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Settembre 1943 - Giovani Alla Macchia Resistenza Zero
Settembre 1943 - Giovani Alla Macchia Resistenza Zero
ANCHE
IN
CIOCIARIA
URGE
IL REVISIONISMO
(Su storia e politica)
Edizioni de
“il Cittadino”
Supplemento
al numero di Ottobre 2007
del Periodico “IL Cittadino”
Iscr. Trib.le di .Frosinone
n.174 del 29.6.1987
Direttore Responsabile
Colombo Incocciati
www.tuttofiuggi.it
info@tuttofiuggi.it
Colombo Incocciati
SETTEMBRE
1943
IN
CIOCIARIA
Giovani alla macchia
Resistenza zero
Edizioni
de “il Cittadino”
PREMESSA
I
“Dalla camicia nera alla toga” ; dal medico di Fiuggi,
recentemente scomparso, Giuseppe Rengo, nel suo “Quando
ero soldato” del 1997; da Sacchetti Sassetti, nella sua
“Cronaca di Alatri del 1943- 1944” ; da Generoso Pistilli, di
Fontanaliri, nei suoi “Ricordi di guerra”, e infine dal
ricercatore Tommaso Baris, dell’Università di Cassino, nel
suo “Il fascismo in provincia dal 1919 al 1940”.
In questi ultimi anni, alcuni periodici locali, hanno ospitato
numerosi miei saggi sull’argomento, nei quali non venivano
esplicitamente menzionati le persone e i luoghi, dove i fatti si
erano verificati. Ciò è avvenuto anche per altre storie locali,
delle quali però, quando ho dovuto fare i nomi dei
protagonisti, ho visto scattare l’ostracismo, non perché
trattavo argomenti, di attualità, di politica, e di turismo, di
cui mi sono sempre occupato, ma semplicemente perché
volevo ricordare la nostra storia in chiave revisionista, di cui
vado fiero, e di cui ogni ricercatore farebbe bene a servirsi.
Anche perché, tutti, come diceva il politologo liberale Manlio
Lupinacci, dovrebbero sentire il dovere di scrivere un libro di
ricordi, per lasciare una testimonianza di verità, a carico, o a
favore della società del proprio tempo.
II
L’AUTORE
III
Fu proprio in quel 4 Giugno del ‘44, che l’ autore, rifiutò,
insieme ad altro compagno di sventura, Giulio Zangrilli, di
iscriversi alla sezione partigiana di Fiuggi, che alcuni loro
amici, dicevano di voler costituire, per la zona degli
Ernici, nonostante fossero stati, fin quasi alla fine del ‘43,
fanatici gerarchi del Regime di Mussolini e fedeli esecutori
delle sue decisioni.
La ragione di quel rifiuto trovava motivo dalla realtà
vissuta in quegli anni dai giovani e dai più anziani, perché
tra loro, gli antifascisti veri (che non ebbero mai la
disonestà di spacciarsi per partigiani) si contavano sulle
dita di una mano ed erano a tutti note le loro idee politiche.
Ebbene, è proprio dalla narrazione della “Guerra di
Liberazione in Ciociaria”, patrocinata dagli enti provinciali
e regionali (nel 1985 e nel 2005) che l’ autore, da
giornalista, ha deciso di riscrivere, non solo la storia di
quegli anni di guerra, ma anche altre storie, ugualmente
pressoché inventate, della sua città e della sua provincia.
I saggi da lui pubblicati negli ultimi anni, vengono
malamente accolti dagli agiografi di professione, la cui
pretesa sarebbe quella di far passare le loro tesi, come
verità rivelate, e secondo cui anche la Liberazione della
Ciociaria, di 60 anni fa, sia avvenuta, non per opera dell’
Esercito anglo-americano e dei paesi occidentali ma per
esclusivo merito dell’antifascismo e della resistenza di
casa nostra.
IV
INTRODUZIONE
VI
seri danni alla loro serena e tranquilla vacanza, che dal
settembre ’43 si stavano godendo nella Certosa di Trisulti.
A Fiuggi inoltre c’erano gli ex fascisti Raffaele Conti e
Natalino Terrinoni.
Il primo che, partito nel 1936 da Novara, come uomo
d’affari, al seguito della guerra coloniale in Abissinia,
voluta da Mussolini, anziché fare ritorno nel suo paese
d’origine, approda nel 1939 a Fiuggi, per esercitarvi
attività di commercio.
Il secondo, quale ex Segretario della Gioventù Italiana del
Littorio, dopo l’8 settembre del 1943 diventa comunista, e
insieme al Conti si dichiara partigiano.
A Paliano, c’era il famigerato Enrico Giannetti, che Gino
Conti nelle sue memorie descrive, sia come in formatore
della Questura di Roma sia come comunista emigrato
clandestinamente in Francia nel 1930. Ma arrestato nel
1939, viene restituito alle autorità italiane, che nel 1941 lo
assegnano al confino di Ventotene.
Da una sua deposizione, resa nel giugno del 1941 nella
Questura di Frosinone, affermava, che prima di espatriare
in Francia, era rimasto nella clandestinità, per quattro anni,
dal momento della fuga da Roma a Torino, precisando che
diventò comunista per avere la possibilità di introdursi e di
svolgere attività politica nelle file di quel partito. Ed
aggiungeva che, avendo lui provocata l’assegnazione al
confino di alcuni comunisti, la sua attività venne presto
sospettata di collaborazionismo, e a causa di ciò, era stato
messo in disparte e guardato di malocchio, nel suo stesso
ambiente.
VII
La Questura di Roma il 17 novembre 1930, scriveva di lui
quanto segue:
“Il Giannetti che aveva avuto rapporti con quest’ Ufficio
emigrò all’estero per timore di rappresaglie dei compagni
di fede, che lo sospettarono quale confidente della P.S. in
seguito all’arresto di un altro pericoloso comunista.
Queste ed altre sono le circostanze che in questo mio
Settembre 1943, ho cercato di ricostruire anche su ciò che
hanno raccontato i fratelli Luciano ed Augusto Bartoli,
che di quelle vicende furono protagonisti sia a Frosinone
sia a Collepardo, dove rimasero sfollati fino alla
liberazione.
Credo che la mia ricostruzione degli avvenimenti
accaduti, tra il Settembre 1943 e la fine del 1945, sia utile
per confermare che in Ciociaria, non solo non vi è stato
alcun consistente movimento partigiano (come lo storico
comunista, Gioacchino Giammaria, ha più volte ammesso
nei suoi numerosi saggi, finanziati dalla Regione, dalla
Provincia e dal Comune di Frosinone) ma anche che, la
tanto decantata liberazione della Città capoluogo, e delle
località più importanti della provincia, altro non è stata che
una occupazione illegale e violenta del potere, voluta e
posta in essere da quei Comitati di Liberazione, che all’
80% erano guidato da uomini del Pci e nell’altro 20% da
uomini della Dc legata al clero.
Tanto ciò è vero, che il Colonnello Tenente J.B. Thornill,
Commissario per la Provincia del Governo Alleato, con
sede in Fiuggi, il 5 luglio 1944, fu costretto ad ordinare la
cacciata dei falsi sindaci, arbitrariamente insediatisi nei
rispettivi comuni.
VIII
Quanto sopra dimostra che (come scrive, il 23.9.2005,
Andrea Ventura sul sito fdcybv.tin.it ) fu il Pci, come
partito della guerra civile, ad appropriarsi il merito della
lotta partigiana ed a costruire su di esso, insieme a cattolici
di sinistra, le basi per imporre la sua egemonia, politica e
culturale sulla Repubblica Italiana, nata nel 1946, e sulla
nostra Costituzione, nata nel 1948.
La vera dissimulazione di questa verità la compie, con
onestà, Mirella Serri nel suo libro “I redenti” (Corbaccio
Editore) e quando, con l’occasione di studiare la rivista “Il
Primato” di Giuseppe Bottai, compie una incursione ed un
affondo fatali alla reputazione degli intellettuali di sinistra
e comunisti del nostro dopoguerra, che erano quasi tutti
ferventi fascisti nel ventennio, spesso antisemiti e
filonazisti. “Il disgusto nel leggere quelle pagine” - scrive
Ventura – “è enorme! E credo che sia successo solo in
Italia questo fenomeno enorme della migrazione in massa
dei giovani intellettuali fascisti verso il parito comunista.
Certamente non in Germania occidentale. Sotto tutela
anglo-americana, e non nel mondo anglosassone che fu il
grande avversario sul campo dei fascismi europei, molto
limitatamente in Francia.”
Insomma Mirella Serri, e dopo di lei Pansa, è riuscita a
“bucare” il muro di conformismo e di silenzio imposto da
sessant’anni di egemonia culturale della sinistra. Ha potuto
farlo perché, come Pansa, proviene dalla sinistra. Perciò è
inutile continuare e a ritenere strumentale la pubblicistica
della destra, che queste cose le disse molto tempo fa”.
IX
Nino Tripodi, ad esempio, le documentò
ell’indimenticabile volume “Intellettuali sotto due
bandiere” pubblicato nel 1980 da Rusconi, e mai
ristampato. Si continua a sostenere, per cattiva coscienza,
che quel volume producesse nomi e cognomi per denigrare
la nuova classe politica, e i nuovi mandarini della cultura
di sinistra. Ma anche se fosse questa la motivazione, è
incredibilmente di tutt’altra portata la responsabilità
morale di quegli intellettuali di sinistra che furono fascisti.
X
I
PERCHE’ IL REVISIONISMO
1
si dettero alla clandestinità per uscire fuori il giorno della
liberazione del 4 giugno 1944, spacciandosi per antifascisti
e partigiani. L’ ingresso della colonia montana con alcuni
giovani capi in divisa estiva, che il giorno della liberazione
cercavano altri giovani per costituire la Sezione partigiana e
le ragazze in divisa da giovani italiane.
Poi una foto del raduno fascista nel bosco della Fonte
Vecchia, con centinaia di giovani balilla e avanguardisti, in
occasione di un’altra visita di Badoglio.
Anche qui vi sono capi e capetti della G.I.L. che nel giugno
del 1944 dissero di essere partigiani. Infine, l’ edificio del
Liceo Ginnasio di Frosinone, dove fino ai negli anni
’39/’41, venivano periodicamente convocati i giovani di
tutta la Provincia di
Frosinone, per assistere alle lezioni di mistica fascista, che
l’intellettuale di turno del Regime impartiva loro, stando in
cattedra, con tanto di sahariana nera e cinturone, che era la
divisa degli universitari del G.U.F. Anche questi gerarca di
primo piano, dopo l’arrivo degli alleati uscirono fuori come
capi della resistenza in Ciociaria, e con tale referenza
divennero uomini politici di primo piano e parlamentari
dell’Italia democratica e antifascista, ma i cui trascorsi
politici vengono nelle loro biografie, sistematicamente
taciuti.. I documenti che vengono pubblicati, dimostrano
visivamente, ciò che Giordano Bruno Guerri nei suoi libri,
quando dice che il Fascismo, fu un fenomeno di massa.
Accettato con entusiasmo dalla stragrande maggioranza
degli italiani e non imposto con la forza, come i
professionisti dell’antifascismo hanno fatto credere da 50
anni in qua.
2
Anche in Ciociaria
3
Tanto è vero che i tre eroi toscani, fucilati a Frosinone nel
1944, sono diventati tali, solo dopo che la resistenza
ufficializzata si è appropriata, del loro sacrificio e di una
gloria che non le appartiene.
A tale proposito ecco cosa si legge ne “ L’ Italia della Guerra
Civile” di Montanelli e Cervi (Ed. Rizzoli 1983):
“La resistenza fu uno degli episodi ma non il solo e di
scarsissimo peso risolutivo sugli avvenimenti A contare
molto di più, fu caso mai la resistenza con la erre maiuscola,
cioè quella quotidiana e passiva fatta da piccoli e grandi
sacrifici, di pazienza e di arrangiamenti e anche di malizie e
doppi giochi che gli italiani opposero per sopravvivere a
tutto e a tutti”
Chi volesse saperne di più sulle verità che la storiografia
ufficiale ha nascosto agli italiani per quasi 50 anni,
consigliere alcuni articoli, come:
“Il sogno revisionista” di Valerio Riva (il Giornale, 1.5.02) -
”Revisionismo è una parola d’ordine” di Giuseppe Valencich
(Tempo, 28.7.02) - “Una resistenza di eroi e voltagabbana”
di Mario Cervi ( il Giornale, 6.3.04); nonché sul sito
www.storialibera.it alla voce “Revisionismo storico” si
trovano saggi di alcuni storici.
4
DIBATTITO SULLA RESISTENZA
5
consiste nel fatto che ho dovuto obbligatoriamente
indossare la camicia nera per discutere la mia tesi di laurea
in giurisprudenza, presso l’Università di Siena. “Vale
anche la pena di aggiungere che ricordo bene, essendo mio
padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ho avuto
davanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri
con il compito di impedire che essa venisse assaltata dai
fascisti, così come fecero con la sede della Sezione del
Partito Popolare Italiano di Don Sturzo, al quale egli era
iscritto.
Successivamente chiamato alle armi, ho combattuto per un
paio di anni contro gli Anglo-Americani in Sicilia
buscandomi anche una malaria perniciosa che mi è stata
dallo Stato pensionata fino alla scomparsa dei postumi. Il
ruolo da me svolto nella resistenza in Alatri ( ma non
soltanto in Alatri) è tutto documentabile da chi con me lo
ha condiviso e che è ora vivo e vegeto. Esso è premiato
con una croce di guerra al V.M. della quale vado fiero.
Liberate Alatri e Roma sono tornato volontariamente sotto
le armi ed ho combattuto assieme agli alleati, da
paracadutista, per missioni in territorio ancora occupato dai
tedeschi e governato dalla Rsi.”
Quella testè riportata, è la metà di una lunga lettera auto
celebrativa, con la quale il mio interlocutore fa una
meticolosa descrizione della sua attività militare, svolta da
classico campione del doppio gioco, prima, come
combattente della guerra di Mussolini, a fianco dei
tedeschi contro gli Anglo-americani; poi, con questi
ultimi, combattente contro i tedeschi.
Ma nella lettera il Senatore non dà alcuna risposta agli
interrogativi ed alle prove documentate, del suo passato
fascista.
6
Anzi, in una seconda lettera, minaccia perfino di
denunciare il direttore e il sottoscritto per la violazione
della sua privacy.
Questo è il personaggio. Il quale, pur avendo fatto per i
suoi meriti partigiani, una lunga carriera politica, malgrado
fosse stato un intellettuale del Regime, ora, essendo un
pensionato d’oro, con 6.590 euro mensili a carico dello
Stato, non avverte neppure il dovere di scusarsi né con i
suoi elettori, né con i contribuenti.
7
La risposta al Senatore
8
Erano o no, gerarchi della GIL, che curavano
l’inquadramento dei balilla e degli avanguardisti? Oppure,
universitari del GUF, che diventati littori, organizzavano i
“ludi juveniles” o i corsi per la preparazione politica dei
giovani? Ad uno di questi corsi, quando io stesso fui
invitato, con altri giovani della provincia, al “Liceo Norberto
Turriziani” di Frosinone, non trovavammo, a darci lezioni di
mistica fascista, anche il giovane universitario Giacinto
Minnocci, che, stando in piedi dietro la cattedra, ci
accoglieva con tanto di stivali, sahariana nera, e cinturone?
Che era la divisa d’ordinanza degli intellettuali fascisti,
specialmente se erano diventati littori? Perché il Senatore,
nelle sue tante biografie, non ha mai detto questa verità, e
soltanto ora, su Flash Magazine di ottobre, ha deciso di fare
la seguente ammissione? “Ora, in verità, l’unico mio
trascorso durante il Fascismo, consiste nel fatto che ho
dovuto obbligatoriamente indossare la camicia nera per la
mia tesi di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di
Siena” - Non aveva allora, già 24-25 anni? - Inoltre dice:
“Vale la pena di aggiungere che, ricordo bene, essendo mio
padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ho avuto
davanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con
il compito di impedire che essa venisse assaltata, così come
fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare di Don
Sturzo, al quale egli era iscritto”
Qui viene però da chiedergli: come mai un antifascista di
ferro come lui, che, da ragazzo, aveva avuto quella seria
motivazione per opporsi al Regime di Mussolini, una volta
diventato grande, anziché darsi alla clandestinità e riparare
all’estero (come fecero Pertini e i fratelli Rosselli) si iscrive
al GUF e va a laurearsi a Siena, indossando proprio la divisa
del perfetto fascista?
9
Inoltre, che cosa ha fatto durante gli anni di università, e
subito dopo aver preso la laurea? Ancora non lo dice.
Dice soltanto che, chiamato alle armi nel 1940, andò a
combattere in Sicilia fino al 1943, proprio quella guerra
(contro gli anglo-americani) voluta dal fascismo, ed a fianco
dei tedeschi. E non dice, se fu una chiamata obbligatoria, o
se partì da volontario (come molti studenti del Guf decisero
di fare) e quale grado di ufficiale ebbe, prima e dopo il 1943,
all’atto del congedo.
Una reticenza simile (quasi assoluta) sui primi 26-27 anni
di vita di un uomo pubblico, come lui, appare quanto meno
sospetta. E che male c’è se qualcuno, cercando di
approfondire alcuni aspetti della nostra storia, chiede di far
luce anche sui trascorsi degli uomini che l’hanno
determinata? Come “il trascorso” che si evince su internet,
da “Edicola Ciociara” dove si scopre che il legame del
Senatore con il Regime di Mussolini, fu assai profondo, non
solo durante il ventennio, ma anche dopo il 1943.
Tanto è vero che, fino a quando non diventò politico a
tempo pieno, il nostro interlocutore era ancora un
funzionario di primo piano dell’Enal. Cioè di quel
carrozzone pubblico creato dal Fascismo, per organizzare il
tempo libero dei lavoratori, dove venivano sistemati i
gerarchi più fedeli del Regime.
Anzi, in una seconda lettera minacciava perfino di
denunciare il direttore e il sottoscritto per la violazione della
sua privacy.
Questo il personaggio. Il quale, pur avendo fatto, per i suoi
meriti partigiani, una lunga carriera politica, malgrado fosse
stato un intellettuale del Regime, ed ora, pur essendo un
pensionato d’oro, della prima Repubblica, con 6.590 euro
mensili, a carico dello Stato, non avverte neppure il dovere
di scusarsi con i suoi elettori.
10
Con Carlo Costantini
11
Qui, per non annoiare il lettore, sento il dovere di fermare
il suo racconto, perché il Costantini, nel ricostruire la sua
storia di guerra, tira fuori tutto l’armamentario della retorica
resistenzialeche, per oltre 60 anni, gli italiani si sono dovuti
sorbire, come una tiritera infinita, che mira ad accreditare
la tesi,secondo cui furono veramente i partigiani cristiani,
come lui, il socialista Minnocci, i comunisti, come
Pietrobono, Cicalè e i fratelli Silvestri, tutti in nascosti, chi
nel seminario di Alatri e chi nella Certosa di Trisulti a
combattere i tedeschi e a liberare i paesi dell’alta Ciociaria.
Vada a leggersi il Costantini le pagine, da 65 a 77, di questa
pubblicazione cosa scrivono i fratelli Bartoli, che pure
facevano parte della Banda di Collepardo, che prendeva
ordini da quel Gino Conti che, spacciandosi per
rivoluzionario di professione, venne in Ciociaria, solo per
dettare il suo coraggioso ordine “armiamoci e partite” che i
suoi compagni, ex fascisti, si guardarono bene dal rispettare.
Ed ecco le risposte da me date, su Flash Magazine
dell’ottobre 2004, sia al Minnocci che al Costantini.
Al primo: “Il Senatore Minnocci, da sempre abituato a
ricevere soltanto elogi per la sua lunga attività politica (sia
come antifascista e partigiano sia come politico a tempo
pieno dell’Italia Repubblicana) definisce “grafomane” chi si
permette di avere qualche dubbio sui trascorsi politici, suoi e
di altri antifascisti, anteriormente al 25 luglio 1943. Ed
anziché chiarirli, insieme al suo conterraneo Costantini,
entrambi li nascondono nel buco nero del loro passato
giovanile, che a partire dalla metà degli anni ’20 e fino al
1943, lo hanno certamente vissuto (come il 90% dei giovani
di allora) sotto i gagliardetti di Mussolini.
E cosa ti fanno i miei interlocutori? Si dilungano ad
occupare due pagine intere di questa rivista, esclusivamente
12
per enumerare i loro meriti e quelli di altri di lotta contro il
Fascismo. Ecco allora gl’interrogativi che attendono molte
risposte, e che gli alfieri dell’antifascismo ciociaro non
hanno mai voluto dare. Ad esempio, perché non dicono se da
ragazzi hanno il percorso che ogni9 giovane doveva fare, se
voleva diventare un fascista, come il Regime di Mussolini
esigeva?.
Hanno o no partecipato alle adunate del sabato fascista ed
alle manifestazioni che il PNF organizzava nelle piazze e
nelle scuole ( dalle elementari alle università) dove non si
poteva accedere se non si chiedeva la tessera della GIL o del
GUF? Questi tardivi eroi della lotta contro il fascismo nel
loro album di famiglia, le hanno o no le fotografie come
quelle che si riproducono in appendice, come prova che
durante il ventennio nove italiani su dieci erano fascisti?
E quale ruolo ricoprivano i meno giovani (come certamente
erano i Minnocci, i Costantini e altri, negli anni ruggenti del
Regime) quanto meno dalla metà degli anni trenta e fino agli
anni quaranta? Erano o no gerarchi della GIL, che curavano
l’inquadramento dei balilla e degli avanguardisti? Oppure
universitari del GUF, organizzavano i “Ludi juveniles” o i
corsi per la preparazione politica dei giovani?
Ad uno di questi corsi, quando io stesso fui invitato, insieme
ad altri giovani, al Liceo-Ginnasio “Norberto Turriziani” di
Frosinone, non trovavamo, tra gli altri, a dare lezioni di
mistica fascista, anche il giovane universitario Giacinto
Minnocci, che stando in piedi dietro la cattedra ci accoglieva
con tanto di stivali, sahariana nera e cinturone, che era la
divisa d’ordinanza degli intellettuali fascisti, specialmente
se erano diventati “Littori”? (*).
13
Perché il Senatore, nelle sue tante biografie, non ha mai
detto questa verità, e soltanto ora ha deciso di fare la
seguente ammissione? “Ora in verità, l’ unico trascorso
politico durante il Fascismo consiste nel fatto che ho dovuto
obbligatoriamente indossare la camicia nera per la mia tesi
di laurea in giurisprudenza, presso l’Università di Siena”
(n.d.a - Non aveva allora già 24-25 anni?). Inoltre dice:
“Vale la pena di aggiungere che, ricordo bene, essendo mio
padre Carlo di Alatri, che nell’inverno del 1922 ha avuto da
vanti alla porta di casa, giorno e notte, due carabinieri con il
compito di impedire che essa venisse assaltata, così come
fecero con la sede della Sezione del Partito Popolare di Don
Sturzo, al quale egli era iscritto.
“Successivamente chiamato alle armi, ho combattuto per un
paio di anni contro gli anglo-americani in Sicilia,
buscandomi anche una malaria perniciosa che mi è stata
dallo Stato pensionata fino alla scomparsa dei postumi. Il
ruolo da me svolto nella resistenza in Alatri ( ma non
soltanto in Alatri) è tutto documentabile da chi come me ha
condiviso e che ora è vivo e vegeto. Esso è premiato con una
croce di Guerra al V.M. della quale vado fiero. Liberata
Alatri e Roma sono tornato volontariamentesotto le armi ed
ho combattuto assieme agli alleati, da paracadutista, per
missioni in territorio ancora occupato dai tedeschi e
governato dalla R.S.I.”
Dopo questo lungo panegirico su sesto del Senatore, viene
da chiedersi, come mai un antifascista di ferro come lui, che
da ragazzo aveva avuto quella seria motivazione per opporsi
al Regime di Mussolini, una volta diventato grande, anziché
darsi alla clandestinità e riparare all’estero (come fecero
Pertini e i fratelli Rosselli) si iscrive invece al GUF e va a
laurearsi a Siena, proprio con la divisa da fascista?
14
Inoltre che cosa ha fatto durante gli anni di università e
subito dopo aver preso la laurea? Ancora non lo dice. Dice
soltanto che, chiamato alle armi nel 1940 fino al 1943 andò
a combattere in Sicilia fino al 1943, proprio quella guerra
(contro gli alleati anglo-americani) voluta dal Fascismo e a
fianco dei tedeschi.
Ma non dice se fu una chiamata obbligatoria. Oppure se
partì da volontario (come moltissimi studenti del GUF
decisero di fare) e quale grado di ufficiale ebbe prima e dopo
il 1943, all’atto del congedo.
Una reticenza simile (quasi assoluta) sui primi 26-27 anni
di vita di un uomo pubblico come lui, appare quanto meno
sospetta. E che male c’è se qualcuno, cercando di
approfondire alcuni aspetti della nostra storia, chiede di far
luce anche sui trascorsi degli uomini che l’hanno
determinata? Come, ad esempio, il trascorso che si evince su
internet, da Edicola Ciociara, dove si scopre che il legame
del Senatore col Regime di Mussolini fu assai profondo, non
solo durante il ventennio, ma anche dopo il 1943.
Tanto è vero che fino a quando non diventò politico a
tempo pieno era ancora un alto funzionario dell’Enal.
Cioè di quel carrozzone pubblico creato dal Fascismo per
organizzare il tempo libero dei lavoratori, dove venivano
sistemati i gerarchi del Regime, specialmente se Littori.
