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Colombo Incocciati

ANCHE
IN
CIOCIARIA
URGE
IL REVISIONISMO
(Su storia e politica)

Edizioni de
“il Cittadino”
Supplemento
al numero di Ottobre 2007
del Periodico “IL Cittadino”
Iscr. Trib.le di .Frosinone
n.174 del 29.6.1987
Direttore Responsabile
Colombo Incocciati
www.tuttofiuggi.it
info@tuttofiuggi.it
Colombo Incocciati

SETTEMBRE
1943
IN
CIOCIARIA
Giovani alla macchia
Resistenza zero

Edizioni
de “il Cittadino”
PREMESSA

La storia è sempre scritta dai vincitori. Quando due culture si


scontrano, chi perde viene cancellato e il vincitore scrive i
libri di storia, libri che sostengono la sua causa e condannano
quella del nemico sconfitto. Infatti, anche Napoleone ebbe a
dire che “Per sua natura, la storia è sempre un racconto da una
sola prospettiva”
Questa mio “Settembre 1943 e dintorni” è un racconto delle
vicende di guerra, verificatesi nella nostra provincia nel 1943
- 1946, vissute da tanti giovani, che furono costretti a
rispondere al Bando di Graziani, che intimava ai ragazzi del
1925 di presentarsi alla chiamata alle armi, pena l’accusa di
diserzione, da parte del Governo di Salò. Il mio racconto è
visto da un’ angolazione diversa da quella, elaborata e
ricostruita, a senso unico, dalla storiografia ufficiale, in
particolare, nelle due pubblicazioni, patrocinate dalle Giunte
di centro sinistra, alla Provincia, nel 1985, ed al Comune di
Frosinone, nel 2005: le quali hanno affidato la trattazione del
delicato argomento ad autori, ideologicamente vicini agli
amministratori che l’hanno commissionata.
Ecco perchè in questi anni ho sentito la necessità di rivisitare
le vicende di quel periodo, vissute e raccontate, oltre che da
me, anche dal confinato politico Gino Conti, nel 1995,
nel suo “Io rivoluzionario di professione”; dai fratelli Luciano
e Augusto Bartoli, nel “Poveri oscuri eroi” del 2004 (i quali,
pur essendo, comunisti i primi due, e socialista l’altro, nelle
loro memorie, hanno interpretato in modo più realistico e
meno ideologico gli stessi fatti narrati, ma non vissuti, dai
ricercatori di regime); nonché le vicende raccontate, dal
magistrato di Frosinone Augusto Marini, nel suo recente libro

I
“Dalla camicia nera alla toga” ; dal medico di Fiuggi,
recentemente scomparso, Giuseppe Rengo, nel suo “Quando
ero soldato” del 1997; da Sacchetti Sassetti, nella sua
“Cronaca di Alatri del 1943- 1944” ; da Generoso Pistilli, di
Fontanaliri, nei suoi “Ricordi di guerra”, e infine dal
ricercatore Tommaso Baris, dell’Università di Cassino, nel
suo “Il fascismo in provincia dal 1919 al 1940”.
In questi ultimi anni, alcuni periodici locali, hanno ospitato
numerosi miei saggi sull’argomento, nei quali non venivano
esplicitamente menzionati le persone e i luoghi, dove i fatti si
erano verificati. Ciò è avvenuto anche per altre storie locali,
delle quali però, quando ho dovuto fare i nomi dei
protagonisti, ho visto scattare l’ostracismo, non perché
trattavo argomenti, di attualità, di politica, e di turismo, di
cui mi sono sempre occupato, ma semplicemente perché
volevo ricordare la nostra storia in chiave revisionista, di cui
vado fiero, e di cui ogni ricercatore farebbe bene a servirsi.
Anche perché, tutti, come diceva il politologo liberale Manlio
Lupinacci, dovrebbero sentire il dovere di scrivere un libro di
ricordi, per lasciare una testimonianza di verità, a carico, o a
favore della società del proprio tempo.

II
L’AUTORE

Nato a Fiuggi nel 1925, dopo aver vissuto l’adolescenza,


inquadrato, come tutti i giovani di allora, nelle file della
Gioventù Italiana del Littorio, voluta da Mussolini,
soltanto dopo il 25 luglio del 1943 scopre il pluralismo
delle idee ed aderisce con convinzione ad un partito laico,
d’ispirazione risorgimentale e repubblicana.
Nell’ ottobre del 1943, dopo essere stato precettato dal
Bando di Graziani, rivolto ai giovani di leva non ancora
chiamati alle armi, e dopo essere fuggito dal centro di
reclutamento, allestito a Fiuggi Città, nell’Albergo Falconi,
poi trasferito nel Convento dei Cappuccini di Alatri, da
dove, qualche mese dopo, con altri suoi coetanei riesce ad
evadere, e con essi rischia l’accusa di diserzione.
Tornato a Fiuggi, e dopo essersi salvato anche dai
rastrellamenti delle SS tedesche, alla fine del Gennaio ’44
preferisce darsi alla macchia, e rifugiarsi sulle montagne
degli Ernici, intorno a Fiuggi, (proprio come di recente ha
raccontato di aver fatto il Presidente della Repubblica,
Carlo Azeglio Ciampi, nei vicini monti abruzzesi,
attribuendosi però la qualifica di partigiano) dove già si
trovavano alcuni sbandati dell’Esercito italiano, ma anche
ex prigionieri alleati, catturati dai tedeschi sul fronte di
Cassino. Insieme ad essi, rimase in montagna fino al 4
Giugno del 1944, quando l’Esercito Alleato, superata la
Linea Gustav sul fronte di Cassino, riuscì a liberare
velocemente e quasi contemporaneamente, Frosinone,
Fiuggi, e la stessa Roma.

III
Fu proprio in quel 4 Giugno del ‘44, che l’ autore, rifiutò,
insieme ad altro compagno di sventura, Giulio Zangrilli, di
iscriversi alla sezione partigiana di Fiuggi, che alcuni loro
amici, dicevano di voler costituire, per la zona degli
Ernici, nonostante fossero stati, fin quasi alla fine del ‘43,
fanatici gerarchi del Regime di Mussolini e fedeli esecutori
delle sue decisioni.
La ragione di quel rifiuto trovava motivo dalla realtà
vissuta in quegli anni dai giovani e dai più anziani, perché
tra loro, gli antifascisti veri (che non ebbero mai la
disonestà di spacciarsi per partigiani) si contavano sulle
dita di una mano ed erano a tutti note le loro idee politiche.
Ebbene, è proprio dalla narrazione della “Guerra di
Liberazione in Ciociaria”, patrocinata dagli enti provinciali
e regionali (nel 1985 e nel 2005) che l’ autore, da
giornalista, ha deciso di riscrivere, non solo la storia di
quegli anni di guerra, ma anche altre storie, ugualmente
pressoché inventate, della sua città e della sua provincia.
I saggi da lui pubblicati negli ultimi anni, vengono
malamente accolti dagli agiografi di professione, la cui
pretesa sarebbe quella di far passare le loro tesi, come
verità rivelate, e secondo cui anche la Liberazione della
Ciociaria, di 60 anni fa, sia avvenuta, non per opera dell’
Esercito anglo-americano e dei paesi occidentali ma per
esclusivo merito dell’antifascismo e della resistenza di
casa nostra.

IV
INTRODUZIONE

L’antifascismo e la resistenza in Ciociaria, sono sorti tra


la fine del 1943 e la fine del 1944, per iniziativa di un
gruppo, molto ristretto, di ex militari dell’esercito di
Badoglio, e di ex studenti universitari; i quali pur essendo
partiti negli anni 1941- 42 per combattere la guerra di
Mussolini, tornati a casa, dopo l’8 settembre, si erano dati,
non alla macchia, come invece furono costretti a fare i
giovani della classe 1925 soggetti al Bando di Graziani,
bensì alla clandestinità, nascondendosi, chi nei seminari e
nelle chiese, sotto la protezione dei vescovi (di Alatri,
Ferentino, Veroli e Anagni) chi nella tranquilla e sicura
Certosa di Trisulti, dove neppure i tedeschi osavano
entrare.
A Collepardo infatti, si rifugiarono almeno quattromila
persone, tra cui molte famiglie di Frosinone, subito dopo
l’11 settembre, quando il capoluogo aveva subìto il primo
bombardamento degli aerei anglo-americani.
Ebbene, in una “Lettera da Ripi” inviata dagli studenti
Raul Silvestri e Nino Salvatori al loro compagno di scuola
Silvio Incocciati, riportata più avanti, vi sono nominati altri
cinque studenti, maturandi maestri, che con altri del liceo
di Alatri e Frosinone, ed ex militari, possono essere
considerati il nucleo fondante dell’antifascismo e della
resistenza in Ciociaria, che prima del 25 Luglio del 1943,
non avevano mai dato alcun segno di vita.
Ad Alatri infatti c’erano Vincenzo Papitto e Lino Rossi,
ambedue compagni di scuola di mio fratello Silvio,
insieme ad Armando Tagliaferri, e ad altri, tra il 1939 e il
1941.
V
Il primo, tornato dalla guerra, diventa socialista, il
secondo, democristiano, ma entrambi, subito dopo la
liberazione, si dichiareranno partigiani, insieme a Giacinto
Minnocci, a Don Carlo Ritarossi ed a Carlo Costantini,
dopo essersi nascosti, nel seminario di Alatri, sotto la
protezione del Vescovo Facchini, che a sua volta era
grande amico del Console fascista Ghislanzoni.
Ad Alatri, inoltre, c’erano i fratelli Silvestri, Raul, Renzo
e Aldo, che con il padre Consalvo, segretario comunale, si
erano trasferisti da Ripi. Ma c’erano anche Tullio
Pietrobono, Cesare Baroni e Paolo Bufalini, che insieme
ai Silvestri, nella clandestinità, diventano comunisti
dell’ala stalinista.
A Collepardo c’erano Oreste Cicalè, comunista, ma anche
Giuseppe Bartoli, socialista di vecchia data, con i due figli
gemelli, Luciano (comunista) e Augusto (socialista); i
quali, rifugiatisi, anche loro, nel Monastero di Trisulti,
vengono, di lì a poco, raggiunti, non solo dai Silvestri, ma
anche dal Pietrobono, e da Arnaldo Marzi, figlio di quel
Domenico Marzi, eletto deputato prima del Fascismo, che
il giorno della Liberazione (4 giugno 1944) in Piazza
Garibaldi, applaudito da una folla di comunisti, si auto-
proclamerà sindaco di Frosinone.
A Collepardo arriva anche il confinato politico, Gino
Conti, che, con la fama di rivoluzionario di professione,
inviato dal Pci di Roma per organizzare il partito e la
resistenza in Ciociaria, dopo appena due mesi, nel febbraio
1944, deve tornarsene a Roma, perché i suoi stessi
compagni temevano che la sua presenza potesse provocare

VI
seri danni alla loro serena e tranquilla vacanza, che dal
settembre ’43 si stavano godendo nella Certosa di Trisulti.
A Fiuggi inoltre c’erano gli ex fascisti Raffaele Conti e
Natalino Terrinoni.
Il primo che, partito nel 1936 da Novara, come uomo
d’affari, al seguito della guerra coloniale in Abissinia,
voluta da Mussolini, anziché fare ritorno nel suo paese
d’origine, approda nel 1939 a Fiuggi, per esercitarvi
attività di commercio.
Il secondo, quale ex Segretario della Gioventù Italiana del
Littorio, dopo l’8 settembre del 1943 diventa comunista, e
insieme al Conti si dichiara partigiano.
A Paliano, c’era il famigerato Enrico Giannetti, che Gino
Conti nelle sue memorie descrive, sia come in formatore
della Questura di Roma sia come comunista emigrato
clandestinamente in Francia nel 1930. Ma arrestato nel
1939, viene restituito alle autorità italiane, che nel 1941 lo
assegnano al confino di Ventotene.
Da una sua deposizione, resa nel giugno del 1941 nella
Questura di Frosinone, affermava, che prima di espatriare
in Francia, era rimasto nella clandestinità, per quattro anni,
dal momento della fuga da Roma a Torino, precisando che
diventò comunista per avere la possibilità di introdursi e di
svolgere attività politica nelle file di quel partito. Ed
aggiungeva che, avendo lui provocata l’assegnazione al
confino di alcuni comunisti, la sua attività venne presto
sospettata di collaborazionismo, e a causa di ciò, era stato
messo in disparte e guardato di malocchio, nel suo stesso
ambiente.

VII
La Questura di Roma il 17 novembre 1930, scriveva di lui
quanto segue:
“Il Giannetti che aveva avuto rapporti con quest’ Ufficio
emigrò all’estero per timore di rappresaglie dei compagni
di fede, che lo sospettarono quale confidente della P.S. in
seguito all’arresto di un altro pericoloso comunista.
Queste ed altre sono le circostanze che in questo mio
Settembre 1943, ho cercato di ricostruire anche su ciò che
hanno raccontato i fratelli Luciano ed Augusto Bartoli,
che di quelle vicende furono protagonisti sia a Frosinone
sia a Collepardo, dove rimasero sfollati fino alla
liberazione.
Credo che la mia ricostruzione degli avvenimenti
accaduti, tra il Settembre 1943 e la fine del 1945, sia utile
per confermare che in Ciociaria, non solo non vi è stato
alcun consistente movimento partigiano (come lo storico
comunista, Gioacchino Giammaria, ha più volte ammesso
nei suoi numerosi saggi, finanziati dalla Regione, dalla
Provincia e dal Comune di Frosinone) ma anche che, la
tanto decantata liberazione della Città capoluogo, e delle
località più importanti della provincia, altro non è stata che
una occupazione illegale e violenta del potere, voluta e
posta in essere da quei Comitati di Liberazione, che all’
80% erano guidato da uomini del Pci e nell’altro 20% da
uomini della Dc legata al clero.
Tanto ciò è vero, che il Colonnello Tenente J.B. Thornill,
Commissario per la Provincia del Governo Alleato, con
sede in Fiuggi, il 5 luglio 1944, fu costretto ad ordinare la
cacciata dei falsi sindaci, arbitrariamente insediatisi nei
rispettivi comuni.

VIII
Quanto sopra dimostra che (come scrive, il 23.9.2005,
Andrea Ventura sul sito fdcybv.tin.it ) fu il Pci, come
partito della guerra civile, ad appropriarsi il merito della
lotta partigiana ed a costruire su di esso, insieme a cattolici
di sinistra, le basi per imporre la sua egemonia, politica e
culturale sulla Repubblica Italiana, nata nel 1946, e sulla
nostra Costituzione, nata nel 1948.
La vera dissimulazione di questa verità la compie, con
onestà, Mirella Serri nel suo libro “I redenti” (Corbaccio
Editore) e quando, con l’occasione di studiare la rivista “Il
Primato” di Giuseppe Bottai, compie una incursione ed un
affondo fatali alla reputazione degli intellettuali di sinistra
e comunisti del nostro dopoguerra, che erano quasi tutti
ferventi fascisti nel ventennio, spesso antisemiti e
filonazisti. “Il disgusto nel leggere quelle pagine” - scrive
Ventura – “è enorme! E credo che sia successo solo in
Italia questo fenomeno enorme della migrazione in massa
dei giovani intellettuali fascisti verso il parito comunista.
Certamente non in Germania occidentale. Sotto tutela
anglo-americana, e non nel mondo anglosassone che fu il
grande avversario sul campo dei fascismi europei, molto
limitatamente in Francia.”
Insomma Mirella Serri, e dopo di lei Pansa, è riuscita a
“bucare” il muro di conformismo e di silenzio imposto da
sessant’anni di egemonia culturale della sinistra. Ha potuto
farlo perché, come Pansa, proviene dalla sinistra. Perciò è
inutile continuare e a ritenere strumentale la pubblicistica
della destra, che queste cose le disse molto tempo fa”.

IX
Nino Tripodi, ad esempio, le documentò
ell’indimenticabile volume “Intellettuali sotto due
bandiere” pubblicato nel 1980 da Rusconi, e mai
ristampato. Si continua a sostenere, per cattiva coscienza,
che quel volume producesse nomi e cognomi per denigrare
la nuova classe politica, e i nuovi mandarini della cultura
di sinistra. Ma anche se fosse questa la motivazione, è
incredibilmente di tutt’altra portata la responsabilità
morale di quegli intellettuali di sinistra che furono fascisti.

X
I

PERCHE’ IL REVISIONISMO

Nove italiani su dieci aderirono al fascismo

Ma dopo la caduta del Fascismo, avvenuta il 25 luglio


1943, quasi tutti rimossero questa verità e lo fecero
specialmente coloro che erano stati i gerarchi più in vista del
Regime. Molti dei quali passati nelle file antifasciste e
partigiane, sono diventati uomini di primo piano dell’Italia
democratica, ma in tutte le biografie che hanno dettato ai
loro agiografi, iniziano a dare notizie della loro vita soltanto
dal settembre 1943 in poi. Le foto che seguono sono la
prova di quanto sopra. La maggior parte dei giovani di tutti i
paesi della provincia, venivano nei mesi estivi inviati a
turno, per un periodo di 15 giorni, nella colonia marina di
Serapo, a Gaeta.
La colonia, che ospitava da 300 a 400 giovani per volta.
Nella sezione documenti di questa pubblicazione vi sono le
foto dei raduni dei giovani davanti al grande edificio che li
ospitava, del refettorio, con i tavoli della mensa e delle
camere dormitorio con tanti letti singoli, e del grande
piazzale davanti all’edificio, con i giovani schierati, che
formano un fascio littorio e la parola DUX, riferita a
Mussolini.
Un’altra foto illustra la colonia montana, allestita, alla fine
degli anni trenta, in un bosco tra Fiuggi Città e Fiuggi
Fonte, con centinaia di giovani in divisa estiva, in occasione
della visita del Maresciallo Badoglio che ogni estate veniva
a Fiuggi per le cure termali. In questa foto vi sono alcuni
gerarchi in divisa e in borghese che dopo il settembre 1943

1
si dettero alla clandestinità per uscire fuori il giorno della
liberazione del 4 giugno 1944, spacciandosi per antifascisti
e partigiani. L’ ingresso della colonia montana con alcuni
giovani capi in divisa estiva, che il giorno della liberazione
cercavano altri giovani per costituire la Sezione partigiana e
le ragazze in divisa da giovani italiane.
Poi una foto del raduno fascista nel bosco della Fonte
Vecchia, con centinaia di giovani balilla e avanguardisti, in
occasione di un’altra visita di Badoglio.
Anche qui vi sono capi e capetti della G.I.L. che nel giugno
del 1944 dissero di essere partigiani. Infine, l’ edificio del
Liceo Ginnasio di Frosinone, dove fino ai negli anni
’39/’41, venivano periodicamente convocati i giovani di
tutta la Provincia di
Frosinone, per assistere alle lezioni di mistica fascista, che
l’intellettuale di turno del Regime impartiva loro, stando in
cattedra, con tanto di sahariana nera e cinturone, che era la
divisa degli universitari del G.U.F. Anche questi gerarca di
primo piano, dopo l’arrivo degli alleati uscirono fuori come
capi della resistenza in Ciociaria, e con tale referenza
divennero uomini politici di primo piano e parlamentari
dell’Italia democratica e antifascista, ma i cui trascorsi
politici vengono nelle loro biografie, sistematicamente
taciuti.. I documenti che vengono pubblicati, dimostrano
visivamente, ciò che Giordano Bruno Guerri nei suoi libri,
quando dice che il Fascismo, fu un fenomeno di massa.
Accettato con entusiasmo dalla stragrande maggioranza
degli italiani e non imposto con la forza, come i
professionisti dell’antifascismo hanno fatto credere da 50
anni in qua.

2
Anche in Ciociaria

Urge il revisionismo, perché anche qui da noi c’è ancora


qualcuno che, abituato a scrivere di santi e di beati,
considera anche la storia della liberazione (di 60 anni fa)
come una verità rivelata ed osa definire, squallidi
revisionisti, coloro che invece, avendola direttamente
vissuta, tentano di riscriverla, non come l’agiografia catto-
comunista ce l’ ha finora propinata, ma semplicemente
come le memorie e i diari dei vinti ce l’ hanno lasciata.
E tra i vinti di allora, vi sono anche coloro che ritennero di
contrastare in modo non violento la occupazione tedesca e
per questo anche loro furono perseguitati e giustiziati.
Valga per tutti il caso dei “Tre martiri toscani” ai quali di
recente le autorità di Frosinone hanno dedicato un
monumento in Viale Mazzini dove, il 6 gennaio 1944,
furono fucilati dai tedeschi, per diserzione dal fronte di
Cassino, dove furono costretti ad andare per effetto del
famoso Bando di Graziani.
Quei tre giovani fuggirono, pur sapendo che avrebbero
rischiato la pena di morte.
E pur non facendo parte di qualche formazione partigiana,
decisero ugualmente di sottrarsi all’obbligo di aiutare i
tedeschi.
Quel tragico episodio fu assai significativo, perché dimostrò
che non era affatto vero che fossero solo i partigiani
antifascisti a boicottare i tedeschi o a combatterli, ma che vi
furono tanti altri giovani, che pur essendo cresciuti sotto il
regime di Mussolini, subirono i rastrellamenti dei tedeschi e
dei repubblicani di Salò. Ma tutti quei giovani, nessuno li ha
mai ricordati, solo perché non erano organici alle sparute
formazioni (bianche e rosse) dell’antifascismo.

3
Tanto è vero che i tre eroi toscani, fucilati a Frosinone nel
1944, sono diventati tali, solo dopo che la resistenza
ufficializzata si è appropriata, del loro sacrificio e di una
gloria che non le appartiene.
A tale proposito ecco cosa si legge ne “ L’ Italia della Guerra
Civile” di Montanelli e Cervi (Ed. Rizzoli 1983):
“La resistenza fu uno degli episodi ma non il solo e di
scarsissimo peso risolutivo sugli avvenimenti A contare
molto di più, fu caso mai la resistenza con la erre maiuscola,
cioè quella quotidiana e passiva fatta da piccoli e grandi
sacrifici, di pazienza e di arrangiamenti e anche di malizie e
doppi giochi che gli italiani opposero per sopravvivere a
tutto e a tutti”
Chi volesse saperne di più sulle verità che la storiografia
ufficiale ha nascosto agli italiani per quasi 50 anni,
consigliere alcuni articoli, come:
“Il sogno revisionista” di Valerio Riva (il Giornale, 1.5.02) -
”Revisionismo è una parola d’ordine” di Giuseppe Valencich
(Tempo, 28.7.02) - “Una resistenza di eroi e voltagabbana”
di Mario Cervi ( il Giornale, 6.3.04); nonché sul sito
www.storialibera.it alla voce “Revisionismo storico” si
trovano saggi di alcuni storici.

4
DIBATTITO SULLA RESISTENZA

Con Giacinto Minnocci

Ecco il dibattito che si è aperto nelle pagine della rivista


frusinate “Flash Magazine, diretta da Nicandro D’ Angelo,
a seguito della pubblicazione, nel luglio 2004, della quinta
puntata di “Anche in Ciociaria urge il Revisionismo”. La
Rivista veniva invitata a dare spazio a due lettere
lunghissime di personaggi, che, pur non essendo stati
chiamati in causa dai miei articoli, hanno abboccato subito
all’esca che vi era nascosta, dimostrando così di avere la
coda di paglia per la denuncia dei fatti che vi si faceva.
Le due lettere qui riprodotte sono del Senatore Giacinto
Minnocci e di Carlo Costantini di Alatri, i quali entrambi,
si attribuiscono meriti partigiani per una resistenza, che in
Ciociaria non è mai concretamente esistita, alla quale
dicono di aver partecipato, ma continuano a nascondere il
buco nero del loro passato fascista.
“Signor Direttore - scrive Minnocci - l’ultimo numero di
“Flash magazine” contiene ben tre pagine redatte dal noto
grafomane Colombo Incocciati, che da decenni và invano
alla ricerca di una visibilità politica sempre negatagli; le
prime due legate alla contestazione della Resistenza in
Ciociaria, la terza ad esibirsi come mosca cocchiera di un
revisionismo della recente storia del nostro Paese. In una
delle pagine, riferendosi alla resistenza in Alatri, nella
quale ho operato, l’ Incocciati sparla di “trascorsi politici”
durante il ventennio fascista “di quel partigiano, diventato
poi senatore della Repubblica, senza citarmi: ma il
riferimento alla mia persona è inconfutabile.”
“Ora in verità l’unico mio “trascorso” durante il fascismo,

5
consiste nel fatto che ho dovuto obbligatoriamente
indossare la camicia nera per discutere la mia tesi di laurea
in giurisprudenza, presso l’Università di Siena. “Vale
anche la pena di aggiungere che ricordo bene, essendo mio
padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ho avuto
davanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri
con il compito di impedire che essa venisse assaltata dai
fascisti, così come fecero con la sede della Sezione del
Partito Popolare Italiano di Don Sturzo, al quale egli era
iscritto.
Successivamente chiamato alle armi, ho combattuto per un
paio di anni contro gli Anglo-Americani in Sicilia
buscandomi anche una malaria perniciosa che mi è stata
dallo Stato pensionata fino alla scomparsa dei postumi. Il
ruolo da me svolto nella resistenza in Alatri ( ma non
soltanto in Alatri) è tutto documentabile da chi con me lo
ha condiviso e che è ora vivo e vegeto. Esso è premiato
con una croce di guerra al V.M. della quale vado fiero.
Liberate Alatri e Roma sono tornato volontariamente sotto
le armi ed ho combattuto assieme agli alleati, da
paracadutista, per missioni in territorio ancora occupato dai
tedeschi e governato dalla Rsi.”
Quella testè riportata, è la metà di una lunga lettera auto
celebrativa, con la quale il mio interlocutore fa una
meticolosa descrizione della sua attività militare, svolta da
classico campione del doppio gioco, prima, come
combattente della guerra di Mussolini, a fianco dei
tedeschi contro gli Anglo-americani; poi, con questi
ultimi, combattente contro i tedeschi.
Ma nella lettera il Senatore non dà alcuna risposta agli
interrogativi ed alle prove documentate, del suo passato
fascista.

6
Anzi, in una seconda lettera, minaccia perfino di
denunciare il direttore e il sottoscritto per la violazione
della sua privacy.
Questo è il personaggio. Il quale, pur avendo fatto per i
suoi meriti partigiani, una lunga carriera politica, malgrado
fosse stato un intellettuale del Regime, ora, essendo un
pensionato d’oro, con 6.590 euro mensili a carico dello
Stato, non avverte neppure il dovere di scusarsi né con i
suoi elettori, né con i contribuenti.

7
La risposta al Senatore

“Il Senatore, da sempre abituato a ricevere solo elogi per la


sua lunga attività politica (prima come antifascista e
partigiano, poi come politico a tempo pieno dell’Italia
repubblicana) definisce “grafomane” chi si permette di avere
qualche dubbio sui trascorsi politici, suoi e di altri
antifascisti, anteriormente al 25 luglio 1943. Ed anziché
chiarirli, insieme al suo conterraneo Costantini, entrambi li
nascondono nel buco nero del loro passato giovanile; che, a
partire dalla metà degli anni venti, fino al 1943, lo hanno
certamente vissuto, sotto i gagliardetti di Mussolini.
E cosa ti fanno i miei interlocutori? Si dilungano ad
occupare due pagine intere di questa Rivista, esclusivamente
per enumerare i loro meriti e quelli di altri compagni di lotta,
contro il fascismo.
Ecco allora, gli interrogativi che da tempo attendono molte
risposte, che gli alfieri dell’antifascismo nostrano, non
hanno mai voluto dare. Ad esempio, perché non dicono se,
da ragazzi hanno attraversato il percorso che ogni giovane
doveva fare, per diventare un perfetto fascista?
Hanno o no partecipato alle adunate del sabato fascista ed
alle manifestazioni che il PNF organizzava nelle piazze e
nelle scuole (dalle elementari all’ università) dove non si
poteva accedere, se non si chiedeva la tessera della GIL o
del GUF? Questi tardivi eroi della lotta al fascismo, nel loro
album di famiglia, le hanno o no le fotografie, come quelle
che si riproducono qui a lato, come prova che durante il
ventennio, nove italiani su dieci erano fascisti? E quale
ruolo ricoprivano i meno giovani (come certamente erano i
Minnocci, i Costantini, e altri, nei anni ruggenti, quanto
meno, dalla metà degli anni trenta, fino agli anni quaranta?

8
Erano o no, gerarchi della GIL, che curavano
l’inquadramento dei balilla e degli avanguardisti? Oppure,
universitari del GUF, che diventati littori, organizzavano i
“ludi juveniles” o i corsi per la preparazione politica dei
giovani? Ad uno di questi corsi, quando io stesso fui
invitato, con altri giovani della provincia, al “Liceo Norberto
Turriziani” di Frosinone, non trovavammo, a darci lezioni di
mistica fascista, anche il giovane universitario Giacinto
Minnocci, che, stando in piedi dietro la cattedra, ci
accoglieva con tanto di stivali, sahariana nera, e cinturone?
Che era la divisa d’ordinanza degli intellettuali fascisti,
specialmente se erano diventati littori? Perché il Senatore,
nelle sue tante biografie, non ha mai detto questa verità, e
soltanto ora, su Flash Magazine di ottobre, ha deciso di fare
la seguente ammissione? “Ora, in verità, l’unico mio
trascorso durante il Fascismo, consiste nel fatto che ho
dovuto obbligatoriamente indossare la camicia nera per la
mia tesi di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di
Siena” - Non aveva allora, già 24-25 anni? - Inoltre dice:
“Vale la pena di aggiungere che, ricordo bene, essendo mio
padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ho avuto
davanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con
il compito di impedire che essa venisse assaltata, così come
fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare di Don
Sturzo, al quale egli era iscritto”
Qui viene però da chiedergli: come mai un antifascista di
ferro come lui, che, da ragazzo, aveva avuto quella seria
motivazione per opporsi al Regime di Mussolini, una volta
diventato grande, anziché darsi alla clandestinità e riparare
all’estero (come fecero Pertini e i fratelli Rosselli) si iscrive
al GUF e va a laurearsi a Siena, indossando proprio la divisa
del perfetto fascista?

9
Inoltre, che cosa ha fatto durante gli anni di università, e
subito dopo aver preso la laurea? Ancora non lo dice.
Dice soltanto che, chiamato alle armi nel 1940, andò a
combattere in Sicilia fino al 1943, proprio quella guerra
(contro gli anglo-americani) voluta dal fascismo, ed a fianco
dei tedeschi. E non dice, se fu una chiamata obbligatoria, o
se partì da volontario (come molti studenti del Guf decisero
di fare) e quale grado di ufficiale ebbe, prima e dopo il 1943,
all’atto del congedo.
Una reticenza simile (quasi assoluta) sui primi 26-27 anni
di vita di un uomo pubblico, come lui, appare quanto meno
sospetta. E che male c’è se qualcuno, cercando di
approfondire alcuni aspetti della nostra storia, chiede di far
luce anche sui trascorsi degli uomini che l’hanno
determinata? Come “il trascorso” che si evince su internet,
da “Edicola Ciociara” dove si scopre che il legame del
Senatore con il Regime di Mussolini, fu assai profondo, non
solo durante il ventennio, ma anche dopo il 1943.
Tanto è vero che, fino a quando non diventò politico a
tempo pieno, il nostro interlocutore era ancora un
funzionario di primo piano dell’Enal. Cioè di quel
carrozzone pubblico creato dal Fascismo, per organizzare il
tempo libero dei lavoratori, dove venivano sistemati i
gerarchi più fedeli del Regime.
Anzi, in una seconda lettera minacciava perfino di
denunciare il direttore e il sottoscritto per la violazione della
sua privacy.
Questo il personaggio. Il quale, pur avendo fatto, per i suoi
meriti partigiani, una lunga carriera politica, malgrado fosse
stato un intellettuale del Regime, ed ora, pur essendo un
pensionato d’oro, della prima Repubblica, con 6.590 euro
mensili, a carico dello Stato, non avverte neppure il dovere
di scusarsi con i suoi elettori.

10
Con Carlo Costantini

Il quale, qualificandosi Segretario Provinciale di Frosinone


dell’ Associazione Partigiani Cristiani, scrive al direttore una
lunghissima lettera che occupa una pagina formato A4 con
caratteri word, corpo otto (cioè piccolissimi) per raccontare
minuziosamente la storia dei partigiani dell’alta Ciociaria,
con particolare riguardo a quelli cattolici che, per tutto il
tempo della clandestinità (iniziato soltanto dal gennaio
1944) si erano nascosti insieme ad un paio di preti nella
curia di Alatri, sotto l’ ala protettiva del Vescovo Edoardo
Facchini, che lui cita come decorato di medaglia di bronzo
per meriti partigiani, che però, era grande amico del Console
della Milizia Ghislanzoni, con cui aveva avuto stretti
rapporti di collaborazione.
Come del resto li ebbero tutte le gerarchie ecclesiastiche
con il Regine di Mussolini, che nel 1929 aveva regalato alla
Chiesa, il Concordato, che sarà inserito nella Costituzione
italiana, grazie ai voti determinanti del Partito comunista
Italiano, guidato da quel campione di libertà che era
Parlmiro Togliatti.
Ecco le cose essenziali che scrive il Costantini:
“Ho letto con attenzione l’articolo di Colombo Incocciati sul
numero di luglio, di Flash Magazine, cui segue un elenco di
articoli e saggi dei “revisionisti” definiti di ala “liberale” in
opposizione a quelli catto-comunisti, o azionisti, che
sarebbero contrari a qualsiasi revisionismo”.
“Poiché tutta la prima parte dell’articolo riguarda la nostra
provincia, sento la necessità di esprimere alcune
considerazioni. Dissento dall’affermazione di Incocciati,
sulla inesistenza quasi assoluta di un movimento partigiano
ed antifascista nelle zone di Fiuggi e dell’alta Ciociaria”

11
Qui, per non annoiare il lettore, sento il dovere di fermare
il suo racconto, perché il Costantini, nel ricostruire la sua
storia di guerra, tira fuori tutto l’armamentario della retorica
resistenzialeche, per oltre 60 anni, gli italiani si sono dovuti
sorbire, come una tiritera infinita, che mira ad accreditare
la tesi,secondo cui furono veramente i partigiani cristiani,
come lui, il socialista Minnocci, i comunisti, come
Pietrobono, Cicalè e i fratelli Silvestri, tutti in nascosti, chi
nel seminario di Alatri e chi nella Certosa di Trisulti a
combattere i tedeschi e a liberare i paesi dell’alta Ciociaria.
Vada a leggersi il Costantini le pagine, da 65 a 77, di questa
pubblicazione cosa scrivono i fratelli Bartoli, che pure
facevano parte della Banda di Collepardo, che prendeva
ordini da quel Gino Conti che, spacciandosi per
rivoluzionario di professione, venne in Ciociaria, solo per
dettare il suo coraggioso ordine “armiamoci e partite” che i
suoi compagni, ex fascisti, si guardarono bene dal rispettare.
Ed ecco le risposte da me date, su Flash Magazine
dell’ottobre 2004, sia al Minnocci che al Costantini.
Al primo: “Il Senatore Minnocci, da sempre abituato a
ricevere soltanto elogi per la sua lunga attività politica (sia
come antifascista e partigiano sia come politico a tempo
pieno dell’Italia Repubblicana) definisce “grafomane” chi si
permette di avere qualche dubbio sui trascorsi politici, suoi e
di altri antifascisti, anteriormente al 25 luglio 1943. Ed
anziché chiarirli, insieme al suo conterraneo Costantini,
entrambi li nascondono nel buco nero del loro passato
giovanile, che a partire dalla metà degli anni ’20 e fino al
1943, lo hanno certamente vissuto (come il 90% dei giovani
di allora) sotto i gagliardetti di Mussolini.
E cosa ti fanno i miei interlocutori? Si dilungano ad
occupare due pagine intere di questa rivista, esclusivamente

12
per enumerare i loro meriti e quelli di altri di lotta contro il
Fascismo. Ecco allora gl’interrogativi che attendono molte
risposte, e che gli alfieri dell’antifascismo ciociaro non
hanno mai voluto dare. Ad esempio, perché non dicono se da
ragazzi hanno il percorso che ogni9 giovane doveva fare, se
voleva diventare un fascista, come il Regime di Mussolini
esigeva?.
Hanno o no partecipato alle adunate del sabato fascista ed
alle manifestazioni che il PNF organizzava nelle piazze e
nelle scuole ( dalle elementari alle università) dove non si
poteva accedere se non si chiedeva la tessera della GIL o del
GUF? Questi tardivi eroi della lotta contro il fascismo nel
loro album di famiglia, le hanno o no le fotografie come
quelle che si riproducono in appendice, come prova che
durante il ventennio nove italiani su dieci erano fascisti?
E quale ruolo ricoprivano i meno giovani (come certamente
erano i Minnocci, i Costantini e altri, negli anni ruggenti del
Regime) quanto meno dalla metà degli anni trenta e fino agli
anni quaranta? Erano o no gerarchi della GIL, che curavano
l’inquadramento dei balilla e degli avanguardisti? Oppure
universitari del GUF, organizzavano i “Ludi juveniles” o i
corsi per la preparazione politica dei giovani?
Ad uno di questi corsi, quando io stesso fui invitato, insieme
ad altri giovani, al Liceo-Ginnasio “Norberto Turriziani” di
Frosinone, non trovavamo, tra gli altri, a dare lezioni di
mistica fascista, anche il giovane universitario Giacinto
Minnocci, che stando in piedi dietro la cattedra ci accoglieva
con tanto di stivali, sahariana nera e cinturone, che era la
divisa d’ordinanza degli intellettuali fascisti, specialmente
se erano diventati “Littori”? (*).

13
Perché il Senatore, nelle sue tante biografie, non ha mai
detto questa verità, e soltanto ora ha deciso di fare la
seguente ammissione? “Ora in verità, l’ unico trascorso
politico durante il Fascismo consiste nel fatto che ho dovuto
obbligatoriamente indossare la camicia nera per la mia tesi
di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di Siena”
(n.d.a - Non aveva allora già 24-25 anni?). Inoltre dice:
“Vale la pena di aggiungere che, ricordo bene, essendo mio
padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ha avuto da
vanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con il
compito di impedire che essa venisse assaltata, così come
fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare di Don
Sturzo, al quale egli era iscritto.
“Successivamente chiamato alle armi, ho combattuto per un
paio di anni contro gli anglo-americani in Sicilia,
buscandomi anche una malaria perniciosa che mi è stata
dallo Stato pensionata fino alla scomparsa dei postumi. Il
ruolo da me svolto nella resistenza in Alatri ( ma non
soltanto in Alatri) è tutto documentabile da chi come me ha
condiviso e che ora è vivo e vegeto. Esso è premiato con una
croce di Guerra al V.M. della quale vado fiero. Liberata
Alatri e Roma sono tornato volontariamentesotto le armi ed
ho combattuto assieme agli alleati, da paracadutista, per
missioni in territorio ancora occupato dai tedeschi e
governato dalla R.S.I.”
Dopo questo lungo panegirico su sesto del Senatore, viene
da chiedersi, come mai un antifascista di ferro come lui, che
da ragazzo aveva avuto quella seria motivazione per opporsi
al Regime di Mussolini, una volta diventato grande, anziché
darsi alla clandestinità e riparare all’estero (come fecero
Pertini e i fratelli Rosselli) si iscrive invece al GUF e va a
laurearsi a Siena, proprio con la divisa da fascista?

14
Inoltre che cosa ha fatto durante gli anni di università e
subito dopo aver preso la laurea? Ancora non lo dice. Dice
soltanto che, chiamato alle armi nel 1940 fino al 1943 andò
a combattere in Sicilia fino al 1943, proprio quella guerra
(contro gli alleati anglo-americani) voluta dal Fascismo e a
fianco dei tedeschi.
Ma non dice se fu una chiamata obbligatoria. Oppure se
partì da volontario (come moltissimi studenti del GUF
decisero di fare) e quale grado di ufficiale ebbe prima e dopo
il 1943, all’atto del congedo.
Una reticenza simile (quasi assoluta) sui primi 26-27 anni
di vita di un uomo pubblico come lui, appare quanto meno
sospetta. E che male c’è se qualcuno, cercando di
approfondire alcuni aspetti della nostra storia, chiede di far
luce anche sui trascorsi degli uomini che l’hanno
determinata? Come, ad esempio, il trascorso che si evince su
internet, da Edicola Ciociara, dove si scopre che il legame
del Senatore col Regime di Mussolini fu assai profondo, non
solo durante il ventennio, ma anche dopo il 1943.
Tanto è vero che fino a quando non diventò politico a
tempo pieno era ancora un alto funzionario dell’Enal.
Cioè di quel carrozzone pubblico creato dal Fascismo per
organizzare il tempo libero dei lavoratori, dove venivano
sistemati i gerarchi del Regime, specialmente se Littori.
Proprio per contribuire alla formazione, selezionare i
migliori e stimolare la competività, nel 1933, il Partito istituì
i Littoriali della cultura e dell’arte, una gara intellettual-
celebrativa, che il regime aveva voluto affiancare ai
Littoriali dello sport e del lavoro: i candidati, scelti su
indicazione dei presidi di facoltà e dei rettori provavano la
loro preparazione spaziando dalla storia all’arte, alla

15
letteratura, alla musica e finendo inevitabilmente nei saggi di
Mistica fascista, la prova più importante per essere
qualificati.
I vincitori delle competizioni ricevevano il titolo di Littore,
medaglione simbolico che però aveva notevoli effetti pratici:
rendeva più facile l’ascensione nelle gerarchie professionali
e soprattutto in quelle del Partito. Nei Littoriali si distinsero
particolarmente i ragazzi che sarebbero poi diventati
importanti uomini politici, democristiani, comunisti
e…socialisti (come il Minnocci - n.d.a.)” Dal libro
“Fascisti” di G.B.Guerri - Mondadori Editori 1995.
“Venendo al Costantini che si lamenta del mio revisionismo
‘a senso unico’ e chiede al direttore una sorta di ‘par
condicio’, è bene ricordargli che la sola storia a senso unico,
sulla guerra di liberazione in Ciociaria, l’hanno scritta
proprio coloro che la pensano come lui e, per pubblicarla,
nonostante avessero avuto il patrocinio della Regione e della
Provincia, con sostanziosi finanziamenti, non si sono mai
preoccupati di dare la ‘par condicio’ anche a coloro che la
storia di quegli anni, l’hanno vissuta e subita sulla loro
pelle; da semplici cittadini e senza ricevere ordini dagli
agenti segreti sovietici (come testimonia il comunista Gino
Conti nelle sue memorie) e nemmeno senza la protezione dei
vescovi e dei parroci di, Alatri, Veroli, Anagni e Fermentino.
Così ammette il Costantini nel suo lungo intervento, senza
accorgersi che sta rivelando di aver partecipato ad una
resistenza all’acqua di rose , che come lui stesso dice,
consisteva nel preparare e lanciare, notte tempo, i volantini
ciclostilati contro i tedeschi e i fascisti (aggravando anziché
favorirla la situazione dei giovani) e nel ritirarsi subito dopo
all’interno dei seminari e nelle chiese, dove neppure i
tedeschi osavano entrare”.

