4. Il termine χLT è il
coefficiente di riduzione per l’instabilità flesso-torsionale dato da:
1
χLT = q
φLT + φ2LT − λ2LT
ove αlLT rappresenta il coefficiente di imperfezione (da assumere paria 0.21 per le
sezioni laminate e 0.49 per le sezioni saldate) mentre la snellezza adimensionalizzata
è data da: q
λLT = βw Wpl,y fy /Mcr
Il termine Mcr rappresenta il momento critico elastico per instabilità flesso-torsionale.
Nel caso più generale di sezione trasversale uniforme doppiamente simmetrica è
possibile stimare il momento critico come:
v
!2
2
u
π EIz u k IW (kL)2 GIt
Mcr = C1 + + (C2 zg )2 − C2 zg
t
(kL) 2 kW Iz π 2 EIz
in cui:
• zg rappresenta la distanza tra il punto in cui viene applicato il carico ed il
centro di taglio della sezione;
144
• L è la lunghezza della trave fra i punti che hanno vincolo laterale;
IZ (h − tf )2
IW =
4
con h altezza del profilo e tf spessore delle ali.
145
15 LE MEMBRATURE COMPOSTE
146
Figura 111: Aste composte: a) tralicciate, b) calastrellate e c) abbottonate
• aste tralicciate (Fig. 111a), costituite da correnti collegati tra loro mediante
un traliccio, in cui ogni tratta di corrente può, in genere, essere considerato
come un’asta isolata, semplicemente compressa ed avente lunghezza di libera
inflessione pari all’interasse dei collegamenti (Fig. 112a). La deformabilità per
taglio dell’elemento composto dipende principalmente dalla rigidezza assiale
dell’elemento diagonale e del traverso;
• aste calastrellate (Fig. 111b), costituite da correnti collegati tra loro mediante
piastre rettangolari (calastrelli), in cui i correnti sono compressi ed inflessi ed
il diagramma delle azioni flettenti è in via approssimata schematizzabile con
andamento tipicamente lineare (Fig. 112b). La deformabilità per taglio dell’e-
lemento composto dipende prevalentemente dalla deformabilità flessionale di
correnti e calastrelli;
147
Figura 112: Modelli di calcolo per aste composte: a) tralicciate, b) calastrellate e c)
abbottonate
148
Figura 113: Collegamenti in grado di assorbire forze di scorrimento
π 2 EI
Aste tralicciate Il carico critico ideale di instabilità dell’asta è Ncr,id = βeq L2
con:
v !
u
t1 + π 2 EI 1 b
u
βeq = +
L2 2
EAd sin φ cos φ aEAb
La funzione f (φ) = sin φ cos2 φ assume valori massimi per 30◦ < φ < 45◦ .
In tale campo si ha quindi la massima efficienza della tralicciatura. Per il significato
dei simboli ci si riferisca alla Fig. 114.
149
Figura 114: Contributi deformativi nel generico campo dell’asta tralicciata: a)
l’allungamento del diagonale e b) l’accorciamento del trasverso
essendo I il momento di inerzia della sezione composta. Il fattore βeq nel caso di
aste calastrellate è definito come:
v !
a2
u
t1 + π 2 EI ab χT a
u
βeq = + +
L2 24EIcor 12EIcal bAcal G
• le aste di parete, dette anche aste di traliccio, che vengono distinte in montan-
ti se disposte verticalmente oppure ortogonalmente ad almeno un corrente e
diagonali se non soddisfano la condizione sopra riportata
150
Figura 115: Tipologie di travi reticolari a correnti non paralleli
b) trave reticolare con traliccio a V con aste di parete costituite soltanto da diagonali
(trave Warren);
c) trave reticolare con diagonali tese e compresse e montanti posti soltanto ne-
gli angoli aperti verso l’alto, atti a trasmettere i carichi concentrati ai nodi
inferiori;
d) trave reticolare con traliccio a N in cui tutte le diagonali sono tese (trave Pratt);
e) trave reticolare con traliccio a N in cui tutte le diagonali sono compresse (trave
Linville).
151
Figura 116: Tipologie di travi reticolari a correnti paralleli
152
Figura 117: Dettagli del nodo di attacco e associati modelli di calcolo
g) trave reticolare con correnti a doppio T e aste di parete realizzate con profili a
C accoppiati;
La fase di progettazione delle travi reticolari deve essere condotta con rife-
rimento a:
• stati limite ultimi di resistenza relativi allo stato tensionale locale di tutte le
componenti (aste e collegamenti);
153
Figura 118: Dettagli di alcune comuni tipologie di travi reticolari
154
Figura 119: Tipica trave reticolare con giunti nei correnti
condizione di carico data ed a quella generata da una forza unitaria applicata nella
sezione di cui si vuole conoscere lo spostamento.