Proprio per contribuire alla formazione, selezionare i
migliori e stimolare la competività, nel 1933, il Partito istituì
i Littoriali della cultura e dell’arte, una gara intellettual-
celebrativa, che il regime aveva voluto affiancare ai
Littoriali dello sport e del lavoro: i candidati, scelti su
indicazione dei presidi di facoltà e dei rettori provavano la
loro preparazione spaziando dalla storia all’arte, alla
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letteratura, alla musica e finendo inevitabilmente nei saggi di
Mistica fascista, la prova più importante per essere
qualificati.
I vincitori delle competizioni ricevevano il titolo di Littore,
medaglione simbolico che però aveva notevoli effetti pratici:
rendeva più facile l’ascensione nelle gerarchie professionali
e soprattutto in quelle del Partito. Nei Littoriali si distinsero
particolarmente i ragazzi che sarebbero poi diventati
importanti uomini politici, democristiani, comunisti
e…socialisti (come il Minnocci - n.d.a.)” Dal libro
“Fascisti” di G.B.Guerri - Mondadori Editori 1995.
“Venendo al Costantini che si lamenta del mio revisionismo
‘a senso unico’ e chiede al direttore una sorta di ‘par
condicio’, è bene ricordargli che la sola storia a senso unico,
sulla guerra di liberazione in Ciociaria, l’hanno scritta
proprio coloro che la pensano come lui e, per pubblicarla,
nonostante avessero avuto il patrocinio della Regione e della
Provincia, con sostanziosi finanziamenti, non si sono mai
preoccupati di dare la ‘par condicio’ anche a coloro che la
storia di quegli anni, l’hanno vissuta e subita sulla loro
pelle; da semplici cittadini e senza ricevere ordini dagli
agenti segreti sovietici (come testimonia il comunista Gino
Conti nelle sue memorie) e nemmeno senza la protezione dei
vescovi e dei parroci di, Alatri, Veroli, Anagni e Fermentino.
Così ammette il Costantini nel suo lungo intervento, senza
accorgersi che sta rivelando di aver partecipato ad una
resistenza all’acqua di rose , che come lui stesso dice,
consisteva nel preparare e lanciare, notte tempo, i volantini
ciclostilati contro i tedeschi e i fascisti (aggravando anziché
favorirla la situazione dei giovani) e nel ritirarsi subito dopo
all’interno dei seminari e nelle chiese, dove neppure i
tedeschi osavano entrare”.
16
“E quando lui dice che “alcuni suoi giovani concittadini,
appartenenti al movimento patriottico antifascista, pagarono
con le intimidazione e il carcere, prima a Fiuggi, poi ad
Alatri” non precisa che furono liberati sani e salvi, per
intercessione del Vescovo, e senza che a loro fosse torto
neppure un capello.
Nel contempo Costantini, mentre racconta le gesta dei
“patrioti cristiani” dimentica che una sorte ben più triste
toccò non solo a quei tanti giovani (che per lui erano solo il
rovescio della medaglia della lotta partigiana) che venivano
rastrellati, ogni giorno, e portati a scavare le buche sotto le
bombe a Cassino, ma anche la sorte toccata a quei trecento
coscritti della classe 1925, i quali rischiando,ogni notte, la
pelle per riconquistarsi la libertà, furono dichiarati disertori
dell’Esercito di Graziani e con quell’accusa trenta di loro
furono poi fucilati.
Ai quali ci sono da aggiungere non solo i tre martiri toscani
fucilati a curvone di Frosinone, della guardia repubblicana di
Salò. Dei quali parleremo più avanti, ma anche la povera
donna di Tecchiena che fu impiccata a Fiuggi Fonte, e i
fiuggini Carlo Rengo e Angelo Fabiani, il primo giustiziato
dai tedeschi in fuga, il secondo, da un “coraggioso
partigiano” che volle vendicarsi di una contravvenzione
comminata anni prima dal Fabiani, nella sua qualità di vigile
urbano”
Dopo questa risposta data al Costantini, non volli
soffermarmi sulla superficialità, con cui egli respingeva la
tesi documentata di Giampaolo Pansa, che nel libro “Il
sangue dei vinti” attribuiva alla Resistenza “taluni gravi e
sanguinosi fatti verificatisi in Italia dopo il 25.4.1945”.
Ora credo sia utile farlo, citando le oneste considerazioni
che il collega Carlo D’Amico, cristiano e democratico come
il Costantini, ha recentemente pubblicato sul suo libro
17
“FIUGGI 1940 - 2000” Quando Carlo racconta del clima
che si era istaurato, subito dopo la liberazione a Fiuggi, in
“Episodi inconsulti ed epurazioni” dice:
“Ecco allora i “coraggiosi partigiani” armati di fucili da
caccia assurgere a vindici giustizieri, nella “sicurezza” che
in quel momento di improvvisa ed insolita euforia per la
riconquistata libertà ognuno potesse provvedere a farsi
giustizia da sé.” “Questi atteggiamenti personali - continua
D’Amico - erano vieppiù alimentati da una sorta di psicosi
collettiva, che voleva ad ogni costo vendicarsi dei “fascisti”
anche se tra loro molti si erano comportati correttamente e
con umanità. Ma i fascisti tutti dovevano essere giudicati ed
epurati. Fascisti erano inoltre anche coloro che, per le loro
funzioni di impiegati dello Stato o del Comune, e di altri
enti, avevano l’obbligo di servire il regime.” “In questo
clima maturò l’uccisione della guardia comunale Angelo
Fabiani che avvenne proprio in Piazza Trento e Trieste”
Ebbene, che differenza c’è tra questi gravi episodi e gli
arresti, che in molti comuni, da Frosinone in su, si
verificarono, ad esempio ad Alatri, come si legge nel “Diario
di Sacchetti Sassetti” a pag. 63 e seguenti:
“Il 4 giugno 1944, con l’arresto di Benedetto Uberti,
dell’avv. Arduino De Persiis, ultimo preside della
Provincia.”
“Il 5 giugno, con l’arresto del maresciallo Americo
Tagliaferri, Scappaticci, ex repubblicani e disertori
badogliani.”
“L’8 giugno, quando Giuseppe Pelloni e Giacinto Minnocci
arrestano Carlo Bellincampi, presso Ferentino, Bruselles,
Covino, il Ten. Cristiani ed altri arrestati e portati a Pietra
Vairano, in campo di concentramento, Arrigo Berenghi e
figlio, fermati e rilasciati a Collepardo.”
18
Questo ed altro è accaduto in Ciociaria subito dopo la
liberazione, quando i partigiani, anziché esultare, per la
riconquistata libertà, insieme alla popolazione ciociara, che
in massa accoglieva i liberatori, si sono messi invece, alla
caccia di tutti coloro che. per motivi di lavoro, dopo la
caduta del regime avevano mantenuto una posizione
defilata, in attesa che la guerra finisse e tutto tornasse alla
normalità.
Per i nostri partigiani la normalità non era accettabile, e
attraverso il Cnl da loro stessi creato per occupare tutto il
potere, incitavano all’odio e alla vendetta, verso tutti coloro
che non raccoglievano i loro proclami e per questo, li
additavano come fascisti, “invitandoli alla pala e alla cofana
se volevano essere perdonati delle loro azioni”.
Un monito ed un invito grottesco, quello del Cnl, perché
gli ex fascisti ce li aveva proprio nelle sue file.
..........………
19
Sul terrorismo
20
1
che, quel grande antifascista (diventato poi Presidente della
Repubblica) rientrò in Italia (da fuoriuscito) soltanto nel
1943. Quando cioè gli anglo-americani, già da giugno,
erano già sbarcati in Sicilia.
E fu grazie a costoro, più che alla inesistente opposizione
partigiana, che il Gran Consiglio del Fascismo, il 25.7.1943,
potè decretare la caduta del Regime e il Re Vittorio
Emanuele III arrestare colui che da più di venti anni era
Capo del Fascismo e Capo del Governo, Benito Mussolini. Il
quale però, a guerra finita e contro la volontà degli alleati, il
28 luglio 1943 fu catturato e nell’aprile 1945 assassinato
senza processo, dai partigiani, per ordine dello stesso Pertini
(socialista) e Luigi Longo (comunista).
Questi due uomini, con quel loro macabro ed inutile gesto si
sono conquistati sì un posto di rilievo nella Storia di quel
1945, ma soltanto come lugubri primi attori di una Guerra
Civile, che in Italia non c’era mai stata. Così infatti Indro
Montanelli e Mario Cervi, da testimoni di quel periodo, l’
hanno giustamente raccontata e definita (in un libro di
grande successo nel 1983) precisando altresì che, nelle
regioni rosse dell’Emilia-Romagna, quella guerra fratricida
durò ben oltre il 25 Aprile del 1945.
Data nella quale oggi, a distanza di tanti anni, gli
antifascisti e i partigiani, (che quel giorno fatidico salirono
trionfanti sui carri armati americani) vorrebbero ancora far
credere di essere stati loro a liberare l’Italia e non già
l’esercito degli anglo-americani. Il riferimento, alla
liberazione dell'Italia di 50 anni fa, da parte degli alleati,
vale anche per tutti coloro che, con i loro sfoghi contro la
guerra in Irak, dimostrano di appartenere a pieno titolo al
variegato mondo dei no global e dei pacifisti in pantofole.
21
2
I quali, se li osserviamo attentamente odiano sì, il
capitalismo, ma si guardano bene dal rinunciare al benessere
ed alle comodità che esso produce. E partendo dalle loro
posizioni privilegiate, che ti fanno?
Ti scatenano contro l'America una montagna di accuse,
dimostrando di avere le stesse convinzioni dei terroristi
islamici.
E le esprimono, con il livore e l'invidia ideologica di matrice
marxista, che tutti i cattivi maestri degli anni 70 hanno
sempre riversato contro la più grande democrazia del
mondo.
Ma se ora a distanza di più di trent'anni anche i giovani di
oggi attingono a piene mani dai testi di quei falsi profeti, ciò
significa che l’egemonia culturale della sinistra sulla nostra
società è ancora forte.
E sarebbe ormai urgente avviare un profondo revisionismo,
anche nei testi di storia, che quella cultura, è riuscita ad
imporre in tutte le scuole dei nostro Paese, come avveniva
sotto il Fascismo, ai tempi dei Mínculcop.
Se così non fosse i giovani, che non hanno vissuto l’
esperienza della liberazione (portataci dagli alleati) ed a
priori rifiutano la verità, non userebbero ancora
1'armamentario ideologico dei pacifisti di allora. I quali,
mentre tacevano sui missili russi puntati sull'Europa,
invadevano le piazze dei paesi occidentali, urlando slogan,
come: "Gíù le maní dal Wietnam" e Via l'Italla dalla Nato.".
Urlavano quegli slogan, agitando sempre il libretto rosso
diMao o l'effige di Che Guevara e Fidel Castro. Simboli che,
con la falce e martello e le bandiere rosse, non mancano mai,
neppure nelle marce di oggi. Quasi per far sapere a tutti, che
il vero marchio che si nasconde dietro la bandiera della
Pace, è sempre quello del Comunismo.
22
3
Anche se tutti sanno che quel marchio (dopo quelli dei
Fascismo e dei Nazismo) è stato già sconfitto dagli
americani. E se i pacifisti di oggi, pur di sconfiggere gli Usa,
credono di poter nascondere dietro la bandiera iridata, anche
il marchio del Terrorismo, allora si sbagliano di grosso e si
preparino ad ingoiare un’ altra sonora sconfitta. Altro che
impero in declino!
Intanto i profeti di sventura, si leggano (nel corsivo dei
riquadro a fianco) quali sono le speranze degli irakeni e
quelle di un altro popolo (da anni sotto l'incubo dei
terrorismo) vede aprirsi per il suo futuro (e per il popolo che
con lui confina) secondo le dichiarazioni, recentemente
rilasciate alla stampa, nell’aprile 2003, da un pacifista
convinto, come Simon Peres ex premier israeliano, che ha
provato sulla sua pelle l'inganno della teoria del "Porgi
l'altra guancia se il nemico ti schiaffeggia".“Questa guerra
può aiutare il processo di pace in Medio Oriente.Dobbiamo
dimostrare al mondo che esistono delle regole.Non è un
mondo selvaggio.Questa guerra è per la modernità.”
“Indovinate chi ha espresso queste frasi? Penserete ad un
alto esponente del Governo Americano o Inglese. Sorpresa:
l’uomo è Simon Peres che da sempre ha il ruolo di colomba
israeliana. L’uomo del dialogo, del buon senso, contro tutti i
falchi del conflitto tra israeliani e palestinesi.
E’ colui che non ha mai approvato apertamente la politica di
difesa e di attacco del Governo Sharon, anche nei peggiori
periodi dell’Intifada.
23
4
II
ANTIFASCISMO RESISTENZA
IN CIOCIARIA
La grande bugia
24
furono fucilati dai tedeschi per diserzione dal fronte di
Cassino, dove furono portati per effetto del Bando di
Graziani, e da dove fuggirono, pur sapendo che
avrebbero rischiato la pena di morte. E, pur non facendo
parte di qualche formazione partigiana, decisero di
sottrarsi all’obbligo di aiutare i tedeschi.
25
Luigi Banchi, riprodotta sulla Lapide del Monumento sia
veramente di un partigiano che scappa per andare a fare il
Natale con i genitori, e non a nascondersi in qualsiasi
zona a sud di Roma, per poi unirsi ad altri compagni.
E sarebbe un atto di un Paese civile, l’aver
strumentalizzato a fini di parte, un sacrificio di decine di
giovani, che, disorientati dai tragici avvenimenti della
guerra, militare e civile) che avevano travolto l’Italia,
volevano semplicemente tornare a casa, e non avrebbero
mai pensato che sulla loro pelle “trucidata” qualcuno
potesse apporre il marchio di una ideologia, che era
distante anni luce dalla loro idea di Patria?
E per finire, gli “storici” nostrani, che nel libro “La
Guerra a Frosinone 1943 e 1944” riportando, il racconto
che Otello Giannini ha pubblicato 20 anni fa, sulla storia
dei disertori
repubblicani, perché non ci dicono se hanno trovato un
qualsiasi collegamento che quei tre giovani avevano
avuto con i partigiani, prima, durante e dopo la loro
cattura?
E quanti e quali, dei 324 sopravvissuti, sono entrati a far
parte della resistenza toscana e ciociara) che, fino al
gennaio del 1944, non aveva mai dato segni di vita?
E quei pochi antifascisti che in Ciociaria vi sono entrati
poco prima dell’arrivo (tra il 2 e il 4 giugno 1944) degli
alleati, non erano anche loro gerarchi del Regime?
Dopo gli articoli sulla Resistenza, pubblicati in altro
periodico, c’è da chiedersi perché, anche nella nostra
Provincia, si vuole accusare di lesa maestà chiunque
chieda ai protagonisti della nostra storia recente, di far
luce sui loro trascorsi politici.
Qualcuno di essi invoca perfino la legge sulla privacy,
26
per non rivelare che cosa faceva nei suoi primi trent’anni
vissuti sotto il Fascismo, rispetto al quale, soltanto dopo
il 25 luglio e l’8 settembre del ’43, ha avuto il coraggio di
dichiararsi suo irriducibile oppositore, mentre durante il
ventennio, tutti i giovani studenti della sua età, erano
considerati come “La meglio gioventù” di allora.
Anche al Presidente Carlo Azeglio Ciampi (che
Massimo Fini definisce un deciso antirevisionista della
resistenza italiana) potrebbero essere rivolte le stesse
domande da noi rivolte a Giacinto Minnocci di Alatri
(Senatore della Repubblica) ed a Carlo Costantini
(Segretario dell’Associazione Partigiani Cristiani, della
Provincia di Frosinone). Perché anche nelle biografie del
Presidente Ciampi, si parla di lui soltanto dal settembre
del ’43, per ricordare che si era rifugiato a Scanno sui
Monti dell’Abruzzo (che sono vicini ai Monti Ernici,
dove anche noi giovani ciociari ci rifugiammo per
sfuggire ai fascisti e ai tedeschi) ma non si dice nulla di
cosa facesse da giovane, prima della caduta del
Fascismo,
sia quando era studente liceale e universitario, sia
quando nel 1941 si laureò in lettere alla Normale di Pisa,
dove anche lui dovette indossare la divisa del Guf
(Giovani fascisti universitari) per conseguire la laurea? E
quando fu chiamato per fare la guerra di Mussolini, a
fianco dei tedeschi e contro gli anglo-americani, non
dovette fare il giuramento di fedeltà al Re ed alla Patria,
come tutti gli ufficiali erano tenuti a fare?
Le stesse cose si potrebbero dire sia per l’ex Presidente
Scalfaro che si laureò e divenne magistrato sotto il
fascismo (e come Pubblico Ministero, dopo la guerra,
chiese l’ultima condanna a morte, in un processo a
27
Milano) sia per l’attuale Presidente Giorgio Napolitano,
che per la prima volta, pur dichiarando recentemente che
nel 1942 era iscritto al Guf, subito si affretta a precisare
che nel suo gruppo universitario già si ponevano le basi
per la lotta antifascista. Così è accaduto a quasi tutti gli
uomini politici della prima Repubblica, che si
dichiararono antifascisti e partigiani, soltanto dopo l’ 8
settembre1943. Ma la verità di tutte queste bugìe, è che,
tra le migliaia di intellettuali che c’erano nelle università
e nelle istituzioni, soltanto 12 furono coloro che si
rifiutarono di giurare fedeltà al Regime, e nelle biografie
dettate ai loro agiografi, non parlano mai dei loro primi
25-30 anni, quando venivano considerati “la meglio
gioventù” di allora. Di essa facero parte tutti gli studenti
iscritti al Liceo Turriziani di Frosinone, al Liceo Conti
Gentili di Alatri ed al Liceo Tulliano di Arpino.
Molti di essi, poi si sono potuti iscrivere alle Università e
laureare, solo se facenti parte del Guf e solo se si
presentavano a sostenere la tesi, con tanto di sahariana
nera, stivali e cinturone, che era la divisa d’ordinanza del
perfetto fascista. E tra essi vi sono stati anche i nostri
deputati eletti dal 1946 in poi
28
1929-30: Colletti Giuseppe - De Felice Ennio -
Evangelista Benedetto - Trombetta Tito Livio
29
1935-36 - Caperna Arnaldo - Cesari Francesco - De
Sanctis Cesare - De Sanctis Sante - Di Stefano Vincenzo
- Finocchiaro Maria Cristina - Marini Lidia - Maselli
Valerio - Orlando Pasquale – Paolini Maria Teresa -
Ruggiero Carlo - Schietroma Dante (Dichiaratosi
socialista dopo il 25 luglio 1943 e più volte Senatore
nella I^ Repubblica) - Serafini Luigi
30
1939-40 - Anticoli Borsa Cesare - Belvedere Gino –
Benettini Elisa - Boffi Lorenzo – Bonomo Roberto –
Bruni Tommaso - Carcano Vittorio - Celletti Anna Maria
-. Cialone Angela – Ciampelletti Mario - Colasanti
Alberto - Collanti Alariga - D’Alessandro Laura - De
Castro Antonio - Ferrari Giuseppe - Fiorini Ambrogio -
Fischiagrilli Erminio - Manni Renato - Pagliaroli
Francesco - Palombo Ermanno – Parente Mario -
Perdicaro Scipione - Ruggeri Eralda Scurpa Elena -
Sorrentino Lidia – Spaziani Umberto- Squillante
Geppino Antonio – Stirpe Lidio - Tribioli Alberto - Valle
Luigia - Valletta Ezio - Vona Virginia – Fanti Angela -
Menichelli Elsa .
31
1942-43 Anticoli Leonardo - Buccilli Ignazio -
Ciampelletti Alberto - Di Girolamo Giovanni - Fortuna
Cesare - Riannetti Anna Maria - Giorgi Lido - Gnagni
Antonio - Magnotta Williams - Marchesi Sergio -
Menichelli Teresa - Milia Salvatore - Pirri Pericle –
Ranaldi Anna Maria - Savatoni Pietro - Scaccia Scarafoni
Sandra - Sica Giuseppina – Trovini Teresa - Valletta
Roberto - Vona Nazarena
32
LETTERE TRA STUDENTI AD ALATRI
34
La Terrinoni Dolly (tuttora vivente in Canadà) che pure
veniva chiamata camerata dai compagni di scuola, facendo
parte di una numerosa famiglia, è rimasta con i fratelli, a
gestire l’Albergo Centrale a Fiuggi, e dato che sapeva 4-5
lingue si mise legittimamente a fare da interprete con i
clienti dell’albergo, ma anche tra il Comune, i tedeschi e
gli anglo-americani, prima e dopo la liberazione avvenuta il
4 giugno 1944.
Del Salvatori Nino, non so altre notizie, oltre quella che
fosse di Ripi, come lo erano i fratelli Aldo, Raul e Renzo
Silvestri. A proposito dei quali, secondo il racconto di
Aldo, pubblicato sul libro edìto dal Comune “La Guerra a
Frosinone 1943 -1944” si erano trasferiti ad Alatri, perchè
il padre Consalvo vi era andato a fare il Segretario
comunale.
35
Una vera epopea, invece Aldo Silvestri, la dedica a se
stesso ed al fratello Raul, ma anche alle bande di
antifascisti rossi di Collepardo, di Alatri, di Frosinone, di
Ripi, di Veroli e di Paliano e coglie l’occasione per
nominarli tutti, volendo con ciò dimostrare che la crema
della resistenza ciociara era soprattutto di estrazione
marxista-leninista.
Questo novello storico però, dimentica di dire che molti
compagni, e lui stesso, avendo studiato nel Liceo-Ginnasio
di Frosinone, o in altre Scuole Superiori e alle Università,
usavano chiamarsi tra loro camerati, e tutti insieme erano
considerati “La meglio gioventù” del Regime.
Nel racconto di Aldo quegli ex camerati-studenti, li
ritroviamo infatti, dopo l’8 settembre, nascosti nelle
campagne, lontane da Frosinone, quindi al sicuro dai
rastrellamenti.
36
Ed aggiunge: “Le armi a nostra disposizione, che
tenevamo nascoste nel granaio e nei camini della Certosa di
Collepardo, consistevano in una cassetta di bombe a mano
portata da mio fratello Raul, militare tornato dopo l’8
settembre 1943, moschetti e pistole prelevate dalla
caserma dei Carabinieri di Alatri e altri moschetti e due
fucili mitragliatori recuperati presso l’armeria della
Prefettura e trasportati dai fratelli Luciano e Augusto
Bartoli, da Tullio Pietrobono e da mio fratello Raul”.
Per quanto riguarda il terzo fratello, Silvestri, di nome
Renzo, ecco cosa dice di lui Aldo, nel suo racconto:
“Avevamo collegamenti, oltre che con il gruppo di
Frosinone, diretto da Marzi e Spilabotte, con quello di Ripi,
dove operava l’altro mio fratello Renzo, di Veroli con
Alonzi e con la banda di Paliano, guidata da Giannetti”
A commento di queste affermazioni, è doveroso precisare
che, anche Renzo era stato studente, alla 3^ classe del
Liceo Turriziani di Frosinone (dove conseguì la maturità
nell’anno 1937/38) poi all’Università, dal 1939 al 1943, e
come tale era obbligato, come tutti, a vestire la divisa del
Guf sia per partecipare alle manifestazioni del Regime sia
per conseguire la laurea alla Sapienza di Roma.
Di queste circostanze ne parla Luciano Bartoli, nelle sue
memorie, a pagina 33: “Chiesi notizie a Raul, del fratello
Renzo (che lui chiama Romano) il quale aveva frequentato
il liceo con me.
Romano lo ricordavo anche perché, alto e prestante
com’era, la divisa del gruppo universitario fascista,
completa di stivali gli dava un’ imponenza e anche
un’eleganza che io invidiavo.
37
Erano allora i tempi eroici, e ricordo che erano più le volte
che lo incontravo in divisa, di quelle che lo incrociavo in
borghese.”
Anche a Renzo, la condizione di antifascista e partigiano, è
stata di grande utilità, non tanto per la professione forense
che esercitò in modo egregio, quanto per la carriera
politica: se è vero che nel 1960 fu deputato e Sindaco di
Fiuggi col Pci, e nel 1964 col Psdi.
L’altro compagno di scuola di Silvio Incocciati, che nella
lettera firmata da Raul e da Nino, viene indicato col
cognome Rossi, è senza dubbio quel Lino, che, dopo aver
conseguito il diploma magistrale, ed essere stato fino al
1941 in buoni rapporti con i camerati, Tagliaferri e
Incocciati, che partivano per la guerra, lo troviamo, nel
diario di Sacchetti Sassetti, in “La cronaca di Alatri sulla
occupazione tedesca 1943 - 1944” come facente parte del
gruppo cattolico, prima arrestato, e poi rilasciato, su
intervento del Vescovo di Alatri, Facchini, verso il Console
fascista Ghislanzoni, e per questa insignificante
circostanza, come vedremo, diventerà simbolo della
resistenza alatrina.
38
IL DIARIO 1943 -1944
di Sacchetti Sassetti
39
Regime era stato addirittura Segretario della Gil di
Fiuggi, e come tale fotografato in divisa da gerarca
fascista, in tutte le manifestazioni del Regime.
Delle quali chi scrive ha pubblicato anche su internet le
foto che lo stesso Segretario, distribuiva ai giovani. Ed
anche lui ritroviamo, come campione della resistenza
nell’Alta Ciociarìa, insieme al Prof. Raffaele Conti, e al
maestro Papitto, dei quali, il Sacchetti prende nota in
questo modo:
Il 30 aprile: “Arresto a Fiuggi del Prof. Conti e del
maestro Papitto, per misure di polizia pel Primo
Maggio”. Ed il Papitto è quel camerata Vincenzo, che
Raul e Nino citano, come promosso, insieme ad
Armando, nella loro lettera a Silvio.
Ebbene, anche lui, dopo l’8 settembre, diventa
antifascista e resistente.