16
“E quando lui dice che “alcuni suoi giovani concittadini,
appartenenti al movimento patriottico antifascista, pagarono
con le intimidazione e il carcere, prima a Fiuggi, poi ad
Alatri” non precisa che furono liberati sani e salvi, per
intercessione del Vescovo, e senza che a loro fosse torto
neppure un capello.
Nel contempo Costantini, mentre racconta le gesta dei
“patrioti cristiani” dimentica che una sorte ben più triste
toccò non solo a quei tanti giovani (che per lui erano solo il
rovescio della medaglia della lotta partigiana) che venivano
rastrellati, ogni giorno, e portati a scavare le buche sotto le
bombe a Cassino, ma anche la sorte toccata a quei trecento
coscritti della classe 1925, i quali rischiando,ogni notte, la
pelle per riconquistarsi la libertà, furono dichiarati disertori
dell’Esercito di Graziani e con quell’accusa trenta di loro
furono poi fucilati.
Ai quali ci sono da aggiungere non solo i tre martiri toscani
fucilati a curvone di Frosinone, della guardia repubblicana di
Salò. Dei quali parleremo più avanti, ma anche la povera
donna di Tecchiena che fu impiccata a Fiuggi Fonte, e i
fiuggini Carlo Rengo e Angelo Fabiani, il primo giustiziato
dai tedeschi in fuga, il secondo, da un “coraggioso
partigiano” che volle vendicarsi di una contravvenzione
comminata anni prima dal Fabiani, nella sua qualità di vigile
urbano”
Dopo questa risposta data al Costantini, non volli
soffermarmi sulla superficialità, con cui egli respingeva la
tesi documentata di Giampaolo Pansa, che nel libro “Il
sangue dei vinti” attribuiva alla Resistenza “taluni gravi e
sanguinosi fatti verificatisi in Italia dopo il 25.4.1945”.
Ora credo sia utile farlo, citando le oneste considerazioni
che il collega Carlo D’Amico, cristiano e democratico come
il Costantini, ha recentemente pubblicato sul suo libro

17
“FIUGGI 1940 - 2000” Quando Carlo racconta del clima
che si era istaurato, subito dopo la liberazione a Fiuggi, in
“Episodi inconsulti ed epurazioni” dice:
“Ecco allora i “coraggiosi partigiani” armati di fucili da
caccia assurgere a vindici giustizieri, nella “sicurezza” che
in quel momento di improvvisa ed insolita euforia per la
riconquistata libertà ognuno potesse provvedere a farsi
giustizia da sé.” “Questi atteggiamenti personali - continua
D’Amico - erano vieppiù alimentati da una sorta di psicosi
collettiva, che voleva ad ogni costo vendicarsi dei “fascisti”
anche se tra loro molti si erano comportati correttamente e
con umanità. Ma i fascisti tutti dovevano essere giudicati ed
epurati. Fascisti erano inoltre anche coloro che, per le loro
funzioni di impiegati dello Stato o del Comune, e di altri
enti, avevano l’obbligo di servire il regime.” “In questo
clima maturò l’uccisione della guardia comunale Angelo
Fabiani che avvenne proprio in Piazza Trento e Trieste”
Ebbene, che differenza c’è tra questi gravi episodi e gli
arresti, che in molti comuni, da Frosinone in su, si
verificarono, ad esempio ad Alatri, come si legge nel “Diario
di Sacchetti Sassetti” a pag. 63 e seguenti:
“Il 4 giugno 1944, con l’arresto di Benedetto Uberti,
dell’avv. Arduino De Persiis, ultimo preside della
Provincia.”
“Il 5 giugno, con l’arresto del maresciallo Americo
Tagliaferri, Scappaticci, ex repubblicani e disertori
badogliani.”
“L’8 giugno, quando Giuseppe Pelloni e Giacinto Minnocci
arrestano Carlo Bellincampi, presso Ferentino, Bruselles,
Covino, il Ten. Cristiani ed altri arrestati e portati a Pietra
Vairano, in campo di concentramento, Arrigo Berenghi e
figlio, fermati e rilasciati a Collepardo.”

18
Questo ed altro è accaduto in Ciociaria subito dopo la
liberazione, quando i partigiani, anziché esultare, per la
riconquistata libertà, insieme alla popolazione ciociara, che
in massa accoglieva i liberatori, si sono messi invece, alla
caccia di tutti coloro che. per motivi di lavoro, dopo la
caduta del regime avevano mantenuto una posizione
defilata, in attesa che la guerra finisse e tutto tornasse alla
normalità.
Per i nostri partigiani la normalità non era accettabile, e
attraverso il Cnl da loro stessi creato per occupare tutto il
potere, incitavano all’odio e alla vendetta, verso tutti coloro
che non raccoglievano i loro proclami e per questo, li
additavano come fascisti, “invitandoli alla pala e alla cofana
se volevano essere perdonati delle loro azioni”.
Un monito ed un invito grottesco, quello del Cnl, perché
gli ex fascisti ce li aveva proprio nelle sue file.

..........………

Ed ora dopo il dibattito sulla resistenza, nelle pagine


successive riportiamo anche i termini del dibattito che c’è
stato a Frosinone, dopo l’attacco che i terroristi islamici
hanno portato, l’11 settembre del 2001, alle torri gemelle di
New York. Dopo di che, nel II Capitolo,c riprenderemo il
discorso sull’antifascismo e la resistenza in Ciociaria.

19
Sul terrorismo

Dopo gli sfoghi dei pacifisti, apparsi numerosi sulla stampa


nazionale (ma anche locale) e quasi sempre, in chiave anti-
americana, mi si consenta di intervenire, se non altro per
riequilibrare il dibattito sulla guerra in Iraq, che altrimenti
rischierebbe di far passare l’idea, che anche gli operatori
ciociari della informazione, siano schierati, con le anime
belle del pacifismo. Le quali diventano tali, o no global e
terzo-mondiste, solo quando in qualcuna delle tante guerre
sparse per il mondo, vi siano implicati gli Stati Uniti
d’America e da poco (pur non belligerante) l’Italia di
Berlusconi. Ma non quando, ad esempio nel 1998, l’Italia di
D’Alema (senza l’avallo dell’Onu), si arrogò il diritto di
bombardare il Kossovo, per ben 78 giorni.
E quando, i sostenitori della pace, come Livia Turco a Porta
a porta, fanno sfoggio di citazioni di personaggi importanti,
quali Wojtila e Giovanni XXIII, allora c’è da chiedersi
perché non ricordino che, nella storia dei papi, ve ne furono
molti che, di guerre contro i musulmani ne organizzarono a
iòsa e che venivano chiamate eufemisticamente: “Crociate
contro gli infedeli”; che somiglia molto al linguaggio oggi
usato da Bin Laden e dagli hayatollà dei paesi arabi.
Di recente, vi sono stati altri papi che hanno benedetto i
gagliardetti di Mussolini, ma anche quelli di Hitler. Del
quale, in nessuna manifestazione pacifista, si fa sapere che,
fu il capo nazista, nel 1939 ad allearsi con Stalin per
occupare la Polonia ed avviare così la Seconda Guerra
Mondiale.
Quando poi, i sostenitori della pace vengono perfino a
ricordarci il messaggio con cui, nel 1983, Sandro Pertini, si
rivolse ai giovani, come predicatore di pace, è bene precisare

20

1
che, quel grande antifascista (diventato poi Presidente della
Repubblica) rientrò in Italia (da fuoriuscito) soltanto nel
1943. Quando cioè gli anglo-americani, già da giugno,
erano già sbarcati in Sicilia.
E fu grazie a costoro, più che alla inesistente opposizione
partigiana, che il Gran Consiglio del Fascismo, il 25.7.1943,
potè decretare la caduta del Regime e il Re Vittorio
Emanuele III arrestare colui che da più di venti anni era
Capo del Fascismo e Capo del Governo, Benito Mussolini. Il
quale però, a guerra finita e contro la volontà degli alleati, il
28 luglio 1943 fu catturato e nell’aprile 1945 assassinato
senza processo, dai partigiani, per ordine dello stesso Pertini
(socialista) e Luigi Longo (comunista).
Questi due uomini, con quel loro macabro ed inutile gesto si
sono conquistati sì un posto di rilievo nella Storia di quel
1945, ma soltanto come lugubri primi attori di una Guerra
Civile, che in Italia non c’era mai stata. Così infatti Indro
Montanelli e Mario Cervi, da testimoni di quel periodo, l’
hanno giustamente raccontata e definita (in un libro di
grande successo nel 1983) precisando altresì che, nelle
regioni rosse dell’Emilia-Romagna, quella guerra fratricida
durò ben oltre il 25 Aprile del 1945.
Data nella quale oggi, a distanza di tanti anni, gli
antifascisti e i partigiani, (che quel giorno fatidico salirono
trionfanti sui carri armati americani) vorrebbero ancora far
credere di essere stati loro a liberare l’Italia e non già
l’esercito degli anglo-americani. Il riferimento, alla
liberazione dell'Italia di 50 anni fa, da parte degli alleati,
vale anche per tutti coloro che, con i loro sfoghi contro la
guerra in Irak, dimostrano di appartenere a pieno titolo al
variegato mondo dei no global e dei pacifisti in pantofole.

21

2
I quali, se li osserviamo attentamente odiano sì, il
capitalismo, ma si guardano bene dal rinunciare al benessere
ed alle comodità che esso produce. E partendo dalle loro
posizioni privilegiate, che ti fanno?
Ti scatenano contro l'America una montagna di accuse,
dimostrando di avere le stesse convinzioni dei terroristi
islamici.
E le esprimono, con il livore e l'invidia ideologica di matrice
marxista, che tutti i cattivi maestri degli anni 70 hanno
sempre riversato contro la più grande democrazia del
mondo.
Ma se ora a distanza di più di trent'anni anche i giovani di
oggi attingono a piene mani dai testi di quei falsi profeti, ciò
significa che l’egemonia culturale della sinistra sulla nostra
società è ancora forte.
E sarebbe ormai urgente avviare un profondo revisionismo,
anche nei testi di storia, che quella cultura, è riuscita ad
imporre in tutte le scuole dei nostro Paese, come avveniva
sotto il Fascismo, ai tempi dei Mínculcop.
Se così non fosse i giovani, che non hanno vissuto l’
esperienza della liberazione (portataci dagli alleati) ed a
priori rifiutano la verità, non userebbero ancora
1'armamentario ideologico dei pacifisti di allora. I quali,
mentre tacevano sui missili russi puntati sull'Europa,
invadevano le piazze dei paesi occidentali, urlando slogan,
come: "Gíù le maní dal Wietnam" e Via l'Italla dalla Nato.".
Urlavano quegli slogan, agitando sempre il libretto rosso
diMao o l'effige di Che Guevara e Fidel Castro. Simboli che,
con la falce e martello e le bandiere rosse, non mancano mai,
neppure nelle marce di oggi. Quasi per far sapere a tutti, che
il vero marchio che si nasconde dietro la bandiera della
Pace, è sempre quello del Comunismo.

22

3
Anche se tutti sanno che quel marchio (dopo quelli dei
Fascismo e dei Nazismo) è stato già sconfitto dagli
americani. E se i pacifisti di oggi, pur di sconfiggere gli Usa,
credono di poter nascondere dietro la bandiera iridata, anche
il marchio del Terrorismo, allora si sbagliano di grosso e si
preparino ad ingoiare un’ altra sonora sconfitta. Altro che
impero in declino!
Intanto i profeti di sventura, si leggano (nel corsivo dei
riquadro a fianco) quali sono le speranze degli irakeni e
quelle di un altro popolo (da anni sotto l'incubo dei
terrorismo) vede aprirsi per il suo futuro (e per il popolo che
con lui confina) secondo le dichiarazioni, recentemente
rilasciate alla stampa, nell’aprile 2003, da un pacifista
convinto, come Simon Peres ex premier israeliano, che ha
provato sulla sua pelle l'inganno della teoria del "Porgi
l'altra guancia se il nemico ti schiaffeggia".“Questa guerra
può aiutare il processo di pace in Medio Oriente.Dobbiamo
dimostrare al mondo che esistono delle regole.Non è un
mondo selvaggio.Questa guerra è per la modernità.”
“Indovinate chi ha espresso queste frasi? Penserete ad un
alto esponente del Governo Americano o Inglese. Sorpresa:
l’uomo è Simon Peres che da sempre ha il ruolo di colomba
israeliana. L’uomo del dialogo, del buon senso, contro tutti i
falchi del conflitto tra israeliani e palestinesi.
E’ colui che non ha mai approvato apertamente la politica di
difesa e di attacco del Governo Sharon, anche nei peggiori
periodi dell’Intifada.

23

4
II
ANTIFASCISMO RESISTENZA
IN CIOCIARIA

La grande bugia

E’ il titolo del libro che Giampaolo Pansa, è venuto a


presentare lo scorso anno a Frosinone, dove è stato
accolto con grande interesse, perchè con le sue
pubblicazioni, ha tolto finalmente la coltre di silenzio
sugli anni della guerra civile, che i partigiani comunisti
avevano continuato a combattere, a guerra finita, anche
dopo il 25 Aprile 1945, non solo contro i repubblicani di
Salò, ma anche contro i partigiani non comunisti, e
contro cittadini innocenti.
L’accoglienza del giornalista è stata calorosa, perché
anche qui da no, sono ancora molti gli antifascisti della
sinistra cattolica e comunista che considerano la storia
della resistenza in Ciociaria, di 60 anni fa, come una
verità rivelata ed hanno l’impudenza di definire squallidi
revisionisti, coloro che la guerra di liberazione l’hanno
vissuta sulla propria pelle, ed ora sentono la necessità di
riscriverla, non come l’agiografia antifascista ce l’ha
propinata, ma semplicemente come le memorie e i diari
dei vinti ce l’hanno lasciata.
Tra i vinti di allora, vi furono anche coloro che ritennero
di contrastare in modo non violento la occupazione
tedesca e per questo furono perseguiti e giustiziati, ma
senza provocare rappresaglie alla popolazione civile.
Valga per tutti il caso dei “Tre martiri toscani” ai quali di
recente le autorità di Frosinone hanno dedicato un
Monumento in Viale Mazzini, dove il 6 gennaio 1944,

24
furono fucilati dai tedeschi per diserzione dal fronte di
Cassino, dove furono portati per effetto del Bando di
Graziani, e da dove fuggirono, pur sapendo che
avrebbero rischiato la pena di morte. E, pur non facendo
parte di qualche formazione partigiana, decisero di
sottrarsi all’obbligo di aiutare i tedeschi.

La meglio gioventù sotto il Regime

Quel tragico episodio fu assai significativo, perché


dimostrò che non era affatto vero che fossero solo i
partigiani comunisti a boicottare i tedeschi (non a
combatterli perché nessun antifascista ebbe il coraggio di
farlo) è invece vero che vi furono tanti giovani che, pur
essendo cresciuti sotto il regime di Mussolini, dovettero
subire persecuzioni e rastrellamenti sia dai tedeschi sia
dai repubbblicani di Salò che li volevano precettare.
Ma quei giovani, nessuno li ha mai ricordati solo perché
non erano inquadrati nelle sparute formazioni
partigiane (rosse o bianche) di un antifascismo,
inesistente in tutta la provincia .
Tanto è vero che i tre giovani toscani, fucilati a
Frosinone nel 1944, sono diventati eroi, solo dopo che la
resistenza ufficializzata si è appropriata del loro sacrificio
e di una gloria, che non le appartiene, e senza aver
accertato quali ideali quei giovani nutrissero verso la
Patria, tradita dal Re e da Badoglio, e verso i comunisti
italiani che, apertamente schierati con l’Unione
Sovietica, non vedevano l’ora di consegnare l’Italia ai
partigiani di Tito, come già stavano facendo con l’Istria e
la Venezia Giulia. Gli usurpatori di una gloria che non gli
appartiene, si sono mai chiesti se la lettera di Pier

25
Luigi Banchi, riprodotta sulla Lapide del Monumento sia
veramente di un partigiano che scappa per andare a fare il
Natale con i genitori, e non a nascondersi in qualsiasi
zona a sud di Roma, per poi unirsi ad altri compagni.
E sarebbe un atto di un Paese civile, l’aver
strumentalizzato a fini di parte, un sacrificio di decine di
giovani, che, disorientati dai tragici avvenimenti della
guerra, militare e civile) che avevano travolto l’Italia,
volevano semplicemente tornare a casa, e non avrebbero
mai pensato che sulla loro pelle “trucidata” qualcuno
potesse apporre il marchio di una ideologia, che era
distante anni luce dalla loro idea di Patria?
E per finire, gli “storici” nostrani, che nel libro “La
Guerra a Frosinone 1943 e 1944” riportando, il racconto
che Otello Giannini ha pubblicato 20 anni fa, sulla storia
dei disertori
repubblicani, perché non ci dicono se hanno trovato un
qualsiasi collegamento che quei tre giovani avevano
avuto con i partigiani, prima, durante e dopo la loro
cattura?
E quanti e quali, dei 324 sopravvissuti, sono entrati a far
parte della resistenza toscana e ciociara) che, fino al
gennaio del 1944, non aveva mai dato segni di vita?
E quei pochi antifascisti che in Ciociaria vi sono entrati
poco prima dell’arrivo (tra il 2 e il 4 giugno 1944) degli
alleati, non erano anche loro gerarchi del Regime?
Dopo gli articoli sulla Resistenza, pubblicati in altro
periodico, c’è da chiedersi perché, anche nella nostra
Provincia, si vuole accusare di lesa maestà chiunque
chieda ai protagonisti della nostra storia recente, di far
luce sui loro trascorsi politici.
Qualcuno di essi invoca perfino la legge sulla privacy,

26
per non rivelare che cosa faceva nei suoi primi trent’anni
vissuti sotto il Fascismo, rispetto al quale, soltanto dopo
il 25 luglio e l’8 settembre del ’43, ha avuto il coraggio di
dichiararsi suo irriducibile oppositore, mentre durante il
ventennio, tutti i giovani studenti della sua età, erano
considerati come “La meglio gioventù” di allora.
Anche al Presidente Carlo Azeglio Ciampi (che
Massimo Fini definisce un deciso antirevisionista della
resistenza italiana) potrebbero essere rivolte le stesse
domande da noi rivolte a Giacinto Minnocci di Alatri
(Senatore della Repubblica) ed a Carlo Costantini
(Segretario dell’Associazione Partigiani Cristiani, della
Provincia di Frosinone). Perché anche nelle biografie del
Presidente Ciampi, si parla di lui soltanto dal settembre
del ’43, per ricordare che si era rifugiato a Scanno sui
Monti dell’Abruzzo (che sono vicini ai Monti Ernici,
dove anche noi giovani ciociari ci rifugiammo per
sfuggire ai fascisti e ai tedeschi) ma non si dice nulla di
cosa facesse da giovane, prima della caduta del
Fascismo,
sia quando era studente liceale e universitario, sia
quando nel 1941 si laureò in lettere alla Normale di Pisa,
dove anche lui dovette indossare la divisa del Guf
(Giovani fascisti universitari) per conseguire la laurea? E
quando fu chiamato per fare la guerra di Mussolini, a
fianco dei tedeschi e contro gli anglo-americani, non
dovette fare il giuramento di fedeltà al Re ed alla Patria,
come tutti gli ufficiali erano tenuti a fare?
Le stesse cose si potrebbero dire sia per l’ex Presidente
Scalfaro che si laureò e divenne magistrato sotto il
fascismo (e come Pubblico Ministero, dopo la guerra,
chiese l’ultima condanna a morte, in un processo a

27
Milano) sia per l’attuale Presidente Giorgio Napolitano,
che per la prima volta, pur dichiarando recentemente che
nel 1942 era iscritto al Guf, subito si affretta a precisare
che nel suo gruppo universitario già si ponevano le basi
per la lotta antifascista. Così è accaduto a quasi tutti gli
uomini politici della prima Repubblica, che si
dichiararono antifascisti e partigiani, soltanto dopo l’ 8
settembre1943. Ma la verità di tutte queste bugìe, è che,
tra le migliaia di intellettuali che c’erano nelle università
e nelle istituzioni, soltanto 12 furono coloro che si
rifiutarono di giurare fedeltà al Regime, e nelle biografie
dettate ai loro agiografi, non parlano mai dei loro primi
25-30 anni, quando venivano considerati “la meglio
gioventù” di allora. Di essa facero parte tutti gli studenti
iscritti al Liceo Turriziani di Frosinone, al Liceo Conti
Gentili di Alatri ed al Liceo Tulliano di Arpino.
Molti di essi, poi si sono potuti iscrivere alle Università e
laureare, solo se facenti parte del Guf e solo se si
presentavano a sostenere la tesi, con tanto di sahariana
nera, stivali e cinturone, che era la divisa d’ordinanza del
perfetto fascista. E tra essi vi sono stati anche i nostri
deputati eletti dal 1946 in poi

Si trovava nelle scuole superiori

Come ad esempio il Liceo Norberto Turriziani di


Frosinone del quale ecco l’elenco degli studenti che
furono dichiarati maturi negli anni dal 1930 al 1945 ed
ogni lettore può vedere quali di essi si è laureato, e poi è
diventato antifascista e partigiano, facendo carriera, in
politica, nel pubblico impiego, e nelle professioni,
proprio e soltanto in virtù di quei meriti.

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1929-30: Colletti Giuseppe - De Felice Ennio -
Evangelista Benedetto - Trombetta Tito Livio

1930-31 - Cianfoni Umberto - Loreto Vittorio - Frignano


Vittorio - Tammaro Nicola - Vitaliani De Bellis
Francesco

1931-32 - Angeletti Augusto - Ciuffarella Angelo - De


Angelis Giulio - D’Ettore Rocco - Fedele Emilio -
Lattanti Arrigo - Massetti Roberto - Pietrandrea
Vincenzo - Tomasi Cesare - Tordo Paolo - Violo
Raffaele - Quattrobricchi Carlo

1932-33 - De Andreis Giovanni - Donati Lorenzo -


Gentili Antonio - Marzi Arnaldo - Miranda Costanza -
Quattrocchi Adelmo - Rossi Edoardo - Sinibaldi
Giovanni - Valeriani Mario - Vona Mario - Zonfrilli
Gennaro

1933-34 - Aversa Gino- Bretoni Vinicio- Cipriani


Lorenzo - Consolo Ofelia - De Rosa Adalgisa - Donati
Ugo - Fanelli Onorio - Gabrielli Mario - Garofoli
Vincenzo - Lala Vanda -.Masetti Aurelio - Nardi Elvira -
Pagliei Alvaro - Petrilli Fausto - Tanzini Ennio.

1934-35 - Affiniti Gerardo - Bergamini Hermes - Cianci


Alfredo- Chiappini Luigi - D’Alessandro Elena -
Fontana Beatrice - Giorni Antonio - Lolli-Ghetti -
Alberto- Macciocchi Pietro - Magliocca Giulio - Pagliei
Antonio - Peruzzi Luigi - Scala Costantino - Simoni
Federico - Tartaglione Velia - Tonnina Aurelio -
Turriziani Antonio - Valchera Fernando - Valchera
Manlio - Vellucci Nazareno

29
1935-36 - Caperna Arnaldo - Cesari Francesco - De
Sanctis Cesare - De Sanctis Sante - Di Stefano Vincenzo
- Finocchiaro Maria Cristina - Marini Lidia - Maselli
Valerio - Orlando Pasquale – Paolini Maria Teresa -
Ruggiero Carlo - Schietroma Dante (Dichiaratosi
socialista dopo il 25 luglio 1943 e più volte Senatore
nella I^ Repubblica) - Serafini Luigi

1936-37 - Alonzi Pietro - Asteriti Marcella - Bartoli


Luciano - De Santis Umberto - Facci Alberto – Graziani
Gerum - Laisi Fabrizio - Masi Pietro Mariano - Novelli
Francesco - Ottavini Dionisio - Pacioni Giulio Cesare -
Pagliei Fabrizio - Tribioli Igino.

1937-38 - Battista Francesco - Bevilacqua Mario - Diana


Giuseppe - Ferrazzoli Luigi - Franconetti Giulio -
Malpassini Colombo - Molinari Alessandro - Pinella
Gilda – Quattrociocchi Vincenzo - Ricci Lamberto -
Rossetti Filiberto - Silvestri Renzo (dichiaratosi
comunista dopo la caduta del fascismo, diventato
Sindaco di Fiuggi, negli anni ’60). Valleta Giuseppe
Michelangelo - Von Berger Ernesto

1938-39 Arcese Luigi - Bufalini Giorgio - Carfagna


Gabriele - Castaldi Edmondo - Celletti Piero - Corsi
Angelo -. Diamanti Maurizio - Di Fabio Giovanni - Di
Tomassi Dino - Donfrancesco Orlando - Fanfera Livio -
Fraia Adriano - Gargani Leonida - Lolli-Ghetti Glauco-
Marini Augusto - Pagliei Alfredo - Paniccia Angela -
Petrillo Emilio - Ranaldi Giovanni - Silvino Teresa -
Spaziani Giovanni - Spaziani Nicola - Stirpe Curzio -
Tiberia Roberta - Turriziani Renato- Valchera Guido -
Vespasiani Giuliana - Carfagna Giuseppe.

30
1939-40 - Anticoli Borsa Cesare - Belvedere Gino –
Benettini Elisa - Boffi Lorenzo – Bonomo Roberto –
Bruni Tommaso - Carcano Vittorio - Celletti Anna Maria
-. Cialone Angela – Ciampelletti Mario - Colasanti
Alberto - Collanti Alariga - D’Alessandro Laura - De
Castro Antonio - Ferrari Giuseppe - Fiorini Ambrogio -
Fischiagrilli Erminio - Manni Renato - Pagliaroli
Francesco - Palombo Ermanno – Parente Mario -
Perdicaro Scipione - Ruggeri Eralda Scurpa Elena -
Sorrentino Lidia – Spaziani Umberto- Squillante
Geppino Antonio – Stirpe Lidio - Tribioli Alberto - Valle
Luigia - Valletta Ezio - Vona Virginia – Fanti Angela -
Menichelli Elsa .

1940-41 - Angelilli Ennio - Boggio Goffredo - Bonanni


Giuseppe – Bruti Alberto – Campioni Guerino - Ceci
Luisa - Celletti Atonia - Colafranceschi Gino - Cupini
Napoleone - De Grazia Mario - Diamante Dante -
Donfrancesco Domenico – Ferrante Ottavio - Paglia
Pierino - Papetti Marcello - Pascucci Silvio - Perdicaro
Maria - Picchi Igino - Pompeo Aurelio - Sacchetti Luigi
- Sassano Mario - Sica Gerardo - Spaziani Ernesto -
Todini Giuseppe - Tracia Mario Gaetano – Vona
Carolina

1941-42 - Ascolano Adalio – Biondi Gino – Bucciarelli


Emilio –Ciampelletti Adriana – Ciuffi Giuseppe - De
Blasi Renato - De Grazia Giorgio – De Santis Giuseppe -
Diana Angelo – Gnagni Carlo - Lunghi Sandro – Marini
Giseppina – Masi Pasquale - Minotti Giovanni – Ricci
Fernanda - Simone Guelfo - Taggi Ettore - Sorrentino
Federico - Truini Alfredo

31
1942-43 Anticoli Leonardo - Buccilli Ignazio -
Ciampelletti Alberto - Di Girolamo Giovanni - Fortuna
Cesare - Riannetti Anna Maria - Giorgi Lido - Gnagni
Antonio - Magnotta Williams - Marchesi Sergio -
Menichelli Teresa - Milia Salvatore - Pirri Pericle –
Ranaldi Anna Maria - Savatoni Pietro - Scaccia Scarafoni
Sandra - Sica Giuseppina – Trovini Teresa - Valletta
Roberto - Vona Nazarena

1943-44 – Alu Catalda - Aversano Luigi - Creti Donato -


Dell’Uomo Pietro – Evangelisti Aurelio - Grande
Giuseppe - Grande Maria - Maini Gino - Matteucci
Maddalena - Minotti Vincenzo - Moriconi Enrico -
Papetti Piero - Rinaldi Alessandro –Sacchetti Giuseppe -
Santucci Sergio - Scala Alessandrra- Schietrona Arduino
– Sordi Luigi

1944-45 - Bruni Raffaele - Campanelli Maria Dolores -


Carfagna Ione Delia - Catozzi Felice - Celletti Giacinto
- Frabotta Alberto – Majone Inelio - Martellacci Orazio -
Massaroni Michele - Paniccia Camillo – Papa Antonio -
Poccia Nicola - Ricci Rinaldo - Salvatori Vincenzo -
Savo Gennaro - Sica Aldo - Taggi Vincenzo - Valletta
Cesare - Vivoli Antonio.

32
LETTERE TRA STUDENTI AD ALATRI

Quando tra loro si chiamavano camerati

Da Raul Silvestri a Silvio Incocciati, Ripi 14.8.1939 XVII


“Carissimo Silvio, ho ricevuto la tua cartolina e con molto
piacere ho saputo della tua promozione, insieme a quella di
Armando e di Vincenzo. Come ormai saprai mi hanno
rimandato a ottobre per opera sopra tutto di quella
….prof.ssa di Scienze. Nino come ti dirà lui stesso ha
fatto la stessa mia fine. Rossi e Dolly come hanno fatto gli
esami? Noi cercheremo di venire qualche giorno a Fiuggi e
nel caso ti avvertiremo qualche giorno prima. Rispondi e
dammi qualche notizia sulle nostre camerate di Alatri.
Cedo la penna e il foglio al camerata Salvatori”.
La pagina viene conclusa in altra facciata della lettera, con
una breve nota, e firmata, da Nino e da Raul: “Guardando il
bollo postale ci siamo accorti che era lungo tempo che ci
avevi scritto. Ma se abbiamo tardato a risponderti è stato
perché non ci trovavamo a Ripi , dove siamo tornati in
questi giorni” La firma di Nino è seguita da: W la peppa !!!
W la faccenna !!! W la Faina essenziale” La lettera si
chiude con la firma di Raul.
E da Nino Salvatori (che utilizza le due pagine interne 1 e
2) “Caro Silvio, come desideravi che scrivessi, così scrivo”
(Seguono parole scherzose e poi al 3° capoverso la lettera
prosegue) “Quando ho saputo della tua promozione, debbo
dirti la verità che mi è dispiaciuto molto, perché anche
l’ultima speranza di poterci rivedere è svanita.
Però come ti ha già detto Raul, noi tenteremo in ogni modo
di venire a farti una visitina a Fiuggi. Se Rossi si trova
ancora costà avverti anche lui che ci faccia trovare un po’
di dolci.
33
Come già ti ha detto il camerata Silvestri, mi hanno
rimandato anche a me a ottobre in scienze e matematica. E
non poteva essere altrimenti!!! Salutami tanto Aldo e digli
che al campeggio non ci vado più.
Ciò significa che, con Aldo, al campeggio della Gioventù
Italiana del Littorio, ci sarebbe andato anche Silvio.
Il mio commento - Nelle due lettere, vi sono nominati sette
compagni di scuola di mio fratello Silvio Incocciati:
Armando, Vincenzo, Rossi, Dolly, Nino, Raul e Aldo.
Ebbene, per la conoscenza dei fatti, e delle persone che vi
si citano, sono in grado di indicare le esatte generalità di sei
di essi, che sono: Armando Tagliaferri e Vincenzo Papitto
di Alatri, Dolly (o Teodolinda) Terrinoni di Fiuggi, Nino
Salvatori e Raul Silvestri di Ripi.
Anche del Rossi, ho accertato che il nome fosse Lino di
Alatri, nel fare il suo numero di telefono, mi ha risposto la
vedova, essendo lui è morto alcuni anni fa, e lei mi ha
confermato che anche il marito, che era della classe 1922,
si è diplomato maestro nel 1939/40, ma, negli anni
successivi, anziché l’insegnante, preferì fare l’impiegato a
Frosinone.
Così, il Tagliaferri, è quel S.Tenente, Armando caduto ad
El Alamein nel 1942, decorato di Medaglia d’argento al
valor militare, del quale, il collega Bruno Gatta sul
“Quotidiano di Frosinone” del 19.1.2007, nel ricordarne il
sacrificio, denunciava l‘oblio in cui il suo paese, Alatri,
dopo 60 anni, ancora lo tiene.
Il Papitto, ancora vivente, anche lui camerata fino al 1943,
dopo l’arrivo degli alleati, è uscito dalla clandestinità, come
militante socialista della resistenza ciociara.

34
La Terrinoni Dolly (tuttora vivente in Canadà) che pure
veniva chiamata camerata dai compagni di scuola, facendo
parte di una numerosa famiglia, è rimasta con i fratelli, a
gestire l’Albergo Centrale a Fiuggi, e dato che sapeva 4-5
lingue si mise legittimamente a fare da interprete con i
clienti dell’albergo, ma anche tra il Comune, i tedeschi e
gli anglo-americani, prima e dopo la liberazione avvenuta il
4 giugno 1944.
Del Salvatori Nino, non so altre notizie, oltre quella che
fosse di Ripi, come lo erano i fratelli Aldo, Raul e Renzo
Silvestri. A proposito dei quali, secondo il racconto di
Aldo, pubblicato sul libro edìto dal Comune “La Guerra a
Frosinone 1943 -1944” si erano trasferiti ad Alatri, perchè
il padre Consalvo vi era andato a fare il Segretario
comunale.

L’ Eroe di El Alamein dimenticato ad Alatri

E guarda un po’ questi giovani, che con i loro amici si


erano sempre chiamati “camerati”, dal gennaio 1944 in poi,
diventano tutti e tre la punta di diamante della resistenza
ciociara, ed anziché “camerata”, si fanno chiamare
“compagno”.
Con questo appellativo, ereditato dai soviet di infausta
memoria, senza rischiare nulla, avranno gloria e successo.
L’Aldo diventa infatti eroe, con tanto di Medaglia
Garibaldina, e viene celebrato più del S.Ten. Armando
Tagliaferri, di Alatri, caduto ad El Alamein, a soli 22 anni,
decorato con medaglia d’argento al valor militare, ma senza
che, nel libro citato, Aldo, e gli “storici”, ingaggiati dal
Comune di Frosinone, abbiano sentito il dovere di
dedicargli almeno un ricordo.

35
Una vera epopea, invece Aldo Silvestri, la dedica a se
stesso ed al fratello Raul, ma anche alle bande di
antifascisti rossi di Collepardo, di Alatri, di Frosinone, di
Ripi, di Veroli e di Paliano e coglie l’occasione per
nominarli tutti, volendo con ciò dimostrare che la crema
della resistenza ciociara era soprattutto di estrazione
marxista-leninista.
Questo novello storico però, dimentica di dire che molti
compagni, e lui stesso, avendo studiato nel Liceo-Ginnasio
di Frosinone, o in altre Scuole Superiori e alle Università,
usavano chiamarsi tra loro camerati, e tutti insieme erano
considerati “La meglio gioventù” del Regime.
Nel racconto di Aldo quegli ex camerati-studenti, li
ritroviamo infatti, dopo l’8 settembre, nascosti nelle
campagne, lontane da Frosinone, quindi al sicuro dai
rastrellamenti.

Le Bande partigiane, guidate da ex fascisti

Li troviamo infatti nascosti nelle campagne tra Frosinone e


Ripi, oppure, nelle diocesi di Veroli, Ferentino, Alatri, ed
Anagni, sotto la protezione dei rispettivi vescovi, o a
Collepardo, nella Certosa di Trisulti, ed a Fiuggi, nascosti
nei retrobottega del Bar Rossi, o nelle case dei pescatori,
vicine al Santuario della Madonna della Stella, privo di
strada per arrivarvi sia da Fiuggi sia da Ferentino. Infine a
Paliano, non si sa dove.
Questa situazione di tranquillità, per i compagni in arme
contro l’odiato nemico, è confermata dallo stesso Aldo,
quando, parlando del fratello Raul dice che, dopo essere
stato in guerra, come gli altri della sua età, anche lui
diventa resistente antifascista.

36
Ed aggiunge: “Le armi a nostra disposizione, che
tenevamo nascoste nel granaio e nei camini della Certosa di
Collepardo, consistevano in una cassetta di bombe a mano
portata da mio fratello Raul, militare tornato dopo l’8
settembre 1943, moschetti e pistole prelevate dalla
caserma dei Carabinieri di Alatri e altri moschetti e due
fucili mitragliatori recuperati presso l’armeria della
Prefettura e trasportati dai fratelli Luciano e Augusto
Bartoli, da Tullio Pietrobono e da mio fratello Raul”.
Per quanto riguarda il terzo fratello, Silvestri, di nome
Renzo, ecco cosa dice di lui Aldo, nel suo racconto:
“Avevamo collegamenti, oltre che con il gruppo di
Frosinone, diretto da Marzi e Spilabotte, con quello di Ripi,
dove operava l’altro mio fratello Renzo, di Veroli con
Alonzi e con la banda di Paliano, guidata da Giannetti”
A commento di queste affermazioni, è doveroso precisare
che, anche Renzo era stato studente, alla 3^ classe del
Liceo Turriziani di Frosinone (dove conseguì la maturità
nell’anno 1937/38) poi all’Università, dal 1939 al 1943, e
come tale era obbligato, come tutti, a vestire la divisa del
Guf sia per partecipare alle manifestazioni del Regime sia
per conseguire la laurea alla Sapienza di Roma.
Di queste circostanze ne parla Luciano Bartoli, nelle sue
memorie, a pagina 33: “Chiesi notizie a Raul, del fratello
Renzo (che lui chiama Romano) il quale aveva frequentato
il liceo con me.
Romano lo ricordavo anche perché, alto e prestante
com’era, la divisa del gruppo universitario fascista,
completa di stivali gli dava un’ imponenza e anche
un’eleganza che io invidiavo.

37
Erano allora i tempi eroici, e ricordo che erano più le volte
che lo incontravo in divisa, di quelle che lo incrociavo in
borghese.”
Anche a Renzo, la condizione di antifascista e partigiano, è
stata di grande utilità, non tanto per la professione forense
che esercitò in modo egregio, quanto per la carriera
politica: se è vero che nel 1960 fu deputato e Sindaco di
Fiuggi col Pci, e nel 1964 col Psdi.
L’altro compagno di scuola di Silvio Incocciati, che nella
lettera firmata da Raul e da Nino, viene indicato col
cognome Rossi, è senza dubbio quel Lino, che, dopo aver
conseguito il diploma magistrale, ed essere stato fino al
1941 in buoni rapporti con i camerati, Tagliaferri e
Incocciati, che partivano per la guerra, lo troviamo, nel
diario di Sacchetti Sassetti, in “La cronaca di Alatri sulla
occupazione tedesca 1943 - 1944” come facente parte del
gruppo cattolico, prima arrestato, e poi rilasciato, su
intervento del Vescovo di Alatri, Facchini, verso il Console
fascista Ghislanzoni, e per questa insignificante
circostanza, come vedremo, diventerà simbolo della
resistenza alatrina.

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IL DIARIO 1943 -1944
di Sacchetti Sassetti

Nella parte finale della puntata precedente, citando le


date de “La cronaca di Alatri, sulla occupazione tedesca ,
mi sono soffermato a quella in cui l’autore del diario,
riferendosi a Rossi, registra questa scarna notizia:
Il 6 dicembre 1943, “Lino Rossi fermato alla Donna, è
cappato”. Poi l’autore ne parla di nuovo:
Il 27 marzo 1944: “Ore 19 arresto di Lino Rossi del
Comitato di Liberazione Nazionale. Gli hanno trovato in
camera un numero dell’Unità. Insieme con Escales (terza
Liceale) e il Prof. Pedullà, viene condotto a S.
Francesco” Poi lo cita altre volte:
Il 12 aprile, per dire che “Il Vescoso Facchini ha parlato
ieri con il Console Ghislanzoni; dà buone speranze su
Lino Rossi e compagni” .Nello stesso diario vi sono
molte altre annotazioni, dove si citano nomi e cognomi
delle persone, non solo di Alatri, coinvolte nei fatti più
significativi che l’autore racconta con le rispettive date
con le seguenti note.
Il 16 aprile : “Si dice che gli ufficiali repubblicani
anziani che si sono presentati, abbiano deciso di
dimettersi, quando hanno saputo che debbono partire per
il nord di Roma.”
Il 19 aprile “ Gli ufficiali internati ai Cappuccini hanno
ricevuto l’ordine di partire”
Nello stesso giorno troviamo “Lo studente universitario
di Fiuggi, Terrinoni, che fermato da un carabiniere per
reato politico, viene con questi arrestato, perché è andato
con lui in un caffè di Fiuggi ed ha percosso un milite,
che di ciò lo rimprovera, e poi è fuggito da Fiuggi col
giovane suddetto”.Il quale altro non era che, il Natalino
Terrinoni, detto “La Quagliozza” che fino alla fine del

39
Regime era stato addirittura Segretario della Gil di
Fiuggi, e come tale fotografato in divisa da gerarca
fascista, in tutte le manifestazioni del Regime.
Delle quali chi scrive ha pubblicato anche su internet le
foto che lo stesso Segretario, distribuiva ai giovani. Ed
anche lui ritroviamo, come campione della resistenza
nell’Alta Ciociarìa, insieme al Prof. Raffaele Conti, e al
maestro Papitto, dei quali, il Sacchetti prende nota in
questo modo:
Il 30 aprile: “Arresto a Fiuggi del Prof. Conti e del
maestro Papitto, per misure di polizia pel Primo
Maggio”. Ed il Papitto è quel camerata Vincenzo, che
Raul e Nino citano, come promosso, insieme ad
Armando, nella loro lettera a Silvio.
Ebbene, anche lui, dopo l’8 settembre, diventa
antifascista e resistente.
Mentre il Prof. Conti, che diventerà capo della Banda di
Fiuggi e membro del Cnl provinciale (insieme all’ex
intellettuale fascista Minnocci, per l’ala militare) è colui
che, originario di Novara, dopo aver fatto fortuna in
Abissinia, non come legionario, ma come uomo d’affari,
nel 1939 approda a Fiuggi per rimanervi, e fino al 25
luglio del 1943 rimane coerente con il suo passato
fascista, insieme al citato studente universitario
Terrinoni.
Tornando a Lino Rossi, il Sacchetti lo cita altre cinque
volte, come se fosse l’eroe dei due mondi:
Il 1 maggio: “Stamane Lino Rossi è stato trasferito al
Convento dei Cappuccini” e in data 4 maggio:
“Stamane il Cap. Medico ha visitato Lino Rossi e
compagni. Ha protestato pel modo come sono tenuti .
Dalle 9 alle 17 hanno potuto passeggiare, vigilati da
sentinelle”
40
Il 5 maggio: “Gli studenti dei Cappuccini, vanno al
Convento di Fiuggi. Lino Rossi e compagni hanno
grande libertà nel bosco.”
Il 20 maggio: “Questa notte 30 militi dei Cappuccini
sono fuggiti. Lino Rossi e compagni rilasciati per
insufficienza di prove” E infine:
Il 21 maggio: Quasi tutti i soldati repubblicani, senza
armi, che dovevano partire stanotte, si sono squagliati. Il
resto partirà questa notte per Civita Castellana(‘)”
A proposito del Convento dei Cappuccini di Alatri, non
posso fare a meno di ricordare che, tra i giovani che vi
furono internati all’inizio del 1944, c’ero anch’io, con il
mio amico d’infanzia Enzo Girolami, e tanti altri giovani,
reclutati o catturati, in tutta la provincia, e concentrati,
prima a Fiuggi, poi trasferiti in quel Convento.
Dove, anche noi precettati o catturati dal Bando di
Graziani, non facevamo che passeggiare per il bosco,
dalla mattina alla sera, dato che ci tenevano lì senza far
nulla, ma ci sorvegliavano, né più né meno, come i
fermati ad Alatri, per motivi politici.
Solo che, se fuggivamo noi, rischiavamo di essere
fucilati per diserzione (come i tre martiri toscani ed altri
27 su 300, portati a Cassino dai tedeschi) mentre i
fermati e trattenuti nel Convento (come Lino Rossi e
compagni) avendo nel Vescovo Facchini il loro
protettore, in continuo contatto con il Console fascista
Ghislanzoni (con il quale, per effetto del Concordato,
aveva sempre collaborato) furono trattati con riguardo, e
liberati sani e salvi, senza che gli avessero torto, neppure
un capello. Ma c’è di più, essendo i giovani di Alatri,
quasi tutti studenti, del liceo, delle magistrali, e
universitari, non è da escludere che essi (o chi trattava,

41
per farli rilasciare) abbiano voluto di dimostrare che
anche anche loro erano camerati, e per questo chiedevano
di essere rimandati a casa.
Lino Rossi infatti, dopo essere stato rilasciato, tornò a
nascondersi con altri militanti cattolici, nella curia e nelle
parrocchie di Alatri, autodefinendosi poi, tutti partigiani,
solo perché, notte tempo, avevano distribuito qualche
invito ciclostilato ai giovani, a non presentarsi alla
chiamata alle armi.
Queste sono le ragioni per cui i giovani arrestati per
motivi politici, e liberati grazie all’intervento del
Vescovo, non hanno alcun merito da rivendicare, rispetto
ai disertori della guardia repubblicana, nella lotta ai
fascisti ed ai tedeschi..
I giovani del Bando di Graziani, sin dal gennaio ’44,
cominciarono a fuggire dal Convento, per evitare il
trasferimento al Nord. E fu così che, in una notte del
febbraio ‘44, io ed Enzo Girolami, dopo aver scavalcato
il muro di cinta dalla parte del cimitero di Alatri, e
camminando nelle campagne di Collepardo, Vico nel
Lazio, Guarcino, La Cimetta e Prata Longa, dopo due
notti e due giorni arrivammo al pianoro di Capo Le Ripi,
vicino a Fiuggi. Rimanendovi fino al maggio 1944,
facendo però, ogni sera, ritorno a casa.
Queste sono le ragioni che fanno ritenere la vulgata
resistenziale, anche in Ciociaria, una vera e propria
bugìa, come Giampaolo Pansa dice nei suoi libri.
Da parte sua l’Associazione partigiani cristiani, sarebbe
ora che cominciasse se ne ha il coraggio, a rivelare, che
cosa erano e cosa facevano i suoi dirigenti e i suoi iscritti,
ad Alatri ed altrove, quando molti di loro frequentavano
il Liceo, le Magistrali e l’Università, e se non avevano

42
l’abitudine di chiamarsi camerati. E non faccia fare a noi
altri nomi, come quelli che abbiamo trovato nella lettera
di Raul e di Nino.
A questo punto, c’è da ricordare che tra gli antifascisti
del giorno dopo, c’erano molti ex ufficiali, partiti per la
guerra, ma nessuno di loro aveva mai osato disertare
l’esercito dell’odiato Regime, come invece seppero fare i
martiri toscani, fucilati a Frosinone; della cui gloria,
pochi anni fa, si sono appropriate le Amministrazioni
rosse di Firenze e Frosinone, che, con le relative
Associazioni partigiane, non hanno nulla a che fare con
l’ideale di Patria che quei giovani repubblicani nutrivano.
Ed ora, a distanza di 60 anni, i protagonisti negativi di
quegli eventi, nel libro “La guerra a Frosinone 1943 -
1944” dopo la cronaca sulla vacanza da piccoli borghesi,
trascorsa a Collepardo e nelle campagne di Ripi,
Frosinone e Fiuggi; o al riparo delle curie e delle
parrocchie di Alatri, Ferentino Veroli ed Anagni,
mentre tacciono sul loro passato fascista (eccezion fatta
per Augusto Marini ed Augusto Bartoli, che nei loro
libri ricordano di essere stati, l’uno, convinto assertore
della Patria, con la divisa del Guf, l’altro, leale
combattente in Grecia, con la divisa di sottufficiale) ora
invece i bugiardi di ieri, vengono a raccontarci la loro
storia di militanti rossi. Ma come vedremo, altra non è
che una storia, fatta di prepotenze e di occupazione
totalitaria del potere.
A cominciare dalla Provincia, conquistata al grido di
“Tutti a Palazzo Gramsci”, e a continuare nei comuni,
dove, su ordine del Cnl, imposero dappertutto i loro
“commissari del popolo” (altro che sindaci) che alle
prime elezioni del 1946, vennero spazzati via dal voto
popolare.
43
Il che dimostra inequivocabilmente che, la prassi e i
metodi usati per realizzarla, erano al di fuori di ogni
legalità democratica.
La stessa prassi, è stata adottata anche di recente, quando
con il solito connubio tra cattolici e comunisti, l’attuale
unione delle sinistre ha occupato tutte le istituzioni dello
Stato, dalla Presidenza della Repubblica, a quelle della
Camera e del Senato, pur avendo avuto soltanto il 50 per
cento del voto degli italiani.

