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NEWSLETTER T&P N°44 ANNO V

FEBBRAIO 2011

NEWSLETTER
Trifirò & Partners Avvocati

Editoriale
Avevamo aperto la newsletter di gennaio con una notizia dell’“Ultima ora”:
un’ordinanza con cui la Corte di Cassazione rimetteva alla Corte
Costituzionale la questione di legittimità dell’art. 32, commi quinto e sesto,
del Collegato Lavoro, relativi alla liquidazione del risarcimento danni (da 2,5
a 12 mensilità) nelle cause concernenti la legittimità dei contratti a termine.
Riprendiamo e sviluppiamo l’argomento nell’Attualità della sezione Diritto del
Lavoro.
Il Collegato Lavoro ha avuto una grande risonanza ed il nostro Studio è stato
impegnato in numerosi convegni. Anche altre disposizioni nel Collegato (per
esempio quelle relative ai procedimenti di conciliazione e l’arbitrato) hanno già
posto numerosi problemi interpretativi e, quindi, non si può certo dire che il
Collegato Lavoro sia partito con il piede giusto. Soggiungiamo che la Legge n.
10/2011 - c.d. decreto milleproroghe - appena promulgata (supplemento
ordinario n. 53 della «Gazzetta Ufficiale» n. 47 del 26 febbraio) interviene
anch’essa sulla materia trattata dal Collegato. È stato stabilito che le
disposizioni relative al “termine di sessanta giorni per l'impugnazione del
licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”.
Nelle sentenze di lavoro si segnala una “Sentenza del mese” di particolare
SOMMARIO interesse sul tema del mobbing: un caso curato dal nostro Studio e di cui si è
parlato anche sulla stampa nazionale e in televisione. La sentenza concerne
✦ EDITORIALE un ingentissimo risarcimento danni chiesto in relazione ad una pretesa
situazione di mobbing che è stata respinta in sede giudiziaria.
✦ DIRITTO DEL LAVORO Seguono le “Altre sentenze” che riportano casi di lavoro autonomo e
subordinato, licenziamento e mobbing, diritto di precedenza nell’ambito del
✦ ATTUALITÀ 2 lavoro part-time, risarcimento danni conseguenti a malattia professionale.
La parte dedicata al “Rapporto di agenzia” chiude la sezione.
✦ LE NOSTRE SENTENZE 3
E veniamo al Diritto Civile con una nostra sentenza in tema di
✦ RAPPORTO DI AGENZIA 6 risarcimento danni per mancata vacanza dovuta a problemi di salute.
La rinuncia non ha comportato un risarcimento danni a carico dell’agenzia
viaggi, poiché, come ha deciso il Tribunale di Modena, il cliente ha l’onere di
✦ CIVILE, COMMERCIALE,
seguire personalmente la propria pratica assicurativa, attivandosi con la
ASSICURATIVO
compagnia di assicurazione. E, a proposito di “Assicurazioni”, non manca la
parte espressamente dedicata all’argomento, egregiamente curata dai colleghi
✦ ATTUALITÀ 7
che seguono questa materia.
✦ ASSICURAZIONI 8 Altro appuntamento fisso è “Il Punto su …” che questa volta tratta di
pubblicità ingannevole. Si esamina una recente pronuncia della Corte di
✦ IL PUNTO SU... 10 Giustizia dell’Unione Europea che ha visto protagonisti due importanti
gruppi che operano nella grande distribuzione organizzata.
✦ EVENTI 12 Eventi e Rassegna Stampa completano il numero della newsletter di
febbraio. Buona lettura!
✦ R. STAMPA 13
Stefano Beretta e il Comitato di Redazione composto da: Stefano
✦ CONTATTI 14 Trifirò, Marina Tona, Francesco Autelitano, Luca D’Arco, Teresa
Cofano, Claudio Ponari, Tommaso Targa e Diego Meucci