Mentre il Prof. Conti, che diventerà capo della Banda di
Fiuggi e membro del Cnl provinciale (insieme all’ex
intellettuale fascista Minnocci, per l’ala militare) è colui
che, originario di Novara, dopo aver fatto fortuna in
Abissinia, non come legionario, ma come uomo d’affari,
nel 1939 approda a Fiuggi per rimanervi, e fino al 25
luglio del 1943 rimane coerente con il suo passato
fascista, insieme al citato studente universitario
Terrinoni.
Tornando a Lino Rossi, il Sacchetti lo cita altre cinque
volte, come se fosse l’eroe dei due mondi:
Il 1 maggio: “Stamane Lino Rossi è stato trasferito al
Convento dei Cappuccini” e in data 4 maggio:
“Stamane il Cap. Medico ha visitato Lino Rossi e
compagni. Ha protestato pel modo come sono tenuti .
Dalle 9 alle 17 hanno potuto passeggiare, vigilati da
sentinelle”
40
Il 5 maggio: “Gli studenti dei Cappuccini, vanno al
Convento di Fiuggi. Lino Rossi e compagni hanno
grande libertà nel bosco.”
Il 20 maggio: “Questa notte 30 militi dei Cappuccini
sono fuggiti. Lino Rossi e compagni rilasciati per
insufficienza di prove” E infine:
Il 21 maggio: Quasi tutti i soldati repubblicani, senza
armi, che dovevano partire stanotte, si sono squagliati. Il
resto partirà questa notte per Civita Castellana(‘)”
A proposito del Convento dei Cappuccini di Alatri, non
posso fare a meno di ricordare che, tra i giovani che vi
furono internati all’inizio del 1944, c’ero anch’io, con il
mio amico d’infanzia Enzo Girolami, e tanti altri giovani,
reclutati o catturati, in tutta la provincia, e concentrati,
prima a Fiuggi, poi trasferiti in quel Convento.
Dove, anche noi precettati o catturati dal Bando di
Graziani, non facevamo che passeggiare per il bosco,
dalla mattina alla sera, dato che ci tenevano lì senza far
nulla, ma ci sorvegliavano, né più né meno, come i
fermati ad Alatri, per motivi politici.
Solo che, se fuggivamo noi, rischiavamo di essere
fucilati per diserzione (come i tre martiri toscani ed altri
27 su 300, portati a Cassino dai tedeschi) mentre i
fermati e trattenuti nel Convento (come Lino Rossi e
compagni) avendo nel Vescovo Facchini il loro
protettore, in continuo contatto con il Console fascista
Ghislanzoni (con il quale, per effetto del Concordato,
aveva sempre collaborato) furono trattati con riguardo, e
liberati sani e salvi, senza che gli avessero torto, neppure
un capello. Ma c’è di più, essendo i giovani di Alatri,
quasi tutti studenti, del liceo, delle magistrali, e
universitari, non è da escludere che essi (o chi trattava,
41
per farli rilasciare) abbiano voluto di dimostrare che
anche anche loro erano camerati, e per questo chiedevano
di essere rimandati a casa.
Lino Rossi infatti, dopo essere stato rilasciato, tornò a
nascondersi con altri militanti cattolici, nella curia e nelle
parrocchie di Alatri, autodefinendosi poi, tutti partigiani,
solo perché, notte tempo, avevano distribuito qualche
invito ciclostilato ai giovani, a non presentarsi alla
chiamata alle armi.
Queste sono le ragioni per cui i giovani arrestati per
motivi politici, e liberati grazie all’intervento del
Vescovo, non hanno alcun merito da rivendicare, rispetto
ai disertori della guardia repubblicana, nella lotta ai
fascisti ed ai tedeschi..
I giovani del Bando di Graziani, sin dal gennaio ’44,
cominciarono a fuggire dal Convento, per evitare il
trasferimento al Nord. E fu così che, in una notte del
febbraio ‘44, io ed Enzo Girolami, dopo aver scavalcato
il muro di cinta dalla parte del cimitero di Alatri, e
camminando nelle campagne di Collepardo, Vico nel
Lazio, Guarcino, La Cimetta e Prata Longa, dopo due
notti e due giorni arrivammo al pianoro di Capo Le Ripi,
vicino a Fiuggi. Rimanendovi fino al maggio 1944,
facendo però, ogni sera, ritorno a casa.
Queste sono le ragioni che fanno ritenere la vulgata
resistenziale, anche in Ciociaria, una vera e propria
bugìa, come Giampaolo Pansa dice nei suoi libri.
Da parte sua l’Associazione partigiani cristiani, sarebbe
ora che cominciasse se ne ha il coraggio, a rivelare, che
cosa erano e cosa facevano i suoi dirigenti e i suoi iscritti,
ad Alatri ed altrove, quando molti di loro frequentavano
il Liceo, le Magistrali e l’Università, e se non avevano
42
l’abitudine di chiamarsi camerati. E non faccia fare a noi
altri nomi, come quelli che abbiamo trovato nella lettera
di Raul e di Nino.
A questo punto, c’è da ricordare che tra gli antifascisti
del giorno dopo, c’erano molti ex ufficiali, partiti per la
guerra, ma nessuno di loro aveva mai osato disertare
l’esercito dell’odiato Regime, come invece seppero fare i
martiri toscani, fucilati a Frosinone; della cui gloria,
pochi anni fa, si sono appropriate le Amministrazioni
rosse di Firenze e Frosinone, che, con le relative
Associazioni partigiane, non hanno nulla a che fare con
l’ideale di Patria che quei giovani repubblicani nutrivano.
Ed ora, a distanza di 60 anni, i protagonisti negativi di
quegli eventi, nel libro “La guerra a Frosinone 1943 -
1944” dopo la cronaca sulla vacanza da piccoli borghesi,
trascorsa a Collepardo e nelle campagne di Ripi,
Frosinone e Fiuggi; o al riparo delle curie e delle
parrocchie di Alatri, Ferentino Veroli ed Anagni,
mentre tacciono sul loro passato fascista (eccezion fatta
per Augusto Marini ed Augusto Bartoli, che nei loro
libri ricordano di essere stati, l’uno, convinto assertore
della Patria, con la divisa del Guf, l’altro, leale
combattente in Grecia, con la divisa di sottufficiale) ora
invece i bugiardi di ieri, vengono a raccontarci la loro
storia di militanti rossi. Ma come vedremo, altra non è
che una storia, fatta di prepotenze e di occupazione
totalitaria del potere.
A cominciare dalla Provincia, conquistata al grido di
“Tutti a Palazzo Gramsci”, e a continuare nei comuni,
dove, su ordine del Cnl, imposero dappertutto i loro
“commissari del popolo” (altro che sindaci) che alle
prime elezioni del 1946, vennero spazzati via dal voto
popolare.
43
Il che dimostra inequivocabilmente che, la prassi e i
metodi usati per realizzarla, erano al di fuori di ogni
legalità democratica.
La stessa prassi, è stata adottata anche di recente, quando
con il solito connubio tra cattolici e comunisti, l’attuale
unione delle sinistre ha occupato tutte le istituzioni dello
Stato, dalla Presidenza della Repubblica, a quelle della
Camera e del Senato, pur avendo avuto soltanto il 50 per
cento del voto degli italiani.
44
III
“ LA GUERRA A FROSINONE ”
1943 - 1944
45
sottufficiali nell’Esercito italiano; circostanza che non
cercano di nascondere, al contrario dei loro compagni
stalinisti, che usciti dalla clandestinità nel gennaio 1944,
cancellano ogni traccia del loro passato fascista.
Intanto, dopo aver accennato alle vacanze, trascorse, da
piccoli borghesi, dagli ex fascisti, a Collepardo, o nelle
campagne di Alatri, Veroli e Ripi, vediamo come le
trascorrevano, gli antifascisti di Frosinone, sempre
secondo i loro racconti riportati nel Libro.
46
“E della condizione in cui gli sfollati sono costretti a
vivere, propone uno spaccato con la sua consueta ironia.”
“Purtroppo la stagione particolarmente favorevole (a
causa della guerra) ha richiamato sul posto un
grandissimo numero di villeggianti ed io arrivato, senza
prenotazione, non trovo posto negli alberghi di lusso.
Infatti, le case di creta a due piani sono occupatissime. I
posti migliori naturalmente sono stati affittati a gente
dell’alta aristocrazia (guarda caso, anche qui, fatta di
piccoli borghesi antifascisti): il Principe Toccacielo,
infatti, ha preso una camera, quattro per cinque, tutta per
sé e famiglia di nove persone; lo scantinato di tavolato di
ottima qualità, se l’è accaparrato il barone Gianni
Caciocavallo”.
Al riparo tra gli Ernici e i Lepini. A pagina 87 - “Non
tutti i frusinati naturalmente optano per la Santissima e
San Liberatore, la cui scelta è forse dettata dalla
speranza di una protezione celeste (sic).
Alcuni privilegiano appartate località dei Lepini e degli
Ernici, confidando, oltre che nella speranza di una
maggiore tranquillità, soprattutto nell’ospitalità di amici,
parenti, e conoscenti, per un soggiorno, sulla cui durata è
impossibile fare previsioni” La scelta fu:
Giuliano di Roma: “Dove si recò la famiglia Porcari; ad
essa si unì anche la signora Colasanti, vedova Spaziani e
il figlio Domenico; affrontarono il viaggio con una
carretta per le masserizie, che dovettero trainare a mano.
Appena giunti in paese gli abitanti, con il Podestà signor
Borza, li accolsero con calore e umanità, e gli
procurarono un alloggio provvisorio, dal quale, il giorno
stesso, il Podestà li fece sistemare in una casa grande,
47
abitata dai proprietari con i quali, col trascorrere dei
giorni, stabilirono un rapporto quasi fraterno”.
“A Boville Ernica, invece si recò la famiglia
dell’avvocato Luigi Carfagna, che secondo il racconto
della figlia Alba, non venne alloggiata presso la casa
molto grande delle Genovesi, affezionate clienti di suo
padre, ma la sera stessa trovarono alloggio nella scuola
elementare del Palazzo comunale, anche qui per
disposizione del Podestà”.
“A Fiuggi, invece, da Frosinone, si recarono soprattutto i
dipendenti dello Stato e dell’ Amministrazione
provinciale, i cui uffici, vi si erano trasferiti dopo il
bombardamento dell’11 settembre”
Di Fiuggi, che è il mio paese, parlerò più avanti,
soprattutto, perché, durante tutto il periodo della
occupazione tedesca, esso, grazie alle numerose strutture
alberghiere, di cui già 60 anni fa disponeva, venne
utilizzato in vari modi.
La Banda di Collepardo
48
Raul Silvestri) che stava indottrinando, e insieme si
danno come obiettivo primario quello di procurarsi delle
armi recuperando, intanto moschetti e fucili mitragliatori,
da tempo nascosti a Frosinone, in contrada Maniano, nel
pozzo della casa, dove era sfollato Domenico Marzi”
“L’incontro dei gemelli Bartoli, con i fratelli Silvestri e
altri giovani frusinati, per lo più studenti, ma anche ex
militari tornati dai fronti di guerra, dopo l’8 settembre,
farà assumere una caratteristica tutta “politica” allo
sfollamento verso Collepardo e la vicina Certosa”
Costoro insieme ai loro coetanei locali, faranno tutti
parte della banda partigiana, costituita da una trentina di
persone, capeggiate da Oreste Cicalè (che troveremo in
prima fila, insieme ai Marzi ed ai Silvestri nel 1944, ad
occupare illegalmente il “Palazzo Gramsci”, dove il
Cicalè e il padre dei Silvestri, Consalvo, diventeranno,
rispettivamente Ragioniere Capo, e Segretario Generale).
La Banda, nel territorio, tra Alatri e Fiuggi, si prefigge di
sabotare l’occupazione nazista e le strutture repubblicane.
L’ingegnere Aldo Silvestri, all’epoca ventenne, ricorda
così, quei giorni e quella esperienza:
“Dopo aver frequentato il ginnasio a Frosinone, mi ero
trasferito ad Alatri, con la famiglia per seguire mio padre,
Consalvo Silvestri, chiamato in quella città a ricoprire
l’incarico di segretario comunale.”
Aldo Silvestri continua “Qui ebbi modo di frequentare il
maestro elementare Cesare Baroni (un noto comunista
più volte arrestato e malmenato dai fascisti locali)
e il confinato politico Paolo Bufalini, che nel dopoguerra
sarà tra i massimi dirigenti nazionali del Pci. Il maestro
Baroni, al momento della occupazione tedesca di Alatri,
49
essendo ricercato dalla milizia repubblichina, trovò
rifugio presso la Certosa di Trisulti, dove lo raggiunsi
pochi giorni dopo per sfuggire ai continui rastrellamenti e
al ‘Bando di Graziani’ Qui ebbi modo di conoscere
Oreste Cicalè e il nutrito gruppo di antifascisti di
Collepardo. Dopo i primi bombardamenti su Alatri,
anche la mia famiglia raggiunse e la certosa di Trisulti,
dove numerose erano le famiglie di Frosinone”.
“A Trisulti da Roma arrivò anche il comunista Gino
Conti, nome di battaglia di Alfredo Bonelli, inviato dal
‘centro’ dal Pci ad Alatri, per organizzare il partito e la
lotta di resistenza tra gli internati jugoslavi nel campo di
concentramento delle Fraschette.”
“Il rivoluzionario professionale’ Conti-Bonelli prese
contatto con Baroni e il suo gruppo di giovani e così
organizzò il primo nucleo partigiano di quella che
diventerà poi la Banda di Collepardo”.
“Le armi a nostra disposizione che tenevamo nascoste nel
granaio e nei camini della Certosa consistevano in una
cassetta di bombe a mano, portata da mio fratello Raul,
militare tornato dopo l’8 settembre, moschetti e pistole
prelevate alla caserma dei Carabinieri di Alatri e altri
moschetti e due fucili mitragliatori, recuperati presso
l’armeria della Prefettura, e trasportati dai fratelli
Luciano e Augusto Bartoli, da Tullio Pietrobono e da mio
fratello Raul”.
“Avevamo collegamenti, oltre che con il gruppo di
Frosinone (a Maniano) diretto da Marzi e Spilabotte.
Anche con il gruppo di Ripi, dove (ben nascosto)
operava l’altro mio fratello Renzo, di Veroli con Alonzi
e con la banda di Paliano, guidata da Giannetti”
“Le nostre principali azioni consistevano nel
50
sabotaggio degli impianti militari dei tedeschi e dei
fascisti; nel lancio di chiodi a tre punte sulle vie di
comunicazione, nella diffusione della stampa clandestina,
nell’assistenza ai soldati inglesi fuggiti dai campi di
prigionia, ed attacchi a gruppi isolati di nazifascisti.”
“Negli ultimi giorni di occupazione abbiamo fermato
quattro soldati tedeschi e fermato fascisti e
collaborazionisti locali, liberando così Collepardo prima
dell’arrivo in paese dei militari alleati”.
N.d.a. : Davvero eroi, questi piccoli borghesi, che
liberano Collepardo catturando dei poveri tedeschi e
fascisti, disarmati, e in fuga, dai quali fino ad allora si
erano coraggiosamente tenuti alla larga, nonostante tutte
le armi che tenevano rigorosamente nascoste nelle
cantine e nelle grotte degli bambocci, di cui Collepardo e
Trisulti sono piene, e le imbracciano spavaldamente,
mentre vittoriosi arrivano i liberatori; che erano gli
anglo-americani e non le truppe di Tito che nell’Istria
italiana, al posto del nazifascismo, vi portarono il
comunismo, come sarebbe certamente accaduto, se, alle
elezioni del 1948, avesse vinto il fronte popolare.
Ed hanno anche il coraggio di dire che il Comitato di
liberazione, appena insediatosi al Comune “distribuì alla
popolazione del paese le notevoli quantità di viveri
nascosti, nelle case dei possidenti locali,
collaborazionisti”.
Sin qui l’ epopea delle bande a antifasciste e partigiane,
che ne fa la storiografia ufficiale, finanziata dalle giunte
rosse, con agiografi, pubblicazioni e convegni,
sfacciatamente faziosi, e per gran parte pervicacemente
chiusi a qualsiasi diversa interpretazione di quei tragici
51
eventi di guerra, specialmente di quella stragrande
maggioranza di cittadini, che quegli eventi, furono
costretti a subirli, senza atteggiarsi ad eroi, o a martiri, di
una qualsiasi ideologìa.
Ed allora vediamo, ad esempio, la diversa
interpretazione, taciuta nel libro, che ci danno di quei
fatti storici, sia Gino Conti, ex confinato politico sia i
fratelli Luciano ed Augusto Bartoli, tutti e tre facenti
parte del gruppo di Collepardo.
Il primo, in un libro autobiografico, pubblicato nel 1995.
Gli altri due, nelle rispettive memorie di alcuni anni fa.
52
Tutti si erano dati alla macchia. Fino a quella data si
trovava senza legami con il Partito comunista romano.
La radio diceva che Badoglio stava preparando la fuga
verso Brindisi, con la famiglia reale, con il governo e lo
stato maggiore. Aveva la sensazione che la città sarebbe
stata difesa, perché la consistenza delle truppe tedesche
intorno a Roma era scarsa. Gli anglo-americani erano già
arrivati a Salerno e la situazione dei tedeschi appariva
insostenibile.
Con il suo amico Castelli del quale ero ospite, uscirono
per strada per vedere e per fare qualcosa: pensavano di
incontrare cortei, dimostrazioni, Il giorno dopo,
trovarono in giro molto fermento. Tentarono di parlare
con i soldati e i civili, in Piazza Indipendenza, e alla
stazione, cercando di spiegare la necessità di resistere ai
tedeschi, di cacciarli dall’Italia, ma gli sembrava di
parlare al vento. Il disorientamento era totale, e non
trovarono traccia di organizzazione. Badoglio era già
scappato, ma vigeva lo stato d’assedio decretato da lui e
il compito delle forze armate italiane era di fronteggiare
la popolazione, non di resistere ai tedeschi. Il Conti
prosegue dicendo che:
“A Roma vi era la direzione del Partito, e la
organizzazione locale. Noi dipendevamo da Roveda,
quindi dalla direzione del Partito. Ma non era chiaro
quale ruolo dovessimo avere.
Di fronte a me avevo tre alternative: tornare al nord,
restare a Roma, andare al sud.
Scelsi di andare al sud, tanto per dimostrare a me stesso
di aver saputo prendere una decisione. In realtà ero sotto
trauma. Isolato, disorientato, disinformato, in balìa delle
53
voci e degli eventi, le mie scelte furono fortemente
influenzate dall’emotività del momento e finché rimasi a
Roma non misi mai piede fuori di casa, e nemmeno mi
facevo vedere alla finestra.”
“Oggi dopo trent’anni, mi rendo conto che la mia reale
paura non era di incontrare dei poliziotti, ma dei
compagni, che, temevo, mi avrebbero proposto di
riprendere la mia attività restando a Roma, senza che
potessi sottrarmi alle decisioni di Roveda, ed al
pressappochismo dei compagni di Roma”.
E sì perché un professionista come lui, non poteva
sottostare agli ordini di qualcuno, e fu così che decise di
venire in Ciociaria.
Precisamente presso la cugina Renata, che si trovava
sfollata ad Alatri, a metà strada tra Roma e la zona di
guerra di Cassino.
Qui sentì subito di trovarsi in un mondo diverso, perché
vicino alle retrovie del fronte.
A Roma i tedeschi erano pochi, Alatri ne era piena.
Cominciò a prendere confidenza con l’ambiente. I
tedeschi davano la caccia ai giovani. Il fronte intanto si
era stabilizzato a Cassino, ed era impensabile poterlo
attraversare.
Così anche l’operazione sud venne da lui definitivamente
accantonata, e decise di rimanere in Ciociaria. Capì, però,
che presto ad Alatri non poteva restare.
I tedeschi facevano razzie di uomini, e la cosa gli
appartiva assai grave perché si credeva che li portassero
in Germania a lavorare e solo più tardi si seppe che
finivano a scavare le trincee dietro il fronte, da dove
presto o tardi scappavano.Con lo stabilizzarsi del fronte
l’attività dell’aviazione alleata divenne sistematica.
54
Essa dominava il cielo indisturbata,
Mitragliava, e spezzonava le strade di giorno, e
bombardava di notte le città, o i paesi, dove c’erano i
tedeschi. .Prima o poi sarebbe stata la volta di Alatri, ma
qui, quando arrivò, lui non c’era più.
Aveva deciso di trasferirsi a Collepardo nella Certosa di
Trisulti. Appena arrivato decise di cambiare nome. Da
Alfredo Bonelli, a Gino Conti.
Un nome comune che non avrebbe dato nell’occhio.
Trovò però subito una sorpresa, perché i frati offrivano
ospitalità solo per tre giorni. Dopo di che, ottenne
ospitalità in una famiglia di contadini, nelle vicinanze,
dove a sua volta era sfollata con tutto il bestiame, per
salvarlo dai tedeschi.
In Ciociaria vi erano molti uomini alla macchia, militari
meridionali che provenivano dal nord, ma rimanevano
imbottigliati prima dalla linea del fronte. Poi c‘erano i
prigionieri alleati, che liberati con l’8 settembre,
speravano di raggiungere gli anglo-americani. Vi erano
poi gli sfollati da Roma, in gran parte militari sbandati.
A questi si aggiungevano gli sfollati cacciati dai tedeschi
dalla zona del fronte. Infine vi era l’esercito tedesco, che
si era insediato un po’ dovunque. Quando il Conti, ai
primi di marzo del 1944, lasciò la Ciociaria, la situazione
si era fatta drammatica, quindi inadatta a svolgere
qualsiasi azione di contrasto contro i tedeschi, ancora ben
armati e pronti a reagire a qualsiasi attacco, che non era
neppure possibile organizzare, dato il sottosviluppo in
cui, secondo lui, tutta la provincia si trovava e dato che,
la popolazione dell’epoca era costituita in maggioranza
da contadini e da pastori, con modelli culturali
preindustriali, tutti analfabeti o quasi, con i quali era
impossibile comunicare.
55
Politicamente poi, sempre secondo lui, la provincia
aveva tradizioni reazionarie. Era una Vandea dello stato
pontificio, dove i papi reclutavano le loro truppe.
E qui ammette, senza volerlo, una lampante verità,
quando ricorda che, durante la sua attività sotto il
fascismo, non aveva mai conosciuto dei compagni del
posto.
La Federazione comunista di Frosinone non era mai
esistita, sparpagliati e isolati i pochi comunisti. La
popolazione percepiva gli alleati come liberatori, e ciò a
lui dispiaceva, perché in attesa del loro arrivo la gente
cercava di non irritare i tedeschi. Non gli risultavano
infatti tentativi spontanei di resistenza armata; un’ attività
partigiana sarebbe stata considerata una follìa,
specialmente da parte dei contadini.
L’attesismo, cioè l’attesa passiva degli alleati per essere
liberati, era generale. E finché lui rimase in Ciociaria, ai
tedeschi non era neppure riuscito a creare un apparato
locale collaborazionista.
Solo alla fine della sua permanenza gli venne annunciato
l’arrivo dal di fuori, di una piccola guarnigione
repubblichina A Fiuggi: “pochi, forestieri, spaesati e
impauriti” gli assicurarono. Lui però non li vide mai.
E crede che le sue siano le uniche memorie di un
organizzatore della resistenza, nelle quali dei fascisti, e
delle loro prepotenze al servizio dei tedeschi, non si parla
mai. Ebbene, ciò smentisce clamorosamente la caccia che
i partigiani comunisti e cattolici organizzarono subito
dopo l’arrivo degli alleati, contro i fascisti e contro i
repubblicani di Salò, accusandoli di essere i sicari dei
tedeschi, da epurare e condannare, senza appello e senza
prove, per pura sete di vendetta.
56
La Certosa di Trisulti costituiva secondo lui un punto
stabile e sicuro di riferimento, e i frati rappresentavano
una fonte di informazione seria ed efficiente, e grazie a
loro poté fare la sua base operativa, per la sua attività
mobile. Anche se la Certosa si era trasformata in
accampamento di profughi.
Tra i quali molti militari, di grado e di età diversi. Erano
per lo più, ammette, ufficiali di carriera e in parte di
complemento. Costituivano un gruppo coeso, ma sentiva
molto l’influenza gerarchica ed era orientato verso il re e
verso il governo Badoglio.
Quindi, i partiti antifascisti (compreso il comunista) non
collaboravano con le forze monarchiche, ed erano esclusi
dal governo. Con quegli ufficiali non fu possibile alcuna
collaborazione politica.
Per questo, con loro, non fu possibile organizzare in
Ciociaria un’attività militare, e farli partecipare ai
Comitati Nazionale di Liberazione, che lui stava creando.
Neppure gli internati iugoslavi, che si trovavano nel
campo delle Fraschette ad Alatri, riuscì a coinvolgere in
alcuna attività. Così giustifica anche questo insuccesso.
Nel campo i compagni erano pochi e l’organizzazione di
partito era debole. E convenne con loro che non era
pensabile utilizzarli per la guerra partigiana, in un
ambiente del tutto estraneo. Ma il nostro, a causa della
presenza massiccia di tedeschi, dopo aver constatato che,
la sua presenza era inutile, e i suoi compagni non si
fidavano di lui, perché il suo motto consisteva nell’
“armiamoci e partite” allora decise di tornarsene a Roma.
Dove invece era più facile nascondersi, senza uscire mai
di casa, come del resto aveva già fatto dopo il 25 luglio
1943, quando il governo Badoglio lo aveva liberato da
57
Ventotene, insieme a tutti gli altri confinati politici.
Temeva di essere addirittura eliminato dai cattolici del
CNL, come testualmente scrive a pagina 56 della sua
Memoria:
Nel corso della sua attività aveva sempre tenuto presente
la possibilità di venire eliminato dai suoi stessi alleati cui
poteva dare fastidio. Lui non era del posto, ed era assai
facile costringerlo ad abbandonare la zona. Il colpo
poteva venire dal Conti Raffaele o dalla Chiesa. Dal
Conti perché aspirava ad essere riconosciuto come
comandante militare, forse anche come rappresentante
del governo libero del sud, e lo percepiva come
concorrente.