44
III
“ LA GUERRA A FROSINONE ”
1943 - 1944

Una storia a senso unico, intrisa di fascismo rosso

Nei capitoli precedenti, credo di aver dimostrato che


quasi la totalità degli antifascisti, e dei partigiani ciociari,
era parte integrante della “meglio gioventù” sotto il
fascismo, e fino al 1943 molti di essi si trovavano a
combattere la guerra di Mussolini, sui fronti greco -
albanese, africa - settentrionale e fronte russo. Soltanto i
giovani, dichiarati non idonei al servizio militare, non
furono coinvolti nella politica di guerra del Regime.
Ora cercherò di riportare ampi stralci delle loro
pubblicazioni, per vedere, cosa fecero gli antifascisti dal
Settembre ’43, e dal Giugno ‘44, dopo l’arrivo degli
anglo-americani.
Le versioni dei loro racconti sono due. Quella degli
antifascisti di area comunista, e quella di coloro che
comunisti non erano, o se lo erano, venivano emarginati,
perché contrari ai metodi stalinisti del Pci. Infatti, il libro
“La Guerra a Frosinone”ci offre solo la prima versione,
che è sfacciatamente di parte, perché affidata da un’
Amministrazione di sinistra, ad un autore di conclamata
fede comunista; il quale non essendo coevo di quegli
eventi, riferisce “de relato” fatti e circostanze, narrati da
altri.
Mentre il libro “Poveri oscuri eroi” dì Augusto Bartoli, e
le memorie del fratello Luciano, ci offrono una versione
assai più credibile, essendo stati tra i protagonisti di
quegli eventi, che essi hanno vissuto, anche come

45
sottufficiali nell’Esercito italiano; circostanza che non
cercano di nascondere, al contrario dei loro compagni
stalinisti, che usciti dalla clandestinità nel gennaio 1944,
cancellano ogni traccia del loro passato fascista.
Intanto, dopo aver accennato alle vacanze, trascorse, da
piccoli borghesi, dagli ex fascisti, a Collepardo, o nelle
campagne di Alatri, Veroli e Ripi, vediamo come le
trascorrevano, gli antifascisti di Frosinone, sempre
secondo i loro racconti riportati nel Libro.

Ex militari, i patrioti di Frosinone

A pagina 84 “In una giornata in pieno inverno che già


profuma di primavera, l’immagine che si propone allo
sguardo è quello di un mirabile scorcio della Ciociaria
classica, costituita dai dolci colli abitati, di Torrice, Ripi,
Arnara, Pofi e, via via, tutti gli altri, da proporre come
elemento per una efficace promozione turistica” Ecco
perché ho parlato di vacanze”.
A Frosinone, nei giorni successivi all’armistizio,
“L’avvertimento” per abbandonare la città, era arrivato
estremamente chiaro con il bombardamento dell’11
settembre.”
“Giusto il tempo di mettere insieme l’indispensabile e
poi…raggiungere, familiari e conoscenti, in diversi
comuni, più o meno vicini al capoluogo.
Il grosso dei frusinati invece, privilegia le colline di
Maniano, San Liberatore e soprattutto la Santissima.
Insomma i colli e le valli che da Frosinone si rincorrono
verso Torrice”.“Paolino Colapietro (poeta dialettale) ad
esempio, privilegia San Liberatore, da dove peraltro è
possibile tenere sotto controllo Frosinone.”

46
“E della condizione in cui gli sfollati sono costretti a
vivere, propone uno spaccato con la sua consueta ironia.”
“Purtroppo la stagione particolarmente favorevole (a
causa della guerra) ha richiamato sul posto un
grandissimo numero di villeggianti ed io arrivato, senza
prenotazione, non trovo posto negli alberghi di lusso.
Infatti, le case di creta a due piani sono occupatissime. I
posti migliori naturalmente sono stati affittati a gente
dell’alta aristocrazia (guarda caso, anche qui, fatta di
piccoli borghesi antifascisti): il Principe Toccacielo,
infatti, ha preso una camera, quattro per cinque, tutta per
sé e famiglia di nove persone; lo scantinato di tavolato di
ottima qualità, se l’è accaparrato il barone Gianni
Caciocavallo”.
Al riparo tra gli Ernici e i Lepini. A pagina 87 - “Non
tutti i frusinati naturalmente optano per la Santissima e
San Liberatore, la cui scelta è forse dettata dalla
speranza di una protezione celeste (sic).
Alcuni privilegiano appartate località dei Lepini e degli
Ernici, confidando, oltre che nella speranza di una
maggiore tranquillità, soprattutto nell’ospitalità di amici,
parenti, e conoscenti, per un soggiorno, sulla cui durata è
impossibile fare previsioni” La scelta fu:
Giuliano di Roma: “Dove si recò la famiglia Porcari; ad
essa si unì anche la signora Colasanti, vedova Spaziani e
il figlio Domenico; affrontarono il viaggio con una
carretta per le masserizie, che dovettero trainare a mano.
Appena giunti in paese gli abitanti, con il Podestà signor
Borza, li accolsero con calore e umanità, e gli
procurarono un alloggio provvisorio, dal quale, il giorno
stesso, il Podestà li fece sistemare in una casa grande,

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abitata dai proprietari con i quali, col trascorrere dei
giorni, stabilirono un rapporto quasi fraterno”.
“A Boville Ernica, invece si recò la famiglia
dell’avvocato Luigi Carfagna, che secondo il racconto
della figlia Alba, non venne alloggiata presso la casa
molto grande delle Genovesi, affezionate clienti di suo
padre, ma la sera stessa trovarono alloggio nella scuola
elementare del Palazzo comunale, anche qui per
disposizione del Podestà”.
“A Fiuggi, invece, da Frosinone, si recarono soprattutto i
dipendenti dello Stato e dell’ Amministrazione
provinciale, i cui uffici, vi si erano trasferiti dopo il
bombardamento dell’11 settembre”
Di Fiuggi, che è il mio paese, parlerò più avanti,
soprattutto, perché, durante tutto il periodo della
occupazione tedesca, esso, grazie alle numerose strutture
alberghiere, di cui già 60 anni fa disponeva, venne
utilizzato in vari modi.

La Banda di Collepardo

Gli sfollati di Frosinone, privilegiarono la zona tra Alatri


e Collepardo, che, con la vicina Certosa di Trisulti, fu in
grado di accoglierne circa quattromila.
“ Tra questi sfollati c’era anche “l’ammonito speciale”
Giuseppe Bartoli, costretto, con i suoi familiari ad
abbandonare il rifugio nelle campagne di Maniano, per
dirigersi, in un primo tempo verso Vico nel Lazio”
“A Collepardo (pag. 90) si trasferì tutta la famiglia
Bartoli e qui nella certosa di Trisulti, Luciano e Augusto
incontrano un ex confinato politico comunista, Gino
Conti, con due neofiti, suoi allievi, (Tullio Pietrobono e

48
Raul Silvestri) che stava indottrinando, e insieme si
danno come obiettivo primario quello di procurarsi delle
armi recuperando, intanto moschetti e fucili mitragliatori,
da tempo nascosti a Frosinone, in contrada Maniano, nel
pozzo della casa, dove era sfollato Domenico Marzi”
“L’incontro dei gemelli Bartoli, con i fratelli Silvestri e
altri giovani frusinati, per lo più studenti, ma anche ex
militari tornati dai fronti di guerra, dopo l’8 settembre,
farà assumere una caratteristica tutta “politica” allo
sfollamento verso Collepardo e la vicina Certosa”
Costoro insieme ai loro coetanei locali, faranno tutti
parte della banda partigiana, costituita da una trentina di
persone, capeggiate da Oreste Cicalè (che troveremo in
prima fila, insieme ai Marzi ed ai Silvestri nel 1944, ad
occupare illegalmente il “Palazzo Gramsci”, dove il
Cicalè e il padre dei Silvestri, Consalvo, diventeranno,
rispettivamente Ragioniere Capo, e Segretario Generale).
La Banda, nel territorio, tra Alatri e Fiuggi, si prefigge di
sabotare l’occupazione nazista e le strutture repubblicane.
L’ingegnere Aldo Silvestri, all’epoca ventenne, ricorda
così, quei giorni e quella esperienza:
“Dopo aver frequentato il ginnasio a Frosinone, mi ero
trasferito ad Alatri, con la famiglia per seguire mio padre,
Consalvo Silvestri, chiamato in quella città a ricoprire
l’incarico di segretario comunale.”
Aldo Silvestri continua “Qui ebbi modo di frequentare il
maestro elementare Cesare Baroni (un noto comunista
più volte arrestato e malmenato dai fascisti locali)
e il confinato politico Paolo Bufalini, che nel dopoguerra
sarà tra i massimi dirigenti nazionali del Pci. Il maestro
Baroni, al momento della occupazione tedesca di Alatri,

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essendo ricercato dalla milizia repubblichina, trovò
rifugio presso la Certosa di Trisulti, dove lo raggiunsi
pochi giorni dopo per sfuggire ai continui rastrellamenti e
al ‘Bando di Graziani’ Qui ebbi modo di conoscere
Oreste Cicalè e il nutrito gruppo di antifascisti di
Collepardo. Dopo i primi bombardamenti su Alatri,
anche la mia famiglia raggiunse e la certosa di Trisulti,
dove numerose erano le famiglie di Frosinone”.
“A Trisulti da Roma arrivò anche il comunista Gino
Conti, nome di battaglia di Alfredo Bonelli, inviato dal
‘centro’ dal Pci ad Alatri, per organizzare il partito e la
lotta di resistenza tra gli internati jugoslavi nel campo di
concentramento delle Fraschette.”
“Il rivoluzionario professionale’ Conti-Bonelli prese
contatto con Baroni e il suo gruppo di giovani e così
organizzò il primo nucleo partigiano di quella che
diventerà poi la Banda di Collepardo”.
“Le armi a nostra disposizione che tenevamo nascoste nel
granaio e nei camini della Certosa consistevano in una
cassetta di bombe a mano, portata da mio fratello Raul,
militare tornato dopo l’8 settembre, moschetti e pistole
prelevate alla caserma dei Carabinieri di Alatri e altri
moschetti e due fucili mitragliatori, recuperati presso
l’armeria della Prefettura, e trasportati dai fratelli
Luciano e Augusto Bartoli, da Tullio Pietrobono e da mio
fratello Raul”.
“Avevamo collegamenti, oltre che con il gruppo di
Frosinone (a Maniano) diretto da Marzi e Spilabotte.
Anche con il gruppo di Ripi, dove (ben nascosto)
operava l’altro mio fratello Renzo, di Veroli con Alonzi
e con la banda di Paliano, guidata da Giannetti”
“Le nostre principali azioni consistevano nel

50
sabotaggio degli impianti militari dei tedeschi e dei
fascisti; nel lancio di chiodi a tre punte sulle vie di
comunicazione, nella diffusione della stampa clandestina,
nell’assistenza ai soldati inglesi fuggiti dai campi di
prigionia, ed attacchi a gruppi isolati di nazifascisti.”
“Negli ultimi giorni di occupazione abbiamo fermato
quattro soldati tedeschi e fermato fascisti e
collaborazionisti locali, liberando così Collepardo prima
dell’arrivo in paese dei militari alleati”.
N.d.a. : Davvero eroi, questi piccoli borghesi, che
liberano Collepardo catturando dei poveri tedeschi e
fascisti, disarmati, e in fuga, dai quali fino ad allora si
erano coraggiosamente tenuti alla larga, nonostante tutte
le armi che tenevano rigorosamente nascoste nelle
cantine e nelle grotte degli bambocci, di cui Collepardo e
Trisulti sono piene, e le imbracciano spavaldamente,
mentre vittoriosi arrivano i liberatori; che erano gli
anglo-americani e non le truppe di Tito che nell’Istria
italiana, al posto del nazifascismo, vi portarono il
comunismo, come sarebbe certamente accaduto, se, alle
elezioni del 1948, avesse vinto il fronte popolare.
Ed hanno anche il coraggio di dire che il Comitato di
liberazione, appena insediatosi al Comune “distribuì alla
popolazione del paese le notevoli quantità di viveri
nascosti, nelle case dei possidenti locali,
collaborazionisti”.
Sin qui l’ epopea delle bande a antifasciste e partigiane,
che ne fa la storiografia ufficiale, finanziata dalle giunte
rosse, con agiografi, pubblicazioni e convegni,
sfacciatamente faziosi, e per gran parte pervicacemente
chiusi a qualsiasi diversa interpretazione di quei tragici

51
eventi di guerra, specialmente di quella stragrande
maggioranza di cittadini, che quegli eventi, furono
costretti a subirli, senza atteggiarsi ad eroi, o a martiri, di
una qualsiasi ideologìa.
Ed allora vediamo, ad esempio, la diversa
interpretazione, taciuta nel libro, che ci danno di quei
fatti storici, sia Gino Conti, ex confinato politico sia i
fratelli Luciano ed Augusto Bartoli, tutti e tre facenti
parte del gruppo di Collepardo.
Il primo, in un libro autobiografico, pubblicato nel 1995.
Gli altri due, nelle rispettive memorie di alcuni anni fa.

“Io Gino Conti - Rivoluzionario di Professione”


(Tofani editore in Alatri)

“Quando fummo liberati, dall’isola Ventotene, partimmo


a scaglioni, con mezzi di fortuna, perché il battello che ci
collegava con il continente era stato affondato dagli
americani alla vigilia della caduta del fascismo”.
Lui era diretto a Milano, passando per Roma il 22 agosto
1943 ebbe la pessima idea di andare a salutare Giovanni
Roveda, che aveva conosciuto a Ventotene, ma alcuni
mesi prima, durante una licenza si era dato alla latitanza,
e si trovò ad essere il dirigente più autorevole in libertà,
al momento della caduta del fascismo, perché Badoglio
lo aveva nominato commissario sindacale, insieme al
socialista Buozzi ed al cattolico Grandi. Roveda gli
chiese di fermarsi a Roma, dicendogli che aveva bisogno
di lui.
Nel pomeriggio dell’8 settembre venne annunciato
l’armistizio. Il 10 Roma era già occupata dai tedeschi.

52
Tutti si erano dati alla macchia. Fino a quella data si
trovava senza legami con il Partito comunista romano.
La radio diceva che Badoglio stava preparando la fuga
verso Brindisi, con la famiglia reale, con il governo e lo
stato maggiore. Aveva la sensazione che la città sarebbe
stata difesa, perché la consistenza delle truppe tedesche
intorno a Roma era scarsa. Gli anglo-americani erano già
arrivati a Salerno e la situazione dei tedeschi appariva
insostenibile.
Con il suo amico Castelli del quale ero ospite, uscirono
per strada per vedere e per fare qualcosa: pensavano di
incontrare cortei, dimostrazioni, Il giorno dopo,
trovarono in giro molto fermento. Tentarono di parlare
con i soldati e i civili, in Piazza Indipendenza, e alla
stazione, cercando di spiegare la necessità di resistere ai
tedeschi, di cacciarli dall’Italia, ma gli sembrava di
parlare al vento. Il disorientamento era totale, e non
trovarono traccia di organizzazione. Badoglio era già
scappato, ma vigeva lo stato d’assedio decretato da lui e
il compito delle forze armate italiane era di fronteggiare
la popolazione, non di resistere ai tedeschi. Il Conti
prosegue dicendo che:
“A Roma vi era la direzione del Partito, e la
organizzazione locale. Noi dipendevamo da Roveda,
quindi dalla direzione del Partito. Ma non era chiaro
quale ruolo dovessimo avere.
Di fronte a me avevo tre alternative: tornare al nord,
restare a Roma, andare al sud.
Scelsi di andare al sud, tanto per dimostrare a me stesso
di aver saputo prendere una decisione. In realtà ero sotto
trauma. Isolato, disorientato, disinformato, in balìa delle

53
voci e degli eventi, le mie scelte furono fortemente
influenzate dall’emotività del momento e finché rimasi a
Roma non misi mai piede fuori di casa, e nemmeno mi
facevo vedere alla finestra.”
“Oggi dopo trent’anni, mi rendo conto che la mia reale
paura non era di incontrare dei poliziotti, ma dei
compagni, che, temevo, mi avrebbero proposto di
riprendere la mia attività restando a Roma, senza che
potessi sottrarmi alle decisioni di Roveda, ed al
pressappochismo dei compagni di Roma”.
E sì perché un professionista come lui, non poteva
sottostare agli ordini di qualcuno, e fu così che decise di
venire in Ciociaria.
Precisamente presso la cugina Renata, che si trovava
sfollata ad Alatri, a metà strada tra Roma e la zona di
guerra di Cassino.
Qui sentì subito di trovarsi in un mondo diverso, perché
vicino alle retrovie del fronte.
A Roma i tedeschi erano pochi, Alatri ne era piena.
Cominciò a prendere confidenza con l’ambiente. I
tedeschi davano la caccia ai giovani. Il fronte intanto si
era stabilizzato a Cassino, ed era impensabile poterlo
attraversare.
Così anche l’operazione sud venne da lui definitivamente
accantonata, e decise di rimanere in Ciociaria. Capì, però,
che presto ad Alatri non poteva restare.
I tedeschi facevano razzie di uomini, e la cosa gli
appartiva assai grave perché si credeva che li portassero
in Germania a lavorare e solo più tardi si seppe che
finivano a scavare le trincee dietro il fronte, da dove
presto o tardi scappavano.Con lo stabilizzarsi del fronte
l’attività dell’aviazione alleata divenne sistematica.

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Essa dominava il cielo indisturbata,
Mitragliava, e spezzonava le strade di giorno, e
bombardava di notte le città, o i paesi, dove c’erano i
tedeschi. .Prima o poi sarebbe stata la volta di Alatri, ma
qui, quando arrivò, lui non c’era più.
Aveva deciso di trasferirsi a Collepardo nella Certosa di
Trisulti. Appena arrivato decise di cambiare nome. Da
Alfredo Bonelli, a Gino Conti.
Un nome comune che non avrebbe dato nell’occhio.
Trovò però subito una sorpresa, perché i frati offrivano
ospitalità solo per tre giorni. Dopo di che, ottenne
ospitalità in una famiglia di contadini, nelle vicinanze,
dove a sua volta era sfollata con tutto il bestiame, per
salvarlo dai tedeschi.
In Ciociaria vi erano molti uomini alla macchia, militari
meridionali che provenivano dal nord, ma rimanevano
imbottigliati prima dalla linea del fronte. Poi c‘erano i
prigionieri alleati, che liberati con l’8 settembre,
speravano di raggiungere gli anglo-americani. Vi erano
poi gli sfollati da Roma, in gran parte militari sbandati.
A questi si aggiungevano gli sfollati cacciati dai tedeschi
dalla zona del fronte. Infine vi era l’esercito tedesco, che
si era insediato un po’ dovunque. Quando il Conti, ai
primi di marzo del 1944, lasciò la Ciociaria, la situazione
si era fatta drammatica, quindi inadatta a svolgere
qualsiasi azione di contrasto contro i tedeschi, ancora ben
armati e pronti a reagire a qualsiasi attacco, che non era
neppure possibile organizzare, dato il sottosviluppo in
cui, secondo lui, tutta la provincia si trovava e dato che,
la popolazione dell’epoca era costituita in maggioranza
da contadini e da pastori, con modelli culturali
preindustriali, tutti analfabeti o quasi, con i quali era
impossibile comunicare.
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Politicamente poi, sempre secondo lui, la provincia
aveva tradizioni reazionarie. Era una Vandea dello stato
pontificio, dove i papi reclutavano le loro truppe.
E qui ammette, senza volerlo, una lampante verità,
quando ricorda che, durante la sua attività sotto il
fascismo, non aveva mai conosciuto dei compagni del
posto.
La Federazione comunista di Frosinone non era mai
esistita, sparpagliati e isolati i pochi comunisti. La
popolazione percepiva gli alleati come liberatori, e ciò a
lui dispiaceva, perché in attesa del loro arrivo la gente
cercava di non irritare i tedeschi. Non gli risultavano
infatti tentativi spontanei di resistenza armata; un’ attività
partigiana sarebbe stata considerata una follìa,
specialmente da parte dei contadini.
L’attesismo, cioè l’attesa passiva degli alleati per essere
liberati, era generale. E finché lui rimase in Ciociaria, ai
tedeschi non era neppure riuscito a creare un apparato
locale collaborazionista.
Solo alla fine della sua permanenza gli venne annunciato
l’arrivo dal di fuori, di una piccola guarnigione
repubblichina A Fiuggi: “pochi, forestieri, spaesati e
impauriti” gli assicurarono. Lui però non li vide mai.
E crede che le sue siano le uniche memorie di un
organizzatore della resistenza, nelle quali dei fascisti, e
delle loro prepotenze al servizio dei tedeschi, non si parla
mai. Ebbene, ciò smentisce clamorosamente la caccia che
i partigiani comunisti e cattolici organizzarono subito
dopo l’arrivo degli alleati, contro i fascisti e contro i
repubblicani di Salò, accusandoli di essere i sicari dei
tedeschi, da epurare e condannare, senza appello e senza
prove, per pura sete di vendetta.

56
La Certosa di Trisulti costituiva secondo lui un punto
stabile e sicuro di riferimento, e i frati rappresentavano
una fonte di informazione seria ed efficiente, e grazie a
loro poté fare la sua base operativa, per la sua attività
mobile. Anche se la Certosa si era trasformata in
accampamento di profughi.
Tra i quali molti militari, di grado e di età diversi. Erano
per lo più, ammette, ufficiali di carriera e in parte di
complemento. Costituivano un gruppo coeso, ma sentiva
molto l’influenza gerarchica ed era orientato verso il re e
verso il governo Badoglio.
Quindi, i partiti antifascisti (compreso il comunista) non
collaboravano con le forze monarchiche, ed erano esclusi
dal governo. Con quegli ufficiali non fu possibile alcuna
collaborazione politica.
Per questo, con loro, non fu possibile organizzare in
Ciociaria un’attività militare, e farli partecipare ai
Comitati Nazionale di Liberazione, che lui stava creando.
Neppure gli internati iugoslavi, che si trovavano nel
campo delle Fraschette ad Alatri, riuscì a coinvolgere in
alcuna attività. Così giustifica anche questo insuccesso.
Nel campo i compagni erano pochi e l’organizzazione di
partito era debole. E convenne con loro che non era
pensabile utilizzarli per la guerra partigiana, in un
ambiente del tutto estraneo. Ma il nostro, a causa della
presenza massiccia di tedeschi, dopo aver constatato che,
la sua presenza era inutile, e i suoi compagni non si
fidavano di lui, perché il suo motto consisteva nell’
“armiamoci e partite” allora decise di tornarsene a Roma.
Dove invece era più facile nascondersi, senza uscire mai
di casa, come del resto aveva già fatto dopo il 25 luglio
1943, quando il governo Badoglio lo aveva liberato da

57
Ventotene, insieme a tutti gli altri confinati politici.
Temeva di essere addirittura eliminato dai cattolici del
CNL, come testualmente scrive a pagina 56 della sua
Memoria:
Nel corso della sua attività aveva sempre tenuto presente
la possibilità di venire eliminato dai suoi stessi alleati cui
poteva dare fastidio. Lui non era del posto, ed era assai
facile costringerlo ad abbandonare la zona. Il colpo
poteva venire dal Conti Raffaele o dalla Chiesa. Dal
Conti perché aspirava ad essere riconosciuto come
comandante militare, forse anche come rappresentante
del governo libero del sud, e lo percepiva come
concorrente.
Dalla Chiesa perché, abituata da sempre al dominio
incontrastato della zona, poteva vedere con timore il
sorgere di un movimento comunista capace di spezzare il
suo monopolio. Il nostro rivoluzionario aveva, infatti,
appena iniziato i suoi rapporti con Giannetti di Paliano,
quando nella seconda metà del febbraio 1944, il Conti lo
avvertì con urgenza che era stato individuato e che i
tedeschi lo stavano cercando. Come prova gli disse che a
Fiuggi esisteva la sua carta d’identità con fotografia.
“L’ ha vista lei personalmente?”. Gli chiese “Si,
personalmente” rispose. Gino Conti non dissi nulla e se
ne andò, perché sapeva che non esisteva nessuna carta di
identità intestata al suo nome, ma Raffaele Conti non lo
sapeva.
Tuttavia, individuato o no, ciò che a lui importava, era
che il Conti partigiano cristiano voleva che il Conti
comunista la lasciasse la Ciociaria. Il nostro non sarebbe
rimasto contro la volontà delle forze politiche del posto
con cui doveva collaborare.

58
Ormai l’ organizzazione del Partito e della Resistenza
(sic!) potevano andare avanti anche senza di lui, con
Pietrobono e Silvestri. A questo punto, per inquadrare il
personaggio “Gino Conti, la cui tattica preferita era
quella sintetizzata dal motto “Armiamoci e partite”, e per
far conoscere le imprese eroiche dei due allievi stalinisti
(Tullio Pietrobono e Raul Silvestri) che lui, nelle sue
memorie, si vanta di aver indottrinato e istruito per la
lotta partigiana, lasciamo parlare invece i due fratelli
Luciano e Augusto Bartoli di Frosinone (comunista
l’uno, socialista l’altro) in quel periodo anche loro sfollati
a Collepardo e nella Certosa di Trisulti, insieme agli altri
coraggiosi antifascisti e partigiani di Frosinone, di Ripi,
di Alatri e di Collepardo. I quali, tornati dalla guerra
voluta dal Fascismo, da loro supinamente accettata, con
tanto di giuramento di fedeltà al Re ed alla Patria, e dopo
aver combattuto, su tutti i fronti, a fianco dei tedeschi e
contro i russi e gli anglo-americani, dopo l’8 settembre
’43, all’arrivo delle truppe di liberazione diventano tutti
feroci nemici del Fascismo.

Gli antifascisti del giorno dopo

Augusto Bartoli, nel suo saggio “Poveri oscuri eroi”


pubblicato qualche anno fa, racconta che “Dopo essere
tornato dalla guerra di Grecia gravemente ferito e
rimasto, fino all’armistizio dell’8 settembre, in licenza di
convalescenza , il 13 luglio 1943 era di nuovo a casa con
suo padre. Ma non erano passati neppure dieci giorni che
il 22 luglio ebbe la sorpresa di non vederlo rientrare la
sera. Lo aspettò tutta la notte e la mattina, recandosi alla
Questura, apprese che suo padre si trovava nelle carceri
mandamentali.
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Era destino che ogni volta che tornava in licenza di
convalescenza dovesse avere la disavventura di assistere
alla messa in carcere di suo padre per motivi politici. Era
accaduto che il 19 luglio gli anglo-americani avevano
bombardato Roma. Ed il padre il 21 ebbe la disgrazia di
incontrare un amico di gioventù, squadrista fascista, che
gli disse: “Peppino mio, mi sono trovato a San Lorenzo al
bombardamento di Roma, che spavento!! E’ stata una
esperienza traumatica.”
Ma il padre ironico gli consigliò di purgarsi. Lo
squadrista a quel punto, andò su tutte le furie. Il giorno
dopo, mentre suo padre stava in un bar del centro a fare il
suo tre sette serale, sopraggiunse un gruppo di squadristi,
e lo portarono nella casa del fascio, dove lo costrinsero a
bere un quarto di olio di oliva, perché i “cialtroni” non
avevano trovato nessuna farmacia aperta per propinargli
il rituale olio di ricino; poi fu condotto nelle carceri
mandamentali”. Arrivò fortunatamente il 25 di luglio,
con la caduta del Fascismo e l’arresto di Mussolini.Il
padre però rimase in carcere e solo il 29 luglio 1943 fu
liberato a furor di popolo e portato in trionfo.

L’ Armistizio e lo sfollamento

Augusto Bartoli dopo la liberazione del padre tornò a


casa euforico, ma si illudeva che con la fine del fascismo
la sua famiglia avrebbe ricevuto rispetto, considerazione
e riconoscimenti. Infatti non fu così. Perché con l’
armistizio dell’ 8 settembre, e dopo il bombardamento
dell’11 che fece gravi danni a Frosinone, dalla città
cominciò lo sfollamento della popolazione, verso le
campagne circostanti e nei paesi di montagna.

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Il fratello Luciano, anche lui militare fuggiasco, arrivò a
casa, portando nelle casse familiari ben 700 lire che era
una cifra importante per quel periodo.
Pochi giorni dopo il fratello pensò di andare a piedi a
trovare una famiglia di parenti (Colasanti) e da questa
riuscì ad ottenere perfino un prestito di 6.000 lire che a
quel tempo era un patrimonio, tanto è vero che il padre
disse che potevano andare avanti per mesi, e pertanto,
malgrado il bombardamento non avevamo pensato di
sfollare da Frosinone.”
Alcun giorni dopo però il padre disse che erano stati
invitati da un amico avvocato, in una villa di campagna
vicina a Frosinone.
Si trasferirono presso di lui, e con il suo unico figlio,
stabilirono una buona amicizia.
Fu nel terreno circostante che il fratello nascose in un
pagliaio due fucili mitragliatori e un certo numero di
moschetti modello.38, trafugati dal Distretto Militare di
Frosinone, con l’aiuto di alcuni suoi amici.
Ora, mentre nelle sue memorie Augusto Bartoli, non
cita la località, né la famiglia dell’amico avvocato, a
pagina 90 del libro a “Storia di Guerra a Frosinone” si
dice chiaramente che, i fratelli Bartoli:
“A Collepardo, incontrano l’ex confinato politico
comunista Gino Conti, e i due suoi allievi, Tullio
Pietrobono e Raul Silvestri, che lui stava indottrinando”,
e con i quali “si danno come obiettivo primario, quello di
procurarsi delle armi, recuperando intanto i moschetti e i
fucili mitragliatori, da tempo nascosti a Frosinone, in
contrada Maniano, nel pozzo della casa, dove erano
sfollati i Marzi”

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La villeggiatura tra Maniano e Collepardo

Durante quel soggiorno, nella villa dei Marzi, la noia


indusse i fratelli Bartoli a fare una escursione in alcuni
paesi vicini, per andare a trovare quei parenti, che li
avevano aiutati con il prestito.
Partirono al sorgere del sole e raggiunsero il paese
(Collepardo) dove trovarono sfollato quel caro amico
(Alberto Colasanti) che li aveva ospitati nella sua villa di
Frosinone, durante la mia prima convalescenza di guerra
di Augusto, nel gennaio 1941.
Come sempre, fu con loro, molto ospitale, e a ricordo
dell’incontro, volle che facessero una foto con lui e con
Arnaldo (figlio del Marzi) che, a distanza di anni gliela
fece avere (ed è qui riprodotta).
Nel pomeriggio sempre a piedi andarono a Guarcino,
dove trovarono altri sfollati di Frosinone ed altri parenti
(ancora i Colasanti) che li fecero pernottare in casa loro.
Ripartirono la mattina seguente, e verso il tramonto
tornarono nel Casale di Marzi ) accolti dai rispettivi
genitori, che vollero essere ragguagliati di tutto.
Alcuni giorni dopo accadde che un amico del fratello
Luciano (Ottavio Volpe) con il quale aveva trafugato le
armi, fosse arrestato, e questo fatto li indusse a trasferirsi
in uno dei paesi (Vico nel Lazio) che avevano già
visitato.
A questo scopo, tornarono nel loro villino, in contrada
San Lorenzo di Frosinone a preparare le masserizie da
portar via le caricarono sul carretto trainato da un mulo,
che il padre aveva noleggiato e partirono verso la località
stabilita, dove giunsero nel pomeriggio. Pranzarono nella
locanda di Bracalone di lì furono indirizzati presso una

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famiglia che gli dette due locali in affitto, e lì si
fermarono. Augusto continua dicendo:
“Passavo le giornate disteso in una branda, andavo a
pranzare un unico pasto bella stessa locanda, e qualche
volta per divagarmi uscivo con mio fratello che cercava
compagnia, ma negli incontri che faceva parlava spesso
di costituzione di bande armate, ma io lo consigliavo di
stare attento a parlare di quelle cose, se volevamo stare
tranquilli come gli altri sfollati facevano.”

Gli allievi di Gino Conti

A pag.51 – “Costoro, figli di padri fascisti e loro stessi


già giovani fascisti, come quasi la totalità degli italiani,
stavano apprendendo dal confinato che tutta l’ Italia
sarebbe diventata inevitabilmente comunista e che
occorreva prepararsi per prendere il potere. Mio fratello
aderì anche lui al verbo del confinato politico e si associò
al gruppo.”
“Primo obiettivo era quello di procurarsi le armi e mio
fratello disse dove stavano e che bastava andarle a
prendere.”
“Tornato al paese mi informò di tutto; cercai di
dissuaderlo, ma non ci fu niente da fare. Per evitare il
peggio accettai di partecipare al trasporto delle armi. Ero
il solo a conoscere come si potessero smontare i fucili
mitragliatori. Predisposi l’operazione: mio fratello ed uno
dei due allievi comunisti (Raul Silvestri) avrebbe fatto il
trasporto dei moschetti mod.38 nella notte; io e l’altro
allievo comunista (Tullio Pietrobono) ci saremmo
incaricati del trasporto dei fucili mitragliatori”.

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“Pur sapendo di correre qualche rischio, preferivo fare
l’operazione di giorno.”
“Si doveva scendere a valle, percorrere parecchi
chilometri, raggiungere il luogo dove erano nascoste le
armi e tornare indietro attraverso la campagna; poi
salendo una zona montagnosa, raggiungere la Certosa.
Alcuni giorni dopo ebbe inizio l’operazione “trasporto
armi”.
“Mio fratello era partito il giorno prima. Io, con il neofita
comunista (Raul) il giorno dopo, raggiunsi, nella
mattinata il luogo dove erano nascosti i due fucili
mitragliatori, li smontai entrambi: uno lo misi dentro il
mio zaino, l’altro andò nello zaino dell’allievo
comunista (Pietrobono)”

Il compagno irriconoscente

A pag. 52 - “Ci incamminammo verso la campagna. Si


sapeva che avremmo dovuto attraversare la strada
provinciale. Giungemmo nei pressi, in quel momento
l’allievo procedeva avanti di qualche metro.”
“Era arrivato al limite della strada, quando lo vidi
arrestarsi, come per fuggire, notai una pattuglia tedesca
che avanzava sulla strada.”
“Mi resi subito conto che ci avevano visto; un attimo di
esitazione sarebbe stata la morte sicura.”
“Lo affiancai con decisione, gli diedi un pugno ad un
fianco, scesi nella strada, salutando con la mano
romanamente il maresciallo che era in testa, il quale
contraccambiò il saluto con un sorriso, attraversai la
strada e mi immisi nella campagna circostante.”

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“Il neofita comunista (Pietrobono) fortunatamente mi
aveva seguito. Insieme proseguimmo silenziosi, piuttosto
emozionati, attraverso la campagna per poi cominciare
l’ascesa della zona montagnosa”
“Il compagno comunista mi doveva la vita, ma non se ne
è più ricordato, né mi ha mai accennato a quel trasporto
di armi che facemmo insieme. Mentre arrancavamo, a
metà costa vidi mio fratello e l’altro allievo (Raul).”
“Li raggiungemmo, e con loro finalmente arrivammo
alla Certosa. Ricomposi i pezzi dei due fucili
mitragliatori, lasciandoli in custodia ai due neofiti
comunisti.” “Lontano vidi per la prima volta il prudente
confinato politico (Gino Conti) che ritenne, da vero
cospiratore, non avvicinarsi.”
“Tornai al Paese con mio fratello, avevo corso il
pericolo, se perquisito dai tedeschi, di essere ucciso sul
posto; anche mio fratello mi informò di avere una
riunione in un luogo isolato con l’ex confinato politico ed
i suoi due allievi.”
“Sempre con il timore che mio fratello avesse ad
affrontare altre pericolose avventure che potessero
coinvolgere tutta la famiglia, mi decisi ad andare
all’appuntamento, a Collepardo.”

L’unica vera azione, contro i tedeschi

“Ci incontrammo in un bosco; l’ex confinato politico,


dopo un preambolo sulla necessità di opporsi con le armi
ai fascisti ed ai tedeschi entrò nei particolari della lotta
armata, precisando che io e mio fratello, con i due fucili
mitragliatori recuperati, avremmo dovuto attaccare un
noto presidio tedesco.”

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“Aggiunse che i due suoi allievi comunisti sarebbero
rimasti con lui per fare “Scuola di Partito, questa fu la
sua precisa espressione.”
“Rimasi di sasso, allibito di fronte a tanto opportunismo;
subito replicai che ciò che mi proponeva di fare, era una
operazione suicida e semmai avremmo potuto effettuarla
con lui in testa e i suoi due allievi comunisti, se volevano
proprio suicidarci.”
“Mi precisò che poteva solo dirigere la lotta armata, ma
non parteciparvi, non avendo, tra l’altro, esperienza di
armi. Chiusi il colloquio con parole molto pesanti e che
non intendevo prendere ordini da nessuno, qualora
dovessi attuare un’azione partigiana.”
“Silenzioso si allontanò e i suoi due neofiti comunisti lo
seguirono come pecore.”
“Il confinato comunista, stalinista, in una sua
pubblicazione, apologetica ull’indottrinamento dei due
suoi allievi, non ha parlato di questi avvenimenti, pur
così significativi, perché come rivoluzionario di
professione, non gli risultava utile.”
“Tanto è vero che ebbe anche a negare l’azione di fuoco
portata a termine dal gruppo da me organizzato.”
Infatti nel libro “Io Gino Conti rivoluzionario di
professione” si legge:
“Ricordo che un giorno Pietrobono mi avvertì che due
suoi compagni affermavano di aver condotto un’azione
di fuoco notturna, contro automezzi tedeschi.
Esaminammo la cosa e concludemmo che quell’azione
non ci fu mai stata”
“Ecco perché il fantomatico Comando Supremo
Rivoluzionario con dimora nella Certosa di Trisulti, in
luogo sicuro e di villeggiatura, non diede notizia
dell’azione di fuoco.”
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Augusto Bartoli era rimasto sconcertato dal colloquio
con l’ex confinato politico comunista al quale avrebbe
voluto dimostrare come andava condotta un’azione
partigiana, salvaguardando la vita di chi operava
nell’azione e dando soprattutto l’esempio.
Passò circa un mese e l’occasione gli si presentò verso
la prima decade di febbraio del 1944, quando suo fratello
Luciano lo mise al corrente che alcuni giovani del Partito
d’Azione provenienti da Roma, cercavano chi potesse
consigliarli a portare a termine una operazione di fuoco
dimostrativa contro i tedeschi, rendendoli edotti della sua
esperienza fatta in Albania e sul fronte Greco.
S’incontrarono per scegliere le zone lontane dalle
abitazioni per evitare rappresaglie su innocenti e
discutere i dettagli dell’operazione.
Il 22 febbraio doveva essere il giorno dell’operazione.
Uscirono dalla riunione che era notte, vigeva il
coprifuoco. Improvvisamente imboccarono la via
principale, gli fu intimato l’alt da una pattuglia tedesca, e
mentre con i mitra spianati venivano portati al comando
del presidio, scoppiò un inferno di fuoco. Augusto cercò
di mettersi al riparo aggrappandosi alle spalle di un
tedesco, gli mormorò dolcemente “Buono tedesco”.

La fuga verso l’Abruzzo

Finalmente la sparatoria cessò senza vittime, e un


componente del gruppo si era dato alla fuga. Con metodi
minacciosi furono portati al Comando, di fronte ad un
maresciallo. Mentre aspettavano Augusto ebbe un lampo
di genio. Prese dal suo portafoglio la licenza di

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convalescenza di 60 giorni per postumi di ferita riportata
in combattimento” e la consegnò al maresciallo,
qualificandosi “Ufficiale”. Il tedesco lesse il documento
e subito si alzò mettendosi sull’attenti.
Gli disse che garantiva per il gruppo e li rimise in
libertà. Fortunatamente trovarono un tedesco diverso.
Lui ed il fratello avevano deciso di dividersi, dando vita
a due gruppi.
Augusto insieme ad un giovane alto e robusto con una
lunga barba, di cui non conosceva il nome.
Il suo vero nome era Alberto De Rocchis di Collepardo,
ma lui lo ha saputo nel 1990 quando lo lesse in una
pubblicazione della Provincia, dove si parlava di questa
operazione partigiana.
Il giovane che aveva affiancato suo fratello, si chiamava
Ezio Croce.
Raggiunsero Pitocco di Vico nel Lazio, che era la
località stabilita, e si appostarono sul ciglio rialzato della
strada”
Tra gli automezzi che passavano sotto di loro, videro una
camionetta tedesca, e contro di essa lanciarono le
bombe. Dopo il duplice scoppio, si dettero alla fuga.
Proseguirono, prendendo la scorciatoia che li portava
verso Trevi nel Lazio, che era il posto sperato, per
trattenersi sino alla liberazione.
Rimasero lì circa tre mesi, ed assistettero alla ritirata
dei tedeschi, quando arrivò una colonna di muli, che
dopo una breve pausa alle porte del Paese, proseguì verso
Filettino per andare in Abruzzo”.
“Dopo una settimana, vedendo che in tutta la zona non
c’era più la presenza, né dei tedeschi, né dei militi
repubblicani, decisero di tornare a Vico nel Lazio,

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dove c’era il padre e con lui fecero i preparativi per
rientrare a Frosinone.
La città era in gran parte distrutta, ma il loro villino per
fortuna non aveva subito alcun danno.
Però era occupato da alcuni sfollati, ma si sistemarono
subito al piano terra.