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Diritto del Lavoro


Attualità
CONTRATTI A TERMINE E COLLEGATO LAVORO
A cura di Anna Maria Corna
Come accennato nella newsletter di gennaio, sull’articolo n. 32 della legge n. 183/2010 è già
intervenuta la Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria del 28 gennaio 2011, in cui, da
un lato, viene fornita una interpretazione della disciplina contenuta nei commi 5 e 7, in tema di
contratti a termine, e, dall’altro, è stata rilevata una possibile incostituzionalità dei commi 5 e 6,
con conseguente rimessione alla Corte Costituzionale.
In particolare, la Suprema Corte ha affermato che il 5° comma dell’art. 32, laddove stabilisce che
“nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il Giudice condanna il datore di lavoro al
risarcimento del danno stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità”, con i criteri di cui alla legge n. 604/1966 (quella sulla
stabilità obbligatoria in caso di licenziamento), deve essere interpretato nel senso che detta
indennità è comprensiva di ogni tipo di danno, ed esaurisce, pertanto, la tutela risarcitoria.
Inoltre, secondo la Suprema Corte, il 7° comma dell’art. 32, laddove stabilisce che le nuove
disposizioni “trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in
vigore della presente legge”, deve essere interpretato nel senso che lo ius superveniens opera in
qualsiasi fase del giudizio, quindi anche in grado di appello e in sede di legittimità. Tuttavia,
la Suprema Corte ritiene che la previsione di un’indennità onnicomprensiva (anche riducibile della
metà, in ipotesi di accordi sindacali c.d. di stabilizzazione, come previsto al 6° comma) limiterebbe il
diritto al lavoro ed un effettivo risarcimento del danno subito dal lavoratore (in precedenza
riconosciuto dalla messa in mora, con l’offerta delle prestazioni lavorative, fino al ripristino del
rapporto, detratto l’aliunde perceptum), ponendo a carico del lavoratore anche i tempi di giudizio,
con violazione degli art. 3, 2° comma, 4, 24 e 111, della Carta Costituzionale. La Suprema Corte ha
anche ritenuto la nuova disciplina in contrasto con l’art. 117 1° comma, Cost. per intromissione del
potere legislativo nell’amministrazione della giustizia.
Sull’art. 32 si è pronunciata anche la giurisprudenza di merito. Più precisamente la nuova disciplina è
stata applicata, in sede di giudizio di primo grado, da pressoché tutti i Tribunali, mentre alcune Corti
d’Appello (Milano e alcune sezioni di Roma), avevano ritenuto che il richiamo alla disciplina di cui
all’art. 421 c.p.c. (contenuta nell’ultimo alinea dell’art. 7, onde consentire alle parti di integrare la
domanda) non ne consentisse l’operatività in grado. Di contro, altre Corti (Perugia, Bari, Ancona e
Brescia) avevano applicato la nuova disciplina anche in grado di appello. Deve anche essere
segnalato che, nonostante la suddetta ordinanza della Suprema Corte, le norme di cui all’art. 32
continuano ad essere applicate in gran parte dei giudizi pendenti in primo grado, mentre qualche
Corte d’Appello, in via cautelativa, ha differito i giudizi, onde attendere la sentenza della Consulta.
Da ultimo, con la Legge n. 10/2011 - c.d. decreto milleproroghe - appena promulgata, è stato
previsto l’inserimento del comma 1-bis all’art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n.
604, come già modificato dall’art. 32 della L. n. 183/2010, con cui è stato stabilito che le
disposizioni relative al “termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento,
acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”.

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Le Nostre Sentenze
LA SENTENZA DEL MESE
RISARCIMENTO DANNI DA MOBBING - ESCLUSIONE
(Corte d’Appello di Genova, 16 dicembre 2010)

La Corte di Appello di Genova, in sede di rinvio dopo la cassazione della sentenza di secondo
grado, ha rigettato nel merito un’ingente domanda di risarcimento del danno da mobbing
anche sessuale e dequalificazione professionale proposta da una lavoratrice contro una
Società nostra cliente.

La particolarità del caso risiede nel fatto che la causa aveva avuto esito favorevole per la
Società in primo ed in secondo grado ma la Corte di Cassazione, con una sentenza che ha
avuto notevole risalto pubblico, aveva cassato con rinvio la sentenza della Corte di Appello
di Torino per avere questa, tra l’altro, affermato che per la configurazione del  mobbing è
richiesta una minima consistenza temporale (almeno sei mesi) della ipotizzata aggressione.