Un importante contributo in termini di spostamento, caratteristico delle
travi reticolari con collegamenti bullonati, è quello associato agli scorrimenti foro-
bullone. Una stima di questo contributo tipicamente anelastico, denominato di
seguito vF B può essere ottenuta come somma di un’aliquota dovuta agli assestamenti
dei giunti dei correnti vC ed una dovuta a quelli agli estremi delle diagonali vD . In
dettaglio, con riferimento alla simbologia nella Fig. 119, lo spostamento vF B viene
valutato come:
nL L Ld
vF B = vC + vD = (φ − d) + (φ − d)
6n p h
in cui (φ − d) rappresenta la differenza tra il diametro del foro e quello del bullone,
n è il numero totale dei giunti nei correnti di tipo a sovrapposizione (i giunti con
coprigiunti valgono doppio), L e h sono rispettivamente luce e altezza della trave
reticolare, p il passo dei nodi delle aste di parete e Ld la lunghezza dei diagonali.
155
Figura 120: Dettagli relativi alla sezione di attacco di un angolare singolo
La stabilità La lunghezza di libera inflessione Le,v nel piano della capriata viene
usualmente assunta come la distanza tra i due vincoli ideali di cerniera (Fig. 122a) e
nel caso di collegamenti bullonati ciò viene garantito se i bulloni di ogni collegamento
sono almeno 2.
Si osservi però che gli elementi compressi possono sbandare anche fuori dal
piano della capriata e pertanto si rende necessario valutare la pertinente lunghezza
di libera inflessione Le,h fuori piano (Fig. 122b), che dipende dall’orditura tridi-
mensionale della struttura. La limitazione di Le,h può essere affidata ai controventi
orizzontali di piano/copertura (Fig. 123a), ad una specifica controventatura longitu-
dinale (Fig. 123b), oppure vincolando i punti inferiori con quelli superiori della trave
reticolare (Fig. 123c) tramite elementi tesi (o sistemi di funi) che possono lavorare
alternativamente a seconda della direzione in cui tende a verificarsi lo sbandamento.
156
Figura 121: Tracciamento del nodo con diagonale realizzata da un angolare singolo
157
Figura 123: Tipiche controventature per travi reticolari
158
16 LE UNIONI BULLONATE
Nella storia delle costruzioni metalliche l’evoluzione dei prodotti è sempre stata
strettamente collegata allo sviluppo di adeguate tecniche di giunzione. In passato, i
collegamenti di elementi in acciaio mediante organi meccanici erano realizzati, nella
quasi totalità dei casi, mediante chiodatura o rivettatura, Queste tecniche sono ora
praticamente scomparse nella pratica costruttiva a favore delle unioni bullonate e
saldate.
16.1 Generalità
Le unioni bullonate permettono una rapida esecuzione in officina e semplificano l’as-
semblaggio dei pezzi in cantiere (dove generalmente la saldatura presenta difficoltà
esecutive, specie a basse temperature o in quota). La giunzione bullonata ha come
componenti fondamentali (Fig. 124):
a) vite con testa (detta comunemente bullone) generalmente esagonale, o con gambo
completamente o parzialmente filettato. Il diametro nominale dei bulloni per
costruzioni di carpenteria civile è abitualmente compreso tra i 12 mm ed i 30
mm;
159
Figura 125: Tipica unione a taglio
e sul gambo dei bulloni, trascurando usualmente la deformazione della lamiera sotto
carico, l’inflessione del gambo e le concentrazioni di tensioni in corrispondenza dei
bordi dei fori.
Di seguito vengono proposti alcuni concetti fondamentali relativi alle unioni
elementari bullonate, rimandando poi ad un successivo paragrafo la trattazione degli
specifici approcci necessari per le verifiche delle giunzioni.
V
τ=
nf A
in cui V indica la forza di taglio sul bullone, nf il numero di sezioni resistenti (ossia
dei piani di contatto tra le lamiere), A l’area nominale e infine Ares rappresenta
l’area resistente della parte filettata del gambo.
La crisi del bullone avviene per superamento della resistenza a taglio del
suo gambo, oppure per rottura della lamiera.
Nel funzionamento ad attrito, invece, i bulloni vengono preventivamente
serrati e premono tra loro le piastre si acciaio. Il collegamento funziona perciò in
virtù dell’attrito e dello stato di presollecitazione fra le superfici a contatto dei pezzi
collegati indotto dal serraggio dei bulloni.
160
Figura 126: Relazione tra carico applicato e scorrimento al variare del grado di
serraggio pe l’unione a taglio di Fig. 125
161
Figura 127: Tipici meccanismi di crisi nell’unione a taglio
127a), anche per altre cause che interessano i dettagli del collegamento ed in parti-
colare si può avere:
162
Figura 128: Esempi di percorsi per la determinazione dell’area netta
163
Figura 130: Meccanismo di ripartizione di azione tagliante e torcente
dal meccanismo di trasferimento dei carichi, su ognuno di questi, nel caso in cui i
bulloni non siano preserrati, agiscono i seguenti contributi:
• l’azione torcente provoca un’azione tagliante VT,i in ogni sezione resistente del
bullone pari a:
T ai
VT,i =
nf n ni=1 a2i
P
164
Figura 131: a) Relazione tra il carico sull’unione N e l’allungamento del gambo del
bullone ∆L. b) Relazione tra il carico sull’unione N e l’azione assiale nel gambo del
bullone Nb
165