I padroni della Federazione del Pci

Quando, dopo qualche giorno suo fratello si recò nella


sede del Pci, vicino a Piazza Garibaldi, trovò che vi si
erano istallati i due allievi dell’ex confinato comunista
(Tullio Pietrobono e Raul Silvestri). E’ da notare che i
due non avevano mai abitato a Frosinone, ma vi si erano
trasferiti per affari politici. Avevano avuto infatti,
un’ottima scuola di partito dall’ex confinato politico.
Suo fratello ebbe anche la sorpresa di leggere affissa
sulla porta d’ingresso la notizia della sua espulsione dal
Pci, per “Attendismo” accusa più assurda e mendace non
gli si poteva fare, senza neppure contestargli
l’imputazione.
Oggi Augusto Bartoli, dice che si trattava di puri
metodi stalinisti, perché in quel periodo non c’era
nemmeno la possibilità di difendersi da simili accuse.
Ma ben altro doveva succedere di lì a poco.
Ed Augusto così spiega gli eventi successivi:
“Qualche settimana dopo a Roma, dove mi ero recato,
incontrai alla stazione Termini il giovane che con mio
fratello aveva effettuato la menzionata azione di fuoco
contro i tedeschi. Mi disse che erano corse su di noi
accuse di collaborazionismo con i tedeschi; ne rimasi
allibito, anche perché l’interlocutore mi pareva convinto,

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nonostante che lui fosse stato un componente di
quell’azione. Era evidente che si fosse lasciato
catechizzare, dimenticando che, mostrando al
maresciallo tedesco che ci aveva fermato il documento
della mia convalescenza, per le ferite riportate, come
ufficiale dell’Esercito italiano, salvai lui e l’intero gruppo
di fuoco., da chissà quale tragica conseguenza.”

Giuseppe Bartoli
L’ultimo purgato del Regime

“Di ciò ebbi conferma molto tempo dopo, sempre a


Roma, dove all’Ospedale del Celio, incontrai un altro ex
confinato politico, farmacista della Russi di Frosinone,
caro amico di mio padre e di mio fratello.
Parlando delle vicissitudini di mio fratello, mi rivelò che
lui,inviato dalla Direzione del Pci per dirimere
l’espulsione di mio fratello, nella Federazione gli fu
dichiarato da due allievi comunisti che i fratelli Bartoli,
tra l’ altro, erano stati collaborazionisti dei tedeschi,
precisandomi che chiese loro una dichiarazione scritta,
per farci arrestare, ma loro si rifiutarono”.
“Solo dopo oltre un anno, un certo Buda inviato dalla
Direzione Centrale del Partito a dirigere la Federazione
comunista, per ristabilire un po’ di legalità, assolse mio
fratello da ogni accusa e lo riammise nel Pci.
Ma ormai il disegno di estromettere mio fratello dalla
vita politica era stato avviato, tanto è vero che contro i
calunniatori non vi fu un solo atto di condanna del Pci.
Ma per la famiglia Bartoli, non fini così. Una notte
fummo svegliati da poliziotti della democrazia
antifascista che erano gli stessi del passato regime.”

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“Cercavano armi nella nostra abitazione, rimasero tutta
la notte, non avevano alcun mandato di perquisizione, ma
non trovarono nulla.
Il giorno dopo mi recai nella Questura che aveva la sede
nello stesso piano, dove prestavo servizio come
impiegato. Chiede di essere ricevuto dal Questore,
facendo il mio nome.
Appena entrai nella sua stanza, non ebbi neppure il
tempo di proferir parola che, con gli occhi fuori dalle
orbite, con voce alterata gridò:
“Su suo padre abbiamo un dossier grosso così”
allargando le braccia.
Feci dietrofront e me ne andai in fretta.
Spesso mi sono domandato quali fossero le ragioni di
quella perquisizione.
Certamente il Questore era stato connivente con il
federale fascista e dopo la caduta di Mussolini male
aveva digerito la “scarcerazione di mio padre imposta a
furor di popolo dopo il 25 luglio 1943.”
“E nei giorni successivi, dopo aver dovuto liberare mio
padre, ebbe lo scorno di incarcerare i fascisti che glielo
avevano consegnato, ma, dopo l’ 8 settembre, furono
liberati.
Egli doveva certamente essere venuto a conoscenza del
processo in corso al Tribunale contro gli aguzzini di mio
padre, e quindi ad effettuare la perquisizione nella nostra
casa, con la speranza di trovare qualcosa per poterci
incriminare.”
“La storia del suo millantato dossier su mio padre era
una falsità bella e buona.
Infatti così si deduce dalla sentenza del Tribunale di
Frosinone.”

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Inesistenti le azioni partigiane

Ho voluto riportare dettagliatamente ciò che i due fratelli


Bartoli hanno narrato nelle rispettive pubblicazioni, per
dimostrare come la lotta armata contro i tedeschi, quel
ristretto gruppo degli antifascisti di Frosinone, Alatri e
Collepardo, che si erano quasi per caso ritrovati sfollati,
in un luogo sicuro e di villeggiatura, quale certamente
era la Certosa di Trisulti, non ebbe neppure il coraggio
di tentarla, nonostante che alla sua guida vi fosse un
rivoluzionario di professione, come Gino Conti.
Il quale era venuto da Roma su preciso mandato del Pci,
per organizzarla, ma senza parteciparvi.
L’ unica azione di fuoco che fu messa in atto, ma con
scarso successo, fu proprio quella narrata dai fratelli
Bartoli, i quali, ironia della sorte, verranno poi accusati
dai feroci compagni stalinisti, addirittura di
collaborazionismo con i tedeschi e i fascisti e con tale
infamante accusa verranno, Luciano espulso dal Partito
comunista, ed entrambi emarginati dalla vita politica e
civile della città.
Tutto ciò nonostante che il padre Giuseppe, fosse stato
l’unico vero antifascista di Frosinone e provincia, più
volte arrestato e purgato due giorni prima della caduta del
Fascismo, da quegli stessi fascisti che, dopo l’8 settembre
e la liberazione, diventeranno comunisti e partigiani.

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LA CITTA’ DOPO

Con l’occupazione totalitaria del potere

A cominciare da quella del 1° giugno 1944, quando,


come scriverà l’anziano militante comunista Domenico
Marzi (cifr.“La Guerra a Frosinone 1943 -1944 pag.133)
“Mentre ancora tuonava il cannone e le truppe liberatrici
erano giunta nei pressi della collinetta della S.S. Trinità,
l’ Amministrazione (sic) prendeva possesso delle
baracche abbandonate dagli amministratori fascisti e
dagli stessi impiegati e si recava a rendere il benvenuto
alle truppe liberatric. Nella baracca di legno eretta
proprio di fronte al Santuario, e che da alcuni mesi
fungeva da sede municipale, lo stesso giorno, si insedia,
come Giunta comunale provvisoria, quello che era stato
fino ad allora il Comitato di Liberazione di Frosinone”
(Già il nome del Comitato è un falso storico se è vero che
il Marzi aveva già detto che ”l’Amministrazione si
recava a rendere il benvenuto alle truppe liberatrici) Il
racconto nel Libro prosegue: “Fanno parte della Giunta,
oltre all’avvocato Domenico Marzi, che la presiede, i
comunisti, Serafino Spilabotte, Vittorio Antonucci, e
Giuseppe Angelilli, il socialista Antonio Spaziani, il
democristiano Cesare Marchioni, e il Parroco di Santa
Maria don Luigi Minotti. Il primo atto del Cnl, è un
proclama, col quale i cittadini di Frosinone, sono invitati
a manifestare “ La nostra ammirazione, alle vittoriose
truppe degli alleati che hanno sconfitto a Cassino la
roccaforte ritenuta inespugnabile e che con impeto
formidabile hanno messo in fuga le orgogliose orde
naziste iniziando l’assalto finale contro le bande fasciste
e hitleriane”
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E qui viene da chiedersi, con quale pudore gli antifascisti
ciociari, da 60 anni in poi, non hanno fatto altro che
rivendicare a se stessi, la liberazione della nostra
provincia dalle truppe nazifasciste? Mentre è
assolutamente vero, che essi, attraverso il seguente
comunicato, si siano impossessati, senza legittimità, di
tutte istituzioni provinciali e locali.

TUTTI A PALAZZO GRAMSCI

Come al Palazzo d’Inverno

Cittadini “Il C.N.L. , costituito da tutti i partiti


antifascisti, in accordo con il Governo Badoglio (fuggito
dopo l’ 8 settembre) assume il potere del Comune. Dopo
ventidue anni di dittatura fascista, riprende la vita civile.
“Chiediamo la vostra collaborazione e la vostra
disciplina! Governeremo con giustizia e con assoluta
franca onestà! Avanti, cittadini, verso la conquista di u n
futuro migliore! Lunga vita agli alleati. Lunga vita alla
nostra Italia”
E di conseguenza, come si legge nel Libro: “La
designazione di Marzi a sindaco della città, da parte del
Cnl di Frosinone viene confermata dal nuovo Prefetto
Zanframundo(?) con uno specifico decreto.Ma il Sindaco
Marzi e la sua Giunta non avevano aspettato la
formalizzazione del loro incarico per affrontare gli
enormi problemi della città.”
“Il Cnl, già nei primi di giugno del’ 44, aveva incaricato
l’Ing. comunista Giovanni Carrassi della
riorganizzazione dell’attività degli uffici e dei servizi
dell’Amm.ne provinciale.

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Dopo la caduta del Fascismo, tra gli altri erano scomparsi
dal palazzo, insieme al preside Filippo Berardi ed al
federale Augusto Pescosolido, mi molti funzionari e
impiegati dell’Ente e della Federazione fascista che ne
costituivano il personale.
Dopo i primi bombardamenti su Frosinone i dipendenti
rilasti in servizio avevano seguito lo spostamento della
sede a Fiuggi, avvenuta l’8 novembre del ’43, con meta
le 20 stanze della Pensione Iris a Fiuggi Fonte.
Ora per far tornare a far funzionare l’ente, Carrassi deve
rimettere insieme la diaspora dl personale, ed egli rivolge
un appello a tutti i vecchi dipendenti, informandoli che la
sede dell’Amministrazione Provinciale è tornata a
Frosinone, e che:
“Il 4 giugno ad Alatri è stato arrestato l’ultimo “preside”
fascista Arduino De Persiis (insieme a B.Uberti)”
Il 5 giugno, viene arrestato il maresciallo Americo
Tagliaferri e Scappaticci, solo perché ex repubblicani.
L’’8 giugno, Giacinto Minnocci e Giuseppe Pelloni,
arrestano Carlo Bellincampi nei pressi di Ferentino, ed
altri,e che tutti sono tenuti a riprendere servizio.
Sempre Carrassi, insieme al solito Marzi, si recano più
volte ad Alatri e a Fiuggi, dove risiedono ancora molti
dipendenti, per invitarli a tornare a riprendere nel
capoluogo.
Quasi nessuno però risponde agli appelli, alcuni perché
ancora non rientrati dai fronti di guerra e di prigionia,
altri perché essendo entrati nell’Ente dopo la sua
creazione, avvenuta nel 1927 sotto il passato regime,
giustamente temevano la sicura vendetta dei nuovi
fascisti.

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ALLA PROVINCIA

Si passa dai fascisti ai comunisti

Infatti, per tutti coloro che non si presenteranno i nuovi


padroni adotteranno prima un provvedimento di
sospensione, poi il deferimento alla Commissione
provinciale di epurazione, che ha la sua sede, guarda
caso, nello stesso palazzo, dove già si è sistemata la
intera nomenclatura comunista, per la quale, come si
legge a pagina 164 “si pone come prioritario il problema
di rimpiazzare i vuoti del suo organico”.E che ti fa la
nomenclatura rossa, per ovviare a questa difficoltà?
Il solito comitato di liberazione mette a disposizione di
Carrassi alcuni giovani ex partigiani o reduci dal confino,
i quali vanno a costituire così il primo nucleo del nuovo
apparato burocratico dell’Ente di Piazza Gramsci.
Ma in quali condizioni i nuovi arrivati trovano il
Palazzo?
Oreste Cicalè (guarda chi si rivede) che poi diventerà
ragioniere capo dell’Ente, così racconta il suo primo
giorno di servizio: “Innanzitutto mi colpì il fatto che le
stanze e i saloni erano completamente privi di qualsiasi
arredo. Erano scomparsi, tavoli, sedie ed armadi. Per
terra era impressionante vedere sparse sui pavimenti le
carte dei vari uffici e della stessa federazione dei fasci.”

Il mio commento.

Ed è qui, come ricercatore di storia locale, credo di


aver trovato la ragion per cui, non si trovi quasi nulla, del
periodo fascista sia a Frosinone sia nei comuni, dove

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subito dopo la caduta del Fascismo si erano insediati,
con prepotenza gli antifascisti, o i partigiani, designati
dal Comitato di Liberazione a fare i “commissari del
popolo”, arbitrariamente chiamati “sindaci”.Ecco perché,
in tutti gli uffici provinciali, o comunali che siano, non
c’è alcuna traccia, cartacea o fotografica, dei podestà, dei
presidi della provincia, e delle scuole elementari e
superiori. Oppure dei segretari del fascio locale, e del
segretario federale, nei cui uffici c’era certamente una
gran mole di documenti e di atti, da cui si poteva
ricostruire tutta la storia del ventennio fascista, con tutte
le organizzazioni create dal regime, per una infinità di
categorie e quasi tutte inquadrate sotto la guida di
gerarchi e gerarchetti, nominati in tutti i settori.
E quanti elenchi di uomini e donne, dai sei ai
sessant’anni, erano giacenti fino al 25 luglio 1943, in
quegli uffici provinciali e locali, dai quali venivano
regolarmente chiamati a partecipare a tutte le
manifestazioni del regime?

Le ricerche di Tommaso Baris.

E’ l’unico storiografo che è riuscito a trovare molte


tracce della nomenclatura fascista in provincia di
Frosinone.. Si tratta del giovane docente dell’università
di Cassino (contro cui qualche anno fa reagì in modo
arrogante il Senatore socialista Minnocci, per le vittime
dei marocchini ad Esperia) ma le sue ricerche si sono
fermate al periodo 1927 - 1940, a quando, cioè, ai
vertici provinciali e locali del regime vi erano molti
reduci e combattenti della guerra 1915-18, tra i quali
molti ex socialisti, che si iscrivevano al Pnf per motivi di

77
affinità ideologica con Benito Mussolini fondatore dei
Fasci di combattimento nel 1919, ma anche ex cattolici
del partito popolare di Luigi Sturzo, per méro
opportunismo politico. Manca ancora nella ricerca del
Baris la ricostruzione del Regime 1940 - 1943, quando
moltissimi giovani vi aderirono, per gli stessi motivi con
cui fino ad allora lo aveva fatto il 90 per cento italiani.
Il motivo per cui non si è trovato nulla è che, subito
dopo la liberazione, così come è avvenuto al Palazzo
Gramsci, a cancellare le tracce del loro passato sono
piombati gli stessi fascisti che, solo dopo l’8 settembre
sono diventati “antifascisti e partigiani”.
Tornando al Palazzo Gramsci di Frosinone, troviamo che
il 26 giugno il solito Cnl, nomina Consalvo Silvestri
segretario dell’Ente e rafforza il numero dei dipendenti.
A dirigere gli uffici, guarda caso, viene chiamato quel
Silvestri (padre dei fratelli Renzo, Raul ed Aldo) che fino
al 1943 era stato Segretario Comunale, sotto il Fascismo,
prima a Torrice, poi ad Alatri.

La famiglia Silvestri, detta Rivolta

A proposito dei Silvestri, Luciano Bartoli nelle sue


memorie, parlando della famiglia Silvestri (che lui
chiama Rivolta) dice: “Allora vidi solo il vecchio, che
era segretario comunale ed il cui strombazzato
antifascismo, del resto molto recente e connesso agli
avvenimenti, era legato a dei dissapori avuti con il
segretario fascista del piccolo comune, dove svolgeva il
suo lavoro”. Poi prosegue: “Chiesi notizie a Raul (che
lui chiama Rolando) del fratello Renzo (che chiama
Romano) il quale aveva frequentato il liceo con me.

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Io avevo preso la maturità classica un anno prima.
Romano mi era rimasto impresso perché durante
l’intervallo delle lezioni, addentava invariabilmente delle
fette di pane con una frittata.” E nel ricordarlo sempre
con la divisa del Guf dice: “Durante la clandestinità e
nelle successive vicende, che vissi con Raul (che lui
chiama Rolando) mai lo incontrai.” Seppi che si teneva
gelosamente nascosto, forse nei sotterranei dell’Abbazia
di Trisulti. Più tardi pensai che la famiglia lo tenesse in
salamoia, pronto al lancio, che sarebbe avvenuto dopo la
liberazione”.

FINE DEL NAZISMO

Ma in Europa arriva l’Armata Rossa

Gli altri due fratelli Silvestri (che lui chiama Rivolta)


erano troppo piccolo perché io me ne interessassi. Mio
padre mi disse che lui (Renzo) era di fede monarchica.
Alla liberazione lo trovai comunista, anzi lui e Raul (cioè
Rolando) erano i padroni della Federazione di Frosinone.
Una delle volte che mi recai a Trisulti da mio padre, lo
trovai a giocare a tressette, con il vecchio Rivolta (cioè il
padre Costanzo).
Alla fine del dicembre ’44, a presiedere la Provincia era
stato chiamato, l’avvocato Domenico Marzi.
Solo il 21 marzo del ’45, però si insedia la Deputazione
provinciale composta da Alberto Caperna, Angelo
Carboni, Giovanni Carrassi, Costantino Cicchetti,
Raffaele Conti, Luigi Montanelli, Claudio Rea, Armando
Riccardi, Medoro Pallone, Segretario Generale Claudio
Galeno.

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Il 30 maggio 1945 il Comitato unitario delle forze
antifasciste nomina a suo presidente il solito Domenico
Marzi, che passa da una carica all’altra in modo
incredibile, portandosi dietro, come membri delle
cosiddette forze antifasciste, uscite dalla clandestinità e
come tali inesistenti.
Il comitato assume tutto il potere politico che prima era
esercitato quasi esclusivamente dai comunisti.
Il 15 giugno 1946, diffonde un manifesto rivolto
“agli antichi gerarchi fascisti” che invita “i medesimi
alla pala e alla cofana” se vogliono essere perdonati delle
loro azioni”.
Ma guarda un po’, gli ex fascisti, il Comitato ed i partiti
che ne facevano parte, ce li aveva, proprio nelle sue file,
come i Bartoli, i Carrassi, i Conti, i Silvestri ed altri.
Alle ore 0,16 del 9 maggio 1945, all’Istituto militare di
Berlino, con la resa totale e definitiva delle forze armate
tedesche, firmata, contestualmente, dai comandanti
germanici, con quelli dell’ Armata Rossa e delle truppe
alleate occidentali, in Europa la seconda guerra mondiale
è finita.
In Italia la capitolazione dei nazisti aveva determinato lo
sfaldamento della Repubblica di Salò e la guerra tra i
tedeschi e gli alleati anglo-americani era cessata il 25
aprile.
Ma la stessa cosa non si può dire della guerra civile, che
dopo l’8 settembre c’era stata tra le milizie di Salò e le
formazioni partigiani del Nord, e che durerà per qualche
anno, a causa della sete di vendetta che i partigiani di
Tito e i comunisti italiani vollero ancora perpetuare, nelle
regioni del Nord est, i primi e nel triangolo della morte,
in Emilia Romagna, i secondi.

80
In chiusura del Libro “La Guerra a Frosinone 1943 -
1944”, a dimostrazione della loro faziosità, gli autori
hanno perfino il coraggio di riprodurre su “Il Popolano”
della Federazione comunista del 1° Maggio 1945, un
titolo che, più esilarante non potrebbe essere:

“I lavoratori sovietici issano su Berlino


il vessillo della libertà”

81
IV
SUL PALAZZO DELLA PROVINCIA

Piombano i comunisti

Dopo aver narrato le vicende delle cosiddette Bande


partigiane di Alatri, Collepardo, Frosinone Ripi e Fiuggi,
torniamo ora a Frosinone, quando inizia da parte dei
comunisti, l’occupazione illegale del potere politico ed
istituzionale di tutti gli enti provinciali, e locali (senza
avere alcuna legittimazione democratica) a cominciare da
quella dell’1 giugno 1944, quando, come scriverà
l’anziano militante comunista Domenico Marzi ( cfr. “La
Guerra a Frosinone 1943 - 1944 a pag.133): “Mentre
ancora tuonava il cannone e le truppe liberatrici erano
giunte nei pressi della collinetta della S.S.Trinità
l’Amministrazione (sic) prendeva possesso delle
baracche abbandonate dagli amministratori fascisti e
dagli stessi impiegati e si recava a rendere il benvenuto
alle truppe liberatrici “ e ancora “Nella baracca di legno
eretta proprio di fronte al Santuario, e che fungeva da
sede municipale, si insedia, come Giunta comunale
provvisoria, quello che era stato fino ad allora il
Comitato di Liberazione di Frosinone (già il nome è un
falso storico, se è vero che, poco prima il Marzi aveva
detto che l’Amministrazione aveva dato il benvenuto
alle truppe liberatrici di Frosinone. Di quella Giunta,
facevano parte oltre al Marzi (autoelettosi Sindaco) che
la presiedeva, i comunisti Serafino Spilabotte, Vittorio
Antonucci, Giuseppe Angelilli, il socialista Antonio
Spaziani, il democristiano Cesare Marchioni e il Parroco
di S.Maria, Luigi Minotti.

82
Il Comitato di Liberazione, come suoi primo atto
diffonde un proclama, col quale invita i cittadini: “A
manifestare la nostra ammirazione, alle vittoriose truppe
degli alleati che hanno sconfitto a Cassino la roccaforte
ritenuta inespugnabile e che con impeto formidabile
hanno messo in fuga le orgogliose orde naziste iniziando
l’assalto finale contro le bande fasciste e hitleriane”
Anche qui c’è da chiedersi, con quale faccia gli
antifascisti ciociari ancora oggi continuano a rivendicare
a se stessi, la liberazione della nostra provincia dalle
truppe nazifasciste? Quando, alla luce del seguente
comunicato, è vero invece che si sono impossessati,
senza alcuna legittimità, di tutte le istituzioni locali, e di
una gloria che non gli appartiene.

Cittadini

“Il Comitato Nazionale di Liberazione, costituito da tutti


i partiti antifascisti, in accordo con il Governo Badoglio
(fuggito dopo l’ 8 settembre) assume il potere del
Comune. Dopo ventidue anni di dittatura fascista,
riprende la vita civile.
“Chiediamo la vostra collaborazione e la vostra
disciplina! Governeremo con giustizia e con assoluta
franca onestà! Avanti, cittadini, verso la conquista di un
futuro migliore! Lunga vita agli alleati. Lunga vita alla
nostra Italia”
E di conseguenza, come si legge nel Libro:
“La designazione di Marzi a sindaco della città, da parte
del Cnl di Frosinone viene confermata dal nuovo Prefetto
Zanframundo(?) con uno specifico decreto” Ed ancora:

83
“Ma il Sindaco Marzi e la sua Giunta non avevano
aspettato (sic) la formalizzazione del loro incarico per
iniziare a governare la città”.
La prima Giunta comunale si riunisce il 23 giugno 1944,
e subito si preoccupa “di assicurare una sede agli uffici
pubblici, per la ripresa della loro attività e non a caso la
delibera assunta ha per oggetto l’istituzione di un ufficio
tecnico speciale per la ricostruzione della città” ed ad
esso “viene anche dato l’incarico di redigere (addirittura)
un nuovo piano regolatore della città che tenga conto
delle nuove condizioni in cui si trova il centro urbano e
con la stessa delibera vengono nominati Giovanni Carrasi
e Armando Vona, rispettivamente come consulente e
dirigente dell’Ufficio.”
Il primo, guarda caso, sempre comunista (cfr.Libro a
pag.152: “Dall’ inizio del 1943 (ancora sotto il regime di
Mussolini, è direttore dello stabilimento Bosco Faito
(Ceccano) dopo un’esperienza presso l’Ansaldo della sua
città natale.
E’ il primo presidente del dopoguerra
dell’Amministrazione provinciale di Frosinone (giugno-
dicembre 1943) sarà poi dirigente provinciale del Pci,
fino al suo rientro a Genova nel maggio 1945”.
Il secondo democristiano sarà il progettista istituzionale
di tutte le amministrazioni successive.
”Tre giorni dopo si decide tra l’altro la creazione di un
Ufficio Denunce e Recuperi, con il compito di
rintracciare i beni dei cittadini che erano stati
saccheggiati, durante i nove mesi di guerra”. “Un ufficio
che ha bisogno di personale scelto ed in grado di
assolvere il proprio compito, anche nei confronti di
coloro che vorrebbero trattenere ad ogni costo quanto
erano riusciti a trafugare.
84
Affiancano gli impiegati, magazzinieri e facchini, addetti
all’ ufficio, nove guardie comunali provvisorie in
possesso di porto d’armi, con compiti investigativi e di
esecuzione di provvedimenti di recupero”
Non a caso a dirigere queste difficili operazioni vengono
scelti due ex partigiani, Ottavio Volpe e Ugo Parlanti.
Un’ operazione simile, i loro compagni la faranno nel
1945 nel Nord Italia, con il trafugamento dell’ oro di
Dongo.In una seduta del 14 settembre, la Giunta, con
tutti i problemi che in una città distrutta si dovevano
affrontare, si preoccupa invece di cambiare,
arbitrariamente, la toponomastica cittadina, allo scopo di
porre subito il marchio della ideologia marxista, perfino
nelle piazze e nelle strade devastate della città, ancor
prima che fossero riparate e che, al mutamento dei nomi,
provvedesse un governo legittimato dal voto popolare.
“Si pensò di dedicare - scriverà Marzi nella sua relazione
di fine mandato - alcune vie e piazze a nomi noti ed
oscuri, tutti vittime del fascismo” Ed ecco infatti che il
Palazzo dell’Amministrazione Provinciale cambia la sua
denominazione da Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, in
piazza Antonio Gramsci” Intestano cioè, la Piazza più
importante della Provincia, al teorico dell’ “egemonia
comunista”, che, considerate le violenze e le vittime da
essa provocate in tutto il mondo, passerà alla storia come
uno dei peggiori “maitre à pensér” di quella sottocultura.
“La piazza del Distretto diventa Piazza Fosse Ardeatine”
Cioè dedicata alle stragi dei nazisti, che furono causate
dall’ attentato che i Gap comunisti, attuarono in Via
Rasella a Roma, uccidendo 32 soldati tedeschi, pur
sapendo che il loro Comando sarebbe ricorsi alla
rappresaglia, non vietata dalla Convenzione dell’ Aia.

85
“La curva Zallocco, cambia in Largo Giovanni
Amendola” Ma i cittadini di Frosinone la chiameranno
sempre con il suo primo nome. “A due frusinati vittime
del fascismo, Angelo Barletta e Francesco Brighindi,
vengono intitolati un vicolo di porta Romana e la strada
oltre la Provincia, ed ancora Via Sicilia, muta in Via
Giacomo Matteotti, e allo Scalo, viale Libia, diventa
viale don Giovanni Minzoni”.

L’Apologia della Rivoluzione Russa

“L’inaugurazione delle nuove denominazioni si terrà il 7


novembre del ’44, nella solenne celebrazione della
Rivoluzione Russa, quando alle ore dieci tutte la autorità,
convocate dall’ Amministrazione comunale, si riunivano
in Piazza Garibaldi, ove fu tenuto un comizio nel quale
presero la parola i rappresentanti dei partiti di massa”
I quali, vista la fine che farà il comunismo, con circa
100 milioni di morti in tutto il mondo (cfr. “Il libro nero
del Comunismo” a pag. 6) meritano di essere segnalati
alle future generazioni, come i cattivi maestri
dell’antifascismo ciociaro.
Dopo il comizio si forma un corteo di 4 mila persone
che, si reca ad assistere allo scoprimento delle targhe di
marmo con le nuove denominazioni. L’Amministrazione
decide di ricordare anche i tre martiri toscani con tre
croci di marmo sulle loro sepolture provvisorie al
curvone del Viale Principe di Piemonte e nel 1947
provvederà a sistemarvi una lapide con incisi i nomi tre
giovani, che “In questo luogo sotto il piombo di un
plotone di saccardi il 6 gennaio 1944 immolarono la loro
giovinezza.”

86
Molte polemiche si determineranno in città per l’uso del
termine “saccardi”, parola d’epoca medievale
significante genericamente “mercenari devastatori”,
invece di specificare chiaramente nei tedeschi i
responsabili dell’eccidio.
Siamo già in piena guerra fredda e la Germania è ora
alleata dell’Italia nello schieramento occidentale che si
contrappone all’Unione Sovietica.”
E sempre i comunisti al Comune, con Domenico Marzi
(Sindaco) e Gerardina Morelli (Assessore) nel 2004,
faranno erigere nel Piazzale del curvone (diventato Viale
Mazzini) un monumento ai tre martiri, sul quale non c’è
più il termine “saccardi” ma, giustamente, quello della
“ferocia nazista.”

La grande bugia antifascista


sui martiri toscani

Ma , la Giunta rossa del 2006 del Sindaco comunista,


Domenico Marzi, omonimo del nonno Sindaco nel 1944,
con un altro atto di prepotenza, decide di apporre sulla
lapide di quei tre giovani toscani, appartenenti alla
Guardia Nazionale Repubblicana, la sigla dei partigiani
rossi dell’ Anpi, anche se con quel martirio essi non
hanno nulla di cui appropriarsi).
Anche in questa occasione, sorge accesa la polemica da
parte di due periodici di Frosinone “il Cittadino” e
“Flash Magazine” nel dicembre 2005 e gennaio 2006, i
quali con il seguente articolo prendono decisa posizione
contro l’ Amministrazione di sinistra, chiedendone la
cancellazione dal monumento della sigla comunista
dell’Anpi.
87
“Le autorità di Frosinone hanno dedicato un
Monumento in Viale Mazzini, a tre martiri toscani che
furono fucilati dai tedeschi per diserzione dal fronte di
Cassino, dove furono costretti ad andare per effetto del
Bando di Graziani.. Ma quei tre giovani fuggirono pur
sapendo che avrebbero rischiato la pena di morte, e pur
non essendosi arruolati in qualche formazione partigiana,
decisero ugualmente di sottrarsi all’obbligo di aiutare i
tedeschi a combattere i nuovi alleati dell’Italia. Quel
tragico episodio fu assai significativo perché dimostrò
che non era affatto vero che fossero solo i partigiani
antifascisti a boicottare i tedeschi (non a combatterli
perché nessuno ebbe il coraggio di farlo) è invece vero
che vi furono tanti giovani che, pur essendo cresciuti
sotto il regime di Mussolini, dovettero subire
persecuzioni e rastrellamenti sia dai tedeschi sia dai
repubblicani di Salò che li volevano precettare. Ma quei
giovani nessuno li ha mai ricordati solo perché non erano
inquadrati nelle sparute formazioni partigiane, di un
antifascismo, inesistente in tutta la provincia”.

Usurpatori di gloria

Tanto è vero che i tre giovani toscani, fucilati a Frosinone


nel 1944, sono diventati eroi solo dopo che la resistenza
ufficializzata si è appropriata del loro sacrificio e di una
gloria che non le appartiene, e senza aver accertato quali
ideali essi nutrivano verso la Patria, tradita dal Re e da
Badoglio e verso i comunisti italiani, che, apertamente
schierati con l’Unione Sovietica, non vedevano l’ora di
consegnare l’Italia ai partigiani di Tito, come già stavano
facendo con l’Istria e la Venezia Giulia.

88
Si sono chiesti se la lettera di Pier Luigi Banchi,
riprodotta sulla lapide del Monumento sia veramente
quella di un partigiano che scappa per andare a fare il
Natale con i genitori, anziché nascondersi in qualsiasi
zona a sud di Roma, per poi unirsi ad altri compagni?
Ed è un atto degno di un paese civile, l’aver
strumentalizzato, a fini di parte, il sacrificio di decine di
giovani che disorientati dai tragici avvenimenti della
guerra (militare e civile) che aveva travolto l’Italia,
volevano semplicemente tornare a casa, e non avrebbero
mai pensato che sulla loro pelle trucidata qualcuno
potesse apporre il marchio di una ideologia che ra
distante anni luce dalla loro idea di Patria?
E per finire gli storici nostrani, che nel libro “La Guerra
a Frosinone 1943 -1944” riportano il racconto che Otello
Giannini ha pubblicato 20 anni fa, sulla storia dei
disertori repubblicani, perché non ci dicono se hanno
trovato un qualsiasi collegamento che quei 324 giovani
avevano con i partigiani, prima, durante e dopo la loro
cattura?
E quanti e quali, dei 321 sopravvissuti, sono entrati a far
parte della resistenza (toscana e ciociara) che fino al
gennaio 1944 non aveva mai dato dato segni di vita?
E quei pochi antifascisti che in Ciociaria vi sono entrati
poco prima dell’arrivo degli alleati (2-4 giugno 1944)
non erano anche loro gerarchi del regime?
A pag.150:
“Altre due strade della città saranno intitolate a due
frusinati combattenti nelle formazioni partigiane, a
Vincenzo Ferrarelli, Via Cavalli, a Gino Sellari una
stradina all’interno delle case popolari in Via Mazzini”.

89
Non una, che fosse una sola, di strada del Capoluogo che
sia stata dedicata alle truppe alleate (o qualche loro
comandante) che lo stesso comunista Marzi definì le vere
liberatrici della città di Frosinone.
Ma si sa quale sia stata, in tutti i paesi, caduti sotto il
regime sovietico, o sotto i loro sicari nell’Europa
dell’Est, e nell’Italia degli antifascisti rossi, l’ arroganza
e la prepotenza dei comunisti al potere).

Barbari e barberini anche a Frosinone

“Il 27 novembre 1944 Domenico Marzi (sempre lui)


lascia la carica di Sindaco (sic) per assumere secondo la
volontà del Comitato di Liberazione, la presidenza
dell’Amm.ne Prov.le, va a sostituire l’ ingegnere
Giovanni Carrassi, che era stato nominato presidente
dell’ente subito dopo la liberazione dagli stessi
comunisti.
Il cambio viene effettuato per ordine della federazione
provinciale del Pci perché il compagno Carrassi, quale
suo membro dovrà rappresentare il Partito nella
commissione speciale per l’avocazione allo Stato (sic)
dei profitti derivanti da coloro che avevano dato la loro
adesione al regime fascista.” Dai quali poteva venir fuori
un altro tesoro di Dongo.
A pagina 155 - “Già dall’estate del ’44 la vita nella città
va riprendendo nelle piazze sgombrate dalle macerie e
nei pochi palazzi pubblici, che si sono salvati dalla bufera
della guerra, che diventano i luoghi della difficile e
convulsa ripresa della vita amministrativa, politica e
sociale della città.
“Alla Piazza della Prefettura notevolmente danneggiata

90
dai bombardamenti, si sostituisce in primo luogo il
Piazzale del Distretto. Dove si ricostituisce e ricomincia
la sua attività lo stesso Distretto militare, con la chiamata
alla leva per il nuovo esercito italiano, mentre lo stabile
dell’ex caserma dell’ 81° fanteria viene utilizzato, per
una parte dalle scuole medie e superiori, per l’altra dal
carcere giudiziario”.
A proposito dello stabile dell’ex caserma militare, che si
era salvata da decine e decine bombardamenti, a distanza
di 62 anni esatti (nel 2006) ci ha pensato un altro
Domenico Marzi, Sindaco, a distruggerla e consegnarla
alla speculazione edilizia. E qui calza a pennello il
famoso aforisma sul sacco di Roma del 1527: “Quello
che non fecero i barbari, fecero i barberini”
Infatti, sul sacco di Frosinone “Ciò che non fecero, la
guerra e Domenico Marzi, nel 1944, lo fece nel 2006,
l’omonimo nipote Sindaco”
Sulla ex caserma militare, queste le amare considerazioni
che l’autrice del saggio “Caramelle e pidocchi” Floriana
Curti, ha recentemente affidato a Flash Magazine:
“Non mi venite a parlare di carcere perché,
provvisoriamente, è diventato tale, otto dieci anni dopo
la fine della guerra, quando con l’armistizio dell’8
settembre si chiusero le porte della caserma militare.”
“Per me allora bambina, è stato un dolore. Sono cresciuta
tra i militari che per anni sono stati ospiti di quelle mura.
Il ricordo più struggente, ed è stato l’ultimo, quando li ho
visti partire per il fronte russo e nessuno di loro è più
tornato.”
“Finita così la “Divisione Torino” morirono tutti quei
ragazzi di freddo, fame ed in cruente battaglie.”

91
“Io bambina li ho visti sfilare sotto casa e piansi. Si è
salvata dalle bombe “quella vecchia signora”
“Ora, dopo centinaia di anni e tanti ricordi, questi signori
moderni vogliono costruire al suo posto ville per i ricchi,
mandando all’aria la storia, perché di storia si tratta. Se
potessero parlare quelle mura ne avrebbero di cose da
raccontare ed i politici che hanno permesso tutto questo
si dovrebbero… “vergognare”. “Invece”… via con la
ruspa!”
Sì, quella caserma da dove partirono quei giovani, senza
far più ritorno in Patria, ne avrebbe avute tante di cose da
raccontare, di. guerra e di prigionia. Ci avrebbe fatto
capire anche il perché, a differenza di altri fronti, da
quello russo-sovietico, non sia più tornato il 90 per cento
dei nostri prigionieri. E non è forse questo unoi dei
motivi per cui i nipotini di Stalin e di Togliatti, nel
distruggere la caserma della gloriosa “Divisione Torino”
abbiano pensato di cancellare anche queste tracce del
loro truce passato?
Il vero motivo per cui, anche il 90 per cento dei giovani
della Divisione Torino non siano più tornati, facciamolo
dire a Maria Teresa Giusti che nella documentata ricerca
“I Prigionieri italiani in Russia” (Editrice “il Mulino”
2003) a pagina 53 racconta:
“Gli esponenti del Pci a Mosca, in particolare Palmiro
Togliatti e Vincenzo Bianco dovevano essere
sicuramente informati su quanto era accaduto al fronte e
sull’odissea che stavano vivendo i prigionieri loro
connazionali. Bianco, in particolare, il cui ruolo politico
lo portava a visitare i lager dove si trovavano gli
italiani,inviò a Togliatti il 31 gennaio 1943 la ben nota
lettera:

92
“Ti pongo una questione molto delicata di carattere
politico molto grande. Penso che bisogna trovare una via,
un mezzo per cercare di porre il problema, affinchè non
abbia a registrarsi il caso che i prigionieri di guerra
muoiano in massa come è già avvenuto. Non mi
dilungo.Tu mi comprendi, perciò lascio a te la forma per
farlo”

La risposta di Togliatti a Bianco

Fu data il 15 febbraio e diceva.


“L’altra questione sulla quale sono i disaccordo con te è
quella del trattamento dei prigionieri. Non sono per
niente feroce come tu sai. La nostra posizione di
principio rispetto agli eserciti che hanno invaso l’Unione
Sovietica, è stata definita da Stalin, e non vi è più niente
da dire. Nella pratica, però, se un bel numero di
prigionieri morirà in conseguenza delle dure condizioni
di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire.”
“Anzi. E ti spiego il perché. Il fatto che per migliaia e
migliaia di famiglie la Guerra di Mussolini e soprattutto
la spedizione contro la Russia si concludano con una
tragedia, con un lutto personale, è il migliore, e il più
efficace degli antidoti. I massacri di Dogali e di Adua
(nel 1896 in Eritrea - n.d.a) furono uno dei freni più
potenti allo sviluppo dell’imperialismo italiano.”
Dobbiamo ottenere quindi che la distruzione dell’Armata
italiana in Russia abbia la stessa funzione oggi.”
“Ma nelle durezze oggettive che possono provocare la
fine di molti di loro non riesco a vedere altro che la
concreta espressione di quella giustizia che il vecchio
Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.”

93
Nel diario di Georgj Dimitrov (Primo segretario del
Comintern) viene registrato l’incontro con Bianco del 16
marzo:
“Bianco mi ha informato sul suo viaggio nel campo per
prigionieri di guerra di Tiomnikov (n.58 Mordovia)
(4.500 italiani, 10.000 romeni, 1.000 tedeschi e altri).
Una enorme mortalità. Deficienze nel campo.
Impostazioni sbagliate del comandante del campo, ecc.
Gli ho chiesto di consegnare una relazione scritta su
questa questione per portarla a conoscenza delle relative
istante.”Infine, Bianco scrivendo il 24 marzo al generale
maggiore Georgij P.Petrov dice: “I prigionieri non
avevano scarpe, non potevano lavarsi; per debellare i
pidocchi l’amministrazione del lager aveva privato i
prigionieri delle giubbe imbottite, invece di sottoporli a
disinfestazione.”

Grave grave errore politico

Sui problemi del lavoro

A pagina 156 - A conclusione della ricognizione, che


nel Libro si fa, dei luoghi dove riprende la vita della città,
gli autori mettono in risalto l’importanza sugli uffici del
potere, di cui Marzi & Compagni, si sono impossessati
come se fosse cosa loro: “Ma il luogo che va prendendo
sempre più importanza per la vita politica ed
amministrativa è senz’altro il palazzo dell’
Amministrazione provinciale dove, come vedremo, si va
concentrando la maggior degli uffici e dei servizi.” Già
nei primi giorni dopo la liberazione, gli alleati si erano
posti, tra gli altri:
94
“Il problema della vita civile e sociale, a cominciare dai
problemi del lavoro e dell’attività produttiva.”
Il 4 agosto, infatti, entra in vigore l’ordine della
Commissione alleata di controllo, riguardante il lavoro e
le paghe. Il primo articolo proclamava lo scioglimento
delle corporazioni sindacali esistenti e l’ abrogazione di
tutte le leggi che le autorizzavano ad operare.
Il secondo articolo stabiliva: “Da oggi tutti i datori di
lavoro ed i lavoratori potranno creare nuove
organizzazioni del lavoro per contratti collettivi e per
altri scopi legali da essi desiderati. Lo stesso articolo
ufficializzava la creazione dell’ufficio regionale del
lavoro e dei relativi uffici provinciali”
A pagina 158 - L’intento del Comando alleato, in teoria,
sembrava utile e necessario alla nuova situazione che la
guerra aveva determinato anche in quel settore della vita
economica e sociale dei territori liberati, ma presto si
dimostrerà essere stato un grave errore politico, perché
con quel provvedimento si andava ad aprire la strada
all’egemonìa comunista, attraverso la Cgil, anche nei
rapporti di lavoro. Quando, più logico e realistico sarebbe
stato rivedere ed aggiornare il funzionamento delle
corporazioni esistenti, per aprirle al pluralismo sindacale,
al fine di evitare che alcuni di essi diventassero,
sindacato di un altro regime, come subito dopo avverrà
con la Cgil.
Le zone industriali

Ridotte fabbriche di disoccupati

Infatti avendo voluto l’abolizione dei sindacati di un


regime autoritario, quale era il fascismo si sono di fatto

95
aperte le porte ad un sindacato totalitario, di tipo
sovietico, quale poi è stata la Cgil fino agli anni ’50.
L’ufficio provinciale del lavoro intanto si insedia presso
il palazzo dell’Inam, (costruito dal fascismo, come tutti
gli edifici più importanti di Frosinone e provincia) e la
Cgil si impossessa contemporaneamente del “garage
dell’ex caserma dei Vigili del Fuoco in piazza Aonio
Paleario, con un comitato provvisorio, composto (come
volevasi dimostrare) dal comunista Antonucci, dal
socialista Friggi, e dal democristiano Chiappini mentre la
carica di segretario unico sarà assunta dal comunista
Danilo Riveda.
La Federterra, ospitata negli stessi locali, viene affidata
alla vendetta dell’ex perseguitato politico Medoro
Pallone, che va già organizzando le prime lotte contadine
nelle campagne di Frosinone e di tutta la provincia.
Ma anche l’Ufficio del lavoro e la Cgil anziché
collaborare alla ricostruzione della città distrutta, ed
attendere il ritorno di tutti gli uffici pubblici, trasferiti a
Fiuggi dopo i bombardamenti sul Capoluogo, si
impegnano invece ad esercitare il loro ruolo di pressione
sui datori di lavoro, pubblici e privati, che servirà ad
esasperare più che a comporre i conflitti di lavoro, e ciò
accadeva in quelle zone della provincia dove sarebbe
stato necessario favorire la ripresa industriale, e non
scoraggiarla.
Tanto è vero che quelle zone, da industriali che erano,
sono diventate, a causa degli scioperi, veri e propri
cimiteri degli elefanti, e fonte continua di
disoccupazione.