All’esito di una attenta rivalutazione in termini unitari dei vari fatti già oggetto di minuziosa
istruttoria in primo grado, la corte genovese afferma che:
✦ildiritto ad un proprio ufficio in una azienda organizzata con open space non spetta che ai
dirigenti, mentre erroneamente la Cassazione aveva ritenuto che la ricorrente avesse tale
qualifica, nemmeno richiesta in causa;
✦una conflittualità, anche accesa, in ambiente lavorativo è altro dal mobbing;
✦laassegnazione o meno di risorse umane a supporto, il cambio di incarico, la collocazione
della postazione lavorativa e la coltivazione o l’abbandono di un progetto di lavoro
costituiscono oggetto della discrezionalità organizzativa del datore, in mancanza di prova di
volontà persecutoria, arbitraria e di emarginazione ad personam;
✦frasi offensive rivolte dal superiore (che, però, chiedeva scusa pubblicamente) non sono
attribuibili al datore, venendo meno il nesso causale per esorbitanza rispetto alle norme di
lavoro;
✦il
pronto intervento dell’Azienda a fronte della denuncia della lavoratrice costituisce condotta
che tiene esente il datore da responsabilità, anche per aver rimosso il greve superiore
gerarchico;
✦lemolestie sessuali che hanno fortemente connotato l’iniziativa giudiziaria al suo sorgere non
erano state provate né avevano costituito specifico oggetto di appello anche se avevano
portato ad articoli sulla stampa nazionale ed ad un servizio di “denuncia” sulla Tv.

In conclusione, secondo la corte genovese, la documentata lesione alla salute ed alla


serenità emotiva della lavoratrice erano dovute alla difficoltà della attività e dell’ambiente
lavorativi nonché al carattere del superiore ma non a responsabilità della azienda.

(Causa curata da Giacinto Favalli e Paolo Zucchinali)

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ALTRE SENTENZE
AUTONOMIA E SUBORDINAZIONE
(Corte d’Appello di Milano, 28 gennaio 2011)
La Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano ed ha rigettato la
domanda di un consulente di una società fallita, il quale rivendicava la natura subordinata del rapporto.
La Corte d’Appello di Milano ha così deciso:
a) per dimostrare la subordinazione, il consulente avrebbe dovuto dimostrare la soggezione del prestatore
d’opera al potere organizzativo, di controllo o disciplinare del datore di lavoro;
b) non è stato provato un mutamento della volontà del committente di trasformare il contratto di
collaborazione, in contratto di natura subordinata;
c) le modalità di svolgimento dell’attività prestata dal consulente sono state ritenute più compatibili con un
contratto di prestazione d’opera, che non con un contratto di natura subordinata.
(Causa curata da Stefano Trifirò e Mariapaola Rovetta)

LA SISTEMATICA E RIPETUTA CONDOTTA NON COLLABORATIVA ED


OSTRUZIONISTICA DEL DIPENDENTE COSTITUISCE GIUSTA CAUSA DI
RECESSO ED I CONFLITTI CON SUPERIORI E COLLEGHI SUL LUOGO DI
LAVORO NON INTEGRANO GLI ESTREMI DEL MOBBING
(Tribunale di Novara, 14 settembre 2010 / 24 gennaio 2011)
Un dipendente di un’azienda ha impugnato il licenziamento per giusta causa irrogatogli a causa della
sistematica e ripetuta condotta non collaborativa ed ostruzionistica da lui tenuta nei confronti della
Società (consistente nel rifiuto di ricevere le lettere di contestazione ed irrogazione di sanzioni disciplinari,
nell’inosservanza delle sanzioni irrogategli, nella gestione impropria dell’attività d’ufficio, nonché nella
continua ed ingiustificata contestazione di ogni e qualsiasi decisione aziendale), lamentando altresì di
essere vittima di mobbing. Il Tribunale ha rigettato il ricorso evidenziando che:
✦illicenziamento per giusta causa è legittimo a fronte di “atti di insubordinazione e di violazione dei più
elementari doveri di correttezza e buona fede da parte del lavoratore”, poiché la loro “sistematica
reiterazione vale ad integrare pienamente la colpevole e costante violazione dell’obbligo di
collaborazione diligente posto a suo carico”;
✦ilmobbing sussiste soltanto in presenza di “condotte vessatorie, reiterate, durature, individuali e/o
collettive” protratte per “almeno un semestre” e finalizzate ad “annichilire la personalità del lavoratore” e,
quindi, non va confuso con i “fisiologici” contrasti con i superiori ed i colleghi, tenuto conto che “in ogni
luogo di lavoro esistono normalmente dinamiche organizzative e conflitti interpersonali”.
(Causa curata da Stefano Beretta e Tiziano Feriani)