Dalla Chiesa perché, abituata da sempre al dominio
incontrastato della zona, poteva vedere con timore il
sorgere di un movimento comunista capace di spezzare il
suo monopolio. Il nostro rivoluzionario aveva, infatti,
appena iniziato i suoi rapporti con Giannetti di Paliano,
quando nella seconda metà del febbraio 1944, il Conti lo
avvertì con urgenza che era stato individuato e che i
tedeschi lo stavano cercando. Come prova gli disse che a
Fiuggi esisteva la sua carta d’identità con fotografia.
“L’ ha vista lei personalmente?”. Gli chiese “Si,
personalmente” rispose. Gino Conti non dissi nulla e se
ne andò, perché sapeva che non esisteva nessuna carta di
identità intestata al suo nome, ma Raffaele Conti non lo
sapeva.
Tuttavia, individuato o no, ciò che a lui importava, era
che il Conti partigiano cristiano voleva che il Conti
comunista la lasciasse la Ciociaria. Il nostro non sarebbe
rimasto contro la volontà delle forze politiche del posto
con cui doveva collaborare.
58
Ormai l’ organizzazione del Partito e della Resistenza
(sic!) potevano andare avanti anche senza di lui, con
Pietrobono e Silvestri. A questo punto, per inquadrare il
personaggio “Gino Conti, la cui tattica preferita era
quella sintetizzata dal motto “Armiamoci e partite”, e per
far conoscere le imprese eroiche dei due allievi stalinisti
(Tullio Pietrobono e Raul Silvestri) che lui, nelle sue
memorie, si vanta di aver indottrinato e istruito per la
lotta partigiana, lasciamo parlare invece i due fratelli
Luciano e Augusto Bartoli di Frosinone (comunista
l’uno, socialista l’altro) in quel periodo anche loro sfollati
a Collepardo e nella Certosa di Trisulti, insieme agli altri
coraggiosi antifascisti e partigiani di Frosinone, di Ripi,
di Alatri e di Collepardo. I quali, tornati dalla guerra
voluta dal Fascismo, da loro supinamente accettata, con
tanto di giuramento di fedeltà al Re ed alla Patria, e dopo
aver combattuto, su tutti i fronti, a fianco dei tedeschi e
contro i russi e gli anglo-americani, dopo l’8 settembre
’43, all’arrivo delle truppe di liberazione diventano tutti
feroci nemici del Fascismo.
L’ Armistizio e lo sfollamento
60
Il fratello Luciano, anche lui militare fuggiasco, arrivò a
casa, portando nelle casse familiari ben 700 lire che era
una cifra importante per quel periodo.
Pochi giorni dopo il fratello pensò di andare a piedi a
trovare una famiglia di parenti (Colasanti) e da questa
riuscì ad ottenere perfino un prestito di 6.000 lire che a
quel tempo era un patrimonio, tanto è vero che il padre
disse che potevano andare avanti per mesi, e pertanto,
malgrado il bombardamento non avevamo pensato di
sfollare da Frosinone.”
Alcun giorni dopo però il padre disse che erano stati
invitati da un amico avvocato, in una villa di campagna
vicina a Frosinone.
Si trasferirono presso di lui, e con il suo unico figlio,
stabilirono una buona amicizia.
Fu nel terreno circostante che il fratello nascose in un
pagliaio due fucili mitragliatori e un certo numero di
moschetti modello.38, trafugati dal Distretto Militare di
Frosinone, con l’aiuto di alcuni suoi amici.
Ora, mentre nelle sue memorie Augusto Bartoli, non
cita la località, né la famiglia dell’amico avvocato, a
pagina 90 del libro a “Storia di Guerra a Frosinone” si
dice chiaramente che, i fratelli Bartoli:
“A Collepardo, incontrano l’ex confinato politico
comunista Gino Conti, e i due suoi allievi, Tullio
Pietrobono e Raul Silvestri, che lui stava indottrinando”,
e con i quali “si danno come obiettivo primario, quello di
procurarsi delle armi, recuperando intanto i moschetti e i
fucili mitragliatori, da tempo nascosti a Frosinone, in
contrada Maniano, nel pozzo della casa, dove erano
sfollati i Marzi”
61
La villeggiatura tra Maniano e Collepardo
62
famiglia che gli dette due locali in affitto, e lì si
fermarono. Augusto continua dicendo:
“Passavo le giornate disteso in una branda, andavo a
pranzare un unico pasto bella stessa locanda, e qualche
volta per divagarmi uscivo con mio fratello che cercava
compagnia, ma negli incontri che faceva parlava spesso
di costituzione di bande armate, ma io lo consigliavo di
stare attento a parlare di quelle cose, se volevamo stare
tranquilli come gli altri sfollati facevano.”
63
“Pur sapendo di correre qualche rischio, preferivo fare
l’operazione di giorno.”
“Si doveva scendere a valle, percorrere parecchi
chilometri, raggiungere il luogo dove erano nascoste le
armi e tornare indietro attraverso la campagna; poi
salendo una zona montagnosa, raggiungere la Certosa.
Alcuni giorni dopo ebbe inizio l’operazione “trasporto
armi”.
“Mio fratello era partito il giorno prima. Io, con il neofita
comunista (Raul) il giorno dopo, raggiunsi, nella
mattinata il luogo dove erano nascosti i due fucili
mitragliatori, li smontai entrambi: uno lo misi dentro il
mio zaino, l’altro andò nello zaino dell’allievo
comunista (Pietrobono)”
Il compagno irriconoscente
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“Il neofita comunista (Pietrobono) fortunatamente mi
aveva seguito. Insieme proseguimmo silenziosi, piuttosto
emozionati, attraverso la campagna per poi cominciare
l’ascesa della zona montagnosa”
“Il compagno comunista mi doveva la vita, ma non se ne
è più ricordato, né mi ha mai accennato a quel trasporto
di armi che facemmo insieme. Mentre arrancavamo, a
metà costa vidi mio fratello e l’altro allievo (Raul).”
“Li raggiungemmo, e con loro finalmente arrivammo
alla Certosa. Ricomposi i pezzi dei due fucili
mitragliatori, lasciandoli in custodia ai due neofiti
comunisti.” “Lontano vidi per la prima volta il prudente
confinato politico (Gino Conti) che ritenne, da vero
cospiratore, non avvicinarsi.”
“Tornai al Paese con mio fratello, avevo corso il
pericolo, se perquisito dai tedeschi, di essere ucciso sul
posto; anche mio fratello mi informò di avere una
riunione in un luogo isolato con l’ex confinato politico ed
i suoi due allievi.”
“Sempre con il timore che mio fratello avesse ad
affrontare altre pericolose avventure che potessero
coinvolgere tutta la famiglia, mi decisi ad andare
all’appuntamento, a Collepardo.”
65
“Aggiunse che i due suoi allievi comunisti sarebbero
rimasti con lui per fare “Scuola di Partito, questa fu la
sua precisa espressione.”
“Rimasi di sasso, allibito di fronte a tanto opportunismo;
subito replicai che ciò che mi proponeva di fare, era una
operazione suicida e semmai avremmo potuto effettuarla
con lui in testa e i suoi due allievi comunisti, se volevano
proprio suicidarci.”
“Mi precisò che poteva solo dirigere la lotta armata, ma
non parteciparvi, non avendo, tra l’altro, esperienza di
armi. Chiusi il colloquio con parole molto pesanti e che
non intendevo prendere ordini da nessuno, qualora
dovessi attuare un’azione partigiana.”
“Silenzioso si allontanò e i suoi due neofiti comunisti lo
seguirono come pecore.”
“Il confinato comunista, stalinista, in una sua
pubblicazione, apologetica ull’indottrinamento dei due
suoi allievi, non ha parlato di questi avvenimenti, pur
così significativi, perché come rivoluzionario di
professione, non gli risultava utile.”
“Tanto è vero che ebbe anche a negare l’azione di fuoco
portata a termine dal gruppo da me organizzato.”
Infatti nel libro “Io Gino Conti rivoluzionario di
professione” si legge:
“Ricordo che un giorno Pietrobono mi avvertì che due
suoi compagni affermavano di aver condotto un’azione
di fuoco notturna, contro automezzi tedeschi.
Esaminammo la cosa e concludemmo che quell’azione
non ci fu mai stata”
“Ecco perché il fantomatico Comando Supremo
Rivoluzionario con dimora nella Certosa di Trisulti, in
luogo sicuro e di villeggiatura, non diede notizia
dell’azione di fuoco.”
66
Augusto Bartoli era rimasto sconcertato dal colloquio
con l’ex confinato politico comunista al quale avrebbe
voluto dimostrare come andava condotta un’azione
partigiana, salvaguardando la vita di chi operava
nell’azione e dando soprattutto l’esempio.
Passò circa un mese e l’occasione gli si presentò verso
la prima decade di febbraio del 1944, quando suo fratello
Luciano lo mise al corrente che alcuni giovani del Partito
d’Azione provenienti da Roma, cercavano chi potesse
consigliarli a portare a termine una operazione di fuoco
dimostrativa contro i tedeschi, rendendoli edotti della sua
esperienza fatta in Albania e sul fronte Greco.
S’incontrarono per scegliere le zone lontane dalle
abitazioni per evitare rappresaglie su innocenti e
discutere i dettagli dell’operazione.
Il 22 febbraio doveva essere il giorno dell’operazione.
Uscirono dalla riunione che era notte, vigeva il
coprifuoco. Improvvisamente imboccarono la via
principale, gli fu intimato l’alt da una pattuglia tedesca, e
mentre con i mitra spianati venivano portati al comando
del presidio, scoppiò un inferno di fuoco. Augusto cercò
di mettersi al riparo aggrappandosi alle spalle di un
tedesco, gli mormorò dolcemente “Buono tedesco”.
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convalescenza di 60 giorni per postumi di ferita riportata
in combattimento” e la consegnò al maresciallo,
qualificandosi “Ufficiale”. Il tedesco lesse il documento
e subito si alzò mettendosi sull’attenti.
Gli disse che garantiva per il gruppo e li rimise in
libertà. Fortunatamente trovarono un tedesco diverso.
Lui ed il fratello avevano deciso di dividersi, dando vita
a due gruppi.
Augusto insieme ad un giovane alto e robusto con una
lunga barba, di cui non conosceva il nome.
Il suo vero nome era Alberto De Rocchis di Collepardo,
ma lui lo ha saputo nel 1990 quando lo lesse in una
pubblicazione della Provincia, dove si parlava di questa
operazione partigiana.
Il giovane che aveva affiancato suo fratello, si chiamava
Ezio Croce.
Raggiunsero Pitocco di Vico nel Lazio, che era la
località stabilita, e si appostarono sul ciglio rialzato della
strada”
Tra gli automezzi che passavano sotto di loro, videro una
camionetta tedesca, e contro di essa lanciarono le
bombe. Dopo il duplice scoppio, si dettero alla fuga.
Proseguirono, prendendo la scorciatoia che li portava
verso Trevi nel Lazio, che era il posto sperato, per
trattenersi sino alla liberazione.
Rimasero lì circa tre mesi, ed assistettero alla ritirata
dei tedeschi, quando arrivò una colonna di muli, che
dopo una breve pausa alle porte del Paese, proseguì verso
Filettino per andare in Abruzzo”.
“Dopo una settimana, vedendo che in tutta la zona non
c’era più la presenza, né dei tedeschi, né dei militi
repubblicani, decisero di tornare a Vico nel Lazio,
68
dove c’era il padre e con lui fecero i preparativi per
rientrare a Frosinone.
La città era in gran parte distrutta, ma il loro villino per
fortuna non aveva subito alcun danno.
Però era occupato da alcuni sfollati, ma si sistemarono
subito al piano terra.
69
nonostante che lui fosse stato un componente di
quell’azione. Era evidente che si fosse lasciato
catechizzare, dimenticando che, mostrando al
maresciallo tedesco che ci aveva fermato il documento
della mia convalescenza, per le ferite riportate, come
ufficiale dell’Esercito italiano, salvai lui e l’intero gruppo
di fuoco., da chissà quale tragica conseguenza.”
Giuseppe Bartoli
L’ultimo purgato del Regime
70
“Cercavano armi nella nostra abitazione, rimasero tutta
la notte, non avevano alcun mandato di perquisizione, ma
non trovarono nulla.
Il giorno dopo mi recai nella Questura che aveva la sede
nello stesso piano, dove prestavo servizio come
impiegato. Chiede di essere ricevuto dal Questore,
facendo il mio nome.
Appena entrai nella sua stanza, non ebbi neppure il
tempo di proferir parola che, con gli occhi fuori dalle
orbite, con voce alterata gridò:
“Su suo padre abbiamo un dossier grosso così”
allargando le braccia.
Feci dietrofront e me ne andai in fretta.
Spesso mi sono domandato quali fossero le ragioni di
quella perquisizione.
Certamente il Questore era stato connivente con il
federale fascista e dopo la caduta di Mussolini male
aveva digerito la “scarcerazione di mio padre imposta a
furor di popolo dopo il 25 luglio 1943.”
“E nei giorni successivi, dopo aver dovuto liberare mio
padre, ebbe lo scorno di incarcerare i fascisti che glielo
avevano consegnato, ma, dopo l’ 8 settembre, furono
liberati.
Egli doveva certamente essere venuto a conoscenza del
processo in corso al Tribunale contro gli aguzzini di mio
padre, e quindi ad effettuare la perquisizione nella nostra
casa, con la speranza di trovare qualcosa per poterci
incriminare.”
“La storia del suo millantato dossier su mio padre era
una falsità bella e buona.
Infatti così si deduce dalla sentenza del Tribunale di
Frosinone.”
71
Inesistenti le azioni partigiane
72
LA CITTA’ DOPO
74
Dopo la caduta del Fascismo, tra gli altri erano scomparsi
dal palazzo, insieme al preside Filippo Berardi ed al
federale Augusto Pescosolido, mi molti funzionari e
impiegati dell’Ente e della Federazione fascista che ne
costituivano il personale.
Dopo i primi bombardamenti su Frosinone i dipendenti
rilasti in servizio avevano seguito lo spostamento della
sede a Fiuggi, avvenuta l’8 novembre del ’43, con meta
le 20 stanze della Pensione Iris a Fiuggi Fonte.
Ora per far tornare a far funzionare l’ente, Carrassi deve
rimettere insieme la diaspora dl personale, ed egli rivolge
un appello a tutti i vecchi dipendenti, informandoli che la
sede dell’Amministrazione Provinciale è tornata a
Frosinone, e che:
“Il 4 giugno ad Alatri è stato arrestato l’ultimo “preside”
fascista Arduino De Persiis (insieme a B.Uberti)”
Il 5 giugno, viene arrestato il maresciallo Americo
Tagliaferri e Scappaticci, solo perché ex repubblicani.
L’’8 giugno, Giacinto Minnocci e Giuseppe Pelloni,
arrestano Carlo Bellincampi nei pressi di Ferentino, ed
altri,e che tutti sono tenuti a riprendere servizio.
Sempre Carrassi, insieme al solito Marzi, si recano più
volte ad Alatri e a Fiuggi, dove risiedono ancora molti
dipendenti, per invitarli a tornare a riprendere nel
capoluogo.
Quasi nessuno però risponde agli appelli, alcuni perché
ancora non rientrati dai fronti di guerra e di prigionia,
altri perché essendo entrati nell’Ente dopo la sua
creazione, avvenuta nel 1927 sotto il passato regime,
giustamente temevano la sicura vendetta dei nuovi
fascisti.
75
ALLA PROVINCIA
Il mio commento.
76
subito dopo la caduta del Fascismo si erano insediati,
con prepotenza gli antifascisti, o i partigiani, designati
dal Comitato di Liberazione a fare i “commissari del
popolo”, arbitrariamente chiamati “sindaci”.Ecco perché,
in tutti gli uffici provinciali, o comunali che siano, non
c’è alcuna traccia, cartacea o fotografica, dei podestà, dei
presidi della provincia, e delle scuole elementari e
superiori. Oppure dei segretari del fascio locale, e del
segretario federale, nei cui uffici c’era certamente una
gran mole di documenti e di atti, da cui si poteva
ricostruire tutta la storia del ventennio fascista, con tutte
le organizzazioni create dal regime, per una infinità di
categorie e quasi tutte inquadrate sotto la guida di
gerarchi e gerarchetti, nominati in tutti i settori.
E quanti elenchi di uomini e donne, dai sei ai
sessant’anni, erano giacenti fino al 25 luglio 1943, in
quegli uffici provinciali e locali, dai quali venivano
regolarmente chiamati a partecipare a tutte le
manifestazioni del regime?
77
affinità ideologica con Benito Mussolini fondatore dei
Fasci di combattimento nel 1919, ma anche ex cattolici
del partito popolare di Luigi Sturzo, per méro
opportunismo politico. Manca ancora nella ricerca del
Baris la ricostruzione del Regime 1940 - 1943, quando
moltissimi giovani vi aderirono, per gli stessi motivi con
cui fino ad allora lo aveva fatto il 90 per cento italiani.
Il motivo per cui non si è trovato nulla è che, subito
dopo la liberazione, così come è avvenuto al Palazzo
Gramsci, a cancellare le tracce del loro passato sono
piombati gli stessi fascisti che, solo dopo l’8 settembre
sono diventati “antifascisti e partigiani”.
Tornando al Palazzo Gramsci di Frosinone, troviamo che
il 26 giugno il solito Cnl, nomina Consalvo Silvestri
segretario dell’Ente e rafforza il numero dei dipendenti.
A dirigere gli uffici, guarda caso, viene chiamato quel
Silvestri (padre dei fratelli Renzo, Raul ed Aldo) che fino
al 1943 era stato Segretario Comunale, sotto il Fascismo,
prima a Torrice, poi ad Alatri.
78
Io avevo preso la maturità classica un anno prima.
Romano mi era rimasto impresso perché durante
l’intervallo delle lezioni, addentava invariabilmente delle
fette di pane con una frittata.” E nel ricordarlo sempre
con la divisa del Guf dice: “Durante la clandestinità e
nelle successive vicende, che vissi con Raul (che lui
chiama Rolando) mai lo incontrai.” Seppi che si teneva
gelosamente nascosto, forse nei sotterranei dell’Abbazia
di Trisulti. Più tardi pensai che la famiglia lo tenesse in
salamoia, pronto al lancio, che sarebbe avvenuto dopo la
liberazione”.
79
Il 30 maggio 1945 il Comitato unitario delle forze
antifasciste nomina a suo presidente il solito Domenico
Marzi, che passa da una carica all’altra in modo
incredibile, portandosi dietro, come membri delle
cosiddette forze antifasciste, uscite dalla clandestinità e
come tali inesistenti.
Il comitato assume tutto il potere politico che prima era
esercitato quasi esclusivamente dai comunisti.
Il 15 giugno 1946, diffonde un manifesto rivolto
“agli antichi gerarchi fascisti” che invita “i medesimi
alla pala e alla cofana” se vogliono essere perdonati delle
loro azioni”.
Ma guarda un po’, gli ex fascisti, il Comitato ed i partiti
che ne facevano parte, ce li aveva, proprio nelle sue file,
come i Bartoli, i Carrassi, i Conti, i Silvestri ed altri.
Alle ore 0,16 del 9 maggio 1945, all’Istituto militare di
Berlino, con la resa totale e definitiva delle forze armate
tedesche, firmata, contestualmente, dai comandanti
germanici, con quelli dell’ Armata Rossa e delle truppe
alleate occidentali, in Europa la seconda guerra mondiale
è finita.
In Italia la capitolazione dei nazisti aveva determinato lo
sfaldamento della Repubblica di Salò e la guerra tra i
tedeschi e gli alleati anglo-americani era cessata il 25
aprile.
Ma la stessa cosa non si può dire della guerra civile, che
dopo l’8 settembre c’era stata tra le milizie di Salò e le
formazioni partigiani del Nord, e che durerà per qualche
anno, a causa della sete di vendetta che i partigiani di
Tito e i comunisti italiani vollero ancora perpetuare, nelle
regioni del Nord est, i primi e nel triangolo della morte,
in Emilia Romagna, i secondi.
80
In chiusura del Libro “La Guerra a Frosinone 1943 -
1944”, a dimostrazione della loro faziosità, gli autori
hanno perfino il coraggio di riprodurre su “Il Popolano”
della Federazione comunista del 1° Maggio 1945, un
titolo che, più esilarante non potrebbe essere:
81
IV
SUL PALAZZO DELLA PROVINCIA
Piombano i comunisti
82
Il Comitato di Liberazione, come suoi primo atto
diffonde un proclama, col quale invita i cittadini: “A
manifestare la nostra ammirazione, alle vittoriose truppe
degli alleati che hanno sconfitto a Cassino la roccaforte
ritenuta inespugnabile e che con impeto formidabile
hanno messo in fuga le orgogliose orde naziste iniziando
l’assalto finale contro le bande fasciste e hitleriane”
Anche qui c’è da chiedersi, con quale faccia gli
antifascisti ciociari ancora oggi continuano a rivendicare
a se stessi, la liberazione della nostra provincia dalle
truppe nazifasciste? Quando, alla luce del seguente
comunicato, è vero invece che si sono impossessati,
senza alcuna legittimità, di tutte le istituzioni locali, e di
una gloria che non gli appartiene.
Cittadini
83
“Ma il Sindaco Marzi e la sua Giunta non avevano
aspettato (sic) la formalizzazione del loro incarico per
iniziare a governare la città”.
La prima Giunta comunale si riunisce il 23 giugno 1944,
e subito si preoccupa “di assicurare una sede agli uffici
pubblici, per la ripresa della loro attività e non a caso la
delibera assunta ha per oggetto l’istituzione di un ufficio
tecnico speciale per la ricostruzione della città” ed ad
esso “viene anche dato l’incarico di redigere (addirittura)
un nuovo piano regolatore della città che tenga conto
delle nuove condizioni in cui si trova il centro urbano e
con la stessa delibera vengono nominati Giovanni Carrasi
e Armando Vona, rispettivamente come consulente e
dirigente dell’Ufficio.”
Il primo, guarda caso, sempre comunista (cfr.Libro a
pag.152: “Dall’ inizio del 1943 (ancora sotto il regime di
Mussolini, è direttore dello stabilimento Bosco Faito
(Ceccano) dopo un’esperienza presso l’Ansaldo della sua
città natale.
E’ il primo presidente del dopoguerra
dell’Amministrazione provinciale di Frosinone (giugno-
dicembre 1943) sarà poi dirigente provinciale del Pci,
fino al suo rientro a Genova nel maggio 1945”.
Il secondo democristiano sarà il progettista istituzionale
di tutte le amministrazioni successive.
”Tre giorni dopo si decide tra l’altro la creazione di un
Ufficio Denunce e Recuperi, con il compito di
rintracciare i beni dei cittadini che erano stati
saccheggiati, durante i nove mesi di guerra”. “Un ufficio
che ha bisogno di personale scelto ed in grado di
assolvere il proprio compito, anche nei confronti di
coloro che vorrebbero trattenere ad ogni costo quanto
erano riusciti a trafugare.
84
Affiancano gli impiegati, magazzinieri e facchini, addetti
all’ ufficio, nove guardie comunali provvisorie in
possesso di porto d’armi, con compiti investigativi e di
esecuzione di provvedimenti di recupero”
Non a caso a dirigere queste difficili operazioni vengono
scelti due ex partigiani, Ottavio Volpe e Ugo Parlanti.
Un’ operazione simile, i loro compagni la faranno nel
1945 nel Nord Italia, con il trafugamento dell’ oro di
Dongo.In una seduta del 14 settembre, la Giunta, con
tutti i problemi che in una città distrutta si dovevano
affrontare, si preoccupa invece di cambiare,
arbitrariamente, la toponomastica cittadina, allo scopo di
porre subito il marchio della ideologia marxista, perfino
nelle piazze e nelle strade devastate della città, ancor
prima che fossero riparate e che, al mutamento dei nomi,
provvedesse un governo legittimato dal voto popolare.
“Si pensò di dedicare - scriverà Marzi nella sua relazione
di fine mandato - alcune vie e piazze a nomi noti ed
oscuri, tutti vittime del fascismo” Ed ecco infatti che il
Palazzo dell’Amministrazione Provinciale cambia la sua
denominazione da Amedeo di Savoia Duca d’Aosta, in
piazza Antonio Gramsci” Intestano cioè, la Piazza più
importante della Provincia, al teorico dell’ “egemonia
comunista”, che, considerate le violenze e le vittime da
essa provocate in tutto il mondo, passerà alla storia come
uno dei peggiori “maitre à pensér” di quella sottocultura.
“La piazza del Distretto diventa Piazza Fosse Ardeatine”
Cioè dedicata alle stragi dei nazisti, che furono causate
dall’ attentato che i Gap comunisti, attuarono in Via
Rasella a Roma, uccidendo 32 soldati tedeschi, pur
sapendo che il loro Comando sarebbe ricorsi alla
rappresaglia, non vietata dalla Convenzione dell’ Aia.
85
“La curva Zallocco, cambia in Largo Giovanni
Amendola” Ma i cittadini di Frosinone la chiameranno
sempre con il suo primo nome. “A due frusinati vittime
del fascismo, Angelo Barletta e Francesco Brighindi,
vengono intitolati un vicolo di porta Romana e la strada
oltre la Provincia, ed ancora Via Sicilia, muta in Via
Giacomo Matteotti, e allo Scalo, viale Libia, diventa
viale don Giovanni Minzoni”.
86
Molte polemiche si determineranno in città per l’uso del
termine “saccardi”, parola d’epoca medievale
significante genericamente “mercenari devastatori”,
invece di specificare chiaramente nei tedeschi i
responsabili dell’eccidio.