96
Intanto con “il Popolano”
di Renzo Silvestri

Arriva “ L’ Epurator”

Con la Commissione provinciale per l’epurazione, con


sede nel Palazzo Gramsci comincia subito la politica
delle vendette e delle ritorsioni contro tutti quei fascisti
che dopo l’8 settembre, anziché accodarsi ai voltafaccia
che diventarono antifascisti e partigiani, preferirono
appartarsi in attesa che la situazione caotica, che si era
creata da Roma in giù, avesse fine.
Ed allora da parte dei salvatori della patria, confluiti nel
C.N.L. “Prima che pane e farina, prima che casa e lavoro,
c’era innanzi tutto l’Epurazione”.
Con questo titolo infatti inizia il Capitolo 21, della
meticolosa e documentata cronistoria del secondo
dopoguerra in Provincia di Frosinone, ricostruita da
Costantino Jadecola, in “Mal’aria” (Edizioni Centro
Studi Sorani 1998)
“E’ l’estate del 1944 e il dramma della guerra è intatto
davanti agli occhi di chi è ancora traumatizzato da una
tragedia costretto a sopportare suo malgrado quando
questa parola, epurazione, che puzza di vendetta lontano
un miglio, incomincia a ronzare nell’aria. E proprio
“Epurazione” è il titolo di un articolo pubblicato sulla
prima pagina del primo numero de ‘Il Popolano”del
settembre 1944 a cura della Federazione Provinciale del
Partito Comunista Italiano’
Ma guarda un po’, il periodico era diretto da quel Renzo
Silvestri che il comunista Luciano Bartoli, nelle sue
memorie di qualche anno fa, lo ricordava:

97
“Alto e prestante con la divisa del GUF completa di
stivali, che gli dava un’ imponenza ed un’eleganza che io
invidiavo, come suo compagno di Liceo a Frosinone e di
Università alla Sapienza di Roma”
(n.d.a. - All’epoca La Sapienza era frequentata anche da
mio fratello Silvio, loro coetaneo, prima che partisse per
il Fronte Russo, nel settembre 1942, da dove non è più
tornato).
Ne “il Popolano” l’ex fascista Silvestri, nel
rammaricarsi del ritardo con cui opera la Commissione
per l’epurazione, proprio lui si mette a dare lezioni di
democrazia e di moralità politica ai suoi ex camerati,
bollandoli come dei voltafaccia, pronti a salire a volo, sul
carro del vincitore.
“Infatti in tutti i piccoli e grossi centri, da Frosinone a
Fontanaliri, da Ceprano a Sora, da Falvaterra a Ferentino,
fascisti e collaboratori dei tedeschi, ripreso coraggio
dopo la prima scossa subita dopo l’arrivo degli alleati, si
aggrappano ai vecchi posti di comando e manovrano in
mille modi per crearsi una.. coscienza adatta all’ora che
volge.”
“Non solo ma quelli che erano andati su, fianco a fianco
con i tedeschi ed i repubblichini fino ad Arezzo, sentita
l’aria infida d’oltr’Alpe, ritornano e si presentano negli
uffici pubblici e privati, per riprendere quei posti
abbandonati allo avvicinarsi della tempesta dell’8
settembre 1943.”
“Il fenomeno a cui assistiamo non ci stupisce gran che
poiché esso è di carattere generale e non particolare e
dovrà aver termine tra non molto, quando le
Commissioni per l’epurazione, cominceranno a
funzionare anche nella nostra provincia.”

98
Ma il nostro ex fascista, udite udite, cos’altro scrive sul
n.6 de “il Popolano” dell’aprile 1945, che lui dirige:
“Democratizzare gli uffici vuol dire portare nelle
Amministrazioni uomini scelti dal popolo, con atto di
volontà di popolo; spogliarsi di quell’abito e della
vernice di inaccessibilità per ricordarsi di essere figli del
popolo, di quel popolo che non può che chiedere avendo
tutto perduto.”
“Invece si nominano nei comuni e negli uffici uomini
dallo spirito gretto, che vedono ancora nell’operaio e nel
contadino il servo della gleba e che sbraitano ed urlano.
Sono spesso gli uomini di ieri, i servi in livrea del
padrone tedesco o fascista; spesso si allontanano quelli
che godono della fiducia del popolo per dar posto a
questi che il popolo ha condannato. Noi comunisti siamo
decisi ad impedire che ciò avvenga, noi vogliamo che
contro tutte le manovre della reazione, la nuova
democrazia non sia insidiata dai nemici del popolo”
Quando lanciava questi anatemi, il comunista Silvestri,
insieme al padre Consalvo, ed ai fratelli Raul e Aldo,
avevano già occupato militarmente tutti i posti del potere
disponibili.
A cominciare dalla Federazione del Partito Comunista
di Piazza Garibaldi, dove i Silvestri e i Pietrobono, pur
non essendo di Frosinone vi si insediarono per primi, e
dove il primo atto che fecero fu la espulsione di Luciano
Bartoli, con l’ accusa di attesismo e di collaborazionismo
dei tedeschi, nonostante che insieme al fratello Augusto
Bartoli, fossero stati i soli a portare a termine l’unica
azione di fuoco contro i tedeschi, in località Pitocco di
Vico nel Lazio, già raccontata, nel capitolo “Poveri
oscuri eroi”.
99
A continuare, con il padre dei Silvestri, Consalvo, che fu
il primo ad essere nominato Segretario Generale della
Provincia, subito dopo che i comunisti, partiti da Piazza
Garibaldi, con un corteo di circa mille persone al grido di
“Tutti a Palazzo Gramsci” e cantando “Bandiera rossa la
trionferà”, andarono ad occupare con prepotenza tutti gli
uffici che vi si trovavano, celebrando in tal modo, la
Rivoluzione d’ottobre, del 1917, ma anche la conquista
del Palazzo d’Inverno effettuata in Russia, dai
bolscevichi.
Dopo di che, oltre a Consalvo Silvestri vi sistemarono i
comunisti Giovanni Carrassi, Domenico Marzi ed Oreste
Cicalè, senza neppure attendere e rintracciare i vecchi
funzionari e dipendenti della Provincia, che a causa dei
bombardamenti su Frosinone erano stati costretti a
trasferirsi a Fiuggi e in altre località dei Monti Ernici,
dove molti cercarono di rifugiarsi.
Poi, man mano che passavano le settimane e i mesi,
l’occupazione illegale della Provincia, divenne totale.
Infatti, già nel dicembre 1944, a presiedere la Provincia
fu imposto Domenico Marzi, che ai primi di giugno si era
già autonominato Sindaco di Frosinone.
Tre mesi dopo, si insediò la Deputazione provinciale,
composta da: Alberto Caperna, Angelo Carboni,
Giovanni Carrassi (sempre lui) Costantino Cicchelli,
Raffaele Conti, Luigi Montanelli, Claudio Rea, Armando
Riccardi, Medoro Pallone (segretario Claudio Galeno).
Alcuni di questi facevano già parte del Comitato di
Liberazione, costituitosi clandestinamente nel gennaio
1944 sotto l’occupazione tedesca, con i soliti: Domenico
Marzi e Serafino Spilabotte per Frosinone, Raffaele
Conti, per Fiuggi, Cesare Baroni per Alatri, Zanetti e

100
Carrassi, per Veroli e con l’adesione di Enrico Giannetti
di Paliano.
Sempre alla Provincia, si era formato anche un centro di
coordinamento militare presieduto, dai comunisti Marzi,
Spilabotte e Carrassi, e in esso erano confluite tutte le
forze antifasciste, le bande e i gruppi della resistenza che
avevano operato in tutto il territorio provinciale.
Ma tutti questi organismi, dove entravano e uscivano,
come in una giostra del Luna Park, sempre le stesse
persone, ognuna con più incarichi e funzioni, in forte
conflitto d’interessi tra loro, subito dopo il 25 aprile
1945, entreranno in crisi, perché i comunisti, dopo
essersi appropriati delle leve più importanti del potere,
difficilmente sono disposti a lasciarle.
Del resto, questa sete di egemonìa (e di vendetta)
ereditata dal loro filosofo Antonio Gramsci, traspare in
modo costante ed ossessivo in tutti i numeri de “il
Popolano” soprattutto attraverso gli articoli del suo
direttore Renzo Silvestri, che per la ortodossia marxista
di cui fa sfoggio continuo, diventerà l’ideologo del
Partito. fino al 1953 quando sarà eletto deputato. ed il cui
profilo personale, viene così tratteggiato sul sito web del
suo paese di nascita, Ripi. “Un signore distinto al pari di
un gentleman inglese, sedeva sulle poltrone della Camera
dei Deputati e rappresentava tanti elettori di Ripi e del
Lazio. Dotato di fine oratoria, cesellatore della lingua
italiana, nato a Ripi nel 1919, venne eletto deputato per
due legislature, dal 1953 al 1963, nelle file del Pci, poi
del Psdi. “Precursore dello strappo con Mosca, militò,
successivamente nel Partito Socialdemocratico di
Saragat. Ha ricoperto la carica di Sindaco di Fiuggi, ed è
stato membro della Corte dei Conti.”

101
A posteriori, per tutto ciò che scriveva su “il Popolano”
si può ben dire che l’intemerato ideologo comunista, era
soltanto un cattivo maestro; perché è proprio per codesti
dorati incarichi pubblici, che anche lui figura nel libro
nero dei profittatori del regime partitocratico
(cfr.Espresso febbraio 2007) che sotto questo aspetto, si
è dimostrato peggiore del regime Fascista, che i suoi
dirigenti, specialmente al livello locale, li sceglieva “tra i
non professionisti della politica, di riconosciuta capacità
e probità, e soltanto se, come funzionari onorari,
ponessero il massimo scrupolo nella rigorosa gestione del
denaro pubblico” .

“il Popolano”
(Diretto da Renzo Silvestri)

Sui profitti del Fascismo

Dicembre 1944 - Come si applica la legge a Torino e


a…Frosinone:
“Si tollera che a Frosinone nella Commissione Speciale
per i profitti di regime, il Giudice Caravaggio, adotti un
sistema apertamente dilatorio, si tollera che la proprietà
del senatore Parodi, noto pescecane fascista, continui ad
essere utilizzata dallo stesso senatore, senza nemmeno un
sequestro conservativo, malgrado l’esplicita denunzia di
uno dei commissari.
Si tollera che dopo 5 mesi, né per Pirolli, né per
Bergamaschi, né per Zeppieri, né per Perinelli si sia
conclusa una pratica qualsiasi.”
“Il Popolano” (nono numero del 1945): “Si tollera che il
signor Commendatore Guglielmo Visocchi, ex Segretario

102
del Fascio di Atina, ufficiale della Mvsn, già duce
dell’Opera nazionale Balilla, si trovi ancora a piede
libero?”
“La cosa non è poi così straordinaria ove si pensi che, nel
sud d’Italia i fascisti possono ancora girare liberamente
per quelle contrade che hanno contribuito a distruggere,
continuare a far quattrini, sfruttando il lavoro degli
operai. Ma c’è di peggio. Il Visocchi feroce antagonista
del degno collega Bergamaschi, amico intimo e compare
del Generale Umberto Ricci, vuol farsi passare oggi per
antifascista. Facciamo di meglio: lo segnaliamo alla
Questura perché provveda a sgomberare le strade di
Atina da questo residuo del passato, per il quale, come
per tutti gli elementi della sua risma, la parola
democrazia deve significare condanna.”
Intanto a pag. 207 di “Mal’aria”, si nota: “con il passare
del tempo, si ha come l’impressione che sui profitti del
regime, la Commissione non sortisca gli effetti sperati”
E ciò accadeva perché di arricchimenti illeciti da
contestare a carico dei gerarchi fascisti, si troverà ben
poco, anzi nulla, dal momento che la loro attività politica,
era a titolo gratuito, e non prevedeva appannaggi e
privilegi di natura economica.

103
“il Cittadino”
(Diretto da Colombo Incocciati)

Sui profitti della partitocrazia

Oggi 2007, sotto la Repubblica, fondata


sull’Antifascismo e la Resistenza, la musica sui costi
della politica è quella che si suonava sul Titanic prima di
affondare, perché rispetto agli inesistenti “Profitti di
regime” sotto il Fascismo, sono i privilegi, e gli sprechi
di questa classe dirigente, la vera vergogna del Paese.
Sono di data recente i dati pubblicati, prima dall’Espresso
e poi da due giornalisti del Corriere della Sera, dai quali
viene fuori che la nomenclatura che ci ha governato
finora, è la più pagata del mondo, e che le Istituzioni
dello Stato, a tutti i livelli, hanno costi smisuratamente
superiori a quelli di tutte le democrazie occidentali.
Gli esempi eclatanti di questa situazione, riguardano sia
le pensioni d’oro dei parlamentari, sia le spese di
gestione e di rappresentanza della massime istituzioni
dello Stato come la Presidenza della Repubblica, la
Camera, il Senato, e la Corte Costituzionale. .
Le pensioni dei parlamentari, attribuite a soli 50 anni,
oscillano da euro 3.108 (£. 6 milioni ) mensili, ad euro
9.947 (£. 18 milioni) mensili, rispettivamente, con soli 5
anni di mandato, la prima, e con 35, la seconda.
E si tratta di pensioni cumulabili con qualsiasi altro
reddito, cosa assolutamente vietata a tutti gli altri
cittadini..
Il fenomeno delle pensioni d’oro dei parlamentari, è più
esteso e più grave di quello che riguardava i protagonisti
di Tangentopoli, dato che non vi sono poi, grandi

104
differenze, tra quei campioni del malaffare, e coloro che
si arricchiscono con la politica, rubando la buona fede dei
cittadini, e di coloro che, per farli eleggere li presentava
agli elettori, come campioni di onestà.
E come possono giustificarli ed assolverli quei cittadini
che, dopo aver lavorato per 35 o 40 anni, senza
aspettative, e senza contributi figurativi, si trova in
pensione, con 1.000 o 1400 euro mensili?
Nella miriade dei signori della politica, che godono di
codesti trattamenti dorati vi sono anche i parlamentari
ciociari, di ogni partito, anche e soprattutto di quelli
antifascisti, che, subito dopo la caduta del Fascismo, si
preoccuparono di recuperare i profitti di regime, con ben
magri risultati. Ma ora gli italiani scoprono che, anche
nella nostra provincia, oltre al deputato comunista Renzo
Silvestri, che faceva l’ “Epurator”, vi numerosi altri
cattivi maestri di moralità politica, da ricordare:
Domenico Marzi senior, Angelo Compagnone, Tullio
Pietrobono, Renzo Silvestri, Franco Assante, Emanuele
Lisi, Ignazio Senese, Giacinto Minnocci, Dante
Schietroma, Romano Misserville, Lino Diana, Gerardo
Gaibisso (l’unico a dire che si vergogna di prendere 15
milioni al mese di pensione, ma se li tiene) Augusto
Fanelli, Giulio D’Agostini, Paolo Tuffi, Massimo Struffi,
Michele De Gregorio, Giuseppe Alveti, Cesare Amici,
Lucio Testa ecc. Con i quali è bene ricordare anche i
consiglieri regionali, che godono di privilegi e pensioni,
simili a quelli dei parlamentari.
Ed ora parliamo dei privilegi e degli sprechi, che si
verificano nelle più alte istituzioni dello Stato, e che
fanno della nostra Repubblica la più corrotta tra tutte le
democrazie occidentali.
105
Udite, udite, quanto ci costano la Presidenza della
Repubblica, la Camera, il Senato e la Corte
Costituzionale.
Vediamo cosa ci dice la recensione del libro “La Casta”
di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, per la Rizzoli
Editore. Contenuto: “Aerei di Stato che volano 37 ore al
giorno, pronti al decollo per portare eccellenza anche a
una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a
peso d’oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici
quadruplicati rispetto a quando furono abiliti dal
referendum.”Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle
spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più
“virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni.
Spese di rappresentanza dei governatori fin o a dodici
volte più alte di quelle del presidente della Repubblica
tedesco. Province che continuano ad aumentare
nonostante da decenni siano considerate inutili. Indennità
impazzite al punto che il Sindaco di un paese aostano di
91 abitanti può guadagnare quanto il suo collega di una
città di 249 mila. Candidati “trombati” consolati con 5
buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’auto bleu.
La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua
caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia
insaziabile ed abbia allagato l’intera società italiana.
Storie stupefacenti, numeri di bancarotta, aneddoti
spassosi nel reportage di due grandi giornalisti. Un
dossier impressionante, ricchissimo di notizie inedite e
ustionanti. Che dovrebbero spingere la classe dirigente a
dire: basta!”
EURO
1.927.600.000
Pari a 4 mila miliardi di lire

106
E’ la spesa che grava ogni anno sui cittadini, per il
mantenimento del Quirinale (217 milioni di euro), la
Camera dei Deputati (Un miliardo, 128 milioni e 200
mila euro) e il Senato (582.milioni e 200 mila euro) con
relative indennità e rimborsi (Circa 200 mila euro).
Tutto ciò significa che le spese dei Palazzi della politica
italiana sono quasi pari alla spese dei Palazzi di Francia,
Spagna e Inghilterra messe insieme, se è vero che la
Spagna (con 696 milioni di euro) sopporta una spesa,
pari a 1/3 di quella dell’Italia, la Francia (con 930
milioni) di circa la metà, e l’Inghilterra (con 443 milioni)
di 5 volte inferiore a quella dell’Italia.
Facendo un passo indietro, nella consultazione del
prezioso documento, che Costantino Jadecola ci ha
fornito con il suo volume “Mal’aria”, a pagina 72 si
legge che, all’inizio del 1945:
“Uno dei tanti problemi imposti dalla realtà
dell’immediato dopoguerra è quello dell’assistenza ai
reduci ed ai prigionieri di guerra”.
Sui quali il direttore de “il Popolano” Renzo Silvestri
pontifica: “Sarebbe criminale se noi non pensassimo
essere nostro dovere fare tutto il possibile per accoglierli
degnamente; dobbiamo mobilitare tutte le nostre forze
per aiutarli a superare la crisi, per procurare loro alloggio,
cibo, indumenti, lavoro; anche attraverso “la tangibile
dimostrazione” di una “fraterna solidarietà. Soprattutto -
sottolinea Silvestri - paghino una volta tanto i ricchi!
Sentano una volta per sempre, questi signori,
l’imperativo categorico dell’ora, diano essi una parte
delle ricchezze accumulate durante e dopo la guerra, per
soccorrere coloro che tutto lasciarono nel vortice della
guerra.”
107
Il problema però per l’autore di “Mal’aria” non è,
giustamente, di mera sopravvivenza per i rimpatriati, ma
anche di coloro che non hanno la fortuna di fare ritorno a
casa, e si citano, attraverso il Popolano, numerosi casi di
prigionieri morti nei campi di prigionia, in Germania, in
Jugoslavia, a Brescia, e a Bergamo, ma nessuno di
prigionieri morti in Russia. anzi il Popolano scrivendo di
questi ultimi, commenta:
“Senz’altro migliore è la situazione di quei prigionieri
che si trovano ancora (sic) nell’Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche, e che affidano un saluto per i loro
cari e per le loro famiglie ad una delegazione provinciale
del Pci recatasi in Russia nell’estate del 1945” e citando i
nomi di 6 prigionieri e dei rispettivi paesi d’origine.
C’è di più “il Popolano” del dicembre 1945, nel fare il
resoconto di un comizio tenuto a Roccadarce, dal
“compagno Giannetti” (partigiano della prima ora e
membro del C.n.l.. per fare la commemorazione del XX°
anniversario della Rivoluzione d’ottobre, coglie l’
occasione per speculare sui prigionieri italiani in Russia,
nel modo che segue:
“Alla presenza di un foltissimo gruppo di compagni e
simpatizzanti, costituisce l’occasione per consentire ad
alcuni reduci, molti dei quali liberati dai soldati sovietici,
di ricordare riconoscenti il fraterno trattamento ricevuto:
ci hanno liberati, ci
hanno curato, ci hanno ridati alle nostre famiglie, in
ansiosa attesa. Se avessero tardato ancora dieci giorni
saremmo tutti morti per i maltrattamenti dei tedeschi.”
Per giudicare se sia attendibile o meno queste verità
comunista sul trattamento ricevuto dai prigionieri italiani

108
in Russia, qui si i riportano i dati che un manifesto che la
D.C. affiggeva in tutte le piazza d’Italia prima delle
elezioni 18.Aprile 1948, che è la più eloquente
testimonianza sulla tragedia dei prigionieri italiani in
Russia.

I nostri prigionieri

Negli Stati Uniti 125.000


(tutti tornati)

In Inghilterra e colonie 408.000


(tutti tornati)

In Francia e colonie 37.500


(tutti tornati)

In Russia 80.000
(ritornati solo 12.540)

Perché gli altri non tornano?

La risposta a questo interrogativo fu data da Palmiro


Togliatti al suo compagno di Partito il 15 febbraio ed il 3
marzo 1943, che il lettore può rileggersi alle pagine 92 e
93 di questa pubblicazione.

109
V
GUERRA E DOPO GUERRA
Nella provincia

Fiuggi rischiò la distruzione.

Il 9 Settembre 1943 - L’annuncio dell’Armistizio tra


l’Italia e gli Anglo-Americani, lo sentii il giorno prima, per
radio alla stazione di Alatri, mentre aspettavo il trenino per
tornare a Fiuggi. Tra i pochi viaggiatori, che attendevano
insieme a me il trenino della Stefer, si avvertì subito
un’atmosfera, allo stesso tempo di gioia e di tristezza.
I motivi erano facilmente intuibili. La nostra Patria, con
quell’annuncio, poneva fine sì alla guerra in cui si trovava
dal 10-6-1940 contro la Francia e l’Inghilterra e poi anche
contro gli Usa. Ma l’armistizio significava anche che
l’Italia si dissociava dall’alleato tedesco, con il quale era
entrata in guerra e che da quel momento doveva stare
attenta alle reazioni, certamente negative, che la Germania
di Hitler avrebbe avuto con noi dopo l’armistizio, che, è
d’uopo ricordare, il Governo Badoglio aveva segretamente
firmato con le potenze occidentali.
L’esercito di Hitler, in quel periodo, si trovava fianco a
fianco, con il nostro esercito su molti fronti. Ma anche sul
territorio del nostro Paese, a cominciare dalle regioni
meridionali, come la Sicilia e la Calabria, dove italiani e
tedeschi si erano ammassati per fronteggiare insieme
l’invasione dell’Italia da parte degli anglo americani; i
quali dopo lo sbarco in Sicilia erano in continua avanzata
verso Salerno e Napoli. Nell’Italia Centrale, nella nostra
provincia, e a Fiuggi, la situazione era stata alquanto
tranquilla, ma dopo l’8 settembre, divenne assai
movimentata e piena di pericoli.

110
Infatti. proprio il giorno dopo l’Armistizio, e la notte del
9 settembre, Fiuggi rischiò di essere distrutta dagli aerei
alleati. E fu quando, una divisione corazzata tedesca
dovette invertire la rotta, da sud a nord, proprio perché
l’Italia si chiamava fuori dalla guerra, contro le potenze
occidentali. E fu quando quella divisione, mentre stava
andando in direzione di Frosinone, nel pomeriggio dell’8
settembre si era fermata a Fiuggi.
Ricordo come se fosse oggi, la presenza massiccia di
quella divisione in Piazza Trento e Trieste. Stavo
affacciato con i miei amici sul muretto della chiesa di
Santa Chiara, quando vidi arrivare una colonna
interminabile di automezzi cingolati e corazzati, ed una
quantità enorme di autocarri pieni di soldati tedeschi.
L’autocolonna aveva la testa, in Piazza Trento e Trieste,
che si stata riempiendo, e la coda sulla strada di Via Diaz,
nei pressi della Casa del Maestro.
Era quindi lunga un paio di chilometri. Fece sosta nella
Piazza del Comune per tutto il pomeriggio, ma poi alla
sera, dal tramonto a notte inoltrata, si rimise in movimento
per tornare a Fiuggi Fonte, e poi dirigersi verso Colle
Borano, da dove, per la strada di Anagni, avrebbe
proseguito verso Roma, passando dai Castelli Romani.

Frascati e Frosinone bombardate

Fu nella notte, tra l’8 e il 9 settembre, che si verificò il


bombardamento di Frascati, da parte degli aerei alleati.
Il motivo, come si seppe subito dopo, era stato quello di
annientare proprio la divisione che era partita da Fiuggi, e
che non fu affatto colpita da quel bombardamento, perché
doveva essersi fermata nei boschi in prossimità della città
di Frascati, che fu invece pesantemente colpita e dovette
contare migliaia di morti
111
Di qui la deduzione che, se quella divisione, la sera del
nove, fosse rimasta in Piazza Trento e Trieste, Fiuggi
avrebbe probabilmente subìto la sorte sfortunatamente
toccata all’ altra città laziale.
Ricordo inoltre chiaramente che la notte tra l’11 e il 12
settembre le sirene della Fonte Anticolana urlarono per
interi quarti quarti d’ora, per annunciare il passaggio degli
aerei. La quasi totalità della popolazione fu costretta a
lasciare il paese per rifugiarsi nelle cantine, o nei pagliai,
fuori le mura del centro storico, ma anche in campagna, e
negli spazi aperti, lontani dalle abitazioni.
Mia madre, senza mio padre e mia sorella Concetta, che
non uscivano mai durante gli allarmi aerei, decise di
andare, ed io la seguii, dove tante altre famiglie erano già
andate, nel piazzale superiore della Villa Comunale.
Da lì assistemmo per ore e ore, non solo al passaggio
delle fortezze volanti che andavano verso nord, ma anche
al terribile bombardamento che quella notte si verificò su
Frosinone.
Assistemmo insomma ad uno spettacolo di fiamme e di
fumo che in continuazione si alzava sul cielo del
Capoluogo ed ai tremendi boati delle bombe che, sulla scia
dei razzi illuminanti, si abbattevano a grappoli su quella
zona, dove l’obiettivo, più che l’ abitato di Frosinone
doveva probabilmente essere la stazione ferroviaria, o il
campo d’aviazione.
Le notizie che giunsero nelle prime ore dell’alba, quando il
bombardamento era finito, erano assai tristi, perché si
seppe che i danni ingenti erano stati procurati al Centro
storico, dove una ventina di cittadini erano rimasti sotto le
macerie, mentre la stazione ferroviaria non aveva subito
alcun danno.

112
Fiuggi: Sede della Provincia

I tragici effetti di quel primo bombardamento su


Frosinone si videro nei giorni successivi, quando a
Fiuggi, cominciarono ad arrivare intere famiglie, che
scampate al bombardamento di quella notte, andavano alla
ricerca di luoghi sicuri, per affrontare più tranquillamente
il prossimo futuro.
I frusinati insomma cercavano rifugio sia nelle vicine
campagne di Torrice, di Ripi, di Arnara e di Veroli, sia nei
paesi montani degli Ernici (Collepardo, Guarcino, Vico nel
Lazio, Trivigliano e Fiuggi. In quest’ultimo, in seguito ai
bombardamenti che ripetutamente si verificarono sul
capoluogo, furono trasferiti anche molti uffici pubblici
della Provincia, dalla Prefettura, alla Banca d’Italia, dagli
Uffici Finanziari, al Provveditorato agli Studi, e via via
tutti gli altri.
Col passare delle settimane Fiuggi era diventata come una
città aperta, cioè tutelata dalle incursioni di natura militare,
aerea o terrestre.
Questa sicurezza le venne garantita sia perché si trovava
distante dalle importanti vie di comunicazione (Casilina e
Sublacense) che i tedeschi preferivano per i loro
spostamenti, sia perché le sue strutture ricettive furono
trasformate dai tedeschi in veri e propri ospedali; dove
vennero ricoverati, non solo i loro soldati feriti al fronte di
Cassino, ma anche i soldati feriti, fatti prigionieri, degli
eserciti nemici.
A questa funzione furono destinati, soprattutto i grandi
alberghi, come il Palazzo della Fonte, il Salus e il Silva,
sul tetto dei quali
vennero dipinte delle grandi croci rosse per evitare che gli
aerei li prendessero di mira.

113
Ma anche di comandi militari

In altri alberghi come il Vallombrosa e l’Universo a


Fiuggi Fonte, entrambi circondati dai boschi, i tedeschi
cercarono di occultare i comando e gli uffici del
Maresciallo Kesserling. Il quale, dirigeva tutte le
operazioni del fronte meridionale della guerra contro gli
alleati. A Fiuggi città, vennero utilizzati a vari scopi la
Casa del Maestro, come centro di prima accoglienza dei
civili feriti e degli sfollati da frosinone e dalla zona di
Cassino, l’Albergo Falconi, come caserma dei giovani
precettati dal Bando di Graziani.
L’ex Grand’ Hotel, per sistemarvi l’ Intendenza di
Finanza e la Ragioneria dello Stato ed altri uffici della
Provincia. All’ultimo piano del Grand’Hotel i tedeschi
raccoglievano, per poi smistarli nei campi di
concentramento del Nord Italia e della Germania, tutti i
soldati dell’esercito alleato, fatti prigionieri nel sud o sul
fronte di Cassino.
Molti erano inglesi, altri neozelandesi, polacchi ed
americani. Fiuggi, oltre agli uffici statali della Provincia si
era trasferita anche la Federazione dei fasci di Frosinone,
ed il Comando provinciale della Guardia Nazionale
Repubblicana.
La quale fu fondata da Mussolini, dopo il suo ritorno
dalla Germania, dove era stato ospite di Hitler, che lo
aveva fatto liberare dal Gran Sasso d’Italia.
La presenza a Fiuggi dell’esercito repubblicano, influì
molto come vedremo, sulla sorte dei giovani di leva non
ancora chiamati alle armi.

114
Il Bando di Graziani

Per la classe 1925

La presenza a Fiuggi della Sezione staccata del Comando


Repubblicano di Mussolini, influì negativamente sulla
sorte dei giovani di leva. Infatti, fu proprio in quel periodo
che furono affissi i primi manifesti, con i quali il Ministro
della Guerra, Maresciallo Graziani, intimava ai giovani
della classe 1925, a presentarsi ai comandi più vicini, pena
l’accusa di diserzione.
A Fiuggi le chiamate avvennero in un primo momento
presso il Comune, che con appositi elenchi destinava i
giovani a soddisfare le esigenze dei tedeschi. I quali si
servivano dei giovani per assicurare sia i servizi all’interno
degli alberghi da loro requisiti, ma anche la vigilanza su
tutte le zone, esterne alle loro strutture che il Comando del
Feld Maresciallo Kesserling aveva fatto allestire in molti
alberghi di Fiuggi Fonte, come l’Europa, il Vallombrosa e
l’Universo, per i servizi militari.
Il Palazzo della Fonte, il Salus e il Silva per i servizi
ospedalieri, via via che arrivavano i soldati feriti dal
fronte di Cassino, dove era stata costruita la linea Gustav,
come baluardo all’avanzata degli eserciti alleati.
Fu così che molti giovani di Fiuggi, (me compreso) non
ancora partiti per la leva, furono precettati: chi per andare
a lavorare negli alberghi requisiti, (e non fu il mio caso)
chi per fare la guardia alle sedi dove si erano sistemati i
tedeschi.
Quest’ ultimo incarico venne affidato anche a me, ad
Alberico Ludovici e ad Enzo Girolami (miei coetanei.) e
tutti e tre fummo impiegati a fare la vigilanza sia alle linee

115
telefoniche, intorno al Palazzo della Fonte sia lungo la
strada per Frosinone, a Capo i Prati, per fermare, durante
gli allarmi aerei, ogni automezzo militare tedesco che vi
transitava.
A questo punto mi sembra opportuno precisare che, mentre
i tedeschi retribuivano i giovani reclutati per lavorare negli
ospedali, nessuna retribuzione invece corrispondevano ai
giovani destinati ai servizi esterni, forse perché ritenevano
che questa vigilanza fosse di competenza delle autorità
locali.
In un secondo momento, molti di noi furono inquadrati
nell’Esercito di Graziani, che aveva ad Alatri il Comando
Provinciale, ma a Fiuggi aveva due caserme, una
all’Albergo Falconi, a Fiuggi Città e l’altra all’Albergo
Reale, a Fiuggi Fonte.
Anche questa sorte toccò a me e ad Enzo Girolami, perché,
mentre stavamo in Piazza Trento e Trieste fummo
avvicinati da due guardie repubblicane, che dopo essersi
accertate che eravamo della classe soggetta al Bando di
Graziani, ci dissero di seguirli all’Albergo Falconi, dove
c’erano altri giovani di Frosinone e provincia, dei quali
molti già si trovavano a Fiuggi, come sfollati, ad esempio
i Mayer, i Chiappini, i Turriziani ed altri.
Dopo una breve permanenza nell’Albergo Falconi,
venimmo tutti trasferiti al Convento dei Cappuccini di
Alatri, da dove la maggior parte dei giovani precettati (me
compreso) nei due tre mesi successivi riuscirà ad evadere,
per darsi alla macchia.
Facendo un passo indietro, ricordo che quasi tutti gli
uomini tra i 18 e i 60 anni vivevano in continuo stato di
allarme e di paura. Ciò accadeva perché i tedeschi,
dovendo consolidare la resistenza che da soli

116
stavano organizzando sul fronte di Cassino, spesso
ricorrevano al rastrellamento degli uomini di ogni età, che
di solito avveniva, bloccando le uscite dei cinema, oppure
facendo dei blitz sulla piazza del Comune.
In alcune di queste occasioni, mi trovai direttamente
coinvolto, per fortuna senza conseguenze. Infatti in uno dei
rastrellamenti che le SS fecero al Cinema Rosa di Fiuggi
Fonte, io ed Enzo Girolami (che era diventato ormai mio
compagno di sventura ) riuscimmo a fuggire dalla parte
posteriore del cinema , attraverso i giardini
dell’Albergo Eden, del Moderno e del Palazzo della Fonte,
potemmo fare ritorno a Fiuggi Città, passando per la Via
Cupa e La Porta del Colle.
L’altro rastrellamento in cui rischiai (sempre insieme ad
Enzo) di essere catturato dai tedeschi fu quello che si
verificò in un pomeriggio dell’ottobre 1943, quando
insieme ai nostri coetanei Mario Moro,Temistocle
Giorgilli, Carlo D’Amico, Mario Terrinoni ( detto
Zampitto) Sabatino Agnoli Tiberio Terrinoni e Anacleto
Giorgilli ed altri avevamo preso l’abitudine di andare tutti i
giorni sui prati di Capo Le Ripi a giocare a pallone.
In quei prati dove avevamo trascorso tanti pomeriggi
della nostra fanciullezza, ora vi andavamo essenzialmente
per sfuggire ai pericoli che la occupazione tedesca ed il
Bando di Graziani comportavano.
Le partite che facevamo tra noi, molto spesso
cominciavano la mattina e finivano al tramonto.
E ciò accadeva anche perché, col passare dei giorni, si
univano a noi altri giovani che si erano già rifugiati in
montagna, o perché, dopo l’ otto settembre, erano sbandati
dell’esercito italiano, o perché erano ex prigionieri alleati
fuggiti dai campi di concentramento, come quelli allestiti

117
nell’ex Grand’Hotel di Fiuggi e ad Alatri in località “Le
Fraschette” per i profughi della Libia.
Ad un certo punto gli ex prigionieri erano diventati così
numerosi e di diverse nazionalità (inglese, neozelandese,
polacca ed americana) che a volte potevamo giocare partite
come Italia - Inghilterra o Italia-.Prigionieri alleati.

118
Fiuggi città aperta

E ospedaliera

Verso la fine di ottobre del 1943 la situazione a Fiuggi,


dopo un paio di mesi di occupazione tedesca non fu più
precaria ed allarmante, ma fu, in un certo senso più chiara
e prevedibile.
Fiuggi insomma per il solo fatto di essere stata
trasformata in città ospedaliera ed a sede di quasi tutti gli
uffici della Provincia, potè, alla fine, salvarsi sia dai
bombardamenti che dalle rappresaglie tedesche; le quali,
in altre località dell’Italia centrale e settentrionale, si
andavano invece verificando.
Lo stesso clima di tranquillità non lo vivevano invece i
giovani che dovettero forzatamente mettersi al servizio
del Comando tedesco, prima per sorvegliare, di giorno e
di notte, le linee telefoniche ed elettriche degli alberghi
requisiti, poi per segnalare, con apposite bandierine,
l’arrivo degli aerei alleati ad ogni mezzo tedesco ed
italiano che si trovasse a transitare sulla strada per
Frosinone, in località Fontanelle a Capo i Prati.

Ma i giovani vengono precettati

E fu proprio in quelle perlustrazioni che alcuni di noi


giovani rischiammo di lasciarci la pelle. Ad esempio, il
turno di “guardiafili” come la lettera del Comune ci
definiva, io lo facevo in coppia, con Alberico Ludovici,
ed era un turno di quattro ore per notte. Dopo di che,
venivamo sostituiti da altre coppie di giovani. Il tratto che
dovevamo sorvegliare era quello compreso, tra la

119
“Ghiacciaia” e l’ingresso principale del Palazzo della
Fonte. Si trattava di circa seicento metri che dovevamo
percorrere ininterrottamente per tutta la durata del turno.
Lo scopo era quello di evitare alle linee elettriche e
telefoniche del “Palazzo” eventuali atti di sabotaggio, o
intralci al passaggio dei mezzi tedeschi sia all’ingresso
principale sia a quello secondario. Senonché già dalle
prime sere ci rendemmo contoche ci facevano fare i turni
senza mezzi di difesa, o per scoraggiare chiunque ci
avesse attaccato.
Pensammo allora di munirci di due grossi bastoni di
castagno e tenendoli ciascuno di noi sulla spalla destra,
camminammo sicuri di poterci difendere.
Appena arrivati all’ingresso del “Palazzo” con quei
bastoni sulle spalle, come se fossero dei fucili, mettemmo
sul chi va là proprio la sentinella tedesca; la quale
credendoci due sabotatori puntò subito contro di noi il
suo mitra e la torcia elettrica per illuminarci.
Il pericolo era gravissimo: sarebbe bastata una nostra
pur lieve mossa sbagliata, per farci scaricare addosso la
raffica dei proiettili che la sentinella stava per far scattare.
Per fortuna, prima di premere il grilletto il tedesco
illuminò con la sua torcia il nostro braccio sinistro ed in
un attimo, dalle fasce che portavamo, capì che eravamo
“guardiafili” e fu la nostra salvezza.
La sentinella che con la parola “raus”, ci aveva intimato
l’alt, abbassando il mitra, ci fece capire che potevamo
andare.
La seconda occasione in cui corremmo un altro rischio,
fu quando, io ed Enzo Girolami fummo mandati di giorno
a segnalare, sulla statale che porta a Frosinone, l’arrivo
degli aerei alleati, ai mezzi tedeschi ed italiani che
transitavano su quella strada.

120
Erano le 11 di mattina, quando sentimmo il rombo di
aerei da caccia provenienti dal cielo di Alatri e di
Fumone. Sulla via Prenestina stavano transitando alcune
camionette ed un carro pieno di tedeschi.
Sbandierammo subito la bandierina, ed i mezzi che
stavano passando si fermarono immediatamente. Da essi
scesero una ventina di soldati che di corsa raggiunsero le
buche che i giovani reclutati avevano scavato.
Le buche erano quattro o cinque; a distanza di cinquanta
metri l’una dell’altra.In pochi secondi si riempirono di
tedeschi e quando, pure io ed Enzo, stavamo per
raggiungerne una, la trovammo occupata.
Intanto gli aerei che avevano visto il movimento dei
mezzi e degli uomini, si abbassarono a volo radente per
mitragliarci, ma a fuggire eravamo soltanto noi due
perché, avendo trovato le buche occupate, volevamo
raggiungere il bosco di Caiano, per cercare di ripararci.
Nel frattempo un solo aereo era rimasto ad inseguirci e
quando si stava abbassando per mitragliarci di nuovo,
eravamo già arrivati a nasconderci dietro un grosso albero
di castagno ed a salvarci.

E concentrati ad Alatri

Dopo tutte le vicende e le traversie che fummo costretti


a subire dal settembre 1943 in poi, dopo essere stati
reclutati nella caserma allestita a Fiuggi Città,
nell’albergo Falconi, fummo obbligati a seguire il
comando della Guardia nazionale repubblicana ad Alatri,
dove avremmo dovuto attendere la sorte, che i fascisti
stavano preparando per tutti i giovani di leva.

121
Nel convento dei Cappuccini, dove ci portarono,
trovammo tanti altri giovani della provincia di Frosinone,
che attendevano di conoscere il loro destino. Anche lì si
diceva che saremmo partiti verso il Nord, in quanto il
fronte di Cassino, nonostante la strenua difesa dei
tedeschi, stava per essere sfondato.
Fu in questa prospettiva che cominciò a farsi in noi,
l’idea di darci alla macchia, come già altri erano riusciti a
fare senza tante difficoltà, dal momento che ogni mattina
all’appello delle guardie repubblicane, mancavano in
media quattro-cinque giovani.
Così facemmo, io ed Enzo Girolami, quando durante una
notte di fine marzo, approfittando della luna che
illuminava tutta la zona, ci demmo alla fuga, e dopo aver
scavalcato il muro del convento, dalla parte del cimitero,
ci trovammo nella campagna vicina a Collepardo.
Erano le due di notte e dopo aver camminato circa tre
ore tra gli uliveti nelle campagna di Collepardo e di Vico
nel Lazio, ci ritrovammo alle cinque del mattino, nei
pressi della stazione di Pitocco, e trovammo rifugio in
una casa abbandona di contadini. Il giorno seguente
attraverso le campagne di Trivigliano e Torre Caietani
giungemmo a Fiuggi, verso sera nella zona di Caiano.

Con la fuga diventano disertori

Dopo la fuga dall’esercito repubblicano, a Fiuggi siamo


rimasti nascosti per alcuni giorni, io nella casa di mio
nonno Serafino, dietro la Chiesa di S.Pietro, Enzo
Girolami a casa sua, pochi metri più avanti.
Dopo pochi giorni, dato che i tedeschi continuavano a
fare i rastrellamenti, Enzo decise di tornarsene a Roma,
dove era più facile nascondersi ed io tornai a casa, con

122
l’intento di starci soltanto la notte; perché di giorno
sapevo che potevo raggiungere i miei coetanei a Capo Le
Ripi, dove andavamo quasi tutti i giorni a giocare a
pallone.
Così infatti feci fino alla fine di maggio, quando cioè
stavano per arrivare gli alleati ed i tedeschi ed i
repubblicani di Salò si stavano ritirando verso Roma.