IL DIRITTO DI PRECEDENZA, IN CASO DI NUOVE ASSUNZIONI DI


PERSONALE A TEMPO PIENO, È GARANTITO SOLTANTO RISPETTO A NUOVI
ASSUNTI A TEMPO PIENO E A TEMPO INDETERMINATO ALLE DIPENDENZE
DELLO STESSO DATORE DI LAVORO
(Corte d’Appello di Brescia, 19 ottobre 2010)
Una lavoratrice con contratto part-time conveniva in giudizio l’azienda datrice di lavoro per sentir
accertare il diritto alla conversione del proprio contratto in contratto a tempo pieno; faceva valere in tal
senso la disposizione normativa secondo cui gode del diritto ad essere preferito in caso di nuove
assunzioni a tempo pieno il personale a tempo parziale già impegnato, in precedenza, a tempo pieno, e
in subordine assunto a tempo indeterminato part-time, sempre che ne abbia fatto richiesta, sia in
possesso dei requisiti richiesti e copra posizioni di identico o equivalente contenuto professionale.

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La società datrice contestava l’asserita violazione della clausola di riserva, opponendo, tra le altre, la
circostanza che alcuna nuova assunzione aveva avuto luogo, non potendosi considerare tale l’intervenuta
prosecuzione del rapporto con una dipendente apprendista.
Riformando la sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda della ricorrente, la Corte d’Appello
di Brescia ha ritenuto che il prospettato diritto di precedenza non insorga se non in presenza di nuove
assunzioni, non essendo consentita dalla lettera, né essendo coerente con la ratio della disposizione,
l’estensione di tale diritto al di fuori del caso di nuove assunzioni. Su queste basi, il Collegio ha stabilito
che il diritto di precedenza per la trasformazione a tempo pieno del rapporto di lavoro non compete al
lavoratore a tempo parziale né nel caso di apprendistato, né nel caso di conversione di rapporto di
formazione e lavoro in rapporto a tempo indeterminato, essendo, queste ultime, ipotesi di mere
prosecuzioni senza soluzione di continuità di rapporti già instaurati, del tutto inidonee a configurare nuove
assunzioni con contratto a tempo pieno.
(Causa curata da Claudio Ponari)

RISARCIMENTO DANNI DA MALATTIA PROFESSIONALE


(Tribunale di Cassino, 28 ottobre 2010)
Il lavoratore che rivendica, nei confronti dell’ex datore di lavoro, il risarcimento di danni patrimoniali e
morali, conseguenti ad una malattia professionale, deve indicare specifici elementi di fatto da cui possa
ricavarsi la natura e l’entità di tali danni, nonché il nesso causale tra gli stessi e la patologia.
La sussistenza di danni emergenti e/o da lucro cessante non può ritenersi in re ipsa, a fronte
dell’accertamento di una malattia professionale, soprattutto se essa insorge quando il lavoratore è già in
pensione e ha, quindi, interrotto la sua attività lavorativa. Il ricorso del lavoratore non può limitarsi a
dedurre allegazioni generiche o considerazioni presuntive, poiché in tal caso il datore di lavoro convenuto
non sarebbe in condizione di esercitare compiutamente il diritto di difesa; in mancanza delle specificazioni
in fatto richieste, il ricorso è radicalmente nullo e deve essere rigettato allo stato degli atti, senza facoltà
del lavoratore di integrarlo con nuove allegazioni, ferma la facoltà del lavoratore di instaurare un nuovo
giudizio entro i termini di prescrizione del preteso credito al risarcimento dei danni.
(Causa curata da Tommaso Targa)

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Rapporto di agenzia
A cura di Luca Peron