Siamo già in piena guerra fredda e la Germania è ora
alleata dell’Italia nello schieramento occidentale che si
contrappone all’Unione Sovietica.”
E sempre i comunisti al Comune, con Domenico Marzi
(Sindaco) e Gerardina Morelli (Assessore) nel 2004,
faranno erigere nel Piazzale del curvone (diventato Viale
Mazzini) un monumento ai tre martiri, sul quale non c’è
più il termine “saccardi” ma, giustamente, quello della
“ferocia nazista.”
Usurpatori di gloria
88
Si sono chiesti se la lettera di Pier Luigi Banchi,
riprodotta sulla lapide del Monumento sia veramente
quella di un partigiano che scappa per andare a fare il
Natale con i genitori, anziché nascondersi in qualsiasi
zona a sud di Roma, per poi unirsi ad altri compagni?
Ed è un atto degno di un paese civile, l’aver
strumentalizzato, a fini di parte, il sacrificio di decine di
giovani che disorientati dai tragici avvenimenti della
guerra (militare e civile) che aveva travolto l’Italia,
volevano semplicemente tornare a casa, e non avrebbero
mai pensato che sulla loro pelle trucidata qualcuno
potesse apporre il marchio di una ideologia che ra
distante anni luce dalla loro idea di Patria?
E per finire gli storici nostrani, che nel libro “La Guerra
a Frosinone 1943 -1944” riportano il racconto che Otello
Giannini ha pubblicato 20 anni fa, sulla storia dei
disertori repubblicani, perché non ci dicono se hanno
trovato un qualsiasi collegamento che quei 324 giovani
avevano con i partigiani, prima, durante e dopo la loro
cattura?
E quanti e quali, dei 321 sopravvissuti, sono entrati a far
parte della resistenza (toscana e ciociara) che fino al
gennaio 1944 non aveva mai dato dato segni di vita?
E quei pochi antifascisti che in Ciociaria vi sono entrati
poco prima dell’arrivo degli alleati (2-4 giugno 1944)
non erano anche loro gerarchi del regime?
A pag.150:
“Altre due strade della città saranno intitolate a due
frusinati combattenti nelle formazioni partigiane, a
Vincenzo Ferrarelli, Via Cavalli, a Gino Sellari una
stradina all’interno delle case popolari in Via Mazzini”.
89
Non una, che fosse una sola, di strada del Capoluogo che
sia stata dedicata alle truppe alleate (o qualche loro
comandante) che lo stesso comunista Marzi definì le vere
liberatrici della città di Frosinone.
Ma si sa quale sia stata, in tutti i paesi, caduti sotto il
regime sovietico, o sotto i loro sicari nell’Europa
dell’Est, e nell’Italia degli antifascisti rossi, l’ arroganza
e la prepotenza dei comunisti al potere).
90
dai bombardamenti, si sostituisce in primo luogo il
Piazzale del Distretto. Dove si ricostituisce e ricomincia
la sua attività lo stesso Distretto militare, con la chiamata
alla leva per il nuovo esercito italiano, mentre lo stabile
dell’ex caserma dell’ 81° fanteria viene utilizzato, per
una parte dalle scuole medie e superiori, per l’altra dal
carcere giudiziario”.
A proposito dello stabile dell’ex caserma militare, che si
era salvata da decine e decine bombardamenti, a distanza
di 62 anni esatti (nel 2006) ci ha pensato un altro
Domenico Marzi, Sindaco, a distruggerla e consegnarla
alla speculazione edilizia. E qui calza a pennello il
famoso aforisma sul sacco di Roma del 1527: “Quello
che non fecero i barbari, fecero i barberini”
Infatti, sul sacco di Frosinone “Ciò che non fecero, la
guerra e Domenico Marzi, nel 1944, lo fece nel 2006,
l’omonimo nipote Sindaco”
Sulla ex caserma militare, queste le amare considerazioni
che l’autrice del saggio “Caramelle e pidocchi” Floriana
Curti, ha recentemente affidato a Flash Magazine:
“Non mi venite a parlare di carcere perché,
provvisoriamente, è diventato tale, otto dieci anni dopo
la fine della guerra, quando con l’armistizio dell’8
settembre si chiusero le porte della caserma militare.”
“Per me allora bambina, è stato un dolore. Sono cresciuta
tra i militari che per anni sono stati ospiti di quelle mura.
Il ricordo più struggente, ed è stato l’ultimo, quando li ho
visti partire per il fronte russo e nessuno di loro è più
tornato.”
“Finita così la “Divisione Torino” morirono tutti quei
ragazzi di freddo, fame ed in cruente battaglie.”
91
“Io bambina li ho visti sfilare sotto casa e piansi. Si è
salvata dalle bombe “quella vecchia signora”
“Ora, dopo centinaia di anni e tanti ricordi, questi signori
moderni vogliono costruire al suo posto ville per i ricchi,
mandando all’aria la storia, perché di storia si tratta. Se
potessero parlare quelle mura ne avrebbero di cose da
raccontare ed i politici che hanno permesso tutto questo
si dovrebbero… “vergognare”. “Invece”… via con la
ruspa!”
Sì, quella caserma da dove partirono quei giovani, senza
far più ritorno in Patria, ne avrebbe avute tante di cose da
raccontare, di. guerra e di prigionia. Ci avrebbe fatto
capire anche il perché, a differenza di altri fronti, da
quello russo-sovietico, non sia più tornato il 90 per cento
dei nostri prigionieri. E non è forse questo unoi dei
motivi per cui i nipotini di Stalin e di Togliatti, nel
distruggere la caserma della gloriosa “Divisione Torino”
abbiano pensato di cancellare anche queste tracce del
loro truce passato?
Il vero motivo per cui, anche il 90 per cento dei giovani
della Divisione Torino non siano più tornati, facciamolo
dire a Maria Teresa Giusti che nella documentata ricerca
“I Prigionieri italiani in Russia” (Editrice “il Mulino”
2003) a pagina 53 racconta:
“Gli esponenti del Pci a Mosca, in particolare Palmiro
Togliatti e Vincenzo Bianco dovevano essere
sicuramente informati su quanto era accaduto al fronte e
sull’odissea che stavano vivendo i prigionieri loro
connazionali. Bianco, in particolare, il cui ruolo politico
lo portava a visitare i lager dove si trovavano gli
italiani,inviò a Togliatti il 31 gennaio 1943 la ben nota
lettera:
92
“Ti pongo una questione molto delicata di carattere
politico molto grande. Penso che bisogna trovare una via,
un mezzo per cercare di porre il problema, affinchè non
abbia a registrarsi il caso che i prigionieri di guerra
muoiano in massa come è già avvenuto. Non mi
dilungo.Tu mi comprendi, perciò lascio a te la forma per
farlo”
93
Nel diario di Georgj Dimitrov (Primo segretario del
Comintern) viene registrato l’incontro con Bianco del 16
marzo:
“Bianco mi ha informato sul suo viaggio nel campo per
prigionieri di guerra di Tiomnikov (n.58 Mordovia)
(4.500 italiani, 10.000 romeni, 1.000 tedeschi e altri).
Una enorme mortalità. Deficienze nel campo.
Impostazioni sbagliate del comandante del campo, ecc.
Gli ho chiesto di consegnare una relazione scritta su
questa questione per portarla a conoscenza delle relative
istante.”Infine, Bianco scrivendo il 24 marzo al generale
maggiore Georgij P.Petrov dice: “I prigionieri non
avevano scarpe, non potevano lavarsi; per debellare i
pidocchi l’amministrazione del lager aveva privato i
prigionieri delle giubbe imbottite, invece di sottoporli a
disinfestazione.”
95
aperte le porte ad un sindacato totalitario, di tipo
sovietico, quale poi è stata la Cgil fino agli anni ’50.
L’ufficio provinciale del lavoro intanto si insedia presso
il palazzo dell’Inam, (costruito dal fascismo, come tutti
gli edifici più importanti di Frosinone e provincia) e la
Cgil si impossessa contemporaneamente del “garage
dell’ex caserma dei Vigili del Fuoco in piazza Aonio
Paleario, con un comitato provvisorio, composto (come
volevasi dimostrare) dal comunista Antonucci, dal
socialista Friggi, e dal democristiano Chiappini mentre la
carica di segretario unico sarà assunta dal comunista
Danilo Riveda.
La Federterra, ospitata negli stessi locali, viene affidata
alla vendetta dell’ex perseguitato politico Medoro
Pallone, che va già organizzando le prime lotte contadine
nelle campagne di Frosinone e di tutta la provincia.
Ma anche l’Ufficio del lavoro e la Cgil anziché
collaborare alla ricostruzione della città distrutta, ed
attendere il ritorno di tutti gli uffici pubblici, trasferiti a
Fiuggi dopo i bombardamenti sul Capoluogo, si
impegnano invece ad esercitare il loro ruolo di pressione
sui datori di lavoro, pubblici e privati, che servirà ad
esasperare più che a comporre i conflitti di lavoro, e ciò
accadeva in quelle zone della provincia dove sarebbe
stato necessario favorire la ripresa industriale, e non
scoraggiarla.
Tanto è vero che quelle zone, da industriali che erano,
sono diventate, a causa degli scioperi, veri e propri
cimiteri degli elefanti, e fonte continua di
disoccupazione.
96
Intanto con “il Popolano”
di Renzo Silvestri
Arriva “ L’ Epurator”
97
“Alto e prestante con la divisa del GUF completa di
stivali, che gli dava un’ imponenza ed un’eleganza che io
invidiavo, come suo compagno di Liceo a Frosinone e di
Università alla Sapienza di Roma”
(n.d.a. - All’epoca La Sapienza era frequentata anche da
mio fratello Silvio, loro coetaneo, prima che partisse per
il Fronte Russo, nel settembre 1942, da dove non è più
tornato).
Ne “il Popolano” l’ex fascista Silvestri, nel
rammaricarsi del ritardo con cui opera la Commissione
per l’epurazione, proprio lui si mette a dare lezioni di
democrazia e di moralità politica ai suoi ex camerati,
bollandoli come dei voltafaccia, pronti a salire a volo, sul
carro del vincitore.
“Infatti in tutti i piccoli e grossi centri, da Frosinone a
Fontanaliri, da Ceprano a Sora, da Falvaterra a Ferentino,
fascisti e collaboratori dei tedeschi, ripreso coraggio
dopo la prima scossa subita dopo l’arrivo degli alleati, si
aggrappano ai vecchi posti di comando e manovrano in
mille modi per crearsi una.. coscienza adatta all’ora che
volge.”
“Non solo ma quelli che erano andati su, fianco a fianco
con i tedeschi ed i repubblichini fino ad Arezzo, sentita
l’aria infida d’oltr’Alpe, ritornano e si presentano negli
uffici pubblici e privati, per riprendere quei posti
abbandonati allo avvicinarsi della tempesta dell’8
settembre 1943.”
“Il fenomeno a cui assistiamo non ci stupisce gran che
poiché esso è di carattere generale e non particolare e
dovrà aver termine tra non molto, quando le
Commissioni per l’epurazione, cominceranno a
funzionare anche nella nostra provincia.”
98
Ma il nostro ex fascista, udite udite, cos’altro scrive sul
n.6 de “il Popolano” dell’aprile 1945, che lui dirige:
“Democratizzare gli uffici vuol dire portare nelle
Amministrazioni uomini scelti dal popolo, con atto di
volontà di popolo; spogliarsi di quell’abito e della
vernice di inaccessibilità per ricordarsi di essere figli del
popolo, di quel popolo che non può che chiedere avendo
tutto perduto.”
“Invece si nominano nei comuni e negli uffici uomini
dallo spirito gretto, che vedono ancora nell’operaio e nel
contadino il servo della gleba e che sbraitano ed urlano.
Sono spesso gli uomini di ieri, i servi in livrea del
padrone tedesco o fascista; spesso si allontanano quelli
che godono della fiducia del popolo per dar posto a
questi che il popolo ha condannato. Noi comunisti siamo
decisi ad impedire che ciò avvenga, noi vogliamo che
contro tutte le manovre della reazione, la nuova
democrazia non sia insidiata dai nemici del popolo”
Quando lanciava questi anatemi, il comunista Silvestri,
insieme al padre Consalvo, ed ai fratelli Raul e Aldo,
avevano già occupato militarmente tutti i posti del potere
disponibili.
A cominciare dalla Federazione del Partito Comunista
di Piazza Garibaldi, dove i Silvestri e i Pietrobono, pur
non essendo di Frosinone vi si insediarono per primi, e
dove il primo atto che fecero fu la espulsione di Luciano
Bartoli, con l’ accusa di attesismo e di collaborazionismo
dei tedeschi, nonostante che insieme al fratello Augusto
Bartoli, fossero stati i soli a portare a termine l’unica
azione di fuoco contro i tedeschi, in località Pitocco di
Vico nel Lazio, già raccontata, nel capitolo “Poveri
oscuri eroi”.
99
A continuare, con il padre dei Silvestri, Consalvo, che fu
il primo ad essere nominato Segretario Generale della
Provincia, subito dopo che i comunisti, partiti da Piazza
Garibaldi, con un corteo di circa mille persone al grido di
“Tutti a Palazzo Gramsci” e cantando “Bandiera rossa la
trionferà”, andarono ad occupare con prepotenza tutti gli
uffici che vi si trovavano, celebrando in tal modo, la
Rivoluzione d’ottobre, del 1917, ma anche la conquista
del Palazzo d’Inverno effettuata in Russia, dai
bolscevichi.
Dopo di che, oltre a Consalvo Silvestri vi sistemarono i
comunisti Giovanni Carrassi, Domenico Marzi ed Oreste
Cicalè, senza neppure attendere e rintracciare i vecchi
funzionari e dipendenti della Provincia, che a causa dei
bombardamenti su Frosinone erano stati costretti a
trasferirsi a Fiuggi e in altre località dei Monti Ernici,
dove molti cercarono di rifugiarsi.
Poi, man mano che passavano le settimane e i mesi,
l’occupazione illegale della Provincia, divenne totale.
Infatti, già nel dicembre 1944, a presiedere la Provincia
fu imposto Domenico Marzi, che ai primi di giugno si era
già autonominato Sindaco di Frosinone.
Tre mesi dopo, si insediò la Deputazione provinciale,
composta da: Alberto Caperna, Angelo Carboni,
Giovanni Carrassi (sempre lui) Costantino Cicchelli,
Raffaele Conti, Luigi Montanelli, Claudio Rea, Armando
Riccardi, Medoro Pallone (segretario Claudio Galeno).
Alcuni di questi facevano già parte del Comitato di
Liberazione, costituitosi clandestinamente nel gennaio
1944 sotto l’occupazione tedesca, con i soliti: Domenico
Marzi e Serafino Spilabotte per Frosinone, Raffaele
Conti, per Fiuggi, Cesare Baroni per Alatri, Zanetti e
100
Carrassi, per Veroli e con l’adesione di Enrico Giannetti
di Paliano.
Sempre alla Provincia, si era formato anche un centro di
coordinamento militare presieduto, dai comunisti Marzi,
Spilabotte e Carrassi, e in esso erano confluite tutte le
forze antifasciste, le bande e i gruppi della resistenza che
avevano operato in tutto il territorio provinciale.
Ma tutti questi organismi, dove entravano e uscivano,
come in una giostra del Luna Park, sempre le stesse
persone, ognuna con più incarichi e funzioni, in forte
conflitto d’interessi tra loro, subito dopo il 25 aprile
1945, entreranno in crisi, perché i comunisti, dopo
essersi appropriati delle leve più importanti del potere,
difficilmente sono disposti a lasciarle.
Del resto, questa sete di egemonìa (e di vendetta)
ereditata dal loro filosofo Antonio Gramsci, traspare in
modo costante ed ossessivo in tutti i numeri de “il
Popolano” soprattutto attraverso gli articoli del suo
direttore Renzo Silvestri, che per la ortodossia marxista
di cui fa sfoggio continuo, diventerà l’ideologo del
Partito. fino al 1953 quando sarà eletto deputato. ed il cui
profilo personale, viene così tratteggiato sul sito web del
suo paese di nascita, Ripi. “Un signore distinto al pari di
un gentleman inglese, sedeva sulle poltrone della Camera
dei Deputati e rappresentava tanti elettori di Ripi e del
Lazio. Dotato di fine oratoria, cesellatore della lingua
italiana, nato a Ripi nel 1919, venne eletto deputato per
due legislature, dal 1953 al 1963, nelle file del Pci, poi
del Psdi. “Precursore dello strappo con Mosca, militò,
successivamente nel Partito Socialdemocratico di
Saragat. Ha ricoperto la carica di Sindaco di Fiuggi, ed è
stato membro della Corte dei Conti.”
101
A posteriori, per tutto ciò che scriveva su “il Popolano”
si può ben dire che l’intemerato ideologo comunista, era
soltanto un cattivo maestro; perché è proprio per codesti
dorati incarichi pubblici, che anche lui figura nel libro
nero dei profittatori del regime partitocratico
(cfr.Espresso febbraio 2007) che sotto questo aspetto, si
è dimostrato peggiore del regime Fascista, che i suoi
dirigenti, specialmente al livello locale, li sceglieva “tra i
non professionisti della politica, di riconosciuta capacità
e probità, e soltanto se, come funzionari onorari,
ponessero il massimo scrupolo nella rigorosa gestione del
denaro pubblico” .
“il Popolano”
(Diretto da Renzo Silvestri)
102
del Fascio di Atina, ufficiale della Mvsn, già duce
dell’Opera nazionale Balilla, si trovi ancora a piede
libero?”
“La cosa non è poi così straordinaria ove si pensi che, nel
sud d’Italia i fascisti possono ancora girare liberamente
per quelle contrade che hanno contribuito a distruggere,
continuare a far quattrini, sfruttando il lavoro degli
operai. Ma c’è di peggio. Il Visocchi feroce antagonista
del degno collega Bergamaschi, amico intimo e compare
del Generale Umberto Ricci, vuol farsi passare oggi per
antifascista. Facciamo di meglio: lo segnaliamo alla
Questura perché provveda a sgomberare le strade di
Atina da questo residuo del passato, per il quale, come
per tutti gli elementi della sua risma, la parola
democrazia deve significare condanna.”
Intanto a pag. 207 di “Mal’aria”, si nota: “con il passare
del tempo, si ha come l’impressione che sui profitti del
regime, la Commissione non sortisca gli effetti sperati”
E ciò accadeva perché di arricchimenti illeciti da
contestare a carico dei gerarchi fascisti, si troverà ben
poco, anzi nulla, dal momento che la loro attività politica,
era a titolo gratuito, e non prevedeva appannaggi e
privilegi di natura economica.
103
“il Cittadino”
(Diretto da Colombo Incocciati)
104
differenze, tra quei campioni del malaffare, e coloro che
si arricchiscono con la politica, rubando la buona fede dei
cittadini, e di coloro che, per farli eleggere li presentava
agli elettori, come campioni di onestà.
E come possono giustificarli ed assolverli quei cittadini
che, dopo aver lavorato per 35 o 40 anni, senza
aspettative, e senza contributi figurativi, si trova in
pensione, con 1.000 o 1400 euro mensili?
Nella miriade dei signori della politica, che godono di
codesti trattamenti dorati vi sono anche i parlamentari
ciociari, di ogni partito, anche e soprattutto di quelli
antifascisti, che, subito dopo la caduta del Fascismo, si
preoccuparono di recuperare i profitti di regime, con ben
magri risultati. Ma ora gli italiani scoprono che, anche
nella nostra provincia, oltre al deputato comunista Renzo
Silvestri, che faceva l’ “Epurator”, vi numerosi altri
cattivi maestri di moralità politica, da ricordare:
Domenico Marzi senior, Angelo Compagnone, Tullio
Pietrobono, Renzo Silvestri, Franco Assante, Emanuele
Lisi, Ignazio Senese, Giacinto Minnocci, Dante
Schietroma, Romano Misserville, Lino Diana, Gerardo
Gaibisso (l’unico a dire che si vergogna di prendere 15
milioni al mese di pensione, ma se li tiene) Augusto
Fanelli, Giulio D’Agostini, Paolo Tuffi, Massimo Struffi,
Michele De Gregorio, Giuseppe Alveti, Cesare Amici,
Lucio Testa ecc. Con i quali è bene ricordare anche i
consiglieri regionali, che godono di privilegi e pensioni,
simili a quelli dei parlamentari.
Ed ora parliamo dei privilegi e degli sprechi, che si
verificano nelle più alte istituzioni dello Stato, e che
fanno della nostra Repubblica la più corrotta tra tutte le
democrazie occidentali.
105
Udite, udite, quanto ci costano la Presidenza della
Repubblica, la Camera, il Senato e la Corte
Costituzionale.
Vediamo cosa ci dice la recensione del libro “La Casta”
di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, per la Rizzoli
Editore. Contenuto: “Aerei di Stato che volano 37 ore al
giorno, pronti al decollo per portare eccellenza anche a
una festa a Parigi. Palazzi parlamentari presi in affitto a
peso d’oro da scuderie di cavalli. Finanziamenti pubblici
quadruplicati rispetto a quando furono abiliti dal
referendum.”Rimborsi” elettorali 180 volte più alti delle
spese sostenute. Organici di presidenza nelle regioni più
“virtuose” moltiplicati per tredici volte in venti anni.
Spese di rappresentanza dei governatori fin o a dodici
volte più alte di quelle del presidente della Repubblica
tedesco. Province che continuano ad aumentare
nonostante da decenni siano considerate inutili. Indennità
impazzite al punto che il Sindaco di un paese aostano di
91 abitanti può guadagnare quanto il suo collega di una
città di 249 mila. Candidati “trombati” consolati con 5
buste paga. Presidenti di circoscrizione con l’auto bleu.
La denuncia di come una certa politica, o meglio la sua
caricatura obesa e ingorda, sia diventata una oligarchia
insaziabile ed abbia allagato l’intera società italiana.
Storie stupefacenti, numeri di bancarotta, aneddoti
spassosi nel reportage di due grandi giornalisti. Un
dossier impressionante, ricchissimo di notizie inedite e
ustionanti. Che dovrebbero spingere la classe dirigente a
dire: basta!”
EURO
1.927.600.000
Pari a 4 mila miliardi di lire
106
E’ la spesa che grava ogni anno sui cittadini, per il
mantenimento del Quirinale (217 milioni di euro), la
Camera dei Deputati (Un miliardo, 128 milioni e 200
mila euro) e il Senato (582.milioni e 200 mila euro) con
relative indennità e rimborsi (Circa 200 mila euro).
Tutto ciò significa che le spese dei Palazzi della politica
italiana sono quasi pari alla spese dei Palazzi di Francia,
Spagna e Inghilterra messe insieme, se è vero che la
Spagna (con 696 milioni di euro) sopporta una spesa,
pari a 1/3 di quella dell’Italia, la Francia (con 930
milioni) di circa la metà, e l’Inghilterra (con 443 milioni)
di 5 volte inferiore a quella dell’Italia.
Facendo un passo indietro, nella consultazione del
prezioso documento, che Costantino Jadecola ci ha
fornito con il suo volume “Mal’aria”, a pagina 72 si
legge che, all’inizio del 1945:
“Uno dei tanti problemi imposti dalla realtà
dell’immediato dopoguerra è quello dell’assistenza ai
reduci ed ai prigionieri di guerra”.
Sui quali il direttore de “il Popolano” Renzo Silvestri
pontifica: “Sarebbe criminale se noi non pensassimo
essere nostro dovere fare tutto il possibile per accoglierli
degnamente; dobbiamo mobilitare tutte le nostre forze
per aiutarli a superare la crisi, per procurare loro alloggio,
cibo, indumenti, lavoro; anche attraverso “la tangibile
dimostrazione” di una “fraterna solidarietà. Soprattutto -
sottolinea Silvestri - paghino una volta tanto i ricchi!
Sentano una volta per sempre, questi signori,
l’imperativo categorico dell’ora, diano essi una parte
delle ricchezze accumulate durante e dopo la guerra, per
soccorrere coloro che tutto lasciarono nel vortice della
guerra.”
107
Il problema però per l’autore di “Mal’aria” non è,
giustamente, di mera sopravvivenza per i rimpatriati, ma
anche di coloro che non hanno la fortuna di fare ritorno a
casa, e si citano, attraverso il Popolano, numerosi casi di
prigionieri morti nei campi di prigionia, in Germania, in
Jugoslavia, a Brescia, e a Bergamo, ma nessuno di
prigionieri morti in Russia. anzi il Popolano scrivendo di
questi ultimi, commenta:
“Senz’altro migliore è la situazione di quei prigionieri
che si trovano ancora (sic) nell’Unione delle Repubbliche
Socialiste Sovietiche, e che affidano un saluto per i loro
cari e per le loro famiglie ad una delegazione provinciale
del Pci recatasi in Russia nell’estate del 1945” e citando i
nomi di 6 prigionieri e dei rispettivi paesi d’origine.
C’è di più “il Popolano” del dicembre 1945, nel fare il
resoconto di un comizio tenuto a Roccadarce, dal
“compagno Giannetti” (partigiano della prima ora e
membro del C.n.l.. per fare la commemorazione del XX°
anniversario della Rivoluzione d’ottobre, coglie l’
occasione per speculare sui prigionieri italiani in Russia,
nel modo che segue:
“Alla presenza di un foltissimo gruppo di compagni e
simpatizzanti, costituisce l’occasione per consentire ad
alcuni reduci, molti dei quali liberati dai soldati sovietici,
di ricordare riconoscenti il fraterno trattamento ricevuto:
ci hanno liberati, ci
hanno curato, ci hanno ridati alle nostre famiglie, in
ansiosa attesa. Se avessero tardato ancora dieci giorni
saremmo tutti morti per i maltrattamenti dei tedeschi.”