123
A FIUGGI

E IN CIOCIARIA

GIOVANI ALLA MACCHIA

RESISTENZA ZERO

124
Giovani alla macchia

Resistenza zero

A questo punto del mio racconto, devo dire, a


testimonianza della verità storica del periodo di
occupazione tedesca, di Fiuggi e dei dintorni, che gran
parte della popolazione, ma soprattutto i giovani ricercati
ed inseguiti dai tedeschi, mai avevamo avuto sentore che
nella zona esistessero dei partigiani attivi ed organizzati.
Né erano pervenuti loro appelli o inviti (diretti o
indiretti) ad aggregarsi a qualche gruppo di concittadini,
che pure si sapeva fossero nascosti e come tali timorosi
di uscire allo scoperto. Tanto più che alcuni di essi,
essendo vicini di casa, avevano tutte le occasioni e le
possibilità di coinvolgerli in qualche attività.
Gli unici compagni di sventura che invece avevano
modo di incontrare erano altri fiuggini, precettati dai
tedeschi per lavorare negli alberghi; oppure altri giovani
che erano sfuggiti ai rastrellamenti delle S.S.
Neppure nelle zone di montagna (tra Capo Le Ripi e le
campagne tra Torre Caietani e Trivigliano) dove pure
c’erano profughi sfollati dalla zona del cassinate e da
Frosinone, non si era mai notato uno solo di coloro che,
dopo l’arrivo degli alleati, usciti dalla clandestinità,
dicevano di essere stati partigiani ed invitavano altri
giovani a iscriversi alla sezione di Fiuggi, che loro
stavano per aprire. Ma quasi tutti i giovani di quella età,
nonostante le peripezie passate durante l’occupazione,
rifiutarono di aderire a quegli inviti proprio perché
sapevano perfettamente che la resistenza a Fiuggi non era
mai concretamente esistita.

125
Anche perché i meno giovani, che dicevano di avervi
partecipato, erano proprio coloro che, fino alla caduta del
Fascismo, erano stati fanatici gerarchi del Regime e che
solo dopo l’8 settembre si
erano per paura nascosti nel retrobottega di qualche bar a
Fiuggi Fonte, oppure nelle casette dei pescatori alla
Madonna della Stella, lontane dai pericoli
dell’occupazione.
Comunque il rifiuto dei giovani di Fiuggi ad accettare la
qualifica di partigiano, che gli ex gerarchi andavano loro
offrendo, derivava dalla consapevolezza di non aver
partecipato ad alcun movimento clandestino, di cui
potessero poi vantarsi, ma di avere soltanto subìto gli
eventi, come del resto quasi tutti gli italiani dopo l’8
settembre, avevano fatto specialmente nell’Italia centrale.

L’ ammissione dello storico Giammaria.

L’inesistenza quasi assoluta di un movimento


partigiano ed antifascista nella zona di Fiuggi e dell’alta
Ciociaria, viene del resto apertamente riconosciuta nel
volume “Guerra di Liberazione in Ciociaria” pubblicato
dall’Amministrazione Provinciale di Frosinone nel 1990.
Nel quale, già nella premessa, al capitolo “Un bilancio
provvisorio” il ricercatore Gioacchino Giammaria, di nota
e conclamata fede comunista, quasi rammaricandosi di
ciò che è costretto ad ammettere, così scrive sul ruolo
della popolazione ciociara, nella guerra tra tedeschi ed
alleati: “Altra domanda che ci poniamo è sul ruolo del
popolo in guerra. E’ scontato che fece da spettatore agli
eventi bellici, perché fu coinvolto nei combattimenti e
distrutto dalla necessità di cercare gli alimenti”.

126
“I ciociari hanno nella gran parte cercato di scampare
alla morte, solo pochissimi hanno combattuto, si sono
schierati per l’uno o per l’altro, anche se di questi il
gruppo più consistente combatté per il Regno, oppure per
la nuova democrazia”.
Con tali considerazioni l’autore lascia intendere, e quasi
gliene dispiace, che i ciociari abbiamo cercato solo di
scampare alla morte e quei pochi che si decisero a
combattere lo fecero, o per salvare la monarchia, o per
spianare la strada ad una vera democrazia, cosa che a lui
comunista ovviamente non andava bene, perché l’autore
cercava di accreditare la tesi che, i più decisi nella lotta
contro i tedeschi, non fossero la popolazione civile, nè i
partigiani che facevano riferimento all’esercito di
Badoglio o ai partiti democratici, bensì i comunisti.
Questa tesi è in parte vera, perché, mentre la gran parte
dei cittadini non vedeva l’ora di liberarsi di ciò che
rappresentava il passato per costruire un’Italia (dove la
pace e la democrazia fossero la condizione essenziale)
quelle sparute frange di comunisti e socialisti che si
schierarono contro, lo fecero più per creare una società di
tipo marxista e non per ridare all’Italia la libertà che il
Fascismo le aveva sottratto.
Ed è questo che (secondo molti storici e politici di area
liberaldemocratica o cattolico-liberale) è stato il vizio di
origine che ha offuscato la resistenza italiana.

Ex gerarchi i nostri partigiani

Ma a questo punto, occorre dire che, per fortuna la libertà


in Italia si è potuta conservare, solo grazie ai partiti
democratici di centro (Dc-Pri-Psdi-Pli);

127
i quali, sconfiggendo i marxisti del Fronte Popolare (Pci e
Psi) alle prime elezioni politiche del 18.4.1948, evitarono
al nostro Paese di finire nel blocco dei paesi comunisti
(guidati dall’Unione Sovietica) nei quali la libertà è
arrivata soltanto nel 1989.
Questa è la verità storica di quegli anni, che ora, anche gli
ex Gli alleati del Fronte Popolare apertamente
ammettono; a tal punto che, arrivati al Governo del Paese,
fanno addirittura la guerra (con la NATO) contro l’ultimo
dittatore del comunismo europeo (Milosevic). A pagina
49, del volume “Guerra di Liberazione in Ciociaria” ecco
cos’altro scrive il già citato Gioacchino Giammaria:
“Nella zona (di Fiuggi) troviamo anche un gruppo di
partigiani attivi e collegato col C.N.L. di Roma, sotto la
guida del Gen. Bencivenga che agisce con le bande di
Acuto, Anagni, Paliano, ecc. Fanno parte di tale banda
validi partigiani come Raniero Marazzi, Natalino
Terrinoni, ed il Prof. Raffaele Conti.”
Per la verità c’è da precisare che le notizie, su quel
gruppo di partigiani di Fiuggi, il ricercatore Giammaria
deve averle riprese, pari pari, senza verifica alcuna, dal
volume “Storia di Fiuggi” pubblicato nel 1979 dal notaio
Giuliano Floridi.
Il quale a sua volta non può averle verificate di persona,
perché a Fiuggi, in quegli anni non è mai vissuto, e le
“gesta” di quei validi partigiani deve averle sicuramente
apprese, negli anni successivi, direttamente dagli
interessati. I quali però, di se stessi, avevano taciuto
alcuni piccoli particolari, dei loro rispettivi “curriculum”,
perché, i primi due, erano stati i gerarchi più in vista del
regime, e il loro capo, Raffaele Conti, originario di

128
Novara, dopo essere andato in Abissinia, come civile, a
cercare fortuna, nel 1939 dopo averla trovata, approdò a
Fiuggi, e fino all’ultimo professò la stessa fedeltà al
Fascismo degli altri due.
Ma di questi loro trascorsi politici, nessun cenno si trova
nelle citate pubblicazioni.
Neppure di altri partigiani di Alatri e di Frosinone si
risale ai loro trascorsi politici, ad esempio di quel
partigiano, diventato poi senatore della Repubblica, il
quale fino alla caduta di Mussolini, i giovani balilla e gli
avanguardisti di della Ciociaria se lo ricordavano con la
divisa da gerarca, come intellettuale del regime, che dava
lezioni di mistica fascista al liceo Ginnasio di Frosinone.
Oppure di quei deputati e sindaci di alcuni comuni
ciociari e pontini che fino al 1943 erano stati sempre in
orbace, camicia nera e cinturone.

129
In una Fiuggi affamata

Numerosi i casi da “Schindler’s List”

Per l periodo che va dall’8 settembre ‘43 fino all’arrivo


degli alleati, avvenuto il 4 giugno 1944, la situazione,
anche sotto l’aspetto alimentare era, a Fiuggi, assai
preoccupante. “La fame incombeva paurosa e minacciosa
e l’assillo di ogni giorno era la ricerca del cibo”. Così
giustamente scriveva Carlo D’Amico, sul Fiuggi del
marzo 1994.
Per tale motivo, aiutare gli altri richiedeva enormi
sacrifici e poteva farlo soltanto chi aveva qualche
provvista di generi alimentari, o chi aveva dei risparmi,
che però, con la svalutazione galoppante era difficile dare
in cambio per la ricerca del cibo.
Ogni acquisto ormai avveniva solo attraverso l’antico uso
del baratto che prevedeva lo scambio di cosa con cosa.
Cioè di cose utili a chi comprava, con altre utili a chi
vendeva.
Lo scambio che si verificava con più frequenza era, tra
chi produceva, o possedeva, generi di prima necessità
(come grano, granturco, olio, vino, latte, patate, sale, etc.)
che li scambiava con altri di cui era sprovvisto (come
carne, legumi, conserve, marmellate, alici e surrogati di
caffè, cioccolato o zucchero).
Ma lo scambio più classico e più diffuso era tra chi
possedeva il grano, il granturco e i cereali in genere e
voleva in cambio le relative farine.
Il baratto sul grano che era l’unico genere che a Fiuggi si
produceva in una certa quantità, aveva incentivato la

130
ricerca e l’uso di macinelli di ogni tipo, come quelli del
caffè, o della carne, con i quali si evitava il baratto e si
otteneva un prodotto grezzo più della crusca, ma ben più
nutriente di essa.
Anche se non tanto appetibile al gusto e alle esigenze di
chi era abituato ad ottenere dai cereali farine più o meno
raffinate sia per la pasta che per il pane.
Tutto ciò accadeva soprattutto dopo l’8 settembre,
quando cioè il razionamento dei generi alimentari da
distribuire alle famiglie in base ai bollini applicati alle
tessere, si era arenato proprio perché era venuta a
mancare la materia prima.
Mancavano cioè i rifornimenti sia ai centri di raccolta sia
a quelli della distribuzione. E se di tanto in tanto arrivava
qualche carico di derrate alimentari, queste si
assottigliavano, o scomparivano, per poi ricomparire nel
mercato nero, a prezzi sbalorditivi.
Solidarietà verso i profughi militari e civili. Eppure, in
una situazione come quella descritta, a Fiuggi c’erano
famiglie che cercarono di aiutare, in qualche modo, sia i
soldati italiani, sbandati dopo l’8 settembre sia gli sfollati
del cassinate o del frusinate, che numerosi si erano
rifugiati a Fiuggi.

I profughi ebrei da Roma

Vi furono anche famiglie che aiutarono i profughi


ebrei, che dopo essere stati a Fiuggi negli anni
precedenti, per le cure termali o per turismo, vi erano
tornati, o vi erano rimasti, per sfuggire alle rappresaglie
che i tedeschi facevano a Roma, dopo gli attentati
terroristici, tipo quello di Via Rasella.

131
Del gruppo di ebrei che trovò riparo e protezione, prima
nell’Albergo Vittoria, del fascista della prima ora
Costantino Ambrosi, e di altri gruppi ospitati nelle case
di Marcello Fiorini, Maria Luisa D’Amico, e Virginia
Pomponi, ne ha parlato per la prima volta l’amico Carlo,
qualche anno fa, sempre sul “Fiuggi” ed il ricordo di
quegli episodi ha suscitato nei fiuggini non solo
l’apprezzamento per chi ha portato alla luce, dopo tanti
anni, ma anche un sentimento di riconoscenza verso
coloro che si erano prodigati e sacrificati per aiutare gli
altri, senza chiedere premi o medaglie a nessuno, e senza
che nessuno degli storici della “Lotta di Liberazione in
Ciociaria” si era mai premurato di ricordare.

L’ “Agata List’

E gli sfollati da Frosinone e Cassino

Nel riportare alla luce quegli episodi di ebrei nascosti e


salvati da un fascista, Carlo D’Amico, giustamente
accostava l’evento alla lista che un imprenditore tedesco,
in Germania, aveva compilato per salvare dallo sterminio
quasi 1.000 ebrei e rievocata dal Regista Spielberg nel
film “Schindler’s List.”Ebbene, fu proprio questo titolo
che Carlo dava al suo articolo a sollecitare in me il
ricordo di quella lista che anche mia madre, Agatina
Alessandri, aveva compilato a suo modo, dopo l’8
settembre 1943, per un solo marinaio d’Italia, sbandato, e
per una sola famiglia, sfollata di Roccasecca essendo
stata lunga circa nove mesi, è come se fosse stata una
lista di 10, 100 o 300 tra militari e civili italiani sottratti
ai disagi della guerra e della fame.

132
Quella lista mia madre l’aveva compilata, con l’aiuto
dei coniugi Isolina Moretti e Francesco Manovale, dando
aiuto ed ospitalità sia al marinaio sbandato che alla
famiglia di Roccasecca, dal settembre del ‘43 al 4 giugno
1944.Ma c’erano stati altri episodi di ospitalità nelle case
dei fiuggini, dove erano stati accolti sfollati e profughi
provenienti dalle zone del cassinate e del frusinate.
I quali, attraverso il centro di accoglienza istituito alla
Casa dei Maestro, dove venivano inizialmente alloggiati,
almeno fino a quando gli ospiti non trovavano, di loro
iniziativa, una migliore sistemazione.
Molti fiuggini certamente ricorderanno i nomi di famiglie
venute in quel periodo di guerra, anche per effetto dei
trasferimento da Frosinone degli uffici della Provincia.
Dal capoluogo, ad esempio, le famiglie Mayer,
Turriziani, Chiappini, Baldaccini, Bragaglia, Rea,
Catucci, Russo, Scerrato, Valente, Spaziani, Spilabotte,
Straccamore, Giansanti, Colasanti, Zeppieri. Da Cassino:
Baggi, Fraioli, Mancone, Sudano Vallerotonda,
Vizzaccaro, Zagaroli.
Ebbene, i componenti di queste famiglie, di tanto in
tanto incontrati dopo la guerra a Fiuggi, o nelle loro città,
hanno sempre manifestato una certa gratitudine per la
cordiale ospitalità qui ricevuta, ma anche per la
tranquillità e la sicurezza che qui trovarono, soprattutto in
virtù dello “Status” di città ospedaliera che Fiuggi ebbe
in quel periodo.
Alcuni episodi di arricchimento illecito, da parte di
coloro che praticavano le borsa nera, non mancarono, ma
erano inevitabili data la carenza delle derrate alimentari.
Nella primavera del 1944, dopo la lunga attesa che gli
alleati fecero per riprendere più attivamente le operazioni

133
sul fronte di Cassino, il passaggio degli aerei da
bombardamento (o “Fortezze Volanti”) sull’Italia
centrale, era sempre più frequente.

500 fortezze volanti precedono l’arrivo degli alleati

Più di una volta, io ed i miei amici ci siamo cimentati


(dalla Piazza o dal muro di fronte alla farmacia o
dell’Albergo Excelsior) a contare tutti gli stormi di aerei
che passavano sulle nostre teste.
Ebbene, tra la mattina e il tramonto, durante la giornata,
facendo turni di quattro o cinque ore per volta, abbiamo
contato da dieci a dodici stormi di cento aerei ciascuno,
per un totale di circa 500 aerei da bombardamento, che
dai cieli del centro sud si dirigevano verso il nord d’Italia
e forse nei Balcani e in Europa.
Ciò avveniva in previsione della decisiva avanzati sui
fronti di Cassino e di Anzio, che gli alleati si
preparavano ad effettuare e gli aerei con il loro carico di
bombe dovevano distruggere ogni ostacolo ed ogni
resistenza che poteva rallentare o compromettere
La conclusione della “Campagna d’Italia”, come gli
americani la definivano.
E fu così anche a Fiuggi, come nel resto dell’Italia
ancora occupata dai tedeschi, dovemmo, nostro
malgrado, diventare i testimoni oculari di una guerra,
certamente non voluta dagli italiani, ma senz’altro
supinamente subita, specialmente da quella classe
dirigente, che poi si scoprì essere antifascista o
monarchica, al solo scopo di mantenere quel potere che
per vent’anni aveva condiviso con Mussolini.

134
E fu così che sulle nostre teste e sulle nostre città ogni
giorno passavano aerei che andavano a scaricare
tonnellate di bombe, non solo su obiettivi militari ma
anche su strutture civili.
Avveniva allora ciò che oggi avviene sui Balcani, dove
le democrazie occidentali, pur di abbattere i dittatori di
turno, non ci pensano due volte ad inviare migliaia di
aerei per bombardare, anche popolazioni innocenti. E
tutto ciò non mi sembra giusto.
Eppure, nella seconda guerra mondiale sia da una parte
(Germania, Italia e Giappone) che dall’altra (Inghilterra,
Russia e Stati Uniti) si sono mandati al massacro milioni
di esseri umani, solo perché le rispettive dirigenze
politiche non vollero fermare, sul nascere, sia le
incertezze di alcune nazioni democratiche sia le
prepotenze delle dittature fasciste e comuniste.
Ma se un organismo come l’O.N.U., oggi, non è in
grado di risolvere, o di evitare, alcun conflitto tra i
popoli, è perché nel suo statuto non prevede una norma
semplicissima, che escluda, dal novero dei paesi civili,
quei paesi che si reggono sui regimi dispotici e autoritari
e quindi non degni di essere aiutati, né in pace né in
guerra.

135
Dal Fascismo alla Democrazia

Anche la Ciociaria si adegua

Ogni uomo è libero di credere in una idea e ad essa


dedicare le migliori energie sia fisiche che intellettuali. Ma
ogni uomo è libero anche di ricredersi ed accarezzare
subito dopo un’altra fede sia politica che religiosa. Così
hanno fatto molti di noi nati o cresciuti negli anni venti e
trenta di questo secolo.
Negli anni in cui nel nostro Paese l’ideale fascista ebbe la
sua fortuna a tal punto da gestire per un ventennio sia la
cosa pubblica che la vita privata di tutti.
Ebbene, dal 1922 fino al 25.7.’43, quasi tutti gli italiani
erano stati fascisti, ma dopo la caduta di Mussolini, perché
sfiduciato dal Gran Consiglio del suo Regime, quasi
nessuno ammetteva di esserlo stato, e molti uscirono allo
scoperto per dire che erano stati antifascisti e come tali
rivendicavano un premio.
Così avvenne che anche a Fiuggi, dopo l’ingloriosa e
inaspettata caduta di Mussolini, i primi a prendere le
distanze dal loro Capo, furono proprio coloro che, per
quell’idea e quel partito si erano impegnati più di altri, fino
alla fine. Salvo poi a transitare, armi e bagagli, nelle file
antifasciste, pur avendo fino ad allora indossato divisa nera
e stivaloni.
Questa, si può dire, la storia di molti nostri concittadini,
specialmente se anziani. I quali solo all’arrivo degli alleati
(cioè dal 4.6.1944) uscirono fuori per far sapere che erano
tutti e da tempo antifascisti o partigiani ed invitavano i
giovani (ex balilla ed avanguardisti) ad entrare nelle file
dei nuovi partiti.

136
Ai cui vertici, guarda caso, c’erano sempre loro, non più
con la camicia nera, ma con quella bianca o rossa, di
democristiani e comunisti. Sì, perché i fascisti più anziani,
che erano diventati tali, per scelta (non per obblighi
scolastici) aderirono subito, non ai partitini (laici o
liberali) con i quali si sarebbe potuta costruire una
repubblica di tipo svizzero, o americano, bensì ai due
partiti “chiesa”, che erano appunto la Dc e il Pci ed alle
rispettive cellule partigiane. Si badi bene, la loro scelta
di cambiare idea e casacca subito dopo l’arrivo degli
alleati, può essere giustificata e rispettata, ma ci è sembrato
strano che nei libri in cui si pretende di fare la storia di
quel periodo, e si citano nomi e cognomi degli antifascisti
dell’ultima ora, non si sia accennato neppure larvatamente
ai precorsi politici ed alle radici che essi avevano avuto
fino a qualche mese prima. A questo punto, c’è da dire
anche un’altra verità e cioè che anche noi giovani eravamo
tutti fascisti ed a distanza di tanti anni non vorremmo che
qualcuno ce lo ricordasse. Ma eravamo fascisti
inconsapevoli. Prima, perché nelle scuole, nelle piazze,
alla radio e sui giornali ci veniva inculcata solo quell’idea
e poi perché credevamo che fascismo significasse verità e
libertà. Credevamo: a quella verità, perché era la sola che
ci veniva propinata; a quella libertà perché era l’unica con
cui si potessero esaltare quegli ideali che, sin dall’infanzia,
ci venivano inculcati, come la religione e la patria.

Il pluralismo delle idee, una scoperta per i giovani

Credevamo a tutto questo, senza sapere che di ideali ce


ne potevano essere altri sia politici che religiosi ed anche
profondamente diversi. La scoperta di tutto ciò, noi
giovani, la facemmo solo dopo il 25.7.1943.

137
Quando cioè, caduto Mussolini, sulla Piazza di Fiuggi,
ad esempio, sentivamo parlare oratori di tutte le tendenze,
che proponevano tante altre idee, fino ad allora neppure
immaginabili.
Fu così che maturò in me il convincimento che, per essere
liberi di scegliere un’idea politica, occorresse conoscere
prima le idee degli altri e comunque quelle esistenti nella
società e gli uomini che le propugnavano.
Un’altra cosa riuscii a capire (ed avevo 18 anni) e fu
quella che libertà significa poter dire correttamente ciò che
si ha in mente e senza che altri potessero offendersi,
oppure punirti per ciò che avevi detto o pensato.
Capii anche che ognuno di noi (e non solo i capi o i
gerarchi) potevano parlare in pubblico, senza che le
autorità potessero impedirlo.
Ciò avvenne soltanto dopo il 25.7.43, perché solo in quel
periodo si poteva parlare male di Mussolini e del
Fascismo, ma non del Re e della Monarchia, perché chi
criticava quest’ultima veniva denunciato.
Così infatti avvenne al Direttore Provinciale delle Poste,
Ferraiolo, che per aver tenuto un discorso nella sala del
Comune, contro la Monarchia ed a favore della
Repubblica, prima del Referendum, venne destituito
dall’incarico di Direttore e privato dello stipendio per molti
anni.
In ogni caso dai comizi che giornalmente sentivo in
Piazza o nel Salone comunale, capii subito che per i
giovani di poca esperienza politica, c’era finalmente la
possibilità di avere più chiare le idee, per scegliere
qualcosa di diverso dal fascismo e dal comunismo.

138
Dalla Patria tradita nasce la Repubblica

E fu in base a queste considerazioni che, nel 1945,


si fece strada in me l’idea di aderire ad un partito politico,
in cui fosse possibile coltivare le idee di libertà, in senso
lato. E fu così che, avendo saputo dal mio amico Carlo
D’Amico, che il Direttore delle Poste, Ferraiolo, aveva
intenzione di aprire una sezione del P.R.I., decisi di
appoggiare quell’iniziativa ed insieme ad altri amici, come
Checchino Lazzari, Francesco Lentini, Remo Torelli,
Loreto Santesarti e Luigi Simeoni, costituimmo, di lì a
poco, la prima sezione di un partito democratico a Fiuggi.
E perché il P.R.I. dicemmo tra noi?
Perché, dopo che la Monarchia aveva tradito la Patria,
prima con la dittatura fascista e poi con l’avallo alla guerra
di Mussolini, era giunta l’ora di pensare ad una repubblica,
dove il Presidente fosse eletto dal popolo, come negli Stati
Uniti e in Svizzera. Scegliemmo il P.R.I., anche perché si
ispirava agli Ideali del Risorgimento, propugnati da uomini
come Mazzini e Garibaldi, che già nel 1848 auspicavano
gli Stati Uniti d’Europa e come Cattaneo, che era il vero
teorico del federalismo.

Ma anche le delusioni

E qui é il caso di fermarsi, nel rivisitare i percorsi della


memoria dal 1945 in poi, perché, altrimenti, dovrei dire
delle delusioni ricevute da chi ci ha governato, dopo
l’avvento di questa Repubblica. La quale non è stata affatto
come quella che Mazzini e Cattaneo ci avevano fatto
credere e perché essa non è stata mai rispettosa della
sovranità popolare.

139
E’ stata la copia conforme di un regime oligarchico, dove,
non la volontà dei cittadini, ma quella dei partiti, ha
ispirato e regolato la vita del nostro Paese. Basti pensare ai
numerosi referendum traditi, alle più svariate maggioranze
politiche, chiaramente indicate dagli elettori, ma di volta in
volta rovesciate: per stabilire come, da una classe politica
che ci ha governato per oltre 50 anni e che purtroppo, salvo
una breve pausa nel 1994, continua a governarci allo stesso
modo e con gli stessi uomini.
Un solo riconoscimento si può dare al sistema
democratico, più che agli uomini che lo hanno gestito, ed è
quello, peraltro previsto dalla nostra Costituzione, di averci
risparmiato la perdita della libertà e la partecipazione del
nostro Paese a qualche altra guerra di aggressione, come
invece era avvenuto in precedenza con la Monarchia e con
il Fascismo.
E non è stata poca cosa, specialmente se si pensa a tutte
quelle famiglie italiane che, come la mia, ha dovuto subire
la perdita: dello zio materno, Colombo Alessandri,
aspirante allievo ufficiale nella 1^ guerra mondiale (1915-
18) con medaglia d’argento al v.m. ; del proprio genitore,
Biagio Antonio Incocciati, di ritorno dalla 1^guerra
mondiale, e invalido, dalla guerra in A.O.I., infine del
fratello, Silvio Incocciati S.Ten. nella campagna di Russia
(1942-43) dichiarato disperso dal gennaio ’43, e mai
tornato. Sono state tutte guerre volute, guarda caso: dalla
Monarchia, la prima, e dal Fascismo e dal Re, la seconda e
la terza. A conclusione di questa prima rivisitazione
ritengo di poter condividere appieno l’idea che in ogni
monumento ai caduti, sia chiaramente inciso il motto
“Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, che
Bertold Brecht lanciò contro tutte le guerre.

140
Gli ebrei a Fiuggi

Sul giornale “Fiuggi” del giugno 1994, il collega


D’Amico racconta la vicenda di alcuni cittadini romani,
di religione ebraica che, dopo l’8 settembre si rifugiarono
a Fiuggi.
Di ciò gli va dato atto, perché senza questa
testimonianza quasi nulla si sarebbe saputo di quei
cittadini di Roma che, essendo stati ospiti negli alberghi
di Fiuggi, prima della guerra, vi sono poi tornati, come
sfollati, dopo il bombardamento alla stazione di San
Lorenzo e, come ebrei, dopo l’attentato dei Gap
comunisti, contro un battaglione tedesco, in Via Rasella a
Roma.
Sul ruolo di “operatore della causa umanitaria” che
Carlo si attribuisce, c’è da fare quale osservazione,
perché alla fine del suo racconto, egli pubblica il
“lasciapassare” del Comando tedesco, datato quattro
giorni prima dall’ arrivo degli alleati. E lo fa dicendo che
numerosi ebrei, a causa delle leggi razziali erano già
schedati e perseguitati, ma trovarono riparo a Fiuggi,
prima nella Pensione “Littoria” a Fiuggi Fonte, gestita
dal “fascista ante marcia” Costantino Ambrosi. Poi alla
contrada Monticiglio nella casa di Maria Luisa D’Amico.
I cognomi delle famiglie nascoste dall’Ambrosi erano:
Sabatello, Di Veroli, Piperno, Shiunnach Spizzichino ed
altre. Il collega ricorda quando quelle famiglie, dovettero
fuggire nottetempo perché un ufficiale tedesco, aveva
perso un portasigarette d’argento proprio nei pressi della
Pensione, e in tutta fretta, a piedi, attraverso il Fosso del
Diluvio si trasferirono in quella contrada.
Dell’operazione ne fu investito il locale commissariato
di P.S. guidato dal maresciallo Bazzoffi.

141
quale onde permettergli di operare a favore verso gli
ebrei, gli fece assegnare dal Comando Tedesco, un
lasciapassare (*) con il quale veniva indicato come
taglialegna alle dipendenze della ditta D’Agostino
operante nei boschi tra Fiuggi e gli Altipiani di
Arcinazzo.”
Questo era il permesso rilasciatogli dal Comando
tedesco di Fiuggi, che l’autore riproduce in fotocopia:

(*)“Standortcommandantur-Fiuggi-O.U.-Den.1.4.1944-
Lasciapassare a D’Amico Carlo, quale taglialegna alle
dipendenze della Ditta D’Agostino, operante nei boschi tra
Fiuggi e gli Altipiani di Arcinazzo. Der Sta dortkommandant:
Rittmester – gul tig bis 31.5.44”

Come si vede, l’autore, pubblicando la copia del rinnovo


del lasciapassare, ottenuto dal Comando Tedesco il
31.5.1944 ( cioè a 4 giorni dall’arrivo degli alleati) rivela
di aver ottenuto il permesso per fare il taglialegna, non
“per operare liberamente a favore della causa umanitaria”
(termine allora inesistente, inventato dai pacifisti di
oggi).
Appare pertanto dubbio che egli abbia potuto con quel
permesso fare l’ operatore a favore degli ebrei, quando è
a tutti noto che i tedeschi consideravano nemici tutti
coloro che cercavano di aiutarli.

142
Nella Fiuggi occupata

Solidarietà ed accoglienza

Nel riportare alla luce quegli episodi di ebrei nascosti e


salvati da un fascista, Carlo D’ Amico giustamente
accostava l’evento alla lista che un imprenditore tedesco,
in Germania, aveva compilato per salvare dallo sterminio
quasi mille ebrei e rievocato dal regista Spielberg ndel
film “Schindler’s List’”
Ebbene, fu proprio questo titolo che Carlo dava al suo
articolo a sollecitare in me il ricordo di quella lista che
anche mia madre, Agatina Alessandri, aveva compilato, a
modo suo, dopo l’8 settembre 1943, con l’aiuto dei
coniugi Isolina Moretti e Franceschino Manovale, dando
aiuto ad un solo marinaio d’Italia, sbandato, ed a una sola
famiglia, sfollata di Roccasecca. Essendo durata nove
mesi quella lista è come se avesse sottratto ai disagi
della guerra e della fame, 10, 100, 300, tra militari e
civili italiani. E fu quando, dopo qualche giorno dalla
dichiarazione d’armistizio che il Governo Badoglio
aveva annunciato alla radio, verso sera i due coniugi si
presentarono a casa mia, per perorare la causa di due
giovani militari, venuto a Fiuggi, perché sorpresi
dall’armistizio nei pressi di Roma.
Erano entrambi pugliesi. Uno di Taranto e conosceva il
marito di Isolina. L’altro di Bari, il quale aveva dei
parenti a Fiuggi. Isolina pensò di venire da mia madre
perché la nostra casa di S.Stefano era abbastanza grande
per ospitare più persone, e la richiesta fu quella di
accogliere i due giovani per alcuni giorni in

143
attesa che potessero proseguire verso il sud e
raggiungere, con qualsiasi mezzo le loro città.
Mia madre aderì subito alla richiesta perché sperava, e
lo disse apertamente, che anche mio fratello Silvio,
disperso in Russia gal gennaio 1943, avrebbe potuto
trovare in quel lontano paese qualche famiglia ospitale (o
come si dice oggi, uno Schindler russo) che lo avesse
salvato dalla fame, dal freddo, e dalla deportazione in
Siberia. Fu in base a queste considerazioni che il
marinaio Aldo Carrino di Taranto, fu accolto in casa
nostra, mentre il compagno di Bari, avendo dei parenti a
Fiuggi, sarebbe andato presso di loro.
Intanto i giorni di quel triste settembre passavano lenti,
uno dopo l’altro, ma le occasioni per proseguire nel sud i
due giovani non le trovarono mai. Il marinaio, rimase a
casa mia, tranquillo e protetto, anche perché la generosità
di mia madre (dovuta al dolore per la sorte del figlio
disperso) lo stimolò a rimanere presso di noi fino alla
fine della occupazione tedesca, che cessò il 4 giugno
1944.
L’altro giovane militare, dopo essere stato ospitato solo
per pochi giorni dai suoi parenti, decise di arruolarsi
nelle liste dell’esercito repubblicano, in via di
formazione, e vi rimase fino all’arrivo degli alleati.
Di quel periodo ricordo pure che in una parte della
nostra casa, mia madre dette rifugio anche ad una
famiglia di Roccasecca (di cognome Fraioli) costituita da
madre e quattro figli (dai sei ai 12 anni) la quale aveva il
marito in guerra e fu costretta a sfollare dalla sua casa di
campagna, perché i tedeschi gliel’avevano requisita.
Con riferimento alla situazione del marinaio Carrino, il
paradosso fu che, mentre lui, pur lontano dalla famiglia

144
veniva nascosto e protetto dai pericoli e dagli stenti, io ed
i miei coetanei di Fiuggi eravamo invece soggetti a tutti i
rischi di quel particolare periodo. Tra i quali, i
rastrellamenti, da parte dei tedeschi, e la chiamata alle
armi, da parte del maresciallo Graziani, quale Ministro
della Guerra del Governo di Salò.
La chiamata avvenne infatti con un apposito bando,
soprattutto per la classe 1925, pena la fucilazione, o la
deportazione in Germania per i renitenti.
Qui di seguito trascrivo una parte della lettera con la
quale, da Taranto, il marinaio Carrino ringraziava la
famiglia Incocciati-Alessandri:
“Taranto 27 luglio 1944 - Gent.ma famiglia Incocciati,
dopo oltre due mesi, eccomi a voi per darvi mie notizie.
Comprendo che anche voi eravate in pensiero alla mia
partenza, ma la provvidenza divina mi ha aiutato durante
il viaggio. Per primo voglio esprimere a tutti voi la
gratitudine per quello che avete fatto per me e spero un
giorno di potermi sdebitare.
Tanto ho parlato di voi e ne parlo tuttora, in particolare
del vostro caro Silvio e spero che un giorno non lontano
anche lui vi riabbraccerà. Saluti anche da parte dei miei
familiari, vostro aff.mo Aldo Carrino.
P.S. Gustavo ( che era il suo compagno di sventura )
trovasi a casa sua e sono in corrispondenza con lui.

145
VI
LE SCOMODE VERITA’
di Giuseppe Rengo

Dalla Guerra di Spagna alla Liberazione

Ecco cosa accadeva a Fiuggi dagli anni 1936-37,


quando il Fascismo si imbarcò nella guerra di Spagna, e
poi nella seconda guerra mondiale. E’ preziosa, la
testimonianza che di quel periodo ha lasciato il cittadino
medico Giuseppe Rengo; il quale può considerarsi un
protagonista di primo piano nella storia di Fiuggi, degli
ultimi 60 anni.
La ricostruzione di tutti quegli anni la troviamo nelle
sue memorie, pubblicate come inserto speciale sul
giornale “Fiuggi” del Giugno 1998, nelle quali racconta
la sua esaltante esperienza di vita, professionale e civile,
sempre vissuta, come lui stesso afferma, con senso del
dovere e lealtà agli ideali in cui credeva.
Prima, da studente universitario alla Sapienza di Roma;
poi da ufficiale medico, chiamato a servire i valori che il
Governo dell’epoca intendeva difendere nella guerra di
Spagna, contro le mire egemoniche del comunismo
sovietico, e dove proprio mentre soccorreva un soldato
ferito, rimase lui stesso ferito.
Infine, da protagonista, a partire dagli anni ’40, nei vari
settori della vita fiuggina, sia come medico condotto ed
uomo di punta del fascismo locale sia come operatore
sanitario alle Terme ed al Comune, ma anche nel settore
privato, allorquando aprendo un ambulatorio multi-
specialistico a Fiuggi Fonte, dotava la città di una
struttura sanitaria, che insieme alla clinica S. Elisabetta

146
poi dismessa) neppure il S.S.N. è stato mai in grado di
creare.
Questi i motivi per cui mi sembra utile e doveroso
riportare ampiamente le esperienze di guerra e di vita che
Giuseppe Rengo ha descritto nelle sue memorie, con la
speranza che esse (unitamente ad altre raccolte nel
presente volume) siano pubblicate integralmente
dall’Istituto di Credito, da lui presieduto per molti lustri,
dal momento che lo stesso istituto, in questi ultimi anni, è
diventato assai munifico nel patrocinare altre iniziative
editoriali.

“Quando ero soldato”

E’ il titolo del libro che l’autore avrebbe preferito dare


alle sue memorie, quando nel 1998 nel raccontare le
vicende della sua vita, le volle anticipare sul periodico
fiuggino: “Ho letto con interesse articoli di periodici e
relazioni in opuscoli che descrivono episodi dell’ultima
guerra verificatesi nel nostro territorio.
Sono scritti da persone che all’epoca erano bambini o
adolescenti. Poiché in quel tempo ero già adulto e titolare
di incarichi di responsabilità, ho deciso di scriverne
anch’io. Alla fine dello scritto espongo avvenimenti che
per 54 anni ho tenuto gelosamente segreti e che solo ora
mi decido a rivelare. Il giudizio finale lo affido al lettore”
Il racconto della sua vita che l’autore fa in prima
persona, viene qui, per ragioni di spazio e di forma,
riportato, di tanto in tanto, in modo impersonale e
riassuntivo, senza che siano alterati i fatti e le persone
che vi sono menzionati. A cominciare da quando, egli,

147
tornato dalla Spagna nel 1939, dopo vari ricoveri
ospedalieri per le ferite riportate, in Italia fu ricoverato
per controlli all’Ospedale Militare di Napoli.
Dopo i vari esami gli fu accordato un assegno
rinnovabile, fin quando nel 1951 gli venne assegnata una
pensione vitalizia di 5^categoria per esiti “f.a.f. (ferite da
arma da fuoco) alla regione parietale sinistra”
Dimesso dall’Ospedale di Napoli, quando arrivò a
Fiuggi, alla stazione delle ferrovie vicinali, fu accolto
come un eroe da una folla di cittadini e dalla banda
musicale al suono della marcia reale e giovinezza.
Dopo essere tornato nella casa paterna di fronte al
Monumento ai caduti, cominciò a dedicarsi alla
professione di medico civile, che nei quattro anni passati
(1935-39) dopo la laurea non aveva mai esercitato.
La nomina a medico condotto gli venne data per
sostituire il titolare Dr.Savino, da poco scomparso.
In quegli anni sia il medico sia i medicinali erano tutti a
pagamento, meno che per gl’iscritti all’elenco dei poveri.
Nessuno lo pagava e solo pochissimi gli regalavano
qualche uovo o salume fatto in casa.
Il compenso, dice, si riduceva a circa 1000 lire mensili
di stipendio, ma non diceva che in quegli anni, una
canzonetta popolare dal titolo “se potessi avere mille lire
al mese” lasciava intendere che lo stipendio di quell’
importo non era poi così basso).
In quegli anni, però il medico condotto doveva
intendersi di medicina, di ostetricia, oculistica,
dermatologia, odontoiatrìa ecc.
A Frosinone era segretario federale Fascio il dr. Arturo
Rocchi, cioè l’ufficiale, ricoverato nell’ ospedale in
Spagna, che Rengo aveva fatto rimpatriare.

148
La permuta della macchia d’oro

Rocchi sentito il Prefetto, venendo a Fiuggi gli propose


di fare il Segretario Politico al posto di Landino
Verghetti, assicurandogli lo avrebbe sostituito non
appena a Fiuggi venisse a scemare la discordia che si era
scatenata con la permuta che il Comune ( con il Podestà
Carlo Falconi e Landino Verghetti segretario) aveva
concluso con il Rag. Giustino Samtesarti, per lo scambio
di un terreno di proprietà di questi (costituito da una
piccola scarpata a ridosso della Fonte Vecchia, ove
attualmente c’è il vivaio) con l’intera contrada
denominata “l’ammacchiaturo” che si estendeva intorno
all’Albergo Vallombrosa, e per la quale a Fiuggi scoppiò
una vera sommossa popolare, e con decine di carabinieri
venuti da Frosinone a calmare gli scontri che
registrarono fermi, feriti e numerosi arresti.
Per il Federale Rocchi, Rengo non poteva quindi
sottrarsi al dovere di salvare il suo Paese dal caos che si
era creato. Assumendo la carica di Segretario, trovò la
popolazione così ripartita: oltre il 90% pagavano ogni
anno la tessera del partito, anche se la maggioranza non
sapeva neppure che cosa fosse il Fascismo, ma lo
facevano per avere accesso ai pubblici impieghi; il
restante 10% era di non tesserati, o perché abulici, o
perché antifascisti. Dei tesserati, circa una ventina, per
lo più con la qualifica di marcia su Roma, e sciarpa
littorio, erano facinorosi, prepotenti, pronti a distribuire
manganellate e somministrare olio di ricino, oppure
l’invio di qualche avversario al confino di polizia. Tra
questi c’erano Angelo Zucconi, imbiachino, Annibale
Cicciaccorda,

149
falegname, Gabbani e Quirino Fanali, muratori. A sera,
dopo il lavoro, si ritrovavano nelle osterie per mandar giù
qualche foglietta di vino, accompagnata da pane e
formaggio. Si intrattenevano parlando male di Mussolini,
dei fascisti e si scambiavano qualche foglio della stampa
antifascista che riuscivano a rimediare.

Il salto dei voltagabbana

Dopo l’”escursus” sulla vita quotidiana da segretario


politico, dal 1940 (esprimendo le sue riserve sulla guerra
voluta da Mussolini , contro la Francia e l’Inghilterra, e
fianco della Germania di Hitler) arriva alla caduta di
Mussolini (avvenuta il 25 luglio 1943) quando il 26
luglio un ufficiale dei Carabinieri che lui riteneva amico
perché ogni tanto gli chiedeva favori per la sua carriera,
si presentò con la scorta e perquisì la sede del Fascio e la
sua abitazione, non trovando nulla di censurabile.
Il 27 ritirò le carte della sezione nascoste nel ripostiglio e
le bruciò. Nei giorni successivi non subì alcun affronto,
da parte di amici e camerati, ma dovette constatare che,
mentre prima tutti cercavano di avvicinarlo, ora quando
attraversava la piazza, molti si allontanavano e
fuggivano.
Un giorno alcuni qualificatisi fascisti gli contestarono
persecuzioni e fastidi. Chi per avergli risposto in ritardo
ad una domanda, chi di non avergli ammesso il figlio alle
colonie estive che il Partito organizzava per i figli dei
meno abbienti. Ad un certo punto con un annuncio
pubblico fece sapere ai neo convertiti che finalmente
aveva capito che, di fascisti a Fiuggi c’era solo lui
e la folla che durante i comizi

150
riempiva la piazza e le strade di accesso, al grido di
“Viva il Duce”, o “Eia Eia Alalà” era fatta di fantasmi.
Il numero dei voltagabbana, che dopo essere stati
attivisti del regime, e ora si dichiaravano antifascisti
perseguitati,rappresentava la quasi totalità.

L’armistizio e il capovolgimento di fronte

Arrivato l’ 8 settembre, egli continuò a svolgere


l’attività di medico condotto. Ma con l’Armistizio
dichiarato dal Governo Badoglio, vi fu il capovolgimento
del fronte.
Furono giorni tremendi, perché dopo l’annuncio di
Badoglio i reparti armati si disfecero in una baraonda
indescrivibile, e i tedeschi si scatenarono in una caccia
incontrollata, con uccisioni, ferimenti e rastrellamenti.
Ancora una volta uscirono fuori i camaleonti che si
dichiaravano fascisti leali e filo tedeschi, mai antifascisti,
mentre altri di dichiararono antideschi da sempre e
partigiani.
Non mancarono ripensamenti con passaggi da una parte
all’altra, secondo la convenienza del momento.
Con il passare dei giorni la situazione si andò
stabilizzando.Gli alleati erano fermi a Cassino sulla
Linea Gustav, difesa con tenacia dai tedeschi.
Il traffico, da e per Cassino, si svolgeva, per lo più sulla
Casilina. Fiuggi risultava decentrata poiché la Via
Prenestina era poco trafficata, e lo scarso movimento, da
e per Subiaco e Tivoli, passava per Gurcino o per Piglio,
dato che la strada da Fiuggi agli Altipiani di Arcinazzo
non esisteva.
151
Intanto a Fiuggi i tedeschi organizzarono subito negli
albergi Palazzo della Fonte e Salus, due ospedali, al
servizio del fronte di Cassino.
Mentre nell’Albergo Universo, vicino alla Stazione
delle Vicinali, una loro base per i militari in servizio, in
quegli ospedali. All’Albergo Plinius, ora San Marco, in
Corso Nuova Italia aprirono una casa di tolleranza per i
loro militari.
Data la presenza degli ospedali e la posizione decentrata
in cui si trovava, Fiuggi fu dichiarata “città ospedaliera”
ed enormi croci rosse furono dipinte sui tetti di tutti gli
albergi adibiti ad ospedale.
A questo punto c’è da dire che i tedeschi rispettarono
abbastanza le norme di guerra. Non vi fu pertanto il
passaggio massiccio di mezzi militari e di truppe, come
avveniva sulla Casilina e un po’ meno sulla Sublacenze.