I N T E G R A G L I E S T R E M I D E L L A G I U S TA C AU S A D I R E C E S S O I L
COMPORTAMENTO DELL’AGENTE CHE ABBIA MOLESTATO UNA COLLEGA
AGENTE
(Tribunale di Foggia, 4 febbraio 2011)
Un agente era stato revocato per giusta causa, in quanto accusato di aver molestato con profferte a
sfondo sessuale una collega agente, nei confronti della quale esercitava altresì un potere di
coordinamento. L’agente receduto impugnava il recesso, negando la sussistenza dei fatti addebitati
e sostenendo, in via subordinata, che si trattava di fatti estranei al rapporto di agenzia e, pertanto,
giuridicamente irrilevanti sul rapporto medesimo. Il Tribunale, dopo aver istruito la causa con
assunzione di prove testimoniali che avevano sostanzialmente confermato i fatti addebitati, ha
ritenuto legittimo il recesso della preponente per giusta causa (dunque senza preavviso e senza
pagamento delle indennità di cessazione), affermando il principio secondo cui l’agente che abbia
compiuto atti gravemente lesivi della dignità personale di uno degli agenti dallo stesso coordinati si
rende gravemente inadempiente agli obblighi derivanti dal mandato, pregiudicando l’interesse della
società preponente al buon andamento e all’efficiente gestione dei propri affari, non potendosi
dubitare dell’inscindibile connessione tra il livello qualitativo e quantitativo del lavoro di una squadra e
l’equilibrio dei rapporti tra i suoi componenti. Il Tribunale ha altresì affermato che ai fini della
valutazione della gravità della condotta nell’ambito del rapporto di agenzia, l’elemento fiduciario, in
ragione della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi,
assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato; sicché si può affermare che ai
fini della legittimità del recesso per giusta causa nel rapporto di agenzia è persino sufficiente un fatto
di minore consistenza rispetto a quello idoneo ad integrare la giusta causa di risoluzione del rapporto
di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2119 cod. civ., disposizione che per insegnamento consolidato
trova applicazione analogica anche al rapporto di agenzia.
(Causa curata da Luca Peron)

LEGITTIMITÀ DELLA CLAUSOLA CONTRATTUALE DEL “BUON FINE DEGLI


AFFARI”. ONERE DI ALLEGAZIONE E DI PROVA DI FATTI IDONEI A PROVARE
LE PRETESE DIFFERENZE PROVVIGIONALI
(Tribunale di Pesaro, 17 febbraio 2011)
La clausola contrattuale che subordina la maturazione della provvigione al buon fine dell’affare è del
tutto legittima, in quanto l’art. 1748, primo comma, cod. civ. è pacificamente derogabile dalle parti.
La mancata allegazione e prova di fatti idonei a provare il buon fine di affari non considerati in sede
provvigionale ovvero di inadempimenti della preponente nell’esecuzione degli affari conclusi
impongono, peraltro, di rigettare la domanda volta ad ottenere pretese differenze provvigionali.
(Causa curata da Luca Peron)

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Civile, Commerciale,
Assicurativo
Attualità
NON SEMPRE IL CLIENTE HA DIRITTO AL RISARCIMENTO DEI
DANNI IN CASO DI MANCATA CONSUMAZIONE DELLA VACANZA
ORGANIZZATA TRAMITE AGENZIA …
(Tribunale di Modena - Sez. Carpi, sentenza n. 4159/2010)
A cura di Francesco Autelitano e Mario Gatti

Il signor Tizio, dopo aver prenotato una vacanza all’estero con l’ausilio della propria
Agenzia di fiducia, era stato successivamente costretto a rinunciarvi per problemi di
salute.

Nonostante il contratto di intermediazione viaggi sottoscritto con l’Agenzia prevedesse la


copertura assicurativa in caso di malattia solo a seguito della tempestiva denuncia del
cliente direttamente all’Assicurazione, lo stesso non provvedeva all’invio della
documentazione medica e della relativa segnalazione del sinistro, limitandosi ad informare
sul punto l’Agenzia.

Successivamente, poiché l’Assicuratore rifiutava l’indennizzo, il cliente dell’Agenzia di


viaggi imputava a quest’ultima la relativa responsabilità e la conveniva in giudizio al fine di
ottenere il ristoro dei danni e delle spese del viaggio non usufruito; egli, in particolare,
sosteneva che fra gli obblighi contrattuali dell’Agenzia, vi era anche quello - in caso di
sinistro - di prendere contatti con l’Assicurazione, per la gestione del sinistro nel suo
interesse.
Tuttavia l’Agenzia si è difesa, ottenendo ragione dal Giudice, argomentando che la
medesima non aveva assunto alcun obbligo di tal tenore e l’istruttoria svolta ha confermato
questo assunto.

Dunque il turista, che sia costretto a rinunziare al viaggio, ha l’onere di seguire


personalmente la pratica assicurativa e di attivarsi con la Compagnia di Assicurazioni
per usufruire della relativa copertura, oppure di provare in modo univoco che l’Agenzia
di viaggi abbia assunto l’obbligo di farsi carico di tali adempimenti, altrimenti rischia di
perdere vacanza, indennizzo e “premi” assicurativi corrisposti inutilmente.