Per giudicare se sia attendibile o meno queste verità
comunista sul trattamento ricevuto dai prigionieri italiani
108
in Russia, qui si i riportano i dati che un manifesto che la
D.C. affiggeva in tutte le piazza d’Italia prima delle
elezioni 18.Aprile 1948, che è la più eloquente
testimonianza sulla tragedia dei prigionieri italiani in
Russia.
I nostri prigionieri
In Russia 80.000
(ritornati solo 12.540)
109
V
GUERRA E DOPO GUERRA
Nella provincia
110
Infatti. proprio il giorno dopo l’Armistizio, e la notte del
9 settembre, Fiuggi rischiò di essere distrutta dagli aerei
alleati. E fu quando, una divisione corazzata tedesca
dovette invertire la rotta, da sud a nord, proprio perché
l’Italia si chiamava fuori dalla guerra, contro le potenze
occidentali. E fu quando quella divisione, mentre stava
andando in direzione di Frosinone, nel pomeriggio dell’8
settembre si era fermata a Fiuggi.
Ricordo come se fosse oggi, la presenza massiccia di
quella divisione in Piazza Trento e Trieste. Stavo
affacciato con i miei amici sul muretto della chiesa di
Santa Chiara, quando vidi arrivare una colonna
interminabile di automezzi cingolati e corazzati, ed una
quantità enorme di autocarri pieni di soldati tedeschi.
L’autocolonna aveva la testa, in Piazza Trento e Trieste,
che si stata riempiendo, e la coda sulla strada di Via Diaz,
nei pressi della Casa del Maestro.
Era quindi lunga un paio di chilometri. Fece sosta nella
Piazza del Comune per tutto il pomeriggio, ma poi alla
sera, dal tramonto a notte inoltrata, si rimise in movimento
per tornare a Fiuggi Fonte, e poi dirigersi verso Colle
Borano, da dove, per la strada di Anagni, avrebbe
proseguito verso Roma, passando dai Castelli Romani.
112
Fiuggi: Sede della Provincia
113
Ma anche di comandi militari
114
Il Bando di Graziani
115
telefoniche, intorno al Palazzo della Fonte sia lungo la
strada per Frosinone, a Capo i Prati, per fermare, durante
gli allarmi aerei, ogni automezzo militare tedesco che vi
transitava.
A questo punto mi sembra opportuno precisare che, mentre
i tedeschi retribuivano i giovani reclutati per lavorare negli
ospedali, nessuna retribuzione invece corrispondevano ai
giovani destinati ai servizi esterni, forse perché ritenevano
che questa vigilanza fosse di competenza delle autorità
locali.
In un secondo momento, molti di noi furono inquadrati
nell’Esercito di Graziani, che aveva ad Alatri il Comando
Provinciale, ma a Fiuggi aveva due caserme, una
all’Albergo Falconi, a Fiuggi Città e l’altra all’Albergo
Reale, a Fiuggi Fonte.
Anche questa sorte toccò a me e ad Enzo Girolami, perché,
mentre stavamo in Piazza Trento e Trieste fummo
avvicinati da due guardie repubblicane, che dopo essersi
accertate che eravamo della classe soggetta al Bando di
Graziani, ci dissero di seguirli all’Albergo Falconi, dove
c’erano altri giovani di Frosinone e provincia, dei quali
molti già si trovavano a Fiuggi, come sfollati, ad esempio
i Mayer, i Chiappini, i Turriziani ed altri.
Dopo una breve permanenza nell’Albergo Falconi,
venimmo tutti trasferiti al Convento dei Cappuccini di
Alatri, da dove la maggior parte dei giovani precettati (me
compreso) nei due tre mesi successivi riuscirà ad evadere,
per darsi alla macchia.
Facendo un passo indietro, ricordo che quasi tutti gli
uomini tra i 18 e i 60 anni vivevano in continuo stato di
allarme e di paura. Ciò accadeva perché i tedeschi,
dovendo consolidare la resistenza che da soli
116
stavano organizzando sul fronte di Cassino, spesso
ricorrevano al rastrellamento degli uomini di ogni età, che
di solito avveniva, bloccando le uscite dei cinema, oppure
facendo dei blitz sulla piazza del Comune.
In alcune di queste occasioni, mi trovai direttamente
coinvolto, per fortuna senza conseguenze. Infatti in uno dei
rastrellamenti che le SS fecero al Cinema Rosa di Fiuggi
Fonte, io ed Enzo Girolami (che era diventato ormai mio
compagno di sventura ) riuscimmo a fuggire dalla parte
posteriore del cinema , attraverso i giardini
dell’Albergo Eden, del Moderno e del Palazzo della Fonte,
potemmo fare ritorno a Fiuggi Città, passando per la Via
Cupa e La Porta del Colle.
L’altro rastrellamento in cui rischiai (sempre insieme ad
Enzo) di essere catturato dai tedeschi fu quello che si
verificò in un pomeriggio dell’ottobre 1943, quando
insieme ai nostri coetanei Mario Moro,Temistocle
Giorgilli, Carlo D’Amico, Mario Terrinoni ( detto
Zampitto) Sabatino Agnoli Tiberio Terrinoni e Anacleto
Giorgilli ed altri avevamo preso l’abitudine di andare tutti i
giorni sui prati di Capo Le Ripi a giocare a pallone.
In quei prati dove avevamo trascorso tanti pomeriggi
della nostra fanciullezza, ora vi andavamo essenzialmente
per sfuggire ai pericoli che la occupazione tedesca ed il
Bando di Graziani comportavano.
Le partite che facevamo tra noi, molto spesso
cominciavano la mattina e finivano al tramonto.
E ciò accadeva anche perché, col passare dei giorni, si
univano a noi altri giovani che si erano già rifugiati in
montagna, o perché, dopo l’ otto settembre, erano sbandati
dell’esercito italiano, o perché erano ex prigionieri alleati
fuggiti dai campi di concentramento, come quelli allestiti
117
nell’ex Grand’Hotel di Fiuggi e ad Alatri in località “Le
Fraschette” per i profughi della Libia.
Ad un certo punto gli ex prigionieri erano diventati così
numerosi e di diverse nazionalità (inglese, neozelandese,
polacca ed americana) che a volte potevamo giocare partite
come Italia - Inghilterra o Italia-.Prigionieri alleati.
118
Fiuggi città aperta
E ospedaliera
119
“Ghiacciaia” e l’ingresso principale del Palazzo della
Fonte. Si trattava di circa seicento metri che dovevamo
percorrere ininterrottamente per tutta la durata del turno.
Lo scopo era quello di evitare alle linee elettriche e
telefoniche del “Palazzo” eventuali atti di sabotaggio, o
intralci al passaggio dei mezzi tedeschi sia all’ingresso
principale sia a quello secondario. Senonché già dalle
prime sere ci rendemmo contoche ci facevano fare i turni
senza mezzi di difesa, o per scoraggiare chiunque ci
avesse attaccato.
Pensammo allora di munirci di due grossi bastoni di
castagno e tenendoli ciascuno di noi sulla spalla destra,
camminammo sicuri di poterci difendere.
Appena arrivati all’ingresso del “Palazzo” con quei
bastoni sulle spalle, come se fossero dei fucili, mettemmo
sul chi va là proprio la sentinella tedesca; la quale
credendoci due sabotatori puntò subito contro di noi il
suo mitra e la torcia elettrica per illuminarci.
Il pericolo era gravissimo: sarebbe bastata una nostra
pur lieve mossa sbagliata, per farci scaricare addosso la
raffica dei proiettili che la sentinella stava per far scattare.
Per fortuna, prima di premere il grilletto il tedesco
illuminò con la sua torcia il nostro braccio sinistro ed in
un attimo, dalle fasce che portavamo, capì che eravamo
“guardiafili” e fu la nostra salvezza.
La sentinella che con la parola “raus”, ci aveva intimato
l’alt, abbassando il mitra, ci fece capire che potevamo
andare.
La seconda occasione in cui corremmo un altro rischio,
fu quando, io ed Enzo Girolami fummo mandati di giorno
a segnalare, sulla statale che porta a Frosinone, l’arrivo
degli aerei alleati, ai mezzi tedeschi ed italiani che
transitavano su quella strada.
120
Erano le 11 di mattina, quando sentimmo il rombo di
aerei da caccia provenienti dal cielo di Alatri e di
Fumone. Sulla via Prenestina stavano transitando alcune
camionette ed un carro pieno di tedeschi.
Sbandierammo subito la bandierina, ed i mezzi che
stavano passando si fermarono immediatamente. Da essi
scesero una ventina di soldati che di corsa raggiunsero le
buche che i giovani reclutati avevano scavato.
Le buche erano quattro o cinque; a distanza di cinquanta
metri l’una dell’altra.In pochi secondi si riempirono di
tedeschi e quando, pure io ed Enzo, stavamo per
raggiungerne una, la trovammo occupata.
Intanto gli aerei che avevano visto il movimento dei
mezzi e degli uomini, si abbassarono a volo radente per
mitragliarci, ma a fuggire eravamo soltanto noi due
perché, avendo trovato le buche occupate, volevamo
raggiungere il bosco di Caiano, per cercare di ripararci.
Nel frattempo un solo aereo era rimasto ad inseguirci e
quando si stava abbassando per mitragliarci di nuovo,
eravamo già arrivati a nasconderci dietro un grosso albero
di castagno ed a salvarci.
E concentrati ad Alatri
121
Nel convento dei Cappuccini, dove ci portarono,
trovammo tanti altri giovani della provincia di Frosinone,
che attendevano di conoscere il loro destino. Anche lì si
diceva che saremmo partiti verso il Nord, in quanto il
fronte di Cassino, nonostante la strenua difesa dei
tedeschi, stava per essere sfondato.
Fu in questa prospettiva che cominciò a farsi in noi,
l’idea di darci alla macchia, come già altri erano riusciti a
fare senza tante difficoltà, dal momento che ogni mattina
all’appello delle guardie repubblicane, mancavano in
media quattro-cinque giovani.
Così facemmo, io ed Enzo Girolami, quando durante una
notte di fine marzo, approfittando della luna che
illuminava tutta la zona, ci demmo alla fuga, e dopo aver
scavalcato il muro del convento, dalla parte del cimitero,
ci trovammo nella campagna vicina a Collepardo.
Erano le due di notte e dopo aver camminato circa tre
ore tra gli uliveti nelle campagna di Collepardo e di Vico
nel Lazio, ci ritrovammo alle cinque del mattino, nei
pressi della stazione di Pitocco, e trovammo rifugio in
una casa abbandona di contadini. Il giorno seguente
attraverso le campagne di Trivigliano e Torre Caietani
giungemmo a Fiuggi, verso sera nella zona di Caiano.
122
l’intento di starci soltanto la notte; perché di giorno
sapevo che potevo raggiungere i miei coetanei a Capo Le
Ripi, dove andavamo quasi tutti i giorni a giocare a
pallone.
Così infatti feci fino alla fine di maggio, quando cioè
stavano per arrivare gli alleati ed i tedeschi ed i
repubblicani di Salò si stavano ritirando verso Roma.
123
A FIUGGI
E IN CIOCIARIA
RESISTENZA ZERO
124
Giovani alla macchia
Resistenza zero
125
Anche perché i meno giovani, che dicevano di avervi
partecipato, erano proprio coloro che, fino alla caduta del
Fascismo, erano stati fanatici gerarchi del Regime e che
solo dopo l’8 settembre si
erano per paura nascosti nel retrobottega di qualche bar a
Fiuggi Fonte, oppure nelle casette dei pescatori alla
Madonna della Stella, lontane dai pericoli
dell’occupazione.
Comunque il rifiuto dei giovani di Fiuggi ad accettare la
qualifica di partigiano, che gli ex gerarchi andavano loro
offrendo, derivava dalla consapevolezza di non aver
partecipato ad alcun movimento clandestino, di cui
potessero poi vantarsi, ma di avere soltanto subìto gli
eventi, come del resto quasi tutti gli italiani dopo l’8
settembre, avevano fatto specialmente nell’Italia centrale.
126
“I ciociari hanno nella gran parte cercato di scampare
alla morte, solo pochissimi hanno combattuto, si sono
schierati per l’uno o per l’altro, anche se di questi il
gruppo più consistente combatté per il Regno, oppure per
la nuova democrazia”.
Con tali considerazioni l’autore lascia intendere, e quasi
gliene dispiace, che i ciociari abbiamo cercato solo di
scampare alla morte e quei pochi che si decisero a
combattere lo fecero, o per salvare la monarchia, o per
spianare la strada ad una vera democrazia, cosa che a lui
comunista ovviamente non andava bene, perché l’autore
cercava di accreditare la tesi che, i più decisi nella lotta
contro i tedeschi, non fossero la popolazione civile, nè i
partigiani che facevano riferimento all’esercito di
Badoglio o ai partiti democratici, bensì i comunisti.
Questa tesi è in parte vera, perché, mentre la gran parte
dei cittadini non vedeva l’ora di liberarsi di ciò che
rappresentava il passato per costruire un’Italia (dove la
pace e la democrazia fossero la condizione essenziale)
quelle sparute frange di comunisti e socialisti che si
schierarono contro, lo fecero più per creare una società di
tipo marxista e non per ridare all’Italia la libertà che il
Fascismo le aveva sottratto.
Ed è questo che (secondo molti storici e politici di area
liberaldemocratica o cattolico-liberale) è stato il vizio di
origine che ha offuscato la resistenza italiana.
127
i quali, sconfiggendo i marxisti del Fronte Popolare (Pci e
Psi) alle prime elezioni politiche del 18.4.1948, evitarono
al nostro Paese di finire nel blocco dei paesi comunisti
(guidati dall’Unione Sovietica) nei quali la libertà è
arrivata soltanto nel 1989.
Questa è la verità storica di quegli anni, che ora, anche gli
ex Gli alleati del Fronte Popolare apertamente
ammettono; a tal punto che, arrivati al Governo del Paese,
fanno addirittura la guerra (con la NATO) contro l’ultimo
dittatore del comunismo europeo (Milosevic). A pagina
49, del volume “Guerra di Liberazione in Ciociaria” ecco
cos’altro scrive il già citato Gioacchino Giammaria:
“Nella zona (di Fiuggi) troviamo anche un gruppo di
partigiani attivi e collegato col C.N.L. di Roma, sotto la
guida del Gen. Bencivenga che agisce con le bande di
Acuto, Anagni, Paliano, ecc. Fanno parte di tale banda
validi partigiani come Raniero Marazzi, Natalino
Terrinoni, ed il Prof. Raffaele Conti.”
Per la verità c’è da precisare che le notizie, su quel
gruppo di partigiani di Fiuggi, il ricercatore Giammaria
deve averle riprese, pari pari, senza verifica alcuna, dal
volume “Storia di Fiuggi” pubblicato nel 1979 dal notaio
Giuliano Floridi.
Il quale a sua volta non può averle verificate di persona,
perché a Fiuggi, in quegli anni non è mai vissuto, e le
“gesta” di quei validi partigiani deve averle sicuramente
apprese, negli anni successivi, direttamente dagli
interessati. I quali però, di se stessi, avevano taciuto
alcuni piccoli particolari, dei loro rispettivi “curriculum”,
perché, i primi due, erano stati i gerarchi più in vista del
regime, e il loro capo, Raffaele Conti, originario di
128
Novara, dopo essere andato in Abissinia, come civile, a
cercare fortuna, nel 1939 dopo averla trovata, approdò a
Fiuggi, e fino all’ultimo professò la stessa fedeltà al
Fascismo degli altri due.
Ma di questi loro trascorsi politici, nessun cenno si trova
nelle citate pubblicazioni.
Neppure di altri partigiani di Alatri e di Frosinone si
risale ai loro trascorsi politici, ad esempio di quel
partigiano, diventato poi senatore della Repubblica, il
quale fino alla caduta di Mussolini, i giovani balilla e gli
avanguardisti di della Ciociaria se lo ricordavano con la
divisa da gerarca, come intellettuale del regime, che dava
lezioni di mistica fascista al liceo Ginnasio di Frosinone.
Oppure di quei deputati e sindaci di alcuni comuni
ciociari e pontini che fino al 1943 erano stati sempre in
orbace, camicia nera e cinturone.
129
In una Fiuggi affamata
130
ricerca e l’uso di macinelli di ogni tipo, come quelli del
caffè, o della carne, con i quali si evitava il baratto e si
otteneva un prodotto grezzo più della crusca, ma ben più
nutriente di essa.
Anche se non tanto appetibile al gusto e alle esigenze di
chi era abituato ad ottenere dai cereali farine più o meno
raffinate sia per la pasta che per il pane.
Tutto ciò accadeva soprattutto dopo l’8 settembre,
quando cioè il razionamento dei generi alimentari da
distribuire alle famiglie in base ai bollini applicati alle
tessere, si era arenato proprio perché era venuta a
mancare la materia prima.
Mancavano cioè i rifornimenti sia ai centri di raccolta sia
a quelli della distribuzione. E se di tanto in tanto arrivava
qualche carico di derrate alimentari, queste si
assottigliavano, o scomparivano, per poi ricomparire nel
mercato nero, a prezzi sbalorditivi.
Solidarietà verso i profughi militari e civili. Eppure, in
una situazione come quella descritta, a Fiuggi c’erano
famiglie che cercarono di aiutare, in qualche modo, sia i
soldati italiani, sbandati dopo l’8 settembre sia gli sfollati
del cassinate o del frusinate, che numerosi si erano
rifugiati a Fiuggi.
131
Del gruppo di ebrei che trovò riparo e protezione, prima
nell’Albergo Vittoria, del fascista della prima ora
Costantino Ambrosi, e di altri gruppi ospitati nelle case
di Marcello Fiorini, Maria Luisa D’Amico, e Virginia
Pomponi, ne ha parlato per la prima volta l’amico Carlo,
qualche anno fa, sempre sul “Fiuggi” ed il ricordo di
quegli episodi ha suscitato nei fiuggini non solo
l’apprezzamento per chi ha portato alla luce, dopo tanti
anni, ma anche un sentimento di riconoscenza verso
coloro che si erano prodigati e sacrificati per aiutare gli
altri, senza chiedere premi o medaglie a nessuno, e senza
che nessuno degli storici della “Lotta di Liberazione in
Ciociaria” si era mai premurato di ricordare.
L’ “Agata List’
132
Quella lista mia madre l’aveva compilata, con l’aiuto
dei coniugi Isolina Moretti e Francesco Manovale, dando
aiuto ed ospitalità sia al marinaio sbandato che alla
famiglia di Roccasecca, dal settembre del ‘43 al 4 giugno
1944.Ma c’erano stati altri episodi di ospitalità nelle case
dei fiuggini, dove erano stati accolti sfollati e profughi
provenienti dalle zone del cassinate e del frusinate.
I quali, attraverso il centro di accoglienza istituito alla
Casa dei Maestro, dove venivano inizialmente alloggiati,
almeno fino a quando gli ospiti non trovavano, di loro
iniziativa, una migliore sistemazione.
Molti fiuggini certamente ricorderanno i nomi di famiglie
venute in quel periodo di guerra, anche per effetto dei
trasferimento da Frosinone degli uffici della Provincia.
Dal capoluogo, ad esempio, le famiglie Mayer,
Turriziani, Chiappini, Baldaccini, Bragaglia, Rea,
Catucci, Russo, Scerrato, Valente, Spaziani, Spilabotte,
Straccamore, Giansanti, Colasanti, Zeppieri. Da Cassino:
Baggi, Fraioli, Mancone, Sudano Vallerotonda,
Vizzaccaro, Zagaroli.
Ebbene, i componenti di queste famiglie, di tanto in
tanto incontrati dopo la guerra a Fiuggi, o nelle loro città,
hanno sempre manifestato una certa gratitudine per la
cordiale ospitalità qui ricevuta, ma anche per la
tranquillità e la sicurezza che qui trovarono, soprattutto in
virtù dello “Status” di città ospedaliera che Fiuggi ebbe
in quel periodo.
Alcuni episodi di arricchimento illecito, da parte di
coloro che praticavano le borsa nera, non mancarono, ma
erano inevitabili data la carenza delle derrate alimentari.
Nella primavera del 1944, dopo la lunga attesa che gli
alleati fecero per riprendere più attivamente le operazioni
133
sul fronte di Cassino, il passaggio degli aerei da
bombardamento (o “Fortezze Volanti”) sull’Italia
centrale, era sempre più frequente.
134
E fu così che sulle nostre teste e sulle nostre città ogni
giorno passavano aerei che andavano a scaricare
tonnellate di bombe, non solo su obiettivi militari ma
anche su strutture civili.
Avveniva allora ciò che oggi avviene sui Balcani, dove
le democrazie occidentali, pur di abbattere i dittatori di
turno, non ci pensano due volte ad inviare migliaia di
aerei per bombardare, anche popolazioni innocenti. E
tutto ciò non mi sembra giusto.
Eppure, nella seconda guerra mondiale sia da una parte
(Germania, Italia e Giappone) che dall’altra (Inghilterra,
Russia e Stati Uniti) si sono mandati al massacro milioni
di esseri umani, solo perché le rispettive dirigenze
politiche non vollero fermare, sul nascere, sia le
incertezze di alcune nazioni democratiche sia le
prepotenze delle dittature fasciste e comuniste.
Ma se un organismo come l’O.N.U., oggi, non è in
grado di risolvere, o di evitare, alcun conflitto tra i
popoli, è perché nel suo statuto non prevede una norma
semplicissima, che escluda, dal novero dei paesi civili,
quei paesi che si reggono sui regimi dispotici e autoritari
e quindi non degni di essere aiutati, né in pace né in
guerra.
135
Dal Fascismo alla Democrazia
136
Ai cui vertici, guarda caso, c’erano sempre loro, non più
con la camicia nera, ma con quella bianca o rossa, di
democristiani e comunisti. Sì, perché i fascisti più anziani,
che erano diventati tali, per scelta (non per obblighi
scolastici) aderirono subito, non ai partitini (laici o
liberali) con i quali si sarebbe potuta costruire una
repubblica di tipo svizzero, o americano, bensì ai due
partiti “chiesa”, che erano appunto la Dc e il Pci ed alle
rispettive cellule partigiane. Si badi bene, la loro scelta
di cambiare idea e casacca subito dopo l’arrivo degli
alleati, può essere giustificata e rispettata, ma ci è sembrato
strano che nei libri in cui si pretende di fare la storia di
quel periodo, e si citano nomi e cognomi degli antifascisti
dell’ultima ora, non si sia accennato neppure larvatamente
ai precorsi politici ed alle radici che essi avevano avuto
fino a qualche mese prima. A questo punto, c’è da dire
anche un’altra verità e cioè che anche noi giovani eravamo
tutti fascisti ed a distanza di tanti anni non vorremmo che
qualcuno ce lo ricordasse. Ma eravamo fascisti
inconsapevoli. Prima, perché nelle scuole, nelle piazze,
alla radio e sui giornali ci veniva inculcata solo quell’idea
e poi perché credevamo che fascismo significasse verità e
libertà. Credevamo: a quella verità, perché era la sola che
ci veniva propinata; a quella libertà perché era l’unica con
cui si potessero esaltare quegli ideali che, sin dall’infanzia,
ci venivano inculcati, come la religione e la patria.
137
Quando cioè, caduto Mussolini, sulla Piazza di Fiuggi,
ad esempio, sentivamo parlare oratori di tutte le tendenze,
che proponevano tante altre idee, fino ad allora neppure
immaginabili.
Fu così che maturò in me il convincimento che, per essere
liberi di scegliere un’idea politica, occorresse conoscere
prima le idee degli altri e comunque quelle esistenti nella
società e gli uomini che le propugnavano.
Un’altra cosa riuscii a capire (ed avevo 18 anni) e fu
quella che libertà significa poter dire correttamente ciò che
si ha in mente e senza che altri potessero offendersi,
oppure punirti per ciò che avevi detto o pensato.
Capii anche che ognuno di noi (e non solo i capi o i
gerarchi) potevano parlare in pubblico, senza che le
autorità potessero impedirlo.
Ciò avvenne soltanto dopo il 25.7.43, perché solo in quel
periodo si poteva parlare male di Mussolini e del
Fascismo, ma non del Re e della Monarchia, perché chi
criticava quest’ultima veniva denunciato.
Così infatti avvenne al Direttore Provinciale delle Poste,
Ferraiolo, che per aver tenuto un discorso nella sala del
Comune, contro la Monarchia ed a favore della
Repubblica, prima del Referendum, venne destituito
dall’incarico di Direttore e privato dello stipendio per molti
anni.
In ogni caso dai comizi che giornalmente sentivo in
Piazza o nel Salone comunale, capii subito che per i
giovani di poca esperienza politica, c’era finalmente la
possibilità di avere più chiare le idee, per scegliere
qualcosa di diverso dal fascismo e dal comunismo.
138
Dalla Patria tradita nasce la Repubblica
Ma anche le delusioni
139
E’ stata la copia conforme di un regime oligarchico, dove,
non la volontà dei cittadini, ma quella dei partiti, ha
ispirato e regolato la vita del nostro Paese. Basti pensare ai
numerosi referendum traditi, alle più svariate maggioranze
politiche, chiaramente indicate dagli elettori, ma di volta in
volta rovesciate: per stabilire come, da una classe politica
che ci ha governato per oltre 50 anni e che purtroppo, salvo
una breve pausa nel 1994, continua a governarci allo stesso
modo e con gli stessi uomini.
Un solo riconoscimento si può dare al sistema
democratico, più che agli uomini che lo hanno gestito, ed è
quello, peraltro previsto dalla nostra Costituzione, di averci
risparmiato la perdita della libertà e la partecipazione del
nostro Paese a qualche altra guerra di aggressione, come
invece era avvenuto in precedenza con la Monarchia e con
il Fascismo.