Nei grandi alberghi, ospedali e uffici

militari e civil Alcune batterie antiaeree, furono invece


piazzate a Colle Borano e ad Altre zone di Acuto.
Questi sono i motivi per cui Fiuggi non ha subito veri e
propri bombardamenti, ma solo danni da qualche granata,
diretta agli aerei alleati in ricognizione.
Alla Casa del Maestro funzionava un ospedale civile,
dove venivano ricoverati i civili colpiti da febbre
malariche, per lo più provenienti dal cassinate, ma anche
i malarici locali perché provenienti dalla zona del Lago di
Canterno dove le zanzare avevano colonizzato gli
acquitrini. Le acque del Lago vennero poi prosciugate, e
con l’uso del DDT importato dai soldati americani la
malaria, in poco tempo scomparve.

152
Nel Grand’Hotel erano alloggiate le donne maltesi con i
bambini, sfollate da Malta durante la guerra, ma i loro
erano internati al campo profughi in località “Le
Fraschette” di Alatri. In altri alberghi furono insediati
numerosi uffici provinciali, che dopo i bombardamenti
effettuati dagli alleati sul Capoluogo, dall’ 11 settembre
in poi, decisero di trasferirsi tutti a Fiuggi, essendo questa
località, a Nord di Frosinone, dotata di notevole capacità
ricettiva (peraltro inutilizzata per gran parte dell’anno) la
sola in grado di ospitare in gran numero, e senza tanti
problemi, uffici e famiglie in cerca di un rifugio sicuro.
All’Albergo Igea, si erano insediate la Prefettura e la
Questura. Mentre le famiglie degli impiegati trovarono
sistemazione nelle abitazioni private.

Casa di tolleranza, all’Hotel Plinius

Giuseppe Rengo per la sua qualità di medico condotto,


ebbe dai tedeschi un salvacondotto e gli assegnarono
anche piccoli quantitativi di benzina, perché l’unica
macchina disponibile era quella in loro possesso.
Parlando del Plinius, nelle sue memorie dice:
“Fui incaricato della vigilanza igienica sulle prostitute.
Accettai quell’incarico con tanta paura, anzitutto perché
trovavo strano che con i tanti medici militari tedeschi in
servizio nei loro ospedali, si fossero rivolti a me. Temevo
che qualche militare, contraendo una malattia venerea,
avesse dato a me la responsabilità per non aver vigilato
sulla salute delle prostitute. Scongiuravo perciò le donne
del Plinius a fare uso di acqua, sapone e disinfettanti,
onde evitarmi gravi conseguenze”.

153
A questo punto egli descrive la situazione fiuggina,
poco prima, e subito dopo la liberazione, avvenuta il 4
giugno 1944, che è la parte più interessante per rivedere,
in chiave revisionista, gli avvenimenti che la storiografia
ufficiale, per oltre 60 anni, ha interpretato a senso unico.

Il professore partigiano, dall’A.O.I a Fiuggi

A pagina 15, Giuseppe Rengo, comincia con un


argomento che definisce molto scottante e del quale si
riserva di scrivere il seguito
alla fine della narrazione. Così, parlando di Raffaele
Conti, che ancora oggi viene segnalato dalla storiografia,
uno dei protagonisti della resistenza ciociara, dice:
“In un anno che può risalire al 1938-39 si trasferì da
Novara a Fiuggi un distinto signore che portando sempre
la farfalla, si qualificò, come professore di liceo in
pensione, ed aprì a nome della moglie, Gloria Fasola, a
Fiuggi Fonte, un negozio di alimentari, con annesso
forno per il pane, in fondo al portico di destra della
centralissima Piazza Spada. Riuscì a farsi molti amici a
Fiuggi Fonte con cui si incontrava spesso nel vicino
Caffè Rossi. Dopo la caduta del Fascismo (n.d.r. durante
il quale era andato in A.O.I. non come legionario della
Mvsn, ma come civile, in cerca di quel posto al Sole, e lo
trovò facendo fortuna) fondò la sezione della D.c. e ne fu
il primo segretario.
Durante l’occupazione tedesca circolavano voci che lo
affermavano capo del gruppo di partigiani che si andava
costituendo, con base proprio nel centralissimo Caffè
Rossi. Si diceva che fossero una trentina che si armavano
grazie ai lanci degli aerei alleati.

154
Inoltre, girava per Fiuggi un signore che si qualificava
come generale Padovani, datosi alla macchia dopo il
fuggi fuggi dell’8 settembre, che era in collegamento con
il gruppo del professore.”
Il padre del Rengo, Sabatino, informava il figlio, che,
sistematicamente i rappresentanti dei partigiani di Fiuggi
passavano nei vari negozi a reclamare i viveri per i
militari alleati, dispersi nel territorio, ma lui
rappresentava le grandi difficoltà che aveva nel
distribuire gli alimenti senza il ritiro dei bollini che
dovevano essere consegnati agli uffici comunali, per il
recupero della merce.

Il “ pizzo” dei partigiani

Il Sabatino si lagnava anche del generale Padovani, il


quale passando nella sua tabaccheria, sceglieva le
sigarette delle migliori marche e se ne andava senza
pagare e senza ringraziare. Ma il figlio Giuseppe,
essendo stato segretario del Fascio locale, rispondeva al
padre che, al fine di evitare sicure ritorsioni contro la
famiglia, sarebbe stato meglio soddisfare quelle richieste,
riducendo magari i quantitativi da consegnare. Giuseppe,
dei pochi incontri che ebbe con il professore dice:
“Io che ero fresco di studi, seguiti con profitto al Liceo
Conti Gentili di Alatri, notai che faceva citazioni di
classici latini, italiani e greci sbagliate o imprecise, ma
pensai che la confusione fosse dovuta all’età.”
Poi dice che riparlerà del professore dopo aver scritto
della morte del fratello Carlo. Della quale dice che:
“Mentre ero in una grotta con la famiglia, vicina al

155
cimitero, venne a trovarmi la moglie del Prefetto che si
era insediato con il suo ufficio all’Albergo Igea di Fiuggi
Fonte. Era li dottor Arturo Rocchi di Cassino che avevo
conosciuto in Spagna a “El Pinar” e lo aveva fatto
rimpatriare.”
“Dopo lo rividi a Fiuggi e nella nuova veste di segretario
federale del Fascio, venne a propormi la nomina di
segretario politico, per porre riparo alla famigerata
“permuta della macchia d’oro” che tante proteste aveva
sollevato a Fiuggi.”
“La moglie del Prefetto, Olga, era una distinta ed abile
signora genovese, e venne da “Ruccaccio” dove mi
trovavo sfollato, e mi chiese a nome del marito se
intendevo seguirli al Nord all’ arrivo degli alleati”
“Risposi che, per me, significava una chiara
dimostrazione di colpa, dilazionando di pochi giorni
l’incontro con i vincitori.La signora annotava in un
quaderno tutto ciò che dicevo”
Aggiunsi che ormai eravamo alla fine di una guerra
insensata, nella quale Mussolini si era cacciato per
seguire passivamente le direttive di Hitler. Io parlavo e la
signora scriveva tutto.”
“Per la situazione locale ”consigliavo di evitare di far
dare la caccia ai militari alleati dispersi e di non dare retta
ai fascisti facinorosi, di cui facevo i nomi e la signora
scriveva”
“Ci salutammo scambiandoci gli auguri. Ma quel
quaderno della signora Olga, come dirò, fu uno dei
pilastri della mia salvezza e fortuna.”
Il 3 Giugno 1944, Giuseppe racconta che di mattina
presto si recò al Comune in cerca di qualche autorità

156
alla quale chiedere aiuti per il fratello Carlo, che il giorno
prima era stato catturato dai tedeschi e portato a piedi
scalzi dietro un mulo verso Arcinazzo, perché accusato di
aver sparato ad un sergente tedesco nei pressi del
Cimitero.

L’occupazione illegale del Comune

Nell’Ufficio del Sindaco trovò il professore con la


farfalla, e questo gli fece capire che il giorno precedente
non stava preparando l’accoglienza alle truppe alleate,
ma aspettava la notte per dare l’assalto al Comune, in
modo da occupare con i “valorosi” compagni, i posti di
comando, assegnandosi le varie cariche, secondo i piani
da loro elaborati, nelle serate trascorse al Caffè Rossi “a
banchettare” con quei viveri estorti ai negozianti, col
pretesto di devolverli ai militari alleati. L’occupazione
del Comune da parte del professore auto-nominatosi
Sindaco, viene definito dal Rengo:
“Il capitolo più nero e vergognoso della storia di Fiuggi,
che merita una dettagliata trattazione perchè ne siano
informate le nuove generazioni.”
Alla richiesta di notizie sulla cattura del fratello, il
professore ripose che aveva finito di parlare con il
Vaticano e gli era stato assicurato che il fratello era vivo,
benché ferito. Disse pure era stato consegnato ai
rappresentanti della croce Rossa, affinché provvedessero
ad effettuare, in territorio neutrale, uno scambio con i con
i tedeschi, secondo le norme della Convezione di
Ginevra. Il Rengo capì che si trattava di un
ragionamento poco credibile, e deluso fece ritorno a casa.

157
Qui trovò la fidanzata di suo fratello con lo zio, che
catturato anche lui, i tedeschi lo avevano liberato la
mattina presto mentre Carlo venne trattenuto per essere
processato.

La donna martire di Tecchiena

Intanto il suo racconto continua dicendo che mentre si


avvicinava l’arrivo degli alleati, una mattina i tedeschi
portarono una donnetta che impiccarono in un palo della
linea elettrica delle ferrovie vicinali, di fronte all’Albergo
Igea. Dato che la ferrovia era da tempo in disuso
lasciarono il cadavere della povera donna esposto per
alcuni giorni, di fronte alla sede della Prefettura.
Si diceva che fosse di Trivigliano o di Vico nel Lazio e
le attribuivano tutta una serie di atti ostili contro i
tedeschi. Cosa non vera, perché un parente della vittima,
incontrando pochi mesi dopo il medico Rengo, lo
informò dei fatti realmente accaduti. Si trattava di Angela
Maria Rossi, che abitava a Tecchiena, dopo l’incrocio
della strada verso Frosinone.
Un pomeriggio ospitò una gruppo di soldati tedeschi che
consumando una merenda, mangiarono molte ciliegie e
bevvero una quantità di vino. Alla fine accompagnarono
la donna, che si recava a mungere le vacche.
Bevvero tanti bicchieri di latte appena munto. Nella
nottata alcuni di loro accusarono disturbi intestinali. Al
loro comando indicarono la donna che li aveva ospitati
accusandola di averli avvelenati. Immediatamente una
squadra prelevò la donna e la condusse di fronte alla
Prefettua per impiccarla e dare un avvertimento alla
popolazione.

158
Il fratello trucidato dai tedeschi,
lui arrestato dai partigiani

Il 4 Giugno 1944, nella casa al Monumento, Giuseppe


Rengo, di mattina ricevette la visita di un carabiniere che
lo invitò a seguirlo in caserma.
Il maresciallo gli disse che doveva trattenerlo in stato di
fermo, in attesa che gli alleati decidessero della sua sorte,
per effetto di una denuncia firmata da diverse persone
che lo accusavano di attività fascista faziosa e filo-
tedesca.
Passò alcuni giorni con altri fermati negli scantinati,
dove di notte venivano rinchiusi nei pozzetti, che erano
piccole celle senza finestre, sporche, umide, e percorse da
topi. Da casa sua gli mandavano il cibo e la biancheria.
Seppe che le persone fermate con lui, dovevano essere
trasferite nei campi di concentramento in Italia, in India,
in America, in Gran Bretagna e altrove. Seppe inoltre che
presso Salerno nella ex Certosa di Padula stavano
allestendo un campo dove forse anche lui era destinato ad
andare insieme agli altri.
Dopo qualche giorno un carabiniere, dalla finestra della
caserma, lo invitò a salire nell’ufficio del comandante.
Certo che lo avrebbe portato a Padula, disse ai
compagni di avvisare i suoi familiari. Nell’ufficio del
Comandante, trovò, allineati dietro la scrivania, un
ufficiale molto alto in divisa alleata ed al suo fianco un
signore in borghese che era l’interprete ed a sinistra il
maresciallo. L’ufficiale iniziò il discorso in inglese e lui
pensava che gli stesse contestando le accuse, in base alle
quali veniva trasferito al campo di concentramento.
Ma il signore in borghese, traducendo in italiano, presso
a poco diceva che:
159
“A nome del comando militare alleato, sono venuto a
chiederle scusa per l’errore che è stato commesso
rinchiudendola in questa caserma lei è una persona per
bene e nostra amica”.
“Da questo momento è libero. La prego di collaborare
con i nostri uffici di Fiuggi, per fornire tutte quelle
notizie di cui avessero bisogno”
Tornò di corsa a casa e quando i suoi dal balcone lo
videro arrivare scoppiarono a piangere.
L’unico a rimanere muto era stato il padre perché, di
suo fratello Carletto, dopo la sua cattura, non aveva
saputo più niente.

Liberato dagli alleati,


epurato dagli ex fascisti

La mattina seguente il dottor Rengo (così è stato sempre


chiamato dai cittadini di Fiuggi) si recò al Comune per
riprendere l’ attività di medico condotto ed ufficiale
sanitario, ma nel suo ufficio trovò un altro medico, il
dottor Pasqualino Di Girolamo, che gli disse di essere
stato messo a quel posto dal “Sindaco partigiano”.
Passando nell’Ufficio del “Sindaco” infatti, trovò il
professore con la farfalla, comodamente sprofondato
nella poltrona sindacale.
Alla domanda del Rengo, il professor Conti, con
“sicumera” rispose che il comando partigiano di Fiuggi
nell’insediarsi alla guida della città, aveva deciso di
esonerarlo dal servizio per i suoi precedenti fascisti e
filo-tedeschi. Allora lui corse all’Igea, dove si era
insediato il Comando alleato, e riferì dell’accaduto e
l’ufficiale dopo aver scritto un lungo

160
testo lo consegnò all’interprete, pregandolo di
accompagnare il Rengo, al Comune, per conferire col
Sindaco.
L’inteprete era di Frosinone,. Il tenente colonnello era
canadese ed essendo capo dei servizi di sicurezza alleati
del fronte di Cassino, era impegnato ad aprire uffici nei
territori conquistati.
Lamentava che in alcune località veniva letteralmente
assaliti da persone che dichiarandosi antifascisti e
partigiani di vecchia, cercavano di ottenere favori per
loro e ritorsioni per i nemici fascisti.
Il tenente colonnello la sua sede nei locali dell’Igea,
prima occupata dal Prefetto Rocchi, fuggito al Nord al
seguito dei tedeschi.
Nei cassetti della scrivania trovò il quaderno nel quale
la signora Olga aveva trascritto il colloquio che aveva
avuto con Rengo nella casa vicina al cimitero, ed aveva
consegnato al marito.
L’ufficiale, facendosi tradurre lo scritto, aveva appreso
che il ragionamento del dottor. Rengo era di persona
seria, che in fondo nutriva sentimenti di amicizia verso
gli alleati, e disapprovava il comportamento dei tedeschi
e dei fascisti.Inoltre i maltesi già rinchiusi al Grand’Hotel
di Fiuggi Città, e liberati dagli alleati, prima di imbarcarsi
negli aerei che li riportavano in Libia, avevano
consegnato al loro comando una denuncia dettagliata per
i maltrattamenti e i furti che i due gestori suocero e
genero del Grand’ Hotel avevano commesso ai loro
danni, svuotando persino i pacchi che pervenivano loro
dall’America e Gran Bretagna, tramite la Croce Rossa
internazionale.

161
Nel loro esposto i maltesi, mentre facevano i nomi dei
commercianti che li derubavano di denaro e di oggetti
preziosi, concludevano il loro esposto, affermando che
l’unica persona che si era compenetrata delle loro
sofferenze era stato il dr. Rengo che li aveva assistiti
come medico e come uomo, sobbarcandosi perfino la
funzione di portalettere, da e per il campo profughi delle
Fraschette di Alatri, dove la Croce Rossa aveva
sistemato gli uomini di quelle famiglie.
Il tenente colonnello canadese, forte del contenuto del
quaderno della signora Rocchi, si fece accompagnare
dall’interprete alla caserma dei carabinieri di Fiuggi
Città, e nel chiedere notizie sul conto del Dr.Rengo, notò
che i denuncianti erano i due gestori del Grand’Hotel ed i
partigiani di Fiuggi, dei quali il Colonnello era già in
possesso di notizie affatto rassicuranti.
Per questi motivi l’Ufficiale alleato dispose subito la
scarcerazione del Rengo, facendolo accompagnare al
Comune dall’interprete con l’ ordine scritto del
comandante che presso a poco diceva quanto segue:

Riassunto come medico condotto

“Il Comandante dei servizi di sicurezza alleati ordina al


Sindaco di Fiuggi, di riassumere immediatamente in
servizio il Dr.Rengo Giuseppe e di corrispondergli
contemporaneamente tutti i compensi dovutigli fino ad
oggi, ordina inoltre al Sindaco di consegnare alla persona
che gli recapiterà il presente ordine, una dichiarazione
scritta e firmata di assicurazione della esecuzione
completa ed immediata di quanto ordinatogli.”

162
Quando l’interprete tradusse al professore con la farfalla
il contenuto scritto, per la prima volta il fascista Rengo,
lo vide sbiancare e perdere la consueta “sicumera”
Scrisse l’assicurazione richiestagli, chiamò il ragioniere
e fece scrivere il mandato di pagamento, e convocando il
Dr.Di Girolamo lo invitò a restituire il posto al suo
titolare. Dopo questa ennesima triste avventura il Rengo
torna a casa con lo scopo di trovare un po’ di serenità e
dedicarsi nuovamente al lavoro di medico. Conclude
dicendo:
“Dopo le ristrettezze della guerra assaporai i gusti di
tanti alimenti conservati in scatola. Tornarono dalla
macchia i fascisti non faziosi di Fiuggi e dintorni, ricordo
Pierino Perinelli di Acuto. Il Sergente del Comando
alleato, preposto al servizio di sicurezza , con la mia
collaborazione esaminò a fondo il comportamento dei
due gestori del Grand’Hotel, anche a seguito della
denuncia dei maltesi liberati, inviò la Polizia Militare
Alleata che tradusse genero e suocero al campo di
concentramento di Padula. Lì trascorsero quasi tre anni
nel luogo dove avrebbero voluto fossi rinchiuso io. In
quel campo fu anche confinato Adelmo Della Casa,
proprietario del Palazzo della Fonte e concessionario
delle Terme”.
(N.d.a. - a proposito di Della Casa, c’è da segnalare che
pur essendo ebreo, i fascisti non lo avevano mai
perseguitato. Ma subito dopo la liberazione furono i
partigiani bianchi e rossi, ex fascisti, a denunciarlo come
collaborazionista dei tedeschi). Intanto però i servizi di
sicurezza alleati andavano esaminando la posizione dei
partigiani fiuggini che si erano autonominati
amministratori e con prepotenza si erano insediati al
Comune.
163
Sia per le cattive notizie sul loro comportamento, come
partigiani, sia per la disamministrazione comunale, fatta
di favori a se stessi e ad amici, e ritorsioni ai nemici,
furono invitati dagli alleati a farsi da parte e vennero
sostituiti, prima con il democristiano Paolo Pietrobono,
come commissario, poi su imposizione del Comitato di
Liberazione, fecero nominare sindaci, il comunista
Natalino Terrinoni, il repubblicano Francesco Lentini, e
Luigi Papa, come commissario. Infine, il comunista
Angelo Zucconi, sempre imposto come Sindaco dal C.n.l.
provinciale.
Di questo organismo, il cui nucleo originario fu creato
alcuni mesi prima dell’arrivo degli alleati, da ex fascisti
(di Alatri, Fiuggi. Ripi, Frosinone e di Collepardo)
facevano parte sia il professore, con la farfalla, sia lo
studente universitario Natalino Terrinoni, che dopo l’8
settembre si dichiararono antifascisti e partigiani me
nessuno di essi era stato eletto con voto popolare, perché
alle prime elezioni amministrative avvenute nel Marzo
1946, fu eletto Sindaco, Gualtiero Alessandri, con 1282
voti, quale capolista del Partito più votato che era la D.C.
insieme a 11 consiglieri di maggioranza, mentre con la
lista di minoranza del Partito Comunista con 1.054
furono eletti due soli consiglieri (tra cui il Terrinoni) e
vennero spazzati via, in quasi tutti i paesi della Provincia,
i candidati imposti dal Cnl.

Il martirio del fratello Carlo

Ed è qui che Giuseppe Rengo racconta la tragica sorte


toccata al fratello più giovane, per mano di tedeschi in
fuga il giorno prima dell’arrivo degli alleati.

164
Il 2 giugno 1944, di mattina presto andarono a
svegliarlo informandolo che un gruppo dit tedeschi, in
ritirata, avevano catturato il fratello, lo avevano
malmenato selvaggiamente, gli avevano tolto le scarpe,
caricata sulla spalle una mitragliatrice e lo spingevano
verso gli Altipiani di Arcinazzo. Con lui portarono lo
zio della fidanzata senza maltrattarlo. Poco prima un
sergente del gruppo che montava a cavallo era stato ferito
da un proiettile che gli aveva fratturato la mandibola.
Alcuni avevano soccorso il sottufficiale e trasportato
alla Clinica S.Elisabetta, mentre gli altri si erano scagliati
contro il fratello, lo avavano perquisito e gli avevano
trovato una pistola ancora calda e mancante di un colpo.
Per questo era stato massacrato. Lui corse a casa e
informò i genitori i suoi genitori. La madre si precipitò
alla clinica gestita dalle suore tedesche e chiese della
superiora e di suor Germana, che lavorava come
infermiera.

La inutilità dei partigiani

Lui corse a Fiuggi Fonte pensando che i 30 partigiani


che si diceva fossero bene armati e combattivi,
intervenendo attraverso Piglio, potevano arrivare agli
Altipiani, prima dei tedeschi che stavano camminando a
piedi su strabelli di montagna, trascinando il fratello
scalzo e ferito grave. Avrebbero potuto liberarlo, dato
che i partigiani potevano essere una trentina ed i tedeschi
soltanto 5 o 6, e in fuga. Nel famigerato Caffè Rossi
trovò il professore con la farfalla ed altre persone che si
diceva fossero partigiani. Raccontò l’accaduto, offrendo
la sua macchina e si dichiarò pronto a pagare tutte le
spese.
165
Il professore con “sicumera” gli disse che non poteva
distogliere nemmeno uno dei partigiani perché erano tutti
impegnati nei preparativi di accoglienza delle truppe
alleate che era già nella campagna.
Intanto, dopo la liberazione e successive denunce il
Rengo fu convocato a Frosinone dinanzi al tribunale per
la epurazione dei fascisti. Il tribunale era presieduto da
un magistrato, affiancato dai rappresentanti dei vari
partiti politici: comunisti, socialisti, democristiani
azionisti, liberali. Si trattava per la maggioranza di ex
fascisti, voltagabbana, che cercavano di far dimenticare il
loro passato infierendo sugli imputati, cioè sui vinti.
Portò con sé le dichiarazioni dei maltesi e degli alleati,
ma fu determinante la testimonianza di Zucconi, Potini
ed altri antifascisti autentici e onesti che vollero andare
con lui a Frosinone, per deporre suo favore.
Il Rengo fu prosciolto da ogni accusa. Anche in quel
periodo fuori del tribunale incontrò un gruppetto di
persone con Arduino De Persiis simpatico avvocato di
Alatri, fascista fino alla morte et ultrà.
Tutti lamentavano le persecuzioni subite dal fascio.
Arduino per sfotterli sentenziò.
“Purtroppo erano tempi in cui gemevano tutti sotto la
tirannide”
(Il De Persiis lo troveremo più avanti, quando Sacchetti
Sassetti annoterà sul suo: “Diario di Alatri” 4 giugno
1944: “Arresto di Benedetto Uberti e dell’Avv.De Persiis
ultimo preside della Provincia”)
Il Rengo intanto proseguiva le ricerche di suo fratello, ma
le notizie che gli venivano date rimanevano tutte
inattendibili.

166
Finchè Agostino Moriconi (in compagnia di Carlo
Germani, amici del fratello) andò .da lui e chiamandolo
in disparte gli disse che al mattino da cacciatore accanito
si era recato negli Altipiani con altro cacciatore del posto,
il quale gli aveva detto che lungo la strada per Subiaco
tra le rocce ai piedi del Monte Scalambra dove lo aveva
portato, avevano fucilato e massacrato un povero ragazzo
e trascinandolo sfinito di fronte ad un anfiteatro roccioso
lo aveva ucciso a colpi di fucile e di mitra.
Il giorno dopo Rengo, recatosi con alcuni amici in quel
luogo, aveva trovato i resti di un giovane dilaniato da
animali randagi. E da alcune ossa spezzate ed il cranio
forato in più punti, unitamente ad altri resti come l’
anello d’argento con incastonato lo stemma in oro del
“Tercio” che aveva portato dalla Spagna e regalato al
fratello ed un frammento del maglione di lana,
riconosciuto dall’amica di famiglia Fermina Zangrilli,
che glielo aveva lavorato a mano, si convinse che il
ritrovamento del povero Carletto, poteva considerarsi
certo.
Di qui il piccolo monumento che la famiglia ha eretto
sul luogo con la seguente motivazione: “ Carlo Rengo
Fiuggi 20.1.1915 Altipiani di Arcinazzo 3.6.1944. Aveva
appena compiuto 31 anni, quando all’alba del 2.6.1944,
gli ultimi soldati tedeschi in ritirata lo catturarono sulla
montagna di Fiuggi, incolpandolo di un atto di ostilità
compiuto contro un loro graduato. Gli tolsero le scarpe,
gli caricarono sulle spalle un pesante ordigno bellico e lo
costrinsero a percorrere a piedi nudi il doloroso sentiero
che porta Agli altipiani di Arcinazzo. Dopo una serie di
torture bestiali, lo condannarono a morte e lo fucilarono
il 3 giugno 1944, mentre le truppe alleate entravano a
Fiuggi.”
167
Giuseppe Rengo, dopo aver raccontato in modo
dettagliato e esauriente la sua vicenda umana, militare e
civile, che qui è stata riassunta, conclude, commentando
così il comportamento tenuto in quel periodo dai
rappresentanti dell’antifascimmo fiuggino:

“Dopo i miei incontri con il capo partigiano di Fiuggi,e


dopo il mio arresto e successiva liberazione, ho appurato
che il personaggio ed i suoi adepti quando si riunivano al
bar Rossi, il loro tempo lo occupavano:

1) a compilare l’elenco delle persone che all’arrivo degli


alleati dovevano essere rinchiuse nei campi di
concentramento, venivano accusati di fascismo i loro
nemici personali, nonostante che essi stessi fossero stati
fino all’ultimo i più fanatici assertori del Regime.

2) a compilare l’elenco dei posti che dopo la fuga dei


tedeschi, ciascuno di loro si auto-eleggeva ad occuparli
nel Comune.

3) a descrivere con tutti i particolari le azioni partigiane


da ciascuno di loro eseguite a danno dei tedeschi. Anche
se i trattava di imprese inventate di sana pianta, ma per le
quali chiedevano medaglie e riconoscimenti al valore
partigiano.
E’ talmente vero ciò che scrive Rengo nelle sue memorie
che proprio da Fiuggi, partì un severo monito dal
Comandante alleato, appena un mese dopo la
liberazione, contro il vergognoso comportamento di
questi pseudo difensori della libertà e della giustizia
sociale.

168
Il Colonnello Thornhill caccia i falsi sindaci

Ecco il documento che fa piazza pulita della vulgata


antifascista e partigiana, sulla quale la classe politica
della prima Repubblica (in Italia, a Fiuggi e in Ciociaria)
ha fondato le sue fortune politiche ed economiche, con
cui tuttora pretende di governare.
Al Tenente Colonnello J.B. Thornhill , commissario per
la provincia di Frosinone del governo militare alleato,
bastò poco più di un mese, per rendersi conto della
situazione.
Ed il 7 luglio 1944 da Fiuggi inviava questo messaggio ai
sindaci autoelettisi della provincia:
“Desidero richiamare la vostra attenzione sul fatto che
un gruppo di individui che si chiamano partigiani stanno
esercitando autorità in questa provincia senza esserne
autorizzati. Non è necessario fare nomi ma questo stato
di cose deve cessare subito
Gli alleati conoscono ed apprezzano il buon lavoro svolto
dai partigiani durante la occupazione tedesca in questa
parte d’Italia.
Ora però se i partigiani mano davvero la loro patria e
intendono di continuare a combattere i tedeschi,
dovrebbero arruolarsi nell’esercito italiano; altri invece,
dovrebbero ritornare immediatamente sui loro passi per
andare a lavorare la terra e ricostruire le loro case
distrutte.D’ora in avanti gli ordini impartiti dai partigiani
non saranno esguiti nè da voi né da altri funzionari
provinciali. Nessuno di loro ha l’autorità per dare
ordini.Ogni funzionario che eseguirà ordini emessi da
costoro sarà punito così come sarà punito chi ha emesso
tali ordini”
169
“Siamo informati che alcuni partigiani non hanno
consegnato le armi, come dettato dal proclama n.1 del
Governo militare alleato. Poiché essi, così come gli altri
cittadini, non hanno alcun diritto di esserne in possesso
sarà loro dato tempo fino al 31 luglio del corrente anno
per consegnare le armi e le munizioni in loro possesso.
Dopo tale data chiunque avrà violato il suddetto
proclama sarà arrestato e punito.Qualcuno di voi sta
usando i partigiani come guardie municipali o per servizi
di pulizia facendo indossare loro delle fasce speciali al
braccio. Tutto ciò deve cessare immediatamente e tutte
queste fasce dovranno essere consegnate prima del 312
luglio del corrente anno. Dopo tale data le persone che
porteranno ancora queste fasce non autorizzate e se con
esse eserciteranno autorità saranno punite e se vi
occorrono guardie municipali e desiderate utilizzare
qualcuno in tale incarico, nulla vi vieta di farlo, anche se
si tratta di partigiani: in tal caso però dovranno portare al
braccio una fascia autorizzata con la scritta “Civil
Police”Notificherete a tutte le persone il contenuto di
quest’ordine e, facendone una copia, potrete affiggerla in
Comun, così da poter essere letta da tutti.
I partiti politici non hanno nessun diritto e nessuna
autorità di dettare legge o dare ordini a qualsivoglia
funzionario per cui tutti gli sforzi, in tal senso da parte di
questi partiti devono essere ignorati. Almeno per il
momento, in questa provincia, il Governo militare
alleato è l’autorità suprema e deve essere riconosciuta da
tutti come tale.”

170
A questo punto egli descrive la situazione fiuggina,
antecedente e successiva alla liberazione, avvenuta il 4
giugno 1944, che è la parte più interessante, per rivedere,
in chiave revisionista, gli avvenimenti che la storiografia
ufficiale, per oltre 60 anni, ha interpretato a senso unico.

I profughi maltesi, al “Grand ’Hotel”

Prima di concludere la parte delle memorie di Giuseppe


Rengo, mi sembra utile riferire sulla presenza a Fiuggi di
molti profughi oriundi maltesi, che durante la guerra
dichiarata il 10 giugno 1940, dall’Italia all’ Inghilterra,
arrivarono dalla Libia, per essere internati in campi di
concentramento, come sudditi britannici. Le donne e i
bambini furono rinchiusi al Grand’Hotel, gli uomini al
campo de “Le Fraschette” ad Alatri.
Riprendo l’argomento dei profughi maltesi, perchè
proprio di recente l’Associazione Partigiani cristiani di
Alatri, presieduta dal solito Carlo Costantini, ha voluto
attribuire alla leggenda resistenziale, il merito della tutela e
dell’ assistenza alle vittime del fascismo, per
strumentalizzare ai propri fini, anche quella tragica
vicenda, con il marchio salvifico dell’antifascismo, Come
se fossero stati i partigiani ad aiutare quegli sfollati.
I quali, se uomini, rimasero concentrati, fino all’arrivo
degli Alleati, nel campo delle Fraschette di Alatri, se
donne, o bambini, al Grand’Hotel di Fiuggi Città, senza
che la cosiddetta resistenza alatrense e fiuggina, pur
sapendo che la gestione di quei due campi, dal 25 luglio
del ’43, era stata affidata a personaggi di dichiarata fede
antifascista, non fece nulla per denunciare le condizioni di
disagio in cui quegli sfollati si erano trovati a Fiuggi e ad
Alatri.
171
Le cronache dell’epoca registrano invece, che la mala
gestione del Grand’Hotel di Fiuggi, fu possibile grazie al
tacito connubio che essa aveva con il gruppo dei partigiani
fiuggini, guidati dal professore con la farfalla; e che la
condizione dei profughi alle Fraschette di Alatri, all’infuori
di qualche innocua visita pastorale del Vescovo Facchini,
nessuna iniziativa concreta venne mai presa in loro favore
dal gruppo dei partigiani, né bianchi né rossi, nascosti nella
sua diocesi.
Eppure il Vescovo era amico di vecchia data del Console
Ghislanzoni, con cui, in virtù del Concordato, aveva
avuto stretti rapporti prima e dopo la caduta di Mussolini.
Orbene, nonostante che in quei campi, le condizioni
disumane degli sfollati derivassero soprattutto da chi li
aveva gestiti, i responsabili del Grand’Hotel di Fiuggi,
dopo l’arrivo degli Alleati, vennero subito denunciati,
arrestati e condannati, non dai partigiani.
Per quanto riguarda invece, le condizioni degli internati
alle Fraschette di Alatri, non risulta che sia avvenuta la
stessa cosa, né su iniziativa degli antifascisti “del giorno
dopo”, di cui i comitati di Liberazione, locale e
provinciale, erano pieni, né dai sindaci nominati dagli
stessi Cnl. Ecco altri particolari, riferiti dal Rengo sui
profughi maltesi alloggiati al Grand’ Hotel di Fiuggi Città.
“L’affidamento della relativa gestione, non fu decisa
dall’ autorità fascista, ma fu indetta una gara, dietro un
compenso in denaro che in base alle presenze degli
internati si dovevano: fornire i pasti, dei quali era
specificata la quantità e la qualità; provvedere alle pulizie
ed al ricambio della biancheria. La gara fu vinta da due
persone: suocero e genero. Il primo aveva lavorato per
molti anni in Usa, dove aveva fatto fortuna.

172
Al punto che, tornato a Fiuggi, aveva costruito l’Albergo
Plinius, ora S.Marco. I due gestori non si erano mai iscritti
al Fascio e vantavano questa loro merito dichiarandosi
antifascisti da sempre, ma soltanto dopo il 25 luglio del
1943. Grazie anche a questa loro etichetta, approfittarono
per trattare le famiglie maltesi in maniera ripugnante. Pasti
scarsi e qualità scadentissima, pulizie ignorate.
Le povere donne, per il trauma della deportazione, non
avevano più le mestruazioni ed erano costernate nel timore
di essere incinte. Si aggiungeva la denutrizione e la
sporcizia.
Acquistavano da alcuni negozianti qualche alimento per
sfamare sé e i bambini; in cambio venivano depredate del
poco denaro di cui disponevano, delle fedi nuziali, catenine
e braccialetti d’oro.
Il Rengo era il loro medico, e fino al 25 luglio del 1943,
anche segretario politico. Vedeva con angoscia la
situazione di quella povera gente: donne e bambini
dimagrivano sempre di più. Entrando nelle loro stanze
avvertiva un odore nauseante.
Come medico condotto ed ufficiale sanitario segnalava gli
abusi al medico provinciale, il quale per evitare di prendere
le difese di persone schedate come nemiche, faceva
orecchi da mercante.
Come segretario politico la sua situazione era
imbarazzante, e si limitava a tenere su il morale di quelle
povere donne, prospettando loro che presto sarebbero state
liberate dalle loro truppe.
Nel frattempo cercava di rimediare le medicine per curare
le frequenti malattie. Pensò di scrivere un esposto al
Prefetto e al Federale denunciando gli abusi dei due gestori
e le condizioni disumane nelle quali tenevano gli internati.

173
Ma non potendo firmare come segretario poltico, fece
firmare l’esposto da alcune persone amiche e fidate, tra cui
il padre Sabatino, che era stato sempre di sentimenti
socialisti.
Con la caduta del Fascismo, i maltrattamenti ai maltesi
del Grand’ Hotel aumentarono, soprattutto da parte dei due
gestori, che subito proclamavamo ai quattro venti la loro
costante militanza antifascista.
Dopo l’8 settembre con il capovolgimento del fronte,
conobbe, nel suo ufficio all’ Albergo Universo, un
maresciallo tedesco che controllava i movimenti dei
militari al Plinius.
Diventarono amici e si scambiarono varie confidenze,
sulla ormai certa sconfitta della Germania che si stava
profilando.Gli parlò dei maltesi alloggiati al Grand’Hotel e
delle condizioni in cui si trovavano.
Dai magazzini dell’Universo gli fece assegnare per le
famiglie maltesi piccoli quantitativi di aspirina per le
febbri, di pomata allo zolfo per la scabbia, e di petrolio per
combattere i pidocchi.
In quella e tante altre occasioni notò la scarsezza di
mezzi a disposizione dei tedeschi: viveri, medicinali,
munizioni, macchinari, eccetera, in confronto delle
sterminate scorte di cui disponevano gli alleati, che
osservò dopo il loro arrivo.
Il maresciallo gli diceva che, per sua esperienza, i
momenti più brutti della guerra per i civili erano quando si
imbattevano con le retroguardie di reparti militari in
avanzata.
Gli disse che quando sarebbe arrivato quel momento, lo
avrebbe avvisato perché si mettesse al riparo con la
famiglia.

174
Pochi giorni prima dell’entrata degli alleati infatti gli
riferirono che a casa era passato un maresciallo tedesco per
avvertirlo del pericolo imminente. Mentre le donne maltesi
con i bambini soggiornavano al Grand’Hotel, i loro uomini
erano internati alle Fraschette di Alatri. Poiché la loro
corrispondenza era soggetta a censura militare le loro
lettere, o non arrivavano, oppure venivano consegnate con
molto ritardo.
Il Rengo per aiutarli segretamente ritirava le lettere delle
mogli ai mariti e, con la scusa di visite mediche e consegna
di medicinali si recava in macchina ad Alatri e dava e
ritirava la posta.
A questo punto per avere più chiara la situazione di ciò
che accadde a Fiuggi, anche per i profughi maltesi, prima
e dopo il 25 luglio 1943, sarebbe bene che il lettore vada a
rileggersi, dall’ inizio, le preziose memorie del Rengo alle
pagine precedenti.

175
VACANZE FORZATE
NELLE SCUOLE

176
Vacanze forzate nelle scuole

Il passaggio degli aerei alleati, nel cielo delle regioni


centrali e meridionali dell’Italia, era così frequente, che
ogni attività della vita civile doveva essere interrotta o
sospesa, subordinatamente alla intensità con la quale le
incursioni aeree, alleate o tedesche, venivano effettuate,
nei territori della provincia.
Così avveniva, ad esempio, per le scuole di ogni ordine e
grado (primarie, secondarie o superiori) per il semplice
fatto che, a causa dei pericoli derivanti dai rastrellamenti di
civili, o dai mitragliamenti che ogni giorno si verificavano
sulle strade statali, provinciali e comunali, da Roma in giù,
fino a Cassino, nessuna struttura pubblica poteva garantire
la funzionalità delle istituzioni scolastiche, e la sicurezza
dei cittadini che se ne servivano.
E così avveniva, tra l’ottobre del 1943 e l’ottobre del
1944, allorquando dovevano riaprirsi le scuole, con gli
insegnanti, gli studenti, ed il personale amministrativo
costretti, loro malgrado, a fare le vacanze forzate, perché
difficile era per tutti dedicarsi al lavoro ed allo studio in
Paesi (come Alatri,Anagni,Veroli, Frosinone, Ferentino,
Sora, Arpino e Cassino) dove si trovavano gli istituti del
ginnasio, liceo, magistrali, e professionali, nei quali
affluivano studenti e insegnanti da ogni parte dell’Italia
centro-meridionale.
“Vacande forzate” infatti è il titolo del 40° capitolo che il
collega giornalista aquinate, Costantino Jadecola, dedica al
precario funzionamento di una istituzione come quella
scolastica.

177
“Tentare di fare un quadro omogeneo della situazione,
per tutto il territorio provinciale, è praticamente
impossibile”. Così infatti egli descrive le difficoltà di quel
forzato blocco delle attività nel settore, dovute soprattutto
alla diversità delle situazioni provocate dalla guerra.
“Appare comunque a dir poco un miracolo che, ad
esempio, a Cassino, completamente distrutta dai
bombardamenti, già nell’ agosto del 1944, a due mesi
appena dalla fine della battaglia, cominciano le lezioni
nelle scuole elementari ed il 1° ottobre riprende metodico
il lavoro degli insegnanti in locali improvvisati, o in
baracche provvisorie; vi accedono bambini denutriti
mancanza di cibo, o per l’imperversare della malaria. Il
maestro T. Saragosa dirige le scuole elementari sparse un
po’ dovunque nella campagna di Caira, S.Angelo e
Cassino; in Sant’ Elia ha sede la scuola Media diretta dal
Prof. Giuseppe Di Zenzo, con 35 alunni.
A Veroli, invece, anche nei mesi che per il cassinate sono
più drammatici, i riflessi della guerra non sembrano creare
preoccupazione più di tanto”.
“Vediamo infatti spulciando il registro dei verbali, redatti
dal segretario D. Augusto Tarquini, cosa accade al Regio
Istituto Magistrale” di cui è preside il prof. Giovanni
Lombardo, il 15 febbraio 1944, ovvero il giorno in cui gli
alleati bombardano il Monastero di Montecassino.
In quel giorno, infatti, “si è adunato il Consiglio di classe
della IV inferiore per procedere allo scrutinio del secondo
trimestre. Gli insegnanti riferiscono sullo svolgimento dei
programmi e sulla volontà degli alunni, i quali, noncuranti
dei continui allarmi e bombardamenti aerei, fanno del loro
meglio per rispondere con diligenza alle premure dei
professori”.

178
Anche a Veroli si verifica qualche bombardamento, ma
ciò pare non turbi l’attività scolastica: non a caso, nella
riunione del consiglio di classe della Prima Superiore, il 29
febbraio, il preside Lombardo fa “un vivo elogio per il
calmo comportamento degli insegnanti nel
bombardamento del 17 marzo, nel collegio dei professori
del giorno 20, considerato che “il Provveditore lascia
arbitri sul da farsi il Preside e i professori”
Il segretario Cruciali annota che gli allarmi e le incursioni
che di frequente si ripetono nella zona non consentono di
tenere ulteriormente aperta la scuola. Tuttavia l’attività
scolastica non pare cessare del tutto, se il 20 aprile si ha
notizia di un altro collegio di docenti ed il 4 maggio ci
sono addirittura gli scrutini per i quali, si precisa, la
Commissione ha usato una ragionevole larghezza
nell’approvazione di tutti gli alunni, dato lo stato di guerra
e dato che essi furono i soli a presentarsi agli esami.
Ma chi erano quegli alunni? Giuseppe Belletti, Lavinia
Angeletti Catanossi, Leda Diamanti, Aldo Iocchi, Italo
Lanucara, Giovanni Mazzoleni, Luciana Mella, Sara Prilli,
Marina Rinna, Celeste Sirizzotti.
“Nella riunione del 7 maggio, il preside partecipa agli
insegnanti che “ a causa delle continue incursioni aeree, la
prudenza consiglia di fare gli esami nei locali del
seminario”. E’ l’ultima volta in cui si fa cenno alle
interferenze belliche sull’attività scolastica che, di fatto,
proseguirà per tutta l’estate con lo svolgimento di varie
sessioni di esame”.
Ebbene, in una di quelle sessioni, anche chi scrive questo
“Settembre 1943 e dintorni” avrebbe dovuto presentarsi
agli esami di maturità magistrale, ma che fu impossibilitato
a sostenere, perchè a causa dei mitragliamenti che quasi

179
ogni giorno si verificavano sulla statale 155, il camion su
cui viaggiava, fu attaccato dagli aerei da caccia delle forze
alleate, e i passeggeri insieme ad altri studenti della zona
furono costretti a saltare dal camion, per nascondersi nel
bosco tra Trivigliano e Pitocco, da cui uscirono subito
dopo, sani e salvi, ed il camion pur non essendo stato
colpito da alcun proiettile, per ragioni di sicurezza non fu
fatto proseguire.
Neppure gli esami di abilitazione magistrale che l’ autore,
nell’anno successivo decise di sostenere, a Pontecorvo,
non ebbero esito positivo, perché in quella località, che
registrava i perniciosi effetti della malaria, il nostro che si
presentava agli esami con 40 gradi di febbre. fu consigliato
dai professori a rimandarli nella sessione di settembre.
Anche in questa occasione, però, avendo egli contratto lo
stesso morbo appena arrivato nella località, dovette di
nuovo rinunciare agli esami.