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Assicurazioni
A cura di Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano

Non è legalmente imposto alla compagnia il diritto del contraente di


POLIZZA DI RCA assicurare mediante polizza a sé intestata il veicolo in proprietà altrui.
(Cassazione, 21 gennaio 2011, n. 1408)

Il termine di adempimento di 60 giorni che la legge accorda all’assicuratore


della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli per adempiere
la propria obbligazione risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato rileva
ASSICURAZIONE anche nei rapporti tra assicuratore ed assicurato, in quanto la colposa
OBBLIGATORIA DELLA violazione di quel termine fa sorgere in capo all’assicuratore una
RCA E MALA GESTIO responsabilità per mala gestio nei confronti dell’assicurato, se a causa del
DELL’ASSICURATORE ritardo il risarcimento, capiente all’epoca del sinistro, sia divenuto incapiente;
ricorrendo tale ipotesi l’assicuratore è obbligato a tenere indenne l’assicurato
per l’intero risarcimento cui questi sia tenuto verso il danneggiato.
(Cassazione, 18 gennaio 2011, n. 1083)

La clausola "claims made" cd. pura, in virtù della quale l'assicurazione copre
le richieste di risarcimento del danno pervenute all'assicurato nel periodo di
efficacia della polizza, ma relativamente a tutti i rischi (dedotti in polizza)
CLAUSOLA “CLAIMS
MADE” verificatisi nel decennio precedente, cioè fino al momento in cui l'assicurato
può ritualmente eccepire la prescrizione del diritto del danneggiato di
chiedere il risarcimento del danno, non è di per sé vessatoria, perché non è
limitativa della responsabilità.
(Tribunale di Milano, 18 marzo 2010, n. 4527)

Tra le nostre sentenze: Tizio, ex agente della Compagnia Alfa, otteneva dal Tribunale di Milano un
REGOLAZIONE DEI decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti della Cassa di
CONTI CON LA Previdenza agenti, avente ad oggetto il pagamento delle somme accantonate
PREPONENTE ED sul proprio conto individuale presso la cassa.
ESIGIBILITÀ DEL La Cassa di previdenza proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo -
CREDITO
di cui chiedeva e otteneva preliminarmente la sospensione della provvisoria
DELL’AGENTE NEI
esecutività - eccependo l’applicabilità, nella fattispecie, dell’art. 18 del
CONFRONTI DELLA
CASSA DI PREVIDENZA Regolamento della Cassa Previdenza Agenti, secondo il quale:

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“nel caso di revoca del mandato per giusta causa e nei casi di scioglimento
del contratto per una delle ipotesi elencate all’art. 19 degli accordi nazionali
10 ottobre 1951, le disponibilità e le attività del conto individuale comunque
investite non possono essere liquidate o consegnate prima che siano stati
regolati i rapporti di debito e credito con l’impresa. Se le attività del conto
fossero investite in una polizza vita o in un contratto di capitalizzazione, la
cassa provvede al riscatto e l’importo corrispondente si aggiunge alle
disponibilità del conto individuale”.

Il rapporto di agenzia tra Alfa e Tizio, infatti, era stato risolto dalla Compagnia
a seguito di una verifica ispettiva in occasione della quale era emerso un
pesante sbilancio di cassa; e l’agente non aveva provveduto ad estinguere il
debito né in sede di riconsegna dell’agenzia, né successivamente.
Costituendosi in giudizio, Tizio eccepiva che la previsione regolamentare
citata dalla Cassa era stata soppressa dall’Accordo Nazionale Agenti del
2003. La Cassa, tuttavia, replicava che per espressa previsione delle parti
contrattualcollettive la soppressione dell’art. 18 riguardava esclusivamente gli
agenti inseriti in uno dei regimi di esclusiva previsti dagli Accordi, tra i quali,
incontestabilmente, Tizio non rientrava.

Il Tribunale, ritenute fondate le eccezioni della Cassa di Previdenza, ha


revocato il decreto ingiuntivo opposto, dichiarando che le disponibilità
individuali del ricorrente presso la Cassa non possono essere liquidate fino
alla definitiva regolazione del rapporto debitorio con la ex preponente.

(Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, n. 620/2011)


(Causa curata da Bonaventura Minutolo e Teresa Cofano)

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Il Punto su...
A cura di Vittorio Provera

PUBBLICITÀ INGANNEVOLE

Le strategie pubblicitarie e di comunicazione delle imprese nei confronti dei consumatori fanno
sempre più uso delle cosiddette pubblicità comparative, ovvero di messaggi promozionali nei
quali vengono direttamente citati i prodotti dei concorrenti, per un raffronto con quelli della
propria impresa.

In materia, la normativa nazionale (contenuta nel Codice del consumo di cui al Decreto Legislativo 6
settembre 2005 n. 206, modificato dal Decreto Legislativo 2 agosto 2007 n. 146) ha sostanzialmente
recepito la disciplina europea di cui alla Direttiva CE dell’11 maggio 2005 n. 29, che ha modificato la
Direttiva CEE 84/450/CEE.

Sul punto, si è recentemente pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la


sentenza del 18 novembre 2010, nella causa 159/09 che vedeva contrapposti due giganti della
grande distribuzione organizzata (GDO).

La controversia prende spunto dalla pubblicazione di una pubblicità (apparsa su un giornale locale
francese), nella quale erano stati riprodotti scontrini che, tramite designazioni generiche, riportavano
prodotti acquistati in due esercizi appartenenti alle due società. Dal raffronto sarebbe risultato che il costo
complessivo della spesa effettuata nel primo esercizio era inferiore alla spesa effettuata nel secondo.
A fronte di ciò la seconda chiedeva al Tribunale del Commercio di Bourges di condannare la prima al
risarcimento dei danni per concorrenza sleale, sostenendo il carattere ingannevole della pubblicità, poiché
avrebbe indotto i consumatori in errore in quanto erano stati selezionati unicamente i prodotti a proprio
vantaggio. I prodotti, inoltre, non sarebbero comparabili stante che, in ragione delle loro differenze
qualitative e quantitative, non soddisfacevano gli stessi bisogni. L’istante lamentava, altresì, che la mera
riproduzione di scontrini di cassa (ove erano genericamente elencati i prodotti) non permetteva agli
acquirenti di cogliere le caratteristiche degli stessi prodotti, né di comprendere le ragioni delle differenze di
prezzo.

La convenuta respingeva tutte le lamentele, argomentando - fra l’altro - che un confronto ben può
riguardare anche beni non identici, a patto che soddisfino gli stessi bisogni e presentino un
sufficiente grado di intercambiabilità.

Il Tribunale del Commercio di Bourges ha rimesso la causa, alla Corte di Giustizia Europea, chiedendo di
valutare se l’art. 3 bis. n. 1 della Direttiva 84/450 (come modificata nel 2005 e come peraltro recepita nel
nostro ordinamento) debba essere interpretata nel senso che non consente di effettuare una pubblicità
comparativa tra prezzi di prodotti che, pur diversi, soddisfano gli stessi bisogni o si propongono gli stessi
obiettivi; tenendo presente che trattandosi di prodotti alimentari la commestibilità di ciascuno di questi
varia significativamente in funzione delle condizioni, del luogo di produzione, degli ingredienti e delle
esperienze del produttore.

Prima di riportare la decisione, è bene premettere, sia pur sinteticamente, che l’articolo 3 bis n. 1
della citata direttiva prevede la liceità della pubblicità comparativa in presenza di determinate
condizioni, fra le quali: che detta pubblicità non sia ingannevole in relazione ai principi previsti dalla
normativa in materia; che confronti beni o servizi che possono soddisfare gli stessi bisogni o si
pongono gli stessi obiettivi; che confronti obiettivamente uno o più caratteristiche essenziali,
pertinenti, verificabili compreso il prezzo di tali beni e servizi.

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Sono questi gli aspetti presi in esame dalla Corte, la quale ha concluso che l’art. 3 bis deve essere
interpretato nel senso che una pubblicità come quell’oggetto del procedimento può rivestire carattere
ingannevole e, quindi, viola le disposizioni normative allorché sia accertato che:

tenuto conto di tutte le circostanze rilevanti del caso (comprese le omissioni nell’inserzione), la decisione
di acquisto di un numero significativo di consumatori venga presa nell’erronea convinzione che la
selezione dei prodotti compiuti dall’operatore pubblicitario sia rappresentativa del livello generale dei
prezzi di quest’ultimo rispetto a quelli praticati al suo concorrente; cosicché il consumatore sia
indotto a considerare che realizzerà risparmi di entità uguale a quella vantata dalla pubblicità effettuando
regolarmente i propri acquisti presso detto operatore inserzionista piuttosto che presso il concorrente;

ai fini del confronto effettuato esclusivamente sotto il profilo dei prezzi, siano stati selezionati prodotti
alimentari che presentano, tuttavia, differenze tali da condizionare sensibilmente la scelta del
Consumatore medio, senza che tali differenze emergano dalla pubblicità (anche per le genericità
degli scontrini).