E non è stata poca cosa, specialmente se si pensa a tutte
quelle famiglie italiane che, come la mia, ha dovuto subire
la perdita: dello zio materno, Colombo Alessandri,
aspirante allievo ufficiale nella 1^ guerra mondiale (1915-
18) con medaglia d’argento al v.m. ; del proprio genitore,
Biagio Antonio Incocciati, di ritorno dalla 1^guerra
mondiale, e invalido, dalla guerra in A.O.I., infine del
fratello, Silvio Incocciati S.Ten. nella campagna di Russia
(1942-43) dichiarato disperso dal gennaio ’43, e mai
tornato. Sono state tutte guerre volute, guarda caso: dalla
Monarchia, la prima, e dal Fascismo e dal Re, la seconda e
la terza. A conclusione di questa prima rivisitazione
ritengo di poter condividere appieno l’idea che in ogni
monumento ai caduti, sia chiaramente inciso il motto
“Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi”, che
Bertold Brecht lanciò contro tutte le guerre.
140
Gli ebrei a Fiuggi
141
quale onde permettergli di operare a favore verso gli
ebrei, gli fece assegnare dal Comando Tedesco, un
lasciapassare (*) con il quale veniva indicato come
taglialegna alle dipendenze della ditta D’Agostino
operante nei boschi tra Fiuggi e gli Altipiani di
Arcinazzo.”
Questo era il permesso rilasciatogli dal Comando
tedesco di Fiuggi, che l’autore riproduce in fotocopia:
(*)“Standortcommandantur-Fiuggi-O.U.-Den.1.4.1944-
Lasciapassare a D’Amico Carlo, quale taglialegna alle
dipendenze della Ditta D’Agostino, operante nei boschi tra
Fiuggi e gli Altipiani di Arcinazzo. Der Sta dortkommandant:
Rittmester – gul tig bis 31.5.44”
142
Nella Fiuggi occupata
Solidarietà ed accoglienza
143
attesa che potessero proseguire verso il sud e
raggiungere, con qualsiasi mezzo le loro città.
Mia madre aderì subito alla richiesta perché sperava, e
lo disse apertamente, che anche mio fratello Silvio,
disperso in Russia gal gennaio 1943, avrebbe potuto
trovare in quel lontano paese qualche famiglia ospitale (o
come si dice oggi, uno Schindler russo) che lo avesse
salvato dalla fame, dal freddo, e dalla deportazione in
Siberia. Fu in base a queste considerazioni che il
marinaio Aldo Carrino di Taranto, fu accolto in casa
nostra, mentre il compagno di Bari, avendo dei parenti a
Fiuggi, sarebbe andato presso di loro.
Intanto i giorni di quel triste settembre passavano lenti,
uno dopo l’altro, ma le occasioni per proseguire nel sud i
due giovani non le trovarono mai. Il marinaio, rimase a
casa mia, tranquillo e protetto, anche perché la generosità
di mia madre (dovuta al dolore per la sorte del figlio
disperso) lo stimolò a rimanere presso di noi fino alla
fine della occupazione tedesca, che cessò il 4 giugno
1944.
L’altro giovane militare, dopo essere stato ospitato solo
per pochi giorni dai suoi parenti, decise di arruolarsi
nelle liste dell’esercito repubblicano, in via di
formazione, e vi rimase fino all’arrivo degli alleati.
Di quel periodo ricordo pure che in una parte della
nostra casa, mia madre dette rifugio anche ad una
famiglia di Roccasecca (di cognome Fraioli) costituita da
madre e quattro figli (dai sei ai 12 anni) la quale aveva il
marito in guerra e fu costretta a sfollare dalla sua casa di
campagna, perché i tedeschi gliel’avevano requisita.
Con riferimento alla situazione del marinaio Carrino, il
paradosso fu che, mentre lui, pur lontano dalla famiglia
144
veniva nascosto e protetto dai pericoli e dagli stenti, io ed
i miei coetanei di Fiuggi eravamo invece soggetti a tutti i
rischi di quel particolare periodo. Tra i quali, i
rastrellamenti, da parte dei tedeschi, e la chiamata alle
armi, da parte del maresciallo Graziani, quale Ministro
della Guerra del Governo di Salò.
La chiamata avvenne infatti con un apposito bando,
soprattutto per la classe 1925, pena la fucilazione, o la
deportazione in Germania per i renitenti.
Qui di seguito trascrivo una parte della lettera con la
quale, da Taranto, il marinaio Carrino ringraziava la
famiglia Incocciati-Alessandri:
“Taranto 27 luglio 1944 - Gent.ma famiglia Incocciati,
dopo oltre due mesi, eccomi a voi per darvi mie notizie.
Comprendo che anche voi eravate in pensiero alla mia
partenza, ma la provvidenza divina mi ha aiutato durante
il viaggio. Per primo voglio esprimere a tutti voi la
gratitudine per quello che avete fatto per me e spero un
giorno di potermi sdebitare.
Tanto ho parlato di voi e ne parlo tuttora, in particolare
del vostro caro Silvio e spero che un giorno non lontano
anche lui vi riabbraccerà. Saluti anche da parte dei miei
familiari, vostro aff.mo Aldo Carrino.
P.S. Gustavo ( che era il suo compagno di sventura )
trovasi a casa sua e sono in corrispondenza con lui.
145
VI
LE SCOMODE VERITA’
di Giuseppe Rengo
146
poi dismessa) neppure il S.S.N. è stato mai in grado di
creare.
Questi i motivi per cui mi sembra utile e doveroso
riportare ampiamente le esperienze di guerra e di vita che
Giuseppe Rengo ha descritto nelle sue memorie, con la
speranza che esse (unitamente ad altre raccolte nel
presente volume) siano pubblicate integralmente
dall’Istituto di Credito, da lui presieduto per molti lustri,
dal momento che lo stesso istituto, in questi ultimi anni, è
diventato assai munifico nel patrocinare altre iniziative
editoriali.
147
tornato dalla Spagna nel 1939, dopo vari ricoveri
ospedalieri per le ferite riportate, in Italia fu ricoverato
per controlli all’Ospedale Militare di Napoli.
Dopo i vari esami gli fu accordato un assegno
rinnovabile, fin quando nel 1951 gli venne assegnata una
pensione vitalizia di 5^categoria per esiti “f.a.f. (ferite da
arma da fuoco) alla regione parietale sinistra”
Dimesso dall’Ospedale di Napoli, quando arrivò a
Fiuggi, alla stazione delle ferrovie vicinali, fu accolto
come un eroe da una folla di cittadini e dalla banda
musicale al suono della marcia reale e giovinezza.
Dopo essere tornato nella casa paterna di fronte al
Monumento ai caduti, cominciò a dedicarsi alla
professione di medico civile, che nei quattro anni passati
(1935-39) dopo la laurea non aveva mai esercitato.
La nomina a medico condotto gli venne data per
sostituire il titolare Dr.Savino, da poco scomparso.
In quegli anni sia il medico sia i medicinali erano tutti a
pagamento, meno che per gl’iscritti all’elenco dei poveri.
Nessuno lo pagava e solo pochissimi gli regalavano
qualche uovo o salume fatto in casa.
Il compenso, dice, si riduceva a circa 1000 lire mensili
di stipendio, ma non diceva che in quegli anni, una
canzonetta popolare dal titolo “se potessi avere mille lire
al mese” lasciava intendere che lo stipendio di quell’
importo non era poi così basso).
In quegli anni, però il medico condotto doveva
intendersi di medicina, di ostetricia, oculistica,
dermatologia, odontoiatrìa ecc.
A Frosinone era segretario federale Fascio il dr. Arturo
Rocchi, cioè l’ufficiale, ricoverato nell’ ospedale in
Spagna, che Rengo aveva fatto rimpatriare.
148
La permuta della macchia d’oro
149
falegname, Gabbani e Quirino Fanali, muratori. A sera,
dopo il lavoro, si ritrovavano nelle osterie per mandar giù
qualche foglietta di vino, accompagnata da pane e
formaggio. Si intrattenevano parlando male di Mussolini,
dei fascisti e si scambiavano qualche foglio della stampa
antifascista che riuscivano a rimediare.
150
riempiva la piazza e le strade di accesso, al grido di
“Viva il Duce”, o “Eia Eia Alalà” era fatta di fantasmi.
Il numero dei voltagabbana, che dopo essere stati
attivisti del regime, e ora si dichiaravano antifascisti
perseguitati,rappresentava la quasi totalità.
152
Nel Grand’Hotel erano alloggiate le donne maltesi con i
bambini, sfollate da Malta durante la guerra, ma i loro
erano internati al campo profughi in località “Le
Fraschette” di Alatri. In altri alberghi furono insediati
numerosi uffici provinciali, che dopo i bombardamenti
effettuati dagli alleati sul Capoluogo, dall’ 11 settembre
in poi, decisero di trasferirsi tutti a Fiuggi, essendo questa
località, a Nord di Frosinone, dotata di notevole capacità
ricettiva (peraltro inutilizzata per gran parte dell’anno) la
sola in grado di ospitare in gran numero, e senza tanti
problemi, uffici e famiglie in cerca di un rifugio sicuro.
All’Albergo Igea, si erano insediate la Prefettura e la
Questura. Mentre le famiglie degli impiegati trovarono
sistemazione nelle abitazioni private.
153
A questo punto egli descrive la situazione fiuggina,
poco prima, e subito dopo la liberazione, avvenuta il 4
giugno 1944, che è la parte più interessante per rivedere,
in chiave revisionista, gli avvenimenti che la storiografia
ufficiale, per oltre 60 anni, ha interpretato a senso unico.
154
Inoltre, girava per Fiuggi un signore che si qualificava
come generale Padovani, datosi alla macchia dopo il
fuggi fuggi dell’8 settembre, che era in collegamento con
il gruppo del professore.”
Il padre del Rengo, Sabatino, informava il figlio, che,
sistematicamente i rappresentanti dei partigiani di Fiuggi
passavano nei vari negozi a reclamare i viveri per i
militari alleati, dispersi nel territorio, ma lui
rappresentava le grandi difficoltà che aveva nel
distribuire gli alimenti senza il ritiro dei bollini che
dovevano essere consegnati agli uffici comunali, per il
recupero della merce.
155
cimitero, venne a trovarmi la moglie del Prefetto che si
era insediato con il suo ufficio all’Albergo Igea di Fiuggi
Fonte. Era li dottor Arturo Rocchi di Cassino che avevo
conosciuto in Spagna a “El Pinar” e lo aveva fatto
rimpatriare.”
“Dopo lo rividi a Fiuggi e nella nuova veste di segretario
federale del Fascio, venne a propormi la nomina di
segretario politico, per porre riparo alla famigerata
“permuta della macchia d’oro” che tante proteste aveva
sollevato a Fiuggi.”
“La moglie del Prefetto, Olga, era una distinta ed abile
signora genovese, e venne da “Ruccaccio” dove mi
trovavo sfollato, e mi chiese a nome del marito se
intendevo seguirli al Nord all’ arrivo degli alleati”
“Risposi che, per me, significava una chiara
dimostrazione di colpa, dilazionando di pochi giorni
l’incontro con i vincitori.La signora annotava in un
quaderno tutto ciò che dicevo”
Aggiunsi che ormai eravamo alla fine di una guerra
insensata, nella quale Mussolini si era cacciato per
seguire passivamente le direttive di Hitler. Io parlavo e la
signora scriveva tutto.”
“Per la situazione locale ”consigliavo di evitare di far
dare la caccia ai militari alleati dispersi e di non dare retta
ai fascisti facinorosi, di cui facevo i nomi e la signora
scriveva”
“Ci salutammo scambiandoci gli auguri. Ma quel
quaderno della signora Olga, come dirò, fu uno dei
pilastri della mia salvezza e fortuna.”
Il 3 Giugno 1944, Giuseppe racconta che di mattina
presto si recò al Comune in cerca di qualche autorità
156
alla quale chiedere aiuti per il fratello Carlo, che il giorno
prima era stato catturato dai tedeschi e portato a piedi
scalzi dietro un mulo verso Arcinazzo, perché accusato di
aver sparato ad un sergente tedesco nei pressi del
Cimitero.
157
Qui trovò la fidanzata di suo fratello con lo zio, che
catturato anche lui, i tedeschi lo avevano liberato la
mattina presto mentre Carlo venne trattenuto per essere
processato.
158
Il fratello trucidato dai tedeschi,
lui arrestato dai partigiani
160
testo lo consegnò all’interprete, pregandolo di
accompagnare il Rengo, al Comune, per conferire col
Sindaco.
L’inteprete era di Frosinone,. Il tenente colonnello era
canadese ed essendo capo dei servizi di sicurezza alleati
del fronte di Cassino, era impegnato ad aprire uffici nei
territori conquistati.
Lamentava che in alcune località veniva letteralmente
assaliti da persone che dichiarandosi antifascisti e
partigiani di vecchia, cercavano di ottenere favori per
loro e ritorsioni per i nemici fascisti.
Il tenente colonnello la sua sede nei locali dell’Igea,
prima occupata dal Prefetto Rocchi, fuggito al Nord al
seguito dei tedeschi.
Nei cassetti della scrivania trovò il quaderno nel quale
la signora Olga aveva trascritto il colloquio che aveva
avuto con Rengo nella casa vicina al cimitero, ed aveva
consegnato al marito.
L’ufficiale, facendosi tradurre lo scritto, aveva appreso
che il ragionamento del dottor. Rengo era di persona
seria, che in fondo nutriva sentimenti di amicizia verso
gli alleati, e disapprovava il comportamento dei tedeschi
e dei fascisti.Inoltre i maltesi già rinchiusi al Grand’Hotel
di Fiuggi Città, e liberati dagli alleati, prima di imbarcarsi
negli aerei che li riportavano in Libia, avevano
consegnato al loro comando una denuncia dettagliata per
i maltrattamenti e i furti che i due gestori suocero e
genero del Grand’ Hotel avevano commesso ai loro
danni, svuotando persino i pacchi che pervenivano loro
dall’America e Gran Bretagna, tramite la Croce Rossa
internazionale.
161
Nel loro esposto i maltesi, mentre facevano i nomi dei
commercianti che li derubavano di denaro e di oggetti
preziosi, concludevano il loro esposto, affermando che
l’unica persona che si era compenetrata delle loro
sofferenze era stato il dr. Rengo che li aveva assistiti
come medico e come uomo, sobbarcandosi perfino la
funzione di portalettere, da e per il campo profughi delle
Fraschette di Alatri, dove la Croce Rossa aveva
sistemato gli uomini di quelle famiglie.
Il tenente colonnello canadese, forte del contenuto del
quaderno della signora Rocchi, si fece accompagnare
dall’interprete alla caserma dei carabinieri di Fiuggi
Città, e nel chiedere notizie sul conto del Dr.Rengo, notò
che i denuncianti erano i due gestori del Grand’Hotel ed i
partigiani di Fiuggi, dei quali il Colonnello era già in
possesso di notizie affatto rassicuranti.
Per questi motivi l’Ufficiale alleato dispose subito la
scarcerazione del Rengo, facendolo accompagnare al
Comune dall’interprete con l’ ordine scritto del
comandante che presso a poco diceva quanto segue:
162
Quando l’interprete tradusse al professore con la farfalla
il contenuto scritto, per la prima volta il fascista Rengo,
lo vide sbiancare e perdere la consueta “sicumera”
Scrisse l’assicurazione richiestagli, chiamò il ragioniere
e fece scrivere il mandato di pagamento, e convocando il
Dr.Di Girolamo lo invitò a restituire il posto al suo
titolare. Dopo questa ennesima triste avventura il Rengo
torna a casa con lo scopo di trovare un po’ di serenità e
dedicarsi nuovamente al lavoro di medico. Conclude
dicendo:
“Dopo le ristrettezze della guerra assaporai i gusti di
tanti alimenti conservati in scatola. Tornarono dalla
macchia i fascisti non faziosi di Fiuggi e dintorni, ricordo
Pierino Perinelli di Acuto. Il Sergente del Comando
alleato, preposto al servizio di sicurezza , con la mia
collaborazione esaminò a fondo il comportamento dei
due gestori del Grand’Hotel, anche a seguito della
denuncia dei maltesi liberati, inviò la Polizia Militare
Alleata che tradusse genero e suocero al campo di
concentramento di Padula. Lì trascorsero quasi tre anni
nel luogo dove avrebbero voluto fossi rinchiuso io. In
quel campo fu anche confinato Adelmo Della Casa,
proprietario del Palazzo della Fonte e concessionario
delle Terme”.
(N.d.a. - a proposito di Della Casa, c’è da segnalare che
pur essendo ebreo, i fascisti non lo avevano mai
perseguitato. Ma subito dopo la liberazione furono i
partigiani bianchi e rossi, ex fascisti, a denunciarlo come
collaborazionista dei tedeschi). Intanto però i servizi di
sicurezza alleati andavano esaminando la posizione dei
partigiani fiuggini che si erano autonominati
amministratori e con prepotenza si erano insediati al
Comune.
163
Sia per le cattive notizie sul loro comportamento, come
partigiani, sia per la disamministrazione comunale, fatta
di favori a se stessi e ad amici, e ritorsioni ai nemici,
furono invitati dagli alleati a farsi da parte e vennero
sostituiti, prima con il democristiano Paolo Pietrobono,
come commissario, poi su imposizione del Comitato di
Liberazione, fecero nominare sindaci, il comunista
Natalino Terrinoni, il repubblicano Francesco Lentini, e
Luigi Papa, come commissario. Infine, il comunista
Angelo Zucconi, sempre imposto come Sindaco dal C.n.l.
provinciale.
Di questo organismo, il cui nucleo originario fu creato
alcuni mesi prima dell’arrivo degli alleati, da ex fascisti
(di Alatri, Fiuggi. Ripi, Frosinone e di Collepardo)
facevano parte sia il professore, con la farfalla, sia lo
studente universitario Natalino Terrinoni, che dopo l’8
settembre si dichiararono antifascisti e partigiani me
nessuno di essi era stato eletto con voto popolare, perché
alle prime elezioni amministrative avvenute nel Marzo
1946, fu eletto Sindaco, Gualtiero Alessandri, con 1282
voti, quale capolista del Partito più votato che era la D.C.
insieme a 11 consiglieri di maggioranza, mentre con la
lista di minoranza del Partito Comunista con 1.054
furono eletti due soli consiglieri (tra cui il Terrinoni) e
vennero spazzati via, in quasi tutti i paesi della Provincia,
i candidati imposti dal Cnl.
164
Il 2 giugno 1944, di mattina presto andarono a
svegliarlo informandolo che un gruppo dit tedeschi, in
ritirata, avevano catturato il fratello, lo avevano
malmenato selvaggiamente, gli avevano tolto le scarpe,
caricata sulla spalle una mitragliatrice e lo spingevano
verso gli Altipiani di Arcinazzo. Con lui portarono lo
zio della fidanzata senza maltrattarlo. Poco prima un
sergente del gruppo che montava a cavallo era stato ferito
da un proiettile che gli aveva fratturato la mandibola.
Alcuni avevano soccorso il sottufficiale e trasportato
alla Clinica S.Elisabetta, mentre gli altri si erano scagliati
contro il fratello, lo avavano perquisito e gli avevano
trovato una pistola ancora calda e mancante di un colpo.
Per questo era stato massacrato. Lui corse a casa e
informò i genitori i suoi genitori. La madre si precipitò
alla clinica gestita dalle suore tedesche e chiese della
superiora e di suor Germana, che lavorava come
infermiera.
166
Finchè Agostino Moriconi (in compagnia di Carlo
Germani, amici del fratello) andò .da lui e chiamandolo
in disparte gli disse che al mattino da cacciatore accanito
si era recato negli Altipiani con altro cacciatore del posto,
il quale gli aveva detto che lungo la strada per Subiaco
tra le rocce ai piedi del Monte Scalambra dove lo aveva
portato, avevano fucilato e massacrato un povero ragazzo
e trascinandolo sfinito di fronte ad un anfiteatro roccioso
lo aveva ucciso a colpi di fucile e di mitra.
Il giorno dopo Rengo, recatosi con alcuni amici in quel
luogo, aveva trovato i resti di un giovane dilaniato da
animali randagi. E da alcune ossa spezzate ed il cranio
forato in più punti, unitamente ad altri resti come l’
anello d’argento con incastonato lo stemma in oro del
“Tercio” che aveva portato dalla Spagna e regalato al
fratello ed un frammento del maglione di lana,
riconosciuto dall’amica di famiglia Fermina Zangrilli,
che glielo aveva lavorato a mano, si convinse che il
ritrovamento del povero Carletto, poteva considerarsi
certo.
Di qui il piccolo monumento che la famiglia ha eretto
sul luogo con la seguente motivazione: “ Carlo Rengo
Fiuggi 20.1.1915 Altipiani di Arcinazzo 3.6.1944. Aveva
appena compiuto 31 anni, quando all’alba del 2.6.1944,
gli ultimi soldati tedeschi in ritirata lo catturarono sulla
montagna di Fiuggi, incolpandolo di un atto di ostilità
compiuto contro un loro graduato. Gli tolsero le scarpe,
gli caricarono sulle spalle un pesante ordigno bellico e lo
costrinsero a percorrere a piedi nudi il doloroso sentiero
che porta Agli altipiani di Arcinazzo. Dopo una serie di
torture bestiali, lo condannarono a morte e lo fucilarono
il 3 giugno 1944, mentre le truppe alleate entravano a
Fiuggi.”
167
Giuseppe Rengo, dopo aver raccontato in modo
dettagliato e esauriente la sua vicenda umana, militare e
civile, che qui è stata riassunta, conclude, commentando
così il comportamento tenuto in quel periodo dai
rappresentanti dell’antifascimmo fiuggino:
168
Il Colonnello Thornhill caccia i falsi sindaci
170
A questo punto egli descrive la situazione fiuggina,
antecedente e successiva alla liberazione, avvenuta il 4
giugno 1944, che è la parte più interessante, per rivedere,
in chiave revisionista, gli avvenimenti che la storiografia
ufficiale, per oltre 60 anni, ha interpretato a senso unico.
172
Al punto che, tornato a Fiuggi, aveva costruito l’Albergo
Plinius, ora S.Marco. I due gestori non si erano mai iscritti
al Fascio e vantavano questa loro merito dichiarandosi
antifascisti da sempre, ma soltanto dopo il 25 luglio del
1943. Grazie anche a questa loro etichetta, approfittarono
per trattare le famiglie maltesi in maniera ripugnante. Pasti
scarsi e qualità scadentissima, pulizie ignorate.
Le povere donne, per il trauma della deportazione, non
avevano più le mestruazioni ed erano costernate nel timore
di essere incinte. Si aggiungeva la denutrizione e la
sporcizia.
Acquistavano da alcuni negozianti qualche alimento per
sfamare sé e i bambini; in cambio venivano depredate del
poco denaro di cui disponevano, delle fedi nuziali, catenine
e braccialetti d’oro.
Il Rengo era il loro medico, e fino al 25 luglio del 1943,
anche segretario politico. Vedeva con angoscia la
situazione di quella povera gente: donne e bambini
dimagrivano sempre di più. Entrando nelle loro stanze
avvertiva un odore nauseante.
Come medico condotto ed ufficiale sanitario segnalava gli
abusi al medico provinciale, il quale per evitare di prendere
le difese di persone schedate come nemiche, faceva
orecchi da mercante.
Come segretario politico la sua situazione era
imbarazzante, e si limitava a tenere su il morale di quelle
povere donne, prospettando loro che presto sarebbero state
liberate dalle loro truppe.
Nel frattempo cercava di rimediare le medicine per curare
le frequenti malattie. Pensò di scrivere un esposto al
Prefetto e al Federale denunciando gli abusi dei due gestori
e le condizioni disumane nelle quali tenevano gli internati.
173
Ma non potendo firmare come segretario poltico, fece
firmare l’esposto da alcune persone amiche e fidate, tra cui
il padre Sabatino, che era stato sempre di sentimenti
socialisti.
Con la caduta del Fascismo, i maltrattamenti ai maltesi
del Grand’ Hotel aumentarono, soprattutto da parte dei due
gestori, che subito proclamavamo ai quattro venti la loro
costante militanza antifascista.
Dopo l’8 settembre con il capovolgimento del fronte,
conobbe, nel suo ufficio all’ Albergo Universo, un
maresciallo tedesco che controllava i movimenti dei
militari al Plinius.
Diventarono amici e si scambiarono varie confidenze,
sulla ormai certa sconfitta della Germania che si stava
profilando.Gli parlò dei maltesi alloggiati al Grand’Hotel e
delle condizioni in cui si trovavano.
Dai magazzini dell’Universo gli fece assegnare per le
famiglie maltesi piccoli quantitativi di aspirina per le
febbri, di pomata allo zolfo per la scabbia, e di petrolio per
combattere i pidocchi.
In quella e tante altre occasioni notò la scarsezza di
mezzi a disposizione dei tedeschi: viveri, medicinali,
munizioni, macchinari, eccetera, in confronto delle
sterminate scorte di cui disponevano gli alleati, che
osservò dopo il loro arrivo.
Il maresciallo gli diceva che, per sua esperienza, i
momenti più brutti della guerra per i civili erano quando si
imbattevano con le retroguardie di reparti militari in
avanzata.
Gli disse che quando sarebbe arrivato quel momento, lo
avrebbe avvisato perché si mettesse al riparo con la
famiglia.
174
Pochi giorni prima dell’entrata degli alleati infatti gli
riferirono che a casa era passato un maresciallo tedesco per
avvertirlo del pericolo imminente. Mentre le donne maltesi
con i bambini soggiornavano al Grand’Hotel, i loro uomini
erano internati alle Fraschette di Alatri. Poiché la loro
corrispondenza era soggetta a censura militare le loro
lettere, o non arrivavano, oppure venivano consegnate con
molto ritardo.
Il Rengo per aiutarli segretamente ritirava le lettere delle
mogli ai mariti e, con la scusa di visite mediche e consegna
di medicinali si recava in macchina ad Alatri e dava e
ritirava la posta.