180
VII
ALTRE OCCUPAZIONI
(e vendette )

Ad Alatri - Nel Diario (di Sacchetti e Sassetti):

Il 3 giugno 1944 - Mattino: Antonio Colella con una


bandiera rossa vuol farla da padrone della città. Il Vescovo
ha contrasti con lui. Benedetto Uberti, ardente fascista è
minacciato e costretto a rifugiarsi presso Vicero. Al
balcone del Municipio, sventola la bandiera rossa. Il
Commissario Prefettizio Esonerato. Comanda Cesare
Baroni comunista. Il Tenente Aceti rischia di essere
linciato.
4 giugno – Arresto del maresciallo Americo Tagliaferri, e
Scappatici, ex repubblicani e disertori badogliani. Tolte le
tre bandiere del Municipio, americana, inglese e tricolore,
rimane quella rossa.
8 giugno – Il dottor Giuseppe Pelloni e il dottor Giacinto
Minnocci arrestano Carlo Ballincampi, presso Ferentino.
Bruxelles, Covino, il tenente Cristiani ed altri, arrestati e
portati a Pietra Vairano, in campo di concentramento.
Arrigo Berenghi e figlio, fermati e rilasciati a Collepardo.
13 giugno - Anche Berenghi figlio, viene rilasciato per
mancanza di prove. Rimossa la lapide delle Sanzioni.
Affisso il manifesto della Giunta municipale
(autonominatasi) data 6 giugno, firmata da P. Luigi
Pietrobono (Presidente onorario (sic), prof. Carlo Minnocci
Sindaco, agric. Vincenzo Evangelisti, geom.Giovanni
Culla, prof. Oreste Marinucci, notaio Giuseppe Pelloni.
La Giunta invoca la collaborazione dei cittadini, l’oblìo
degli odi di parte e loda le Nazioni Alleate per gli aiuti
dati.
181
Viene l’avv. Marzi, nuovo Sindaco ( autonominatosi) di
Frosinone.
14 giugno - Giovanni Carrasi nuovo preside (idem) della
Provincia, avvisa che l’Amministrazione Provinciale è
tornata a
Frosinone e che tutti gli impiegati debbono tornare a
Frosinone, non più tardi del 19.giugno.
Mattino: esumata la salma della moglie del capitano, morta
al Colle il 22 maggio. Pomeriggio: esumato anche il
capitano e trasportato al Cimitero. Il Sindaco ordina la
consegna ai Carabinieri,. di armi, munizioni e radio-
trasmittenti. Pomeriggio: distribuzione di un volantino,
diretto agli antichi gerarchi fascisti e invitante i medesimi
“alla pala e alla cofana” se vogliono essere perdonati delle
loro azioni. F.to Il Comitato di Liberazione della Provincia
di Frosinone.
17 giugno – Della deputazione provinciale fanno parte
(sempre gli stessi, nominati da chi?-n.d..a): D.Angelo
Menicucci, Cesare Baroni, il prof. Conti, ecc. Attilio Ceci
arrestato per ragioni poltiche. Affisso un manifesto
“Proclama agli Italiani” f.to dal “Comitato Esecutivo
Provinciale del Partito Comunista” in data 15 giugno,
analogo a quello del Psiup del 15 giugno, incitante a
prendere le armi contro i tedeschi.
I soldati alpini lo stracciano in Piazza, perché stanchi, non
vogliono più combattere. Si bisticciano con un gruppo di
comunisti.
18 giugno – Arresto di Camillo Papitto, già Segretario
Politico del Fascio. Un giovane col pennello scrive sui
muri. “Evviva l’Esercito Alleato! A morte i traditori
fascisti” e sotto la falce e martello.
20 giugno - Vincenzo Torrice ha scritto al Comando

182
inglese una lettera in lingua inglese, in cui denuncia che, il
22 novembre 1942, quando fu maltrattato nella Casa del
Fascio, l’attuale Sindaco (Carlo Minnocci) faceva parte del
Direttorio del Fascio locale.
La denuncia, dovuta a risentimenti personali, non è stata
presa in considerazione.
(N.d.a. - Decisione di comodo e alquanto sbrigativa
specialmente se si considera che il Sindaco, sotto il
Fascismo, nella sua qualità di Preside del Liceo Conti
Gentili di Alatri, aveva l’abitudine di riunire, nella sua
stanza, ad inizio dell’anno, i nuovi studenti, per invitarli a
prendere la tessera del Fascio, per evitare di essere espulsi.
La circostanza mi è stata spesso ricordata da alcuni suoi
alunni, tra cui il Prof. Giuseppe Onorati, proprietario dell’
Albergo Europa, ancora in vita, ogni qualvolta si parlava di
antifascismo e di resistenza, ad Alatri e a Fiuggi).
Denunzia di Antonio Colella contro Giovanni Ceci, quale
favoreggiatore dei tedeschi.
23 giugno – Il Corso Vittorio Emanuele, poco a poco si
rianima. Galuppi, Piacitelli riparano i negozi. Anche il
Caffè Bitileno viene riparato. A Tecchiena non vogliono
manifesti comunisti.
24 giugno - Riunione in Alatri del C.n.l. provinciale. L’on.
Marzi insedia la sede del Pci (al piano nobile del Liceo).
25 giugno - Atro manifesto del volante del Pci ai contadini,
promettente la terra. Diffidenti i contadini , arrabbiati i
proprietari.
27 giugno - Viene il prof. Conti di Fiuggi (N.d.a. Leggasi i
trascorsi del personaggio al Cap. 8 pag.35 e seguenti) per
ingaggiare volontari che combattano a fianco degli alleati.
Si apprende che è stato ordinato l’arresto del Col. Righini.
Circola Guido Di Fabio.Il Pci. requisisce i mobili del
Fascio.
183
29 giugno – Si apprende che nella Giunta Municipale al
posto di Giovanni Culla è entrato Tullio Pietrobono del
P.C.
4 luglio - Il Ten. Aceti, proveniente da Lecce, donde era
stato rilasciato, perché ancora non pervenute le
imputazioni, per le quali il giugno era stato arrestato in
Alatri, per opera di Baroni e Pedullà, consigliatisi prima
col Vescovo Facchini, viene di nuovo arrestato.
5 luglio - Il Ten.Aceti rilasciato. Baroni protesta e
minaccia di far rilasciare tutti gli altri internati di Alatri.
Il prof.Conti e il canonico Menicucci membri del Comitato
di Epurazione degli insegnanti fascisti (ex gerarchi ecc.)
Il Ten. Aceti, il 7 luglio, sarà di nuovo arrestato dagli
Inglesi. Pianto della fidanzata.
13 luglio - Il Sindaco con un suo manifesto dattiloscritto,
comunica una circolare del Comando Inglese
(Col.Thornhill?), che vieta ai partigiani di arrogarsi diritti
che non hanno, e l’invita, se hanno voglia di collaborare, di
entrare nell’esercito, ovvero ad attendere ai lavori dei
campi (cioè alla zappa e a la vanga che essi invece
volevano dare ai fascisti -.n.d.a) e di ricostruzione di case.

A Fontanaliri

Dopo aver esaminato il periodo di guerra, tra la caduta del


Fascismo (25 luglio 1943) e la liberazione da parte degli
alleati ( 4 giugno 1944) nelle zona tra Frosinone, Alatri e
Fiuggi, dove la vulgata antifascista fa credere, che vi
sarebbero stati gruppi organizzati di partigiani (lo storico
Giammaria dice invece che le azioni di contrasto contro i
tedeschi, furono inesistenti), in questo capitolo si ricordano
i fatti accaduti a Fontanaliri, dove c’era il Polverificio
militare
184
. In questa zona, poco distante dal fronte di Cassino, la
presenza dei tedeschi era massiccia, ma qui la resistenza
che il cosiddetto “Comitato armato” aveva promesso di
fare, con tanto di atto, sottoscritto l’8 settembre da 41
persone, è rimasta lettera morta, fino all’arrivo degli
alleati.
Ecco infatti, cosa racconta Generoso Pistilli (che dopo la
guerra sarà amministratore e sindaco per molti anni) nella
sua “Storia di Fontana Liri” a cura del Comune.:
Il 25 luglio 1943, con la caduta del Fascismo nel Paese,
così com’era stato per il suo avvento, non si registrò niente
di particolare.Il giorno dell’Armistizio, invece, alcuni
cittadini di varia estrazione politica, costituirono un
“Comitato armato di resistenza”
Le truppe tedesche fino allora alleate, dovendo da sole
sostenere il peso della guerra, disarmarono con rapidità i
reparti militari italiani, ed occuparono in breve gli impianti
industriali e gli uffici pubblici, imponendo le loro leggi di
guerra.
Anche il Polverificio venne immediatamente occupato, e
smantellato per inviare i macchinari in Germania..
I tedeschi requisirono pure quasi tutte le abitazioni di
Fontana Liri inferiore, per insediarvi comandi, alloggi per
truppe, magazzini e servizi. Nelle palazzine “Alloggi” già
abitazioni di ufficiali e funzionari del polverificio,
installarono un ospedale, con accanto un cimitero di
guerra. La popolazione civile, per sfuggire ai
rastrellamenti, e soprattutto per evitare le incursioni aeree,
sfollò verso Fontanaliri superiore e la zona montuosa tra
Arpino, Santopadre e Roccadarce. Anche mille anni prima
le popolazioni per sfuggire alle invasioni barbariche,
avevano abbandonato la piana per rifugiarsi sulle colline.

185
Nel 1943 il periodo di sfollamento si prolungò per nove
interminabili mesi, poiché i tedeschi, nel frattempo si erano
attestati a Cassino sulla Line Gustav, per contrastare ad
oltranza l’avanzata degli eserciti alleati.
Delle istituzioni pubbliche non rimase nulla, perché il
podestà Battista, per non collaborare con i tedeschi si era
reso irreperibile. In data 31 ottobre 1943, il Comitato
armato di resistenza, si trasformò in “Comitato comunale
antifascista”, e riuscì ad ottenere dal Prefetto Rocchi la
nomina di Antonio Giannettii, membro dello stesso e
Commissario del Comune. .
Nel dicembre 1943, ricorda Pistilli, i registri dello stato
civile e l’archivio comunale furono portati a Fontana Liri
Superiore e sistemati nella chiesa di Santa Croce.
Fontana Liri, fu teatro di molte incursioni aeree, a causa
della presenza nel territorio di molti presidi tedeschi e di
mezzi bellici di ogni genere.
Il 4 gennaio 1944 le popolazione di Fontana Liri e di
Arpino furono scosse da una notizia raccapricciante: una
pattuglia tedesca aveva trucidato quattro giovani che, non
potendo raggiungere i loro paesi, al di là del fronte, si
erano rifugiati in un vecchio casolare in località Forcella.
Erano il tenente Luigi Di Vicino e il ragioniere Felice
Sanità, già in servizio al polverificio, e i militari Pasquale
Barretta e Michele Bonavolontà, già appartenenti al locale
distaccamento militare.
Dalla cima della contrada Le Cese, Pistilli aveva potuto
osservare i 32 bombardamenti che arrecarono al paese ed
al poleverificio danni ingenti. Ed il 15 febbraio 1944,
anche il carosello di fortezze volanti che dalle 9,20 alle
12,20, scaricarono tonnellate di bombe sull’Abbazia di
Montecassino, distruggendola completamente.

186
Un mese dopo vi fu il bombardamento della città di
Cassino, che sembrò il preludio allo sfondamento del
fronte da parte degli alleati, ma non era così, perché la
grande offensiva iniziò il 15 maggio, quando fu occupata
Cassino e, tre giorni dopo, le truppe polacche del generale
Abders, conquistarono la vetta, con il Monastero di
Montecassino, che i bombardamenti avevano ridotto ad un
cumulo di rovine.Da quel momento tutto il fronte si mise
in movimento e gli alleati iniziarono la grande avanzata
che li portò il 4 giugno a Roma. In circa nove mesi, annota
Pistilli, i tedeschi ebbero 22.000 morti, gli alleati ben
230.000.
La sera del 28 maggio per effetto del cannoneggiamento
sul territorio, furono falciati da un colpo di cannone i
coniugi Luigi Pistilli e Domenica Patriarca. In quello
stesso pomeriggio due soli tedeschi fecero saltare uno dopo
l’altro tutti i ponti, i caselli e le stazioni della ferrovia
Roccasecca-Avezzano. L’unico ponte a rimanere in piedi,
fu quello più grande nei pressi della stazione ferroviaria, i
cui piloni erano già stati minati, ma fu risparmiato perché
doveva servire alla ritirata delle retroguardie tedesche.
A questo punto viene da chiedersi, dove fossero quei 41
partigiani, che lo stesso 8 settembre si costituirono in
“Comitato armato di resistenza”. Poi trasformato in
“Comitato comunale antifascista” su iniziativa dell’
antifascista Arturo D’ Innocenzo, che era appena tornato
dal fronte balcanico” e della cui attività si fa cenno nel
volume “Contributo alla storia del nostro Paese” nel modo
seguente: i componenti del Comitato si richiamano
politicamente ai partiti politici tornati alla ribalta o appena
costituiti; ci sarà anche una scissione all’interno del
Comitato tra i vari esponenti politici, alcuni dei quali

187
decisero di collaborare ulteriormente con la “Banda
armata”
Il Comitato, si attribuisce il recupero di armi presso il
Polverificio e nella postazione a Le Cese, ormai
abbandonata; aiuta quaranta ex prigionieri alleati,
controlla i movimenti dei tedeschi e compie alcune azioni.
Ma non precisa quali, e di quale natura.
Una cosa certa è che, quando due tedeschi, pochi giorni
prima di ritirarsi, decisero di minare e far saltare uno ad
uno i ponti e le stazioni della ferrovia, codesti uomini
coraggiosi erano uccel di bosco.
Dopo l’ingresso degli alleati, il D’Innocenzo, dichiaratosi
antifascista, con l’appoggio del Comitato, ottenne con
decreto prefettizio la nomina a Sindaco, pur essendo fino
ad allora vissuto a Roma, e nominò Vice Sindaco un
vecchio antifascista Angelo Casciano, maestro, allora
ottantenne.
La Giunta municipale era formata da quattro assessori
effettivi e due supplenti, e come primo atto, dispose che la
sede comunale tornasse a Fontana Liri Superiore; invitò i
carabinieri della locale stazione a lasciare il Paese e istituì
contemporaneamente una polizia partigiana di quattordici
elementi regolarmente armati e stipendiati; nominò un
giudice del popolo; esonerò dall’incarico il medico
condotto, e inviò nel campo di concentramento di Padula
(Salerno) un alto ufficiale, già in servizio nel polverificio e
il Commissario prefettizio del periodo di occupazione;
riempì le carceri del governo locale di intellettuali
periferici e benpensanti, in attesa che il tribunale del
popolo lì giudicasse; revocò la licenza ai commercianti,
colpevoli di aver fatto sparire e venduto alla borsa nera i
generi alimentari, razionati nel periodo di guerra;

188
organizzò squadre di operai per i lavori urgenti da
eseguirsi nel territorio comunale.
Creò insomma una Giunta autoritaria e paramilitare, il cui
unico scopo, più che il governo del paese, era quello di
eliminare dalla vita civile tutti gli avversari politici.
In una nota a margine, a pagina 233 della sua “Storia di
Fontanaliri” Generoso Pistilli, ricordando il periodo in cui
quella Giunta, senza legittimità democratica assunse il
potere, dice che fu certamente tra i più burrascosi e
discutibili di tutta la storia del Paese.
Per fortuna, dopo quel periodo di confusione e di
illegalità, determinato dalla prepotenza con cui gli
antifascisti, occuparono il potere, anche a Fontana Liri
arrivò l’ordine del Commissario alleato, Col. Thornihill,
per la provincia di Frosinone, con il quale si imponeva la
cessazione immediata dell’esercizio del potere da parte
di gruppi di individui che si chiamavano partigiani, la
consegna delle armi, a qualsiasi titolo detenute, la
proibizione di usare i partigiani come guardie municipali e
per servizio di polizia.
In virtù di ciò non essendo stati rispettati gli ordini
impartiti il 31 luglio, nel dicembre 1944,
l’Amministrazione e il Sindaco furono destituiti dalla
Prefettura di Frosinone e fu nominato commissario
prefettizio Claudio Lucchetti, un grande invalido di guerra.
La legalità sembrava ristabilita, ma il 26 dicembre seguì il
paradossale tentativo da parte di pochi facinorosi di
reinsediare con forza l’ex Sindaco D’Innocenzo, attraverso
una ben orchestrata manifestazione popolare, in Piazza
Santo Stefano, ma le autorità politiche e militari furono
irremovibili e per il sindaco destituito, e per i suoi
collaboratori, non vi fu nulla da fare.

189
Così ebbe termine dopo sette mesi la “Repubblica” di
D’Innocenzo, e la funzione di Commissario prefettizio
riprese a svolgerla Claudio Lucchetti.
E’ di qualche anno fa, un’altra pubblicazione su Fontana
Liri, durante il periodo di guerra 1943-1945, col titolo
“Contributo alla Storia del nostro Paese” nella quale vi
sono raccolte numerose testimonianza di chi, quel periodo
lo visse in prima persona, e di chi lo ricorda attraverso le
memoria dei loro genitori e dei loro nonni o dei loro amici
più anziani. Ebbene nelle cento pagine e più di dette
testimonianze, in una sola si parla di “Presenza partigiana
a Fontanaliri”.
Si tratta di una ventina di righe, in cui si fa cenno a quel
“Comitato armato di resistenza”, che come abbiamo visto
rimase sulla carta fino all’arrivo degli alleati, e si fece vivo
soltanto dopo la liberazione, con la triste e squallida
esperienza della cosiddetta “Repubblica” messa in piedi da
quell’antifascista venuto da Roma, appena tornato dal
fronte greco albanese, ma finita in malo modo, perché
ritenuta, illegittima e pericolosa, dallo stesso Commissario
alleato, che aveva il compiuto di vigilare sulla corretta
gestione dei Comuni e della Provincia. .

190
EPILOGO

1945
L’Unità antifascista è già in crisi

A pagina 159 - Nel libro, dopo quella del sindacato rosso


si fa l’apologìa dei tre maggiori partiti del fronte
antifascista Dc, Pci e Psi. E il Prefetto Zanframundo dopo
meno di tre mesi dalla liberazione, redige un rapporto
sulla situazione politica, registrando che è il Partito
comunista a primeggiare, per attivismo e numero di iscritti.
Infatti è l’unica forza politica ad aver aperto una propria
sede nella città e il 10 settembre è il primo a tornare in
piazza, dopo oltre 20 anni, quando i suoi militanti tengono
il primo comizio politico del dopo guerra, in Piazza
Garibaldi, con il segretario della sezione cittadina, con il
Sindaco Marzi e un inviato della direzione nazionale.
A ricostituire la sezione cittadina del Pci, che intanto ha
fissato la propria sede nel Palazzo Cagiano al n.49 di
Piazza Garibaldi, si ritrovano con il solito Marzi, molti
vecchi militanti dell’epoca prefascista, come Vittorio
Antonucci, e Arcangelo Silvestri, ed una decina di coloro
che si sentivano perseguitati.
A questi però si aggiunge una nuova generazione di
giovani comunisti come: Tullio Pietrobono, Arnaldo
Marzi, Oreste Cicalè, i fratelli Raul, Aldo e Renzo Silvestri
e Canili Riveda, Antonio Grande, Luciano Bartoli, Antonio
Fiacco, Mario Brighindi, Gustavo Grande ed altri ancora
più giovani.
Nel Partito socialista, oltre a Luigi Valchera, che gli inizi
del secolo scorso era stato uno dei precursori del
movimento socialista in Ciociaria, ridanno vita alla sezione

191
cittadina, una decina di compagni anziani e giovani tra cui
Antonio Grande, Giuseppe Bartoli, Carlo Federico,
Edmomdo La Serra, e i fratelli Alberto e Cesare Facci.
Nella Democrazia Cristiana di Frosinone, oltre
all’avvocato Giacomo De Palma, già del Partito
Popolare di Don Sturzo, una decina tra anziani e giovani
tra cui Angelo Maria D’Agostini, G.B.Longhi Bracaglia,
Armando Vona, Vittorio Valle, Anna Cristofari e don
Luigi Minotti. Degli altri partiti operanti al livello
nazionale, sulla scena locale, appaiono il Partito d’Azione
con l’avvocato Armando Riccardi, il Partito Liberale, con
l’avvocato Giovanni Ferrante e il Partito Repubblicano con
il farmacista Renato Gabrielli che da poco ha riaperto la
sua farmacia allo Scalo.
A proposito del Pri c‘è da dire che esso, non avendo
voluto accettare per motivi ideologici, di riconoscere il
ruolo che gli alleati, dopo l’accordo di Salerno,
assegnavano alla Monarchia per accompagnare il
passaggio dell’Italia dal vecchio regime alla democrazia,
non entrò a far parte del C.N.L. e non si rese complice di
nessuna delle decisioni, spesso arbitrarie ed illegittime, che
il Comitato assunse prima e dopo l’arrivo degli alleati.
Tutti i partiti, secondo il rapporto del Prefetto, solo
raramente danno vita a manifestazioni separate:
preferiscono manifestazioni e comizi unitari, e sono mossi
da forte spirito di collaborazione nel lavoro di
ricostruzione della democrazia e delle sue articolazioni.
Questo spirito unitario durerà per tutto l’anno successivo,
ma nel luglio del 1945, il Prefetto rivela che sono i partiti
di estrema sinistra che tendono ad imporre la loro
supremazia.

192
A conclusione di questa mia ricostruzione della situazione
di guerra e del dopoguerra, nella zona nord della Provincia,
dove secondo la vulgata antifascista, avrebbe operato,
anche prima dell’8 settembre, un attivo e consistente
movimento partigiano, ritengo utile riportare (a conferma
di quanto da me sostenuto) la introduzione, con la quale lo
storico Gioacchino Giammaria, esamina la consistenza di
quel movimento, sui “Quaderni della resistenza laziale”
per conto della Regione Lazio, in occasione del XXX
Anniversario della guerra di liberazione. N.8 Roma 1975:
“La completa mancanza di storiografia sul periodo, escluse
alcune pubblicazioni apologetiche e i brevi accenni nella
storiografia locale, e l’estrema scarsità delle fonti
documentarie, accessibili rendono difficile la storia di
questa area laziale nel nostro secolo. In particolare uno
studio esauriente del fascismo e dell’antifascismo, in
Ciociaria, all’attuale stato della documentazione, è quasi
impossibile tentarlo.
Per stendere questo lavoro mi sono servito della scarsa
pubblicistica e di pochi documenti raccolti presso amici e
compagni. Allo stato attuale, questa è una ricerca su poche
realtà, documentate appena in modo sommario. Manca a
questo lavoro soprattutto la documentazione della parte
avversa, fascista e tedesca che non ho potuto reperire.”

La Ciociaria e la Resistenza locale.

“L’ambiente naturale poco si presta alla concentrazione di


bande armate: montagne non eccessivamente scoscese, ma
percorse da una infinita rette di sentieri; il territorio
fittamente popolato. Inoltre dopo l’8settembre la provincia
di Frosinone si trova a ridosso della prima linea e quindi

193
tutti i paesi vengono occupati da comandi, presidi,
istallazioni militari e caserme tedesche, a sostegno del
fronte cassinese.
Non facile l’ambiente sociale: a causa dello
sbandamento dell’8 settembre la popolazione pensa alla
sopravvivenza. Gli antifascisti poco numerosi e in genere
ex militari, dei disciolti partiti (e dello stesso partito
fascista, prima dell’8 settembre - n.d.a.) non prendono
l’iniziativa che nei momenti successivi.
Nella prima fase si registra uno spontaneo movimento di
giovani e di militari sbandati. Manca l’organizzazione.
Solo successivamente alcuni centri si collegano fra loro e
con Roma, ma con contatti sporadici. Non esistono
comandi militari e formazioni permanenti. Le iniziative
politico-militari antifasciste sorgono in zone defilate e non
sui paesi lungo le strade principali. La scarsità delle azioni
militari e la poca incisività dell’azione antifascista è
dovuta:
1) La provincia presenta un massiccio concentramento di
forze tedesche, che impediscono concentramenti militari
agli antifascisti;
2) La scarsa coscienza politica e la inesperienza militare
sono alla base della inefficienza dell’azione;
3) I gruppi e i partiti resistenziali mancano di un
collegamento permanete;
4) L’azione partigiana in Ciociaria ha tempi ristretti, per
cui non ha potuto svilupparsi e organizzarsi.”
Come si vede, lo Giammaria dice tutto questo, per non
dire, in poche parole, che “La resistenza in Ciociaria, non
è mai esistita.”

194
BIBLIOGRAFIA

Montanelli-Cervi:-“L’Italia della Guerra civile” ( Rizzoli


1983).
Guerri G.B. - “Fascisti” (Mondatori 1995).
Petacco Arrigo - “L’Armata scomparsa” (Mondadori
1998).
Autori vari - “Il libro nero del Comunismo” (Mondadori
2000).
Bigazzi-Zhirnov:“Gli ultimi 28 italiani in Russia”
(Mondatori
“Annuario 1929-01“Il Liceo Turriziani Frosinone”
(Bianchini).
Vespa Bruno: “Storia d’Italia,.da Mussolini a
Berlusconi” (Mondadori 2004).
Pansa Giampaolo-“La grande bugia”(Sperling & Kupfer
2006).
Battista Pier Luigi - “ Cancellare le tracce” (Rizzoli
2007).
Marini Augusto - “Dalla camicia nera alla toga” (Sovera
2006).
Baris Tommaso - “ Il Fascismo in provincia” (Laterza
2007).
Autori vari - “Il capitalismo rosso” (Panorama 2006)
“Quaderni della Resistenza Laziale” (Regione Lazio
1975).
“Guerra di liberazione in Ciociaria”(Amm.Prov.le 1985).

195
Missori Maurizio: “Gerarchie e statuti del Pnf” (Bonacci
1986).
Federico e Jadecola - “La Guerra a Frosinone 1943-44”
(Comune di Frosinone 2005).
Sacchetti Sassetti - “Cronaca di Alatri 1943-44” (Isalm
1969).
Bartoli Luciano - “Scritti politici” (Abbazia Calamari
1991).
Bonelli Alfredo:“Io Gino Conti, rivoluzionario di
professione” (Tofani 1995).
Rengo Giuseppe: “Quando ero soldato” (Giornale Fiuggi
1998).
Caperna Umberto:“Ricordi di guerra 1943-44” (Edigraf
2004).
Curti Floriana: “Caramelle e pidocchi” (Bianchini 2004).
Bartoli Augusto: “Poveri oscuri eroi” (Prodotto in
proprio)

196
www.storialibera.it

Se si vuole saperne di più sulle verità di quel periodo che


la storiografia ufficiale ha nascosto agli italiani per quasi
50 anni, sul sito predetto, alla voce resistenza, vi sono i
saggi di alcuni revisionisti della nostra storia.
Antonio Socci e Galli Della Loggia “Che storia è
questa”
Sergio Romano “Ebbene sì sono revisionista”
Giordano Bruno Guerri “Fascisti il regime degli italiani”
Luca Gallesi “Il revisionismo avanza a sinistra”
Ugo Finetti “La resistenza cancellata”
Roberto Beretta “Pansa: la resistenza lavi i panni
sporchi”.
Inoltre, nutrita è ormai la schiera dei revisionisti, quasi
tutti di area liberale, perché quelli di area catto-comunista
o azionista, difficilmente sono disposti ad abiurare i
dogmi della storiografia ufficializzata. Pertanto può
essere utile ed istruttivo ricordare che, tra i revisionisti
possono essere annoverati: Benedetto Croce - Renzo De
Felice - Luca Canali - Valerio Riva
Mentre tra gli antirevisionisti si possono
tranquillamente mettere:
Giorgio Bocca - Carlo Azelio Ciampi - Nicola Tranfaglia
- Armando Cossutta e tutti quegli intellettuali e uomini
della sinistra di questi ultimi 60 anni, che sul mito dell’
antifascismo e della resistenza hanno costruito la loro
fortuna e le loro carriere politiche.

197
DELLO STESSO AUTORE
SU STORIA E POLITICA

“Anche da noi urge il revisionismo”

“Simbolismo e totemismo, i veri significati della Festa


delle Stuzze (Feb.1980 - Giornale Fiuggi).

“Un falso storico in Via Maggiore” (Feb.1991-Giornale


Fiuggi).

“Guida storico-turistica: Fiuggi e i suoi dintorni” (con


disegni e grafici dell’autore, a puntate - Giornale Fiuggi -
1991-92);

“Nessun rammarico a Fiuggi per la mancata venuta di


Gorbaciov” (Gen.1991 - Giornale Fiuggi).

“ Settembre ’43 e dintorni nell’alta Ciociaria” (a puntate


1998-99-2000 - Giornale Fiuggi).

“La Porta dell’olmo era il simbolo della libertà, per


questo fu abbattuta” ( 2003 - Il Cittadino - Flash
Magazine)

“A 90 anni dalla nascita, Fiuggi torna all’anno zero”.


(Ott.2001- Giornale Fiuggi).

“Perché la casa degl’jafricano in Via Maggiore, era


l’antica chiesa di S.Domenico? (2003 - Il Cittadino -
Flash Magazine).

198
“In nessuna storia locale si dice che nel 1867 anche in
Anticoli vi fu una Giunta garibaldina” (2003 Radio
Centro Fiuggi).*

“Soltanto dal 1872 al 1910 Anticoli acquisì la


denominazione…di Campagna” (2003 Radio Centro
Fiuggi). *

“A Frosinone: “Errata la posizione del Monumento a


Nicola Ricciotti” (2004 – Flash Magazine).

“Le incredibili accuse dell’Inquisizione contro Aonio


Paleario” (2004 - Flash Magazine).

“Sono ancora tra noi i nostalgici del marxismo” (1991 -


Frosinone extra).

“1942-1948: La tragedia dell’Armir e i prigionieri


italiani in Russia” (2001 - Giornale Fiuggi).

“Libri faziosi nelle scuole” (1983 - “Il Tempo”).

“Come ti raccontano De Gasperi nelle scuole” (1983 -


“La Voce Repubblicana”).

“Luigi e Costantino Severa - Due maestri artigiani,


dimenticati dagli enti locali (religiosi e civili)”. (Ott.1991
-Giornale Fiuggi).

“Benito Ambrosi.Un camerata libertario”(1994-Giornale


Fiuggi).

199
“Anche in Ciociaria urge il revisionismo”(2004-Flash
Magazine).

“Sotto il Fascismo: Nove italiani su dieci, erano


inquadrati sotto il Regime Fascista” (2004 - Flash
Magazine).

“Dic.’43-Giu.’44: Giovani alla macchia resistenza zero”


(2004 -Flash Magazine).

“Gli antifascisti del giorno dopo, eroi della Resistenza”


(2004 -Flash Magazine).

“1944-45: Anche in Ciociaria, l’Italia fascista si scopre


democratica” (2004 -Flash Magazine).

“1946: Dall’Italia tradita nasce la Repubblica” (2004 -


Flash Magazine).

“1946-1948: Gl’italiani volevano la libertà, non il


comunismo” (2004 - Flash Magazine).

“Aprile 1948: L’Italia si salva dalla cortina di ferro”


(2004 -Flash Magazine).

“1875.: “Serafino Alessandri, primo Maestro di Anticoli


di Campagna” (Lug.2002 - Giornale Fiuggi - Il
Cittadino)

“La vita e i primati del maestro Alessandri”(2002-


Giornale Fiuggi).

200
“Due lapidi da rimuovere, a Fiuggi, in Via Maggiore e a
Piazza Silone”* (Giu.2002 –“il Cittadino”).

“Dopo i loro costosi note-book (con progetti miliardari) i


nostri blok-notes (a costo zero) (2002 “il Cittadino”) *

“Le cattedrali nel deserto della Giunta Celani”. (2002 “il


Cittadino”*

“Il Centro storico muore” (2003 “il Cittadino”

“Sgarbi ha ragione: salviamo le nostre città dagli


architetti” (2003 – “il Cittadino”*

“Ma furono davvero Maestre Pie, le sorelle Faioli?


(2003 Risposta a Giampiero Raspa sul Giornale Fiuggi).

“Due lapidi da rimuovere in Via Maggiore e in Piazza


Silone” (Giu. 2002 – “il Cittadino”) *

“A Fiuggi. Le cattedrali nel deserto del Sindaco Celani”


(Sett.2003 – “il Cittadino”.*

“La Vera Storia delle Sorelle Faioli e della Istruzione


Elementare in Anticoli”(Giu. 2004-Vol. a cura de “il
Cittadino”).*

“Risposte e precisazioni a Giampiero Raspa (agiografo)


ed a Renato Riccioni (postulatore) sulle Sorelle
Faioli”(Apr. 2005 - Vol. a cura de “il Cittadino”).

201
“A Fiuggi. Insaziabili più che mai i barbari del cemento”
(Ago.2005 -“il Cittadino”).

“A Fiuggi. Il sacco urbanistico del territorio continua”


(Sett.2006 –“il Cittadino”).

“Tutti illegali i progetti in c.a. dei geometri?” (Cfr.


Ordinanza Tar Latina n.320 -29.4.2005 – da ”il
Cittadino” Feb..2007).

“Fiuggi dice: No grazie, al faraonico palacongressi


Calatrava! (Marzo 2007 . “il Cittadino”).

“Appello agli storici, ai giornalisti, contro le facili


canonizzazioni dei santi e dei beati”. (Suppl. al numero di
Aprile 2007 de “il Cittadino”.)..

N.B.-.Degli articoli con l’asterisco, qualche organo di


stampa ha rifiutato, oltre ai testi, anche i titoli che
venivano segnalati indicati per un’apposita
pubblicazione.
Questo, l’ l’incredibile motivo del rifiuto: “I nostri
lettori, sono orgogliosi di quella che ormai considerano
la loro storia. Perché deluderli?”

202
INDICE

Premessa…..……………………………………………...I

Cap. I - Perché il Revisionismo………….……Pag……1

1) Nove italiani su dieci aderirono al Fascismo, anche in


Ciociaria. 2) Dibattito sulla resistenza, con Giacinto
Minnocci e Carlo Costantini. 3) Con il senatore Minnocci,
per ricordargli che, soltanto dopo l’8 settembre ’43 si
dichiarò antifascista e partigiano, ma ha sempre taciuto del
suo trascorso politico: quando ad esempio, da intellettuale
del Regime, al Liceo Turriziani di Frosinone era solito
impartire ai giovani (me compreso) lezioni di mistica
fascista. 4) Con il Costantini, per ricordargli che, da
partigiano, era comodamente nascosto nella curia di Alatri,
e che i cosiddetti patrioti cristiani, arrestati e concentrati
nel Convento dei Cappuccini, furono liberati sani e salvi
per intercessione del vescovo Facchini, che a sua volta, era
amico del Console Ghislanzoni.

Cap. II - Antifascismo e Resistenza in Ciociaria...Pag.16

1) Per dirla con Giampaolo Pansa. “Una grande bugìa”:


perché “La meglio gioventù sotto il Fascismo” si trovava
nelle scuole e nelle università. 2) Di essa facevano parte
quasi tutti gli antifascisti e i partigiani che si sono
dichiarati tali, soltanto dopo l’8 settembre, e per quella loro
qualità, dal 1946 in poi, hanno fatto carriera anche in
questa Repubblica.

203
L’hanno fatta, chi come deputato, chi come ministro, chi
perfino come Presidente della Repubblica. Tra i quali, il
democristiano Scalfaro, l’azionista Ciampi e il comunista
Napoletano. 3) Lettere tra studenti ad Alatri: quando tra
loro si chiamavano camerati. 4) La medaglia garibaldina al
partigiano comunista Aldo Silvestri e l’eroe dimenticato di
El Alamein, S.Ten. Armando Tagliaferro. 5) Le Bande di
Alatri, Collepardo e Fiuggi, guidate da ex fascisti. 6) I
partigiani, bianchi e rossi, nascosti nelle curie e nei
conventi, furono gli ideatori dei comitati di liberazione,
locali e provinciale, ma dal Convento di Alatri, furono
costretti a fuggire soltanto i giovani, precettati dal Bando
di Graziani.

Cap. III – “La Guerra a Frosinone 1943 - 1944.….....37

1) Una storia a senso unico, intrisa di fascismo rosso. 2) Ex


militari di Mussolini e di Badoglio, i “patrioti” di
Frosinone. 3) La Banda di Collepardo e il rivoluzionario
Gino Conti. 4) Gli antifascisti del giorno dopo, suoi allievi,
diventano marxisti-leninisti - Ma l’unica azione di fuoco
contro i tedeschi, fu portata a termine dai fratelli Augusto e
Luciano Bartoli a Pitocco, poi fuggiti verso l’ Abruzzo. 5)
Nelle loro memorie, le vicende del padre Giuseppe, ultimo
purgato del regime, e le rivelazioni sui padroni della
Federazione del Pci. 6) La Città dopo, e l’occupazione
totalitaria del potere. 7) Tutti a Palazzo Gramsci. alla
Provincia, si passa, dai fascisti ai comunisti. 8) Le ricerche
sul Fascismo di Tommaso Baris. 9) La famiglia Silvestri,
detta Rivolta. 10) Fine del Nazismo, ma in Europa arriva
l’Armata Rossa.

204
Cap. IV - Su Frosinone liberata………………………74

1) Piombano i comunisti: e con loro, l’apologia della


rivoluzione Russa e la bugìa sui martiri dello stradone. 2)
Barbari e barberini, anche a Frosinone. 3) La Ragazza di
Via Quintino Sella, denuncia la demolizione dell’ ex
Caserma della Divisione Torino. 4) La tragedia dei
prigionieri in Russia e la cinica risposta di Togliatti. 5) I
gravi errori della Cigl sui problemi del lavoro: le industrie
del Liri, a causa degli scioperi, diventano fabbriche di
disoccupati. 6) Anno 1944: con “il Popolano” diretto da
Renzo Silvestri, arriva l’ “Epurator” sui profitti del
regime. 7) Anno 2007: con “il Cittadino” diretto da
Colombo Incocciati, la denuncia dei profitti, ben più gravi,
di questa Repubblica.

Cap. V - Guerra e dopo Guerra, nella Provincia…..102

1) Fiuggi: Nel settembre 1943, dopo aver rischiato la


distruzione, diventa Sede provvisoria della Provincia. 2) Il
Bando di Graziani, per la classe 1925. 3) Giovani alla
macchia - Resistenza zero. 4) L’Agata’s List’, gli ebrei da
Roma, e gli sfollati da Frosinone e Cassino. 5) I profughi
maltesi e tripolini, al Grand’Hotel di Fiuggi ed alle
Fraschette di Alatri. 6) Vacanze forzate e studi interrotti
per gli studenti. 7) Dal Fascismo alla Democrazia: anche la
Ciociaria si adegua. 8) Anno 1946: Dalla Patria tradita
nasce la Repubblica: ma anche le delusioni. 9) I sacrifici
dimenticati.

205
Cap. VI - Le scomode verità del medico di Fiuggi
Giuseppe Rengo ..…………………………………….137

1) Quando era soldato: dalla Guerra di Spagna alla


Liberazione. 2) La permuta della macchia d’oro, a Fiuggi.
3) Il salto dei voltagabbana. L’Armistizio e il
capovolgimento di fronte. 4) Grazie ai suoi alberghi,
Fiuggi si salva dai bombardamenti. 5) Il Professore
antifascista, dall’A.O.I. a Fiuggi. 6) Il “Pizzo” dei
partigiani e l’occupazione illegale del Comune. 7) Il
fratello Carlo e la donna di Tecchiena, trucidati dai
tedeschi. 8) Lui, liberato dagli alleati, epurato dagli ex
fascisti. 9) Il Colonnello J.B.Thornhill, caccia i falsi
sindaci dai comuni.

Cap.VII – Altre occupazioni e vendette……………..162

1) Ad Alatri - Nella “Cronaca della occupazione tedesca


(1943 -1944) di Sacchetti Sassetti” numerose le violenze
dopo la liberazione. 2) Il 3 Giugno 1944: Al Comune
comanda Cesare Barone comunista - Il Tenente Aceti,
presso Porta S.Pietro, rischia di essere linciato. 3) Il 4
Giugno: Arresto dell’ Avv. De Persiis, ultimo preside della
Provincia - Il Prof. Carlo Minnocci è nominato Sindaco
(Ma è quello stesso che Vincenzo Torrice denuncerà al
Comando Inglese, quando il 22 novembre 1942, fu da lui,
maltrattato nella Casa del Fascio). 4) Il 5 Giugno: Arresto
del maresciallo Americo Tagliaferri, e Scappaticci,
soltanto perché ex repubblicani e disertori badogliani.

206
Tolte dal Municipio le bandiere: americana, inglese e
tricolore. Rimane quella rossa. 5) L’8 Giugno: Il dott.
Giuseppe Pelloni e il dott. Giacinto Minnocci, arrestano
Carlo Bellincampi, presso Ferentino, Brusselles, Covino,
Ten. Cristiani ed altri portati a Pietra Vairano.

A Fontana Liri - Nella storia di Generoso Pistilli…..166

In questa zona, poco distante dal fronte di Cassino, la


presenza dei tedeschi era massiccia. Ma qui la resistenza
che il “ Comitato armato” aveva promesso di fare, con
tanto di atto sottoscritto l’8 Settembre 1943 da 41 persone,
fino all’ arrivo degli alleati, rimase lettera morta - Tanto è
vero che, quando due tedeschi poco prima di ritirarsi
decisero di minare e far saltare, uno ad uno, i ponti e le
stazioni della ferrovia, quegli uomini coraggiosi erano
diventati uccel di bosco.

Cap.VIII - Epilogo…………………….........................172

1945 - L’ unità antifascista già in crisi. Ne “La Ciociaria e


la Resistenza Locale” lo storico Gioacchino Giammaria,
concludendo la sue ricerche con questa frase “L’azione
partigiana in Ciociaria a causa dei tempi ristretti, non ha
potuto svilupparsi e organizzarsi” non fa che confermare
la tesi, anche da me più volte sostenuta, secondo cui “ La
Resistenza in Ciociaria non è mai concretamente esistita”

207
Bibliografia……………….…………………………177

Dello stesso autore……….………………………….180

Indici……………………………..………………….186

208
L’AUTORE
LASCIA QUESTO SAGGIO
DI STORIA LOCALE
AI SUOI CONCITTADINI
COME TESTIMONIANZA DI VERITA’
SPERANDO CHE ALMENO I GIOVANI
TROVINO IL CORAGGIO
DI SCOPRIRLA E DI RIAFFERMARLA
PROSEGUENDO LE RICERCHE
SULL’ANTIFASCISMO
E LA LIBERAZIONE IN CIOCIARIA
CHE LA VULGATA RESISTENZIALE
PER MOTIVI IDEOLOGICI
E DI TORNACONTO POLITICO
HA DELIBERATAMENTE
MISTIFICATO

209

Firmato

Colom digitalmente da
Colombo Incocciati
ND: CN = Colombo

bo Incocciati, C = IT
Motivo: Sono
l'autore di questo

Incocc documento
Data: 2009.05.15
20:20:25 +02'00'

iati

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