Pertanto occorre - per una lecita pubblicità comparativa nella quale sono messi a confronto
sostanzialmente i prezzi di diversi assortimenti di beni - che detti beni siano individuati con
precisione, nell’ambito delle informazioni contenute nello stesso messaggio pubblicitario.

Si tratta di una decisione autorevole e rilevante, che può costituire un punto di riferimento per la
pianificazione delle strategie commerciali e pubblicitarie delle imprese, nel rispetto delle norme
vigenti.

TRIFIRÒ & PARTNERS AVVOCATI MILANO ROMA GENOVA TORINO TRENTO WWW.TRIFIRO.IT
NEWSLETTER T&P N°44 ANNO V PAG. 12

“Quale modello per le relazioni


industriali future?”

Intervista a Salvatore Trifirò

Giustizia - Febbraio 2011

Eventi
✦Roma, Università La Sapienza, Aula Calasso - Facoltà di Giurisprudenza
2 Marzo 2011, 9.30
Federmeccanica - Università La Sapienza
Premio Roberto Biglieri
Convegno: Diritti sindacali in azienda e crisi della rappresentanza
Relatore: Avv. Giacinto Favalli
Programma

✦Milano, Aula Magna della Corte d’Appello di Milano


15 Aprile 2011, 15.00/19.00
Camera Civile di Milano
Corsi di aggiornamento 2011
Contratti finanziari e pratiche anticoncorrenziali
Relatore: Avv. Francesco Autelitano
Programma
www.cameracivilemilano.it

Archivio Eventi:
✦Parma, Palazzo Soragna, 21 Febbraio 2011
Unione Parmense degli Industriali
Convegno: La costituzione del rapporto di lavoro
Relatori: Avv. Stefano Beretta, Avv. Anna Maria Corna, Avv. Luca Peron
Rassegna Stampa Convegno e Video intervista

TRIFIRÒ & PARTNERS AVVOCATI MILANO ROMA GENOVA TORINO TRENTO WWW.TRIFIRO.IT
NEWSLETTER T&P N°44 ANNO V PAG. 13

✦Giustizia - il Giornale: Febbraio 2011


RASSEGNA Quale modello per le relazioni industriali future?
Intervista a Salvatore Trifirò
STAMPA ✦Gazzetta di Parma: 22/02/11
Contratti, l’Ue come riferimento

✦TV Parma “TG Parma” (Ed. 12.45 – min. 14): 22/02/2011


La costituzione del rapporto di lavoro
Intervista a Stefano Beretta

BLOG JOBtalk - JOB24 - Il Sole 24 Ore: 21/02/11


twitter 24job http://twitter.com/24job
Quando il mal d’Africa fa male al lavoro
di Stefano Beretta e Antonio Cazzella

Newsletter 7:24 - Il Sole 24 Ore: 15/02/11


Avvocati24 - Il Sole 24 Ore: 03/02/11
Professioni & Imprese24 - Il Sole 24 Ore: 03/02/11
Il conflitto tra il diritto alla privacy e diritto alla difesa in sede
disciplinare
di Vittorio Provera

✦HR On Line - AIDP: N°4 Febbraio 2011


Non costituisce discriminazione il limite di età posto per
l’assunzione di un dipendente (solo in alcuni casi specifici)
di Giacinto Favalli e Luca D’Arco

✦Newsletter - AIDP: N°12 Febbraio 2011


Alle signore si cede sempre il passo…anche in uscita!
di Stefano Beretta e Marina Olgiati

✦ilGiornale: 13/02/11
“Giustizia”. Parlano i professionisti del Diritto

BLOG JOBtalk - JOB24 - Il Sole 24 Ore: 01/02/11


✦T&P su twitter twitter 24job http://twitter.com/24job
Il primo tentativo di “scollegare” il collegato lavoro
✦ T&P su Scribd di Stefano Beretta

✦TopLegal: Febbraio 2011


✦ T&P su flickr TopLegal Awards 2010: Giacinto Favalli

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