A questo punto per avere più chiara la situazione di ciò
che accadde a Fiuggi, anche per i profughi maltesi, prima
e dopo il 25 luglio 1943, sarebbe bene che il lettore vada a
rileggersi, dall’ inizio, le preziose memorie del Rengo alle
pagine precedenti.
175
VACANZE FORZATE
NELLE SCUOLE
176
Vacanze forzate nelle scuole
177
“Tentare di fare un quadro omogeneo della situazione,
per tutto il territorio provinciale, è praticamente
impossibile”. Così infatti egli descrive le difficoltà di quel
forzato blocco delle attività nel settore, dovute soprattutto
alla diversità delle situazioni provocate dalla guerra.
“Appare comunque a dir poco un miracolo che, ad
esempio, a Cassino, completamente distrutta dai
bombardamenti, già nell’ agosto del 1944, a due mesi
appena dalla fine della battaglia, cominciano le lezioni
nelle scuole elementari ed il 1° ottobre riprende metodico
il lavoro degli insegnanti in locali improvvisati, o in
baracche provvisorie; vi accedono bambini denutriti
mancanza di cibo, o per l’imperversare della malaria. Il
maestro T. Saragosa dirige le scuole elementari sparse un
po’ dovunque nella campagna di Caira, S.Angelo e
Cassino; in Sant’ Elia ha sede la scuola Media diretta dal
Prof. Giuseppe Di Zenzo, con 35 alunni.
A Veroli, invece, anche nei mesi che per il cassinate sono
più drammatici, i riflessi della guerra non sembrano creare
preoccupazione più di tanto”.
“Vediamo infatti spulciando il registro dei verbali, redatti
dal segretario D. Augusto Tarquini, cosa accade al Regio
Istituto Magistrale” di cui è preside il prof. Giovanni
Lombardo, il 15 febbraio 1944, ovvero il giorno in cui gli
alleati bombardano il Monastero di Montecassino.
In quel giorno, infatti, “si è adunato il Consiglio di classe
della IV inferiore per procedere allo scrutinio del secondo
trimestre. Gli insegnanti riferiscono sullo svolgimento dei
programmi e sulla volontà degli alunni, i quali, noncuranti
dei continui allarmi e bombardamenti aerei, fanno del loro
meglio per rispondere con diligenza alle premure dei
professori”.
178
Anche a Veroli si verifica qualche bombardamento, ma
ciò pare non turbi l’attività scolastica: non a caso, nella
riunione del consiglio di classe della Prima Superiore, il 29
febbraio, il preside Lombardo fa “un vivo elogio per il
calmo comportamento degli insegnanti nel
bombardamento del 17 marzo, nel collegio dei professori
del giorno 20, considerato che “il Provveditore lascia
arbitri sul da farsi il Preside e i professori”
Il segretario Cruciali annota che gli allarmi e le incursioni
che di frequente si ripetono nella zona non consentono di
tenere ulteriormente aperta la scuola. Tuttavia l’attività
scolastica non pare cessare del tutto, se il 20 aprile si ha
notizia di un altro collegio di docenti ed il 4 maggio ci
sono addirittura gli scrutini per i quali, si precisa, la
Commissione ha usato una ragionevole larghezza
nell’approvazione di tutti gli alunni, dato lo stato di guerra
e dato che essi furono i soli a presentarsi agli esami.
Ma chi erano quegli alunni? Giuseppe Belletti, Lavinia
Angeletti Catanossi, Leda Diamanti, Aldo Iocchi, Italo
Lanucara, Giovanni Mazzoleni, Luciana Mella, Sara Prilli,
Marina Rinna, Celeste Sirizzotti.
“Nella riunione del 7 maggio, il preside partecipa agli
insegnanti che “ a causa delle continue incursioni aeree, la
prudenza consiglia di fare gli esami nei locali del
seminario”. E’ l’ultima volta in cui si fa cenno alle
interferenze belliche sull’attività scolastica che, di fatto,
proseguirà per tutta l’estate con lo svolgimento di varie
sessioni di esame”.
Ebbene, in una di quelle sessioni, anche chi scrive questo
“Settembre 1943 e dintorni” avrebbe dovuto presentarsi
agli esami di maturità magistrale, ma che fu impossibilitato
a sostenere, perchè a causa dei mitragliamenti che quasi
179
ogni giorno si verificavano sulla statale 155, il camion su
cui viaggiava, fu attaccato dagli aerei da caccia delle forze
alleate, e i passeggeri insieme ad altri studenti della zona
furono costretti a saltare dal camion, per nascondersi nel
bosco tra Trivigliano e Pitocco, da cui uscirono subito
dopo, sani e salvi, ed il camion pur non essendo stato
colpito da alcun proiettile, per ragioni di sicurezza non fu
fatto proseguire.
Neppure gli esami di abilitazione magistrale che l’ autore,
nell’anno successivo decise di sostenere, a Pontecorvo,
non ebbero esito positivo, perché in quella località, che
registrava i perniciosi effetti della malaria, il nostro che si
presentava agli esami con 40 gradi di febbre. fu consigliato
dai professori a rimandarli nella sessione di settembre.
Anche in questa occasione, però, avendo egli contratto lo
stesso morbo appena arrivato nella località, dovette di
nuovo rinunciare agli esami.
180
VII
ALTRE OCCUPAZIONI
(e vendette )
182
inglese una lettera in lingua inglese, in cui denuncia che, il
22 novembre 1942, quando fu maltrattato nella Casa del
Fascio, l’attuale Sindaco (Carlo Minnocci) faceva parte del
Direttorio del Fascio locale.
La denuncia, dovuta a risentimenti personali, non è stata
presa in considerazione.
(N.d.a. - Decisione di comodo e alquanto sbrigativa
specialmente se si considera che il Sindaco, sotto il
Fascismo, nella sua qualità di Preside del Liceo Conti
Gentili di Alatri, aveva l’abitudine di riunire, nella sua
stanza, ad inizio dell’anno, i nuovi studenti, per invitarli a
prendere la tessera del Fascio, per evitare di essere espulsi.
La circostanza mi è stata spesso ricordata da alcuni suoi
alunni, tra cui il Prof. Giuseppe Onorati, proprietario dell’
Albergo Europa, ancora in vita, ogni qualvolta si parlava di
antifascismo e di resistenza, ad Alatri e a Fiuggi).
Denunzia di Antonio Colella contro Giovanni Ceci, quale
favoreggiatore dei tedeschi.
23 giugno – Il Corso Vittorio Emanuele, poco a poco si
rianima. Galuppi, Piacitelli riparano i negozi. Anche il
Caffè Bitileno viene riparato. A Tecchiena non vogliono
manifesti comunisti.
24 giugno - Riunione in Alatri del C.n.l. provinciale. L’on.
Marzi insedia la sede del Pci (al piano nobile del Liceo).
25 giugno - Atro manifesto del volante del Pci ai contadini,
promettente la terra. Diffidenti i contadini , arrabbiati i
proprietari.
27 giugno - Viene il prof. Conti di Fiuggi (N.d.a. Leggasi i
trascorsi del personaggio al Cap. 8 pag.35 e seguenti) per
ingaggiare volontari che combattano a fianco degli alleati.
Si apprende che è stato ordinato l’arresto del Col. Righini.
Circola Guido Di Fabio.Il Pci. requisisce i mobili del
Fascio.
183
29 giugno – Si apprende che nella Giunta Municipale al
posto di Giovanni Culla è entrato Tullio Pietrobono del
P.C.
4 luglio - Il Ten. Aceti, proveniente da Lecce, donde era
stato rilasciato, perché ancora non pervenute le
imputazioni, per le quali il giugno era stato arrestato in
Alatri, per opera di Baroni e Pedullà, consigliatisi prima
col Vescovo Facchini, viene di nuovo arrestato.
5 luglio - Il Ten.Aceti rilasciato. Baroni protesta e
minaccia di far rilasciare tutti gli altri internati di Alatri.
Il prof.Conti e il canonico Menicucci membri del Comitato
di Epurazione degli insegnanti fascisti (ex gerarchi ecc.)
Il Ten. Aceti, il 7 luglio, sarà di nuovo arrestato dagli
Inglesi. Pianto della fidanzata.
13 luglio - Il Sindaco con un suo manifesto dattiloscritto,
comunica una circolare del Comando Inglese
(Col.Thornhill?), che vieta ai partigiani di arrogarsi diritti
che non hanno, e l’invita, se hanno voglia di collaborare, di
entrare nell’esercito, ovvero ad attendere ai lavori dei
campi (cioè alla zappa e a la vanga che essi invece
volevano dare ai fascisti -.n.d.a) e di ricostruzione di case.
A Fontanaliri
185
Nel 1943 il periodo di sfollamento si prolungò per nove
interminabili mesi, poiché i tedeschi, nel frattempo si erano
attestati a Cassino sulla Line Gustav, per contrastare ad
oltranza l’avanzata degli eserciti alleati.
Delle istituzioni pubbliche non rimase nulla, perché il
podestà Battista, per non collaborare con i tedeschi si era
reso irreperibile. In data 31 ottobre 1943, il Comitato
armato di resistenza, si trasformò in “Comitato comunale
antifascista”, e riuscì ad ottenere dal Prefetto Rocchi la
nomina di Antonio Giannettii, membro dello stesso e
Commissario del Comune. .
Nel dicembre 1943, ricorda Pistilli, i registri dello stato
civile e l’archivio comunale furono portati a Fontana Liri
Superiore e sistemati nella chiesa di Santa Croce.
Fontana Liri, fu teatro di molte incursioni aeree, a causa
della presenza nel territorio di molti presidi tedeschi e di
mezzi bellici di ogni genere.
Il 4 gennaio 1944 le popolazione di Fontana Liri e di
Arpino furono scosse da una notizia raccapricciante: una
pattuglia tedesca aveva trucidato quattro giovani che, non
potendo raggiungere i loro paesi, al di là del fronte, si
erano rifugiati in un vecchio casolare in località Forcella.
Erano il tenente Luigi Di Vicino e il ragioniere Felice
Sanità, già in servizio al polverificio, e i militari Pasquale
Barretta e Michele Bonavolontà, già appartenenti al locale
distaccamento militare.
Dalla cima della contrada Le Cese, Pistilli aveva potuto
osservare i 32 bombardamenti che arrecarono al paese ed
al poleverificio danni ingenti. Ed il 15 febbraio 1944,
anche il carosello di fortezze volanti che dalle 9,20 alle
12,20, scaricarono tonnellate di bombe sull’Abbazia di
Montecassino, distruggendola completamente.
186
Un mese dopo vi fu il bombardamento della città di
Cassino, che sembrò il preludio allo sfondamento del
fronte da parte degli alleati, ma non era così, perché la
grande offensiva iniziò il 15 maggio, quando fu occupata
Cassino e, tre giorni dopo, le truppe polacche del generale
Abders, conquistarono la vetta, con il Monastero di
Montecassino, che i bombardamenti avevano ridotto ad un
cumulo di rovine.Da quel momento tutto il fronte si mise
in movimento e gli alleati iniziarono la grande avanzata
che li portò il 4 giugno a Roma. In circa nove mesi, annota
Pistilli, i tedeschi ebbero 22.000 morti, gli alleati ben
230.000.
La sera del 28 maggio per effetto del cannoneggiamento
sul territorio, furono falciati da un colpo di cannone i
coniugi Luigi Pistilli e Domenica Patriarca. In quello
stesso pomeriggio due soli tedeschi fecero saltare uno dopo
l’altro tutti i ponti, i caselli e le stazioni della ferrovia
Roccasecca-Avezzano. L’unico ponte a rimanere in piedi,
fu quello più grande nei pressi della stazione ferroviaria, i
cui piloni erano già stati minati, ma fu risparmiato perché
doveva servire alla ritirata delle retroguardie tedesche.
A questo punto viene da chiedersi, dove fossero quei 41
partigiani, che lo stesso 8 settembre si costituirono in
“Comitato armato di resistenza”. Poi trasformato in
“Comitato comunale antifascista” su iniziativa dell’
antifascista Arturo D’ Innocenzo, che era appena tornato
dal fronte balcanico” e della cui attività si fa cenno nel
volume “Contributo alla storia del nostro Paese” nel modo
seguente: i componenti del Comitato si richiamano
politicamente ai partiti politici tornati alla ribalta o appena
costituiti; ci sarà anche una scissione all’interno del
Comitato tra i vari esponenti politici, alcuni dei quali
187
decisero di collaborare ulteriormente con la “Banda
armata”
Il Comitato, si attribuisce il recupero di armi presso il
Polverificio e nella postazione a Le Cese, ormai
abbandonata; aiuta quaranta ex prigionieri alleati,
controlla i movimenti dei tedeschi e compie alcune azioni.
Ma non precisa quali, e di quale natura.
Una cosa certa è che, quando due tedeschi, pochi giorni
prima di ritirarsi, decisero di minare e far saltare uno ad
uno i ponti e le stazioni della ferrovia, codesti uomini
coraggiosi erano uccel di bosco.
Dopo l’ingresso degli alleati, il D’Innocenzo, dichiaratosi
antifascista, con l’appoggio del Comitato, ottenne con
decreto prefettizio la nomina a Sindaco, pur essendo fino
ad allora vissuto a Roma, e nominò Vice Sindaco un
vecchio antifascista Angelo Casciano, maestro, allora
ottantenne.
La Giunta municipale era formata da quattro assessori
effettivi e due supplenti, e come primo atto, dispose che la
sede comunale tornasse a Fontana Liri Superiore; invitò i
carabinieri della locale stazione a lasciare il Paese e istituì
contemporaneamente una polizia partigiana di quattordici
elementi regolarmente armati e stipendiati; nominò un
giudice del popolo; esonerò dall’incarico il medico
condotto, e inviò nel campo di concentramento di Padula
(Salerno) un alto ufficiale, già in servizio nel polverificio e
il Commissario prefettizio del periodo di occupazione;
riempì le carceri del governo locale di intellettuali
periferici e benpensanti, in attesa che il tribunale del
popolo lì giudicasse; revocò la licenza ai commercianti,
colpevoli di aver fatto sparire e venduto alla borsa nera i
generi alimentari, razionati nel periodo di guerra;
188
organizzò squadre di operai per i lavori urgenti da
eseguirsi nel territorio comunale.
Creò insomma una Giunta autoritaria e paramilitare, il cui
unico scopo, più che il governo del paese, era quello di
eliminare dalla vita civile tutti gli avversari politici.
In una nota a margine, a pagina 233 della sua “Storia di
Fontanaliri” Generoso Pistilli, ricordando il periodo in cui
quella Giunta, senza legittimità democratica assunse il
potere, dice che fu certamente tra i più burrascosi e
discutibili di tutta la storia del Paese.
Per fortuna, dopo quel periodo di confusione e di
illegalità, determinato dalla prepotenza con cui gli
antifascisti, occuparono il potere, anche a Fontana Liri
arrivò l’ordine del Commissario alleato, Col. Thornihill,
per la provincia di Frosinone, con il quale si imponeva la
cessazione immediata dell’esercizio del potere da parte
di gruppi di individui che si chiamavano partigiani, la
consegna delle armi, a qualsiasi titolo detenute, la
proibizione di usare i partigiani come guardie municipali e
per servizio di polizia.
In virtù di ciò non essendo stati rispettati gli ordini
impartiti il 31 luglio, nel dicembre 1944,
l’Amministrazione e il Sindaco furono destituiti dalla
Prefettura di Frosinone e fu nominato commissario
prefettizio Claudio Lucchetti, un grande invalido di guerra.
La legalità sembrava ristabilita, ma il 26 dicembre seguì il
paradossale tentativo da parte di pochi facinorosi di
reinsediare con forza l’ex Sindaco D’Innocenzo, attraverso
una ben orchestrata manifestazione popolare, in Piazza
Santo Stefano, ma le autorità politiche e militari furono
irremovibili e per il sindaco destituito, e per i suoi
collaboratori, non vi fu nulla da fare.
189
Così ebbe termine dopo sette mesi la “Repubblica” di
D’Innocenzo, e la funzione di Commissario prefettizio
riprese a svolgerla Claudio Lucchetti.
E’ di qualche anno fa, un’altra pubblicazione su Fontana
Liri, durante il periodo di guerra 1943-1945, col titolo
“Contributo alla Storia del nostro Paese” nella quale vi
sono raccolte numerose testimonianza di chi, quel periodo
lo visse in prima persona, e di chi lo ricorda attraverso le
memoria dei loro genitori e dei loro nonni o dei loro amici
più anziani. Ebbene nelle cento pagine e più di dette
testimonianze, in una sola si parla di “Presenza partigiana
a Fontanaliri”.
Si tratta di una ventina di righe, in cui si fa cenno a quel
“Comitato armato di resistenza”, che come abbiamo visto
rimase sulla carta fino all’arrivo degli alleati, e si fece vivo
soltanto dopo la liberazione, con la triste e squallida
esperienza della cosiddetta “Repubblica” messa in piedi da
quell’antifascista venuto da Roma, appena tornato dal
fronte greco albanese, ma finita in malo modo, perché
ritenuta, illegittima e pericolosa, dallo stesso Commissario
alleato, che aveva il compiuto di vigilare sulla corretta
gestione dei Comuni e della Provincia. .
190
EPILOGO
1945
L’Unità antifascista è già in crisi
191
cittadina, una decina di compagni anziani e giovani tra cui
Antonio Grande, Giuseppe Bartoli, Carlo Federico,
Edmomdo La Serra, e i fratelli Alberto e Cesare Facci.
Nella Democrazia Cristiana di Frosinone, oltre
all’avvocato Giacomo De Palma, già del Partito
Popolare di Don Sturzo, una decina tra anziani e giovani
tra cui Angelo Maria D’Agostini, G.B.Longhi Bracaglia,
Armando Vona, Vittorio Valle, Anna Cristofari e don
Luigi Minotti. Degli altri partiti operanti al livello
nazionale, sulla scena locale, appaiono il Partito d’Azione
con l’avvocato Armando Riccardi, il Partito Liberale, con
l’avvocato Giovanni Ferrante e il Partito Repubblicano con
il farmacista Renato Gabrielli che da poco ha riaperto la
sua farmacia allo Scalo.
A proposito del Pri c‘è da dire che esso, non avendo
voluto accettare per motivi ideologici, di riconoscere il
ruolo che gli alleati, dopo l’accordo di Salerno,
assegnavano alla Monarchia per accompagnare il
passaggio dell’Italia dal vecchio regime alla democrazia,
non entrò a far parte del C.N.L. e non si rese complice di
nessuna delle decisioni, spesso arbitrarie ed illegittime, che
il Comitato assunse prima e dopo l’arrivo degli alleati.
Tutti i partiti, secondo il rapporto del Prefetto, solo
raramente danno vita a manifestazioni separate:
preferiscono manifestazioni e comizi unitari, e sono mossi
da forte spirito di collaborazione nel lavoro di
ricostruzione della democrazia e delle sue articolazioni.
Questo spirito unitario durerà per tutto l’anno successivo,
ma nel luglio del 1945, il Prefetto rivela che sono i partiti
di estrema sinistra che tendono ad imporre la loro
supremazia.
192
A conclusione di questa mia ricostruzione della situazione
di guerra e del dopoguerra, nella zona nord della Provincia,
dove secondo la vulgata antifascista, avrebbe operato,
anche prima dell’8 settembre, un attivo e consistente
movimento partigiano, ritengo utile riportare (a conferma
di quanto da me sostenuto) la introduzione, con la quale lo
storico Gioacchino Giammaria, esamina la consistenza di
quel movimento, sui “Quaderni della resistenza laziale”
per conto della Regione Lazio, in occasione del XXX
Anniversario della guerra di liberazione. N.8 Roma 1975:
“La completa mancanza di storiografia sul periodo, escluse
alcune pubblicazioni apologetiche e i brevi accenni nella
storiografia locale, e l’estrema scarsità delle fonti
documentarie, accessibili rendono difficile la storia di
questa area laziale nel nostro secolo. In particolare uno
studio esauriente del fascismo e dell’antifascismo, in
Ciociaria, all’attuale stato della documentazione, è quasi
impossibile tentarlo.
Per stendere questo lavoro mi sono servito della scarsa
pubblicistica e di pochi documenti raccolti presso amici e
compagni. Allo stato attuale, questa è una ricerca su poche
realtà, documentate appena in modo sommario. Manca a
questo lavoro soprattutto la documentazione della parte
avversa, fascista e tedesca che non ho potuto reperire.”
193
tutti i paesi vengono occupati da comandi, presidi,
istallazioni militari e caserme tedesche, a sostegno del
fronte cassinese.
Non facile l’ambiente sociale: a causa dello
sbandamento dell’8 settembre la popolazione pensa alla
sopravvivenza. Gli antifascisti poco numerosi e in genere
ex militari, dei disciolti partiti (e dello stesso partito
fascista, prima dell’8 settembre - n.d.a.) non prendono
l’iniziativa che nei momenti successivi.
Nella prima fase si registra uno spontaneo movimento di
giovani e di militari sbandati. Manca l’organizzazione.
Solo successivamente alcuni centri si collegano fra loro e
con Roma, ma con contatti sporadici. Non esistono
comandi militari e formazioni permanenti. Le iniziative
politico-militari antifasciste sorgono in zone defilate e non
sui paesi lungo le strade principali. La scarsità delle azioni
militari e la poca incisività dell’azione antifascista è
dovuta:
1) La provincia presenta un massiccio concentramento di
forze tedesche, che impediscono concentramenti militari
agli antifascisti;
2) La scarsa coscienza politica e la inesperienza militare
sono alla base della inefficienza dell’azione;
3) I gruppi e i partiti resistenziali mancano di un
collegamento permanete;
4) L’azione partigiana in Ciociaria ha tempi ristretti, per
cui non ha potuto svilupparsi e organizzarsi.”
Come si vede, lo Giammaria dice tutto questo, per non
dire, in poche parole, che “La resistenza in Ciociaria, non
è mai esistita.”
194
BIBLIOGRAFIA
195
Missori Maurizio: “Gerarchie e statuti del Pnf” (Bonacci
1986).
Federico e Jadecola - “La Guerra a Frosinone 1943-44”
(Comune di Frosinone 2005).
Sacchetti Sassetti - “Cronaca di Alatri 1943-44” (Isalm
1969).
Bartoli Luciano - “Scritti politici” (Abbazia Calamari
1991).
Bonelli Alfredo:“Io Gino Conti, rivoluzionario di
professione” (Tofani 1995).
Rengo Giuseppe: “Quando ero soldato” (Giornale Fiuggi
1998).
Caperna Umberto:“Ricordi di guerra 1943-44” (Edigraf
2004).
Curti Floriana: “Caramelle e pidocchi” (Bianchini 2004).
Bartoli Augusto: “Poveri oscuri eroi” (Prodotto in
proprio)
196
www.storialibera.it
197
DELLO STESSO AUTORE
SU STORIA E POLITICA
198
“In nessuna storia locale si dice che nel 1867 anche in
Anticoli vi fu una Giunta garibaldina” (2003 Radio
Centro Fiuggi).*
199
“Anche in Ciociaria urge il revisionismo”(2004-Flash
Magazine).
200
“Due lapidi da rimuovere, a Fiuggi, in Via Maggiore e a
Piazza Silone”* (Giu.2002 –“il Cittadino”).
201
“A Fiuggi. Insaziabili più che mai i barbari del cemento”
(Ago.2005 -“il Cittadino”).
202
INDICE
Premessa…..……………………………………………...I
203
L’hanno fatta, chi come deputato, chi come ministro, chi
perfino come Presidente della Repubblica. Tra i quali, il
democristiano Scalfaro, l’azionista Ciampi e il comunista
Napoletano. 3) Lettere tra studenti ad Alatri: quando tra
loro si chiamavano camerati. 4) La medaglia garibaldina al
partigiano comunista Aldo Silvestri e l’eroe dimenticato di
El Alamein, S.Ten. Armando Tagliaferro. 5) Le Bande di
Alatri, Collepardo e Fiuggi, guidate da ex fascisti. 6) I
partigiani, bianchi e rossi, nascosti nelle curie e nei
conventi, furono gli ideatori dei comitati di liberazione,
locali e provinciale, ma dal Convento di Alatri, furono
costretti a fuggire soltanto i giovani, precettati dal Bando
di Graziani.
204
Cap. IV - Su Frosinone liberata………………………74
205
Cap. VI - Le scomode verità del medico di Fiuggi
Giuseppe Rengo ..…………………………………….137
206
Tolte dal Municipio le bandiere: americana, inglese e
tricolore. Rimane quella rossa. 5) L’8 Giugno: Il dott.
Giuseppe Pelloni e il dott. Giacinto Minnocci, arrestano
Carlo Bellincampi, presso Ferentino, Brusselles, Covino,
Ten. Cristiani ed altri portati a Pietra Vairano.
Cap.VIII - Epilogo…………………….........................172
207
Bibliografia……………….…………………………177
Indici……………………………..………………….186
208
L’AUTORE
LASCIA QUESTO SAGGIO
DI STORIA LOCALE
AI SUOI CONCITTADINI
COME TESTIMONIANZA DI VERITA’
SPERANDO CHE ALMENO I GIOVANI
TROVINO IL CORAGGIO
DI SCOPRIRLA E DI RIAFFERMARLA
PROSEGUENDO LE RICERCHE
SULL’ANTIFASCISMO
E LA LIBERAZIONE IN CIOCIARIA
CHE LA VULGATA RESISTENZIALE
PER MOTIVI IDEOLOGICI
E DI TORNACONTO POLITICO
HA DELIBERATAMENTE
MISTIFICATO
209
Firmato
Colom digitalmente da
Colombo Incocciati
ND: CN = Colombo
bo Incocciati, C = IT
Motivo: Sono
l'autore di questo
Incocc documento
Data: 2009.05.15
20:20:25 +02'00'
iati